Titolo: FRANCESCO BEI. Inserito da: Admin - Agosto 29, 2010, 11:12:33 am L'INTERVISTA
"Il porcellum non si può toccare l'espulsione di Gianfranco va avanti" La Russa avverte che la riforma elettorale ora è uno "scenario pericoloso" per Berlusconi. "Sono sempre stato una colomba. Su Montecarlo non ho detto niente e avrei potuto, ero il coordinatore di An" di FRANCESCO BEI ROMA - "Una nuova maggioranza per approvare una legge elettorale anti-Berlusconi è uno scenario pericoloso che non va sottovalutato". Ignazio La Russa mette in guardia il Pdl dal rischio che si apra una breccia per archiviare il Porcellum. Intanto però è lo scontro interno al Pdl la prima emergenza da affrontare. Non è piaciuto il suo pugno di ferro contro i finiani. Persino Verdini e Cicchitto hanno preso le distanze da lei. Vuole schiacciare i suoi vecchi amici? "Questo è veramente il colmo! Io sono stato sempre un pompiere e adesso passo per quello che vuole la guerra". Non è così? Voi ex An avreste molto da perdere da una riconciliazione fra Berlusconi e Fini, no? "L'ultimo a insistere con Fini quando ci fu la rottura fui proprio io. Conservo ancora gli sms di Bocchino e di Briguglio che mi ringraziano per l'intervento in Direzione. Poi, quando è cominciata la guerra, io e gli altri tre - Matteoli, Gasparri e Alemanno - non abbiamo mai partecipato agli attacchi extra-politici a Fini. E sì che qualche titolo per parlare di quella casa a Montecarlo l'avremmo pure avuto". Cosa intende? "All'epoca io ero il coordinatore di An. La Morte e Pontone avrebbero dovuto chiedermi di rinnovare il mandato a vendere la casa, un mandato che era scaduto nel 2005. E io glielo avrei sicuramente rinnovato. Adesso invece mi viene qualche sospetto sul perché non me l'abbiano chiesto". Insomma, La Russa colomba? "So io delle cose... Fini mi diceva peste e corna di Berlusconi, chiedendomi di riferire tutto al premier. Idem Berlusconi". E lei? "Muto, riferivo a entrambi solo le poche cose positive. Fini invece, quando ha riunito gli ex An per lo strappo finale, a noi quattro nemmeno ci ha invitato". All'ufficio di presidenza che ha sancito l'incompatibilità di Fini con il Pdl c'era pure lei e ha votato il documento... "Sì, ma tutti volevano chiudere la porta a chiave. L'unico emendamento approvato è stato quello proposto da me, che lasciava la porta socchiusa. Diceva di aggiungere che Fini "allo stato" era incompatibile. Capito?". Poi però avete fornito a Berlusconi i numeri sbagliati, gli avete raccontato che i finiani sarebbero stati una dozzina. "Falso! Noi contammo 31 ex An e quelli sono stati. Gli dicemmo pure che, se avesse attaccato Fini, avrebbe spinto molti a solidarizzare con lui. Così è stato. Per fortuna la mia previsione di 31 deputati l'ho messa per iscritto, ho le prove". Adolfo Urso chiede che vi rimangiate l'espulsione. Loro, in cambio, rinuncerebbero ai gruppi autonomi. Si può fare? "A volte i pontieri fanno più danni degli altri. Urso è in buona fede, ma come fa a dire certe cose? Se vado da Berlusconi a dirgli, come vuole Urso, che deve fare un "gesto riparatore" nei confronti di Fini lo sa come la prende?" Non bene? "Ma che acume... quello mi risponde "riparatore di che??"". Quindi andrete avanti con la linea dura contro i ribelli? "Non mi importa di passare per un duro. Li chiameremo uno ad uno e poi decideremo. Sbaglia chi vuole passare da un eccesso di intransigenza a un'assenza di chiarezza. Berlusconi oggi mi ha detto: vai pure avanti, ma attento a non farla passare per una provocazione". Adesso si parla di legge elettorale, per voi è un tabù? "La proposta di Bersani è del tutto strumentale. La sinistra sogna una legge che consenta a loro di vincere senza avere il consenso". Ma se anche i finiani fossero disposti a discuterne? "Il sospetto c'è, non siamo così sciocchi. È impossibile sommare forze alternative per fare un governo, ma una nuova maggioranza per una legge elettorale anti-Berlusconi è uno scenario pericoloso che non va sottovalutato". (29 agosto 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/08/29/news/la_russa-6586875/ Titolo: FRANCESCO BEI. Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:49:04 pm LA VISITA DI GHEDDAFI
La predica irrita i cattolici del Pdl Ma il Cavaliere: "E' solo folklore" Alta tensione nel governo per le uscite stravaganti del leader libico. In subbuglio l'ala cattolica, in imbarazzo gli altri, a partire dai leghisti. Ma visti gli interessi economici in ballo, la parola d'ordine di Berlusconi è "non alzare polveroni" di FRANCESCO BEI ROMA - Alta tensione nel governo per le uscite stravaganti della Guida libica. In subbuglio l'ala cattolica, in imbarazzo gli altri, a partire dai leghisti. Ma visti gli interessi economici in ballo, la parola d'ordine del Cavaliere è "non alzare polveroni". "Le cose serie sono altre, lasciamo perdere il folklore". Ma è evidente che tutti si augurano che il "gradito ospite" se ne riparta senza far troppi danni il prima possibile. Lo stesso Berlusconi, che questa sera offrirà al Colonnello una cena insieme ad altri 800 invitati, ieri si è tenuto lontano dalla Capitale, lasciando che fosse il ministro Franco Frattini ad accollarsi l'arrivo di Gheddafi a Ciampino. La linea di palazzo Chigi è dunque quella di minimizzare le frasi provocatorie del dittatore libico, cercando di spostare l'attenzione sui vantaggi per l'Italia di una visita comunque difficile da gestire dal punto di vista mediatico. "Le commesse che il governo ha concordato con i libici - spiegano nel governo - hanno aiutato le imprese italiane a fronteggiare la crisi. Gli italiani questo lo capiscono benissimo". Quanto agli eccessi dello scorso anno, gli uomini del premier sono certi che stavolta sarà tutto molto più sobrio: "L'anno scorso si chiudeva un rapporto storico, veniva archiviato il passato coloniale. Un'operazione enorme, che neppure la Francia ha fatto con l'Algeria. E Gheddafi colse l'occasione per calcare un po' i toni, rivolto all'opinione pubblica dei paesi arabi e ai libici che lo seguivano dalla tv a casa. Stavolta è diverso, inoltre la parte ufficiale della visita durerà solo un giorno". C'è tuttavia anche la possibilità che questa sera Gheddafi inviti a sorpresa Berlusconi alle celebrazioni del primo settembre a Tripoli, per l'anniversario della "rivoluzione" (il colpo di stato militare) che rovesciò re Idris. A quel punto il premier non potrebbe sottrarsi, specie se l'invito sarà formulato in pubblico. Ma la curvatura "islamica" che il Colonnello ha voluto dare alla sua visita mette a disagio i cattolici e rischia di creare qualche tensione con il Vaticano. Un rapporto, quello tra il governo e la Chiesa, che Gianni Letta cura da vicino, tanto da aver partecipato alla "Perdonanza" all'Aquila nonostante le contestazioni annunciate dei terremotati. Dal caso "Boffo" dello scorso anno quel fronte è sempre in cima alle preoccupazioni di palazzo Chigi e la predicazione coranica del Colonnello, nel cuore della città di San Pietro, scopre un nervo sensibile. Di fatti, nonostante la consegna del silenzio, gli esponenti del Pdl più vicini al mondo cattolico scalpitano. "Quello che più mi preoccupa - spiega Maurizio Lupi, reduce dal Meeting di Cl - è che ci stiamo abituando a questi show di Gheddafi, tanto che queste stupidaggini sull'Islam passano quasi in secondo piano. Bisognerebbe ricordargli che proprio la generosa accoglienza nei suoi confronti testimonia tutta la grandezza della cultura cristiana che è alla base dell'identità europea". Insomma, conclude il vicepresidente della Camera, "Gheddafi può dire quello che vuole, il governo non è in imbarazzo. Ma noi però possiamo anche giudicarlo e sarebbe bene che le sue prediche le andasse a fare da un'altra parte". Anche il sottosegretario Carlo Giovanardi mastica amaro: "Mentre Gheddafi può venire a dire a Roma quello che vuole, il Papa non può andare a Tripoli o in Arabia Saudita a fare altrettanto. È sgradevole". Giovanardi tuttavia fa una tara sulle uscite "folkloristiche" del leader libico: "Ha atteggiamenti stravaganti, ma anche il nostro benamato presidente Cossiga diceva ogni tanto cose che scandalizzavano". C'è infine il problema della Lega Nord. Il corpaccione del Carroccio vorrebbe reagire e, come al solito, è il sulfureo Borghezio a dare voce al sentimento prevalente nella base lumbard. Se per Roberto Calderoli, visto il tragico precedente della t-shirt con le vignette su Maometto, il silenzio è comprensibile, a consigliare prudenza agli alti papaveri del Carroccio è invece la questione immigrazione. "Grazie ai libici - spiega una fonte - Maroni ha potuto bloccare gli sbarchi dei clandestini sulle coste italiane. Se li facciano arrabbiare quelli aprono i campi e si ricomincia con i gommoni nel canale di Sicilia". Insomma, la realpolitik, per una volta, impone anche ai leghisti di baciare il rospo e augurarsi che riparta in fretta. (30 agosto 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/08/30/news/gheddafi_imbarazzo_pdl-6613045/ Titolo: FRANCESCO BEI. L'ipotesi di un baratto tra il premier e Fli ... Inserito da: Admin - Settembre 09, 2010, 09:23:35 am GOVERNO
Il patto dei 15 giorni fra Silvio e Umberto "Maggioranza senza finiani o si vota" L'ipotesi di un baratto tra il premier e Fli: "Tempo in cambio dello scudo". Tra le colombe compare Confalonieri: "Pensa alle aziende" di FRANCESCO BEI ROMA - Silvio Berlusconi è convinto stavolta di avere la mano giusta. L'ha anche detto al leader della Lega, Umberto Bossi, che insisteva per andare al voto già a fine novembre: "Umberto, mi servono altri quindici giorni di tempo ed è fatta". L'operazione a cui sta lavorando il Cavaliere (ma sono Denis Verdini e Ignazio la Russa a curare i dettagli) ha anche un nome, l'ha ribattezzata "maggioranza di responsabilità nazionale". E l'obiettivo è uno soltanto: fare a meno dell'apporto dei finiani. "Non permetto a nessuno di ricattarmi", ha ripetuto anche ieri il premier riferendosi al presidente della Camera. Questa nuova maggioranza "politica" avrà il suo banco di prova il 28 settembre, quando Berlusconi esporrà il suo discorso programmatico in aula e si voterà una risoluzione d'appoggio al governo. E i finiani? "Se vorranno aggiungersi tanto meglio. Ma l'importante è che non siano determinanti". A Montecitorio il Pdl e la Lega, con i cespugli, partono da 307 deputati e Berlusconi è certo di poter conquistare altri dieci "ascari" per superare quota 316. Ma l'ipotesi delle elezioni anticipate è tutt'altro che tramontata. Lo dimostra la presenza di Claudio Scajola ieri sera all'ufficio di presidenza del Pdl. È stato il premier a chiedergli di tornare sulla scena, dopo le dimissioni da ministro, per affidargli la guida della macchina elettorale nel caso la situazione dovesse precipitare. La prospettiva delle urne resta in piedi infatti perché la Lega la ritiene ancora la strada non solo più lineare ma più vantaggiosa per sé. Se quindi, a fine settembre, il progetto di "nuova maggioranza di responsabilità nazionale" dovesse dimostrarsi un'illusione, a quel punto Berlusconi - lo ha garantito a Bossi - alzerebbe le braccia e si andrebbe al voto. Nella galassia del presidente del Consiglio ci sono tuttavia anche pianeti che si muovono su orbite diverse e non necessariamente confliggenti. C'è anche chi, come Gianni Letta e i ministri di "Liberamente", spinge davvero per riallacciare un'intesa minima con il presidente della Camera. A partire dai contenuti. Tanto che ieri mattina proprio Letta ha sondato per telefono Gianfranco Fini prima della partenza di questi per il Canada. "Senti Gianfranco - gli ha chiesto il sottosegretario - ma davvero, come hai detto a Mirabello, voi votereste la mozione che presentiamo in Parlamento?". "Certo Gianni, lo confermo". "E uno scudo giudiziario per il presidente del Consiglio?". "Come ho già detto, lo votiamo sicuramente, a patto che non ci ripresentiate la norma transitoria sul processo breve". In parallelo all'operazione a cui il Cavaliere si sta dedicando per rendere "ininfluente" il gruppo di Fli, si profila dunque uno "scambio", favorito dalle colombe berlusconiane. I finiani hanno infatti bisogno di tempo per organizzarsi e sono favorevoli a lasciare che Berlusconi governi fino alla fine della legislatura. In cambio garantiscono appoggio sulla questione che sta a cuore al premier, quella dell'usbergo contro i processi milanesi. Un'altra colomba - mentre Letta riferiva a Berlusconi della "disponibilità sincera" di Fini - ha volteggiato sopra palazzo Grazioli: Fedele Confalonieri. Toccando il tasto sensibile del Cavaliere, quello della difesa delle aziende. "Finché al governo restiamo noi stiamo tranquilli, le elezioni invece sono un rischio troppo grande. E se arrivasse un governo che ci aggredisce politicamente? Li hai sentiti no? Già riparlano di conflitto di interessi". Un argomento che ha fatto breccia. Nella cerchia berlusconiana ci sono tuttavia due ministri di primo piano che non condividono fino in fondo questa frenata e sono più inclini a valutare i vantaggi di andare al voto. Il primo - Ignazio La Russa - per un motivo tattico, che ha illustrato anche ieri durante la riunione. È il timore che gli avversari del premier, finiani compresi, possano alla fine trovare un accordo e compiere "un blitz" sulla legge elettorale. L'altro ministro è Giulio Tremonti, che non a caso ieri è rimasto in silenzio mentre quasi tutti i membri dell'ufficio di presidenza chiedevano di arginare l'offensiva leghista sul voto. "Ogni volta che qualcuno di noi si esprimeva contro le elezioni - riferisce divertito uno dei partecipanti - Tremonti scuoteva la testa e bofonchiava tra di sé". (09 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/09/news/patto_maggioranza-6887922/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere brinda alle liti Pd Inserito da: Admin - Settembre 19, 2010, 06:27:54 pm IL RETROSCENA
"E' arrivato il soccorso rosso" Il Cavaliere brinda alle liti Pd Allo studio un mini-rimpasto per far posto ai centristi. "Ero già sicuro di vincere se andiamo alle elezioni. Ma adesso...". Fitto verso lo Sviluppo di FRANCESCO BEI ROMA - Il fragile armistizio tra Berlusconi e Fini, quel filo di trattativa intorno a uno scudo antiprocessi per il premier, appare già compromesso. I toni del Cavaliere si fanno di nuovo accesi. Le contromisure dei finiani - esposti contro Mediaset, mozioni contro Minzolini e Masi - sono all'altezza della sfida. Ma c'è qualcosa che in questi giorni fa tornare il sorriso a Berlusconi. Qualcosa che rende meno rischioso immaginare, come gli chiedono i leghisti, di tornare al voto in primavera. Quel "qualcosa" è lo stato in cui si trova l'opposizione e in primo luogo il Partito democratico. Venerdì è stata giornata di incontri per il premier a palazzo Grazioli, sono sfilati prima Angelino Alfano e Michela Vittoria Brambilla, poi i dissidenti toscani del Pdl che ce l'hanno con Verdini. A tutti il Cavaliere è apparso rilassato, a tratti persino divertito via via che Paolo Bonaiuti gli segnalava le agenzie sullo scontro interno al Pd. "Guarda - ha confessato ridendo a un ministro - mi sono dovuto stropicciare gli occhi perché non credevo a quello che stavo leggendo: sembrava una fiction!". Berlusconi, racconta l'interlocutore, quasi non si capacitava di poter leggere, la prima volta dopo un'estate di "polemiche dissennate" dentro il Pdl, qualcosa che finalmente riguardasse anche i suoi avversari. "Ero sicuro di poter vincere le elezioni anche prima, ma adesso... meno male che è arrivato il soccorso rosso". L'ironia del Cavaliere è indice dell'ottimismo con il quale palazzo Chigi inizia a guardare all'appuntamento del 29 settembre, data del dibattito parlamentare sul discorso di Berlusconi (coincidente con il suo 74esimo compleanno). Maurizio Gasparri confida di essersi rivolto ad alcuni "autorevolissimi senatori del Pd" per farsi spiegare cosa stesse succedendo in casa loro: "Ormai la politica c'entra poco, sono solo risentimenti personali, mi hanno risposto. Loro c'hanno Veltroni, noi c'abbiamo Fini... i meccanismi sono gli stessi". L'operazione del nuovo gruppo di siciliani che usciranno dall'Udc è a buon punto, tanto che il premier ieri non si è fatto alcun problema a pubblicizzarla dal palco de la Destra a Taormina. Così come è allo studio un mini-rimpasto per far posto al governo alla nuova componente centrista. Nulla è ancora stabilito, ma l'idea sarebbe quella di promuovere il pugliese Raffaele Fitto (caldeggiato da Gianni Letta) allo Sviluppo Economico, liberando così il ministero degli Affari regionali per un esponente cuffariano. Il progetto, spiega chi in queste ore se ne sta occupando da vicino, è molto avanzato, anche se è destinato a entrare nella fase operativa solo dopo il dibattito del 29 settembre. In fondo Fitto, nello spolpamento del ministero seguito alle dimissioni di Scajola, ha già ottenuto una parte cospicua. Tramite la formula del cosiddetto "avvaliamento", palazzo Chigi si è preso da via Veneto ("se ne avvale") il Dipartimento per le politiche dello Sviluppo e lo ha, a sua volta, girato al ministro Fitto. Così come è sempre Fitto, in questi giorni, a preparare il "Piano Berlusconi" per il Sud. Senza contare che su di lui, a differenza di Paolo Romani, non gravano ombre di conflitto di interessi televisivo. Se il Cavaliere può sperare di giocare la partita nazionale su un terreno meno accidentato, grazie anche alle divisioni interne al Pd e all'Udc, è invece in giro per l'Italia che il Pdl gli sta dando i grattacapi peggiori. Non c'è solo la situazione pirandelliana della Sicilia, dove il Pdl ormai ha partorito tre gruppi: finiani, berlusconiani e seguaci di Micciché. La concorrenza di Futuro e Libertà inizia a farsi sentire ovunque, a partire dalle regioni rosse fino al Veneto e alla Puglia. Ieri due consiglieri regionali Pdl delle Marche sono passati con Fini, mentre martedì in Toscana nasceranno simultaneamente gruppi consiliari Fli a Firenze, Prato, Pistoia, Siena, Arezzo, e nei consigli provinciali di Grosseto, Lucca e Pistoia. Nel Pdl toscano è iniziata la resa dei conti. Un gruppo di parlamentari ha chiesto conto a Berlusconi della gestione "dittatoriale" di Denis Verdini. Due giorni fa si sono presentati a palazzo Grazioli Paolo Amato, Massimo Baldini, Deborah Bergamini, Alessio Bonciani e Roberto Tortoli per esporre al capo "la grande preoccupazione" per lo stato in cui versa il partito. "Per noi berlusconiani della prima ora - protestano - vedere questo scempio non è più tollerabile. Il Pdl in Toscana arretra a ogni elezione, la Lega va avanti. E adesso c'è anche la concorrenza degli uomini di Fini". Il Cavaliere, stando a quanto raccontano, avrebbe promesso loro un nuovo incontro a breve: "Datemi tempo fino al voto di settembre e poi rimetterò mano al partito anche nella vostra regione". (19 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/19/news/il_cavaliere_brinda_alle_liti_pd-7215868/?ref=HRER2-1 Titolo: FRANCESCO BEI Non posso lasciar correre quelle allusioni sulle società off-shore Inserito da: Admin - Settembre 27, 2010, 09:38:39 am IL GOVERNO Berlusconi non vuole arretrare "Non mi fido, ha sputtanato l'Italia" Dopo il messaggio di Fini, le "colombe" spingono il Cavaliere alla tregua. Lui è diviso tra la preoccupazione per i sondaggi e la voglia di rottura. "Non posso lasciar correre quelle allusioni sulle società off-shore" di FRANCESCO BEI ROMA - Chiuso ad Arcore, Silvio Berlusconi ostenta indifferenza rispetto alle "rivelazioni" di Fini che hanno inchiodato al video tutto il mondo politico. I suoi riferiscono che abbia persino preferito guardarsi il suo Milan in tv. Poco credibile. La verità è che, nei pochi contatti telefonici con la prima linea del Pdl, il Cavaliere si è mostrato tranchant sui contenuti della versione di Fini: "Sulla casa non ha chiarito nulla, mi è sembrato incerto e impaurito". Quanto all'offerta del leader di Futuro e libertà di resettare tutto e riprendere "il confronto", il premier si mostra scettico. Perché "di uno così non c'è più da fidarsi". E soprattutto perché buona parte del suo intervento il presidente della Camera l'ha impiegato per attaccare il premier a testa bassa, senza fargli sconti su nulla. Né sulle società off-shore, né sull'etica pubblica e nemmeno su chi sarebbe il vero mandante di quei "faccendieri professionisti a spasso nel centroamerica" per fabbricare dossier farlocchi contro di lui. Una serie di accuse che a Berlusconi hanno di nuovo guastato l'umore, facendolo propendere per una guerra senza quartiere al suo avversario. "Non si può lasciare correre su cose inaccettabili - si è sfogato - come queste allusioni sulle società off-shore. Non si può far passare una libera inchiesta giornalistica, basata su fatti accertati e sulla quale io non c'entro nulla, per un'operazione di dossieraggio. Per di più sputtanando il Paese all'estero con la favola dei servizi segreti deviati. Oltretutto in questo caso i fatti, a quanto ammette lo stesso Fini, sono più che verosimili". Insomma, il premier vede rosso e vorrebbe caricare. Ma c'è un "ma". Sarà pur vero, come dice Denis Verdini, che "se io avessi venduto un'immobile a una società off-shore senza sapere chi ci fosse dietro, mi avrebbero giustamente fatto un mazzo così. La sostanza della difesa di Fini è deboluccia". Tuttavia, al di là della casa di Montecarlo, un'offerta politica da parte del leader di Fli c'è stata e i consiglieri del premier l'hanno intesa benissimo. Lo testimoniano i toni più concilianti usati ieri sera da Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto e persino da Maurizio Gasparri. Mentre anche Paolo Bonaiuti, di fronte alle voci di un intervento parlamentare del premier tutto giocato all'attacco di Fini, si affretta a smentire: "Niente di più falso. Sarà un discorso tranquillo, rivolto a tutto il Parlamento. Che c'entra Fini?". Insomma, la strategia sembra essere quella di provare a trovare un filo per uscire dalla rissa continua. Nella consapevolezza che gli elettori - come dimostrano i sondaggi di Berlusconi, che danno un Pdl in calo per via dello scontro nella maggioranza - punirebbero tutti i contendenti. Il Cavaliere insomma deve scegliere se dar retta alla pancia, che lo spingerebbe a finire un avversario in difficoltà, oppure alla ragione. Che gli suggerisce di provare a governare insieme ai finiani senza accollarsi il rischio del voto anticipato. Anche il capo dello Stato sembrerebbe aver apprezzato, nel discorso di Fini, i toni finali dell'appello, quell'invito a guardare avanti, all'interesse del Paese. Gaetano Quagliariello, uno dei più ascoltati alla corte di Silvio, la mette così: "Per noi oggi è una vittoria. Ma in politica bisogna saper vincere e non stravincere". Dicono che Berlusconi non dirà una parola pubblica sul messaggio di Fini. Dicono che farà come dopo Mirabello, quando fece seguire allo strappo di Fini alla festa Tricolore un ostinato silenzio. Ma è certo che, già a partire da oggi, molti nel Pdl proveranno a convincerlo dell'utilità di un "agreement" con il presidente della Camera. Uno scambio basato sulla possibilità di approvare senza emendamenti il lodo Alfano costituzionale, garantendogli una corsia preferenziale al riparo da agguati politici. Ma la pancia conta, eccome. Daniela Santanché, che su questa vicenda interpreta l'umore del Cavaliere meglio di tanti altri, dopo aver ascoltato il video spara senza pietà: "Fini chiede a Berlusconi di fermarsi dopo avergli dato del delinquente. Cosa si aspetta? La verità è che il vero ricattato è lui. Per come lo conosco, Fini avrebbe scaricato da un pezzo il cognato. Ma non può farlo perché la moglie lo farebbe a pezzi. È un ostaggio nelle mani dei Tulliani, gente con il pelo sullo stomaco più di lui, e dopo quel video è ancora più debole". La Santanché non la manda a dire. Ma anche una colomba come il ministro Mariastella Gelmini confida sconsolata che "tutto è molto difficile, perché i rapporti tra Berlusconi e Fini sono totalmente deteriorati". Berlusconi martedì sarà di nuovo a Roma per presiedere l'ultimo "brain storming" prima del dibattito parlamentare. Lo hanno ringalluzzito le voci di un presunto "disagio" all'interno del gruppo finiano, spera di poter provocare una frattura tra moderati e "hardliners". Ma così la legislatura e il suo governo rischiano di finire in un pozzo. A meno che la ragione non metta a tacere la pancia. (26 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/26/news/bei_governo-7434472/ Titolo: FRANCESCO BEI. Fini prepara un contro-documento Ci chieda il voto o non lo avrà Inserito da: Admin - Settembre 28, 2010, 11:56:16 am IL RETROSCENA
Fini prepara un contro-documento "Ci chieda il voto o non lo avrà" Sulla risoluzione di Fli potrebbero convergere i voti di Udc e Api. Se la risoluzione di Pdl e Lega non dovesse arrivare a quota 316 la crisi potrebbe precipitare. Berlusconi voleva manifestare già ieri la sua rabbia e solo grazie a Letta ha vinto la cautela di FRANCESCO BEI ROMA - Niente voto dei finiani al governo. Se fino a ieri era il Cavaliere a voler dimostrare la propria autosufficienza dai voti di Futuro e libertà, le parti si sono ribaltate. Tanto che anche i finiani sono decisi ora a presentare un proprio documento per sottolineare le loro diverse priorità rispetto ai 5 punti del presidente del Consiglio. "Dobbiamo distinguerci", è la linea dettata da Fini. Fini l'ha spiegato ieri nella riunione avuta con i fedelissimi: "Se Berlusconi non ci chiede esplicitamente il nostro sostegno, noi non possiamo votare la risoluzione che presenteranno". Italo Bocchino l'ha chiesto ieri a Fabrizio Cicchitto: allora, cosa intendete fare? La risposta del Pdl è affidata al vertice convocato oggi alle due del pomeriggio a palazzo Grazioli. Sarà quella la sede dove il Cavaliere prenderà le sue decisioni, quelle da cui dipenderà il futuro del suo governo e della legislatura. Ma la strada ormai è segnata. E le nuove "rivelazioni" su Montecarlo, che starebbero per uscire sui giornali d'area, non farebbero altro che accelerare il percorso. Perché Berlusconi ha deciso che farà a meno dei finiani. Nessuna "terza gamba", nessun riconoscimento dell'esistenza di un nuovo soggetto politico nel centrodestra. Per lui, semplicemente, Fini "non esiste più". Di umore "pessimo", come spiffera chi ci ha parlato, Berlusconi ieri l'hanno quasi dovuto legare per convincerlo a non andare di persona ad Amelia da don Gelmini. Dopo aver letto le ultime dichiarazioni di Bocchino, il premier era infatti pronto a rovesciare tutta la sua rabbia sui finiani, tanto che alla fine solo l'intervento di Gianni Letta l'ha persuaso a desistere. "Silvio, se oggi parli rischi di unirli tutti contro di te", gli ha spiegato il sottosegretario. Altri, da Denis Verdini allo stesso Cicchitto, sono intervenuti per suggerire "prudenza". Il momento è talmente delicato che ogni passo falso potrebbe far precipitare tutto. Berlusconi ieri sera ha incontrato ad Arcore, accompagnati da Angelino Alfano, i siciliani dell'Udc in procinto di lasciare Casini. Ma anche con questi nuovi arrivi, se l'Mpa dovesse "distinguersi" come Fli, Berlusconi finirebbe sotto "quota 316", la soglia minima di deputati che servono ad andare avanti. Sulla carta il premier è ancora fermo a 307-308 e, in questa situazione, è enormemente aumentata la pressione sui finiani moderati (Berlusconi li chiama "i responsabili"). Ad Arcore è stata salutata come una vittoria la presa di distanza di Moffa, Menia, Baldassarri e Viespoli dall'ultimatum di Bocchino. L'ex finiano Andrea Augello, rimasto nel Pdl, sta sondando i "responsabili" di Fli uno ad uno. E Berlusconi è convinto di strapparne almeno 5 o 6 al nemico. Sulla compattezza del gruppo finiano nessuno è disposto a mettere la mano sul fuoco. Dicono che, alla fine, interverrà Fini in persona per tentare un'ultima "moral suasion" sui renitenti. Ma non è esclusa una mini-scissione. "Il gruppo di Fli - confida il "liberal" Benedetto Della Vedova - può anche subire uno scossone salutare. In fondo, se dobbiamo armarci per andare alla guerra, non ci servono quelli con la mazzafionda". Perché di guerra ormai si parla: nonostante i "ghost writer" del premier gli abbiano preparato un discorso "alto e nobile", Berlusconi è tentato dalla spallata e ha corretto le bozze di un discorso considerato troppo "moscio". Già nel summit di venerdì, il Cavaliere era deciso a spaccare il mondo in testa a Fini e i suoi hanno dovuto tirarlo per la giacca. Mentre lascia che le colombe svolazzino invano su Montecitorio, il premier intanto carica le sue armi. In questi giorni ha dato nuovo impulso alle "squadre" della libertà, ribattezzandole con il meno sinistro "team della libertà". Ma la sostanza non cambia: trattasi di migliaia di agit-prop pronti alla campagna elettorale. Se infatti la risoluzione di Pdl e Lega non dovesse arrivare a "quota 316", le cose potrebbero davvero precipitare verso l'apertura di una crisi di governo. Tanto più se i finiani, come sembra, dovessero presentare un loro documento programmatico alternativo e, su questo, ricevere i voti di Udc e Api. Si creerebbe di nuovo quell'area di "responsabilità nazionale" intravista nel voto contro il sottosegretario Caliendo. A quel punto, senza una maggioranza di 316, Berlusconi salirebbe al Quirinale e si aprirebbe una partita nuova. I finiani sono pronti a sostenere con i loro voti un altro governo. Un governo dove tutti i ministri saranno "tecnici" e tutti i sottosegretari "politici". Ma questa è una storia ancora da scrivere. (28 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/28/news/fli_controdocumento-7498636/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere temporeggia sul voto "Elettori nauseati, dobbiamo... Inserito da: Admin - Settembre 29, 2010, 11:34:07 am Il retroscena
Il Cavaliere temporeggia sul voto "Elettori nauseati, dobbiamo recuperare" Il presidente della Camera: l'esecutivo di Silvio dipende da noi , Casini vuole fare un "regalo" al premier: far passare 5 deputati dal Pdl all'Udc di FRANCESCO BEI ROMA - "Andare a votare ora, come vorrebbe Bossi, non si può, anche i nostri elettori sono infastiditi, nauseati da questo spettacolo. Non fanno più distinzioni: ci serve tempo per recuperare". Silvio Berlusconi ha confidato due sere fa al telefono qual è il suo vero timore. I sondaggi danno il Pdl in caduta, il partito del non voto è di gran lunga in testa. "Mi serve più tempo". Da questa paura nasce anche l'improvviso cambio di rotta imposto dal premier sulla questione di fiducia. La questione è stata sviscerata in lungo e in largo, ma alla fine, nel lungo vertice di ieri pomeriggio a palazzo Grazioli, la fiducia è sembrata l'unica strada per uscire dall'angolo. "Se mettiamo la fiducia nessun altro potrà presentare risoluzioni", ha spiegato il ministro Elio Vito. Un problema centrale, visto che i finiani, l'Udc e l'Mpa di certo avrebbero votato un proprio documento, battezzando di fatto la nascita del terzo polo. "Finiremmo per sembrare una delle tre minoranze in Parlamento", ha protestato il Cavaliere nella riunione, "serve invece una cosa limpida, senza imbrogli: da una parte il governo, di là tutti gli altri". Fiducia dunque, a costo di fare un favore ai finiani, che in questo modo riusciranno a tenere coperte le divisioni al loro interno. Ieri, al pranzo nella sede di Farefuturo, Fini ha potuto misurare quanto siano grandi le distanze fra i "filogovernativi" (Ronchi, Viespoli, Moffa, Menia) e gli "autonomisti". Sono volate parole grosse fra i due gruppi, ma alla fine il presidente della Camera è riuscito a far passare una linea comune: "Berlusconi la maggioranza senza di noi non ce l'ha. L'unico grande favore che non possiamo fargli è dividerci al nostro interno. Da domani invece sarà chiaro a tutti che, se vuole governare, deve dipendere da noi, altrimenti è finito". Sembra che, al termine di una discussione "molto franca", anche i filogovernativi abbiano preso atto dell'inevitabile: il partito di Fini, tempo due mesi, si farà. "Trovato l'accordo sulla necessità di fare il partito e sulla difesa di Fini dalle aggressioni - spiega Fabio Granata -, su tutto il resto ci possono essere sfumature tattiche diverse. Ma l'unità interna è salva". Quanto ai numeri, i finiani sono convinti che la maggioranza (sottratti i voti di Fli e Mpa) si fermi a 313-314 voti, quindi sotto la soglia minima di 315. Ma, dall'altra parte della barricata, Ignazio La Russa scommette sul contrario: "Saremo di più anche senza i finiani. Anche se, scegliendo di mettere la fiducia, rinunciamo a qualche voto in libertà che sarebbe arrivato da chi era fino a poco fa all'opposizione". Nel vertice Pdl gli uomini dei numeri (La Russa, ma soprattutto Verdini) hanno immaginato una forchetta dai 317 fino addirittura a 324 voti. La conta è decisiva sul piano dell'immagine, anche se nessuno si illude di poter davvero governare con questi margini. Ieri sono arrivati 5 transfughi dell'Udc, l'ala cuffariana che non ha mai digerito il sostegno di Casini a Lombardo. Ma il leader dell'Udc in questi giorni non è rimasto con le mani in mano. Consapevole dell'imminente scissione siciliana pilotata dal Cavaliere, Casini si è buttato a capofitto in un'aggressiva azione di controguerriglia. "Domani è il compleanno di Berlusconi, si aspetti da noi un bel regalo", ha promesso misterioso il capo centrista. Il "regalo" sarebbero 5 deputati sottratti al Pdl, uno schiaffo pari a quello ricevuto. Oggi dunque Montecitorio potrebbe trasformarsi nel Colosseo, con uno scontro fra belve e cristiani. Ma il discorso del Cavaliere servirà a spargere bromuro sui bollenti spiriti, per togliere ogni pretesto di polemica. Più di trenta cartelle, limate ieri notte fino all'ultimo con Paolo Bonaiuti, nelle quali il nome del presidente della Camera non compare mai. Persino sulla giustizia, il capitolo più delicato dal punto di vista dei rapporti con i finiani, Berlusconi volerà altissimo. A costo di apparire insipido. Il premier disseppellirà la "parità tra accusa e difesa", il pm che "deve bussare alla porta del giudice con il cappello in mano", e tutto l'armamentario consueto. Ma senza entrare nel dettaglio dei singoli provvedimenti. E soprattutto senza nemmeno accennare alle questioni ancora aperte del processo breve e del disegno di legge anti-intercettazioni. Un discorso, riassume Frattini, "che non dovrà provocare ma raccogliere consensi trasversali". Un discorso per tirare a campare. (29 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/29/news/cavaliere_temporeggia-7530329/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere non vuole farsi sfibrare ... Inserito da: Admin - Settembre 30, 2010, 05:19:05 pm IL RETROSCENA
Il Cavaliere non vuole farsi sfibrare "Ormai le elezioni sono inevitabili" La nascita del partito finiano ha convinto il capo del governo sulla rottura di FRANCESCO BEI ROMA - "Ma come si fa ad andare avanti in questo modo?". Cupo, fremente, con il medico Zangrillo che lo teneva sottocchio, Silvio Berlusconi ha visto sgretolarsi in diretta il sogno dell'autosufficienza. Avrebbe voluto prendersela con il mondo, con chi gli ha consigliato la prova di forza e con chi gli ha garantito che i numeri sarebbero stati altri: "Io vorrei continuare a governare - ha detto a un paio di deputati prima di tornare a palazzo Grazioli, "deluso" per un risultato che non si aspettava -, ho cose più serie di cui occuparmi che non questo teatrino. Ma li avete sentite i finiani oggi? Sembrava di ascoltare Di Pietro. Se poi martedì faranno il partito... chi può davvero pensare di andare avanti in questo modo?". Uno scetticismo che collima con quello della Lega, sempre più impaziente e desiderosa di staccare la spina. "Non c'è alcuna possibilità - commentava a cena con i leghisti Bobo Maroni - , dopo questa giornata la strada è segnata". In realtà un'altra "strada" ci sarebbe, alternativa a quella del voto in primavera. È una "strada" impervia che è stata suggerita già da alcuni giorni al Cavaliere da Gianni Letta, quella cioè di "un accordo vero" con i finiani. "Ma chi mi garantisce - ha obiettato il premier - che a questo punto, dopo quello che dicono, l'accordo loro lo vogliano veramente?". Al Cavaliere ieri bruciava anche l'aver dovuto recitare una parte, quella del leader doroteo, che davvero gli va stretta: "Ne avrei voluto dire di cose, mi sono dovuto mordere la lingua - si è sfogato nell'ufficio di fianco all'aula - ma adesso basta. D'ora in avanti cambia tutto". A un ministro Berlusconi ha confidato la sua soddisfazione per aver almeno raggiunto un risultato: "Con il voto di oggi ormai non è più possibile pensare di dar vita a un governo diverso. Se mai si dovesse andare al voto, a palazzo Chigi ci staremmo noi". In realtà, spiegano nella prima linea del Pdl, la strategia non è così chiara, alcuni temono semplicemente che non ve ne sia alcuna, tranne il navigare a vista. Anche il voto a marzo viene valutato come un rischio da cui trarrebbe unicamente vantaggio il Carroccio. L'importante quindi sarà scaricare sui finiani l'eventuale crisi di governo, senza accollarsene la responsabilità. "Dopo il voto di oggi - si è consolato il premier lasciando la Camera - sarà chiaro chi vuole sfasciare tutto e chi vuole andare avanti responsabilmente". Berlusconi aveva ieri intenzione di dare un segnale di compostezza agli italiani "disgustati da questo teatrino". Elettori che i focus group messi in piedi da Alessandra Ghisleri descrivono come "nauseati" dalla situazione, senza fare distinzioni fra Berlusconi e Fini. Nei sondaggi è la "compravendita" dei parlamentari ad aver suscitato la reazione più indignata e non è un caso se il premier abbia alzato i toni del suo intervento unicamente per ribattere a questa accusa. Ma la sostanza politica della giornata non cambia, senza i voti dei finiani, da ieri "federati" con l'Mpa di Lombardo, il governo non sta in piedi. E del resto bastava vedere il sorriso stampato sulla faccia di Fini, mentre si allontanava dal Transatlantico, per capire chi fosse il vincitore della giornata. "In tutto questo casino - ha detto a Giuseppe Consolo alla buvette - sai qual è la cosa più divertente? È venuto a dire in aula che lui ha un'indole aperta al confronto. Capito? Dopo che ci ha buttato fuori dal Pdl!". Per il presidente della Camera quella di ieri è stata una giornata da incorniciare. "È stata una bella pagina di politica", ha commentato con i suoi, "Berlusconi ha capito la lezione". Casini ha raccontato beffardo a Fini di aver regalato a Berlusconi un pallottoliere di legno, "per fare meglio i conti". Non è nemmeno un caso che l'annuncio della nascita del nuovo partito sia arrivata ieri in coincidenza con l'inabissarsi dell'autosufficienza del Pdl. "Indietro non si torna", ha ammonito Fini nella sede di Farefuturo, eletta a quartier generale di Fli. Dall'altra parte del fiume, Ignazio La Russa osserva con scetticismo la nascita del nuovo concorrente a destra: "Anche nel '76, quando il Msi subì la scissione di Democrazia Nazionale, se ne andarono i due terzi dei parlamentari, ma poi alle elezioni Dn prese lo 0,7%. Così come la scissione di Rauti: tanti parlamentari, tanta classe dirigente, pochi voti". (30 settembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/09/30/news/il_cavaliere_non_vuole_farsi_sfibrare_ormai_le_elezioni_sono_inevitabili-7567957/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere rassicura il Colle "Tutti vincolati al mio programma Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2010, 05:06:53 pm IL RETROSCENA
Il Cavaliere rassicura il Colle "Tutti vincolati al mio programma" E studia uno "scudo" con legge ordinaria. Il no di Fli di FRANCESCO BEI Il Cavaliere rassicura il Colle "Tutti vincolati al mio programma" Berlusconi ha garantito a Napolitano che la nomina del ministro dello Sviluppo è imminente: Paolo Romani sarà nominato forse lunedì ROMA - «Il programma che ho esposto in Parlamento è scritto nero su bianco, vincola tutti quelli che hanno votato la fiducia, nessuno si può tirare indietro». Erano quattro mesi che Silvio Berlusconi non saliva al Colle. Quattro mesi e il tema sul tavolo è ancora quello: i processi del premier, lo scontro interno alla maggioranza. Il video "rubato" con i pesanti attacchi del premier sulla «associazione a delinquere» dei magistrati non è stato ancora diffuso e il colloquio tra i due presidenti, alla presenza di Gianni Letta, non deraglia. Ma il Cavaliere non molla, insiste su una «ampia riforma della giustizia», citando la «ragionevole durata dei processi» - ovvero la ripresa della legge sul processo breve - e «il lodo Alfano costituzionale». Napolitano non può far altro che «prendere atto» ma certo, visti i precedenti, raccomanda che tutto sia fatto «con senso di responsabilità» e soprattutto senza scatenare guerre. «In questo momento difficile - puntualizza il capo dello Stato - è necessaria più che mai una leale collaborazione fra le istituzioni». Il faccia a faccia prosegue per 40 minuti, con Napolitano che, in silenzio, ascolta il premier vantarsi della «maggioranza mai così ampia raggiunta in Parlamento, addirittura più forte che all'inizio della legislatura». Un silenzio, quello di Napolitano carico di scetticismo, considerata la precaria situazione alla Camera, dove i voti dei finiani e di Lombardo andranno contrattati di volta in volta. E difatti gli uomini vicini al presidente della Camera non danno affatto per scontato un sì al salvacondotto giudiziario per il premier smentendo che l'eventuale avvicendamento di Feltri al Giornale sia legato al disco verde sulla giustizia. «Se lo facessimo saremmo morti, Berlusconi proverebbe a spazzarci via dopo un minuto». Niente norma transitoria sul processo breve dunque. «Quella proprio non passa - dice Benedetto Della Vedova - e chi gliela vota?». E nemmeno una corsia preferenziale per approvare in pochi mesi il lodo Alfano costituzionale. Non sembra al momento questa la priorità di Futuro e libertà: «Adesso siamo impegnati nella costruzione del nostro partito - spiega con distacco Italo Bocchino - e stiamo verificando la possibilità di una convergenza sulla legge elettorale». Parole che non faranno piacere al Cavaliere, che considera l'avvio del dialogo sulla legge elettorale tra Fli e le opposizioni come una «provocazione» nei suoi confronti. Il premier sente avvicinarsi il rischio di una condanna che subisce come «una follia» e ha messo al lavoro il ministro Angelino Alfano (ricevuto ieri a lungo a palazzo Grazioli) e Niccolò Ghedini per congegnargli una qualche norma transitoria, da approvare per via ordinaria, che possa tirarlo fuori dal processo Mills. Per il lodo Alfano i tempi sono infatti troppo lunghi e dipendono dai «ricatti» dei finiani. Mentre la norma transitoria sul processo breve è ormai una chimera. Nel frattempo Berlusconi lascia che le colombe tentino la strada della conciliazione con Gianfranco Fini. Non è un caso che ieri siano riprese le voci di un imminente fuoriuscita di Vittorio Feltri dalla direzione del Giornale, gesto che ovviamente sarebbe balsamo sulle ferite di Fini. Tanti nella cerchia del premier lavorano a un'intesa per provare a non far precipitare la legislatura. «O stabilizziamo la situazione - osserva con realismo Gaetano Quagliariello - e a Berlusconi restituiscono l'agibilità per poter fare il presidente del Consiglio, oppure ci conviene andare a votare. Questa "agibilità" politica passa attraverso un accordo vero con Fini». Persino Ignazio La Russa, considerato da molti forzisti il principale oppositore a un possibile "appeasement" con Fini, si mostra conciliante: «Proviamo a vedere se ci sono le condizioni per un'intesa». Nello scetticismo generale, le colombe dunque lavorano alla «tregua». Nel finale del colloquio alla vetrata, Berlusconi è tornato a promettere che «presto, in settimana», arriverà il nuovo ministro dello Sviluppo. Lunedì, prima del dibattito sulla mozione di sfiducia calendarizzato alla Camera, Berlusconi dovrebbe sottoporre a Napolitano il nome di Paolo Romani. Qualche giorno fa, per superare le obiezioni del Colle, Romani ha spedito al Quirinale una propria biografia, una sorta di curriculum professionale per dimostrare di essere all'altezza di quel ministero. (02 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/02/news/bei_cavaliere-colle-7636606/ Titolo: FRANCESCO BEI. L'ira di Berlusconi sull'inchiesta Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2010, 10:14:16 am L'ira di Berlusconi sull'inchiesta
