Titolo: IDA ROTANO. - Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2010, 11:53:22 am Ida Rotano, 12 ottobre 2010, 15:34
Bersani-Vendola: patto di consultazione Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola oggi a pranzo insieme. Annunciano che si rivedranno e lo faranno con tutte quelle forze che dovranno dare vita al governo di transizione che, secondo le intenzioni dei due leader, dovrebbe cambiare la legge elettorale e poi portare alle elezioni. Bersani: "Non vogliamo rifare l'Unione, il progetto questa volta deve dare garanzie di concretezza e serietà". Vendola: "A me non interessano le formule nominalistiche, bensì il programma" Nasce il patto di consultazione sul programma tra il leader Pd, Pier Luigi Bersani e il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola. Dopo il pranzo in un ristorante del centro, i due segretari incontrano i giornalisti e Bersani annuncia che si è dato il via a un "patto di consultazione su programmi e progetti per l'alternativa, per mettere in campo proposte univoche". "C'è la comune volontà - ha detto Bersani - di creare un'alternativa". Non è già la nascita del nuovo Ulivo, assicura Vendola, che sottolinea di "non essere entrato né predisporsi ad entrare" in esso, ma un confronto sul programma. "Le formule mi interessano poco - ha detto Vendola - soprattutto quelle del passato, a me interessa la sostanza". A chi chiede ai due leader chi abbia convocato l'incontro Bersani risponde ridendo: "Non me lo ricordo, forse a mezzi, avevamo voglia di vederci, perchè le tante cose dette non stanno in piedi, qui non badiamo alle ambizioni personali, questo è un passaggio complesso, un passaggio storico e capisco i retroscena ma noi facciamo politica". Bersani ha spiegato che questo colloquio, a cui ne seguiranno altri, rientra nella strategia del Pd in vista del Nuovo Ulivo, che prevede un patto di consultazione sul programma per il governo a partire dalle forze di centrosinistra, insieme a questo c'è il progetto di "mettere in sicurezza la democrazia, che facciamo con tutti". "Oggi registro un passo avanti significativo, vogliamo darci una mano per costruire una grande piattaforma per l'alternativa a partire dai problemi del Paese". Il patto, ha spiegato, vuol dire "vedersi e tenersi raccordati e a misurarsi sulle proposte concrete, anche sulla riforma elettorale. Non vogliamo rifare l'Unione, il progetto questa volta deve dare garanzie di concretezza e serietà". Il Patto di consultazione, ha spiegato ancora Bersani, comporterà incontri costanti per "discutere di programmi per tenerci raccordati e misurarci sulle proposte, come quelle che abbiamo lanciato a Varese, la riforma fiscale, ma anche la riforma elettorale, servirà ad affinare le nostre proposte perchè siano univoche e perchè non vogliamo rifare l'Unione, questo progetto deve dare garanzie, serietà e affidabilità". Il leader del Pd ha anche espresso l'auspicio che dopo il colloquio con Vendola ce ne siano altri, "con l'Idv, con i socialisti, con gli ambientalisti, abbiamo la responsabilità di dire che non siamo tante pattuglie ma forze di governo che vogliono riorganizzare il campo del centrosinistra, i cantieri non sono finiti, ci saranno meccanismi strutturali di collegamento e sono sicuro che Nichi è d'accordo a lavorare su questo". Per Vendola oggi è stato segnato "un punto di avanzamento che non è necessario solo per noi, per Vendola e per Bersani, ma per l'Italia che il centrosinistra torni a parlare il linguaggio della credibilità. Abbiamo superato le polemiche amplificate in modo malizioso, e dato una lettura congiunta della gravità della situazione, abbiamo espresso la volontà unitaria di dare coraggio alla nostra gente". Vendola mette in chiaro subito che un ingresso nel Nuovo Ulivo non è alle viste: "non ci sono entrato né mi predispongo ad entrarci, non mi interessano le formule nominalistiche ma il programma, dobbiamo fare lo sforzo di immaginare cose differenti da una semplice sommatoria". Ma è pronto al patto di consultazione. "Abbiamo il dovere di incontrarci e mettere in campo insieme una strategia per salvare il Paese e abbiamo il dovere di cercare per questo un punto di unità", anche sulla riforma elettorale. Vendola, come Bersani, pensa che sia utile mettere in campo una rapido "governo di scopo" per varare