"Quei pm vogliono arrivare a me" Il Cavaliere teme un coinvolgimento nelle intercettazioni del caso Giornale-Marcegaglia. A Palazzo Chigi torna il sospetto di un asse tra Fini e i pm per rovesciare il governo e si pensa di rilanciare la battaglia contro le intercettazioni di FRANCESCO BEI ROMA - Il Consiglio dei ministri sta per finire. Ignazio La Russa si alza dal suo posto, scuro in volto, e sussurra qualcosa all'orecchio del premier. Berlusconi ammutolisce, poi sbotta: "È una cosa gravissima, inaudita, dobbiamo reagire subito". La notizia che fa sobbalzare il Cavaliere è che a Milano, in contemporanea allo svolgimento del Consiglio dei ministri, una ventina di carabinieri stanno perquisendo i vertici del "suo" Giornale. E anche stavolta l'accusa è pesante, quella di aver provato a ricattare la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Un'intimidazione forse dovuta alle recenti prese di posizione critiche della Marcegaglia verso il governo. Ma il punto è un altro. Perché Berlusconi è certo che l'inchiesta sia solo agli inizi e che il "bersaglio grosso" dei magistrati sia a Palazzo Chigi. "Vogliono arrivare a me - confida ai suoi con preoccupazione - stanno cercando di mettermi in mezzo per far cadere il governo". Una "manovra" che i più sospettosi nella cerchia del premier ricollegano ancora una volta a Gianfranco Fini, alla presunta "liaison" che il presidente della Camera avrebbe costruito con i pubblici ministeri per disarcionare il Cavaliere. E procedere con un governo diverso, magari guidato dallo stesso Fini. Solo fantapolitica, ma questi fantasmi hanno ripreso a percorrere i corridoi di Palazzo Grazioli. È un fatto comunque che nel governo e dentro il Pdl, dopo la schiarita seguita alla conferenza stampa distensiva di Berlusconi di due giorni fa, è tornato improvvisamente il clima cupo dei giorni più difficili. Maurizio Lupi è pessimista: "Se hanno tenuto sotto controllo le utenze del direttore del Giornale, in quelle telefonate ci può essere di tutto. Chiunque di noi quando parla al telefono lo fa in libertà, magari esagerando oppure scherzando: ma se un quotidiano pubblicasse quelle trascrizioni sarebbe un fatto allucinante". Il timore inconfessato è che nelle intercettazioni sia finito proprio il premier. O lui direttamente, oppure una telefonata di un giornalista del Giornale che si vanta di aver parlato con il premier. Fornendo indirettamente argomenti a chi vuole individuare proprio il Cavaliere come "mandante" delle campagne giornalistiche dei suoi media. A partire dalla casa di Montecarlo e dal martellamento contro la famiglia Fini-Tulliani. "Tutto questo impianto - sospetta Fabrizio Cicchitto - è stato costruito per intercettare le telefonate e di qui a qualche giorno comincerà la pubblicazione delle telefonate sui più vari argomenti e sui più vari soggetti". "In quelle intercettazioni - teme Lupi - ci può essere mezzo governo, a partire da Berlusconi. Una cosa incredibile, che dimostra come avessimo ragione noi a voler porre un limite alle intercettazioni. Rischiamo di finire in mezzo a una sporca guerra di dossier combattuta senza esclusione di mezzi". Non c'è più tempo da perdere. Tanto che il premier ha rotto gli indugi e intende riprendere in mano il tema del disegno di legge sulle intercettazioni, finito su un binario morto per l'opposizione dei finiani. Senza escludere un atto di forza, sotto forma di decreto legge. "Dobbiamo intervenire sulle intercettazioni - ha annunciato il premier ieri sera - perché un Paese in cui non c'è inviolabilità di ciò che si dice al telefono non è un Paese civile". La questione finirà al centro del Consiglio dei ministri che sarà dedicato ai progetti di riforma della giustizia. La partita sulle intercettazioni si intreccia con i timori per la nascita di un governo tecnico e con le "trame" attribuite a Fini. Nonostante l'impegno di Gianni Letta per stringere un accordo con i finiani, la situazione sta ritornando calda. E lo scontro nel centrodestra si trasferisce anche in Europa, visto che Berlusconi si oppone, tramite i suoi uomini, alla costituzione di un gruppo autonomo di Futuro e Libertà a Bruxelles. Con Adolfo Urso e le amicizie coltivate da Farefuturo con le fondazioni del Ppe europee (da tedesca Adenauer alla Faes di Aznar), Fini lavora invece affinché Fli venga riconosciuta dal Partito popolare europeo come membro a pieno titolo. Con pari dignità rispetto al Pdl. E nei prossimi giorni incontrerà il presidente del Ppe Martens e il presidente emerito del Parlamento europeo, Poettering, per presentargli la sua nuova creatura. (08 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/08/news/inchiesta_berlusconi-7838641/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere teme l'effetto anatra zoppa e ... Inserito da: Admin - Novembre 06, 2010, 04:00:43 pm IL RETROSCENA
Il Cavaliere teme l'effetto anatra zoppa e Tremonti: "Duriamo fino a dicembre" Delusione in Vaticano per il forfait alla conferenza sulla famiglia: doveva prendere impegni. Calderoli: "Ormai siamo rassegnati, il presidente del Consiglio è Fini" di FRANCESCO BEI ROMA - Tre conferenze stampa, al termine del Consiglio dei ministri di ieri, dovrebbero fissare l'idea di un iper-attivismo del "governo del fare". Ma è la rinuncia forzata ad aprire la conferenza sulla Famiglia la fotografia più vera dell'impotenza nella quale si dibatte il Cavaliere. "Il governo non sta bene - ha ammesso ieri Berlusconi in uno dei tanti incontri a Palazzo Grazioli - ma quegli altri, Fini e la sinistra, stanno peggio di noi. Hanno paura delle elezioni, non sono organizzati, per cui possiamo ancora stare tranquilli: non si andrà a votare". Così, nonostante non ci sia più un solo provvedimento che Berlusconi possa pensare di portare a casa senza sottostare ai diktat di Futuro e libertà, il governo "va avanti". Paolo Bonaiuti contesta l'immagine di un premier "anatra zoppa" e si dilunga sul "grande rilancio" che sarebbe iniziato con il Consiglio dei ministri di ieri: "È questa la nostra risposta a Fini". Ma l'atmosfera che si respira nella maggioranza è da ultimi giorni di Salò. Un siparietto di due sere fa, nello studio del leghista Giancarlo Giorgetti alla Camera, rende bene il disincanto che ha contagiato i ministri più consapevoli. Giulio Tremonti, alla presenza di Roberto Calderoli, si è rivolto con un sorriso ai deputati del Pdl che gli si affollavano intorno: "Ragazzi, io ve l'avevo detto che l'accordo con Fini andava fatto subito, altrimenti sarebbe stato meglio andare a votare. Non mi hanno dato retta". Calderoli, sempre in apparenza scherzando, ci aggiungeva un carico: "Sì, ormai dobbiamo rassegnarci. Il vero presidente del Consiglio è Fini". L'ora è tarda, una chiacchiera tira l'altra e si passa a parlare dell'ultimo scandalo a luci rosse del premier. I deputati si rivolgono a Tremonti, sono preoccupati, si lamentano per la "leggerezza" del Cavaliere. E il ministro dell'Economia, alzando gli occhi al cielo, si lascia sfuggire: "Già abbiamo tanti problemi...". Un pessimismo condito da una profezia, espressa sempre in forma di battuta: "Inutile che vi affatichiate troppo, tanto il governo dura fino a dicembre". Si capisce dunque quanto sia fragile l'immagine di iper-attivismo berlusconiana. E le inchieste sulla vita privata del Cavaliere aggiungo piombo alle ali del governo. Se ne è avuta una prova ieri mattina a palazzo Chigi, quando Mara Carfagna ha provato a far inserire nel decreto Maroni le norme contro la prostituzione arenate da un anno in Parlamento (a causa dello scandalo D'Addario). Il progetto Carfagna punisce infatti anche "l'utilizzatore finale", il cliente della prostituta, e ieri a molti ministri sono venuti i sudori freddi quando Berlusconi in persona, forse non consapevole dei dettagli del ddl, si è mostrato entusiasta dell'idea. "Brava Mara, così dimostriamo a tutti che non abbiamo nulla da temere". Ma ai più è sembrato che il governo stesse costruendo un reato ad hoc applicabile proprio al caso Ruby&Co. Così, senza dare troppo nell'occhio, le norme della Carfagna sono sparite dal decreto legge (immediatamente operativo) e sono ricomparse nel più innocuo disegno di legge. "Tanto, se cade il governo, quel ddl non vedrà mai la luce", spiega un membro del governo. Segnali di disincanto. Così si arriva alla rinuncia a partecipare al Forum sulla Famiglia. Una decisione presa da Berlusconi in persona, dopo un consulto con Gianni Letta e Carlo Giovanardi prima dell'inizio del Consiglio dei ministri. Il Pd, l'Idv, i grillini: fuori dal convegno si sarebbe scatenato l'inferno contro Berlusconi. Ma le contestazioni rischiavano di essere accese anche dentro, tra i partecipanti. "Meglio evitare strumentalizzazioni", ha concluso il premier, "questi non aspettano altro per attaccarci". Un forfait che ha indispettito gli ambienti vaticani, che speravano in una presenza del premier per fargli prendere "impegni concreti sul sostegno alla famiglia". Berlusconi si è consolato ieri ricevendo a Palazzo Grazioli Francesco Pionati, dell'Adc. L'ex centrista gli ha annunciato infatti che la prossima settimana qualche deputato arriverà a rimpolpare la maggioranza. Anche Deborah Bergamini e Alessio Bonciani, dati in uscita verso Fli, rimarranno per ora nel Pdl. Per il Cavaliere è già un successo. (06 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/06/news/tremonti_dicembre-8804523/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. L'ultimatum di Gianfranco "Berlusconi si deve dimettere" Inserito da: Admin - Novembre 07, 2010, 07:11:09 pm L'ultimatum di Gianfranco "Berlusconi si deve dimettere"
Il presidente della Camera ai giovani del partito: "Non canterete mai 'Meno male che Gianfranco c'è'. Finita l'illusione dell'autosufficienza. TRemonti vedrà martedì il gruppo Fli sulla Finanziaria dal nostro inviato FRANCESCO BEI BASTIA UMBRA - "Berlusconi deve andare a dimettersi". Gianfranco Fini è pronto allo strappo finale, a quella richiesta di "discontinuità" - l'apertura di una "fase nuova" - che solo in parte ha lasciato intravedere ai fedelissimi alla vigilia del discorso di oggi. È finita l'era del Cavaliere, si volta pagina dunque. Ma tutti i passaggi devono essere consumati con i tempi giusti, Fini è pur sempre il presidente della Camera. Inoltre c'è da tener conto di Giorgio Napolitano, preoccupato per le conseguenze di una crisi al buio, per ciò che le "fibrillazioni istituzionali" possono comportare nell'immagine del paese all'estero, sui mercati dove si negozia il debito pubblico italiano. Fini ne è consapevole, per questa ragione chiederà oggi che sia Berlusconi stesso a gestire la "fase nuova" che si aprirà in Parlamento. Il percorso immaginato passa anzitutto per l'apertura formale di una crisi di governo, con la presa d'atto che "l'illusione dell'autosufficienza è finita", che "l'attuale maggioranza da sola non ce la fa più ad affrontare i gravi problemi del paese". Dunque il Cavaliere deve salire al Colle e dimettersi. Per andare alle urne? Per lasciare spazio a un governo tecnico? Niente affatto. "Gli italiani hanno scelto Berlusconi e deve essere lui a provare a dar vita a una nuova maggioranza. Non siamo ribaltonisti". Un nuovo governo per una nuova maggioranza, non un Berlusconi-bis. Una maggioranza di "responsabilità nazionale", aperta ai parlamentari che ci stanno, in primis quelli dell'Udc. Un governo di "unità nazionale". Con alcune priorità, in testa lo sviluppo e il lavoro, la lotta alla precarietà, il taglio della spesa improduttiva e gli investimenti nell'università. E i 5 punti del Cavaliere? Roba vecchia. Su questa linea Fini terrà insieme falchi e colombe. "Si chiude una fase - sintetizza Andrea Ronchi - e se ne apre un'altra, all'insegna della leadership di Fini". Fabio Granata è certo che il nuovo partito non si spaccherà: "Siamo tutti d'accordo che qualsiasi prospettiva che sia solo un rimescolamento di cose già viste, compreso il patto di legislatura, a questo punto sia inaccettabile". Le prime parole pronunciate ieri sera da Fini davanti ai giovani del Fli, d'altra parte, lasciano intuire il clima: "Non vi farò mai cantare meno male che Gianfranco c'è perché bisogna essere fedeli a un'idea, non ad una persona. Le persone passano". E ancora, "in Italia oggi c'è troppa atonia morale, i giovani devono ribellarsi". Raccontano che, dietro la decisione dello strappo, ci siano anche le voci arrivate all'orecchio del presidente della Camera. Si parla di un incontro segreto tra Bossi e Casini, con la Lega pronta ad accogliere l'Udc nella maggioranza. Anche per anticipare una mossa del genere, Fini avrebbe deciso di gettare il cuore oltre l'ostacolo. E l'impatto con la folla accorsa nei padiglioni di Umbria Fiere, dove il tasso di antiberlusconismo è altissimo, ha di certo giocato un ruolo. "Fini - osserva Umberto Croppi, assessore alla cultura del Campidoglio - è davanti a un bivio: fare il leader di un partitino alla Dini, oppure intestarsi la battaglia e proiettare la sua leadership oltre l'area dei delusi del Pdl. Ma per far questo deve prima "uccidere" il Re". Il "regicidio" è dunque un passaggio obbligato. E si vedrà, se mai ci si dovesse arrivare, se sarà davvero Berlusconi a gestire la fase finale della legislatura. Oppure, come già prevedono i colonnelli finiani, dovrà passare la mano a qualcun altro di sua scelta. "Nel patto di legislatura - suggerisce sibillino Italo Bocchino - non c'è mica scritto con quale premier e con quale maggioranza". Se Fini pensa di aver trovato il modo per fare un passo in avanti, senza deludere le aspettative di chi è venuto ad ascoltarlo, ma senza neppure aprire una crisi al buio, è anche vero che nessuno si illude che Berlusconi possa accettare una proposta del genere. "Se si assume la responsabilità di dirci di no - spiega un finiano - allora al Cavaliere non restano che due possibilità: tirare a campare indebolito, o strappare provando ad andare al voto". Ma il premier, a sentire chi gli ha parlato, è invece convinto di avere buone carte in mano per andare avanti. "Se davvero vogliono l'apertura di una crisi - ragiona Berlusconi - mi devono votare contro. A quel punto voglio proprio vedere quanti resteranno con Fini". Dai calcoli fatti in queste ore a palazzo Grazioli, Fini dovrebbe perdere quasi tutto il gruppo al Senato e restare con una quindicina di deputati a Montecitorio. Ma già in passato si è visto quanto fossero fallaci i numeri sulla scarsa consistenza parlamentare di Fli. Intanto i finiani sono certi di aver strappato alla Lega il baricentro della maggioranza. "Martedì - ti spiegano soddisfatti - Tremonti verrà da noi a concordare come spendere gli otto miliardi della Finanziaria". (07 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/07/news/fini_convention-8834120/ Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi avvisa il Senatur e le colombe "Non pensate a ... Inserito da: Admin - Novembre 10, 2010, 03:24:04 pm IL RETROSCENA
Berlusconi avvisa il Senatur e le colombe "Non pensate a un esecutivo senza di me" Calderoli ripete: "Non mi risulta che sia stato tolto il nostro veto contro l'Udc". In campo i ministri moderati del Pdl che propongono tre dicasteri ai centristi e tre a Fli di FRANCESCO BEI ROMA - Tutto frana, ormai lo smottamento sembra inarrestabile. Il voto di ieri alla Camera rende bene il clima di sbandamento, di paralisi totale che sta vivendo la maggioranza. Emblematica è stata la scelta dell'esecutivo di ritirare addirittura la propria mozione sul Trattato Italia-Libia. Infuriato con i finiani per aver mandato tre volte sotto il governo insieme all'opposizione, Ignazio La Russa esce dall'aula scuotendo la testa: "Questi vogliono far tornare i gommoni di clandestini nel canale di Sicilia! A questo punto mi chiedo se la Lega possa restare al governo con Fini". Ecco, la Lega. Bossi e Fini dovrebbero vedersi domani, ma il tentativo di mediazione del Carroccio - ammesso che l'intenzione sia sincera e non solo tattica - sembra già naufragato prima di cominciare. L'ostacolo non da poco è rappresentato dall'ingresso dell'Udc in maggioranza, la condizione posta da Fini per considerare davvero "nuovo" un eventuale Berlusconi-bis. Bossi infatti su questo non cambia idea. "Il nostro veto contro l'Udc non mi risulta sia stato tolto", conferma Roberto Calderoli. Per questo il presidente della Camera non si aspetta nulla dalla mediazione del Carroccio. "La maggioranza ormai non c'è più - osserva Fini con i suoi - ma come fa Berlusconi a non prenderne atto e dimettersi?". L'unica condizione che, al punto in cui si è arrivati, potrebbe far cambiare idea al leader di Futuro e Libertà è quella di un azzeramento totale della situazione. L'ipotesi che i finiani lasciano filtrare è quella di un altro governo, ma senza Berlusconi a guidarlo. Ecco, se Bossi si presentasse all'incontro con questa opzione in tasca, il presidente della Camera cambierebbe atteggiamento e si disporrebbe all'ascolto. Ed è proprio questo l'incubo del Cavaliere, la possibilità che si arrivi ad un altro governo di centrodestra presieduto da qualcun altro. Condizione ovviamente rifiutata da palazzo Chigi. Tanto che il premier ad Arcore ha dato il proprio assenso alla mediazione di Bossi tenendo fermo proprio questo punto: "Non esiste un altro presidente del Consiglio in questa legislatura". Berlusconi, nonostante il piglio interventista e i sopralluoghi in Veneto, è a Roma che ha guardato tutto il giorno. Tanto da aver immaginato di disertare il G20 in Corea, mandando Tremonti, pur di restare sul pezzo. Informato della tripletta infilata da Fli, è scoppiato: "Ma vi rendete conto? Questi sono pronti a suicidarsi politicamente, aprendo persino ai clandestini pur di farci fuori. E io dovrei dimettermi?". E quindi è tornato alla teoria del paracarro, quello di non fare niente in attesa delle mosse del nemico: "Un conto sono le cose dette in un comizio, un altro è votare la sfiducia in Parlamento. Lo facciano se ne hanno il coraggio". Ma a prevalere è il pessimismo, tanto che nel governo ormai è comune la sensazione che la prossima settimana accadrà l'irreparabile e si aprirà la crisi di governo. Uno degli appuntamenti "sensibili" il voto sulle dimissioni dell'ex centrista Giuseppe Drago, passato in maggioranza. A favore voteranno anche Fli e Udc contro l'indicazione di Pdl e Lega. "A quel punto - ammette sconsolato un ministro del Pdl - può succedere di tutto. Compreso un altro governo senza Berlusconi". Del resto anche la riunione dei capigruppo di maggioranza con Tremonti è finita a pesci in faccia. Di fronte alle domande e alle richieste degli esponenti di Fli, alla fine il ministro dell'Economia ha perso la pazienza e si è rivolto a Fabrizio Cicchitto in questi termini: "Basta, questa è l'ultima volta che faccio una riunione del genere con questi incompetenti. Non ci sto a farmi umiliare da questi ragazzini". Poco dopo Tremonti è sceso in Transatlantico e ha iniziato una conversazione serrata con Pier Ferdinando Casini e il ministro Raffaele Fitto. Oggetto della discussione il futuro del governo e gli scenari dopo la crisi. Orecchie attente hanno intercettato questa offerta di Casini a Tremonti: "Noi questa cosa la facciamo solo con te. Ma come ci possiamo arrivare?". Da una parte e dall'altra della barricata fioccano le offerte, le trattative più o meno improvvisate. L'ultima proposta viene dalle "colombe" del Pdl ed è rivolta a Fini e Casini: rimpasto con tre ministeri a testa a Fli e Udc pur di lasciar perdere l'idea della crisi di governo. Offerte che sembrano fuori tempo massimo. "L'unica - osserva pessimista Denis Verdini - sarebbe un incontro diretto tra Fini e Berlusconi, perché la politica qui c'entra poco, lo scontro è personale. Il problema è che Berlusconi non ha nulla da offrire che Fini davvero voglia, a parte la sua testa. Ma quella non è disponibile". (10 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/10/news/missione_bossi-8940975/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. E Berlusconi "fugge" da Seul annullato l'incontro con la stampa Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 10:46:00 pm IL CASO
E Berlusconi "fugge" da Seul annullato l'incontro con la stampa Il premier lascia la capitale coreana al termine del G-20 disertando la saletta preparata per i giornalisti: non era mai successo prima. Al summit ha proposto misure per restringere le speculazioni soprattutto sul petrolio dal nostro inviato FRANCESCO BEI SEUL - Non era mai successo prima. Silvio Berlusconi ha lasciato la capitale coreana, al termine di due giorni di summit G-20, senza tenere alcuna conferenza stampa. Non un obbligo certo, ma una prassi consolidata di trasparenza alla quale a Seoul non si è sottratto alcun leader. Che il presidente del Consiglio, angosciato per la crisi politica italiana, non avesse alcuna voglia di rispondere alle domande dei giornalisti lo si era capito del resto anche ieri sera. Quando la stampa era stata lasciata a bocca asciutta, tenuta a debita distanza dall'albergo dove risiedeva Berlusconi. Così la precipitosa partenza per l'Italia sembra quasi una fuga, per non parlare del futuro della maggioranza e della crisi in atto. Tutto era pronto, l'ambasciata italiana aveva anche "prenotato" una saletta per i giornalisti. Ma all'improvviso è arrivato lo stop: «Niente conferenza stampa, Berlusconi e Tremonti stanno già andando in aeroporto». Tutto annullato. Nella sessione plenaria del G20 il premier italiano è intervenuto per mettere in guardia sulle «attività speculative» che «minacciano la crescita globale e producono un forte impatto negativo sulla vita delle persone». Per Berlusconi «costituisce una priorità, un'assoluta necessità l'introduzione di regole comuni che governino i mercati finanziari e gli intermediari del settore, di misure cioé per ottenere una riduzione dell'uso eccessivo di acquisti sul futuro». Il Cavaliere si è spinto anche oltre, suggerendo «norme che vietino queste speculazioni finanziarie, per esempio vietando gli acquisti futures oppure imponendo che per acquistare il petrolio a consegna futura si impongano dei versamenti che vanno dal 50% in sù». A margine del G-20 è stata la crisi dell'Irlanda a tenere banco tra i leader europei. Angela Merkel, Silvio Berlusconi, David Cameron e Nicolas Sarkozy, insieme ai ministri dell'Economia e delle Finanze, ne hanno discusso prima dell'avvio mattutino dell'ultimo round di colloqui ufficiali. Berlusconi ha avuto anche un incontro a tre, per parlare di gas e pipelines, con il russo Dmitri Medvedev e il turco Recep Tayyip Erdogan. Poco prima di lasciare Seoul, riferiscono fonti italiane, c'è stato anche un breve faccia a faccia con Barack Obama. (12 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/12/news/berlusconi_fuga_da_seul-9023717/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere prepara la rivincita "Il governo tecnico è già ... Inserito da: Admin - Novembre 17, 2010, 09:12:37 am RETROSCENA
Il Cavaliere prepara la rivincita "Il governo tecnico è già affondato" Il premier ora è sicuro di poter conquistare la maggioranza pure alla Camera. La strategia del presidente del Consiglio: "Gianfranco è un traditore" di FRANCESCO BEI Adesso Berlusconi comincia a crederci. Il sogno di strappare un voto di fiducia anche alla Camera il Cavaliere lo sta coltivando da qualche giorno ma, con l'accordo raggiunto ieri al Quirinale, ora inizia a sperarci davvero. "Una volta incassata la fiducia al Senato - ha commentato ieri non appena Schifani gli ha comunicato il risultato dell'incontro con Napolitano - cambierà tutto. Li voglio proprio vedere i deputati che votano la mozione di sfiducia con la certezza di andare alle elezioni dopo due mesi. E da chi saranno rieletti?". Il premier è convinto, consigliato dagli ex An, che nel gruppo finiano ci saranno alcune assenze strategiche nel momento della chiama finale. "Il governo tecnico - è la sua valutazione - ce lo stiamo mettendo alle spalle, l'abbiamo già sconfitto, affondato". Per aumentare la pressione sulle colombe futuriste il Cavaliere aveva in animo di iniziare a martellare con il mezzo che conosce meglio: la televisione. La prima uscita era programmata per stasera a Matrix e serviva a mandare un messaggio forte proprio ai parlamentari finiani e agli elettori che guardano a Fli. "Fini è un traditore - avrebbe detto il presidente del Consiglio, che ieri si è consultato a lungo con Letta, Alfano, Cicchitto e Quagliariello - e, presto, chi ha deciso di seguirlo si accorgerà di quanto poco consenso ha nel paese". In ogni caso l'appello ai deputati di Fli resta un colpo in canna pronto a essere sparato: "Non potete tradire una storia politica che abbiamo costruito insieme, rischiando di riconsegnare il paese a una sinistra che non è ancora democratica e non è in grado di governare il paese". Tutto rinviato a dopo il 14 dicembre, perché a Berlusconi hanno spiegato che una simile uscita poteva sortire l'effetto opposto, ricompattando il fronte nemico. Il Cavaliere spera dunque di convincere 7-8 deputati finiani a non compiere lo strappo. "Una volta ottenuta la fiducia al Senato - ripete - anche alla Camera cambierà il clima". Inoltre, nel Pdl, ricordano che Berlusconi dispone di un congruo pacchetto di posti da offrire a chi dovesse tornare sui suoi passi. Ci sono le poltrone dei finiani che si sono dimessi lunedì dal governo: un ministro, un viceministro e due sottosegretari. Inoltre non sono mai stati sostituiti i sottosegretari Cosentino e Brancher. Per non parlare della tornata di nomine nelle aziende pubbliche e nelle autorità che andranno presto a scadenza. "Se andiamo a votare - va dicendo Berlusconi ai finiani moderati - Fini deve far rieleggere 40 dei suoi, Casini altrettanti, per non parlare dei rutelliani... ma quanti voti pensate di poter prendere?". Insomma, il Cavaliere è in piena controffensiva. "Finora abbiamo preso mazzate e siamo rimasti in silenzio per senso di responsabilità - osserva Denis Verdini - ma adesso iniziamo a dare qualche botta pure noi". Intanto la mano giocata ieri pomeriggio al Quirinale ha portato a un risultato non sgradito per il premier. "Date le condizioni, è andata bene", ha detto ai suoi. I regolamenti della Camera e del Senato sono infatti diversi e concedono al presidente di Montecitorio la facoltà di decidere da solo in caso di disaccordo all'interno della conferenza dei capigruppo. Fini insomma avrebbe potuto forzare la mano sulla calendarizzazione della mozione di sfiducia, puntando a bruciare sul filo palazzo Madama, ma evidentemente il capo dello Stato ha favorito una soluzione di compromesso. Un tentativo di mediazione che non deve essere stato facile se sono vere le voci che rimbalzano dall'incontro a tre alla Vetrata. Una riunione durante la quale Fini e Schifani hanno alzato il tono della voce, dando vita a un duro battibecco sulle rispettive prerogative. "Non sei super partes", gli ha gridato in faccia Schifani. "E a te fa difetto la sensibilità istituzionale", gli ha risposto il presidente della Camera. In ogni caso a molti quello raggiunto è sembrato un pareggio che lascia ancora aperte tutte le strade. Eppure, dalle parti dell'Udc, inizia a serpeggiare un certo pessimismo sulla possibilità di dar vita a un governo tecnico. Pier Ferdinando Casini, con i suoi, si è mostrato scettico. Ma tutti aspettano il voto decisivo di Montecitorio. La vera partita si aprirà infatti il 14 dicembre, quando la Camera costringerà Berlusconi alle dimissioni. A quel punto, con il Cavaliere fuori da palazzo Chigi, i finiani contano in uno smottamento del gruppo Pdl al Senato, per consentire la nascita di un governo tecnico che mandi avanti la legislatura. (17 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/berlusconi_rivincita-9190843/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. WikiLeaks, Frattini rassicura il premier. (sappiamo già molto!). Inserito da: Admin - Novembre 28, 2010, 06:06:00 pm RETROSCENA
Usa e Murdoch, ultimi incubi di Silvio "Anche loro sognano Draghi al mio posto" WikiLeaks, Frattini rassicura il premier. La Lega: stop veleni, votiamo. Berlusconi ostenta ottimismo sui voti alla Camera: siamo a quota 320. Ma i suoi sono scettici di FRANCESCO BEI La piena "WikiLeaks" sta per abbattersi su "Palazzo Letta", come lo ha ribattezzato venerdì Silvio Berlusconi. Il clima nella maggioranza è teso. E la coincidenza tra l'annunciato ciclone Assange con il voto di fiducia del 14 dicembre, che deciderà le sorti del governo, aumenta la sensazione di accerchiamento del premier. "Frattini ha avuto assicurazioni che non c'è nulla di devastante in quelle mail, ma resta l'impressione - riferisce un ministro - che ci sia una pressione di ambienti americani contro il governo". È la teoria del complotto, ripetuta nei conciliaboli a palazzo Chigi e finita nel comunicato del Consiglio dei ministri. "Negli ultimi vertici internazionali - ha confidato il Cavaliere a un ministro - alcuni leader mi hanno avvicinato per chiedermi cosa stesse succedendo in Italia, pensano che il governo sia sul punto di cadere. Ecco l'immagine che, per colpa dei giornali e delle tv, ci stiamo tirando addosso". Giornali e tv, ma anche editori. "Mi dicono - ha iniziato a sospettare Berlusconi - che si stia muovendo anche Murdoch". Gli uomini più vicini al Cavaliere sono convinti infatti che ci sia anche il tycoon australiano dietro la manovra che punta a mandare a gambe all'aria il governo grazie a un cocktail letale di cattive notizie (rifiuti, scandali sessuali, rivelazioni di WikiLeaks) di cui la "spallata" parlamentare di Fini sarebbe l'ingrediente finale. Un percorso in crescendo verso la crisi e la sostituzione di Berlusconi con il governatore Draghi. Murdoch, Draghi, l'amministrazione Obama. Triangolazioni tenute sotto osservazione nel Pdl. Come quelle tra Fini e gli americani. Non solo il rapporto stretto tra il presidente della Camera e Nancy Pelosi, leader della minoranza democratica della Camera dei rappresentanti. Ma anche una visita che Fini avrebbe fatto all'ambasciata Usa dopo lo strappo con Berlusconi. Va detto che i leghisti restano scettici sull'esistenza di una sorta di Spectre mondiale che lavora contro il governo italiano. Significativo il silenzio sull'argomento del ministro dell'Interno Maroni, mentre raccontano che Giulio Tremonti - durante il Consiglio dei ministri di venerdì - si sia messo a sfogliare delle carte quando Frattini ha iniziato a esporre la sua tesi, "distraendosi" al momento opportuno senza intervenire. Al finiano Carmelo Briguglio, membro del Copasir, questi giorni oscuri fanno invece tornare in mente il crepuscolo della Prima Repubblica: "Come allora si ripetono tre elementi: la crisi economica, gli scandali giudiziari, il ruolo degli Usa contro Craxi". Coincidenze suggestive. In ogni caso sarà in Parlamento che si consumerà l'esperienza del Cavaliere. E l'enfasi sul "tradimento dei finiani", con cui ha colorato le sue uscite di ieri, dimostra come Berlusconi stia aumentando la pressione sulle ali moderate di Fli. I "persuasori" incaricati sono Denis Verdini e Daniela Santanché. Il primo ha dato ordine di sopire qualsiasi contrasto interno al Pdl: "Diciamo di sì a tutti fino al 14, poi si vede". La seconda passa le sue giornate scaricando il cellulare: "E sono più le telefonate che ricevo di quello che faccio". L'ultimo problema si è presentato al Senato, la ridotta data per sicura, dove Esteban Juan Caselli (eletto in Argentina) minacciava di disertare. Convinto per il rotto della cuffia con la nomina a nuovo responsabile Pdl del settore Italiani nel Mondo. Tra minacce e blandizie, il Cavaliere mette in giro la voce di essere arrivato vicino alla maggioranza della Camera. E di puntare ora, nonostante lo scetticismo dei suoi, al pieno di "320 voti". Una maggioranza, ammesso che ci sia, che servirebbe per gridare forte al Quirinale che un altro governo è impossibile. A quel punto Berlusconi spera che Casini possa rendersi disponibile a un ingresso al governo, lasciando Fini solo sull'altra sponda. Uno scenario che gli uomini del presidente della Camera ritengono "fantascientifico". "Berlusconi sogna: Fini e Casini marciano uniti". C'è poi da considerare l'insofferenza del Carroccio per la situazione di stallo della maggioranza, a cui La Padania dà voce oggi con un titolo di prima pagina: "Voto unico antidoto ai veleni". Intanto anche nel Pdl, nonostante la sordina messa da Berlusconi ai "personalismi", i colonnelli pensano già al dopo. Ieri a Milano, al convegno organizzato da Roberto Formigoni, si è saldato un patto generazionale tra i cattolici per prendersi il partito. Al lancio della "new generation" c'erano Angelino Alfano e Raffaele Fitto, Maurizio Lupi, Mario Mauro e Saverio Romano, tornato nel centrodestra dopo l'uscita dall'Udc. (28 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/28/news/retroscena_27_novembre-9593806/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi teme i dossier esteri ... Inserito da: Admin - Novembre 28, 2010, 06:13:55 pm IL RETROSCENA
Berlusconi teme i dossier esteri "Serve un intervento della Farnesina" Nel governo i sospetti puntano in una direzione: l'amministrazione americana. C'è il timore di nuove rivelazioni sul caso Ruby prima del voto di fiducia del 14 di FRANCESCO BEI ROMA - Ai piani alti del governo l'allarme rosso è già scattato. Così, obbedendo a una precisa richiesta del premier, Franco Frattini si è incaricato di portarlo a conoscenza di tutti. Ormai il gioco è scoperto, tracima dalle conversazioni riservate e finisce persino sul comunicato ufficiale di Palazzo Chigi, un documento sempre molto felpato che viene diramato dopo il Consiglio dei ministri e porta la firma di Gianni Letta. Persino il prudente sottosegretario, terminale dei servizi di intelligence, stavolta abbandona gli scrupoli e fa scrivere che sarebbero in atto "strategie dirette a colpire l'immagine dell'Italia sulla scena internazionale". Di chi parlano? Chi c'è dietro? Il Cavaliere, durante la riunione del governo, non è sceso nei dettagli, né ha evocato il complotto internazionale. Ma qualcosa il giorno precedente, parlando ai membri dell'ufficio di presidenza del Pdl, si era lasciato sfuggire. "Siamo in presenza di un disegno... c'è una concentrazione di fatti, dalle immagini dei rifiuti a Napoli alle macerie dell'Aquila, dal gossip a Pompei, che punta a far apparire il nostro governo come inadempiente, incapace di risolvere i problemi e colpevole di tutto". Una "instabilità" che potrebbe ripercuotersi anche sul mercato dove viene contrattato il debito pubblico, "trascinando l'Italia dove già stanno l'Irlanda e il Portogallo". Una sottolineatura arrivata dopo l'offerta spontanea di Sandro Bondi, il ministro sotto attacco per il crollo della Casa dei Gladiatori: "Presidente, se ritieni io sono pronto a farmi da parte prima della mozione di sfiducia". "Ma no Sandro - gli ha risposto il Cavaliere - , tu devi resistere, questi sono attacchi strumentali. Tutti noi dobbiamo resistere". Resistere, ma contro chi? Chi sarebbero i registi del "disegno" che punterebbe a scalzare il governo? Berlusconi resta sul vago, parla dei "giornali", dei soliti "poteri forti". Ma nel governo tornano ad affacciarsi i sospetti sull'amministrazione americana. Il timore ora è che nelle tonnellate di mail riservate che Wikileaks si appresta a rendere pubbliche ci sia la vera storia dei rapporti fra i nuovi signori di Washington e Palazzo Chigi. I documenti dovrebbe illuminare i giudizi sull'esecutivo di Prodi ma anche quello di Berlusconi, in particolare dopo l'arrivo di Obama alla Casa Bianca. E non a caso ieri nella maggioranza si ricordavano quei report poco lusinghieri trasmessi a Washington dall'ambasciata americana a Roma. Quelle critiche sulla "diplomazia del gas" di Berlusconi, "non coordinata con le autorità americane". È passato un anno, ma nel frattempo la situazione è andata ancora più avanti. Tanto da ipotizzare persino un ingresso di Gazprom nel capitale Mediaset. Berlusconi troppo legato a Putin, Berlusconi che finisce in mezzo al "Great Game" in corso tra Usa, Ue e Russia per controllare i giacimenti del gas e petrolio dell'Eurasia. Appena dieci giorni fa il quotidiano Kommersant, controllato da Gazprom, ha salutato con enfasi il via libera di Sofia al passaggio del gasdotto South stream sul territorio bulgaro ("South stream arriva prima del Nabucco"). E il merito veniva attribuito proprio a Berlusconi che, ospite di Putin a ottobre, aveva promesso di intervenire per "sbrogliare la matassa" con Sofia. Insomma, per gli stessi russi il Cavaliere sarebbe una sorta di lobbista a livello internazionale, favorendo la joint-venture tra Gazprom ed Eni. Un ruolo che l'avrebbe fatto finire nel mirino degli americani. C'è poi la questione Finmeccanica. Lo stesso premier ha ricordato ieri che l'azienda italiana "ha firmato un contratto di un miliardo con la Russia". E proprio la commessa degli elicotteri alla Casa Bianca, il fiore all'occhiello di Guarguaglini, è stato il primo contratto che Obama ha cancellato non appena messo piede nello studio Ovale. Nel governo si tende a ridimensionare l'ossessione del complotto. Gianfranco Rotondi parla di "manovre a bordo campo che possono danneggiarci, ma non penso ad ambienti ufficiali". "Escludo che gli americani ce l'abbiano con noi - spiega Ignazio La Russa, reduce dal vertice della Nato - e lo posso dimostrare: a Lisbona Obama ha elogiato Berlusconi davanti a tutti, il solo leader che è stato citato per nome e cognome. Anche con me i rapporti sono ottimi, gli abbiamo appena mandato altri duecento istruttori in Afghanistan". Eppure qualcosa non torna. E il timore è che possa presto venir fuori qualcosa di imbarazzante anche sul caso Ruby. Si parla di un'altra telefonata, che potrebbe uscire prima del voto di fiducia. (27 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/27/news/dossier_esteri-9557657/ Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi-Berlusconi ad Arcore Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2010, 12:09:05 pm L'INCONTRO
Renzi-Berlusconi ad Arcore Il Cavaliere: "Tu mi somigli" Il sindaco chiede fondi per Firenze. Il leader del Pdl ha apprezzato l'aiuto del primo cittadino toscano sul caso dei rifiuti a Napoli di FRANCESCO BEI ROMA - I due si annusano a distanza da tempo. C'è una curiosità reciproca e, almeno da parte del Cavaliere, anche una corrente di schietta simpatia per quel giovane così "diverso dai soliti parrucconi della sinistra". "Un po' mi somiglia, è fuori dagli schemi", ha confidato a un amico. Insomma, alla fine forse era inevitabile che accadesse e infatti è accaduto: Matteo Renzi, il sindaco della rossa Firenze e leader dei "rottamatori" del Pd, ha varcato ieri il cancello di Arcore. Per carità, ci saranno state ottime ragioni "istituzionali", come usa dire, a giustificare quel faccia a faccia così poco istituzionale e così tanto politico. Renzi, come ogni sindaco d'Italia, è alla canna del gas, ha un disperato bisogno di fondi per chiudere un bilancio altrimenti "lacrime e sangue". E l'ultimo vagone che si può agganciare è quel decreto "Milleproroghe" che il Consiglio dei ministri si appresta a varare alla fine della settimana. Renzi sperava in una legge speciale per la città di Dante, contava di riuscire a portare a casa qualche norma di vantaggio. Quando ha compreso che non sarebbe stato possibile, è andato a bussare direttamente al portone di Arcore. Soldi chiede, ma non se li aspetta dal governo. Vorrebbe farseli dare dai milioni di turisti che si fermano a visitare gli Uffizi o le altre meraviglie fiorentine, imponendo a ciascuno un piccolo "contributo", una tassa di soggiorno. Pochi euro per il singolo turista, molti per la città: 17 milioni all'anno, calcolano i tecnici del comune. Ma per imporre la tassa serve il via libera del governo. Da qui la visita di ieri ad Arcore. Eppure non è solo questo, almeno non da parte del Cavaliere. Il premier è infatti davvero intrigato da questo giovane amministratore del Pd. "Ce ne avessimo come lui", sospira. Renzi gli ha toccato il cuore la scorsa settimana, quando Berlusconi annaspava senza trovare una soluzione al problema dei rifiuti a Napoli. I leghisti non ne volevano sapere di dare una mano ai "terroni" e Berlusconi, disperato, ha fatto chiamare Renzi al telefono. "Salve sindaco, mi consente di darle del tu? Dammi del tu anche tu". Un approccio subito confidenziale, che sortisce l'effetto desiderato. Al termine di una telefonata molto amichevole, il sindaco di Firenze tende al Cavaliere una mano preziosa: "Presidente, ti possiamo mandare a Napoli sei camion compattatori per raccogliere l'immondizia dalle strade". "Grazie Matteo, affare fatto. Grazie a Firenze". Un'amicizia nata nella difficoltà, di quelle che possono prolungare i loro effetti ben oltre l'emergenza. Del resto non è da oggi che il Cavaliere tiene d'occhio quel ragazzo (classe 1975) così "promettente" e di successo, come piacciono a lui. La prima volta che s'incontrarono fu nel 2005, in occasione del flop di Maurizio Scelli, quando l'allora commissario della Croce Rossa tentò di organizzare il suo movimento politico. Berlusconi aspettò due ore (invano) in prefettura che il palazzetto dello sport si riempisse con gli Scelli-boys e, nel frattempo, si intrattenne con quel trentenne presidente della provincia di Firenze che lo era andato a salutare per "cortesia istituzionale". Al termine del colloquio, il premier si congedò a modo suo, lasciando di stucco gli esponenti locali di Forza Italia: "Caro Renzi, ma come fa uno bravo come lei a stare con i comunisti?". Da allora i due hanno continuato a seguirsi a distanza. Nel frattempo Renzi ha traslocato dalla provincia al comune, mentre Berlusconi ha fatto in tempo a perdere (2006) e rivincere (2008) le elezioni. Renzi è anche il dirigente che ha proposto di "rottamare" gli attuali capi del Pd, a partire da D'Alema, Veltroni e Bersani. Un "coraggio" che, in privato, Berlusconi non ha mancato di lodare. Così come non sono sfuggite al premier quelle dichiarazioni contro la proposta di "Union sacrée" per scacciare il tiranno da palazzo Chigi: "La sinistra - ha detto Renzi - non può mettere insieme la solita ammucchiata selvaggia anti-Berlusconi". Insomma, da una parte c'è un leader in cerca di giovani, che non vuole lasciare la sua eredità a quei "signori attempati", "professionisti della politica che a cinquant'anni dovrebbero solo dedicarsi ai libri di memorie". Dall'altra c'è un sindaco molto ambizioso che vuole fare politica rompendo gli schemi. E poi l'incontro di ieri ad Arcore, dove nemmeno i sindaci Pdl di Roma e Milano riescono più a farsi ricevere. (07 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/07/news/renzi_berlusconi-9907865/?ref=HREC1-2 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere parla con Bossi "Non si può votare, dialogo con Udc" Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2010, 04:25:01 pm IL RETROSCENA