una nuova legge elettorale e poi andare al voto. Insomma, "oggi c'è stato un accordo sul metodo". "Il punto in avanti di oggi - spiega il leader di Sel - è che c'è un superamento di polemiche a volte anche alimentate in modo malizioso". Stessa idea da parte di Bersani, che fa notare come tante polemiche del passato oggi siano state chiarite e spazzate via. Nemmeno Bersani spinge troppo il pedale dell'acceleratore e fa capire che il lavoro è appena cominciato: "i cantieri non sono finiti nel centrosinistra, serve un'organizzazione strutturale, non ci possiamo limitare solo a patti programmatici. L'importante e' far capire che non siamo tante pattuglie ma riorganizziamo il centrosinistra". Entrambi guardano anche all'Udc. Più esplicitamente Bersani, che parla di "costruire proposte a partire dal centrosinistra da rivolgere a tutte le forze di opposizione". E Vendola afferma che "abbiamo di fronte un passaggio epocale, e dobbiamo mettere in campo una grande costruzione politica, non voglio subire veti né esercitarli su altri. Chiunque voglia contribuire al cantiere è il benvenuto". Quanto alle primarie, restano nel programma di tutti e due. Bersani afferma che una volta costruita la coalizione, "ci si candiderà e sceglieranno gli elettori". Vendola afferma che "c'è accordo sulle primarie, per la selezione degli sfidanti". Ma se si chiede se saranno loro due gli sfidanti, Bersani sorride: "non mettiamo il carro davanti ai buoi, se si va al voto noi non ci sottraiamo, chi si candida si candida, saranno i cittadini a decidere. Qui non c'è gente che ha ambizioni personali, il passaggio è troppo complesso e storico". http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=15962 Titolo: Ida Rotano - Una terapia d'urto per salvare l'Italia Inserito da: Admin - Ottobre 24, 2010, 03:24:03 pm Ida Rotano, 22 ottobre 2010, 16:56
Una terapia d'urto per salvare l'Italia Lavoro e lotta alla precarietà al centro del programma della sinistra che vuole tornare a vincere e che per farlo vuole costruire un centrosinistra nuovo, largo e unito, pronto a interloquire con tutte le forze decise a far uscire l'Italia dal berlusconismo. Nichi Vendola ha aperto il primo congresso di Sinistra ecologia libertà con un appello forte, che convince tutti, anche la delegazione del PD Per tornare a vincere "non servono le coalizioni del passato, il minimo comun denominatore, ma l'unità più larga possibile, il massimo di unità, la risposta più larga alla domanda di cambiamento". Lo ha detto Nichi Vendola aprendo i lavori del primo congresso di Sinistra ecologia libertà: "Per battere il berlusconismo - ha aggiunto - occorre cambiare l'immaginario diffuso". Cuore della coalizione deve essere la lotta contro la precarietà, è questo il tema innovativo su cui riformisti e radicali devono uscire dai loro gusci. "I riformisti hanno bisogno dei radicali e i radicali dei riformisti per non coltivare le proprie pigrizie. L'Italia non ha bisogno di nominalismi ideologici, ma ha bisogno di una terapia d'urto per salvarsi", spiega Nichi Vendola. Oggi si apre il congresso fondativi di Sinistra Ecologia e Libertà. Ma, avverte Vendola, "non dobbiamo innamorarci del partito, ma viverlo come uno strumento: l'obiettivo è la sinistra, l'Italia, il cambiamento". Non mancano i messaggi distensivi a tutto il centrosinistra, compresi Grillo ("l'ansia del cambiamento non può essere l'estetica della bestemmia, abbiamo bisogno di riconoscerci gli uni con gli altri") e i comunisti della Federazione della Sinistra ("basta coi risentimenti, è il momento dei sentimenti"). E ai delegati fa capire che SeL è un momento di passaggio quando dice che "lo scopo è costruire la sinistra del 21esimo secolo, siamo un seme che deve far nascere un germoglio. Ma poi il seme muore e diventa altro, non restiamo attaccati al partito come se fosse un feticcio". Poi mette in guardi i militanti da due rischi: "Andiamo un po' di moda ultimamente e questo può portare una processione di compagni e compagne interessati a noi: non va bene il trasformismo e il gattopardismo. Quello che va malissimo però è l'alibi del trasformismo e del gattopardismo per tener serrate le fila e chiuse le porte". E' un lungo intervento, quello di Vendola, in cui ha toccato i temi dell'ecologia, della globalizzazione, del lavoro, della