Il Cavaliere parla con Bossi "Non si può votare, dialogo con Udc" In caso di fiducia, anche risicata, il Pdl vuole comunque andare avanti. Il Cavaliere: "Il vero problema non sarà il 14... il problema sarà governare dopo" di FRANCESCO BEI «RAGAZZI, il vero problema non sarà il 14... il problema sarà governare dopo». Silvio Berlusconi confida ai fedelissimi i suoi timori in vista del voto di fiducia. E tuttavia, in queste ore, il Cavaliere ha maturato un cambio di strategia. Certo, in pubblico continua a dire che le elezioni anticipate sono l'unica strada possibile se il Parlamento non dovesse accordargli una maggioranza «solida». Ma in realtà il premier punta a «resistere» il più possibile, ha bisogno di tempo perché il progetto di allargare la maggioranza possa andare in porto: «Noi andiamo avanti, anche con una fiducia risicata. Perché dal 15 dicembre può cambiare tutto». La strategia della «resistenza» può portarlo in rotta di collisione con la Lega, che insiste per fare chiarezza subito con il voto anticipato, ma Berlusconi è convinto di avere in mano delle buone carte per convincere Bossi. Ai commensali della gastronomia chic di Milano "Peck" (La Russa, Brambilla, Cantoni, Podestà, Ronzulli) ha riferito di aver avuto venerdì sera con il leader leghista un lungo colloquio che «è andato bene». A palazzo Grazioli si mettono in fila altri segnali positivi, come la lettera-appello di Silvano Moffa e Andrea Augello. Una mossa pensata proprio per far riflettere i tanti parlamentari che non vogliono precipitarsi verso il voto anticipato. «Bisogna tentare tutte le carte - spiega Barbara Saltamartini, una dei firmatari della lettera - per evitare di trascinare il paese verso le elezioni». Non sono sfuggiti inoltre agli strateghi del Pdl i distinguo tra i protagonisti del Terzo Polo. Casini non ha preso bene l'essere stato tenuto all'oscuro dell'incontro fra Bocchino e Berlusconi. Raccontano poi che le pressioni dei cardinali sul leader dell'Udc per abbandonare l'alleanza con «l'ateo» Fini si siano fatte insistenti. Così quando ieri gli hanno fatto leggere l'agenzia in cui Casini dichiarava di credere «poco» nel Terzo polo, a Berlusconi sono iniziati a brillare gli occhi. «Io spero che quelli dell'Udc - ha detto ai commensali milanesi - si possano ravvedere. In Europa siamo nello stesso partito, il fatto che non siano con noi la considero un'anomalia». E' sempre Casini l'oggetto delle lusinghe, è proprio con l'Udc che il premier intende giocarsi la partita all'indomani del 14 dicembre, quando «sono certo che avrò la fiducia». A quel punto tutto diventerà possibile, persino accettare quello che oggi sembra inaccettabile: il Berlusconi-bis. «Perché un conto - spiega Andrea Augello - è Fini, che pretende le dimissioni di Berlusconi come un atto simbolico di sottomissione. Altra cosa sarebbe arrivare a un nuovo governo al termine di un percorso politico concordato con Casini, che dall'opposizione pretende una forma di discontinuità per entrare in maggioranza». Insomma, il Cavaliere è convinto di poter aprire un tavolo di trattativa con i centristi, gli basta solo ottenere un voto in più alla Camera per «seppellire il terzo polo». Ma i leghisti glielo lasceranno fare? Berlusconi avrà pure parlato con Bossi, ma ancora ieri dal Carroccio sono giunti segnali ostili. «Una fiducia risicata - mette in guardia Giancarlo Giorgetti - non risolve i problemi e per questo bisognerebbe considerare anche le urne». E non è un caso che Bossi si stia tenendo lontano dal proscenio, pronto a battere i pugni sul tavolo se il 14 dicembre i numeri dovessero rivelarsi «inconsistenti». Il ricorso primaverile alle urne, visti i sondaggi, viene considerato dal Senatur un tesoro cui attingere rapidamente. Nel frattempo Berlusconi, nonostante si sia rincuorato per l'ultimo bollettino riservato sui voti della Camera, agli intimi ha confidato di non poterne più di questa situazione. «Io sono sicuro che con Casini si possa arrivare a un'intesa: se mi facessero arrivare alla fine della legislatura, avendo portato a termine le riforme, a quel punto potrei anche passare la mano». Il tema della successione in questi giorni sta affiorando spesso nelle conversazioni private del Cavaliere. Accompagnato da un certo scoramento, perché «l'Italia è un paese ingovernabile, nessuno c'è mai riuscito veramente». Da questi discorsi emerge sempre la figura di Angelino Alfano, saltando la generazione dei cinquantenni. «Angelino - ha detto il premier a un amico - parla come me, ha un linguaggio semplice che arriva al cuore della gente, ha un viso che ispira fiducia». (12 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/12/news/retroscena_bossi-berlusconi-10099155/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere e l'assist della Chiesa "Prima o poi Pier tornerà.. Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2010, 09:03:54 pm IL PREMIER
Il Cavaliere e l'assist della Chiesa "Prima o poi Pier tornerà con noi" A Bruxelles incassa i complimenti dei leader Ppe: ho già una lista di parlamentari pronti a venire con me. Se l'Udc accettasse di fondersi col Pdl in un nuovo partito potrebbe offrirgli la guida di FRANCESCO BEI "GLIELO dicono anche i vescovi che deve mollare Fini e tornare con noi, prima o poi lo capirà". Silvio Berlusconi si gode il momento di successo dopo il voto di fiducia. E incassa con soddisfazione le ripetute prese di posizione che arrivano da Oltretevere - Bagnasco, Ruini, gli editoriali dell'Avvenire - a favore del "dialogo" e della "stabilità", unite a una chiara diffidenza per Gianfranco Fini e il terzo polo. Arrivato al pranzo dei leader del Ppe a Bruxelles, il Cavaliere a tavola gonfia il petto quando lo applaudono per lo scampato pericolo: "Ho già una lista di parlamentari che ci hanno ripensato e vogliono venire con me... temo che mi dovrete sopportare per altri due anni e mezzo". E tuttavia, al di là degli eventuali transfughi del Fli, è al piatto grosso che punta Berlusconi. Riuscire a staccare Casini da Fini, riportare i centristi nel perimetro del centrodestra, questo è l'obiettivo di fondo del premier. La trattativa, in gran segreto, è già partita all'indomani del voto di fiducia. Ieri, durante la messa celebrata dal cardinal Bagnasco a Sant'Ivo alla Sapienza, il capogruppo Pdl Gasparri ha cercato con gli occhi Casini e gli ha dato appuntamento per dopo la celebrazione. E, guarda caso, proprio Gasparri ieri sera era ospite a cena in Vaticano. "Con Casini - afferma uno degli sherpa incaricati della mediazione - ci parliamo perché pensiamo le stesse cose, a differenza di Fini". Altri uomini che si stanno spendendo molto su questo fronte sono Angelino Alfano e Franco Frattini, oltre a Gaetano Quagliariello. Tutti convinti che la strada dell'accordo con Casini sia l'unica alternativa al voto anticipato. Mentre già gira la voce di due ministeri pronti per l'Udc (Difesa e Beni Culturali) Osvaldo Napoli ammette apertamente che il Cavaliere "ha obiettivi più ambiziosi di un pallottoliere quotidiano da tenere sempre sott'occhio. Rimane decisiva l'interlocuzione con Casini". I numeri in Parlamento restano infatti precari. Bastava fare un giro ieri mattina alla Camera per rendersi conto che la situazione non è sostenibile: si votavano gli emendamenti al decreto sull'emergenza rifiuti e mezzo governo era costretto a essere presente per garantire la maggioranza, con i ministri Meloni, Carfagna, Prestigiacomo, Gelmini, Vito, Alfano e una decina di sottosegretari. "E' chiaro che così non possiamo andare avanti - confessava un ministro - serve una svolta". La "svolta" potrebbe anche prendere una piega inaspettata. Da qualche tempo Berlusconi è stuzzicato dall'idea di rottamare il "brand" Pdl per fare qualcosa che abbia il profumo del Partito popolare europeo. Questa sezione italiana del Ppe sarebbe la "casa comune" dove ritrovarsi con Casini e, se l'Udc accettasse di sciogliersi in un contenitore più ampio, Berlusconi vorrebbe che a guidare il nuovo partito fosse proprio il leader centrista. "L'errore più grande che abbiamo fatto con Fini - osserva uno dei coordinatori del Pdl - è stato quello di accettare che andasse alla presidenza della Camera invece che costringerlo a prendere in mano il partito. Con Casini non commetteremo lo stesso errore". In questo scenario sarebbe nuovamente Berlusconi il candidato premier nel 2013, salvo poi farsi eleggere al Quirinale. A quel punto Casini prenderebbe il suo posto a palazzo Chigi. Solo una fantasticheria? Berlusconi alla staffetta ci crede: "Lo hanno fatto Putin e Medvedev e in Russia funziona benissimo". (17 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/17/news/berlusconi_e_l_assist_della_chiesa_prima_o_poi_pier_torner_con_noi-10302909/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. E continua la compravendita alla Camera Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2010, 05:16:54 pm I NOMI Il Cavaliere gela Bossi "Parla di elezioni ma il Colle ora mi dà ragione" "Umberto spaventa chi vuole venire con noi per evitare le elezioni". Oggi i 22 deputati del "gruppo dei responsabili" danno vita a un coordinamento. E continua la compravendita alla Camera di FRANCESCO BEI ROMA - Silvio Berlusconi scende dal Quirinale con il sorriso stampato in faccia. Il discorso del presidente della Repubblica viene analizzato parola per parola a palazzo Grazioli e tutti concordano con l'impressione a caldo che ne ha tratto il Cavaliere. "Anche Napolitano - osserva Berlusconi - finalmente ha capito che non ci possono più essere alternative a questo governo". Ma c'è dell'altro, perché il premier è convinto di aver trovato nel capo dello Stato il "garante" della prosecuzione della legislatura e della stabilità, che ormai "può significare soltanto prosecuzione del nostro governo". Parlando con i suoi, il Cavaliere aggiunge di essere certo che "Napolitano farà di tutto per evitare il voto anticipato: ha capito che la gente non vuole e ci tiene a restare popolare nei sondaggi". In questo crede di aver trovato un alleato per proteggersi le spalle da Umberto Bossi. È questo l'ultimo cruccio del leader del Pdl. Non comprende cosa abbia spinto il Senatùr a sparare in maniera così pesante, chiedendo a gran voce le elezioni e chiudendo la porta in faccia ai centristi. Proprio mentre il Pdl è impegnato nella difficile operazione di ripescaggio dei moderati, con gli ami lanciati dentro l'Udc, Fli e l'Mpa. Raccontano che Berlusconi da due giorni sia arrabbiato nero contro Bossi. "A cosa servono queste uscite? Bossi è riuscito a esasperare di nuovo il clima, proprio adesso che stavo riuscendo a calmare le acque. Perché parla a vanvera?". L'irritazione del Cavaliere contro il suo principale alleato è dovuta anche al timore che il continuo evocare le elezioni anticipate abbia l'unico effetto di spaventare i peones interessati a passare il fosso. "Noi stiamo pasturando in superficie per far venire i pesci a galla - spiega uno degli addetti alla compravendita - e Bossi si mette a fare tutto questo casino. In questo modo chi vuole venire con noi per evitare il voto, adesso si ritrae spaventato". Ecco, il messaggio lanciato ieri da Napolitano va invece nella direzione opposta e a Berlusconi non può che fare piacere. Anche perché l'operazione "gruppo dei responsabili" va avanti eccome. Oggi alla Camera i 22 deputati coinvolti daranno vita a un coordinamento parlamentare, sul modello del terzo polo. Poi a gennaio nascerà il gruppo vero e proprio e a quel punto contano di riuscire ad agganciare anche Carmine Patarino dal Fli e un paio deputati dell'Mpa. Berlusconi è scatenato in prima persona. Ieri al Quirinale si è preso sottobraccio Saverio Romano, ex Udc e regista del progetto, e si è fatto raccontare nei dettagli come stesse procedendo. Poi, incrociato Renzo Lusetti (ex Pd ora nell'Udc), Berlusconi non ha perso tempo ed è partito alla carica: "Carissimo Renzo, ma perché non lasci Casini e passi con Romano? Non hai capito che Casini ti porterà di nuovo con i comunisti?". Il Cavaliere ci prova in tutti i modi, ma finora le rivalità esistenti fra gli stessi transfughi hanno impedito il varo dell'operazione. "Per ora sicuri siamo in 12 - ammette l'ex dipietrista Antonio Razzi in un corridoio di Montecitorio - ma vediamo cosa esce dalla riunione. Catone (Giampiero, ex Fli. Ndr) un giorno dice una cosa, un giorno un'altra. C'è poi il problema di quelli del Nord, come Calearo e Grassano, che non si capisce se accettano di mischiarsi con i meridionali di Noi Sud". Maurizio Grassano, ex leghista di Alessandria, in effetti non sembra particolarmente ansioso di confluire tra i "responsabili" berlusconiani: "Io ormai voterò con la maggioranza a prescindere, ma non ho ancora deciso se farò parte di quel gruppo". Su un divanetto appartato della Camera, Grassano (finito in manette per truffa aggravata e quindi respinto dalla Lega) racconta di come sia andata la trattativa con Berlusconi in vista del voto di fiducia: "L'ho visto quattro volte a palazzo Grazioli. All'inizio c'ha provato con il discorso sui comunisti, dicendo che non si poteva lasciare il paese nelle loro mani. Ma con me attaccava poco, poi ha fatto breccia convincendomi che sarebbe saltato il federalismo. A quel punto io, che ho fatto vent'anni nella Lega, non potevo dire di no alla fiducia". Ma tra Grassano e il Cavaliere c'è anche affinità di vedute sulla giustizia: "Io i magistrati li vorrei eliminare tutti fisicamente. Scherzo ovviamente, ma è mai possibile che siano l'unica categoria che non paga mai in caso d'errore?". Se, malauguratamente, dovesse fallire il progetto di allargare la maggioranza, Berlusconi si sta comunque preparando alle elezioni in primavera. Ieri, al termine del pranzo con gli eurodeputati del Pdl, ha dato a tutti i "compiti per le vacanze". "Fatevi venire in mente un altro nome per il partito - ha detto - perché Fini ci farà un ricorso e non potremo usare né il simbolo né il nome del Pdl. I magistrati, con l'aria che tira, gli daranno sicuramente ragione". L'idea per il nuovo nome gli era pure venuta: "Per l'Italia". Poi gli hanno fatto notare che l'acronimo sarebbe stato P. L. I. e, a malincuore, vi ha rinunciato. (21 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/21/news/il_cavaliere_gela_bossi_parla_di_elezioni_ma_il_colle_ora_mi_d_ragione-10436753/ Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi: autosufficienti da Casini "Abbiamo in numeri, ... Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:51:05 pm IL RETROSCENA
Berlusconi: autosufficienti da Casini "Abbiamo in numeri, niente ricatti" Il presidente del Consiglio punta al consolidamento della maggioranza indipendentemente dai centristi: "Arrivano quattro 'resposabili', avremo trenta deputati di differenza" di FRANCESCO BEI ROMA - Silvio Berlusconi torna a Roma e si butta a corpo morto sull'allargamento della maggioranza. Tra palazzo Chigi e palazzo Grazioli è una girandola di incontri e colloqui senza soste: dal governatore Lombardo al leader della Destra Francesco Storace. E poi ancora, a sera, riunisce lo stato maggiore del Pdl e Denis Verdini riferisce sulla contabilità dell'operazione. "Possiamo e dobbiamo arrivare a trenta deputati di differenza", chiede il Cavaliere, che ha speso le ultime settimane a corteggiare uno ad uno i peones. "Quella del 14 dicembre - ha spiegato il premier ricordando il voto di fiducia in Parlamento - non è stata una vittoria solo numerica ma politica. Ora però dobbiamo consolidarci". Il rapporto con Pier Ferdinando Casini, a dispetto dei segnali di apertura che sono arrivati dal leader Udc, non viene considerato recuperabile da Berlusconi. Almeno non per il momento. A Pionati il premier ha detto chiaramente che di Casini "non si fida". Ad altri ha confessato tutto il suo scetticismo, perché "Casini fa solo finta di trattare con noi, in realtà resta legato a quello zombie di Fini". Ma in questa fase non ha nemmeno interesse a rialzare i toni dello scontro con i centristi. "Con Casini - ha osservato il Cavaliere - dobbiamo mantenere un atteggiamento di non belligeranza. Cerchiamo di prendere quello che può darci, ma facendo in modo di non dipendere mai da lui. Dobbiamo essere autosufficienti, altrimenti ci ricatterà da qui alla fine della legislatura". Il miraggio della "autosufficienza" passa necessariamente per la costituzione dei nuovi gruppi di "responsabilità nazionale" sia alla Camera che al Senato. "Dobbiamo dare una nuova casa a chi vuole sostenere il governo", spiega Denis Verdini. Il problema è che, al momento, fra i protagonisti del nuovo rassemblement si fatica a mettersi d'accordo. Ieri, tra una riunione e l'altra, c'è stata una nuova fumata nera e ancora un rinvio. I "responsabili" non trovano un denominatore comune e nemmeno un nome che li rappresenti tutti. L'ex finiano Silvano Moffa dovrebbe essere il capogruppo alla Camera, ma gli ex Udc non vogliono dare il loro via libera finché non sarà assicurata a uno di loro - il siciliano Saverio Romano - un posto da sottosegretario o persino da ministro. E un posto nel governo Berlusconi è anche arrivato ad offrirlo ieri a Raffaele Lombardo, in cambio del tradimento del patto con Casini e Fini. Ma il governatore siciliano ha declinato, restando nel terzo polo anche a costo di perdere un paio di deputati del suo Mpa. Si parla di Ferdinando Latteri e Aurelio Misiti. In realtà anche i numeri della terza gamba della maggioranza restano ballerini. Al momento sono fermi a 19, uno in meno di quelli necessari a costituirsi in gruppo. "Altri quattro sono in arrivo", assicura Berlusconi. Si dice che molti ancora restino alla finestra, in attesa di capire dove andrà a cadere il pendolo quando la Consulta delibererà sul legittimo impedimento. Persino alcuni deputati teodem del Pd, a sentire radio Pdl, sarebbero sull'uscio, pronti ad aderire a un gruppo - quello dei responsabili - che avrebbe un forte profilo di difesa dei valori della Chiesa. Ecco, la Consulta. Dalla decisione della Corte costituzionale, attesa per domani, dipende il futuro del governo. Silvio Berlusconi è decisamente pessimista: "Da una Corte così composta non mi aspetto nulla di buono. Teniamoci pronti anche alle elezioni". Ieri, ad aumentare il malumore del Cavaliere, ci si è messo anche un forte dolore a un dente, conseguenza di un'operazione chirurgica a cui si è sottoposto nel corso delle vacanze. Il fatto è che la statuetta che gli è stata tirata in faccia un anno fa gli ha rotto la radice di un molare e stavolta è stato necessario incidere la mandibola. "Doloroso, da non dormirci". Nonostante il mal di denti e il mal di giudici, domani sera - a ritorno dal vertice di Berlino con la Merkel - il premier ha già convocato un'altra riunione. Stavolta sul Pdl e il nuovo nome da dare al partito. (12 gennaio 2011) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2011/01/12/news/berlusconi_autosufficienti_da_casini_abbiamo_in_numeri_niente_ricatti-11118465/ Titolo: FRANCESCO BEI. L'avvertimento del Cavaliere al Colle "Se mi condannano ... Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2011, 10:51:34 pm LA CRISI
L'avvertimento del Cavaliere al Colle "Se mi condannano la piazza si ribellerà" Teso faccia a faccia Il capo del governo: "Sono perseguitato, farò la riforma della giustizia. Ho la maggioranza. Non c'è bisogno di elezioni anticipate" FRANCESCO BEI ROMA - "Non sono io quella persona lì, non faccio festini a casa mia e non ho mai pagato una donna". Silvio Berlusconi alza la voce davanti a Giorgio Napolitano, protesta la sua innocenza, non accetta di essere messo sul banco degli imputati. In un'ora di confronto teso, accorato, alla presenza di Gianni Letta, il Cavaliere rovescia sul tavolo del capo dello Stato tutta la rabbia accumulata in questi giorni sotto pressione. "Mi accusano di cercare lo scontro, ma sono i pm a mettersi sotto i piedi lo Stato di diritto e la Costituzione. Cosa dovrei fare? Starmene zitto? La mia unica colpa è quella di essermi circondato di belle donne". Il premier arriva anche ad evocare la piazza. Secondo quanto filtra dopo il faccia a faccia, quella di Berlusconi non è una minaccia esplicita, ma il messaggio è altrettanto chiaro. "C'è un clima di folle caccia all'uomo contro di me - è il succo del discorso fatto al Quirinale - e io cerco sempre di riportare tutti alla calma. Ma non posso sapere cosa può succedere se questo scontro andrà avanti". Berlusconi ricorda di essere "la prima vittima" della situazione e, per suffragare la tesi, richiama gli scontri ad Arcore di pochi giorni fa: "Una manifestazione di inaudita violenza sotto la casa privata di un capo del governo, una cosa mai vista in Occidente". Ecco, se tutto questo dovesse ripetersi, se i pm continueranno a dare l'impressione di "perseguire un intento eversivo e non di giustizia", non ci sarebbe da meravigliarsi se una reazione uguale e contraria dovesse spontaneamente scatenarsi a sua difesa. "Se mi dovessero mettere da parte, il paese esploderebbe". Berlusconi si aspetta quindi "un aiuto" dal capo dello Stato, spiega che in questo momento "servirebbe più di ogni altra cosa la stabilità del governo", ma la risposta di Napolitano lo gela. Il presidente della Repubblica non offre sponde, anzi ricorda al premier che proprio il comportamento incendiario tenuto in questi giorni "ha contribuito ad acuire le tensioni istituzionali". Insomma, la responsabilità di questo stato di cose è anche, e forse soprattutto, sua. Il Cavaliere non ci sta. Nonostante sia stato "briffato" a lungo da Angelino Alfano e Gianni Letta, che lo hanno scongiurato per tutta la mattina di non strappare con il Colle, Berlusconi sbotta: "Sono la persona più perseguitata al mondo - obietta - i magistrati mi stanno addosso con quattro inchieste! Per loro dovrei stare tutti i giorni in un'aula di Tribunale invece che a governare. Così non si può andare avanti". Il Cavaliere è anche "indignato" per come viene rappresentato in televisione. Racconta di aver fatto zapping la sera precedente tra Annozero e Linea Notte e di essersi "vergognato ad essere descritto in quel modo". "Mi danno addosso persino le mie tv, a dimostrazione che in Italia non c'è alcuna censura". E tuttavia la foga del premier si infrange sull'argine alzato dal capo dello Stato. "Lei - gli spiega Napolitano con voce sommessa - può trovare nel nostro ordinamento gli strumenti giuridici per avere un processo equo. Vada avanti in tutti i gradi di giudizio e vedrà che incontrerà magistrati che sapranno valutarla secondo giustizia". Ma il premier è sintonizzato su un'altra frequenza. Anzi, visto che si parla di giustizia, ribadisce l'intenzione di procedere con riforme che colmino quelle che a palazzo Chigi sembrano "gravi lacune". Napolitano è turbato, teme altre forzature, chiede lumi. Berlusconi tuttavia resta evasivo, si limita ai titoli: la responsabilità civile dei magistrati, la pubblicazione delle intercettazioni, il processo breve. Il Cavaliere è un fiume in piena. La giustizia italiana "va cambiata, su questo abbiamo ottenuto il voto degli italiani e non arretreremo". Sì, perché il premier è convinto, anzi è "certo", che il suo governo andrà avanti fino alla fine della legislatura. "La maggioranza - insiste - è più forte da quando sono usciti i finiani e si rafforza a ogni votazione... vedrà presidente nei prossimi giorni". La sicurezza con cui Berlusconi parla dell'allargamento della maggioranza è dovuta anche ai carotaggi fatti nelle ultime ore tra i peones della Camera. Il premier è convinto che il gruppo dei Responsabili si gonfierà fino ad arrivare a 29 deputati - 4 in arrivo da fuori e 4 "in prestito" dal Pdl - in modo da far scattare un altro posto in commissione Bilancio e così riconquistare la maggioranza in quel fortino strategico. (12 febbraio 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica Titolo: FRANCESCO BEI. Esplode la rabbia di Silvio "Napolitano non mi può fermare" Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2011, 12:06:07 pm IL RETROSCENA
Esplode la rabbia di Silvio "Napolitano non mi può fermare" di FRANCESCO BEI ROMA - "FINCHé c'è una maggioranza, e ci sono i numeri, io ho il dovere di andare avanti e nessuno me lo può impedire". Berlusconi è "sorpreso" dalla nota del Quirinale. A Gianni Letta, come di consueto, il comunicato era stato preannunciato, quello che Berlusconi non si aspettava era il riferimento del capo dello Stato a una fine anticipata della legislatura. Così a palazzo Grazioli è subito scattato l'allarme rosso. Uno scioglimento delle Camere, questa la novità, legato non all'eventuale venir meno della maggioranza, ma "all'asprezza raggiunta dai contrasti istituzionali e politici". Insomma, di fronte a un presidente della Repubblica che ricorda il proprio autonomo potere di scioglimento, secondo l'articolo 88 della Costituzione, il Cavaliere rivendica il suo diritto a governare. "Napolitano non vuole le elezioni, me lo ha detto lui stesso - ha confidato ieri il premier - e quindi non posso credere che questa sia la sua volontà. Anche perché una minaccia del genere sarebbe un golpe, altro che Scalfaro, e Napolitano è una persona seria". Insomma, il clima è questo. Senza contare che, ai piani alti del governo, si fanno forti del parere di "autorevoli costituzionalisti, i quali sostengono che la controfirma del capo del governo sul decreto di scioglimento delle Camere non sia un mero atto dovuto". Insomma, se davvero al Quirinale qualcuno pensasse a una "forzatura" del genere, non è detto che Berlusconi si presti a farsi sloggiare da Palazzo Chigi senza far resistenza. Rifiutandosi di controfirmare la sua fine politica. In questo braccio di ferro con il Colle, c'è soprattutto la "delusione" del premier per la mancata sponda con Napolitano. Unita alla voce di un'intesa politica tra il Quirinale e Fini (ieri tra Napolitano e il presidente della Camera ci sarebbe anche stata una telefonata), questa "delusione" non fa che rafforzare il capo del governo nella convinzione di non avere amici ai vertici delle istituzioni. Mentre era ancora in auto con Gianni Letta, appena uscito dall'incontro al Quirinale, Berlusconi ha confessato a un ministro il succo del faccia a faccia: "Vuoi la verità? Non ho ottenuto nulla". Quel che si aspettava dal capo dello Stato era un aiuto politico per fronteggiare l'emergenza giudiziaria, ma su questo il presidente della Repubblica ha opposto un netto rifiuto. Così la nota di ieri del Quirinale non fa che spargere sale sulle ferite. Berlusconi ritiene di essere oggetto di "un attacco mostruoso, portato avanti senza scrupoli e con ogni mezzo", si aspetterebbe solidarietà dal Colle e non un'altra tirata d'orecchie. Il premier non intende comunque recedere in alcun modo. "Basta con questi soprusi - si sfoga - non possono essere i pm a stabilire i governi e la data delle elezioni: l'hanno fatto nel '94, poi con Mastella e Prodi, ma io ho le spalle larghe e non mi arrendo". Non è nemmeno esclusa l'idea di una manifestazione di piazza di solidarietà a Berlusconi. Daniela Santanché se la augura. E lo stesso Cavaliere, a parte il riferimento a Breznev, ha molto apprezzato il pienone fatto da Giuliano Ferrara con la manifestazione al teatro Dal Verme. Ma se il raduno degli "smutandati" del Foglio sarà stata la prova generale di un'adunata anti-pm lo si capirà solo tra qualche giorno. Quando arriverà la decisione del Gip sulla richiesta di processo immediato al premier per il Rubygate. Gaetano Quagliariello è preoccupato, vede in arrivo un "missile a più stadi", puntato sulla testa del Cavaliere. Un "missile" composto da tutti i procedimenti che, tra fine febbraio e l'inizio marzo, riprenderanno la loro corsa contro il tempo: Mills, Mediatrade, diritti tv, Ruby. Lo spettro è quello di un Berlusconi costretto tutte le settimane ad andare in un aula di tribunale. "Alla faccia - osserva Denis Verdini - del principio di leale collaborazione che la Coste costituzionale ha chiesto con la sentenza sul legittimo impedimento". Berlusconi sa che l'unica ancora di salvezza ora sono i numeri che ha in Parlamento. Più allarga la maggioranza e più allontana lo spettro di finire sotto i colpi dei magistrati. Anche per questo ha accettato l'incontro di ieri con Marco Pannella, nella speranza di attrarre i 6 preziosi deputati radicali nell'area di maggioranza. Con saggezza democristiana, il leader dei "Responsabili", Saverio Romano, osserva che "Berlusconi sarà pure debole e precario. Ma in Italia le uniche cose definitive sono proprio quelle precarie". (13 febbraio 2011) © Riproduzione riservata da repubblica.it/politica Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere tenta l'ultima difesa "Ma Bossi e Giulio vogliono... Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2011, 11:04:37 am L RETROSCENA
Il Cavaliere tenta l'ultima difesa "Ma Bossi e Giulio vogliono il voto" Il premier punta tutto sui numeri e sulla "governabilità" ma non esclude più l'opzione elettorale. Pressing su Tremonti: "Deve aiutare a dare una scossa al governo" di FRANCESCO BEI ROMA - Ha parlato con Van Rompuy dell'ondata di clandestini, ha cercato (vanamente) per ore Barroso, ha discusso con Maroni: per un giorno il Cavaliere è tornato a fare quello che ritiene di saper fare bene, gestire le emergenze. Ma la spiacevole sensazione che tutto stia precipitando ormai non lo abbandona più. Ed è la Lega, in queste ore, a essere finita sotto la lente di osservazione per quelli che, visti da Arcore, sembrano "strani movimenti" che preannunciano una corsa verso le elezioni anticipate. L'unica ancora di salvezza dunque è dare l'impressione di un governo in movimento, che ha ancora qualcosa da fare. "Ora la scommessa - ha spiegato il premier - è sulla governabilità. Su questo Napolitano mi ha sfidato e su questo risponderemo, ribaltando la falsa immagine di un governo paralizzato". E tuttavia Berlusconi sa bene che c'è un ostacolo non aggirabile sulla strada del rilancio del governo e di quella che ha definito, nell'ultimo Consiglio dei ministri, "una nuova fase". L'ostacolo si chiama Giulio Tremonti. Il Cavaliere lo va dicendo in giro e una traccia di questa irritazione la si trova bagnata dall'inchiostro dei quotidiani d'area - il Foglio, il Giornale - che negli ultimi giorni hanno inserito il ministro dell'Economia nella casella del "sabotatore". Berlusconi non si permette atti d'accusa in pubblico. Ma in privato ormai è Tremonti il perno delle considerazioni del premier sul futuro della legislatura: "Per uscire dalla paralisi il governo deve tornare alla proposta. Ma serve che Giulio dia una mano, non può tirarsi indietro. Conviene anche a lui...". Berlusconi ha spiegato che considera "legittima" l'aspirazione del ministro dell'Economia ad avere un ruolo di leadership per il dopo. "Ma non ci sarà per lui alcun "dopo" - mette in chiaro il premier - se in questa fase difficile Giulio non si metterà in gioco". Insomma, se vuole candidarsi a guidare il centrodestra, Tremonti non può lasciare che la barca affondi. Perché il rischio è questo. Nel Pdl danno infatti per scontato l'accoglimento da parte del Gip Cristina Di Censo delle richieste della procura di Milano. Così l'incubo che inizia a materializzarsi è quello di un premier-imputato a tempo pieno. "Tra fine febbraio e inizi di marzo - osserva un uomo dell'entourage del Cavaliere - riprenderà la giostra dei processi e Berlusconi sarà chiamato tutte le settimane in Aula". Martellato dai pm, paralizzato dalla mancanza di risorse e dalla fragilità dei numeri alla Camera, per il premier il futuro si prospetta nerissimo. Ma, nonostante tutto questo, la situazione potrebbe ancora reggere se la Lega continuasse a puntellare il governo. È proprio questo l'oggetto dei sospetti nel Pdl, da qui il focalizzarsi su quegli "strani movimenti" osservati nel Carroccio. "Tremonti e Bossi - ha ricominciato a dire il premier - vogliono andare a votare". Ieri il ministro Calderoli, considerato molto in sintonia con Tremonti, ha subito alzato l'asticella della maggioranza necessaria a "330 deputati", quando poche ore prima il premier aveva detto che la quota da raggiungere era "325". Un piccolo segnale. Come quello lanciato con la Padania, che oggi esce in edicola con una lunga intervista a Pier Luigi Bersani. L'opposizione, i magistrati, il Quirinale, la Lega. Ecco i quattro lati del recinto che potrebbe rinchiudere il Cavaliere. Così la voce che domani Bossi salirà al Colle, proprio nei giorni in cui più aspro è il confronto tra Napolitano e Berlusconi, non ha fatto che rafforzare i timori di palazzo Chigi di uno sganciamento del Carroccio. È un fatto che Bossi debba ormai tener conto di due Leghe. Quella di potere, sparsa nei Cda delle aziende pubbliche, fedele allo status quo. E quella di base, sempre più insofferente della crisi del berlusconismo. In questo caos, Berlusconi potrebbe giocare d'anticipo ripescando l'idea di un ritorno alle urne. "Il Pdl nei sondaggi tiene - fa notare Paolo Bonaiuti - e il trend è in leggera salita". Sfruttando questo abbrivio, il Cavaliere potrebbe fare l'ultima puntata. (15 febbraio 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica Titolo: FRANCESCO BEI. I timori del Cavaliere Adesso quel pazzo ci tirerà i missili Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2011, 05:13:28 pm IL RETROSCENA
I timori del Cavaliere dopo la svolta "Adesso quel pazzo ci tirerà i missili" Il premier è rimasto scioccato dalla violenza verbale del Colonnello e dalle sue accuse Pressioni americane dietro il cambio di rotta verso il rais di FRANCESCO BEI ROMA - Stati Uniti, Unione europea, persino la Lega Araba. Tutti contro l'Italia e la sua accondiscenza verso il dittatore libico. Ci sarebbero queste pressioni - oltre alla paura di ritorsioni armate anti-italiane - dietro l'evidente cambio di rotta maturato nelle ultime 48 ore dal governo sulla crisi libica. Con il passaggio di Berlusconi da difensore del principio della non ingerenza ("non voglio disturbare") a paladino del "vento della democrazia". Già al vertice Ue a Bruxelles il ministro Franco Frattini aveva potuto misurare quanto fosse alto il rischio di isolamento dell'Italia dagli altri partner europei. Ma decisivi nel determinare l'inversione a "U" sono stati i colloqui di Frattini con Hillary Clinton e con il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, incontrato al Cairo due giorni fa. Da quegli incontri e dalle numerose "conference call" con Washington e con le capitali europee, il messaggio che arrivava a Berlusconi e al governo italiano era unanime: Roma deve allinearsi, l'equidistanza tra il dittatore e i manifestanti "è inaccettabile". Da qui la svolta, maturata tuttavia con sofferenza e grande prudenza. Tanto che ancora ieri dal premier non è uscita una sola parola di condanna esplicita del Colonnello. Raccontano che il Cavaliere sia rimasto scioccato dalla violenza verbale di Gheddafi. Soprattutto dalle accuse all'Italia - accuse reiterate nonostante la telefonata tra i due - di manovrare dietro gli insorti rifornendoli di armi pesanti. A margine della riunione serale a palazzo Chigi sull'emergenza, Berlusconi ha confessato la sua paura a un ministro: "Dobbiamo stare attenti con Gheddafi, è un pazzo. Ci ha già sparato un missile una volta, non è che ce ne tira un altro contro?". Il ricordo dell'attacco missilistico libico contro Lampedusa (1986) accompagna il premier insieme al timore crescente di ritorsioni contro gli italiani ancora sul posto. "Ci sono diecimila connazionali sparsi tra la Tripolitania e la Cirenaica - confermano preoccupati dalla Farnesina - e meno di mille sono quelli che vogliono rimpatriare". Senza contare che anche gli eventuali rimpatri sarebbero molto difficili da gestire visto che gli aeroporti sono aperti con il contagocce e la marina militare libica ha effettuato un blocco navale dei porti. Insomma, le pressioni internazionali spingono palazzo Chigi a criticare il regime del dittatore ma la Realpolitik e gli interessi nazionali - energia, infrastrutture - tirano dalla parte opposta. Berlusconi inoltre vuole ancora vederci chiaro sullo stato delle cose sul terreno. Non crede alle cifre che circolano sui media arabi circa il numero dei morti. "I servizi segreti - confida uno dei partecipanti al vertice di palazzo Chigi - ancora ieri ci confermavano che la situazione a Tripoli non era così drammatica, anzi. E lo stesso ha detto il nostro ambasciatore". Insomma, se è vero che la Cirenaica è ormai in mano ai rivoltosi, il resto del paese sembra ancora sotto il tallone di Gheddafi. Né gli episodi di diserzione vengono tenuti in così gran conto dalle autorità italiane. "I piloti libici atterrati a Malta - osserva il ministro Ignazio La Russa - hanno dichiarato di essere scappati per non sparare sulla folla. Hanno raccontato cose gravi. Ma questo è normale, tutti i disertori si giustificano con motivazioni simili. Non possiamo basarci solo su questi racconti per muoverci". A motivare la prudenza italiana c'è inoltre la paura per quello che potrebbe accadere in Libia dopo la caduta del regime. È il pericolo di un "salto nel vuoto" che possa condurre a uno Stato islamico confinante di fatto con l'Italia. "Bisogna essere accorti su quello che succederà dopo", ha detto ieri Berlusconi, dando voce alla preoccupazione per l'affermarsi del fondamentalismo islamico in un paese dal quale dipende il 15% cento del gas consumato in Italia. Fiamma Nirenstein, deputata del Pdl molto ascoltata dal premier, aggiunge un'altra considerazione: "Il crollo del regime di Mubarak ha portato all'espansione della sfera d'influenza dell'Iran, testimoniata dal passaggio di due navi da guerra nel canale di Suez. Cosa può succedere in Libia?". Timori che spingono Berlusconi a tenere ancora il freno a mano tirato. (24 febbraio 2011) © Riproduzione riservata da - www.repubblica.it Titolo: FRANCESCO BEI. Grandi manovre sulla giustizia Inserito da: Admin - Marzo 15, 2011, 05:11:57 pm di FRANCESCO BEI Grandi manovre sulla giustizia Come promesso da Alfano, il Pdl si appresta a de-berlusconizzare il disegno di legge sul processo breve, eliminando la norma transitoria che lo avrebbe reso applicabile ai processi in corso (con il risultato di mandare subito in cenere due dei quattro procedimenti a carico del premier: Mills e Mediaset). Il cambio di linea, dovuto anche alle forti perplessità del Quirinale, è evidente. La svolta provoca contraccolpi nell'opposizione. Così il terzo polo si è smarcato da Pd e Italia dei valori. La linea del vertice dei democratici continua ad essere di chiusura. Tuttavia non mancano i distinguo. E' ancora Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze, a compiere lo strappo più eclatante, invitando il suo partito ad andare a vedere le carte del premier sulla riforma della giustizia: "Credo che non ci debbano essere dei pregiudizi ideologici". Anche Beppe Fioroni invoca un cambio di strategia e un profondo rinnovamento nel partito, perché "il capolinea di Berlusconi, in un sistema bipolare, interpella direttamente anche chi ha incarnato e guidato l'antiberlusconismo". Anche il Pdl è alle prese con una difficile crisi interna. Il motore è Claudio Scajola, a capo di una consistente pattuglia di ex forzisti pronti a dar vita a gruppi autonomi in Parlamento. Ad horas ci sarà, dopo quello di sabato scorso, un nuovo faccia a faccia tra Scajola e Berlusconi, ma non è detto che si arrivi a una soluzione definitiva. Nella sua casa di Imperia, l'ex ministro dello Sviluppo attende la risposta del Cavaliere: "Ho passato la giornata a ricevere elettori, ad ascoltare il territorio: in questo modo riesco ad essere sereno. Leggere tutte queste polemiche sui giornali mi fa star male". DA - repubblica.it/politica Titolo: FRANCESCO BEI. Il premier spiazzato dal Quirinale Inserito da: Admin - Marzo 18, 2011, 05:10:36 pm IL RETROSCENA
Il premier spiazzato dal Quirinale "Ha voluto bloccare le nomine" Tensione anche col ministro Tremonti che ha chiesto spiegazioni per gli attacchi subiti. Dubbi di Napolitano anche sulla nomina di Romano, per le accuse di mafia da poco archiviate di FRANCESCO BEI ROMA - Non è andata come doveva andare, qualcosa nel meccanismo del rimpasto si è inceppato. Saverio Romano, come si dice, aveva pronto l'abito per il giuramento al Quirinale. All'hotel Nazionale i suoi amici siciliani avevano preparato un rinfresco per festeggiarlo. Dagli uffici di Giancarlo Galan, il ministro che avrebbe dovuto traslocare dall'Agricoltura ai Beni Culturali, mandavano Sms con questo messaggio: "Alle quattro ce ne andiamo". Invece niente, tutto è saltato. Ora ai piani alti del Pdl raccontano che il problema sia sorto quando il Cavaliere ha provato a forzare la mano al capo dello Stato, portandosi dietro una lista di 25 persone tra ministri, viceministri e sottosegretari. Napolitano, che si aspettava di dover valutare solo le candidature di due ministri, è rimasto di stucco. "Ma quelle nomine ci servono - ha obiettato il premier - altrimenti non riusciamo a garantire la presenza del governo in tutte le commissioni". Insomma, tra il premier che chiedeva un decreto per aumentare i posti al governo e Napolitano che gli spiegava di non poterglielo firmare, è trascorso gran parte dell'incontro. Ma il capo dello Stato, stando ai resoconti che filtrano da palazzo Grazioli, avrebbe anche alzato il sopracciglio a sentire pronunciare il nome di Saverio Romano. Non per il curriculum, ma per le accuse, recentemente archiviate, di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. Il ragionamento sarebbe stato il seguente: siete proprio sicuri su di lui? Non andiamo incontro a un altro caso Brancher? A soffiare sul fuoco ci si sono messi anche i centristi (che hanno il dente avvelenato con Romano), che per tutto il giorno hanno sussurrato agli uomini del Cavaliere di non fidarsi del ministro in pectore. Insomma, la pressione alla fine ha prodotto il patatrac e Romano ora rischia di restare a piedi. Un bel guaio per il premier, visto che al drappello dei Responsabili è legata la sopravvivenza parlamentare del governo. Berlusconi ha dovuto rassicurare personalmente Romano, ricevendolo a palazzo Grazioli: "Saverio, ti giuro che mercoledì andiamo al Quirinale e ti facciamo ministro insieme agli altri". Ma non c'è solo il problema del Pd. Anche il trasloco di Paolo Bonaiuti al ministero delle politiche comunitarie si potrebbe inceppare. Questa volta il problema sarebbe quello di trovare un valido sostituito come portavoce e sottosegretario all'editoria. Sembra che un pensierino ce l'abbia fatto Daniela Santanché, ma il felpato Gianni Letta - che negli anni ha trovato un modus vivendi con Bonaiuti - non vedrebbe di buon occhio l'arrivo della "turbo-Santa" come vicina di stanza a palazzo Chigi. L'ultima idea è dunque quella lasciare Bonaiuti al suo posto e di trasferire il ministero che fu di Ronchi dentro la Farnesina, nominando su quella poltrona un viceministro. Claudio Scajola per esempio, visto che l'offerta di Denis Verdini di occuparsi del tesseramento del Pdl è stata respinta al mittente dall'interessato: "Perché adesso abbiamo dei tesserati?". E tuttavia questi cactus sembrano graziosi bonsai in confronto al vero conflitto che sta impegnando in questi giorni Berlusconi, quello con Giulio Tremonti. Il ministro dell'Economia si sente sotto assedio e vede lo zampino del Cavaliere negli attacchi che gli arrivano da tutte le parti. E proprio per rompere l'accerchiamento ieri ha chiesto un incontro al Cavaliere. Il faccia a faccia è stato teso, Tremonti pretende che Berlusconi lo difenda dagli assalti dei colleghi e dai colpi bassi della stampa amica, dal Foglio al Giornale. Anche Berlusconi però ha battuto i pugni sul tavolo: "Sui fondi alla polizia io c'ho messo la faccia, i soldi li devi trovare". Il tira e molla è andato avanti anche sul ripristino di qualche soldino per i Beni culturali. Così Tremonti se ne è andato lasciando sul tavolo un assegno di 200 milioni per rimpinguare il Fus. (17 marzo 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/03/17/news/il_premier_spiazzato_dal_quirinale_ha_voluto_bloccare_le_nomine-13707931/?ref=HRER2-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi: "Senza questa scelta il governo va in crisi" Inserito da: Admin - Marzo 24, 2011, 05:46:56 pm IL RETROSCENA
Gelo tra Napolitano e il premier sui "guai" giudiziari del neoministro Il capo dello Stato aveva già espresso le sue perplessità su Romano. Berlusconi: "Senza questa scelta il governo va in crisi" di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO ROMA - "Presidente, mi assumo io la responsabilità politica della proposta: questa nomina è necessaria per l'equilibrio e la stabilità del governo". Silvio Berlusconi ha deciso di forzare la mano a Napolitano. Così, in un teso colloquio alla presenza di Gianni Letta, mentre fuori dalla porta aspetta trepidante Saverio Romano accompagnato dalla moglie e dal figlio dicianovenne, si consuma l'ultimo strappo tra palazzo Chigi e il Quirinale. Perché Napolitano non si dà affatto per vinto, anzi ci tiene a ribadire che le sue "perplessità politico-istituzionali" restano intatte, esattamente come erano state già comunicate nei giorni scorsi a Palazzo Chigi. È infatti da tempo, almeno dalla visita del premier al Colle di una settimana, che va avanti questo braccio di ferro sotterraneo sul nome del ministro dell'Agricoltura. Una nomina che Napolitano ritiene quantomeno inopportuna finché non si sarà definitivamente chiarita la posizione del politico siciliano davanti al Gip. Ma per Berlusconi il tempo stringe. I Responsabili, dilaniati al loro interno su chi deve andare al governo e chi resterà a bocca asciutta, su una cosa sono invece tutti d'accordo: il premier deve accettarli al tavolo, altrimenti lo faranno saltare. A cominciare dalla giustizia, il terreno scelto per le azioni di guerriglia. Il Cavaliere sa di avere il coltello alla gola: a Montecitorio ieri si votava in giunta sul conflitto d'attribuzione e tra poco dovrà pronunciarsi l'Aula. I Responsabili, come si è visto, sono determinanti. Così come sull'emendamento Paniz sulla prescrizione breve, che salverà Berlusconi da una condanna al processo Mills. Non c'è più tempo per esitazioni e per dare ascolto ai richiami del Colle alla "prudenza". Il Cavaliere vede a rischio la stessa tenuta della maggioranza e, con questa minaccia, si presenta al Quirinale: "Senza la nomina di Romano non posso escludere una crisi di governo". È una forzatura evidente, perché non è il Colle a dover risolvere i problemi della maggioranza. "I decreti di nomina dei ministri - si fa notare al Quirinale - si firmano valutandone tutti i requisiti". Quello di Berlusconi è un diktat per mettere Napolitano con le spalle al muro: ingoiare il rospo Romano per evitare le elezioni. Il capo dello Stato non può che prendere atto della decisione del Cavaliere di andare avanti comunque ma, poco prima di entrare nella sala della Pendola per il giuramento del neo-ministro, annuncia al premier e a Letta l'intenzione di rendere pubbliche le sue riserve. È l'ultima carta che gli resta in mano. Come promesso, l'inchiostro del decreto di nomina non si è ancora asciugato che già le agenzie di stampa battono i flash sul comunicato del Quirinale. Lasciando solo al premier il peso di una scelta ritenuta azzardata. Perché spingersi fino a rifiutare la nomina, come pretendevano i dipietristi (e anche molti del Pd e di Fli, pur senza dirlo apertamente), non è stato ritenuto possibile. Già la scelta di formalizzare le proprie obiezioni in una nota pubblica è stata una decisione sofferta, ma dal Colle si fa presente che non sussistevano le ragioni giuridiche e formali per arrivare ad una aperta rottura istituzionale con il governo. Dal Quirinale erano comunque partiti diversi segnali di grande preoccupazione indirizzati a Palazzo Chigi sui procedimenti aperti. Tanto da spingere Saverio Romano al contropiede: lunedì ha fatto arrivare a Gianni Letta tutto il fascicolo giudiziario che lo riguarda. Un faldone che deve aver soddisfatto il sottosegretario, che infatti ha provveduto a inviarlo a Donato Marra, il segretario generale del Quirinale, accompagnandolo da una nota autografa. Come a dire: per noi è pulito. Anche Berlusconi, pressato da Alfano e Schifani, due grandi sponsor del neo ministro, garantiva che "tutti i casi sono chiusi. Su Romano non c'è nulla". Il clima rilassato della cerimonia del giuramento deve poi aver convinto i presenti che l'annuncio di Napolitano - renderò pubbliche le mie perplessità - forse non andava preso alla lettera. Il capo dello Stato tratta amabilmente il neoministro e la moglie, indica il figlio e si lascia andare a una battuta: "Che giovanotto, è più alto di lei!". Cortesie umane, scambiate da Berlusconi e Romano per un'accettazione della nomina. E invece no, dopo poco arriva la doccia fredda. Ora, dopo il blitz e la rampogna del Quirinale, Berlusconi mastica amaro. "Siamo diventati una repubblica presidenziale - si lamenta il premier con i fedelissimi - ormai Napolitano ci mette sotto tutela". Eppure non una parola viene pronunciata contro Napolitano, né dal Cavaliere né dai suoi, nonostante l'ira consumata in privato. "Non possiamo andare allo scontro totale con il Quirinale - spiega il premier - altrimenti offriamo il pretesto a Fini e Casini per buttarsi nelle braccia del Pd e lanciare la Santa Alleanza contro il sottoscritto". (24 marzo 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica Titolo: FRANCESCO BEI. Pennacchi ritorna fasciocomunista "Voglio lanciare una lista ... Inserito da: Admin - Aprile 01, 2011, 10:28:50 pm IL PERSONAGGIO Pennacchi ritorna fasciocomunista "Voglio lanciare una lista con Fli a Latina" La proposta del premio Strega ai finiani: corriamo insieme ma a sostegno del candidato di centrosinistra di FRANCESCO BEI Pennacchi ritorna fasciocomunista "Voglio lanciare una lista con Fli a Latina" Antonio Pennacchi alla consegna del premio Strega ROMA - Da una parte Latina-Littoria, luogo dell'anima per la destra post-fascista che si riconosce in Gianfranco Fini. Dall'altra uno scrittore, che nella città pontina ha le sue radici e nelle terre bonificate dal Duce ha ambientato il suo capolavoro: "Canale Mussolini", premio Strega 2010. Antonio Pennacchi e Fli si sono annusati e si sono piaciuti: alle prossime elezioni comunali l'alchimia produrrà una "lista Pennacchi-Fli per Latina". La scintilla è scoppiata la scorsa estate, quando al Lido di Venezia Fabio Granata, il pasdaran di Fli, si è presentato nella sala dove si svolgeva la premiazione del libro. Pennacchi, da lontano, ha iniziato a indicarlo ad alta voce: "Ecco un vero fasciocomunista!". La sera erano già insieme al ristorante. Da lì è stato un susseguirsi di incontri clandestini. Da una parte Pennacchi, dall'altra i finiani Granata, ma anche Flavia Perina e Antonio Buonfiglio. Fitti conciliaboli, discussioni sul "patriottismo repubblicano". Il Secolo d'Italia, il 17 marzo, giorno dell'Unità nazionale, affida proprio allo scrittore di Latina l'editoriale di prima pagina. Un mese fa il faccia a faccia più importante, quello tra Pennacchi e il presidente della Camera. Giurano che nell'incontro non si sia parlato di candidature ma solo di cultura. Sta di fatto che il prossimo maggio, a Latina, l'autore di "Il fasciocomunista" (dal romanzo è stato poi tratto il film "Mio fratello è figlio unico" con Scamarcio) potrebbe impegnarsi in prima persona per la lista di Fini. E qui, tuttavia, iniziano anche i problemi. Perché Pennacchi è uno scrittore ed è anche di sinistra (con trascorsi giovanili nel Msi prima della conversione marxista in "Servire il Popolo"). Non gli piacciono i calcoli terzopolisti dei finiani, che non vogliono essere accusati da Berlusconi di essersi alleati con il Pd. Ma è proprio questa l'idea di Pennacchi: "È vero, sto lavorando per costituire la lista Fli a Latina. Che potrebbe, se loro me lo chiedono, anche chiamarsi Lista Pennacchi-Fli. Ma ovviamente in appoggio al candidato sindaco di centrosinistra", cioè il pd Claudio Moscardelli. Ora, bisogna dire che a Latina il Pdl è da tempo dilaniato dal lotte intestine e scandali. E quelli del Fli sperano di raccogliere molti delusi del centrodestra. Ma lo scrittore non la pensa così: "I tatticismi non mi piacciono, è tempo di andare oltre questi "gestaltisti", bisogna superare le vecchie forme che tengono ingessato il paese". Guardare indietro per andare avanti: "I vecchi schieramenti sono saltati, destra e sinistra non hanno più senso. L'unica differenza è tra chi pensa all'interesse generale, tra chi ha senso dello Stato, e chi, come Berlusconi, pensa solo ai fatti propri. E i fascisti avevano eccome il senso dello Stato". Ecco l'appello dello scrittore: "È ora che i fasci veri tornino a casa, tornino a sinistra, superando la frattura del 1914. I fascisti tornino a San Sepolcro!" (01 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/01/news/ Titolo: FRANCESCO BEI. L'ira del Cavaliere sul Colle "Non mi butteranno giù" Inserito da: Admin - Aprile 02, 2011, 06:14:40 pm IL RETROSCENA
L'ira del Cavaliere sul Colle "Non mi butteranno giù" Il premier sospetta di Napolitano e sfida Luca Cordero: "Qualcuno spera a nuove idi di marzo anche se siamo già ad aprile" di FRANCESCO BEI SI ADDENSANO nuvole nere sopra Palazzo Grazioli. Non ci fossero a sufficienza problemi, dalla guerra in Libia allo «tsunami umano» dalla Tunisia, è dal fronte interno che il Cavaliere vede arrivare i nemici più insidiosi per il suo governo. L´ultimo è Luca Cordero di Montezemolo, che ai suoi confida di aver rotto gli indugi e di essere pronto «a scendere in campo non appena il campo ci sarà: alle prossime elezioni politiche». Insomma, Silvio Berlusconi si sente di nuovo accerchiato. "Sono i soliti rumori di fondo - minimizza il sottosegretario Andrea Augello, che ieri lo è andato a trovare - ma, se evitiamo di farci male da soli, andrà tutto bene". E tuttavia al premier non è affatto piaciuta l'iniziativa di Napolitano di convocare per chiarimenti al Quirinale tutti i capigruppo di Camera e Senato, "dando così l'impressione che fossimo vicini a una crisi di governo". Rivelatrice la battuta pronunciata dal Cavaliere nel corso di uno dei numerosi incontri di ieri a via del Plebiscito: "Anche se siamo già ad aprile questi sperano di nuovo nelle idi di marzo". Poi, come a esorcizzare il pericolo mortale, buttandola a ridere: "Si illudono se sperano di farmi fuori. Più insistono e più vado avanti con il bunga bunga". Eppure il ghiaccio su cui il Cavaliere sta pattinando si fa sempre più sottile. Lo dimostra proprio la procedura eccezionale messa in atto dal capo dello Stato appena sbarcato da New York. Delle consultazioni informali durante le quali tutti i "convocati" hanno confermato al Presidente le incognite e i dubbi che serpeggiano sulla durata della legislatura. Non c'è solo Montezemolo infatti. Anche Pier Ferdinando Casini è tornato a parlare di elezioni anticipate e di "un governo diverso, per cui è necessario uno sforzo di unità nazionale". E anche se al momento non si vedono i segnali di una crisi imminente, il caos che regna in Parlamento costituisce il brodo di coltura perfetto per ogni tipo di soluzione. Non a caso a uno dei capigruppo ricevuti al Quirinale, Napolitano ha consegnato una frase sibillina, che suona come un ammonimento: vediamo cosa combinano la prossima settimana. Per questo il Cavaliere ha iniziato a studiare le contromisure. Anzitutto "l'imperativo categorico" è pacificare il partito di maggioranza, dilaniato dalla guerra tra ex forzisti ed ex-aenne. Come dice Gaetano Quagliariello, "dobbiamo imporre una "no-FLI-zone" e non imitare dinamiche rivelatesi fallimentari". Un rimprovero rivolto anzitutto a Claudio Scajola, tentato da una scissione in chiave azzurra. Ma è sulle amministrative di maggio che Berlusconi cerca la sua rivincita e prova a costruire quel pilastro su cui poggiare i prossimi 24 mesi di legislatura. "Ci basta strappare alla sinistra qualche città - ha spiegato il premier - per poter dire che abbiamo vinto. Così vanificheremo qualsiasi tentativo di ribaltone. In giro per il mondo, dal Canada alla Francia, per non parlare del disastro della Merkel, chi sta al governo perde le elezioni. Noi invece le vinceremo". A quel punto, prosegue il ragionamento, "nessuno potrà più aprire bocca, dovranno tutti rassegnarsi al fatto che il governo andrà avanti fino alla fine". Per Berlusconi infatti scavallare maggio significa già proiettarsi nel 2012 e, a quel punto, non ci saranno più ostacoli fino alla scadenza naturale della legislatura. "Ma - è il suo timore - se invece le amministrative vanno male, allora proveranno ancora a farmi fuori". Intanto, già dalla prossima settimana, i reclutatori del Pdl prevedono altri 2 o 3 arrivi in maggioranza. "Se arriviamo a 330 voti alla Camera - ragiona una delle teste d'uovo di palazzo Grazioli - voglio proprio vedere Napolitano come farà a sciogliere le Camere, ammesso che lo voglia". Ma dal Quirinale in questi giorni filtra un certo scetticismo su questi numeri, visto che finora, nelle votazioni calde, la maggioranza si è sempre fermata intorno a 304-305. In ogni caso, a Berlusconi in questa fase conviene fare buon viso a cattivo gioco. E dare l'impressione di condividere l'inquietudine del Colle per l'eccesso di rissosità in Parlamento. "Noi siamo una forza di governo - spiega il ministro Gelmini - e dunque siamo i primi ad essere svantaggiati dalla lite continua. Quello è il terreno di gioco ideale dell'opposizione". (02 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/02/news/ Titolo: FRANCESCO BEI. Maroni minaccia le dimissioni Inserito da: Admin - Aprile 09, 2011, 12:23:14 pm IL RETROSCENA
Maroni minaccia le dimissioni Bossi lo rincuora: "La Lega è con te" Lo sfogo dopo i malumori della base del Carroccio: "Il partito mi deve difendere". Il ministro rivendica l'intesa con Parigi: "Non può fermare i profughi". Vertice nella sede di via Bellerio, presente anche Calderoli. La tregua dopo due ore. "La reazione dei tedeschi dimostra che i francesi hanno accolto le nostre tesi" di FRANCESCO BEI ROMA - Bobo Maroni non ci sta. Stanco di essere preso a bersaglio dell'ira e della delusione dei militanti della Lega, sbeffeggiato persino sulle frequenze di Radio Padania, il ministro dell'Interno l'ha messa giù dura. "Per fare questo lavoro - è stato il suo sfogo - devo sentire il mio partito dietro di me. Altrimenti, se pensano che un altro possa fare meglio, io ci metto un minuto a fare le valigie". La prospettiva delle dimissioni fa scattare l'allarme rosso nel Carroccio. Il ministro dell'Interno pretende il sostegno esplicito e visibile della Lega, senza più distinguo. Non vuole essere lasciato solo a rappresentare la faccia istituzionale e di governo del movimento, mentre tutti gli altri - a partire dal capo - gridano "fora di ball". Umberto Bossi capisce che la situazione è al limite. E convoca direttamente Maroni per un chiarimento a via Bellerio, alla presenza dell'altro colonnello leghista, l'eterno rivale Roberto Calderoli. Dopo oltre due ore di vertice, durante il quale il titolare del Viminale spiega nel dettaglio l'intesa raggiunta con la Francia sui permessi temporanei di soggiorno, alla fine viene siglata una tregua interna. "Piena intesa sull'immigrazione", dicono i leghisti all'Ansa dopo il vertice. E la minaccia di dimissioni di Maroni rientra. Il ministro è infatti soddisfatto per quanto ritiene di aver strappato al collega francese Gueant. A quelli che gli fanno notare che la Francia ha evitato di impegnarsi sull'accoglimento dei tunisini in possesso di un permesso di soggiorno italiano, Maroni risponde invitando a guardare la Germania. "La reazione rabbiosa dei tedeschi - confida ai suoi - è la migliore dimostrazione che la Francia ha accolto le nostre tesi. Per questo la Germania si fa sentire, è tutta tattica". Il ministro dell'Interno telefona poi a Berlusconi (impegnato in quel momento con Gianfranco Rotondi a palazzo Grazioli) e gli racconta il succo del vertice con i francesi alla prefettura di Milano: "La Francia - dice - conferma che il nostro provvedimento rispetta il trattato di Schengen. Se poi quelli che entrano in Francia non rispondono ai requisiti, loro non possono bloccarli alla frontiera come hanno fatto finora. Devono chiedere a noi la riammissione". È un punto cruciale quello dei requisiti necessari a passare la frontiera di Ventimiglia. Fino a ieri l'ordine di Sarkozy ai prefetti era stato quello di non accontentarsi del "papier" concesso dall'Italia ai clandestini, ma di pretendere documenti e risorse finanziarie per sostenere il soggiorno in Francia. Secondo Maroni tutto questo è alle spalle. "Se un tunisino dichiara di voler andare a trovare il fratello a Parigi e dimostra di avere i documenti, il permesso elettronico e i soldi per il biglietto, nessuno lo può fermare. Se ha il permesso elettronico può girare nell'area Schengen liberamente". Altrimenti - e questa è la previsione ma anche la minaccia italiana in vista del prossimo consiglio europeo - "se si ricomincia a mettere su le frontiere e questo vale solo per gli essere umani e non per le speculazioni finanziarie o le scalate societarie, allora è chiaro che salta tutto". Anche gli uomini di Berlusconi condividono l'approccio di Maroni. E persino il capo dello Stato, da Budapest, ieri ha offerto una copertura alle richieste politiche del governo italiano all'Europa. "Da questa situazione - spiega Gaetano Quagliariello - o se ne esce con una linea che porta l'Europa a partecipare pienamente oppure salta Schengen. Non è una sconfitta dell'Italia, è il fallimento dell'idea stessa di Europa unita". Berlusconi intanto si sta preparando al vertice del 26 aprile con il capo dello Stato francese. E mostra una certa comprensione per il collega transalpino: "Sarkozy, poveretto, alle presidenziali deve vedersela con la figlia di Le Pen. È costretto a fare la voce grossa, ma vedrete che si risolverà tutto". L'ordine insomma è stato quello di smetterla con gli attacchi a Parigi. Piuttosto ora l'Italia punta a giocare di sponda con Sarkozy per ottenere dall'Ue quel sostegno che finora è mancato. E soprattutto l'attivazione della clausola di solidarietà che consentirebbe di spalmare i migranti su tutti i 27 membri dell'Unione. (09 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/09/news/ Titolo: FRANCESCO BEI. Cene di corrente e pugnalate il Pdl sull'orlo dell'abisso Inserito da: Admin - Aprile 11, 2011, 08:41:46 pm IL RETROSCENA
Cene di corrente e pugnalate il Pdl sull'orlo dell'abisso Berlusconi da Arcore: "Basta liti, io sono ancora qui. Non è il mio funerale". Ma è già partita la corsa alla successione e l'unico vero rivale appare Tremonti. E otto ministri al Majestic mettono nel mirino il ministro dell'Economia di FRANCESCO BEI Il Pdl è un barcone alla deriva. Gianfranco Micciché lo ha compreso prima di altri. E oggi Micciché si prende il lusso della rivincita su chi sghignazzava sulla "scialuppa senza futuro" di Forza del Sud: "Le scialuppe si mettono a mare quando la nave sta per affondare". I segnali di crisi si moltiplicano. Basta un niente, una cena segreta di ministri forzisti in hotel romano, come quella di giovedì scorso, per provocare reazioni a catena sempre più forti. Ieri da Arcore, riecheggiando un editoriale molto esplicito di Giuliano Ferrara sul Giornale, Silvio Berlusconi ha mandato a tutti un chiaro segnale di insofferenza: "Basta con queste liti. Io sono ancora qua, a battermi come un leone, e c'è chi pensa già al mio funerale. Ma si illudono". Perché è chiaro che, al di là delle baruffe chiozzotte tra ex forzisti ed ex colonnelli di An, al fondo della questione c'è la grande corsa per posizionarsi nel dopo-Berlusconi. È questo il male oscuro che sta corrodendo il Pdl dall'interno. I quotidiani d'area hanno già fiutato il problema. "Berlusconi è bollito?", si è chiesto Libero. E Feltri, pur proclamandone l'insostituibilità, ha impietosamente definito ieri il caro leader come "stanco", "provato", "rintronato". Un battitore libero come Giancarlo Lehner, prestato dal Pdl ai responsabili, evoca addirittura "un 25 luglio, fissato a mercoledì prossimo, ad opera, questa volta, di imbecilli organizzati dentro il Popolo della libertà". È vero che proprio per mercoledì, giornata in cui alla Camera è atteso il voto finale sul processo breve, un irrequieto Claudio Scajola ha fissato una cena romana con tutti i suoi seguaci (una quarantina). Ma difficilmente la pugnalata finale arriverà dal politico ligure. Amareggiato per essere tenuto ancora fuori dalla porta, Scajola ieri ha confidato a un amico la sua delusione: "Contro di me si è scatenata la P4". Aggiungendo comunque di non voler "creare problemi a Berlusconi" e smentendo le voci di un suo imminente passaggio al terzo polo. Il movimento più clamoroso in corso è quello dei ministri di area forzista. Nella saletta dell'hotel Majestic c'erano quasi tutti, su invito di Paolo Romani, da Alfano a Frattini, da Prestigiacomo alla Gelmini, e poi Fazio, Carfagna, Fitto. Da un antipasto contro gli ex An, soprattutto contro La Russa, gli otto sono passati rapidamente al vero scopo della serata, l'attacco studiato a tavolino contro Giulio Tremonti. Raccontano che a spronarli di nascosto sia stato lo stesso Cavaliere, sempre più impaziente di ottenere dal ministro dell'Economia quella riforma fiscale che sembra perduta nei cassetti di via XX Settembre. Berlusconi sente che la benzina del governo è agli sgoccioli, ha bisogno come l'aria di un provvedimento che ridia al Parlamento qualcosa su cui discutere per i prossimi due anni. Al di là delle leggi sulla giustizia. "Alfano - spiega uno dei ministri non invitati alla cena - non muove un passo senza averne prima informato il premier. È ridicolo pensare che abbia partecipato a un'iniziativa di corrente senza prima averne ricevuto l'assenso da Berlusconi". Insomma, il Cavaliere starebbe organizzando i suoi come massa di manovra contro l'unico vero rivale in campo per la successione: Giulio Tremonti. Berlusconi in privato ha promesso che, prima delle amministrative, la legge delega sulla riforma del fisco dovrà arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri. E su questo non transige. L'irritazione dei confronti di Tremonti è cresciuta anche per le recenti nomine nelle aziende pubbliche. "La Lega e il ministro dell'Economia - osserva uno degli uomini del premier - hanno preso tutto, hanno vinto a manbassa. A Berlusconi hanno lasciato la nomina di Maria Grazia Siliquini nel Cda delle Poste". L'ira del premier contro titolare dell'Economia è condivisa da molti dei suoi ministri. "Ormai - si è lamentato Alfano alla cena del Majestic - a me Tremonti nemmeno mi saluta più". Che non siano stati gli ex An l'oggetto della cena dei ministri forzisti lo spiega con un certa ruvidezza la stessa presunta vittima del complotto, Ignazio La Russa. "Posso solo dirle - confida - che so per certo che non ce l'hanno con noi. Nei manuali di tattica militare si chiama "falso scopo", è quando vuoi attaccare un obiettivo e fai credere al nemico di puntare qualcos'altro. Sbaglia chi se la prende con noi, anche perché non siamo in gara per il dopo-Berlusconi, che oltretutto ci sarà fra vent'anni. Anzi, dico di più: siamo proprio noi ex An il collante di questo partito". La Russa non ci sta a fare il capro espiatorio delle divisioni altrui. Ma l'era del triumvirato a via dell'Umiltà ormai è alla fine. (11 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/11/news Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi ordina battaglia "Napolitano fa finta di nulla" Inserito da: Admin - Aprile 22, 2011, 05:33:03 pm IL RETROSCENA
Berlusconi ordina battaglia "Napolitano fa finta di nulla" Il premier con i suoi critica la Moratti sui manifesti anti pm: "E' stata ingenuna". A vuoto gli inviti alla moderazione di Letta. "In guerra si risponde colpo su colpo" di FRANCESCO BEI ROMA - Tenere Giorgio Napolitano sotto pressione. Puntare il dito contro il Quirinale, accusarlo di partigianeria, per rendergli politicamente molto oneroso l'eventuale rigetto della legge sul processo breve. C'è questo nella strategia di Silvio Berlusconi, nonostante ieri, con i suoi, abbia scherzato sulla provocazione del deputato marchigiano (cambiare l'articolo 1 della Carta) chiedendo chi ne fosse l'autore: "Ceroni chi? Il famoso costituzionalista?". Ma la vicenda di Roberto Lassini, l'aspirante consigliere comunale di Milano inchiodato per i manifesti anti-pm, ha confermato nel Cavaliere tutti i pregiudizi coltivati nei confronti del capo dello Stato. E non a caso, nel lungo vertice di palazzo Grazioli con coordinatori e capigruppo, è stata ieri di nuovo Letizia Moratti a scatenare la rabbia del premier. Colpevole il sindaco di essersi fatta portavoce della denuncia di Napolitano contro "uno dei nostri", "ingenua" per essersi irrigidita fino a minacciare le dimissioni, "irresponsabile" per aver fatto segnare un gol agli avversari. Sull'altro piatto c'era invece la soddisfazione per la puntata di Radio Londra di Ferrara, lodato dal premier per aver detto al presidente della Repubblica "con pacatezza ma senza sconti quello che andava detto". E non c'è soltanto Ferrara: tutti i media berlusconiani hanno infatti spostato immediatamente le batterie contro il Quirinale. Napolitano, scriveva ieri il Giornale, "avrebbe dovuto pretendere le dimissioni del segretario dell'Anm". Così, nonostante il solito Gianni Letta abbia predicato invano moderazione, arrivando a suggerire un incontro tra Berlusconi e Napolitano la prossima settimana (il pretesto sarebbe il rimpastino dei sottosegretari), la richiesta per ora non è partita. "Il capo dello Stato fa finta di niente - si lamenta il Cavaliere - ma io non riesco più a governare. Continuano a processarmi per cose ridicole, vorrebbero che mi occupassi solo di questo. È una guerra e l'unico modo per farla finire è approvare la riforma della giustizia". Il calendario immaginato da Angelino Alfano prevede un primo esame della riforma costituzionale entro l'estate, anche se ieri si è preso atto che difficilmente questo "timing" potrà essere rispettato. A Montecitorio il centrodestra vuole infatti spingere subito sul biotestamento, usando strumentalmente la legge per spaccare il Terzo polo isolando il "laicista" Fini. Ma è sempre la giustizia la priorità per il Cavaliere. Ieri è filtrata la notizia che il governo solleverà conflitto d'attribuzione davanti la Corte costituzionale contro la decisione dei giudici di Milano del processo Mediaset che non riconobbero il legittimo impedimento chiesto da Ghedini e Longo. Una mossa apparentemente a lunga gittata, studiata invece a tavolino per bloccare immediatamente il processo milanese. A palazzo Madama i capigruppo della maggioranza aspettano infatti solo il voto delle amministrative per inserire nel calendario d'aula la legge sul processo-lungo. È quello il veicolo che inoculerà nel palazzo di giustizia di Milano l'ultima "poison pill" immaginata da Ghedini: la sospensione dei procedimenti in ogni caso in cui venga sollevato un conflitto davanti alla Corte costituzionale. Con le regole attuali i giudici possono infatti proseguire nel dibattimento, fermandosi solo sulla soglia del giudizio. Se a giugno sarà approvata la nuova legge, benché solo in un ramo del Parlamento, il Pdl inizierà a reclamare dai magistrati il rispetto della volontà del legislatore, pretendendo che si fermi all'istante il processo Mediaset. Fino alla decisione, inevitabilmente lunga, della Consulta. A questo serve dunque il conflitto d'attribuzione che palazzo Chigi ha sollevato ieri: piantare il chiodo al quale appendere domani la richiesta di congelare il processo a Berlusconi. Questo conflitto aspro con la magistratura non convince tuttavia i capi del Pdl - e non solo Letta e il Carroccio - alcuni dei quali iniziano ora a temere un effetto boomerang sulle amministrative. Una freddezza che il Cavaliere, al netto della posizione della Moratti, deve aver avvertito se è vero che ha concluso la riunione di palazzo Grazioli con una frase sibillina: "La verità è che sono in guerra perenne con i magistrati e non tutti l'hanno capito. O facciamo la riforma o sarà un fallimento". (21 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/21/news Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi e il pressing di Obama "A Bossi glielo spiego io" Inserito da: Admin - Aprile 26, 2011, 05:34:06 pm LIBIA
Berlusconi e il pressing di Obama "A Bossi glielo spiego io" Il Cavaliere dopo il colloquio telefonico con il capo della Casa Bianca. "Dirò a Umberto che non potevamo più tirarci indietro". Il premier avrebbe voluto schierare gli aerei senza pilota, ma sono schierati in Afghanistan. La decisione italiana potrebbe aiutare il governo nella trattativa con la Francia di FRANCESCO BEI "A BOSSI spiegherò che non potevamo più tirarci indietro. Ma non cambia nulla nella nostra missione, attaccheremo solo carri armati e postazioni di artiglieria". Grande è l'imbarazzo del premier. Il presidente del Consiglio è alle prese con un cambiamento di linea reso ancor più clamoroso dallo strappo del Carroccio. Eppure anche stavolta il Cavaliere è convinto di poter ricondurre a più miti consigli l'alleato: "Mi hanno spiegato - ha riferito il Cavaliere a chi lo ha cercato ieri in Sardegna - che non occorre un nuovo voto del Parlamento, dunque non ci sarà nessuna spaccatura tra noi e la Lega come spera l'opposizione". Eppure il premier resta molto preoccupato per una escalation che, fino all'ultimo, ha tentato di evitare. Del resto era stato lui stesso, non più tardi di dieci giorni fa, a far presente che "considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale non sarebbe comprensibile un maggior impegno militare". Quando invece ha compreso che sarebbe stato impossibile resistere alle pressioni congiunte della Nato, degli americani, degli inglesi e dei francesi, Berlusconi ha provato a chiedere che fossero impiegati per i bombardamenti italiani solo droni senza equipaggio, per evitare almeno un altro caso Cocciolone. "Pensate - ha detto- cosa potrebbe accadere se un pilota italiano finisse in mano ai libici?". Purtroppo dalla Difesa gli hanno fatto presente che i sei Predator acquistati dall'Italia servono adesso in Afghanistan e non possono essere schierati in breve tempo in un altro teatro operativo. Se c'è un lato positivo della vicenda è che a palazzo Chigi ora sono convinti di aver calato una carta importante nella trattativa in corso con i francesi, potendo discutere da pari a pari. Il futuro della guerra in Libia è infatti, insieme all'immigrazione, il piatto più importante al vertice bilaterale che vedrà impegnati questa mattina a villa Madama il presidente francese Sarkozy, Berlusconi e i ministri degli Esteri, dell'Interno e dell'Economia dei due paesi. E, non a caso, il documento congiunto che tratta del nord-africa è quello su cui si sono registrati meno disaccordi. Italia e Francia rilanceranno il "partenariato globale" con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, chiederanno che la Banca europea degli investimenti aumenti le linee di credito (si parla di nuovi impegni per dieci miliardi di euro), invocheranno dall'Ue un incremento degli investimenti bilaterali nei singoli paesi, punteranno sullo sviluppo delle piccole e medie imprese nel Maghreb. "Il nostro obiettivo - spiega il ministro Frattini - è rafforzare un interesse comune italo-francese ad avere più Europa e non meno Europa, in tutte le direzioni. Questo sarà lo spirito della lettera che Berlusconi e Sarkozy firmeranno insieme e invieranno al Van Rompuy e Barroso". Poi, ma questo non avrà spazio nel comunicato ufficiale, è chiaro che si parlerà soprattutto dell'andamento della guerra e di come risolvere il problema di Gheddafi, del congelamento degli asset della Libia e della vendita del petrolio nei giacimenti finiti sotto il controllo del Cnt. Il 5 maggio alla Farnesina si troveranno infatti le trenta delegazioni estere del gruppo di contatto sulla Libia, dai membri del consiglio di sicurezza dell'Onu alla Lega Araba, l'Unione Africana, la Nato. Un foro per discutere l'uscita di scena del Raiss e l'eventuale salvacondotto che gli apra le porte per l'esilio. L'altro grande problema da affrontare oggi a villa Madama è quello dell'immigrazione dalla Tunisia, che ha visto fino a ieri Francia e Italia divise e su fronti opposti. Palazzo Chigi parla di una "schiarita" nei rapporti e si spera molto nel sì di Sarkozy a un "tavolo tecnico bilaterale" per studiare il problema di Schengen. Insomma, Roma e Parigi potrebbero preparare una proposta congiunta sulla revisione della governance di Schengen, da portare alla riunione del 4 maggio della commissione europea. Per poi farla approvare dal Consiglio europeo che si terrà a fine giugno. La Francia l'ha spuntata e nel documento si parlerà esplicitamente di un "ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere in casi eccezionali", ma gli italiani avrebbero fatto aggiungere la postilla "secondo le modalità che dovranno essere studiate". Insomma, il braccio di ferro è solo rimandato. (26 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/esteri/2011/04/26/news Titolo: FRANCESCO BEI. La rabbia del Carroccio dopo il vertice ... Inserito da: Admin - Aprile 27, 2011, 02:50:32 pm IL RETROSCENA
La rabbia del Carroccio dopo il vertice "Silvio la smetta di prenderci in giro" Telefonata agitata tra il Cavaliere e il Senatùr. Il premier rassicura: "Umberto fa così per prendere voti". Ma sui raid contro Gheddafi è in subbuglio anche l'ala cattolica del Pdl. E in serata anche l'amarezza di Tremonti di FRANCESCO BEI e ANDREA MONTANARI ROMA - Berlusconi e Bossi si sono già parlati ieri mattina, prima che iniziasse il vertice italo-francese. Una telefonata non proprio amichevole, con al centro le nuove regole d'ingaggio dei piloti italiani in Libia, che non ha portato ad alcuna schiarita. Tanto che ai ministri presenti a villa Madama il premier si è sentito in obbligo di fornire una rassicurazione: "Tranquilli, tra stasera e domani ci riparlo, cercherò di spiegargli bene la cosa. Umberto fa così per prendere voti, ma capirà". Il fatto è che stavolta Bossi ha capito benissimo e non sta al gioco del "tutto a posto" con cui il Cavaliere ha provato a disinnescare la polemica interna alla maggioranza. In via Bellerio tutto lo stato maggiore della Lega è in fibrillazione e non c'è solo la questione della Libia, visto che viene criticata la linea di "totale sudditanza" di Berlusconi a Sarkozy anche sul dossier Lactalis-Parmalat, sull'energia, sull'immigrazione. Quando nel pomeriggio di ieri le agenzie hanno battuto le dichiarazioni rassicuranti del premier, al Senatùr è andato di traverso il Garibaldi che stava fumando nel suo ufficio. Con Bossi c'era il ministro Calderoli, che lunedì sera aveva appreso solo dal comunicato del presidente del Consiglio la novità dei bombardamenti in Libia. Decisamente troppo. Così nella Lega ora ricordano che, durante l'ultimo consiglio dei ministri, era stato proprio Calderoli a chiedere di intervenire dopo che La Russa aveva annunciato che i nostri aerei avrebbero dovuto non solo "accecare i radar", ma anche "prepararsi a bombardare i siti militari di Gheddafi". Ma era stato proprio Berlusconi a prendere la parola per smentire tutto. La Lega ora si aspetta un chiarimento dal premier. Anche perché tra quindici giorni si vota per le amministrative e la questione "pacifista", molto sentita anche dall'elettorato del premier, è un terreno ideale per la "competition" interna all'alleanza. Non a caso dissensi sono emersi anche nel Pdl, dall'ala cattolica di Giovanardi, Mantovano e Baccini. "Da qui al voto - ha spiegato Bossi ai suoi - dobbiamo distinguerci su tutto dal Pdl". Per questa stessa ragione il premier è convinto che, alla fine, Bossi farà un po' la voce grossa ma senza strappare. Nell'entourage del Cavaliere si minimizza: "Non ci sarà una spaccatura tra noi e la Lega". Anche perché, ne sono convinti a palazzo Chigi, non si arriverà a un nuovo voto del Parlamento. Frattini ha fatto presente al premier che le mozioni approvate un mese fa dal Senato e dalla Camera già contemplavano l'uso di "tutti i mezzi necessari" per adempiere alla risoluzione dell'Onu. Quindi, al massimo, i leghisti potranno alzare la voce nel Consiglio dei ministri. Il fatto è che, come spesso accade, dietro la Lega anche in questa occasione si staglia l'ombra di Giulio Tremonti. Raccontano che ieri, al vertice di villa Madama, il ministro dell'Economia se ne sia stato in disparte per tutto il tempo. Non deve avergli fatto piacere vedere la sua strategia anti-scalate fatta a pezzi in meno di mezz'ora dal Cavaliere, pronto a riconoscere le ragioni del "libero mercato", accettando di buon grado la teoria francese dei grandi gruppi franco-italiani. Una strategia opposta a quella di via XX Settembre, dove si stavano mettendo a punto gli argini giuridici e finanziari per evitare che Parigi si prendesse quel poco che è rimasto dei gioielli italiani. Il decreto che fissa le regole per individuare le società di interesse nazionale, oggetto di possibile partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti, deve essere ancora approvato dalla Camera ma rischia ormai di arrivare troppo tardi. Quando Lactalis si sarà già "bevuta" Parmalat con la benedizione del Cavaliere. Così ora Tremonti medita la sua vendetta, in accordo con la Lega. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero scade infatti a giugno e bisognerà trovare le risorse per coprire i costi aggiuntivi della guerra in Libia. Come? "Berlusconi - ha minacciato ieri Calderoli - sarà costretto ad aumentare le tasse sulla benzina". (27 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/27/news/ Titolo: FRANCESCO BEI. - Berlusconi pronto allo scontro con il Colle ... Inserito da: Admin - Maggio 07, 2011, 06:23:46 pm IL RETROSCENA Berlusconi pronto allo scontro con il Colle "Se vuole attaccarci, sapremo rispondere" Il Quirinale: non viene chiesto un nuovo voto ma correttezza. Il Cavaliere avverte: "Vuole un voto di fiducia? Dimostrerò che possiamo allargarci ancora". Nel loro ultimo incontro Napolitano aveva chiesto chiarimenti, senza avere una risposta di FRANCESCO BEI ROMA - "Se vuole un nuovo voto di fiducia benissimo, accetto la sfida: gli dimostreremo che possiamo allargarci ancora di più". Silvio Berlusconi reagisce con stupore e irritazione a quella che considera "un'indebita intromissione" del capo dello Stato, per di più giunta in piena campagna elettorale. E ci vuole stavolta tutta l'arte diplomatica di Gianni Letta per evitare che la rabbia del premier tracimi dalle stanze di palazzo Grazioli e si trasformi in un duro scontro istituzionale con il Quirinale. Il sottosegretario, dopo aver condiviso per telefono la replica dei capigruppo del Pdl, si mette subito in contatto con Napolitano, cerca di capire, riferisce al Cavaliere che il capo dello Stato non pretende un altro voto di fiducia. Ma ormai è tardi, le considerazioni del Colle non fanno che aumentare l'ira del Cavaliere, che non sente ragioni: "Se ci attacca sapremo rispondere. Quando siamo andati da lui l'ultima volta non ci disse nulla e adesso arriva, a freddo, questo colpo alle spalle". Una versione che non trova riscontro sul colle più alto. Anzi, nel loro ultimo incontro alla Vetrata Napolitano chiese al capo del governo come si sarebbero configurati il governo e la maggioranza con i nuovi ingressi dei responsabili. E non ne ebbe risposta. Il problema, insomma, non sono la fiducia, i numeri del centrodestra alla Camera, non è questo che il Quirinale sta chiedendo al Pdl. La richiesta investe al contrario un punto molto delicato, la presa d'atto ufficiale del cambiamento avvenuto nella maggioranza, tramite una comunicazione formale del governo alle Camere. "Una questione di correttezza e rispetto del Parlamento", affidata tuttavia alla autonoma valutazione dei presidenti di Camera e Senato e allo stesso capo del governo. Insomma, non è importante il modo, è indispensabile però che la comunicazione avvenga. E Berlusconi può anche accusare Napolitano, come riferiscono abbia fatto, di "cavillosità" e "formalismi assurdi", ma è questo che richiede la stessa legge di riforma della presidenza del Consiglio. Che, al primo comma dell'articolo 5, impone al presidente del Consiglio di "comunicare alle Camere la composizione del Governo e ogni mutamento in essa intervenuto". Ma questa è l'ultima dimostrazione che ormai il presidente della Repubblica non vuole più usare l'arma preventiva della moral suasion affidandosi solo agli atti ufficiali. Nel Pdl la rabbia e lo stupore del premier sono condivisi da tutti ai piani alti. I due capigruppo e i loro vice - Gasparri, Cicchitto, Corsaro e Quagliariello - impegnati da Napoli a Varese per la campagna elettorale, si consultano al telefono per vergare una risposta la più netta possibile al Colle. Ma per Berlusconi è ancora poco, vorrebbe di più, faticano a trattenerlo. "Dal 29 settembre - spiega uno dei quattro capigruppo - abbiamo avuto sette voti di fiducia. Sembra che Napolitano non ne tenga conto e non si riesce a capire il perché. A meno che sotto non ci sia dell'altro, ma non ci si può credere". Parole che restano in sospeso, ma che danno corpo al timore che si è affacciato in queste ore a palazzo Grazioli. La paura cioè che Napolitano sia a conoscenza di qualcosa che ancora il premier neppure sospetta. Come se i malumori dei tanti scontenti per le nomine dei 9 sottosegretari, oppure l'umore nero di un capo messo ai margini, come ad esempio Claudio Scajola, potessero coagularsi in qualcosa di più, una manovra capace persino di mettere a repentaglio l'esecutivo in caso di un voto di fiducia. Paure che Berlusconi stesso scaccia con la mano appena evocate: "Vinceremo sia a Napoli che a Milano. A quel punto andremo oltre i 324 voti che abbiamo, anche chi finora è rimasto alla finestra sceglierà di passare con noi. E potremo arrivare a 335 deputati". Insomma, la convinzione è che un eventuale nuovo voto di fiducia, considerato oltretutto che le Camere riapriranno dopo le amministrative, si risolverà in un ulteriore rafforzamento della maggioranza. Preso in contropiede dalla nota del Quirinale, dopo aver ascoltato la spiegazione che arrivava dal Colle, Berlusconi ha quindi rilanciato sullo stesso terreno: "A questo punto il voto di fiducia lo chiederemo noi. E vedremo chi ci rimetterà la faccia". (07 maggio 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/05/07/news/berlusconi_pronto_allo_scontro_con_il_colle_se_vuole_attaccarci_sapremo_rispondere Titolo: FRANCESCO BEI. - L'ira del Senatur, che voleva un'accelerazione sulle tasse. Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 02:10:20 pm Il retroscena