geopolitica. L'auspicio è che la sinistra torni a vincere. "A vincere e - ha sottolineato - a vincere bene". "Abbiamo bisogno di riconoscerci gli uni con gli altri -ha proseguito- non per fare una coalizione del passato, ma per cercare un minimo comun denominatore, un passaggio fondamentale, per il quale serve la più larga unità possibile. Bisogna stare insieme non per dare la minima risposta - ha sottolineato Vendola - ma per dare la risposta più larga alla richiesta di cambiamento". Il presidente della Puglia sottolinea che la sinistra e Sel hanno "le stesse malattie degli altri partiti", ma che riusciranno a combatterle, "non nascondendole, ma guardandole in faccia". A sinistra serve "un'alleanza innovativa" che "assuma le primarie non come gioco di società, ma come uno strumento di dissequestro della politica che torni bene pubblico". Sono tante le citazioni nel discorso di Vendola. Citazioni in positivo, ma anche in negativo. Tra quest'ultime, Sergio Marchionne: "Se la modernità è lui, ho l'impressione che sia tutta una bolla mediatica e politica", eppoi Giulio Tremonti, che in questi anni "ha giocato tutte le parti in commedia: il fustigatore delle banche, il critico no global del modello di sviluppo e l'affamatore del popolo". Senza scordare il conflitto d'interesse dell'epoca di George Bush, "simile a quello di Berlusconi". Nel dizionario di Nichi c'è spazio anche per Gorbaciov ("la fine dello stalinismo ha segnato uno dei piu' grandi progressi del genere umano"); per la "Cindia" del giornalista Federico Rampini; per l'esempio di Bark Obama, attaccato dalla "violenza della destra antropologica dell'America profonda, soltanto per una elementare riforma del sistema sanitario", Vendola ha ricordato Ghandi "un protagonista del 900"; il gruppo cileno degli Intillimani, simbolo di un'America latina in cui i rivoluzionari di un tempo "sono classe ora classe dirigente", a dimostrazione di "un mondo che può cambiare e sta cambiando". Tra le figure della sinistra c'è unicamente Gramsci, condannato dal tribunale speciale fascista e che disse: "Voi fascisti avete rovinato l'Italia, tocca a noi comunisti il compito di salvarla". A Eugenio Scalfari, che in un editoriale di alcune settimane fa parlò di lui come di un "corto circuito" Vendola risponde: "La sinistra è davvero un impedimento a vincere? La sinistra è la missione di un paese, noi abbiamo bisogno di ricostruire un discorso sulla salvezza dell'Italia", e contro il falso federalismo della Lega, rilancia il federalismo europeo di Altiero Spinelli. Poi il governatore della Puglia si i accalora e con lui la platea quando spiega che "ci siamo stancati di perdere bene, adesso vogliamo vincere". E se non manca di fare riferimento a un comico che piace ai giovani come Antonio Albanese, ricorda poi che suo padre "partito fascista per la guerra, tornò comunista" grazie alla lettura di Steinbeck e Cronin. C'è poi il richiamo al regista Fassbinder e alla "paura che nega l'amore" e al sociologo De Rita e alla sua Italia ridotta a "mucillaggine". Citazioni anche per lo storico Piero Bevilacqua e per uno dei padri nobili dell'esperienza di Sel, Fausto Bertinotti e al suo libro "Chi comanda qui?", sintesi delle difficoltà di un mondo globalizzato troppo spesso normalizzato da poteri sovrannazionali. Il discorso si chiude con un'ammissione, quella di rischiare di essere vittima del leaderismo ("Ma non mi sono dimenticato di essere un ragazzo di Terlizzi"); e con un "inno alla bellezza": "Torniamo alla bellezza delle relazioni", a quella dell' "accogliersi tra generazioni", la bellezza dell'incontrarsi tra "il mondo vivente" e quello "non vivente". Le reazioni politiche. "Ho sempre pensato che Vendola e il suo movimento fossero un interlocutore naturale del Pd, e oggi ne sono ulteriormente convinta". Così Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, commenta con i giornalisti l'intervento di Nichi Vendola al congresso di Sel a Firenze. "Alcune delle parole d'ordine sentite oggi - ha aggiunto - quante volte ci è capitato di pronunciarle". La Finocchiaro ha invitato a "trovare una alleanza con l'Italia, non solo con i partiti" per dare "un nuovo governo di cambiamento". Per far questo le forze di centrosinistra devono "superare rigidità e steccati" e uscire da quella "autocontemplazione" a volte