Fisco, Berlusconi striglia Tremonti ma il ministro respinge l'assedio Il vertice di Arcore tra il cavaliere, Alfano e i leader della Lega. L'ira del Senatur, che voleva un'accelerazione sulle tasse. Si rompe l'asse con il ministro dell'economia. I vertici della Lega ventilano l'ipotesi di voto nel 2012 di FRANCESCO BEI MILANO - È durato molto più del previsto e, alla fine, il vertice di Arcore, dopo un confronto fuori dai denti tra Berlusconi e Tremonti, sulla riforma del fisco ha prodotto soltanto l'ennesimo rinvio. Non è andata in porto l'operazione "rilancio". Un'operazione immaginata da Silvio Berlusconi per uscire dall'angolo e liberarsi dall'ipoteca della sconfitta elettorale. Il Cavaliere avrebbe voluto sentire dal ministro dell'Economia una sola frase: "Si può fare". Ma si è dovuto accontentare di un generico "vedremo a settembre". Il faccia a faccia tra il premier e Tremonti, che ha preceduto la riunione allargata ad altre dieci persone ("troppe - osserva uno dei presenti - perché si decidesse davvero qualcosa"), è stato per Berlusconi una vera doccia fredda. "Giulio, mi rendo conto dei tuoi vincoli, ma dobbiamo fare qualcosa, dare un segnale subito agli elettori". "Mi dispiace, non ci possiamo permettere ora un taglio delle aliquote, non ci sono margini", gli ha spiegato il ministro dell'Economia senza alzare la voce. "E poi i vincoli non li ho stabiliti io, è tua la firma sul piano nazionale di riforme che abbiamo portato a Bruxelles". Continuando poi a smontare mattone dopo mattone il castello di illusioni del Cavaliere, convinto di poter "trattare" con l'Unione europea un piano di rientro meno drastico grazie alla solidità patrimoniale delle famiglie italiane: "I mercati - ha replicato il ministro - non ci perdonerebbero alcun passo falso. Il giudizio sui nostri conti non lo dà Bruxelles, lo danno tutti i giorni le agenzie di rating. Che leggono i giornali molto attentamente". Insomma, quello di Tremonti è un no su tutta linea. Tant'è che sia i "bossiani" che i "berlusconiani" accusano il ministro di essere l'unico "vincitore" del summit. La novità politica, semmai, è che stavolta, quando il vertice si allarga anche ad Alfano e ai leghisti, Umberto Bossi si sposta sulle posizioni del Cavaliere. Isolando di fatto il ministro dell'Economia, rimasto l'unica sentinella del rigore. Anche la Lega è infatti sotto shock per lo "sberlone" ricevuto nelle urne, il tradizionale asse con Tremonti sta scricchiolando sotto il peso delle esigenze elettorali. Il Carroccio ha capito che il federalismo non paga, servono misure concrete a favore dei piccoli imprenditori, degli artigiani, delle partite Iva. Insomma, la riunione di Arcore si trasforma in una sorta di processo a Tremonti, ma senza arrivare a una sentenza. Berlusconi chiede che venga presentata già a fine giugno, insieme alla manovra di correzione dei conti, la legge delega sulla riforma fiscale. Due operazioni che andranno approvate contestualmente: "Sono mesi che si riuniscono questi tavoli di studio al tuo ministero, ora ci serve un taglio delle tasse, non l'ennesimo libro bianco". Il ministro dell'Economia gli spiega che a giugno è troppo presto. L'intenzione sarebbe quella di presentare la riforma del fisco a settembre, insieme alla legge di stabilità. Berlusconi spera di renderla poi esecutiva nel 2012 e quindi "tangibile" nelle dichiarazioni dei redditi che verranno presentate nella primavera del 2013. Guarda caso alla vigilia del voto. Nel frattempo chiede almeno "la fine delle vessazioni fiscali", un freno ad Equitalia, alle ganasce fiscali, al sequestro dell'automobile, ai blitz dei finanzieri "che si presentano in divisa e ad armi spianate nei capannoni, come se fossimo in uno stato di polizia". E su questo, solo su questo, trova udienza nel ministro. Tanto che gli alleggerimenti fiscali e le semplificazioni potrebbero effettivamente trovare posto nella manovra di correzione di giugno. La carota insieme al bastone. Altra piccola concessione, più simbolica che reale, è l'apertura di due uffici di rappresentanza al Nord per i ministeri di Bossi e Calderoli. Uffici "altamente operativi", ma non i ministeri veri e propri. Si discute anche del trasferimento, da Roma a Milano, della sede principale della Consob. Briciole. "È andato tutto bene - ha confidato il premier al suo arrivo ieri sera piazza di Siena - tranne che per Tremonti". In effetti qualche motivo di consolazione il Cavaliere l'ha avuto. Il rapporto con Bossi non cede, almeno per ora: "Silvio, finché te la senti noi siamo con te". I due leader, entrambi indeboliti dalla sconfitta elettorale, hanno deciso di sostenersi insieme. Bossi ha provato a sondare il terreno su un'anticipazione al 2012 delle politiche, trovando tuttavia Berlusconi determinato ad "andare avanti fino alla fine della legislatura". Ma i leghisti hanno chiesto al premier un "cambio di passo", perché "non si può proseguire così altri due anni dando l'impressione di non fare niente. Allora sarebbe meglio giocare d'anticipo". (07 giugno 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/06/07/news/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il premier teme una nuova "Mani pulite" e una verifica in salita Inserito da: Admin - Giugno 20, 2011, 08:34:27 am IL RETROSCENA
Berlusconi nel fortino di Palazzo Chigi "Mi vien voglia di mollare tutto e andare via" Il premier ora teme una nuova "Mani pulite" e una verifica in salita. I sondaggi del Pdl non registrano una discesa ma nel partito restano i dubbi di FRANCESCO BEI ROMA - La sensazione di un "assedio mediatico e giudiziario" non lo abbandona da giorni, tanto da aver confidato a un deputato la tentazione di "mollare tutto", di ritirarsi a vita privata: "Liquiderei tutto e me ne andrei dall'Italia, se non fosse per l'aggressione che continuerebbero a subire qui i miei figli". Le rivelazioni sulla rete occulta messa in piedi da Luigi Bisignani sono tali da scuotere il governo, impegnato nella doppia gimcana di Pontida e della verifica parlamentare. Se ne parla con preoccupazione al vertice convocato d'urgenza a palazzo Grazioli prima del Consiglio dei ministri, presenti, oltre a Berlusconi, Alfano, Ghedini e, ovviamente, Gianni Letta. La voce è che i magistrati si siano tenuti per i giorni a venire le munizioni più pesanti, migliaia di pagine di intercettazioni con dentro i nomi di alcune donne al governo. Non solo Letta dunque. Con l'incubo di una nuova "Mani pulite". Così, anche se in privato il Cavaliere si mostra spavaldo e afferma che le accuse al suo braccio destro sono "tutte sciocchezze", il timore che l'inchiesta P4 di allarghi e travolga gli argini c'è eccome. Per questo ieri Berlusconi ha apprezzato la dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini, che ha solidarizzato con Letta dando una mano a delimitare l'incendio tra le forze d'opposizione. "Casini - ha detto il premier a un amico - è stato coraggioso. Ha parlato subito, anche prima dei nostri". E tuttavia il fatto che Letta abbia i suoi estimatori anche tra l'Udc e il Pd non può certo bastare a metterlo al riparo dai magistrati. Così Berlusconi ieri ha immaginato una mossa a sorpresa, quella di chiedere a Giorgio Napolitano la nomina di Gianni Letta come senatore a vita. Un passo che metterebbe il sottosegretario - oggi non coperto da alcuna guarentigia - al riparo dal pericolo di un arresto. È stata solo una tentazione, subito accantonata anche per il rifiuto dell'interessato, ma che la dice lunga sulla paura di Berlusconi per le prossime mosse della procura di Napoli. Oltretutto anche il partito è in subbuglio, l'intero quadro si è fatto liquido. Anche se il capo del governo continua ad dirsi sicuro che il rapporto "solido" con Umberto Bossi lo metta automaticamente "al riparo da qualsiasi tempesta", nella maggioranza il pessimismo è palpabile. Persino Denis Verdini, il regista dell'operazione Responsabili, l'uomo che ha garantito fin qui la tenuta della maggioranza, da qualche giorno gira in Parlamento con una cartellina sottobraccio. Contiene un progetto dettagliato di riforma della legge elettorale, uno schema che trasporta a livello nazionale il Tatarellum in vigore per l'elezione dei consigli regionali. Si tratta di un proporzionale con premio di maggioranza, preferenze e listino bloccato. E se persino il Pdl, dove finora l'argomento era considerato tabù, si è arreso alla riforma della legge elettorale, significa che nessuno esclude più il voto anticipato nel 2012. L'unico a credere ancora di poter arrivare a fine mandato sembra rimasto Silvio Berlusconi. Ieri, come se nulla fosse, come se metà degli elettori del Pdl non avesse votato Sì ai referendum, il Cavaliere ha intrattenuto i ministri a palazzo Chigi smentendo i sondaggi che lo danno a picco: "Tutte menzogne. Tra i leader europei sono in testa con il 43% di popolarità, segue la Merkel con 6 punti di distacco. Dopo tutto quello che è successo è quasi incredibile". Berlusconi snocciola quindi i dati dell'ultimo focus group organizzato da Alessandra Ghisleri dopo i referendum: "Quello che ha trascinato la gente a votare è stato il quesito sul nucleare, seguito da quello dell'acqua. I promotori hanno approfittato di un fraintendimento, gli elettori hanno creduto che raddoppiasse, con l'arrivo dei privati, il costo dell'acqua. Invece, del legittimo impedimento, non importava niente a nessuno". Comunque Berlusconi è soddisfatto perché "da questo focus emerge che solo un quinto degli italiani ha votato ai referendum esprimendo una contrarietà al governo. Tutti gli altri hanno scelto nel merito, sui temi concreti". Certo, Berlusconi è consapevole che le residue possibilità di risalire la china sono legate alla riforma del fisco. Così, per anticipare Tremonti, il Cavaliere si sta facendo preparare un piano alternativo sul fisco con il contributo di ministri ed esperti privati. Pronto a metterlo sul tavolo se quello del ministro dell'Economia non dovesse soddisfarlo. (17 giugno 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/06/17/news/berlusconi_mollare-17806370/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Ma la legge-bavaglio non sarà per decreto Inserito da: Admin - Giugno 26, 2011, 10:09:21 am di FRANCESCO BEI
"Non è civile un paese in cui non c'è più la garanzia dell'inviolabilità di ciò che si dice al telefono". Da giorni i principali protagonisti del suo governo sono travolti dal ciclone P4 e finalmente Silvio Berlusconi esce allo scoperto. Quello del Cavaliere, a Bruxelles per il Consiglio europeo, è un atto d'accusa contro i magistrati e i giornalisti e, di fatto, la conferma che il Pdl sta lavorando a un giro di vite legislativo. Ma il tentativo di approvare la legge-bavaglio non passerà per un decreto legge. Lo esclude il Guardasigilli Angelino Alfano, consapevole della probabile contrarietà del Colle: "Non intendiamo fare né un decreto legge né orientare la prua in una direzione diversa da quella del disegno di legge che è già stato discusso alla Camera nel luglio dello scorso anno". Insomma, si andrà avanti con il ddl esaminato dalla commissione Giustizia della Camera, bloccato a suo tempo per l'ondata di rivolta in tutto il paese (e l'opposizione decisiva dei finiani). Oggi che il Fli non è più in maggioranza, il timore è legato all'atteggiamento del Carroccio. Fabrizio Cicchitto mette le mani avanti: "Contatti non ne ho avuti, ma la Lega era d'accordo sia sul ddl del Senato che su quello della Camera". L'altro fronte caldo per la maggioranza è la manovra di correzione dei conti pubblici. Martedì prossimo ci sarà un vertice tra Berlusconi, Bossi, Tremonti, Alfano e i responsabili, per discutere il piano del ministro dell'Economia. In attesa del Consiglio dei ministri di giovedì, è prevedibile un altro scontro sulle misure da prendere. DA - repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2 Titolo: FRANCESCO BEI. Giulio adesso minaccia le dimissioni ... Inserito da: Admin - Giugno 28, 2011, 04:32:40 pm IL RETROSCENA
E Giulio adesso minaccia le dimissioni "Non accetto di fare la fine della Grecia" Chi ha sondato il ministro lo ha trovato impermeabile ad ogni richiesta. Berlusconi: stavolta finisce male. E per la successione spunta il nome di Bini Smaghi di FRANCESCO BEI È UNA GUERRA di nervi quella tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, ma l'epilogo è vicino. E potrebbe portare a un clamoroso abbandono del ministro dell'Economia proprio alla vigilia della presentazione della manovra. I segnali ci sono tutti, le voci nel governo si rincorrono. Chi ha sondato Tremonti riferisce che il ministro resta impermeabile a ogni richiesta di ammorbidimento della manovra. "Chi parla in questi termini - ripete Tremonti - non ha capito cosa sta succedendo sui mercati. Venerdì scorso lo spread tra Btp e Bund ha sfondato il record, pensavamo fosse finita, e oggi il differenziale ha raggiunto i 223 punti: 9 in più rispetto a venerdì". Ma le prediche di Tremonti restano inutili. Ha un bel dire il ministro che "rischiamo la Grecia", che lui non metterà mai la firma su una manovra all'acqua di rose che possa "mettere a rischio i titoli pubblici e quindi i risparmi di milioni di famiglie italiane". Berlusconi non ci sente, Bossi nemmeno. Eppure a Via XX Settembre la risposta per ora è ancora più netta: "Va a finire che i nostri btp diventeranno come i Tango-bond. I mercati non ci perdonerebbero una manovra soft". Questa mattina i tre si vedranno prima del vertice di maggioranza per tentare un'ultima mediazione. Ma Tremonti avrebbe persino deciso di disertare il summit allargato a palazzo Grazioli per non farsi mettere in un angolo. Giocando la carta finale, quella minaccia di dimissioni che dovrebbe riportare alla ragione i due azionisti del centrodestra, Bossi e Berlusconi. E tuttavia, se in passato questa tattica ha prodotto risultati, sembra proprio che il premier stavolta non sia dell'idea di trattenere Tremonti. Lasciandolo andare, insalutato ospite, al suo destino. La violenta polemica scatenata contro il ministro da un fedelissimo del premier, Guido Crosetto, è stata la spia del malumore che cova a palazzo Grazioli. "Sono stanco - dice in privato il Cavaliere - di sentirmi dire: o così o niente. Questa volta Giulio, se insiste, potrà essere sostituito". Decisioni non sono ancora state prese, si tratta al momento di una partita a scacchi appena iniziata tra due giocatori - Berlusconi e Tremonti - che conoscono a menadito ciascuno le mosse dell'altro. "Io - osserva il premier - condivido l'obiettivo del pareggio di bilancio, la tutela del debito italiano. Ma Tremonti non propone nulla per lo sviluppo e se il Pil non cresce, anche il rapporto con il debito è destinato a peggiorare". Sono due "verità" al momento inconciliabili e destinate a cozzare. Oltretutto, a peggiorare il clima, c'è anche una certa ruvidezza del personaggio, che sta facendo andare fuori dai gangheri i suoi colleghi di governo. "Nessuno di noi conosce questa benedetta manovra - confida un ministro furioso - , Tremonti non ce l'ha fatta leggere. Ma se pensa di fare come l'altra volta, di farci votare in 3 minuti un pacco misterioso, si sbaglia di grosso". Tremonti non si è fatto molti amici neppure in Parlamento, dove il progetto di tagliare i costi della politica ha fatto andare sulle barricate mezza maggioranza. "Quello che tagliò meglio di tutti i costi della politica - ricorda il ministro Gianfranco Rotondi - fu il cavaliere Benito Mussolini. E anche allora i giornali applaudirono. Questo non significa che fosse una cosa giusto. Oltretutto è come se il Cda di un'azienda pensasse di andare avanti insultando e prendendo a schiaffi gli azionisti: i parlamentari alla fine si arrabbiano e ti mandano a casa, tanto dal primo maggio non si può più minacciare elezioni anticipate. E io a casa non ci voglio andare". L'arma forte di Tremonti, quella con cui è certo di poter mettere ancora una volta a tacere tutte le critiche, è ovviamente la minaccia di un attacco fenomenale della speculazione. Il rischio c'è, è concreto, e il crollo simultaneo di tutti i titoli bancari lo scorso venerdì è stata un'avvisaglia di quello che potrebbe accadere. Anche Napolitano predica cautela e vigilia sulle mosse del governo. Per questo il Cavaliere, consapevole che la linea di Tremonti al momento è "dopo di me il diluvio", per rafforzare la sua posizione negoziale si sta dando da fare per immaginare un sostituto. Purtroppo per lui i nomi spendibili, quelli davvero in grado di rassicurare i mercati, non sono molti e quei pochi titolati non hanno intenzione di farsi arruolare in un esecutivo dalle prospettive incerte. Ma nelle ultime ore si sta facendo strada un candidato su tutti gli altri: Lorenzo Bini Smaghi. Membro del board della Bce, Bini Smaghi è in corsa per andare al vertice della Banca d'Italia dopo l'accordo raggiunto all'ultimo Consiglio europeo sulle sue dimissioni da banchiere europeo. Un nome in grado di tranquillizzare i mercati, soprattutto se iniziasse a circolare da subito, su cui il Quirinale non potrebbe sollevare obiezioni. Al momento tuttavia si tratta solo di voci dentro il governo, la partita deve ancora cominciare. Giorni fa, sicuro del fatto suo, Tremonti ha ricordato un aneddoto a un amico, a dimostrazione che il Cavaliere fa la faccia feroce ma alla fine si rivela un agnellino. "L'anno scorso ci provò allo stesso modo ad evitare la manovra. Mi disse: ma perché non facciamo un bel condono? Poi se andò a via dei Coronari, in giro per antiquari, e dichiarò alle agenzie che lui il decreto ancora non l'aveva firmato. In realtà la manovra stava già sul tavolo di Napolitano per la promulgazione". (28 giugno 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/06/28/news/tremonti_dimissioni-18319828/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il premier commissaria Tremonti "Prendo io in mano la situazione" Inserito da: Admin - Agosto 02, 2011, 11:37:58 am IL RETROSCENA Il premier commissaria Tremonti "Prendo io in mano la situazione" Il Cavaliere convinto da Alfano a intervenire in Parlamento per rispondere alla crisi dei mercati. Il ministro e Bossi furibondi con Berlusconi: "Vai alla Camera? Un suicidio politico". Sacconi possibile sostituto per l'economia di FRANCESCO BEI ROMA - Alla fine, obtorto collo, il Cavaliere si è convinto a tornare in Parlamento prima delle ferie. "Perché Tremonti è talmente debole - ha spiegato motivando il suo cambio di linea - che sono costretto a prendere io stesso la situazione in mano". Sono stati i "giovani turchi" del Pdl - Alfano, Romani, Fitto, Sacconi, Frattini - a prevalere, a convincerlo che non era nemmeno pensabile che il governo stesse zitto mentre l'Italia è vittima di una gigantesca ondata di sfiducia. Un immobilismo che avrebbe dato ulteriori motivazioni a chi lavora per un governo tecnico che scalzi il centrodestra. Alfano & Co. si sono imposti anche contro il parere di quanti, come Letta e Bonaiuti, temevano (temono) un terribile "effetto boomerang" contro il premier se, nonostante l'intervento di Berlusconi, la Borsa continuerà a scendere e lo spread con i Bund tedeschi frantumerà nuovi record dopo quello di ieri (354 punti, mai successo prima d'ora). "A quel punto - ragiona sconsolato uno che ha lavorato fino all'ultimo perché il premier restasse ad Arcore - sarà come se Berlusconi si fosse disegnato da solo un bersaglio sulla schiena". Ma il più contrario di tutti al dibattito parlamentare era proprio Giulio Tremonti. All'ora di colazione ieri a via Bellerio il ministro dell'Economia è in riunione con Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Quello stesso Calderoli che, un paio d'ore prima, ha dichiarato in tv che "Berlusconi alle Camere adesso sarebbe poco credibile". Quando le agenzie battono la notizia che il premier ha deciso di intervenire, i tre si guardano increduli. Nessuno li ha avvisati, nessuno si è soprattutto premurato di avvertire Tremonti. Berlusconi, come dice un suo collaboratore, sta scrivendo addirittura un "discorso sullo stato dell'Unione" e non ne informa prima il titolare dell'Economia. Partono immediate le telefonate ad Arcore. Bossi è lapidario: "Silvio, stai facendo una cazzata". Tremonti è gelido: "Così diventa un suicidio politico, ti stai mettendo da solo la testa nel cappio. E se le cose vanno male sui mercati a chi daranno la colpa? Indovina un po'?". Niente da fare, la decisione è presa. Compresa quella di sbloccare investimenti al Cipe per sette miliardi di euro. Un'altra scelta che Tremonti non avrebbe condiviso. Così nel governo, in questa tempesta finanziaria, si va affacciando un nuovo equilibrio. La debolezza di Tremonti ha ieri incoraggiato Berlusconi a seguire la strada del "ci metto la faccia io", anche se non sono previsti annunci clamorosi o nuovi tagli. Di fatto si tratta di un commissariamento "soft" del ministro dell'Economia, preparato e incoraggiato da tutti i ministri del Pdl, che mandano avanti il premier a sostenere l'impatto mediatico dell'operazione. E già s'intravede il possibile sostituto, l'uomo che in queste ore sta emergendo come protagonista sia con le parti sociali che sui giornali: Maurizio Sacconi. Forte dei suoi rapporti con il Vaticano e della rete costruita con Cisl, Uil e Confindustria, il ministro del Lavoro è il vero regista dell'operazione. Non si tratta di cacciare Tremonti, ma di operare come se non ci fosse più. "Se poi vorrà andarsene - spiega uno dei "congiurati" - sarà stata una scelta sua, nessuno glielo chiederà. Ma si è visto che non è lui il garante della stabilità, visto che la sua presenza al governo non scongiura affatto l'attacco speculativo contro l'Italia". Il discorso del premier in Parlamento. Ci stanno lavorando in molti, ma il premier ha già anticipato in via riservata che "non c'è da aspettarsi grandi annunci". Anche perché il capo del governo continua a non dirsi "preoccupato", nonostante quello che sta accadendo in Borsa. Dirà quindi che "i fondamentali del paese - dall'export agli ordinativi industriali, dalla patrimonializzazione delle banche all'occupazione giovanile - sono tutti positivi. E comunque migliori rispetto a molti altri paesi europei". Quanto al famoso taglio delle province, invocato da più parti, per Berlusconi si tratta di un falso problema: "I servizi li dovremmo comunque spostare alle regioni e i risparmi sarebbero insignificanti". (02 agosto 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/02/news/tremonti_sacconi-19897545/ Titolo: FRANCESCO BEI. "Non si può tergiversare la Bce ora pretende i fatti" Inserito da: Admin - Agosto 11, 2011, 05:42:49 pm Draghi Incalza Il Cavaliere
"Non si può tergiversare la Bce ora pretende i fatti" Telefonata di Obama: ok l'anticipo del pareggio. Il premier a Villa Certosa. Contatto con Tremonti sul G7, ma tra i due resta il gelo di FRANCESCO BEI ROMA - A Porto Rotondo, nella war room allestita a villa Certosa, il telefono di Berlusconi squilla tutto il giorno. È il lunedì decisivo, quello del verdetto dei mercati, e la situazione è di massima allerta. Alla fine, alla chiusura delle borse, con lo spread Btp-Bund sceso intorno a quota 300, la telefonata più importante arriva da Mario Draghi. Il governatore della Banca d'Italia risolleva il morale del premier, confermando che la giornata è andata benino, che l'ombrello steso dalla Bce ha funzionato. Ma questo non deve assolutamente portare ad abbassare la guardia: "Adesso - così si congeda Draghi - il governo deve dare seguito agli impegni presi, non possiamo assolutamente permetterci di tergiversare". Le cose da fare sono lì, nero su bianco, nella lettera (firmata anche da Draghi) che Trichet ha scritto a Berlusconi. Un menù fatto di tagli, liberalizzazioni da varare immediatamente "per decreto", privatizzazioni, meno vincoli ai licenziamenti e alle assunzioni e, soprattutto, una correzione del rapporto deficit/Pil per il 2012 dal 2,7% all'1,5%. Un taglio di oltre un punto percentuale, equivalente a circa 20 miliardi di euro. Una mazzata talmente forte che Berlusconi sta raccogliendo le idee di tutti, consultando più gente possibile per capire come procedere: dal presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua al presidente di Equitalia Attilio Befera. Consigli preziosi, anche perché stavolta il Cavaliere non intende lasciare la partita nelle mani del solo Tremonti. Tra il premier e il ministro dell'Economia la fiducia si è incrinata, tanto che una telefonata che c'è stata ieri a proposito del G7 - pura routine - è stata comunicata alle agenzie con la formula del colloquio "lungo e cordiale", quasi fossero due estranei. Un colloquio "cordiale" è invece quello che c'è stato tra Berlusconi e Obama. Entrambi i leader sono appannati e in difficoltà, entrambi i paesi affrontano crisi gemelle. Così i due hanno cercato di farsi un po' coraggio a vicenda, anche perché pochi minuti prima c'era stato il tonfo di Wall Street. A palazzo Chigi raccontano che Obama abbia esordito criticando con vigore il declassamento del rating Usa, passando quindi rapidamente a commentare la situazione italiana: "Ho sentito che avete deciso di anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Bene, molto bene. Se farete tutto quello che avete annunciato risolverete sicuramente i vostri problemi". Incassato il sostegno americano, Berlusconi ha illustrato la sua teoria su quanto accaduto in questi giorni neri sulle borse: "L'attacco non è stato contro l'Italia, nel mirino della speculazione c'era l'euro. È successo a noi, domani potrebbe accadere a un altro grande paese. Per questo occorre un maggior coordinamento delle politiche europee". Nel governo si fronteggiano diverse (e opposte) idee su come rispondere all'ultimatum della Bce sul risanamento del bilancio. La strada più gettonata sembra essere quelle di un intervento drastico sulle pensioni, ma Umberto Bossi è già sul piede di guerra. Lo stesso Berlusconi è incerto, teme un autunno caldo con i sindacati in piazza. Anche per questo ha deciso di non presenziare alla riunione di domani con le parti sociali, proprio perché non sa ancora cosa dire. Da un'altra parte chi ne ha raccolto lo sfogo assicura che il Cavaliere sarebbe anche tentato di prendere il toro per le corna: "Se non ora quando? Possiamo approfittare della crisi per approvare tutto quello che in tempi normali non riusciremmo a fare". Nel caso gli riuscisse di tirare il paese fuori dalle secche, Berlusconi immagina di essere considerato un salvatore della patria. La prospettiva inizia a solleticarlo. Da qui l'ipotesi di un consiglio dei ministri straordinario da fissare proprio il giorno di Ferragosto, per dare agli italiani l'immagine di un governo che lavora e approva per decreto le misure necessarie. Oltretutto sul rigore il terzo polo è pronto a dare una mano, persino votando a favore in Parlamento. Un'occasione davvero insperata per riagganciare l'Udc. "Casini ci propone di superare le contrapposizioni - spiega il ministro Raffaele Fitto - e non possiamo lasciar cadere questa offerta di collaborazione. L'opposizione è divisa in tre: Di Pietro chiede le elezioni, Bersani chiede le dimissioni di Berlusconi, mentre il terzo polo vuole salvare con noi il paese. Io dico di andare a vedere". (09 agosto 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2011/08/09/news/non_si_pu_tergiversare_la_bce_ora_pretende_i_fatti-20203835/ Titolo: FRANCESCO BEI. Pdl, cresce il disagio per l'inchiesta escort Inserito da: Admin - Settembre 19, 2011, 12:05:52 pm di FRANCESCO BEI
Pdl, cresce il disagio per l'inchiesta escort "Secessione", "l'Italia fa schifo", "i giornalisti sono degli stronzi", "in Padania ci sono milioni pronti a combattere". Umberto Bossi, per coprire le divisioni nella Lega e placare i malumori della base verso l'alleanza con il Cavaliere, è costretto a rispolverare vecchi slogan del passato. Così da Venezia, senza dire una parola sullo scandalo escort che domina la scena, l'anziano leader del Carroccio ripropone la strada della spaccatura del paese: "Non possiamo illuderci di fare senza la secessione. Dobbiamo avere la forza di ottenere la nostra libertà". Il traguardo è spostato in un futuro indefinito, magari dopo un improbabile (perché incostituzionale) referendum. Bossi evoca "la via democratica, forse anche attraverso un referendum, perché un popolo importante e lavoratore come il nostro non può continuare a mantenere l'Italia". Nel Pdl invece, nonostante la blindatura del vertice, non mancano segnali di malessere per le inchieste di Bari e Napoli. Il ministro Ignazio La Russa confessa il suo "disagio", l'ex presidente del Senato Marcello Pera dice di "soffrire in silenzio", Giuliano Ferrara suggerisce al premier la vie delle "scuse" pubbliche. E Roberto Maroni, sul palco di Venezia, prende le distanze dal mondo dei Tarantini e Lavitola che circondano il premier, dicendo "noi siamo diversi da quella gentaglia". Resta a difesa del fortino il segretario del Pdl, Angelino Alfano che si fa portavoce della volontà di Berlusconi di resistere: "Non ha alcuna intenzione di dimettersi. Io come segretario del Pdl, noi come dirigenti e voi come militanti dobbiamo dire che difenderemo Silvio Berlusconi, il governo e la nostra storia di 18 anni". Quanto alle sparate del leader del Carroccio, Alfano sorvola: "L'unica alleanza che può dare stabilità al paese è quella tra Berlusconi e Bossi". da - http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere vuole scendere in piazza ... Inserito da: Admin - Settembre 20, 2011, 05:25:32 pm RETROSCENA
Il Cavaliere vuole scendere in piazza "Dobbiamo difenderci da questi pm" Ora il Pdl punta sul processo lungo per fermare il tribunale. Pessimismo nel partito sul voto per Milanese e sulla sfiducia al ministro Saverio Romano di FRANCESCO BEI "Basta, è inutile provare a difendersi da un processo kafkiano, è arrivato il momento di chiamare a raccolta gli italiani". Appresa la notizia che il tribunale di Milano ha rinunciato ai testimoni della difesa (già sentiti per rogatoria davanti a una corte britannica), Berlusconi esplode. Sente che la tenaglia si sta per serrare, è convinto che entro dicembre arriverà la sentenza di condanna sul caso Mills. Una mazzata che non solo castrerebbe qualsiasi possibilità di salire al Quirinale, ma renderebbe assai complicato persino immaginare una ricandidatura del Cavaliere a palazzo Chigi in caso di voto anticipato nel 2012. E la reazione di pancia del premier è quella dell'appello alla piazza: "Dobbiamo organizzare una grande manifestazione per difendere la libertà. Per una giustizia giusta, per l'inviolabilità della privacy, per la difesa del voto degli italiani". Una manifestazione che servirà a mobilitare il partito. Berlusconi infatti non è affatto contento per come i ministri e i big del Pdl - con l'eccezione del fido Alfano - lo hanno fin qui difeso da quello che considera un "assalto" dei magistrati. E dunque, anche rinunciando all'apertura della stagione congressuale, presto a via dell'Umiltà potrebbe aprirsi il cantiere di una "grande" manifestazione nazionale contro i pm. Ma quella del corteo è soltanto una delle armi che il capo del governo ha a sua disposizione. Alla tentazione della piazza si affianca infatti uno strumento più efficace, concepito espressamente per far saltare il processo Mills: il disegno di legge sul processo lungo. A fine luglio il ddl, che obbligherebbe appunto il tribunale di Milano a sentire tutti i testi presentati dagli avvocati Ghedini e Longo, è stato approvato dal Senato con la fiducia. L'intenzione è quella di farlo passare davanti a tutto, per approvarlo definitivamente alla Camera entro un mese senza alcuna modifica. Prima della deposizione di Berlusconi in calendario per il 28 ottobre. A quel punto il processo Mills scivolerebbe inevitabilmente nella prescrizione. Ma quella che proviene da Milano è soltanto una delle minacce che incombono sulla testa del premier. Le altre due si consumeranno nei prossimi giorni a Montecitorio. Giovedì infatti è atteso il voto segreto sull'arresto di Marco Milanese e, nonostante ieri Berlusconi in una telefonata a Bossi (dopo gli auguri per i settant'anni) abbia provato ad avere garanzie dal leader del Carroccio, il destino del deputato tremontiano appare sempre più incerto. I quaranta deputati "maroniti" propendono infatti per la linea dura. Il problema inoltre è che nel centrodestra, tra i Responsabili e nello stesso Pdl, l'area degli scontenti aumenta ogni giorno di più. E il voto su Milanese è considerato come una buona occasione, forse l'ultima, per mandare un segnale al premier, per indurlo a farsi da parte ed accettare l'unica soluzione che preserverebbe la legislatura e garantirebbe un futuro al Pdl oltre Berlusconi: un governo guidato da Alfano allargato al Terzo polo. Così il voto su Milanese sarebbe sfruttato per mandare un avvertimento al Cavaliere, per fargli capire che la Camera potrebbe anche pronunciarsi a favore dell'accompagnamento coatto davanti ai pm di Napoli. Per evitare l'arresto di Milanese i fedelissimi del premier stanno già organizzando le difese. "In aula non entreremo nel merito delle accuse - spiega uno di loro - perché altrimenti Milanese è fritto. Diremo che i pm non posso incidere sul plenum dell'assemblea e faremo presente che l'altra volta, quando la Camera ha deciso per l'arresto di Alfonso Papa, la procura si è comportata male, abusando della carcerazione preventiva. Tanto che il deputato Papa è ancora in cella dopo due mesi". L'altra grana che sta per esplodere è la mozione di sfiducia sul ministro Saverio Romano che andrà al voto il 27 settembre. Ieri Berlusconi l'ha chiamato per confermargli il suo sostegno e smentire le voci di una richiesta di dimissioni preventive. Ma nessuno nel Pdl scommette sul voto dei maroniani per salvare un ministro che la procura di Palermo vuole rinviare a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. (20 settembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/20/news/contro_pm-21923376/?ref=HRER3-1 Titolo: FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO L'ultima offerta di Bossi a Berlusconi Inserito da: Admin - Settembre 22, 2011, 04:59:31 pm RETROSCENA
L'ultima offerta di Bossi a Berlusconi "Dimissioni? Ne parliamo a gennaio" Il premier chiede al principale alleato se deve "lasciare subito", il senatur: "Vedremo a fine anno". Incontro al Quirinale con Napolitano: il capo dello Stato contesta l'ottimismo dell'esecutivo su spread e mercati di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO "UMBERTO, cosa devo fare? Pensi anche tu che mi debba dimettere? Se me lo dici tu io lo faccio subito". Al termine di un incontro drammatico a Palazzo Grazioli con lo Stato Maggiore del Carroccio, il Cavaliere tenta il tutto per tutto. Getta sul tavolo in anticipo la carta delle dimissioni per poterla subito rimettere nel mazzo. È un bluff, visto che a passare la mano a un nuovo governo non ci pensa affatto. E dall'altra parte trova Bossi disposto a concedergli un altro giro di tavolo. Ma senza entusiasmo. "Io voglio solo la Padania", gli risponde laconico il Senatùr senza offrire ulteriori garanzie sul futuro. "Poi ne riparliamo a gennaio...". Ma tanto basta a Berlusconi per salire in serata al Quirinale e scacciare, in un colloquio teso e preoccupato con il capo dello Stato, il fantasma della crisi di governo. E tuttavia la mano più difficile, quella che si gioca oggi alla Camera sull'arresto di Marco Milanese, il premier sembra essersela aggiudicata. Roberto Maroni non ha la forza necessaria per sostenere uno strappo così violento, visto che l'arresto dell'ex collaboratore di Tremonti provocherebbe lo squagliamento della maggioranza. Il ministro dell'Interno ha valutato con preoccupazione le conseguenze di una crisi di governo provocata dai suoi: "Non ce lo possiamo permettere - racconta un suo fedelissimo - perché ce la imputerebbero totalmente e noi saremmo finiti". E dunque Maroni garantirà oggi il voto dei suoi a favore di Milanese. La resa dei conti è spostata in avanti. A gennaio. Oppure molto prima, quando a fine settembre si voterà la sfiducia al ministro Saverio Romano. Così, forte della sponda offerta dalla Lega, il Cavaliere alla sette della sera può salire baldanzoso al Quirinale per conferire con il capo dello Stato. Un colloquio richiesto da palazzo Chigi il giorno prima, per capire dalla viva voce di Napolitano il significato di quella sorta di "consultazioni" che hanno fatto irritare e preoccupare il Cavaliere. Nell'ora e un quarto di incontro, il capo del governo ripete il suo mantra e spande ottimismo sulla situazione finanziaria: "Il peggio è passato. Abbiamo presentato una manovra che ha ricevuto consensi da tutta Europa e adesso tocca al piano per la crescita. Stavolta lo seguirò personalmente. Ho messo al lavoro un nucleo di esperti per elaborare delle proposte da presentare al Consiglio dei ministri al più presto". Napolitano resta in ascolto. Scettico e preoccupato svolge un'analisi che non coincide con quella rosa e fiori del premier. "Il paese resta in grave difficoltà, lo spread è tornato a salire e oggi anche le nostre principali banche sono state declassate. Non possiamo permetterci alcun ritardo". Berlusconi elenca una serie di titoli senza riempirli di contenuti, ma dal presidente della Repubblica arriva l'invito pressante a trasformare quel libro dei sogni in realtà. Per Napolitano è questa "la vera sfida dopo la manovra", quella su cui "ci stiamo giocando tutto". Chiede misure per la crescita "il più possibile condivise", anche attraverso "ampie consultazioni in Parlamento e con le parti sociali". E tuttavia per Berlusconi "l'unica garanzia perché il paese sia al riparo da ulteriori tempeste è proprio la stabilità dell'esecutivo". Il suo, ovviamente. "Presidente, non c'è alcun problema per la tenuta della mia maggioranza. Ne ho parlato anche con Bossi, il nostro rapporto è solido". Quanto alle ripetute sconfitte della maggioranza in aula, "non hanno valore politico, sono solo incidenti parlamentari". Eppure Napolitano insiste nel chiedere certezze sulla tenuta della coalizione. "Siete sicuri sui vostri numeri?". E Berlusconi: "Lo vedremo su Milanese". La giustizia è sempre il tormentone che accompagna ogni incontro di Berlusconi al Quirinale. "Sono un perseguitato, per fortuna ho trovato un Gip a Napoli che ha acclarato quello che vado dicendo da tempo. La competenza sull'inchiesta Tarantini è di Roma". Ma Napolitano, infastidito, cambia discorso e lo riporta sulle questioni concrete. L'economia, la tenuta del centrodestra. Alla fine si lasciano dopo aver parlato per tutto il tempo due lingue diverse. Ma Berlusconi, per un altro giorno, è convinto di averla sfangata. Tanto che ai suoi, tornato a palazzo Grazioli per un vertice sulla giustizia, consegna una battuta un po' irriverente sul capo dello Stato: "Tranquilli, Napolitano non si dimette. E andiamo avanti". (22 settembre 2011) © Riproduzione riservata DA - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/22/news/berlusconi_gennaio-22040208/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Tremonti e Bossi insistono ancora su Grilli. Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2011, 06:01:28 pm IL RETROSCENA
Bankitalia, stallo per i veti incrociati gelo tra Napolitano e il premier Tutti i veti contrapposti che bloccano la scelta del nuovo governatore. Tremonti e Bossi insistono ancora su Grilli. Il capo dello stato: "Serve un largo consenso per una nomina autorevole" di FRANCESCO BEI ROMA - Al telefono con un interlocutore misterioso, alle sei di sera, Giulio Tremonti offre una fotografia veritiera dell'avvitamento del governo sulla nomina del successore di Mario Draghi: "Fidati di me - dice a voce bassa il ministro dietro una colonna in Transatlantico - su Bankitalia non è deciso nulla". Lo stallo è totale e in qualche modo Berlusconi, che ha annunciato per oggi la decisione, dovrà districarsi tra i veti contrapposti. Sembrava esserci riuscito ieri mattina quando, salito al Quirinale per la cerimonia dei cavalieri del lavoro, in un breve colloquio con il capo dello Stato aveva avanzato timidamente il nome di Lorenzo Bini Smaghi. Un candidato che ha un grandissimo pregio agli occhi del premier: andando a guidare la Banca d'Italia libererebbe la poltrona della Bce che spetta adesso a un francese. Dando modo così al Cavaliere di presentarsi domenica al Consiglio europeo senza patemi d'animo, potendo guardare in faccia Sarkozy. Fatto sta che, nonostante dal Quirinale non sia venuto alcun veto formale sull'attuale membro del board Bce, la reazione di Napolitano deve aver provocato qualche ripensamento nel premier. Quando infatti il capo dello Stato lo ha invitato a valutare bene se il prescelto ("chiunque esso sia") rispondesse alle tre caratteristiche necessarie per l'incarico - autorevolezza, autonomia e, soprattutto, continuità - Berlusconi ha capito che doveva ricominciare tutto da capo. "Costruire un largo consenso su una candidatura autorevole", questo l'imperativo del Colle. Un "consenso" che, allo stato, sul nome di Bini Smaghi non sembra esserci. E non sono soltanto le critiche politiche piovute ieri da Fli e Udc sul "comportamento vergognoso" che avrebbe tenuto l'economista fiorentino non dimettendosi spontaneamente dalla Bce. O la nota congiunta di Casini e Bersani che chiede a Berlusconi di "rispettare le competenze interne" della Banca, lasciando così intravedere la fotografia di Saccomanni, numero due di Bankitalia. I problemi maggiori Bini Smaghi li avrebbe proprio dentro l'Istituto che dovrebbe andare a dirigere. Tanto che le voci dall'interno di via Nazionale si spingono ad ipotizzare conseguenze forti nel caso il Cavaliere insista con la sua candidatura. Che potrebbe a questo punto ricevere un voto contrario del Consiglio Superiore della Banca, con parere negativo alla nomina. Uno strappo istituzionale clamoroso. Certo si tratterebbe di un parere "non vincolante" e, in teoria, palazzo Chigi potrebbe comunque procedere con Bini Smaghi. Con il rischio tuttavia che si dimettano in massa i componenti del Consiglio Superiore, come arma estrema di dissenso. Per uscire dall'impasse Berlusconi le sta pensando tutte, mentre le lancette corrono. Ieri sera è circolata l'ipotesi che, nel caso Bini Smaghi riesca a superare gli ostacoli e planare sulla scrivania di Draghi, per l'attuale direttore generale Saccomanni si aprirebbe la strada di una nomina a presidente dell'Antitrust. Mentre Ignazio Visco, attuale vice di Saccomanni, avrebbe la promozione a direttore generale. Con Bini Smaghi che balla, è ricominciata inevitabilmente la tarantella dei nomi alternativi: Fabrizio Saccomanni, Ignazio Visco e, new entry, Anna Maria Tarantola, attuale vice direttore generale di Bankitalia. Una donna, un'esperta, un'interna all'Istituto. In più con la discreta benedizione del cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. E vista la preoccupazione del premier per il franare della sponda cattolica (dopo il convegno di Todi), l'idea di nominare una candidata gradita anche al Vaticano ha solleticato la mente del Cavaliere. C'è poi ancora tutta aperta la questione di Vittorio Grilli, il candidato sponsorizzato da Tremonti e, indirettamente, da Bossi. Il ministro dell'Economia infatti non molla e quanto possa essere un osso duro lo ha sperimentato ieri il ministro Paolo Romani, incaricato da Berlusconi di seguire il decreto Sviluppo. Tra i due c'è stato un aspro confronto a palazzo Grazioli, davanti al premier, a Letta e Angelino Alfano. Sono volate parole grosse, con Tremonti che smontava una ad una le proposte del collega. Un vertice concluso dopo soli 40 minuti, con il ministro dell'Economia che si congeda bruscamente rinfilando nella borsa le proposte approntate da Romani: "Queste non vanno. Se vi viene in mente un'idea migliore avvertitemi". Stallo sulla Banca d'Italia, stallo sul decreto Sviluppo. Le preoccupazioni del premier per la tenuta del governo crescono ogni giorno di più, nonostante la fiducia appena incassata. Così, per puntellare la maggioranza, Berlusconi starebbe pensando di offrire un posto da ministro a Claudio Scajola, leader di un reggimento di deputati insofferenti. (20 ottobre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/economia/2011/10/20/news/bankitalia_gelo_napolitano-premier-23535913/ Titolo: FRANCESCO BEI. Letta, Alfano e Verdini uniti: Silvio, la maggioranza non c'è più Inserito da: Admin - Novembre 05, 2011, 11:27:42 am RETROSCENA
Letta, Alfano e Verdini uniti "Silvio, la maggioranza non c'è più" Drammatico vertice a Palazzo Grazioli dopo il ritorno in Italia di Berlusconi reduce dal G20. "Meglio fare subito un passo indietro". Ma il premier resiste. Martedì il d-day. Spunta un nuovo esecutivo dal nostro inviato FRANCESCO BEI CANNES - Alle otto di sera, nel salotto di palazzo Grazioli, la bandiera bianca viene alzata dall'ultimo uomo da cui il Cavaliere si aspetterebbe il colpo: Gianni Letta. "Silvio, i numeri sono questi, forse è arrivato il momento di farsene una ragione". Berlusconi è stanco, fissa i suoi interlocutori. Ha davanti a sé Denis Verdini, Letta, Angelino Alfano e Paolo Bonaiuti. Li guarda senza davvero capire quello che gli stanno dicendo. È finita. Ha passato la notte precedente a trattare con Obama e Sarkozy, ora gli stanno dicendo che la fine della sua stagione politica è stata decisa da Stracquadanio e Bertolini. Ma è così. Denis Verdini, l'uomo che ha garantito nell'ombra tutte le trattative con i parlamentari, stavolta ammette che i numeri non ci sono più. Se si votasse domani sul rendiconto dello Stato i numeri si fermerebbero a 306 deputati. Ma il coordinatore stavolta è anche più pessimista: oltre a quelli che sono già andati via c'è anche un'altra area di dissenso, un'area grigia di una quindicina di deputati pronti a staccarsi dalla maggioranza, portando così la conta finale a 300. Sarebbe la fine. Sono ore drammatiche, il premier incassa questi numeri ma non ci sta. Si ribella, alza la voce. E prova a resistere. "Non ci credo. Li chiamerò uno ad uno personalmente. È tutta gente mia, mi devono guardare negli occhi e dirmi che mi vogliono tradire. Io lo so che sono arrabbiati, è gente frustrata, si rompono le palle a pigiare tutti i giorni un pulsante, ma non hanno un disegno politico. Ci parlerò". Verdini e Alfano non condividono l'ottimismo del Cavaliere e stavolta non hanno paura a dirlo: "Ci abbiamo già parlato noi, è stato inutile". Berlusconi li ascolta, a volte sospira e sembra rendersi conto della gravità della situazione. Per la prima volta le sue certezze traballano, inizia a prendere in considerazione l'impensabile. "Io potrei anche lasciare il posto a qualcun altro, come dite voi. Se vedessi un nuovo governo potrei fare un passo indietro, il problema è che non lo vedo". E tuttavia i suoi uomini insistono. La pressione per allargare la maggioranza all'Udc è sempre più forte. Nel governo, nella componente dei forzisti, ormai è un coro. E non resta molto tempo, le lancette corrono veloci. Martedì si voterà il Rendiconto dello Stato, poi probabilmente partirà una mozione di sfiducia. A quel punto sarà troppo tardi. Così, nella lunga notte di palazzo Grazioli, viene elaborata una strategia per affrontare i prossimi passaggi. Prendendo in considerazione i numeri ma anche l'insistenza del Cavaliere nel provare a resistere. Viene studiato un possibile atterraggio morbido. Da oggi a lunedì Berlusconi farà le sue telefonate ai ribelli e le sue convocazioni. Prima del voto alla Camera verrà fatto un ultimo controllo, un check nome per nome, tracciando il bilancio definitivo. Sarà in quel momento che verrà presa la decisione finale perché, se i numeri saranno ancora negativi, al Cavaliere hanno consigliato di andarsi a dimettere senza passare per un voto di sfiducia. "Possiamo anche andare allo scontro - gli hanno spiegato Alfano e Letta - ma se perdiamo, e stavolta è probabile che perdiamo, la palla passa agli altri. A quel punto possiamo solo subire". Al contrario, se Berlusconi si decidesse a pilotare il passaggio con delle dimissioni volontarie, continuerebbe a essere il regista dell'operazione. Spianando così la strada a un nuovo governo, a maggioranza Pdl, a cui il Terzo polo non potrebbe dire di no. Un governo guidato da Gianni Letta o Mario Monti. A quel punto la vera incognita sarebbe la Lega. Anche di questo si è discusso a via del Plebiscito, ipotizzando che Roberto Maroni possa restare al Viminale. La strada del voto anticipato, il mantra ripetuto fino a ieri da Berlusconi e dallo stato maggiore del Pdl fin dentro lo studio del capo dello Stato, non viene nemmeno preso in considerazione. Serve alla propaganda, ma i sondaggi sono impietosi. Per il Pdl andare alle urne in questa situazione sarebbe un naufragio rovinoso. Al contrario, nel caso il Cavaliere accettasse di favorire il passaggio a un governo diverso, per il centrodestra si aprirebbero opportunità vantaggiose. "Con Gianni Letta a palazzo Chigi - hanno spiegato al premier - allarghiamo l'alleanza a Casini e possiamo decidere noi se andare al voto tra sei mesi o tra un anno. Quando ci conviene di più". Ma anche se Napolitano incaricasse Mario Monti per un governo di "salvezza nazionale", con una dura agenda di sacrifici - quella tracciata ieri a Cannes con l'Ue e il Fondo monetario - per il Pdl e Berlusconi ci sarebbero vantaggi. "Avremmo tutto il tempo di riorganizzarci e preparare la candidatura di Alfano nel 2013". Inoltre si alleggerirebbe la responsabilità per il micidiali tagli che dovranno essere approvati. E resterebbe solo Mario Monti come artefice della purga. Altre strade, nonostante Berlusconi resista, non ci sono. "Oggi siamo a 306, ma potremmo finire a 300", gli hanno ripetuto in coro. L'unica incognita a questo punto resta la data dell'attacco che sarà scelta dall'opposizione. C'è chi pensa martedì, chi punta alla settimana successiva. Tra il Pd e l'Udc su questo punto non c'è identità di vedute. Bersani vorrebbe assestare subito il colpo, sul Rendiconto dello Stato (lasciando che ad approvarlo sia un nuovo governo). Al contrario Pier Ferdinando Casini ormai è convinto che la partita sia già vinta. E tanto vale far passare il Rendiconto con un'astensione, portando l'assalto finale qualche giorno più tardi. Sempre che Berlusconi, come lo imploravano ieri i suoi, non decida di anticiparli e gettare la spugna da solo. (05 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/05/news/berlusconi_dimettiti-24461894/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Alfano e Letta: "Meglio andare al Quirinale Silvio... Inserito da: Admin - Novembre 07, 2011, 11:06:08 pm Il retroscena
Alfano e Letta: "Meglio andare al Quirinale Silvio, dimettiti prima del Rendiconto" L'ultimo pressing dei vertici Pdl in un drammatico vertice notturno a palazzo Grazioli. Il capo del governo insiste: "Bisogna resistere un po'. Poi si vota con noi a Palazzo Chigi". E pensa di offrire a Napolitano la rielezione di FRANCESCO BEI "Silvio è finita". Dopo un pomeriggio passato a Palazzo Grazioli con Alfano, Letta e i capigruppo del Pdl, il Cavaliere è sul punto di mollare. Se il pressing del gruppo dirigente del Pdl sortirà il suo effetto, oggi stesso Berlusconi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni. Si conclude così, in maniera drammatica, una lunghissima giornata, che ha visto le residue certezze del premier cadere una ad una. Fino al colpo annunciato alle 20.22 dall'agenzia TmNews - l'uscita dal Pdl di Gabriella Carlucci 1 - che investe in pieno il capo del governo lasciandolo "incredulo". Da quel momento tutto precipita, finché anche Bobo Maroni, da Fabio Fazio (video 2), non certifica la crisi in atto: "La maggioranza non c'è più ed è inutile accanirsi". L'epilogo tuttavia non è scritto, e potrebbe rivelarsi più difficile del previsto. Perché il Cavaliere ancora a tarda notte puntava i piedi, minacciando persino una grande manifestazione a Roma contro i "ribaltonisti". Pronto a chiedere il voto anticipato a Napolitano nel caso a Montecitorio la maggioranza, come sembra, dovesse venir meno. "Io non mi vado a dimettere - ha ripetuto fino all'ultimo nella riunione a via del Plebiscito - perché ci conviene andare a votare a gennaio restando noi a palazzo Chigi". Berlusconi è pronto a tutto, persino ad avanzare un'offerta spericolata al capo dello Stato. "Se ci dà le elezioni noi possiamo garantirgli un secondo mandato al Quirinale nel 2013". Gli ultimi calcoli fatti durante il vertice non consentono più margini di manovra. Nella migliore delle ipotesi discusse davanti al premier - migliore ma irrealistica - maggioranza e opposizione sono pari a 314 voti (a cui aggiungere Alfonso Papa agli arresti e Gianfranco Fini che non vota). Trecentoquattordici voti, ma in realtà nel Pdl c'è un'intera area di forzisti della prima ora in subbuglio. Non solo Bertolini, Stracquadanio e i firmatari della lettera dell'Hassler. C'è una zona grigia di malessere che sfugge a ogni certezza. Persino Denis Verdini, che da un anno ha saputo garantire al capo del governo una precisione chirurgica sui numeri, stavolta sembra abbia alzato le mani. Non ci sono certezze. "Rischiamo la slavina", gli hanno ripetuto in coro capigruppo e ministri. "Non puoi fare la fine di Prodi - gli dicono - e cadere per un voto in Aula. Sarebbe un suicidio politico. In questo modo non avresti più titolo di parlare, l'iniziativa ci sfuggirebbe completamente di mano". Il premier, messo alle strette, ancora non ha deciso cosa fare. L'hanno sentito parlare di tre fantomatici deputati dell'Udc e di uno del Pd in arrivo nel Pdl. Ma i presenti si sono guardati negli occhi senza crederci. Dice di temere per le sue aziende. Racconta che anche i figli sono preoccupati per le ripercussioni su Mediaset, gli chiedono di non mollare. Ma la realtà è senza scampo. Verdini calcola in 23 deputati l'area del malcontento. Gente che magari domani pomeriggio potrà anche votare a favore del Rendiconto, ma che non garantirà di proseguire l'esperienza di governo. È dunque finita per Berlusconi, ma a questo punto gli uomini al vertice del Pdl stanno facendo di tutto per convincerlo a non trascinare a fondo tutto il centrodestra. Per farlo c'è un unico modo: "Devi anticipare la crisi di governo andando a dimetterti e negoziando le condizioni per il nuovo governo". Un'impresa resa più difficile dopo la chiusura fatta da Pier Luigi Bersani a un esecutivo guidato da Gianni Letta. Una chiusura a cui è sembrato accodarsi anche Pier Ferdinando Casini che ha detto chiaro e tondo che un nuovo governo non può nascere senza l'apporto del Pd. "Se Casini va dietro Bersani e dice di no a Letta - ragiona preoccupato un ministro del Pdl - è davvero finita. Vuole dire che ha stretto un patto con il Pd per farsi eleggere al Quirinale. Allora ci sono soltanto le elezioni". Quanto a Mario Monti, Berlusconi dicono che non potrebbe mai accettarlo. A tarda notte nel corso del vertice viene elaborata un'ultima offerta da portare a Casini. Quella di un governo Alfano-Maroni, un ticket che aprirebbe una nuova fase con un'offerta di collaborazione al terzo polo. Al terzo polo, non al Pd. In questo modo, sperano i dirigenti del Pdl, si ricompatterebbe intanto il centrodestra esistente, sedando la ribellione dei deputati. Inoltre si metterebbe in difficoltà Casini, che avrebbe difficoltà a rifiutare quel nuovo esecutivo senza il Cavaliere che proprio l'Udc chiede da un anno a questa parte. Ma questi sono scenari spericolati visto che, al momento, l'ipotesi elettorale sembra quella più accreditata. Il ministro Romano, uscito dall'Udc, spinge per il voto anticipato. E con lui tutti i falchi del Pdl. Persino Gianfranco Rotondi ha minacciato Berlusconi di non dare il via libera a un nuovo governo con l'Udc. Ha raccolto 27 firme di parlamentari su una lettera in cui si accusa Berlusconi di aver tradito il berlusconismo. Sono i paradossi delle ore di crisi. (07 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/07/news/vertice_dimissioni-24564395/ Titolo: FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO Napolitano gela il Cavaliere ... Inserito da: Admin - Novembre 13, 2011, 11:13:45 am IL RETROSCENA
Napolitano gela il Cavaliere "Voto? Io apro le consultazioni" Letta smonta l'ultima speranza: "Silvio, non sono disponibile". Già dalla mattina il Quirinale aveva avvertito: senza maggioranza il passo indietro è un gesto obbligato. La mossa del premier dettata dalla paura che il Colle potesse affidare ad un altro governo il compito di rispettare gli impegni presi con l'Europa di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO ROMA - È la resa. Alle sette di sera, nello studio del capo dello Stato, un Berlusconi esausto ammette di aver perduto la sua ultima partita. "Le confesso signor Presidente che non me l'aspettavo. Né con questi numeri né per i nomi di chi mi ha tradito, tutti miei fedelissimi come Antonione". Il premier prosegue nel suo sfogo davanti a Napolitano, Letta gli è seduto accanto. "Avevo pensato di venire qui a chiederle un nuovo passaggio di fiducia in Parlamento, ma abbiamo preso degli impegni in Europa e non possiamo permetterci un braccio di ferro sulle mie dimissioni. Sarebbe un pessimo segnale ai mercati, preferisco chiudere in buona coscienza". La parola "dimissioni" non viene mai pronunciata, il Cavaliere proprio non ce la fa. Ma inevitabilmente arriva l'annuncio: "Dopo la legge di stabilità mi farò da parte. È vero, non ho più i numeri per andare avanti". È una mossa dettata da una paura. Berlusconi teme infatti che Napolitano potrebbe affidare a un altro governo il compito di portare a casa gli impegni presi con Bruxelles. Un "governo europeo", guidato da Mario Monti, con la lettera di Berlusconi all'Ue come programma. Una "trappola" per il Pdl che, a quel punto, non potrebbe dire di no. Napolitano prende atto della "consapevolezza" del premier di essere arrivato al capolinea, sulla base di un risultato parlamentare senza appello. Ascolta ma non è sorpreso. Il capo dello Stato, già dalla mattina, nel giro di colloqui con la Lega e con le forze d'opposizione, aveva avvertito: se davvero sul rendiconto la maggioranza si dissolve, a quel punto le dimissioni del Cavaliere saranno un "gesto obbligato". Del resto anche il Carroccio a Napolitano lo aveva fatto intendere chiaramente: "Se non ci sono più i voti per andare avanti e Berlusconi fa finta di niente siamo pronti a ritirare i nostri ministri dal governo". Un diktat senza vie d'uscita. Quello che preme a Napolitano è il messaggio da dare all'Europa con la rapida approvazione della legge di stabilità. E per questo sono arrivate al Colle le garanzie del Pd e del terzo polo: pronti all'approvazione lampo, come ad agosto con la manovra, se Berlusconi prima annuncia le sue dimissioni. Con questa assicurazione in tasca, certo così che non ci sarà uno slittamento dei tempi, il capo dello Stato ha concesso a Berlusconi di lasciare palazzo Chigi solo dopo l'approvazione della manovra europea. E con ulteriori "caveat" al presidente del Consiglio: "La legge di stabilità credo debba essere ridotta all'essenziale, limitandoci a ciò che ci chiede l'Europa". Un modo per evitare di replicare quel decreto "omnibus" con cui il Cavaliere si era presentato la settimana scorsa al Colle e restituito al mittente da Napolitano perché infarcito di troppe norme estranee al risanamento. "In questo modo - propone il capo dello Stato - si potrebbe approvare in maniera definitiva entro la fine del mese". A Berlusconi, che vorrebbe invece tirarla per le lunghe per arrivare a metà dicembre in modo da far saltare il governo tecnico, non resta altro che abbozzare. E dopo le dimissioni che succederà? Qui le strade di Berlusconi e di Napolitano si dividono. "Per me - prova a forzare il Cavaliere - questo percorso porta solo a elezioni anticipate il prima possibile, anche a febbraio. Non daremo mai il nostro assenso a un governo tecnico o di larghe intese. Sarebbe un ribaltone". Ma Napolitano lo gela. "Per me questo percorso, dopo le sue dimissioni, porta all'apertura delle consultazioni con tutti i partiti. Sia quelli che hanno vinto le elezioni del 2008, e dentro ci sono anche forze come il Fli, sia i partiti che stanno all'opposizione". Il discorso è chiarissimo. Vuol dire che, pur riconoscendo alla maggioranza un ruolo chiave nelle consultazioni che si apriranno, il capo dello Stato apre la porta a un governo di larghe intese. E che le elezioni anticipate saranno proprio l'ultima carta che resterà sul tavolo. Per Berlusconi è una doccia fredda, si rende conto che dopo la sua uscita da palazzo Chigi si aprirà una partita interamente nelle mani del Colle. Quaranta minuti di colloquio. Alla fine Napolitano personalmente stende il comunicato dell'addio, chiarendo senza possibili scappatoie che "il presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato nelle mani del capo dello Stato". E nel congedarlo gli anticipa il senso della nota, che tuttavia sarà diffusa dal Quirinale senza che al premier venga riletta. Napolitano dunque si tiene le mani libere. Dando così corpo ai peggiori timori di Berlusconi sull'arrivo di un governo di transizione affidato a Monti. Un fantasma che aveva anche animato la drammatica riunione convocata dal Cavaliere a Montecitorio subito dopo il voto. Facce lunghe, toni concitati. I ministri del Pdl lo supplicano di dare le dimissioni subito, "questa sera stessa", in modo da arrivare all'indicazione di un uomo del Pdl per l'incarico: Letta, Alfano oppure Schifani. "Se facciamo così - assicura Verdini - possiamo tornare facilmente a 320 deputati". Ma, quando Berlusconi si ritrova in auto da solo con Gianni Letta, verso il Quirinale, il sottosegretario smonta anche l'ultima speranza: "Silvio, dubito che Napolitano possa darti oggi garanzie sul nome del tuo successore. E poi io non sono disponibile". (09 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/09/news/retroscena_quirinale-24695065/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Monti vuole far presto, teme di perdere il treno franco-tedesco Inserito da: Admin - Novembre 27, 2011, 03:27:40 pm IL RETROSCENA
L'incubo del Professore non convincere Berlino Monti vuole far presto, teme di perdere "il treno franco-tedesco". E tratta con la Ue i criteri del pareggio di bilancio di FRANCESCO BEI È un gabinetto di guerra quello che si riunisce di sabato, in una Roma semi-deserta, a via XX Settembre. In edicola è arrivato il Financial Times, la bibbia della City di Londra, che sferza Roma e descrive i piani del governo ancora "avvolti nella nebbia". L'ultima giornata di contrattazioni ha lasciato sul terreno uno spread di 500 punti. Mario Monti chiama dunque a raccolta il "nocciolo duro" del nuovo esecutivo: i ministri Corrado Passera (Sviluppo), Elsa Fornero (Welfare), Enzo Moavero (Politiche Comunitarie) e Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento). La situazione è molto più grave del previsto, l'Italia rischia di restare fuori dalla futura governance dell'euro. Anche Napolitano chiama il premier e si tiene informato. Sono ore drammatiche per il futuro della moneta unica e la trattativa segreta tra Merkel e Sarkozy, rivelata ieri dalle indiscrezioni della Bild, punta dritto a un'Europa a due cerchi. Un primo di paesi virtuosi, che andrebbero avanti per conto loro, e un cerchio più largo di paesi cicala, gravati da un debito insostenibile. E l'Italia, ha detto chiaro Merkel a Monti al vertice trilaterale di Strasburgo, rischia di finire in coda. È una sorta di "Schengen dell'euro" quella che si profila, con alcuni paesi del Nord Europa che adottano da subito le nuove regole e gli altri che restano indietro. Le modifiche al patto di stabilità, sostiene la Bild, arriverebbero sul tavolo del Consiglio europeo prestissimo. Già al vertice dell'8 dicembre. Per questo Monti non ha più un minuto da perdere. "Ci chiedono - riferisce un ministro - di approvare qualcosa di concreto prima del prossimo summit Ue". Un'imposizione più che una richiesta, altrimenti il treno della nuova Europa potrebbe partire senza di noi. "A questo punto - detta la linea Monti - dobbiamo accelerare per non rimanere indietro. Dobbiamo giocare il tutto per tutto per non staccarci dal treno franco-tedesco". Da qui la decisione di inserire anche le pensioni nel pacchetto. L'Italia, osserva una fonte di governo, si trova oggi in una situazione simile a quella vissuta nel settembre del 1996, quando Romano Prodi andò a Valencia per cercare di convincere Aznar (ma la ricostruzione è sempre stata negata da Prodi) a fare fronte comune per ammorbidire i parametri di Maastricht necessari ad entrare nell'euro. Aznar, come sembra fare oggi la Merkel, ci chiuse la porta in faccia. E l'Italia, con Ciampi ministro del Tesoro, fu costretta a raddoppiare la Finanziaria per centrare l'obiettivo: da 32.500 a 62.500 miliardi di lire. È lo spettro che agita Monti. Quello di dover somministrare al cavallo una cura troppo pesante, che potrebbe aggravare ulteriormente la situazione spingere il paese verso la recessione. Per questo ieri mattina, prima dell'incontro con i suoi ministri, il premier ha proseguito la due diligence sui conti pubblici del 2012. Una ricognizione fatta insieme al direttore generale di via XX Settembre, Vittorio Grilli, al ragioniere generale dello Stato Mario Canzio e al capo di Gabinetto Vincenzo Fortunato, che starebbe restituendo un quadro della situazione più complicato rispetto alle attese. Se il precedente governo puntava a uno 0,6 per cento di Pil nel 2012, le nuove stime europee vedono un misero 0,1 per cento di crescita. E l'anno prossimo potrebbe arrivare la recessione. Per questo le speranze di Monti sono tutte appese alla trattativa in corso sui nuovi criteri di valutazione del pareggio di bilancio. Un braccio di ferro segreto, giocato sulla richiesta italiana di poter modulare la manovra in base al ciclo economico. "Tutta l'area euro - spiega una fonte di palazzo Chigi - deve rivedere il concetto di deficit. Fermo restando il principio del rigore non si può non tenere conto della congiuntura. Nel rapporto tra il deficit e il Pil bisogna stimolare il denominatore, il Pil, non si può agire solo con i tagli o le tasse". Un concetto che Berlusconi cercò invano di far digerire a Tremonti. Ora il professore intende "verificare a livello europeo" quali margini ci sono per arrivare a un "nuovo approccio" di questo genere. Prima che al Consiglio europeo si compia il blitz della coppia Merkel-Sarkozy sull'euro a due velocità. Monti gioca d'anticipo, proponendo nuovi criteri di misura del rapporto deficit/Pil e una nuova governance dell'euro che non spacchi l'Europa. Già domani potrebbe partire per Bruxelles per prendere contatto con le delegazioni francesi e tedesche prima dell'Eurogruppo. (27 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/27/news/l_incubo_del_professore_non_convincere_berlino-25666638/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Liberalizzazioni, la lunga trattativa di Monti Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2012, 11:08:21 pm IL RETROSCENA
Liberalizzazioni, la lunga trattativa di Monti "Ma in Parlamento non si cambia nulla" Il governo approva la lenzuolata di riforme, denominata cresci Italia. I partiti ora vogliono trattare per le modifiche in aula. Ma per il Professore toccare qualcosa rischia di mettere a rischio il dl di FRANCESCO BEI ROMA - "È stata una faticaccia ma abbiamo prodotto un risultato equilibrato. A questo punto modificarlo sarebbe un rischio, meglio lasciarlo così. Anzi non si può più cambiare". Esausto per il tour de force, adesso Monti prova a mettere in sicurezza il provvedimento "cresci-Italia" blindandolo in Parlamento. Impresa difficile, a giudicare dalle intenzioni dei partiti della sua maggioranza. Che negli ultimi due giorni hanno fatto fuoco e fiamme per portare a casa il massimo possibile. "Dicono che il Consiglio dei ministri sia durato otto ore. Non è vero, in realtà ce ne abbiamo messe almeno diciotto: la trattativa è iniziata la sera prima con i partiti!". La confessione serale di un ministro alza un velo sulla notte dei lunghi coltelli che ha portato al provvedimento sulle liberalizzazioni. Notte insonne, soprattutto per il Pdl. Non che il Pd e il Terzo polo se ne stiano zitti e buoni, anzi. Ma le nuove norme bruciano nella carne viva di categorie in questi anni rappresentate dal centrodestra, come i tassisti, i professionisti, notai, avvocati e farmacisti. Ed è per questo che, fino all'ultimo, persino durante la riunione del governo, gli sherpa del Pdl - supportati dalle carte fornite in queste settimane dalle lobby di categoria - si fanno sentire, alzano la voce, pretendono risposte. Berlusconi e Alfano agiscono in maniera militare per limitare al massimo le liberalizzazioni, mettono in campo una task-force di esperti. A guidarla sono Maurizio Gasparri e Renato Brunetta, ne fanno parte anche Massimo Corsaro, Paolo Romani e Luigi Casero. E, su tutti, vigila Gianni Letta, che coltiva (insieme a Gasparri) rapporti intensi e molto stretti con il braccio destro di Monti, Antonio Catricalà. "Considerato che questo era il passaggio più indigesto per noi - osserva Raffaele Fitto - non è andata male. Abbiamo limitato i danni. E adesso arrivano le norme sul mercato del lavoro, che saranno molto dolorose per il Pd". Sull'Ipad di Gasparri scorrono una dopo l'altra le bozze del decreto. La prima giovedì pomeriggio, ritenuta insoddisfacente. Poi la seconda e l'ultima, che il capogruppo del Pdl ottiene a palazzo Chigi poco prima dell'inizio del Consiglio dei ministri. Ma ieri a mattina a varcare il portone di palazzo Chigi è lo stesso Gianni Letta, ricevuto da Catricalà. Ufficialmente si parla dello spostamento della Protezione civile sotto al Viminale, in realtà è il segnale del pressing fortissimo del Pdl sul governo. Che tocca, incidentalmente, anche la decisione del ministro Passera di stoppare l'assegnazione gratuita delle frequenze digitali a Mediaset per novanta giorni. Per Berlusconi è l'unica, vera sconfitta. Anche se non definitiva. "Monti - ragiona un ex ministro del Pdl - ha voluto mettere una pistola sul tavolo. Probabilmente consigliato da qualcuno più in alto, ha mandato un segnale al Cavaliere. Il premier tiene in stand-by la questione delle frequenze per fare pressione su di noi e intanto il tempo passa. Tra novanta giorni, quando decideranno, si sarà chiusa la finestra per andare alle elezioni anticipate. E Monti arriverà al 2013". Il Pdl, comunque, ritiene di aver strappato molto. I farmaci di fascia C potranno essere venduti solo dalle farmacie, come adesso. E l'arrivo di 5000 nuove farmacie, ammettono sconsolati nel Pd, "significa la morte delle 3500 parafarmacie che guardavano a noi nella speranza di poter crescere". Berlusconi incassa anche l'annacquamento delle norme sui taxi, lasciate a una futura decisione dell'autorità delle reti, sentiti i sindaci. E il Pdl è pronto a presentare un emendamento che preveda una decisione solo "d'intesa" con i sindaci. Così come è vero che aumentano i notai, ma restano tutti i costi legati all'intermediazione notarile. Il Pd infatti mastica amaro. "I grandi temi ci sono tutti - ragiona Francesco Boccia - ma forse in Parlamento dovremo aumentare l'intensità del decreto". È quello che Benedetto Della Vedova lamenta come "il vizio d'origine" della coalizione: "Nessuno, a parte noi del terzo polo, vuole intestarsi questa manovra. Così si indebolisce sia il governo che la politica. E resta solo la piazza". (21 gennaio 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/21/news/retroscena_liberalizzazioni-28508800/ Titolo: FRANCESCO BEI. E il Professore inizia a temere il Pdl "Non so se riesce a ... Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2012, 10:41:53 pm RETROSCENA
E il Professore inizia a temere il Pdl "Non so se riesce a tenere fino alla fine" Berlusconi attende la sentenza Mills per decidere se staccare la spina all'esecutivo. L'Udc: "Dobbiamo aiutare il Popolo delle Libertà a non esplodere" di FRANCESCO BEI ROMA - La faccia preoccupata di Mario Monti, mentre lascia di corsa Montecitorio prima che l'aula abbia votato la mozione unitaria sull'Europa, contrasta con una giornata che, per il suo governo, dovrebbe assicurargli una navigazione tranquilla. Il voto è stato bulgaro - 468 favorevoli - e, in fondo, si è trattato della prima apparizione formale della nuova maggioranza "tripartita". E questo nonostante i democratici e i berlusconiani si sforzino di ripetere che non si tratta dell'avvio di una coalizione "politica". Eppure il premier inizia a temere che sia solo la quiete prima della tempesta. "Ho paura - confida ai suoi - che il Pdl non tenga". L'attenzione dei sostenitori del Professore è infatti tutta concentrata su quello che è diventato il vero anello debole della maggioranza "strana": il partito del Cavaliere. E non è stato un bel segnale per il governo vedere quei 64 astenuti del Pdl - nonostante l'ordine ufficiale di votare no - che non se la sono sentita di andare contro la mozione della Lega. Gente di Berlusconi, come Laura Ravetto o Massimo Corsaro, eletti al Nord, che temono la fine rovinosa dell'alleanza con Bossi. "Qua si va a votare - sbotta l'ex ministro Andrea Ronchi - il 90 per cento di noi non ne può più di questo governo". A preoccuparsi stavolta sono anche gli uomini del Pd e del Terzo polo. Quelli più impegnati nella difesa del governo tecnico. Come Enrico Letta, che ieri in aula è salito ai banchi del Pdl per una serrata conversazione a quattr'occhi con un'altra colomba, Franco Frattini. Per questo anche i centristi hanno iniziato a costruire i primi "firewall", per evitare che il partito dei falchi berlusconiani travolga tutto e trascini l'Italia al voto. "L'atteggiamento del Pdl - spiega il segretario Udc Lorenzo Cesa - ci inizia a preoccupare. Dobbiamo stare attenti e aiutarli a reggere, è interesse di tutti che il Pdl ora non esploda". Per questo, rivela Cesa, l'Udc sta dando una mano al segretario Alfano rendendogli meno difficile "raggiungere un accordo con noi alle amministrative. Un'impresa non impossibile visto che in molti posti già governavamo insieme". È un modo per allentare la pressione, per abbassare la temperatura interna alla maggioranza che sostiene il governo. E far intravedere al Pdl una via d'uscita alternativa, oltre l'alleanza sempre più difficile con Bossi. Tanta premura non deve apparire eccessiva. Nel Pdl infatti ogni giorno che passa cresce il malcontento nei confronti del governo Monti. E in tanti iniziano a pensare che proprio il decreto sulle liberalizzazioni, avversato dalle categorie che da sempre hanno guardato al centrodestra, possa essere il terreno ideale per far saltare il banco e andare in campagna elettorale. Aldo Brancher, da sempre il pontiere fra Berlusconi e Bossi, lunedì sera era presente alla cena tra i due leader a via Rovani. E pronostica una svolta a breve: "Berlusconi vede che il decreto Monti colpisce da una parte sola. E i nostri, sul territorio, si devono difendere dall'accusa di votare queste misure impossibili insieme al Pd. Ma pian piano la gente sta iniziando a capire che non era colpa di Berlusconi quello che è accaduto. Bisogna aspettare una quindicina di giorni e poi vediamo". Quella "quindicina di giorni", a cui allude il braccio destro del Cavaliere, porta avanti le lancette della politica a una data chiave per il Pdl: la sentenza del processo Mills. Un processo "politico", secondo l'ex premier, che ieri ha voluto inviare un segnale preciso andando in Tribunale invece che a Montecitorio. Come a dire: è a Milano che per me si gioca la vera partita. "Perché è chiaro - osserva Maurizio Lupi - che una condanna che arriva a un giorno dalla prescrizione significa che anche il collegio dei giudici, oltre alla procura, si è accanito. E per noi sarebbe una sentenza politica con conseguenze politiche. Perché i giudici non vivono sulla luna". Insomma, il Cavaliere ha davanti due strade: la prima porta alla rottura con Monti e al voto anticipato. Strada piena di rischi, anche per i sondaggi negativi che danno in costante caduta il suo partito. Ma avrebbe la certezza di mantenere in piedi l'asse del Nord con Bossi, sia alle politiche che alle amministrative. La seconda strada conduce invece alla rottura con il Carroccio e al sostegno a Monti fino alla fine della legislatura. Ma Berlusconi vuole garanzie: "Non posso sostenere un esecutivo con chi vuole mandarmi in galera. Serve un disarmo e il primo passo è la sentenza Mills". Il secondo passo, spiegano dal Pdl, è quello che si aspetta il partito Mediaset. L'azienda non vuole scherzi sul beauty contest che dovrebbe assegnare le frequenze digitali. Il ministro Passera per ora l'ha bloccato, ma l'asta non è stata ancora indetta. Ecco, anche la partita delle frequenze, oltre alla sentenza Mills, è in questi giorni sul tavolo del Cavaliere. Che si è preso "una quindicina di giorni" di attesa. Per capire se staccare la spina. Oppure andare avanti, come ieri, con la maggioranza "strana". (26 gennaio 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/26/news/monti_tenuta_pdl-28778300/ Titolo: FRANCESCO BEI. I democratici chiamati a scegliere e si fa strada l'ipotesi ... Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2012, 11:02:11 am I PERSONAGGI
La partita del Pd per la premiership spunta la corrente dei "montiani" I democratici chiamati a scegliere e si fa strada l'ipotesi di anticipare il congresso. Tensione anche nel Pdl. L'eventuale corsa di "superMario" sul tavolo del vertice dei berlusconiani a Villa Gernetto di FRANCESCO BEI ROMA - C'è qualcuno che già lavora per candidare Monti nel 2013? Ecco, siamo di nuovo lì. A quella prima pagina del Manifesto del '95, governo Dini, quando la sinistra si chiedeva "Baciamo il rospo?". Quindici anni dopo c'è Mario Monti a dividere il campo, a destra ma soprattutto a sinistra. Il Pd è attraversato da sospetti, acuiti dall'intervista rilasciata ieri da Walter Veltroni a Repubblica. Il governo ha un profilo "riformista" e sarebbe "un grave errore" regalare Monti alla destra, ha detto l'ex segretario. Attirandosi una violenta scomunica di Stefano Fassina, membro della segreteria e vicino alle posizioni della Cgil. Eppure Veltroni tocca un nervo scoperto. "Ha messo il dito nella piega - ha commentato Casini con i suoi dopo aver letto l'intervista - anche se è più facile parlare quando sei un battitore libero: Bersani, da segretario, deve conciliare le due anime del partito". Che sia questa - Monti o non Monti nel 2013 - la questione centrale lo dimostra del resto la dichiarazione di sostegno arrivata da Enrico Letta, un altro sponsor del Professore: "Berlusconi tenta di berlusconizzare Monti? Chissà. Nel dubbio fa bene Veltroni a ribadire che non dobbiamo cedere Monti alla destra". Il Pd è chiamato a scegliere, tanto che inizia a farsi strada l'ipotesi di anticipare il congresso - previsto nell'autunno 2013 - a una data più ravvicinata, per sciogliere il nodo delle alleanze e dell'identità del partito. Certo l'ala bersaniana inizia a vivere con una crescente insofferenza la posizione troppo montiana dei veltroniani. Fassina si rivolge a Veltroni senza diplomazia: "Se la tua valutazione fosse giusta alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al Pdl, oltre che al Terzo Polo". Dalla segreteria di Bersani anche Roberta Agostini dà voce ai sospetti su Veltroni. Baciare il rospo? "Noi - dice Agostini - siamo con Monti ma oltre Monti. Non penso che il Pd possa candidarlo e, se qualcuno lo pensa, sbaglia i propri conti. Sarebbe una scelta suicida. Fassina interpreta un sentimento di malessere che c'è nel paese per i sacrifici non sempre equi imposti da Monti". Bersani e l'ala sinistra del Pd temono anche la concorrenza sempre più aggressiva di Sinistra e Libertà. Domani a Roma Nichi Vendola aprirà la direzione di Sel in una settimana decisiva per la trattativa sul lavoro. E le premesse vanno tutte in una direzione, tanto che il presidente della Puglia ha già minacciato una "reazione durissima" se il governo intendesse "stracciare il fondamento della civiltà del lavoro" rappresentato dall'articolo 18. Di fronte a una probabile manifestazione targata Fiom-Sel contro il governo cosa faranno nel Pd? Ma la verità è che la possibile candidatura di Mario Monti e la sua investitura a premier oltre il 2013 minacciano di far saltare anche gli equilibri dentro il Pdl. "Quel che dice Veltroni - ammette Osvaldo Napoli - ha una sua logica. Ma anche nel centrodestra c'è paura che Monti se lo prenda la sinistra. La realtà è che hanno tutti paura di lui". E allora, con Pd e Pdl bloccati, ad avvantaggiarsene potrebbe essere il terzo incomodo. "Non vorrei - osserva infatti Veltroni - che Casini, mettendosi nella scia di Monti, facesse un grande partito di centro, prendendosi anche un pezzo del Pdl e diventando a quel punto il primo polo. A noi ci schiaccerebbero nella foto di Vasto e faremmo la fine della macchina da guerra del '94". Se il Pd può almeno consolarsi con sondaggi positivi, nel Pdl la questione "Monti sì-Monti no" s'intreccia invece con l'incubo della piena in arrivo con le amministrative di maggio. Che potrebbero far deflagrare definitivamente il partito. L'allarme rosso suonerà stasera alla cena organizzata a villa Gernetto da Berlusconi. Il Cavaliere è il primo a rendersi conto che la situazione è difficile, tanto da non aver ancora programmato alcun comizio in giro per l'Italia proprio per non firmare con il suo nome una sconfitta. Nei suoi piani, oltre alla presentazione di liste civiche, è tornata persino la vecchia idea di recuperare il simbolo di "Forza Italia" per le prossime politiche. Con buona pace dei mal di pancia che questo potrebbe provocare negli ex An. (20 febbraio 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/20/news/pd_premiersship-30176514/?ref=HREC1-23 Titolo: FRANCESCO BEI. Poi lo scontro fra Giarda e Grilli sul dl sulle liberalizzazioni Inserito da: Admin - Marzo 24, 2012, 03:00:33 pm RETROSCENA
Lavoro, alta tensione nel governo i ministri dissidenti contro la Fornero Critiche da Barca a Balduzzi. Il ministro della Salute, unico costituzionalista, avverte: "Andiamoci piano con l'articolo 18. Intervento di Monti per mediare. Poi lo scontro fra Giarda e Grilli sul dl sulle liberalizzazioni di FRANCESCO BEI ROMA - Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la "sala professori" si è animata di una discussione tutt'altro che accademica. E nemmeno la chiusura delle porte, imposta da Monti, è servita a evitare che qualche urlo arrivasse all'esterno del Consiglio dei ministri. La riforma del lavoro accende anche gli algidi professori di Monti specie se, come nel caso di Fabrizio Barca, hanno alle spalle una storia familiare di sinistra che parte dalla Resistenza. E proprio Barca è il primo a sollevare obiezioni a Fornero, per non aver ancora preparato "un vero articolato" da sottoporre all'esame del Consiglio limitandosi a consegnare quella "bozza generica" già letta alle parti sociali. Un rilievo condiviso anche da Piero Giarda. Ma il problema è anche di merito, in particolare sull'articolo 18. Del resto era stato proprio Barca l'unico ministro a esternare in pubblico, qualche giorno fa, il suo dissenso: "Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale". Barca apre un varco e ci si infilano anche altri. Andrea Riccardi, poi Renato Balduzzi. Il ministro della Salute è l'unico costituzionalista della compagnia e sono due giorni che si arrovella sulla riforma Fornero. Tra le altre cose fa notare che la riscrittura così radicale dell'articolo 18 potrebbe anche confliggere con l'articolo uno della Costituzione, quello che proclama la Repubblica "fondata sul lavoro". "Andiamoci piano", suggerisce Balduzzi. Il botta e risposta con Fornero si accende, deve intervenire Monti a difendere l'opera "equilibrata" del ministro del lavoro. Il Consiglio si divide tra falchi e colombe, qualcuno reclama ancora il decreto legge. Ma il premier spiega che no, "il decreto sarebbe politicamente una forzatura, anche il capo dello Stato ritiene migliore la strada del disegno di legge". A questo punto, vista la spaccatura, sarebbe stato Corrado Passera a suggerire un rinvio dell'approvazione della riforma a un'altra seduta, "per dare a tutti il tempo di approfondire e arrivare all'unanimità". Una versione smentita dall'interessato. E tuttavia la notizia filtra così. Tanto che Monti avrebbe dovuto agire d'imperio per superare l'impasse. "Se non riusciamo a chiudere oggi la discussione allora è meglio procedere con un voto. Ma io non posso accettare alcuna dilazione: immaginate come titolerebbero domani i giornali internazionali". Dunque la bozza Fornero viene approvata, "salvo intese". E il ministro si può sfogare rivendicando il lavoro svolto, la trattativa estenuante con le parti sociali, le nottate insonni. "Non vi immaginate quello che ho dovuto sopportare", confessa Fornero, che da due settimane è costretta a girare con dieci uomini di scorta. I colleghi applaudono, è l'unico momento in cui la tensione si scioglie. Il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, la proclama "la nostra Giovanna d'Arco". Entrano i commessi con bevande e caffè. Ma è solo un momento, perché la battaglia si riaccende subito dopo con la delega fiscale. Quando Giarda se la prende con Vittorio Grilli perché il testo ancora non è pronto sembra di rivedere il film degli scontri tra Tremonti e i suoi colleghi, tenuti regolarmente all'oscuro dei provvedimenti fino a un minuto prima della riunione. Il ministro dei rapporti con il Parlamento ce l'ha con Grilli anche per un'altra vicenda. La Ragioneria generale, che dipende dal Tesoro, aveva infatti segnalato la mancanza di coperture per il decreto liberalizzazioni. Ma nessuno dell'Economia, tanto meno Grilli, era andato a spiegare la cosa a Montecitorio, lasciando Giarda a prendersi da solo gli insulti e i pesanti sarcasmi di mezzo Parlamento. Giarda è furibondo e arriva persino a minacciare le dimissioni. Quando Monti lascia prima del tempo la riunione, per andare a cena con Schifani a Milano, dovrebbe essere Giarda a presiedere al suo posto. Ma il ministro se ne va sbattendo la porta e tocca a Piero Gnudi impugnare la campanella del premier. L'elettricità è tanta. Scorre anche sulla linea Catricalà-Patroni Griffi. I due, solitamente tra i più compassati, litigano alzando la voce. Alla fine, con un rinvio sulla delega fiscale e un'approvazione "salvo intese", il Consiglio più lungo termina. Monti vola a Milano con Fornero per cenare, nella sua abitazione privata, con Renato Schifani e Ferruccio de Bortoli. E al presidente del Senato chiede "una corsia preferenziale" per avere la certezza che la riforma del lavoro sia legge "entro l'estate". Il decreto, reclamato dal Pdl, è stato infatti scartato su pressione di Napolitano. Ma anche Gianfranco Fini, a pranzo giovedì con il premier, aveva sconsigliato a Monti di servirsene per evitare l'accusa di un uso eccessivo della decretazione d'urgenza. "A questo punto - ragiona con i suoi il presidente della Camera - chi ancora oggi chiede il decreto lo fa solo per mettere in difficoltà il governo". (24 marzo 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/24/news/lavoro_dissensi_ministri-32112625/ Titolo: FRANCESCO BEI I partiti e il nodo del finanziamento Inserito da: Admin - Aprile 13, 2012, 11:57:51 am di FRANCESCO BEI
I partiti e il nodo del finanziamento I partiti si muovono. Con il rischio che il discredito generato dai casi Lusi e Belsito travolga tutti, i leader di maggioranza hanno ora l’urgenza di dare un segnale. Così il testo di riforma sulla trasparenza nella vita dei partiti, partorito ieri durante un lungo vertice, è già da oggi al vaglio del presidente della Camera Gianfranco Fini. La riforma diventerà un emendamento al decreto fiscale e sarà quindi legge tra pochi giorni. Ma non c’è solo la stretta sui bilanci. Questa mattina c’è stato un nuovo incontro a porte chiuse degli sherpa di maggioranza sulla legge elettorale. E la sensazione è che a breve sarà partorita la bozza definitiva da inviare alle altre forze politiche. Altro fronte, altra accelerazione: "Le delegazioni di Pdl, Pd e Terzo polo - informa una nota - hanno raggiunto l'accordo sulla proposta di revisione di alcune norme della Costituzione. Nella giornata di oggi consegneranno il testo ai rispettivi gruppi parlamentari, i quali hanno già dichiarato la loro disponibilità a valutarlo in tempi rapidi per dare immediatamente il via all'iter parlamentare, che partirà dal Senato". Finanziamento pubblico, riforma elettorale, riscrittura della Costituzione sono i tre punti sui quali "ABC" avrebbero dunque trovato l’intesa. Resta alta invece la conflittualità sulla riforma del mercato del lavoro. Questa mattina il Pdl ha ascoltato per ore a via dell’Umiltà una delegazione di Confindustria e di Rete Imprese Italia: il Pdl chiede che sia ripristinata la flessibilità in entrata. Intanto nella Lega tiene banco lo scandalo dei conti segreti. Nel pomeriggio a via Bellerio si terrà il Consiglio federale che dovrebbe sancire l’espulsione dell’ex tesoriere Belsito e stabilire la data del Congresso. Attese "ad horas" le dimissioni di Rosy Mauro (almeno) da vicepresidente del Senato. da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2 Titolo: FRANCESCO BEI. Piano segreto Monti-Merkel road map parallela per la crisi Inserito da: Admin - Aprile 30, 2012, 11:20:35 am IL CASO