registrata in passato: bisogna dunque avere "curiosità, saper ascoltare, capire, confrontarsi". L'intervento di oggi di Vendola, ha concluso, è un "utile", una "base di partenza solida" per un ragionamento sui "mali dell'Italia e sulla necessità del cambiamento". "Abbiamo il dovere di pensare al fatto che per il nostro statuto il segretario è il candidato premier. Ma se questa alleanza per l'Italia esigerà una rappresentanza altra, che si imponga autonomamente o attraverso le primarie, strumento che noi pratichiamo con grande larghezza, che sia così". Lo ha detto la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro rispondendo, al congresso di Sinistra ecologia e libertà, a una domanda dei giornalisti sulle primarie del centrosinistra e sulla eventuale candidatura di Nichi Vendola. "L'importante - ha concluso - è che noi siamo capaci di diventare maggioranza nel Paese e che siamo capaci di intercettare per davvero la voglia, il bisogno di cambiamento e di modernità non come regressione ma anche come sviluppo". "Bello, molto bello. Condivido larga parte della sua riflessione", è il commento del sindaco di Firenze, Matteo Renzi (Pd). "Ha fatto un intervento di lettura politica ampio - ha aggiunto Renzi - non ha fatto semplicemente un discorso legato al chiacchiericcio quotidiano; lo ha fatto con quella passione che avversari e amici gli riconoscono, e io sono felice che il congresso si svolga a Firenze. E' poi un problema dei dirigenti politici nazionali trovare il modo di passare ai fatti, ma le parole che abbiamo sentito da Vendola sono in larga parte molto belle e condivisibili". In merito invece a future alleanze Renzi ha ribadito il suo 'no' ad 'ammucchiate selvagge' e ai cronisti che gli hanno chiesto se preferisca Vendola o Casini ha risposto che la politica non è come con le nomination del Grande Fratello. "Il problema - ha precisato - non è chi teniamo fuori, ma è cosa vogliamo fare. Quando poi abbiamo deciso quali sono le nostre proposte si può ragionare di Vendola, Casini, Bersani, D'Alema, di nomi e cognomi. Prima è importante mettere al centro le cose che vogliamo fare e da questo punto di vista credo sia assurdo stoppare con dei veti ideologici, chi vuole stoppare Casini, chi vuole stoppare Vendola. Vediamo - ha concluso - se riusciamo a dare un futuro alla politica italiana, tutta schiacciata sulle case di Montecarlo e Antigua, e non sui problemi veri". "Il terreno di confronto - afferma Evangelisti (Idv) - è fertile. Il lavoro, il welfare, l'ambiente e la scuola sono questioni cruciali sulle quali noi dell'Idv abbiamo già messo in campo la sfida al Governo e sulle quali siamo chiamati, tutti, a tessere la tela del confronto. Per "riaprire la partita" con Silvio B. - prosegue Evangelisti - serviranno tanti narratori come Nichi Vendola. La conoscenza e la coscienza sono essenziali, ma non bastano. Servono rigore e intransigenza, come quelli dell'Italia dei Valori e di Di Pietro. Nelle parole di Vendola c'è più un Saviano che un premier, più narrazione che analisi, più domande che proposte. Noi dell'Italia dei Valori siamo già in campo a fronteggiare il degrado morale del Paese, a contrastare chi tutela gli interessi personali anziché quelli dei cittadini, chi fa strame della democrazia e della Costituzione. Conveniamo con Vendola che l'alternativa e il nuovo centro-sinistra non si costruiscono senza di noi". http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=16066 Titolo: Ida Rotano - Repressione nel sangue, prime crepe nel regime Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2011, 03:48:38 pm Ida Rotano, 21 febbraio 2011, 17:20
Repressione nel sangue, prime crepe nel regime L'aviazione militare libica avrebbe bombardato un gruppo di manifestanti anti-governativi che si dirigevano verso una base dell'esercito. Secondo le testimonianze riportate da Al Jazeera i manifestanti intendevano procurarsi delle munizioni, ma sarebbero stati attaccati dall'aviazione prima di poter raggiungere la base militare. A pochi chilometri dalle nostre coste si sta consumando una carneficina di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti. Tutti i Paesi europei hanno condannato la dura repressione di Gheddafi, mentre il nostro esecutivo preferisce tacere per non disturbare l'amico dittatore A quanto pare per il