Piano segreto Monti-Merkel road map parallela per la crisi Trattativa per un patto su rigore e crescita. Approvazione in contemporanea dei due Parlamenti del "fiscal compact". L'obiettivo è orientare i tedeschi verso gli eurobond e lo scorporo dal deficit degli investimenti di FRANCESCO BEI UN'ITALIA più tedesca sul rigore, una Germania più italiana sulla crescita. È questa doppia metamorfosi l'obiettivo di una serrata trattativa segreta sull'asse Roma e Berlino. Un asse che potrebbe portare, nel giro poche settimane, alla più spettacolare operazione di marketing politico europeo dai tempi dei Trattati di Roma: la sincronizzazione dei processi di ratifica del Fiscal Compact e del Fondo Salva Stati (Esm) nel parlamenti di Roma e Berlino. Lo stesso giorno. Con la stessa maggioranza larga di unità nazionale. Con Mario Monti e Angela Merkel riuniti insieme ad assistere all'evento, incorniciato da una "dichiarazione solenne" sul comune destino europeo. Per mostrare ai mercati l'immagine di un'Italia definitivamente avviata alla disciplina di bilancio, con biglietto di sola andata. Per insinuarsi nella crisi dei rapporti tra Francia e Germania, favorita dall'ascesa di Hollande all'Eliseo, e sostituire Parigi nel rapporto privilegiato con Berlino. Ma anche per lasciarsi finalmente alle spalle "il rigore cieco" e puntare davvero a un nuovo patto per la crescita, un "Growth Compact" dopo il famigerato "Fiscal Compact". LA TRATTATIVA Nel governo ci hanno lavorato in tre nel più totale riserbo. Il progetto è in fase di avanzata discussione. Mario Monti ne ha discusso più volte con la Cancelliera federale. Enzo Moavero e Vittorio Grilli hanno tenuto i contatti con Wolfgang Schaeuble, il ministro delle finanze tedesco, e con il negoziatore europeo della Merkel, Nikolaus Meyer-Landrut. Ma è stato informato anche il presidente della commissione Esteri Lamberto Dini, perché il piano Monti-Merkel prevede anche un forte coinvolgimento del Parlamento italiano e del Bundestag. Nel progetto una delegazione di deputati tedeschi dovrebbe infatti seguire i lavori di ratifica italiani, mentre analoga missione di onorevoli e senatori - in qualità di "osservatori" - sarà inviata al Bundestag. Allo stesso modo il ministro Schaeuble verrà in audizione davanti alla commissione esteri del Senato. E Moavero o Grilli prenderanno lo stesso giorno il biglietto per Berlino. Così via, passo dopo passo. Sempre insieme. Fino alla prevista ratifica "prima dell'estate", possibilmente in tempo per arrivare al Consiglio europeo di fine giugno con i "compiti a casa" svolti per bene. Il perché lo spiega il ministro Moavero: "Vogliamo mettere la Germania alla prova, ma come si fa con un amico: senza minacce, mano nella mano". "SINCRONIZZAZIONE POLITICA" E tuttavia non si tratta solo di un'operazione di immagine. Il governo italiano punta infatti a una forte "sincronizzazione politica" fra le due capitali. Alla ricerca di un "idem sentire" che orienti la Germania verso gli eurobond e la Golden rule, ovvero la possibilità di prevedere un trattamento di favore per gli investimenti (fino a scorporarli del tutto) nel conteggio del deficit. Le uniche mosse credibili per ridare un po' di ossigeno all'economia del Continente. Il fatto è che Angela Merkel, al momento, è in difficoltà a casa sua. E questo, per Roma, costituisce un'opportunità. La Corte di Karlsruhe - visto che il "Fiskalpakt" modifica la legge costituzionale - impone infatti che la ratifica del trattato avvenga con la maggioranza dei due terzi del Bundestag. IL NODO SPD Per farla passare la Cancelliera dovrà quindi venire a patti con la Spd. Ed è proprio su questa inattesa sponda politica che contano gli italiani per ammorbidire Frau Merkel. L'opposizione tedesca ha infatti già messo in chiaro che i voti arriveranno solo a condizione che il governo federale si apra alla Tobin tax e a una qualche forma di investimento pubblico europeo per sostenere la crescita. Esattamente quanto chiede da mesi Roma a Berlino. GRANDE COALIZIONE Per questo Monti ritiene importante che nelle due capitali, nello stesso giorno, si manifesti lo stesso arco costituzionale - una maggioranza di unità nazionale - a sostegno dei due governi. "Se in Europa - osserva ancora Moavero - si vogliono fare grandi cambiamenti, come quelli che necessariamente vanno fatti perché non crolli tutto, occorre che la questione sia presa in mano dalle grandi famiglie europee. Insieme: popolari e socialisti". C'È ANCHE LA CRESCITA Il ministro per gli affari europei, "longa manus" di Monti a Bruxelles, aggiunge anche una nota d'ottimismo: "Le cose si stanno muovendo nella direzione giusta, non c'è più soltanto il rigore cieco. E l'Italia è pienamente coinvolta, per la prima volta da anni, in questi processi". "Quando - racconta - all'inizio del mandato, insieme a Monti, siamo andati in giro per l'Europa, ci hanno detto che era per genufletterci. Poi però, a Strasburgo, Monti è stato invitato da Merkel e Sarkozy: e allora siamo stati accusati di voler fare un direttorio a tre invece che a due. I nostri critici sbagliavano ancora. Tanto che poco dopo abbiamo fatto uscire fuori quella lettera sulla crescita, firmata da dodici premier europei, che rompeva la logica del direttorio. Questo per dire che ci muoviamo a tutto campo, sparigliando, seguendo schemi inattesi. E la parola dell'Italia conta, per la prima volta da tempo, conta. Fidatevi". Intanto qualcosa Roma ha già ottenuto. Nei giorni scorsi poi Moavero è riuscito a convincere quasi tutti gli altri "contributori netti" europei - Germania, Francia, Olanda, Finlandia, Austria, Danimarca - a riorientare i quasi 430 miliardi del bilancio dell'Unione per il quinquennio 2014-2020 dai settori tradizionali come l'agricoltura alla crescita. (30 aprile 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/economia/2012/04/30/news/piano_monti_merkel-34201290/ Titolo: FRANCESCO BEI. L'allarme di Monti su Berlusconi Inserito da: Admin - Maggio 08, 2012, 04:44:14 pm Il retroscena
L'allarme di Monti su Berlusconi "Ma non accetterò logiche di scambio" I risultati delle amministrative, con il Pdl in forte calo ovunque, preoccupano Palazzo Chigi. Che però è sicuro che il Popolo della libertà non provocherà la crisi. Si lavora alle misure per la crescita per evitare la paralisi in Parlamento di FRANCESCO BEI RACCONTANO che il presidente del Consiglio Monti abbia passato la giornata pensando più a Parigi che a Palermo, con la testa più sul caos politico ad Atene che su quello a Parma. Eppure chi ha parlato con il premier, superando la cortina eretta da palazzo Chigi, ha trovato Monti molto preoccupato per l'esito delle amministrative. "Proprio adesso che, grazie all'arrivo di Hollande, siamo in condizione di giocare la nostra partita in Europa - sono le considerazioni che ha svolto il capo del governo - l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un indebolimento sul piano interno". E la crisi interna che sta vivendo il Pdl - diviso tra (pochi) sostenitori dell'esecutivo e quanti puntano allo sganciamento - è diventato di nuovo un fattore di grande allarme per il premier. Eppure, nonostante tutto, Monti non vede rischi concreti di una crisi di governo come quella che c'è stata in Olanda. "Il Pdl darà qualche colpo in Parlamento - osserva pragmatico un ministro - ma cosa può fare in concreto? Non si può più andare a votare e, in ogni caso, se lo facessero sarebbero spazzati via". Così, anche se Monti resta aperto al confronto con il Pdl ed è pronto a incontrare Berlusconi "se questi lo riterrà opportuno", sui provvedimenti il governo continuerà ad andare per la sua strada: "Non possiamo accettare logiche di scambio". Ma il vento dell'antipolitica, che ha gonfiato i risultati di Marine Le Pen e degli antieuropeisti greci di ogni colore, in Italia ha fatto soffrire anche ai sostenitori del governo. Per questo Monti è consapevole di dover in fretta dare un segnale in controtendenza. "Non possiamo stare fermi", morde il freno un ministro, "nel giro di poco tempo dobbiamo portare in Consiglio dei ministri un pacchetto di misure per dare una risposta al disagio che c'è nel paese". Ma è sul fronte europeo che Monti è convinto della possibilità di strappare qualcosa di concreto nel giro di poche settimane. "La Germania - ha confidato il premier a un amico - prima di accettare di discutere di crescita voleva che gli europei del Sud piangessero un po'. Adesso abbiamo pianto abbastanza". Secondo il premier "l'unica strada per alleviare le sofferenze dei cittadini è quella di far passare il piano italiano per la crescita in Europa". Ma c'è anche un progetto di più lungo periodo, che riguarda una possibile riforma dei trattati. Monti, in un'intervista concessa a gennaio a Die Welt, disse di non credere alla prospettiva degli "Stati Uniti d'Europa", eppure in queste settimane si sarebbe convinto della necessità di far fare un passo avanti all'integrazione politica europea. Verso un'Europa federale. Tra pochi giorni un appello "federalista" firmato da autorevoli esponenti europei, tra cui Giuliano Amato (di recente nominato consulente proprio da Monti), Emma Bonino e Jacques Attali, potrebbe fornire al capo del governo un appiglio per rilanciare il tema. Nel frattempo è alle condizioni della sua maggioranza che dovrà rivolgere qualche attenzione. Perché nel Pdl la tentazione di scatenare un "Vietnam" parlamentare su ogni provvedimento preparato da palazzo Chigi è sempre più forte. Ieri una riunione a via dell'Umiltà sulle amministrative si è trasformata nell'ennesima corrida tra filo Monti e anti Monti. Solo che stavolta in ballo c'era il voto sulla ratifica del trattato Fiscal compat, il vero banco di prova sul quale Berlino intende valutare l'affidabilità del nuovo partner italiano. Un'ala sempre più forte del partito del Cavaliere non intende più dare per scontato il sì al trattato sulla disciplina rigida di bilancio: Altero Matteoli, Guido Crosetto, Renato Brunetta, Giorgia Meloni, Gaetano Martino, personaggi molto diversi tra loro ma tutti uniti nel dire no a una ratifica data da Monti per scontata. Sembra quindi destinato a saltare il piano italo-tedesco per arrivare a una ratifica congiunta, e in contemporanea, del Fiscal Compact a Roma e Berlino. Il premier osserva queste scosse con preoccupazione e fastidio. E, parlando con gli amici, non resiste a una battuta sulla sconfitta del Pdl alle elezioni: "Ora danno la colpa a noi, dicono che perdono perché hanno scelto di sostenere il governo. Eppure non mi sembra che Pd e Terzo Polo, che pure fanno parte della maggioranza, abbiano avuto le stesse performance del Pdl". (08 maggio 2012) © Riproduzione riservata DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/08/news/monti_dopo_elezioni-34677965/ Titolo: FRANCESCO BEI. Palazzo Chigi vede la svolta "Il vento d'Europa fa largo ... Inserito da: Admin - Maggio 14, 2012, 04:07:13 pm RETROSCENA Palazzo Chigi vede la svolta "Il vento d'Europa fa largo alla crescita" La speranza di Monti è che la Merkel eviti "irrigidimenti" dopo la sconfitta in Wesfalia. Il primo obiettivo è la golden rule sugli investimenti. Venerdì il primo bilaterale con Hollande di FRANCESCO BEI "QUALCOSA sta cambiando, la svolta è a portata di mano". La nota di ottimismo con cui Monti colora la sua giornata, dopo che aveva descritto un'Italia preda di "forti tensioni sociali", è la vera novità di giornata. Stando attenti a non lasciar filtrare un eccesso di gioia per la sconfitta della Merkel nel Nord Reno Westfalia, da Palazzo Chigi avvertono comunque che il vento sta effettivamente girando. E se la Cancelliera federale non si lascerà prendere dalla tentazione di irrigidirsi ancora di più, i prossimi saranno davvero "i dieci giorni che cambieranno il mondo". Per calibrare bene le prossime mosse Monti, appena rientrato a Roma, ieri sera ha convocato un vertice a Palazzo Chigi con i ministri e i collaboratori più stretti: Antonio Catricalà, Vittorio Grilli, Corrado Passera, Enzo Moavero. Un gabinetto ristretto, prolungatosi fino a notte, per preparare al meglio i prossimi, decisivi, appuntamenti. E lanciare sul tavolo europeo "l'Agenda per la crescita". Oggi Monti volerà a Bruxelles per la riunione dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, con la grande incognita della possibile uscita della Grecia dall'euro e della situazione sempre più nera della Spagna. E in giornata una prima, importante, novità potrebbe arrivare dalla commissione "Econ" del Parlamento europeo, dove sarà messa ai voti la proposta di istituire un "Fondo di redenzione del debito" - sostenuta da Guy Verhofstadt, Daniel Cohn-Bendit e dall'italiano Roberto Gualtieri - per una garanzia collegiale europea di quella parte dei debiti che eccedono la quota del 60%. Una rivoluzione culturale, anche se al momento senza ricadute operative, vista con favore dal governo italiano. Con la Merkel in difesa e François Hollande all'Eliseo il vento comunque sta cambiando e Monti può trovare nuove sponde in Europa. Proprio con Hollande, che debutterà in Europa nel consiglio europeo straordinario del 23 maggio, Palazzo Chigi ha lanciato una strategia del sorriso. Raccontano infatti che il leader socialista sia rimasto un po' stupito dall'eccesso di prudenza del governo italiano, che ha evitato accuratamente qualsiasi segnale di simpatia in campagna elettorale, mostrandosi anzi più tedesco dei tedeschi. Ma questo ormai è il passato, Roma è decisa a sfruttare ogni possibile appiglio per far passare in Europa il piano sulla crescita. E Hollande è un alleato prezioso. Per questo il consigliere diplomatico di Monti, Pasquale Terracciano, ha preso contatto con il suo dirimpettaio dell'Eliseo e in quattro e quattr'otto è stato messo in agenda un primo bilaterale tra Monti e il neo presidente francese. I due si vedranno faccia a faccia venerdì a margine del G8 a Camp David, dove Hollande illustrerà agli altri grandi il suo "New Deal 2.0" imperniato su investimenti infrastrutturali mediante prestiti europei, aumento dei fondi della Bei, Tobin tax europea, rafforzamento del ruolo della Bce ed eurobond. Idee simili a quelle sostenute da tempo da Monti in tutte le sedi. L'Italia persegue con tenacia, dall'inizio dell'anno, almeno tre iniziative: l'apertura del mercato unico dei servizi a professioni e mestieri; la destinazione a crescita e occupazione del nuovo bilancio comunitario 2014-2020; e soprattutto la Golden rule. In particolare su quest'ultima questione - ovvero lo scorporo degli investimenti in ricerca e infrastrutture dai target di bilancio - Roma sta puntando tutte le sue carte e, in vista del summit Ue del 23 maggio, Monti ha chiesto una verifica sullo stato di avanzamento dell'intero dossier. "Nessun paese europeo in una fase come questa può pensare di fare da solo", ha detto recentemente il ministro per gli affari europei, Enzo Moavero, impegnato in una vera e propria spola con Berlino nelle ultime settimane. Eppure anche sul piano interno Monti non molla. Al vertice di ieri notte si è discusso a lungo del problema della compensazione dei crediti delle imprese verso lo Stato. In settimana, come hanno ribadito sia Grilli che il sottosegretario De Vincenti, arriveranno tre decreti ministeriali per sbloccare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione. E consentire alle imprese di farsi certificare i propri crediti per poi andarli a "scontare" in banca. Ma non è tutto. L'altra leva nazionale è quella della spending review, una corsa contro il tempo per trovare 4,2 miliardi di spese correnti da tagliare ed evitare così l'aumento dell'Iva dal 21 al 23 per cento. Sabato sera ne hanno discusso a cena Monti ed Enrico "mani di forbice" Bondi, il superconsulente nominato dal consiglio dei ministri. Nell'appartamento di Bondi a piazza San Michele, nel centro di Arezzo, i due, in compagnia delle rispettive consorti, hanno avuto un primo scambio di vedute fino a mezzanotte. E domani Bondi incontrerà il ministro Piero Giarda per buttare giù un primo schema di tagli. Sabato sera Monti e la signora Elsa hanno poi dato disposizioni per dormire nella foresteria della prefettura di Arezzo. Risparmiando sull'albergo. (14 maggio 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/14/news/monti_europa_crescita-35092214/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. I piani di Passera: lista civica collegata all'Udc poi patto ... Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2012, 04:11:23 pm VERSO LE ELEZIONI
I piani di Passera: lista civica collegata all'Udc poi patto di governo con il Partito democratico Il piano illustrato in un pranzo segreto. Serve una narrazione nuova, parliamo di innovazione, di giovani ma serve anche gente di esperienza. Credo che il futuro sarà determinato da una formazione di centro che dovrà allearsi con il Pd di FRANCESCO BEI ROMA - Prima sarà un'associazione. Dopo, a dicembre, arriverà anche una lista civica. Da federare all'Udc o come si chiamerà il nuovo contenitore centrista. C'è questo nei piani a lungo termine di Corrado Passera, 58 anni, il ministro che si sta riprendendo la scena dopo un esordio di governo un po' sottotono. "Quando deciderò di impegnarmi personalmente per la cosa pubblica lo dichiarerò apertamente", ha ribadito giorni fa l'ex capo di Intesa SanPaolo. E quel momento si sta avvicinando. Il problema di Passera, deciso fin dall'inizio a dare un seguito politico al suo impegno ministeriale, è non presentarsi alla trattativa con Casini forte soltanto del proprio curriculum e del proprio cognome. Serve qualcosa di più. Un network intanto - che cominci da novembre a fare convegni in giro per l'Italia - da trasformare in un movimento politico quando si chiarirà con quale legge elettorale si andrà alle urne. Per partire a fine dicembre con la campagna elettorale. E visto che Passera ha già molti dossier aperti - dall'Ilva all'Alcoa, dal decreto Sviluppo al patto sulla produttività - si è affidato per lo "scouting" a due fidatissime teste d'uovo. Il primo è un amico di famiglia: Riccardo Monti (nessuna parentela col premier), già piazzato dal ministro al vertice di Ice e nel Cda di Simest. Un esperto di internazionalizzazione delle imprese e, in quanto tale, in contatto con imprenditori medi e grandi che puntano sull'export. Monti, 44 anni, studi alla Columbia e al Brooklyn Polytechnic di New York, è un vero Passera-boy. L'altro dioscuro è Alessandro Fusacchia, che Passera ha nominato suo consigliere al ministero. Trentaquattro anni, già ghost-writer della Bonino e di Prodi al tempo della Commissione europea, Fusacchia è la mente che ha materialmente steso il decreto 2.0 sulle start-up approvato nell'ultimo Consiglio dei ministri. Ha girato per l'Italia ascoltando centinaia di imprenditori per il progetto "Restart Italia", è presidente della Rete per l'Eccellenza nazionale (Rena) e di sicuro la sua agenda si è riempita in queste settimane di conoscenze utili per allargare il network del suo ministro. Fusacchia incontra i potenziali soci dell'impresa politica di Passera lontano dal ministero di via Veneto, ai tavoli di un noto ristorante giapponese del centro. Colloqui informali, con bianchi pannelli di carta di riso a proteggere gli avventori da orecchie indiscrete. Giovedì scorso, tra un sushi e una zuppa di miso, Fusacchia spiegava a un imprenditore l'operazione provando a coinvolgerlo: "Serve una narrazione nuova. Parliamo di innovazione, ci rivolgiamo ai giovani, ma ci serve gente come lei, d'esperienza, che faccia da ponte. Intanto a metà novembre potremmo fare un convegno a Roma, 300 persone, tre oratori sul palco. Dieci minuti a testa e poi domande, molto veloce, molto coinvolgente. L'associazione che organizza i convegni avrà un nome provvisorio, poi la lista ne avrà un altro". Ma se c'è una persona che davvero sta dietro tutto quanto e sorregge l'ambizione politica del ministro quella è l'intraprendente seconda moglie, Giovanna Salza, madre dei suoi figli più piccoli Luce e Giovanni. Una donna tosta, nonostante la giovane età, tanto che Dagospia la definisce la "marita" di Passera. Che Passera pensi in grande e non si accontenti di un posticino da deputato dell'Udc nella prossima legislatura è fuor di dubbio. Cattolico (era al convegno di Todi), agli amici ripete spesso che "il futuro sarà determinato da una formazione di centro che dovrà allearsi con il Pd". Una lista che dovrà rivendicare l'opera del governo Monti e portarla avanti. A questo lavora, su questo ha puntato le sue carte. Del resto fin dall'inizio Passera ha dimostrato di voler stare al governo da protagonista. In molti si chiesero il 17 novembre dello scorso anno perché Monti e Napolitano restassero chiusi così tanto al Quirinale dopo che il premier incaricato aveva dato per chiusa la lista dei ministri. Ebbene il problema era proprio il peso di Passera nel governo, che non si accontentava del solo ministero dello Sviluppo economico (peraltro svuotato da Tremonti) ma pretendeva di avere anche le deleghe delle Infrastrutture e Trasporti, che erano state promesse al povero Piero Gnudi, sostenuto da Casini. Niente da fare: la trattativa non si chiuse finché Passera non fu accontentato. Sulla sua strada Passera ha tuttavia due grandi ostacoli. Il primo muro da abbattere è formato da mattoni piuttosto solidi: le tante crisi industriali in corso, l'iter del decreto Sviluppo, la trattativa con i sindacati sulla produttività. È chiaro che le ambizioni di Passera potrebbero essere affossate da un eventuale fallimento sul piano del governo. L'altra montagna da scalare si chiama Mario Monti. Il premier infatti è assolutamente contrario a un impegno politico dei membri della squadra. A margine dell'ultimo consiglio dei ministri - quello che ha varato la legge di stabilità con il taglio dell'Irpef - il Professore ha svolto infatti un ragionamento ad alta voce, senza un bersaglio preciso, ma molto netto nei contenuti: "Noi siamo un governo tecnico. Se c'è qualcuno che pensa di presentarsi alle elezioni, forse è meglio che faccia un passo indietro fin da ora. È una scelta legittima candidarsi, ma non possiamo prestare il fianco all'accusa di prendere dei provvedimenti con l'occhio alla campagna elettorale". Un discorso che ha trovato alcune orecchie più attente di altre. Rallentando di fatto la road map del ministro. (13 ottobre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/13/news/road_map_passera-44434354/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il pressing su Berlusconi "Lascia o saltano le aziende" Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2012, 09:22:51 am Il retroscena
Il pressing su Berlusconi "Lascia o saltano le aziende" La giornata più amara del Cavaliere: annuncia che non si ripresenterà come candidato premier nel 2013. Ma adesso nel Pdl è caos. Ressa di candidati-successori. L'ex premier convinto anche dai sondaggi che danno il partito sotto il 15% di FRANCESCO BEI ROMA - "Vedremo se qualcuno riuscirà a fare meglio di me, io me lo auguro sinceramente". Amareggiato, forse già pentito per quel passo indietro a cui lo hanno costretto senza che ne fosse fino in fondo convinto, ieri sera Berlusconi si è chiuso dentro palazzo Grazioli rendendosi irreperibile a chiunque. Una lunga lista di esponenti Pdl (molte inconsolabili deputate) ha provato a salire al primo piano ma è stata respinta da segretari e segretarie sull'orlo di una crisi di nervi: "Ma non capite il momento? Rendetevi conto del momento!". Insomma, un lutto più che un "passo indietro compiuto per ragioni d'amore". Fino a domenica infatti il Cavaliere era determinato a resistere, a sparigliare il gioco con una divisione in più liste del suo campo, lasciando Alfano a presidiare la "bad company" del Pdl insieme agli ex An. Ma nelle ultime quarantotto ore tutto è precipitato. A fare da detonatore è stato l'approssimarsi delle elezioni siciliane, con il rischio concreto di una disintegrazione del Pdl a causa della sconfitta di Musumeci. Alfano non avrebbe retto l'ennesima débâcle e ieri ha trovato il coraggio di affrontare il fondatore in una riunione lunghissima (cinque ore) a via del Plebiscito: "Io non ci sto più a questo stillicidio, devi dire una parola chiara adesso". Lunedì sarebbe stato troppo tardi per qualsiasi annuncio, il passo indietro sarebbe sembrato la "fuga di Pescara". E, in fondo, già due sere fa, incontrando Monti, il Cavaliere era stato vago: "Molto probabilmente non mi ricandiderò". Ma a pesare davvero è stato il pressing incalzante della famiglia, dell'azienda e dei collaboratori di una vita. Fedele Confalonieri ed Ennio Doris soprattutto, preoccupati perché "ormai ci può venire solo un danno se resti in prima linea come un bersaglio". E poi Gianni Letta e Giuliano Ferrara. C'è molto dello stile del direttore del Foglio nella prosa con cui Berlusconi dà l'addio alla politica. Che sia stato o meno Ferrara il ghost writer, di certo il Cavaliere ha compiuto quello "strappo" che l'Elefantino si augurava sabato nell'intervista a Repubblica. L'ex premier considera anche la sua posizione giudiziaria, teme che un nuovo impegno diretto possa dare benzina non solo al processo Ruby ma anche al filone Finmeccanica che s'avanza da Napoli e al processo per i diritti tv. Da ultimo i sondaggi impietosi di Alessandra Ghisleri, che fotografano una situazione disastrosa. È vero che il Pdl starebbe tra il 15 e il 17 per cento. Ma la somma delle eventuali liste nate dallo spacchettamento che aveva in mente Berlusconi - dalle "amazzoni" all'Italia che lavora - avrebbe dato un risultato ancora più basso. E l'Istituto Piepoli quota la fiducia in Berlusconi all'11 per cento, contro il 14 di Alfano. E tuttavia se il segretario del Pdl ieri si è preso la sua rivincita, l'eredità del Cavaliere rischia di trasformarsi per Angelino in un frutto avvelenato. Liberato dal Capo indiscusso per quasi vent'anni, il partito carismatico, ubriacato dall'entusiasmo della novità, ondeggia infatti paurosamente. Come se fosse saltato un tappo. E le primarie tanto attese rischiano di trasformarsi in un tana libera tutti. Un forzista della prima ora come Roberto Tortoli ieri gelava così i pidiellini in festa: "Siete contenti perché se ne va? Non capite che adesso sarà una guerra di tutti contro tutti?". Le avvisaglie ci sono tutte, anche perché diffusa è la consapevolezza che ormai non c'è più nulla da perdere, per molti si tratta comunque dell'ultimo giro. Roberto Formigoni, bruciato in Lombardia, medita il gran passo. Giancarlo Galan lo ha già annunciato, Alessandro Cattaneo dei "formattatori" si prepara. E così Gianni Alemanno, il sindaco di Roma in fuga dallo squagliamento del Pdl nel Lazio e ormai proiettato verso una lista civica. Anche Daniela Santanché ci sarà, in una posizione di attacco frontale ad Alfano e a tutta la vecchia guardia, "che deve essere rottamata dal primo all'ultimo". Guido Crosetto e Giorgia Meloni non hanno ancora deciso. Sono tentati dal correre ma potrebbero anche accordarsi con il segretario. "Guido parliamoci - ha proposto ieri la Meloni a Crosetto in Transatlantico - e soprattutto evitiamo di farci male". Meloni potrebbe anche essere candidata in ticket con Alfano in rappresentanza degli ex An. In un mondo abituato a rispondere a un solo grande capo trovarsene improvvisamente dieci piccoli è stato un brusco risveglio. (25 ottobre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/25/news/berlusconi_lascia_aziende-45258334/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. "Evitare la paralisi del governo" Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2012, 11:04:07 pm RETROSCENA
E ora Monti teme lo showdown "Evitare la paralisi del governo" Berlusconi, che ha minacciato di togliere la fiducia all'esecutivo, tentato di nuovo dal colpo di scena. La nascita cioè di una lista nuova di zecca, "Forza Italia". Allarme del Quirinale. Convocato il Cavaliere di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO ROMA - "È fondamentale mantenere il cammino delle riforme strutturali altrimenti saranno stati vani i sacrifici sopportati dagli italiani". Mario Monti lancia l'allarme. Al di là delle dichiarazioni pubbliche, è preoccupato dagli ultimi attacchi di Berlusconi. Il Professore non solo teme gli effetti degli show del cavaliere sui mercati finanziari, ma anche che il caos scoppiato nel Pdl possa di fatto bloccare l'intera attività del governo. Da qui alle elezioni. "Ma almeno la legge di stabilità - avverte - non può essere messa in discussione". La crisi virtuale, innescata dalla minaccia di Berlusconi di far saltare il governo, finisce anche sul tavolo del presidente della Repubblica. Troppo alto il rischio di un finale di legislatura di nuovo dominato dal caos, con la speculazione che ha immediatamente riportato lo spread a 356 punti. Ce n'è abbastanza per chiedere conto al diretto interessato cosa abbia in mente, se davvero il progetto preveda di sfiduciare l'esecutivo e tentare un impossibile ritorno di fiamma in alleanza con il Carroccio. Rendendo di fatto impossibile l'approvazione di una nuova legge elettorale. Con questi pesanti quesiti sul tavolo, il capo dello Stato ha deciso di convocare in udienza il Cavaliere (il faccia a faccia si potrebbe tenere oggi stesso, l'agenda di Berlusconi lo segnava per questa mattina), sperando di trovare una smentita alle roboanti dichiarazioni rilasciate sabato a villa Gernetto. Sul Colle, si respira aria di preoccupazione anche per la grande frantumazione del voto siciliano. Un timore in particolare serpeggia sul Colle: il risultato potrebbe bloccare del tutto la spinta per la riforma elettorale, spegnere le residue speranze di cambiare il Porcellum. Potrebbe andar bene così al Pd, che celebra la vittoria di Crocetta e immagina un largo bis a livello nazionale. E servire al Pdl per chiamare a raccolta le forze che, divise, hanno perduto il granaio siciliano. Ma al Quirinale fanno tutt'altro ragionamento, che porta proprio alla necessità di rimettere mano al Porcellum. Il maxipremio di maggioranza della legge Calderoli potrebbe infatti garantire una maggioranza blindata alla Camera ma al Senato, dove il premio si assegna a livello regionale, l'affermazione in Sicilia dei grillini come primo partito segnala la possibilità e il rischio di equilibri appesi ad un filo. Napolitano aspetta perciò le prossime tappe dell'accidentato cammino della bozza, e lascia l'arma del messaggio alle Camere sul tavolo. La realtà è che il terremoto delle elezioni siciliane ha rimesso tutto in movimento. E il buon successo della lista Grillo ha confermato Berlusconi nella sua convinzione: "Siamo noi gli unici a rimetterci nel sostegno a Monti". Chi lo frequenta racconta che il Cavaliere è nuovamente tentato dal colpo di scena. La nascita cioè di una lista nuova di zecca, che si chiamerà semplicemente "Forza Italia", da lanciare dopo le primarie del Pdl. Un'operazione che le colombe gli sconsigliano ma che il leader ha già avviato in segreto. "Lo spazio elettorale per un nuovo partitino non c'è, Berlusconi queste cose le capisce bene", osserva Giuliano Ferrara. Eppure il progetto va avanti e postula chiaramente un acuirsi della conflittualità con il governo, anche senza arrivare alla sfiducia vera e propria. Di questo Monti è consapevole. Nelle due ore di volo che lo portano a Madrid per il vertice con Rajoy, il premier chiede informazioni di prima mano a Franco Frattini e Enrico Letta, i due "montiani" di Pdl e Pd. Il Professore è in ansia, guarda ai numeri del Senato dove l'ala dura berlusconiana, insieme alla Lega, è ancora forte. L'ex ministro degli Esteri in realtà lo rassicura. E gli conferma che, seppure Berlusconi pensasse a uno strappo, stavolta la maggioranza del Pdl non gli andrebbe dietro. Una valutazione che sembra confermata dalla successiva conferenza stampa di Alfano, quando il segretario esclude che il sostegno al governo sia in discussione. Anche per questo Monti, incontrando la stampa alla Moncloa, si mostra quasi spavaldo, sfidando di fatto il Cavaliere a farsi sotto. "La minaccia di Berlusconi è risibile", riassume un ministro al seguito del premier. In ogni caso Monti non solo sceglie di ignorarla, ma condisce tutti i suoi discorsi pubblici a Madrid con frequenti ironie sul leader del Pdl. Come durante l'apertura del convegno organizzato dall'Arel a "Casa America", quando afferma che "l'Italia non dimentica che è stata tra i fondatori della Ue. A volte qualche italiano sì". L'altro elemento di preoccupazione del premier è legato all'affermazione della lista grillina e al forte astensionismo in Sicilia. Un preludio di quanto potrebbe accadere ad aprile? Il successo di "populismi e forze antieuropee". (30 ottobre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/30/news/monti_showdown-45552663/ Titolo: FRANCESCO BEI. Bersani si sente sotto assedio Inserito da: Admin - Novembre 07, 2012, 04:24:04 pm Il retroscena
Legge elettorale, Bersani si sente sotto assedio "Casini ha fatto partire il treno del Monti-bis" Il capo centrista: sarò determinante. Ipotesi soglia al 40% e premio al 10. D'Alema ha insistito con Casini sulla premiership di Bersani: tu puoi tornare alla Camera. L'accelerazione dopo che il segretario Pd ha candidato il Professore al Colle di FRANCESCO BEI ROMA - Dopo la rottura di ieri 1 un nuovo accordo è in vista tra centristi e Pd. Si tratta di far scendere al 40% la soglia oltre la quale scatta il premio di maggioranza, garantendo comunque un "premiolino" del 10 per cento al primo partito in caso la coalizione non vinca il "premione". Tradotto, l'alleanza fra il Pd (30%) e Sel (5%) non potrebbe governare da sola, non raggiungerebbe il premio e avrebbe comunque bisogno dell'apporto della "Lista per l'Italia" di Casini e Fini per formare una maggioranza. Spalancando così le porte a un Monti-bis. Grazie al "premiolino" la coalizione dei progressisti potrebbe però consolarsi alla Camera con il 45% dei seggi (35%+10% regalati ope legis). Se questo è il compromesso che si profila, per capire cosa è successo ieri a palazzo Madama - la prima vera frattura strategica fra Casini e Bersani - bisogna tuttavia fare un passo indietro. Illuminando il patto segreto che Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani avrebbero proposto nei giorni scorsi in alcuni colloqui riservati con i principali leader politici. Un patto per garantire i numeri della maggioranza futura e gli assetti di vertice della Repubblica. Anche il capo dello Stato ne sarebbe stato informato, così come il premier. La sostanza dell'accordo, naufragato ieri, ruotava su due cardini: mantenere il premio di maggioranza così com'è congegnato nell'attuale legge elettorale e, in cambio, assicurare il sostegno del Pd all'elezione di Mario Monti al Quirinale. Mentre la presidenza della Camera sarebbe andata a Pier Ferdinando Casini e quella del Senato ad Anna Finocchiaro. "Al posto di un pastrocchio che ci farebbe perdere l'unica cosa positiva dell'attuale legge, ovvero la garanzia della governabilità, forse - è stata la sostanza del ragionamento fatto a Casini e agli altri dal leader Pd - tanto varrebbe tenere in piedi l'attuale impianto". C'è questo dietro la baraonda di ieri in commissione affari costituzionali al Senato. Perché la possibilità di mantenere in vita il Porcellum - con l'autosufficienza della futura maggioranza Pd-Sel - ha allarmato non poco tutti gli altri protagonisti. Provocando una reazione immediata di rigetto. Senza contare che Mario Monti, che nel disegno del Pd dovrebbe traslocare al Quirinale per lasciare il posto a Bersani, non è affatto entusiasta della prospettiva. "Non so se quello è il posto dove posso essere utile - aveva spiegato il premier nei giorni scorsi - non so se sono adatto". Insomma, il corto circuito è stato totale e i sospetti reciproci hanno provocato l'isolamento in cui si è trovato ieri il Pd. La rottura infatti è stata vera e inaspettata. Dario Franceschini, che ha partecipato alla riunione mattutina con Bersani, Zanda e Violante per definire le ultime mosse, racconta così la doccia fredda: "Avevamo fatto sapere a Udc e Pdl che eravamo disposti a trattare su una soglia minima oltre la quale far scattare il premio di maggioranza, ma loro sono andati avanti lo stesso imponendo il 42,5%. Quella soglia è impossibile da raggiungere per chiunque, significa semplicemente che il premio non esiste e la legge è un proporzionale puro". Una legge fatta apposta per arrivare al Monti-bis. E dunque inaccettabile. "Pier ha fatto partire il treno del Monti-bis", si è sfogato il leader democratico. Nella maggioranza di Bersani ieri la freddezza verso il capo dello Stato era palese. Proprio il capo dello Stato, al di là degli omaggi formali, è visto come il principale regista dell'operazione per riportare Monti a palazzo Chigi d'intesa con Casini e con la complicità di una parte del Pd. I veleni sono sul punto di tracimare, l'irritazione verso il Quirinale per il pressing sulla legge elettorale sta montando sempre più forte. Come rivela un dirigente del Nazareno "sono mesi che i rapporti tra Napolitano e Bersani sono ridotti al minimo sindacale". Così, quando la scorsa settimana il segretario del Pd, richiesto di un commento sull'ultima uscita del capo dello Stato, ha dettato un laconico "noi siamo sempre d'accordo con il presidente della Repubblica", a molti è sembrata nient'altro che la conferma del muro di incomprensione che si è alzato tra i due. (07 novembre 2012) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2012/11/07/news/legge_elettorale_bersani_si_sente_sotto_assedio_casini_ha_fatto_partire_il_treno_del_monti-bis-46059075/?ref=HRER2-1 Titolo: FRANCESCO BEI. L'altolà di Monti a Berlusconi: "Non sarò mai alleato con lui" Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2012, 11:48:00 am L'altolà di Monti a Berlusconi: "Non sarò mai alleato con lui"
Il premier: "Prima lui e Alfano mi sfiduciano e poi mi candidano. Grazie, ma serve un po' di coerenza". Decisione entro Natale, il Colle consiglia ancora di evitare la candidatura. L'irritazione verso D'Alema, ipotesi endorsement per i centristi di FRANCESCO BEI ROMA - "Non voglio che diventi un tormentone, prima di Natale si saprà cosa ho deciso". Mario Monti ha rassicurato quanti sperano in un suo impegno diretto in campagna elettorale: almeno non dovranno stare a lungo sulle spine. Al momento le opzioni sul tavolo del premier sono due: quella di una candidatura diretta o quella di una benedizione alle liste che si richiamano al suo nome e al suo programma di riforme. Magari con la partecipazione a una manifestazione unitaria di tutti i partiti e movimenti che lo sostengono nella riconferma. Quello che il premier ha comunque escluso, specie dopo la giornata passata a Bruxelles al vertice del Ppe, è di poter accettare il sostegno del Cavaliere. Un appoggio che, visto da palazzo Chigi, contiene solo insidie. E anche la manifestazione di 'Italia popolare' fissata per domenica rischia di diventare un appuntamento già sterilizzato. Al quale infatti il Professore non intende consegnare alcun "affidavit". "Berlusconi e Alfano - ha osservato ieri Professore in alcune conversazioni private - prima mi sfiduciano e poi improvvisamente mi vogliono candidare? Li ringrazio, ma serve coerenza". Certo Berlusconi è stato 'abile' a sfilarsi dal processo già allestito dal Ppe, con tanto di sentenza di condanna già scritta. Dichiarandosi più montiano di Monti ha impedito che la trappola gli si chiudesse addosso. "Ma alla fine - racconta uno dei presenti - non ha potuto fare a meno di spararne qualcuna delle sue, tanto che tutti uscendo commentavano: 'È il solito Silvio'". E tuttavia Monti ha accolto con piacere i nuovi accenti filo-europei che si sono sentiti in queste ore da numerosi esponenti del Pdl. Ha preso atto della svolta e segue con attenzione i movimenti e le iniziative, a partire da quella di domenica a Roma, per tenere il Pdl ancorato al Ppe. Senza dunque escludere che, se si dovesse impegnare in campagna elettorale, una lista di colombe del Pdl potrebbe aggiungersi a quelle che già fanno parte della federazione centrista in costruzione. Ma non il Pdl in quanto tale, dove è ancora Berlusconi a farla da padrone. Così, visto che Monti mantiene questa pregiudiziale contro il Cavaliere (come dice Casini, una lista Monti-Berlusconi "è come un ufo") per i moderati del Pdl torna in campo l'ipotesi di prendere il largo il prima possibile. Dunque l'attenzione si concentra su domenica. In vista della manifestazione del teatro Olimpico, organizzata dalle fondazioni del Pdl con un documento tutto filo-Ppe, la tentazione dello strappo si stava facendo molto forte. Tanto che il Cavaliere è passato al contrattacco. Non solo metterà egli stesso il cappello sull'iniziativa, inviando una lettera che sarà letta dal palco. Ieri poi, uno ad uno, da Quagliariello a Cicchitto, da Sacconi ad Augello, Berlusconi ha convocato a palazzo Grazioli tutti i promotori della manifestazione. Che sono stati costretti al giuramento di fedeltà con bacio della pantofola. "Dovete capire - era il ragionamento dell'ex presidente del consiglio - che anche io sono per Monti. Possiamo stare tutti insieme a suo favore. È inutile dividersi". La minaccia di una scissione montiana del Pdl sembra dunque scongiurata, anche perché a restare con il Cavaliere non sarebbero stati soltanto Santanché, Biancofiore o Brunetta. Dall'operazione "Monti premier" si erano già sfilati Raffaele Fitto (che domenica non andrà all'Olimpico) e Maurizio Lupi, Gianfranco Rotondi, Andrea Ronchi e Altero Matteoli. Mentre il segretario Angelino Alfano ha incontrato il cardinal Ruini per sincerarsi se davvero la Chiesa fosse diventata così ostile al Pdl, come faceva pensare un'intervista al Corriere del presidente della Cei Bagnasco. Cosa resta dunque del tentativo di spostare il Pdl sotto l'ombra del premier? Al momento poca cosa. Forse l'unico che se ne andrà davvero sarà il capogruppo del Pdl al parlamento europeo, Mario Mauro (insieme a Pisanu, Cazzola e ai pochi che hanno votato la fiducia disobbedendo alle indicazioni del partito), sul quale il Cavaliere privatamente ha speso parole molto dure: "Non riesco proprio a capire, è andato a dire ai leader europei che io sono un populista e un antieuropeista: ma se non ho mai pronunciato una parola contro l'Europa". Secondo l'Adnkronos Mauro avrebbe i giorni contati. E tuttavia se da una parte Monti intende mantenere alto il muro contro il Cavaliere, ieri per il premier è stata la prima occasione di scontro con il Pd. Uno scontro per ora unilaterale, con l'affondo di D'Alema contro una possibile candidatura del premier. Al quale Monti ha deciso di non reagire in pubblico, almeno per il momento. Ma certo chi ci ha parlato riferisce di averlo trovato molto irritato. Soprattutto per quell'aggettivo scelto dal presidente del Copasir: "Immorale? Ma come si permette?". Anzi, l'inquilino di Palazzo Chigi considera "morale" proprio una sua eventuale candidatura e un impegno a sostenere quelle forze politiche che si impegna a portare avanti la sua agenda. È convinto che una sua discesa in campo risponderebbe proprio all'esigenza "morale" di offrire un contributo al Paese. Anche se non c'è dubbio che una scelta in questo senso lo possa esporre concretamente al rischio di uno scontro quotidiano con il campo dei progressisti, in contrapposizione a Bersani. Un pericolo ormai chiaro a tutti. Anche al presidente della Repubblica che da giorni non sta apprezzando le mosse di Palazzo Chigi. Per Napolitano, infatti, il Professore non dovrebbe candidarsi. In alcun modo. E negli ultimi giorni gliel'ha ripetuto con una certa nettezza. (15 dicembre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/15/news/l_altol_di_monti_a_berlusconi_non_sar_mai_alleato_con_lui-48781988/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Nuovo centro si sentono abbandonati: "Così salta tutto" Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2012, 06:37:37 pm I dubbi di Monti, tentato dal no.