governo italiano migliaia di vittime innocenti possono passare in secondo piano rispetto all'amicizia affaristica con il leader libico. Quanto accade in Libia, e nell'intera zona del Maghreb, ci chiama doppiamente in causa: da una parte per la posizione geografica dell'Italia, che ovviamente si presta più di altri paesi dell'Unione al rischio di nuove ondate di clandestini;ma a chiamarci in causa è soprattutto la politica: spetta infatti all'Italia indicare la rotta all'Unione europea nei confronti di quelle comunità che abitano il Mediterraneo. Al contrario, fino ad oggi sull'operato di Gheddafi il nostro presidente del Consiglio ha avuto modo di soffermarsi giusto il tempo di una battuta, per avvertire che non era questo il momento di contattare colui il quale da sempre considera un suo amico: "troppo impegnato", con l'ennesima espressione lugubre, e per ora, dal nostro ministero degli Esteri giunge solo un laconico invito alla cittadinanza a "non recarsi in Libia". Fonti mediche non confermate parlano di 61 morti a Tripoli nella sola giornata di oggi e il bilancio complessivo di Human Rights Watch è arrivato a 300-400 vittime in tutto il Paese. ma le vittime crescono di ora in ora. Oggi che la rivolta contro Gheddafi monta di minuto in minuto, con le forze ancora fedeli al rais che sparano sui civili anche con i carri armati e l'aviazione militare, il ministro degli Esteri Franco Frattini continua a considerare prioritaria la non ingerenza negli affari interni della Libia. L'unica vera preoccupazione del governo italiano appare al momento l'effetto della rivolta sui flussi migratori verso le nostre coste, tema di un vertice che domani sera vedrà confrontarsi a Palazzo Chigi Berlusconi e Frattini, oltre al ministro dell'Interno Roberto Maroni, il ministro della Difesa Ignazio La Russa e quello dello Sviluppo Paolo Romani. Intanto l'opposizione insorge e chiede che Frattini riferisca in Parlamento. Il ministro degli Esteri lo farà mercoledi, anche se al momento non si sa se in aula o in sede di commissioni riunite. Ed è proprio in virtù di questo scenario che forse vale la pena riepilogare i passaggi salienti dell'ennesima amicizia pericolosa di Berlusconi. Come non ricordare le tende a villa Pamphili, i caroselli dei Carabinieri, i cavalli berberi e le Frecce Tricolori che hanno fatto da cornice ai rapporti tra Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi. L'aneddotica è ricchissima, e solo nell'ultima legislatura si contano otto incontri ufficiali tra i due leader. Ogni volta accompagnati da furibonde polemiche, con l'opposizione che insorgeva per i rapporti con il dittatore libico e il premier che replicava: "Nessun inginocchiamento a Gheddafi" (Senato, 30 settembre 2010). L'apice dei rapporti tra i due si è toccato senz'altro con la visita del colonnello in Italia del 10 giugno 2009, che per tre giorni paralizzò Roma. Visita in pompa magna, con tanto di tenda da 60 metri quadrati piantata a villa Pamphili. Fu in quell'occasione che il presidente del Consiglio italiano definì "un saggio" il dittatore libico, che ricambiò paragonando gli Usa a Osama bin Laden e dando "buca" a Gianfranco Fini, il quale dopo averlo atteso per ore a Montecitorio annullò l'incontro "per difendere la dignità dal Parlamento italiano". La prima visita di questa legislatura si registra il 30 agosto del 2008, con la firma del trattato di "amicizia, partenariato e cooperazione" tra Italia e Libia, una delle "perle" rivendicate da Berlusconi in politica estera. Sotto la tenda del Colonnello libico fu siglata l'intesa che impegna Roma a risarcire l'ex colonia con circa 5 miliardi di dollari in 20 anni, e Berlusconi diede "il riconoscimento completo e morale dei danni inflitti alla Libia da parte dell'Italia durante il periodo coloniale". In cambio, la Libia promise di fermare le partenze di migranti dalle sue coste. Il 2 marzo del 2009 Berlusconi tornò dal colonnello a Tripoli, dove rinnovò le scuse per il periodo coloniale chiedendo "perdono" al popolo libico. In quei giorni il premier invitò formalmente Gheddafi al G8: invito accolto, e il colonnello a luglio piantò la tenda nella caserma di Coppito. In quell'occasione strinse la mano ad Obama e incontrò il premier britannico Gordon Brown. Berlusconi tornò di nuovo in Libia il 30 agosto del 2009, per celebrare i 40 anni del regime di Gheddafi, con tanto di esibizione delle Frecce Tricolori e annesse polemiche. Rinfocolate dall'attacco del colonnello ad Israele: "E' la causa dei mali dell'Africa". A distanza di pochi mesi, il 16 novembre 2009, Gheddafi torna a Roma per il vertice Fao, ricevuto anche in quell'occasione a palazzo Chigi. Ma le serate romane di Gheddafi furono più che altro con centinaia di hostess, riunite per due sere di fila per ascoltare il leader libico esaltare il ruolo delle donne nel mondo islamico. L'ultima visita di Berlusconi in Libia risale al 13 giugno 2010: Berlusconi si recò a Tripoli insieme al ministro degli esteri svizzero e a quello spagnolo: fu liberato Max Goeldi, cittadino svizzero imprigionato in Libia, e in cambio si risolse il caso di Hannibal Gheddafi, figlio del dittatore arrestato in Svizzera con un consistente risarcimento. Gheddafi tornò in Italia il 30 agosto del 2010, per celebrare il secondo anniversario del trattato di amicizia italo-libica - - firmato nell'estate del 2008. In quella seconda visita romana, Gheddafi e Berlusconi inaugurarono il centro di cultura libico in Italia, per poi trasferirsi alla caserma "Salvo D'Acquisto" dove il dittatore libico fu omaggiato con il carosello dei carabinieri a cavallo, seguito dall'esibizione di 30 cavalieri berberi venuti appositamente dalla Libia. Una kermesse durata oltre la mezzanotte, durante la quale Gheddafi chiese - nel discorso pubblico - 5 miliardi di euro per fermare l'esodo dei migranti e impedire che "l'Europa diventi Africa". Poco più di dieci giorni dopo, una motovedetta libica mitragliò un peschereccio italiano. Il regime di Gheddafi è in preda ad una contestazione senza precedenti contro un potere che dura da più di 40 anni e sta cercando di resistere alle proteste libertarie scoppiate sull'onda delle rivolte in Tunisia ed Egitto. Il leader libico ha reagito con la forza alle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, schierando la polizia in forze. Centinaia di tunisini che lavorano in Libia hanno lasciato il paese attraverso la frontiera di Ras-Jdir, per rifugiarsi nel loro territorio d'origine e fuggire da quella che descrivono come "una vera carneficina". Lo ha dichiarato Housine Betaieb, responsabile sindacale presente sul posto, aggiungendo: "E' gente che lavora in Libia e che fugge prima che le succeda qualcosa". Oggi a Tripoli migliaia di persone sono tornate in piazza e sono state saccheggiate le sedi di tv e radio di Stato, Giamahiria 2 e Al-Shababia. La folla ha dato alle fiamme molti edifici governativi tra cui il Palazzo del Popolo, in cui si riunisce il Parlamento, il ministero dell'Interno e il quartier generale dei Comitati popolari, diretta emanazione del regime. Intanto quattro fregate della Marina sono arrivate nel porto della capitale libica. Dopo Bengasi e Beida, anche altre città sarebbero ormai in mano ai manifestanti come Gialo nel sud della Cirenaica. Decisiva in molti casi, è stata la defezione di interi reparti militari schieratisi con la rivolta. Il ministro della Giustizia libico, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, si è dimesso "per l'eccessivo uso della violenza contro i manifestanti" anti-governativi. La debolezza del regime è trapelata dall'unica reazione ufficiale affidata al discorso notturno di 40 minuti di Saif-al-Islam, il figlio secondogenito del leader libico. Saif non ha nascosto che il Paese è sull'orlo della guerra civile. Gheddafi jr. ha parlato di un "complotto ordito da forze separatiste" e ha messo in guardia dal rischio che il Paese nordafricano perda il suo benessere, garantito dal petrolio e dall'unità fra le tribù, e precipiti in una guerra per bande che lo renderebbe di nuovo preda del colonialismo occidentale. Saif aveva assicurato che il padre è rimasto in Libia e "non è un leader come Ben Ali o Mubarak", fuggiti perché detestati in patria. In effetti, la notizia di una fuga in Venezuela data dall'ambasciatore libico a Pechino è stata smentita da Caracas e anche da fonti dell'opposizione. Intanto l'Ue sta valutando la possibilità di un'evacuazione generalizzata dei cittadini europei. Molte compagnie straniere, come l'italiana Finmeccanica, la Bp e la norvegese Statoil, hanno cominciato a ritirare i propri dipendenti. da - paneacqua.eu/notizia |