"Non so se è giusto candidarmi" Anche nell'incontro con il capo dello Stato ha ribadito: "Non ho ancora deciso". E i leader del Nuovo centro si sentono abbandonati: "Così salta tutto" di FRANCESCO BEI ALLA VIGILIA della decisione più importante della sua vita politica, il premier s'arresta sulla soglia. È preda di dubbi, "è tormentato", riferiscono. I leader del centro - da Casini a Montezemolo - hanno provato ieri a sondarlo ma non ne hanno tratto altro che una frase ancora vaga, troppo vaga: "Mi prendo Natale per riflettere". A Giorgio Napolitano, congedandosi, ha soltanto detto: "Missione compiuta presidente!". E ha rassegnato le dimissioni. Ma sul suo futuro nemmeno al capo dello Stato ha detto qualcosa di più, limitandosi a un "non ho ancora deciso". Un'incertezza che al Quirinale ha lasciato un po' interdetti. Sembra che almeno ai collaboratori più stretti, in realtà, la decisione finale oggi sarà comunicata. Ma potrebbe restare deluso chi spera di capirci di più dalla conferenza stampa di fine anno (domenica mattina). Perché se mercoledì - a quella famosa riunione a palazzo Chigi con Casini, Riccardi e Montezemolo - Monti sembrava molto convinto, addirittura lanciatissimo, e soppesava tutti i dettagli di un impegno diretto, comprese varie simulazioni elettorali, compresa la decisione di dar vita a un "gruppo operativo" per la formazione delle liste, ebbene, appena due giorni dopo, questa spinta sembra in parte evaporata. Perciò domenica mattina Monti dovrebbe limitarsi all'enunciazione della sua agenda di riforme. Punto. Come se, dopo aver soppesato tutti i vantaggi e le opportunità di una discesa in campo, il premier si sia fatto travolgere dal peso degli svantaggi e dalle possibili conseguenze negative. Non ultima la paura di essere fatto oggetto di una violenta campagna mediatica da parte del Cavaliere. "È come quando uno si deve sposare - riassume un ministro - e improvvisamente si fa prendere dall'ansia. Vorrebbe rinunciare ma non sa come dirlo alla promessa sposa". Oltretutto, in questo caso, la "sposa" - ovvero i centristi - ha compreso benissimo l'incertezza del momento. Ieri tra le file dei montiani si è diffuso un senso di scoramento, una sgradevole sensazione di rompete le righe. Raccontano ad esempio che Luca Cordero di Montezemolo abbia fatto sapere che la sua candidatura ci sarebbe soltanto nel caso di un parallelo impegno di Monti. I più pessimisti sono sicuri che la lista "Verso la Terza Repubblica", se Monti darà forfait, non nascerà affatto. Al massimo Andrea Olivero, ex presidente delle Acli, e qualcun altro potrebbero trovare ospitalità nella lista dell'Udc. Casini, che ieri ha avuto un colloquio con il premier, si tiene pronto al peggio. "Rispetteremo le scelte di Monti, qualsiasi esse siano. Ma noi saremo comunque in campo", ha messo in chiaro parlando nelle Marche. Angelino Sansa, capo dell'Udc in Puglia, ieri pomeriggio, alla buvette di Montecitorio, confidava all'orecchio un collega di partito: "Cesa mi ha detto di cominciare a preparare la nostra lista in Puglia". La liquefazione del centro è a un passo e sarebbe la diretta conseguenza del disimpegno di Monti. Una possibilità che sta allarmando al massimo anche i vertici della Cei. Visti i numeri dei sondaggi, nel caso di default della lista Montezemolo-Riccardi, i centristi sarebbero infatti spazzati via da palazzo Madama senza poter superare la soglia regionale dell'otto per cento. Senza gruppo al Senato, irrilevanti alla Camera. In un divanetto del Transatlantico ormai deserto due montezemoliani della prima ora, Giustina Destro e Fabio Gava, confabulavano preoccupati: "Senza Monti la campagna elettorale diventerà un derby tra Berlusconi e Bersani. Per noi sarebbe la fine". Nell'Udc e dentro Fli, oltre al terrore di essere lasciati a piedi nel bel mezzo di una campagna elettorale difficilissima, ieri montava anche del risentimento contro Monti. Come se il disimpegno fosse già cosa fatta. "Se pensa così di conquistarsi il Quirinale - si sentiva dire in un capannello di deputati Udc - si sbaglia di grosso. Bersani non è babbo Natale, al Colle manderanno Prodi". Nell'altro campo, quello del Pdl, già si fregano le mani. "Senza Monti - osserva Raffaele Fitto - la partita è apertissima. Al Senato l'alleanza fra noi e la Lega può vincere in Lombardia e in Veneto. Anche in Campania e Sicilia, grazie ai voti che prenderà la lista di Ingroia-De Magistris, il Pd mancherà il premio regionale. A quel punto è fatta: a Berlusconi per vincere gli basta non perdere". (22 dicembre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/22/news/dubbi_monti-49258766/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Scandalo Mps, l'allarme del Pd: "C'è chi non vuol farci vincere" Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2013, 05:23:50 pm Scandalo Mps, l'allarme del Pd: "C'è chi non vuol farci vincere"
La preoccupazione dei vertici del Pd. I timori che ritorni l'accerchiamento del 2005 quando si consumò la vicenda Unipol. E c'è chi ricorda che Monti ha candidato Alfredo Monaci, presidente di Mps immobiliare di FRANCESCO BEI ROMA - Ora Bersani inizia davvero a temere per il risultato finale. L'attacco concentrico di Monti, di Ingroia, di Grillo e del Pdl, la rapidità con cui è stata decisa l'audizione del ministro Grilli a Camere sciolte, i rumors di altri clamorosi colpi di scena in arrivo, i sospetti su una maxitangente rilanciati dal Giornale e da Mentana, tutto ciò sta rendendo la vicenda del Monte dei Paschi di Siena ad altissimo rischio. "Si respira di nuovo l'aria avvelenata del 2005", sospira un dirigente del Nazareno. Il 2005: l'Opa dell'Unipol di Consorte su Bnl, quando l'allora presidente della Margherita, Arturo Parisi, arrivò a rinfacciare al Pds il ritorno della "questione morale". Per Bersani il sospetto, confidato ieri a un amico, è che il bersaglio grosso sia proprio il Pd e il risultato elettorale: "Ci sono ambienti di questo paese che stanno facendo di tutto per farci perdere le elezioni". Il rischio c'è e ne sono consapevoli i maggiori esponenti del partito. "Stare sulla difensiva per un mese su questo tema potrebbe portare danni immensi - riflette preoccupato un pd di provenienza democristiana - e l'idea che 150 finanzieri abbiano setacciato per giorni la sede della banca e le abitazioni di Mussari e Vigni (ex presidente ed ex direttore generale di Mps, ndr) non tranquillizza nessuno. Sulla banca si è giocata una faida interna ai Ds". La paura insomma è che la saga Mps-Antonveneta sia soltanto alla prima puntata. Nel quartier generale del Pd la tensione è alle stelle e ogni dichiarazione viene soppesata con il bilancino. Per questo ha fatto scalpore ieri a Largo del Nazareno l'attacco durissimo sferrato da Mario Monti. Non solo perché arrivato da una persona che formalmente sarebbe ancora il premier sostenuto dal Pd e probabile alleato di governo nel futuro. Bersani e i suoi hanno infatti letto in quell'affondo di Monti un disegno preciso per affossare il centrosinistra. E si sono attrezzati con le prime contromisure. "Monti - ha sussurrato ieri Bersani a un vecchio "compagno" della Cgil all'Eur - prova a fare il furbo sul Monte dei Paschi ma non mi sembra nella posizione di poter dar lezioni". Nel Pd ora si fa notare la partecipazione di Francesco Gaetano Caltagirone, suocero del leader Udc, al vertice del Monte dei Paschi, di cui è stato fino a un anno fa vicepresidente e secondo azionista. O la candidatura al Senato per Scelta Civica di Alfredo Monaci che, come ricorda Francesco Boccia, "è stato membro del consiglio di amministrazione di Mps dal 2009 al 2012 con Mussari, ex presidente di Biver Banca e tuttora è presidente di MPS immobiliare". Insomma, non proprio un passante rispetto alle vicende che tengono banco. Ma sono tante le "strane coincidenze" che ai piani alti del Pd fanno pensare a un intervento orchestrato per procurare più danni possibili. Anche l'audizione lampo del ministro dell'Economia Grilli, che parlerà dello scandalo Mps martedì prossimo a Montecitorio, rientra tra queste. Un'audizione concordata dal presidente della Camera con Monti su richiesta di un deputato ex Idv, Francesco Barbato, "che normalmente - dicono al Pd - viene considerato da Fini un cavallo pazzo e tenuto in nessuna considerazione". Come mai stavolta la domanda di Barbato, uno che ha chiesto l'iscrizione al partito dei Pirati e se l'è vista negare, salvo poi fondare giorni fa un suo movimento personale ("Democrazia liquida"), è stata accolta con tanta solerzia? Questa è una delle domande che si fanno in queste ore al Nazareno. Anche il ruolo di Anna Maria Tarantola, montiana di ferro e nominata dal premier al vertice della Rai, è passato al microscopio visto che era lei il capo della vigilanza della Banca d'Italia all'epoca dei fatti. Quella stessa Bankitalia che fin dalla scorsa primavera aveva aperto il dossier Mps, chiedendo a Rocca Salimbeni la rimozione del direttore Vigni e del presidente Mussari. Ma al di là dei sospetti per le presunte manovre in corso, quello che conta per il vertice del Pd è togliersi dal mirino nelle ultime settimane prima del voto, smettere di stare sulla difensiva e uscirne con una proposta forte. Bruno Tabacci - che sulla battaglia intorno ad Antonveneta si alzò quasi da solo in Parlamento per denunciarne le storture - avrebbe un consiglio per i suoi nuovi alleati del Pd: "A questo punto ci vuole una soluzione forte, traumatica. Dovrebbero invitare il governo a commissariare la "loro" banca". (26 gennaio 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/26/news/scandalo_mps_l_allarme_del_pd_c_chi_non_vuol_farci_vincere-51314511/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere strappa la regola del silenzio Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2013, 04:08:52 pm di FRANCESCO BEI Il Cavaliere strappa la regola del silenzio "Non ho violato alcuna regola", afferma candidamente Berlusconi davanti al fatto compiuto. Puntualmente, come ogni altra elezione, anche stavolta il Cavaliere ha stracciato il fair play e violato la legge che impone a tutti i candidati il silenzio. Oltretutto monopolizzando l'attenzione con un'affermazione apodittica contro la magistratura, che sarebbe "una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa". Protesta il Pd con Anna Finocchiaro per la violazione della legge, mentre Antonio Ingroia invoca l'intervento di Napolitano "anche a tutela della credibilità della magistratura di cui il Capo dello Stato è supremo garante". Il fallo da rigore di Berlusconi non è l'unico argomento di polemica in questa vigilia elettorale. Perché anche Mario Monti, che accoglie i marò italiani e si presta alla stretta di mano a favore di telecamere, scatena la protesta del centrodestra. "Monti si vergogni", grida Ignazio La Russa nel coro di Lega e Pdl. Da stamattina, sotto un cielo carico di neve e di pioggia, 50 milioni di italiani sceglieranno il governo del paese. Con addosso gli occhi dell'Europa e degli investitori internazionali. DA - http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: FRANCESCO BEI. Bersani non vuole mollare: "Sì a 5Stelle o ci spazzano via" Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2013, 11:28:52 am Bersani non vuole mollare: "Sì a 5Stelle o ci spazzano via"
L'idea del mandato esplorativo e le alternative al leader Pd. A largo del Nazareno non escludono che dopo Bersani entrino in gioco Letta e Barca. Romano Prodi avrebbe aperto un dialogo con i grillini eletti in Emilia-Romagna, parlando con Casaleggio. di FRANCESCO BEI ROMA - Bersani nei suoi colloqui di queste ore lo definisce un "governo di responsabilità nazionale". E la partita è giocata su due tavoli: l'offerta al Movimento 5 Stelle e il dialogo (ripreso dopo le asprezze della campagna elettorale) con Mario Monti. "Non ci sono subordinate - ha spiegato il segretario del Pd - andiamo avanti con questa disponibilità. Anche perché Grillo già si frega le mani al pensiero di un governissimo tra noi e il Cavaliere, per poi tornare a votare tra un anno e ammazzarci: non gli faremo questo regalo". L'offerta sarà sostanziata mercoledì alla direzione del partito. Gli uomini di Bersani stanno dettagliando le singole proposte che dovrebbero allettare i grillini e tenere alla larga Berlusconi, a partire dal conflitto d'interessi e da una vera legge anticorruzione. "Dobbiamo stanare Grillo", è l'input del leader del Pd. In parallelo ha concordato con Vendola che sia proprio il leader di Sel il "pontiere" con il M5S. C'è poi la rete degli eletti Pd in Emilia-Romagna già al lavoro per ricucire, ma soprattutto sarebbe entrato in campo Romano Prodi. Con una telefonata a Gianroberto Casaleggio. Mediazione smentita dall'ex leader dell'Unione, ma non è un mistero che i voti grillini, oltre che per palazzo Chigi, farebbero comodo anche per il Quirinale. La novità è che il segretario Pd, come detto più volte in campagna elettorale, non ha affatto abbandonato l'idea di imbarcare Mario Monti. Tra Bersani e il premier c'è già stato due giorni fa un lungo colloquio telefonico. Il fatto è che il leader democratico ha un assoluto bisogno del sostegno del Professore. In primo luogo perché a palazzo Madama, senza i 19 montiani, un eventuale governo Bersani non avrebbe i numeri per la fiducia. Inoltre l'ombrello internazionale offerto dalla credibilità del premier può mitigare gli effetti sui mercati dell'instabilità italiana. "Per la maggioranza puntiamo a un'entente cordiale tra Scelta-Civica, Italia Bene Comune e Grillo", conferma il segretario socialista, Riccardo Nencini, dopo un consulto con Bersani. L'offerta di Berlusconi, resa pubblica ieri via Facebook, invece non viene presa in considerazione, anche se Bersani è consapevole che dentro il Pd sta crescendo un'area non piccola che preferisce guardare in quella direzione. "Dai tempi della Bicamerale del '96 ne abbiamo prese fin troppe di fregature dal Cavaliere", avverte un fedelissimo di Bersani come Stefano Fassina. Anche al Colle al momento nessuna strada viene esclusa. Compresa quella di un mandato esplorativo che potrebbe essere affidato a Bersani, ma anche ad Amato o allo stesso Monti. Altri due nomi che circolano in area Pd sono quelli di Fabrizio Barca ed Enrico Letta. Il timore di Napolitano è infatti legato all'incertezza del quadro: nel caso affidasse a Bersani un incarico pieno e il segretario del Pd non riuscisse a trovare una maggioranza, a quel punto l'unica alternativa sarebbero le elezioni a giugno. La chiusura di Bersani al leader del Pdl lo espone tuttavia al rischio di consegnarsi mani e piedi ai diktat di Grillo. Da qui la necessità di bilanciare l'apertura al M5S con Monti. Due tavoli dunque, per costruire un programma da portare in Parlamento e "vedere chi ci sta". E intanto provare a trovare un'intesa sui presidenti delle Camere. Bersani la definisce "la tattica del carciofo", una foglia alla volta per non essere travolto: prima i presidenti delle Camere (dal 15 marzo, l'anticipo della convocazione è troppo complicato), poi le consultazioni per il governo, infine la partita del Quirinale. Ed è l'opposto di quanto vorrebbe Berlusconi. Il Cavaliere infatti, tramite un ambasciatore, ha fatto pervenire al leader del Pd un'offerta di alleanza preventiva "onnicomprensiva". Un pacchetto unico, che comprende il governo di larghe intese (senza Grillo), le presidente delle Camere e il Quirinale. Dove il Cavaliere vedrebbe bene ancora l'attuale inquilino del Colle. "Diglielo a Bersani: in questo caos l'unica - ha confidato ieri Berlusconi al mediatore del Pd - è sperare in una proroga di Napolitano". (28 febbraio 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2013/2013/02/28/news/bersani_non_vuole_mollare_s_a_5stelle_o_ci_spazzano_via-53558299/?ref=HREC1-3 Titolo: FRANCESCO BEI. La paura del Pd: "Prove di governo tecnico" Inserito da: Admin - Marzo 05, 2013, 05:00:00 pm La mossa di Monti all'ombra del Colle.
La paura del Pd: "Prove di governo tecnico" Il premier: non inseguo nessuno. Il totonomi per palazzo Chigi, spuntano Rodotà e Passera di FRANCESCO BEI MARIO Monti considera un suo preciso "dovere" rivolgersi, in questa fase delicata, ai leader delle forze presenti in Parlamento. Senza che a questo vada data particolare enfasi: "Io non inseguo nessuno - ha confidato il premier a chi lo ha sentito dopo la lettera spedita a Bersani, Berlusconi e Grillo - chiedo soltanto se vogliono esprimere un'opinione". Eppure non è difficile leggere questa mossa in controluce. E la coincidenza dell'incontro di ieri mattina tra il premier e il capo dello Stato ha avvalorato i timori di quanti, nel Pd, hanno voluto vedere una precisa regia del Quirinale dietro l'iniziativa di apertura di Monti ai tre capi partito. Anche se il leader del M5S dovesse rifiutare l'invito a palazzo Chigi, è chiaro che accomunare in un gesto di responsabilità i tre leader, a ridosso di un'importante scadenza europea, equivale a far vedere a tutti quale potrebbe essere il perimetro allargato di un eventuale governo del Presidente. Insomma, alla maggioranza "ABC" che ha sorretto Monti si potrebbe sostituire l'ultima consonante: con la "G" di Grillo. Oltretutto invitare il leader antisistema a palazzo Chigi serve anche a normalizzare il fenomeno Grillo, a togliergli il cappuccio da moscone, riportandolo nell'alveo della dialettica politica. Inoltre far "rivedere" sulla scena Monti, eclissatosi dopo il risultato deludente di Scelta Civica, per il capo dello Stato è utile per mandare un segnale all'estero, per dimostrare (come ha detto in Germania) che in Italia "un governo c'è". È ancora in carica oggi, e magari lo sarà anche domani. Nelle sue conversazioni - ieri in questa sorta di consultazioni informali è finito anche con Romano Prodi, ufficialmente per parlare del "Mali" - il capo dello Stato ha infatti iniziato anche a gettare sul tavolo alcuni nomi. Nulla di deciso, ma soltanto delle possibilità nel caso Bersani non dovesse farcela nel tentativo di agganciare il M5S. In prima linea c'è Monti, appunto. Oppure il governatore Ignazio Visco. O entrambi, con Visco premier tecnico e Monti all'Economia. A un governo tecnico i grillini potrebbero persino dare la fiducia. L'altro nome che inizia a circolare per palazzo Chigi è più connotato politicamente, quello di Stefano Rodotà. Ovviamente il giurista potrebbe essere votato solo da una maggioranza Pd-M5S, avendo fra l'altro firmato l'appello per l'ineleggibilità di Berlusconi. A La zanzara il blogger Claudio Messora, vicino al M5S, ha definito Rodotà "una persona stimata", aggiungendo che "Grillo potrebbe appoggiare un governo fatto da persone neutre che non hanno fatto danni in passato". In corsa ci sarebbe anche Corrado Passera, che ieri ha opposto un sibillino no comment alle voci su una sua candidatura. Al momento comunque qualunque ipotesi per palazzo Chigi dovrà essere verificata alla luce del clima che si creerà in Parlamento per l'elezione dei due presidenti. È quella la prima partita e già in settimana potrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri per anticipare la prima riunione delle Camere al 12 marzo. Nichi Vendola, in un corridoio del Transatlantico, aspetta i grillini al varco e spera: "Hanno detto che vogliono le presidenze delle commissioni di garanzia. Benissimo, si stanno già predisponendo a una dialettica parlamentare". E se il Pd ha da solo i numeri per eleggere Dario Franceschini a Montecitorio, anche a palazzo Madama si potrebbe arrivare a un ballottaggio tra il candidato democratico (Anna Finocchiaro) e quello Pdl (Renato Schifani) "A quel punto - ragiona ad alta voce Fabrizio Cicchitto - i grillini a scrutinio segreto potrebbero anche far eleggere un presidente del Pd". Sarebbe un cappotto. Ma potrebbe spuntare anche la candidatura di Pierferdinando Casini, frutto di un'intesa tra Pd e Scelta Civica. Insomma i giochi veri ancora non si sono neppure aperti. E Berlusconi è convinto di non essere aggirabile in alcun modo. "Se non vogliono restare ostaggio di Grillo - osserva Maurizio Gasparri - quelli del Pd devono parlare con noi. Come diceva Totò: questa è la piazza e da qui devono passare". (05 marzo 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/05/news/monti_colle-53890934/ Titolo: FRANCESCO BEI. Spunta il piano B del governo istituzionale e il Cavaliere ... Inserito da: Admin - Marzo 13, 2013, 11:34:49 am Spunta il piano B del governo istituzionale e il Cavaliere vuole rientrare in partita
L'incarico a un presidente del Senato targato Pd se Bersani fallisce. L'intesa consentirebbe al centrodestra di evitare l'ascesa di Prodi al Colle. Nel Pd si fa strada la convinzione che al Pdl convenga un esecutivo del presidente di FRANCESCO BEI ROMA - C'è di nuovo l'ombra di un governo del Presidente a oscurare il pallido tentativo di Bersani di formare una maggioranza con i Cinquestelle. "Strada in salita", ha ammesso lo stesso segretario del Pd, preso a pesci in faccia ogni giorno da Beppe Grillo. Così rimbalza tra i palazzi romani una possibile via d'uscita, che sarebbe stata esaminata in recenti conversazioni anche al Colle. Se l'incarico esplorativo a Bersani dovesse sgretolarsi di fronte al muro di incomunicabilità eretto dai grillini, il "piano B" potrebbe essere gestito dallo stesso Napolitano, inizialmente rassegnato a lasciare al suo successore il compito di individuare un nuovo presidente del Consiglio. L'incarico sarebbe invece essere affidato al presidente di uno dei due rami del Parlamento, possibilmente il Senato, per dar vita a un "governo istituzionale". Già, ma con i voti di chi? Nel Pd - nonostante la sceneggiata sudamericana dei berlusconiani al palazzo di Giustizia di Milano - si sta facendo strada la consapevolezza che una qualche forma di collaborazione vada trovata con il Cavaliere. Senza intavolare trattative segrete, ma chiedendo il voto in Parlamento "a tutti, senza preclusioni". Nella convinzione che convenga anche al Pdl assicurare la partenza di un "governo istituzionale" uscendo dall'isolamento politico in cui si è avvitato il centrodestra. (L'articolo integrale su Repubblica in edicola e su Repubblica+) (13 marzo 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/13/news/governo_istituzionale-54438062/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO. L'ultimo duello fra Napolitano e Monti Mi spiace Inserito da: Admin - Marzo 16, 2013, 05:40:27 pm L'ultimo duello fra Napolitano e Monti "Mi spiace, non puoi presiedere il Senato"
Il presidente della Repubblica frena l'elezione di Monti a numero 1 di Palazzo Madama. "Le sue dimissioni dal governo sarebbero un colpo per il Paese". Il premier pronto a nominare un vice di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO SI SONO infrante contro l'argine del Quirinale le ambizioni di Monti di diventare oggi il presidente del Senato. Niente da fare. Quello tra il capo del governo e Napolitano è un confronto teso, un botta e risposta che si prolunga per quasi un'ora. Il pomo della discordia sono le dimissioni di Monti da palazzo Chigi, necessarie per essere eletto come successore di Schifani. "Se lei proprio adesso si dimette da presidente del Consiglio - obietta a Monti il capo dello Stato - rischiamo di dare un colpo drammatico all'immagine dell'Italia. In questo momento, il nostro paese è legato al suo governo, quindi lei è insostituibile". Il presidente del Consiglio tiene il punto e replica: "Dopo l'ultimo Consiglio europeo ho concluso la mia missione, non devo per forza restare a Palazzo Chigi a fare il parafulmine per gli altri". Ma anche Napolitano è un osso duro. Il presidente della Repubblica esprime senza diplomazia tutti i sui dubbi, le riserve di natura giuridica e istituzionale sul cambio di maglietta in corsa del premier. Monti non si dà per vinto, anzi prospetta, con accanto il sottosegretario Antonio Catricalà la soluzione per uscire dall'impasse. "Sono pronto a convocare già questa sera un consiglio dei ministri straordinario, nominare un vicepresidente vicario e lasciare nelle sue mani l'interim della presidenza". Il nome che circola è quello del ministro Cancellieri, ma è un dettaglio. Anche perché Napolitano giudica subito un'ipotesi di questo tipo "senza precedenti", obietta che l'interim può scattare solo in caso di gravi impedimenti del premier, e in ogni caso non per un mese, perché almeno tanto ci vorrebbe per arrivare ad un nuovo governo. Monti tira fuori dal dossier giuridico che si è portato dietro un precedente che è andato a ripescare: D'Alema vice presidente del Consiglio del governo Prodi, che con il premier di allora all'estero firma alcuni decreti, "e lei che era al Quirinale se lo dovrebbe ricordare - aggiunge poi rivolto a Napolitano - perché non trovò la scelta scorretta". Ma, accanto al confronto procedurale, c'è la questione politica. Chiede Napolitano a Monti: "Ma potrebbe garantirmi che le forze politiche che appoggiano questa sua operazione per il Senato, poi faranno lo stesso per la maggioranza di governo?". È un'obiezione gigantesca, perché Monti questa garanzia al momento non può darla. "Questo sarebbe lo schema D'Alema", replica amareggiato. Insomma, non riesce a convincere il capo dello Stato, che lo congeda così: "Io stesso sarei anche disposto a votarla come presidente della Repubblica, ma le sue chance così si stanno esaurendo". Dunque è di nuovo tutto azzerato. E così anche i rapporti tra Pd e Scelta Civica si raffreddano, nonostante un redivivo Casini faccia di tutto per tenere i fili. L'operazione Monti al Senato parte in gran segreto già giovedì sera, quando viene comunicata al vertice del Pd. "Per noi va bene", risponde Bersani, "ma con Napolitano ci deve parlare Monti". Nella testa del premier quello a palazzo Madama è soltanto un passaggio. A rivelare quale dovrebbe essere lo step successivo è Andrea Olivero, che alza il velo sul progetto parlando ieri mattina all'assemblea dei parlamentari di Scelta Civica: "L'elezione di Monti al Senato è il passaggio verso il Quirinale". Per i montiani tutto si tiene: il Professore che trasloca al Quirinale, Franceschini che diventa presidente della Camera e, a palazzo Madama, tra un mese arriva Renato Schifani. Monti, raccontano, è motivatissimo. Già si vede come successore di Napolitano. Ma tutto s'incaglia sull'obiezione costituzionale del Quirinale. Ora tutto torna il alto mare. Nel Pd sono pronti a prendersi entrambe le Camere, mentre Bersani andrebbe a palazzo Chigi con un governo di minoranza. E la maggioranza a palazzo Madama? Un aiuto potrebbe arrivare dai 17 senatori del Carroccio. Un sospetto sul dialogo Pd-Lega è venuto a Umberto Bossi, che ieri non a caso ha attaccato duramente Bobo Maroni. Anche Augusto Minzolini, neo senatore del Pdl, da animale parlamentare ha fiutato qualcosa e in serata ha twittato un altolà preventivo: "La Lega l'ultimo anno ne ha sbagliate molte. Se pensa di governare con Pd-Monti contando su maggioranza di 2 voti a Senato è da ricovero". (16 marzo 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/16/news/stop_monti-54660540/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Bersani pronto a una svolta "Non è una missione impossibile" Inserito da: Admin - Marzo 24, 2013, 05:05:18 pm Bersani pronto a una svolta "Non è una missione impossibile"
Apertura alla Lega e un cattolico al Colle. L'incontro con Saviano. Per il Quirinale spunta Mattarella E una "superbicamerale per le riforme" di FRANCESCO BEI Si parte con i rappresentanti dei Comuni e il Forum del terzo Settore, si chiude con Roberto Saviano per discutere "un immediato programma di interventi sui temi della lotta alle mafie". Il primo giorno di consultazioni Bersani ci tiene a presentarsi con un'attenzione tutta concentrata "sui problemi reali del paese". Come se davvero giovedì potesse salire al Colle e sciogliere la riserva, pronto a consegnare subito la lista dei ministri. "Partiamo dalle fatiche del paese - spiega nei suoi incontri a porte chiuse - e non da una trattativa tutta in politichese". A dispetto di chi lo descrive cupo e rassegnato, il segretario del Pd mostra ai giornalisti tutto l'ottimismo della volontà: "Non c'è niente di impossibile, non si dica che sono pessimista". La conferenza stampa nella sala Aldo Moro di Montecitorio serve anche a rispondere a Silvio Berlusconi, che quasi in contemporanea, arringando la piazza del Pdl, l'aveva definito un premier precario. "Berlusconi mi dica se ci sono ipotesi meno precarie di un necessario governo del cambiamento". A chi si rivolge Bersani? "Chiederemo a tutti di consentire la nascita del governo, se poi il Pdl o gli altri si asterranno o non entreranno in aula - argomenta il leader democratico con i suoi interlocutori - è una questione secondaria". Quanto ai grillini, Bersani rilancia la sfida con il metodo Grasso: "Abbiamo dimostrato che noi non siamo in coda ma in testa al cambiamento... invece di insultarmi si assumano le responsabilità". I democratici con i cinquestelle le stanno provando tutte. Daniele Marantelli, il deputato che si occupa della Nazionale dei parlamentari, ha persino provato ad agganciarli con la scusa di una partita "tra di noi". E Bersani ieri ha promesso "norme stringenti su conflitto di interessi, candidabilità e ineleggibilità". Ma parlare di un ddl che valga a partire dalla prossima legislatura è cosa molto diversa dal votare l'ineleggibilità di Berlusconi alla giunta del Senato, come vorrebbero fare i grillini. L'articolo integrale su Repubblica oggi in edicola (24 marzo 2013) © Riproduzione riservata Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi stoppa Berlusconi: "Gravissimo farne un ... Inserito da: Admin - Maggio 03, 2013, 05:52:30 pm Convenzione, Renzi stoppa Berlusconi: "Gravissimo farne un padre costituente" Il sindaco di Firenze: non esageriamo, presidenza fuori dai patti di governo. Il ministro Quagliariello tenta di rasserenare gli animi: "Chi guiderà? Non se n'è parlato" di FRANCESCO BEI ROMA - Della Convenzione per le riforme, messa in frigo per l'urgenza di scegliere i sottosegretari, si ricomincerà a parlare seriamente solo la prossima settimana. Ma intanto Matteo Renzi è pronto a lanciare in pubblico il suo altolà per bruciare sul nascere l'ipotesi che la presidenza venga affidata al Cavaliere. Ai suoi parlamentari il sindaco di Firenze lo ha già anticipato: "Ora non esageriamo, un conto è fare un governo con il Pdl perché non ci sono alternative, altro è dare la Convenzione a Berlusconi". Per Renzi è un problema serio, visto l'aura di padre della patria che ne ricaverebbe il leader del Pdl. "Se serve lo dirò: non è che possiamo arrivare a trasformarlo in un padre costituente". Dunque "sarebbe un errore gravissimo accettare che faccia il presidente della Convenzione". Una clausola, quella dell'elezione di Berlusconi alla guida della nuova "commissione dei 75" che per il sindaco "non può rientrare negli accordi di governo", anche se qualcuno - Bersani o Letta - può aver fatto balenare questa possibilità nei giorni della trattativa sulle larghe intese. Mentre si moltiplicano le voci che indicano nel leghista Calderoli, come anticipato da Repubblica, il nome su cui potrebbero convergere Pd e Pdl, il ministro delle riforme Gaetano Quagliariello prudentemente assicura che "non è stata ancora affrontata la questione della presidenza". Quello che si capisce è che il governo intende restarne fuori per non rimanerci sotto. Schiacciato dalle polemiche. "Cercheremo di seguire questa vicenda senza entrarci - confermano da palazzo Chigi - la spinta del governo, se ci sarà, arriverà quando la scelta sarà maturata". Letta insomma lascia che la Convenzione svolga il suo ruolo e faccia da sfogatoio per i partiti, sperando che il governo possa uscirne indenne. Il premier è infatti consapevole delle controspinte che arrivano dal suo stesso partito per sabotare l'organismo ed evitare che si trasformi in un palcoscenico per Berlusconi. Ieri, dopo gli attacchi del costituzionalista Stefano Rodotà, Pippo Civati (presente alla manifestazione di Left) ha lasciato intendere che la partita è ancora tutta aperta: "Per me siamo in un governo che non deve durare troppo. Un esecutivo che deve fare la legge elettorale prima di fare convenzioni o circonvenzioni". Una priorità condivisa dai "Comitati Dossetti per la Costituzione", che hanno lanciato ieri un appello, sottoscritto da decine di giuristi, contro l'ipotesi di "Convenzioni paracostituenti". Di fronte a questa opposizione montante, i fautori della Convenzione cercano di serrare le file e accelerare. Francesco Sanna, deputato vicino a Enrico Letta, spiega il piano d'attacco: "L'idea è quella di approvare simultaneamente delle mozioni parlamentari incrociate tra Camera e Senato, con lo stesso testo. Sarebbe un invito ai presidenti del Parlamento per convocare questo organismo misto, aperto agli esterni". Quanto alla composizione, il Pd farebbe il beau geste di rinunciare al premio di maggioranza, a favore di una rappresentanza puramente proporzionale che rispecchia i veri rapporti di forza del paese: un terzo Pd, un terzo Pdl, un terzo M5S. Se l'escamotage degli ordini del giorno consentirebbe di far partire immediatamente la Convenzione, resta tuttavia aperto il problemi dei poteri. Dovrà infatti essere approvata, in parallelo, una legge costituzionale che stabilisca il carattere "redigente" della Convenzione. Il che significa che il testo uscito dall'organismo non potrà più essere toccato da deputati e senatori. "Il significato profondo della convenzione, ratificata con legge costituzionale, è proprio quello di dargli potere redigente - ha confermato il democratico Gianclaudio Bressa a Radio24 - in modo tale che al testo che ne esce Camera e Senato possano dire di sì o di no. Così potremmo passare da un bicameralismo isterico come abbiamo noi al monocameralismo". Il problema, tra gli altri, è quello di impedire ai senatori di manomettere la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, costringendoli ad accettare l'intero pacchetto. Quagliariello ha intanto in forno un'altra novità importante. Insieme a Dario Franceschini sta studiando una riforma dei regolamenti parlamentari per garantire una corsia preferenziale ai provvedimenti del governo. Un modo per evitare l'eccesso di decretazione d'urgenza e i voti di fiducia, biasimato di volta in volta dall'opposizione di turno. (03 maggio 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/05/03/news/convenzione_renzi_blocca_berlusconi-57946680/?ref=HREC1-3 Titolo: FRANCESCO BEI. G8, disastro logistico per la stampa: ossessione sicurezza e... Inserito da: Admin - Giugno 18, 2013, 05:48:37 pm G8, disastro logistico per la stampa: ossessione sicurezza e costi record
L'appuntamento nordirlandese rimarrà nella memoria dei giornalisti al seguito dei leader mondiali per le numerose falle organizzative. Trasporti inaffidabili, prezzi impossibili e controlli o troppo rigidi o inesistenti di FRANCESCO BEI LOUGH EINE (Irlanda del Nord) - Questo G8 sotto la presidenza britannica sarà ricordato dai giornalisti, oltre che per le divisioni laceranti sulla Siria, anche per l'assoluto disastro organizzativo. Una débâcle che non viene percepita dal pubblico ma che rende molto difficile il lavoro dei 600 giornalisti accreditati da tutto il mondo. L'elenco delle magagne è lungo e a farne le spese è stato persino Vladimir Putin, che non è riuscito ad atterrare domenica sera a Belfast ed è stato costretto a dormire a Londra. Se lo zar russo ha le sue alternative, così purtroppo non è per gli inviati. Capitolo controlli. D'accordo in Irlanda del nord fino a 15 anni fa l'Ira metteva le bombe e fidarsi è bene ma... la sensazione è che ci siano un particolare accanimento sui giornalisti, obbligati a sfilarsi cinture, orologi e svuotarsi le tasche anche al rientro notturno in albergo, quando potrebbero essere una minaccia al massimo per se stessi. "Lo sappiamo, è assurdo - sospirano i gentilissimi poliziotti ai metal detector - ma sono le disposizioni dall'alto: vi dobbiamo controllare anche quando ve ne andate". Tanta ossessiva solerzia viene poi clamorosamente contraddetta dalla sciatteria con la quale sono stati distribuiti i preziosi "pass" per accedere all'area rossa: chi è arrivato in ritardo domenica notte si è trovato da solo il proprio lasciapassare in una scatola di cartone, senza alcun riscontro o identificazione con la carta d'identità. Dal troppo al troppo poco. Capitoli trasferimenti. Il caos britannico su questo fronte è totale. Domenica sera decine di giornalisti sono stati lasciati più di un'ora, a mezzanotte, sotto la pioggia, in attesa delle navette che li portassero in albergo. Impossibile rientrare in sala stampa, almeno per ripararsi: "Problemi di sicurezza". Stesso film nei giorni seguenti, con la tabella delle partenze delle navette completamente ignorata. E pazienza per chi deve andare in diretta, oppure ha prenotato un costosissimo slot satellitare per trasferire le immagini. Martedì mattina, ultimo giorno, la navetta è dispersa, l'autista introvabile. Due ore di ritardo sul programma. Ne restano vittime gli stessi giornalisti britannici, il cui autista si perde nella campagna e chiede un navigatore satellitare ai suoi passeggeri. Capitoli costi. Va bene la crisi e la sobrietà, ma al G8 si paga tutto. Anche l'acqua minerale, all'astronomico prezzo di 12 euro al litro. Come una buona bottiglia di Chardonnay. Due caffè in sala stampa vanno via per 4 sterline e mezza: 5 euro e 30 centesimi. Tutto si paga doppio, a partire dalle stanze degli alberghi convenzionati con il G8, che fiutato l'affare hanno duplicato le rette. Alberghi peraltro lontanissimi, a volte cento chilometri, dall'area del summit. Il G8 britannico si chiude oggi con la spiacevole sensazione di essere stati munti come le numerose mucche che pascolano indifferenti oltre il perimetro della sala stampa. (18 giugno 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/esteri/2013/06/18/news/g8_disastro_logistico_per_la_stampa_ossessione_sicurezza_e_costi_record-61342859/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il capo del governo: la mia linea e di "total disclosure" Inserito da: Admin - Luglio 13, 2013, 11:10:58 pm L'ira del premier sul Viminale "Chi ha sbagliato ora deve pagare" "Strutture" del ministero sotto accusa. Angelino: "Mi hanno tenuto all'oscuro. Pensate che io sono stato avvisato solo dal ministero degli Esteri. Il capo del governo: la mia linea e di "total disclosure" di FRANCESCO BEI ROMA - "Da questa vicenda ne possiamo uscire soltanto adottando una politica di... total disclosure, di trasparenza assoluta". Enrico Letta detta la linea ai ministri, chiusi nel suo studio a palazzo Chigi da mezzogiorno fino alle cinque della sera. Una prima parte riservata soltanto a Letta, Bonino, Alfano e Cancellieri, poi alla riunione fiume vengono ammessi il capo della Polizia, Alessandro Pansa, e il sottosegretario alla presidenza Filippo Patroni Griffi. La tensione è altissima. Il caso Shalabayeva, come confida un ministro, "rischia di far deragliare il governo". Se infatti venissero accertate responsabilità del ministro dell'Interno e Alfano (già colpito da mozione di sfiducia di Sel e M5S) fosse costretto a dimettersi, è chiaro che il Pdl non potrebbe restare più in maggioranza. Per questo Letta e i ministri leggono e rileggono ad alta voce i risultati dell'inchiesta interna del Viminale, tutte le carte prodotte dalla difesa della signora Ablyazov e provano a ricostruire i vari passaggi nei dettagli, illuminando le responsabilità. Sembra che Alfano ne sia fuori. "Mi hanno tenuto all'oscuro, solo la Farnesina, ossia Emma, mi ha avvertito", si difende. Il premier gli crede. "Sono stato io a informarlo - conferma Bonino a Letta - Angelino nemmeno sapeva chi fosse". Ma se la consegna a un dittatore della moglie di un perseguitato politico è avvenuta alle spalle del titolare del Viminale, per il premier questo non può affatto costituire una giustificazione. Letta alza lo sguardo verso il capo della Polizia (nominato dal Consiglio dei ministri a cose fatte e quindi innocente) e per la prima volta da quando è a Palazzo Chgi scandisce le parole senza nascondere la sua rabbia: "Ora qualcuno deve pagare. Se è vero che Angelino non sapeva, qualcuno della struttura ne risponderà". Qualche testa salterà, insomma, fosse quella del capo dell'Immigrazione o del prefetto di Roma o del Questore o del capo della Digos. Chiunque si sia reso responsabile consapevolmente di esporre il paese a una figuraccia internazionale. "Non saranno tollerati ombre e dubbi", aveva promesso il premier tre giorni fa in Parlamento. E la decisione presa ieri di revocare l'espulsione della Shalabayeva per Letta è soltanto il primo passo. Presto arriverà il momento delle responsabilità. "È importante che si faccia chiarezza", insiste Emma Bonino, la prima ad essersi occupata della vicenda a livello di governo. Quando ancora la collega Cancellieri il 5 giugno affermava alle agenzie che "le procedure sono state perfette e tutto si è svolto secondo le regole". Il ministro degli Esteri la pensava diversamente. Tanto che già dal 3 giugno aveva mobilitato la Farnesina per garantire alla deportata kazaka i diritti di difesa, con il console italiano spedito ad Almaty a raccogliere la firma autentica della Shalabayeva per la richiesta di estradizione. Quello che è accaduto in quella maledetta notte intorno alla villetta di Casalpalocco e poi ancora nei locali del Cie di Ponte Galeria presenta numerosi aspetti oscuri. Le procedure formali sembrano rispettate, così è scritto nelle carte portate da Pansa, ma qualcuno ha avuto troppa fretta, qualcun altro ha fatto finta di non vedere. "Sembra trasparire un evidente stacco - aveva detto Letta al question time - tra la correttezza formale dei vari passaggi e crescenti interrogativi sostanziali". Intanto chi era quell'uomo con l'auricolare in un orecchio trovato dalla Digos intorno alla villa e presentatosi con un tesserino della presidenza del Consiglio? Il premier vuole sapere. Dall'inchiesta interna viene fuori che effettivamente "l'investigatore" è un ex 007 italiano in pensione, dipendente di un'agenzia privata di sicurezza incaricata di vigilare sulla residenza. Ma incaricata da chi e per quali motivi? L'interrogativo resta sebbene nel vertice di governo i servizi siano stati tenuti fuori dal "processo" perché non avrebbero avuto alcun ruolo. Durante il vertice si discute anche di quali mosse mettere in campo per alleviare la posizione delicata della Shalabayeva, mamma di una bambina di 6 anni che ora è costretta ai domiciliari. Tenuta di fatto come ostaggio dal dittatore kazako. Letta e Bonino decidono di mandare oggi stesso l'ambasciatore italiano ad Astana a informare le autorità del Kazakistan della revoca del provvedimento di espulsione. È un segnale che Roma ha acceso un faro. Gli avvocati della donna hanno libero accesso alla Farnesina, la collaborazione è massima. "Ma al momento non abbiamo molte armi in mano", ammettono dal ministero degli Esteri e da palazzo Chigi. Quella che è iniziata ieri è una difficile partita a scacchi, giocata nella consapevolezza che la donna difficilmente sarà rilasciata e rispedita a Roma. "Dobbiamo esercitare al massimo la nostra moral suasion", dicono dal governo. L'obiettivo al momento è evitare alla Shalabayeva il carcere e una pesante condanna penale. Con il rischio che la bambina possa essere mandata in un orfanotrofio nell'attesa che la madre venga rilasciata. Sarebbe un'onta per l'Italia. "Chi si è reso responsabile di tutto questo - ripete il premier ai ministri - non la può passare liscia". DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/13/news/l_ira_del_premier_sul_viminale_chi_ha_sbagliato_ora_deve_pagare-62890339/?ref=HRER3-1 Titolo: Berlusconi ai suoi: evitiamo scosse nel governo, sarà utile per i miei processi. Inserito da: Admin - Luglio 22, 2013, 08:38:38 am "Alfano ha combinato un bel guaio ora alziamo la posta per bloccare Epifani" Berlusconi ai suoi: evitiamo scosse nel governo, sarà utile per i miei processi. Per salvare il ministro dell'interno, il Pdl è stato costretto a minacciare la crisi. Tutte le mosse sono studiate in vista della sentenza su Mediaset della Cassazione di FRANCESCO BEI "Alfano ha combinato un bel guaio ora alziamo la posta per bloccare Epifani" Silvio Berlusconi "Con questa faccenda del Kazakhstan Angelino mi ha combinato un casino proprio quando ne avevo meno bisogno". È iniziato così, sabato sera, un lungo sfogo telefonico che uno degli esponenti più in vista della maggioranza tripartita ha raccolto dalla viva voce di Berlusconi. Una confidenza sorprendente per almeno due ragioni. Non solo perché la vulgata ha da subito attribuito proprio al Cavaliere la regia occulta dell'affaire Shalabayeva, per fare un favore al suo "amico" Nazarbayev. Ma stupefacente anche rispetto alla difesa a tutto tondo che da Berlusconi è arrivata pubblicamente nei confronti del ministro dell'Interno. Prima con una intervista e poi con la presenza fisica, nell'aula del Senato, per sostenerlo durante il dibattito sulla mozione di sfiducia presentata da Sel e M5S. E invece Berlusconi, nel corso della telefonata, è apparso piuttosto irritato con il segretario del Pdl per la grande fibrillazione che lo scandalo Shalabayeva ha portato nella maggioranza. In un momento in cui tutto vuole il Cavaliere tranne che terremotare il quadro politico. Per questo da giorni sembra sparito dai radar, più colomba delle colombe, pronto a ripetere come un disco che anche in caso di condanna "il governo andrà avanti". L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+ (22 luglio 2013) © Riproduzione riservata Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi e la strategia del rinvio: "In Giunta bisogna ... Inserito da: Admin - Agosto 19, 2013, 07:20:01 pm Berlusconi e la strategia del rinvio: "In Giunta bisogna allungare i tempi" "Una volta decaduto - è la paura dell'ex premier - potrei essere arrestato". E le elezioni spaventano: "Renzi è quindici punti avanti a me" di FRANCESCO BEI Berlusconi e la strategia del rinvio: "In Giunta bisogna allungare i tempi" Berlusconi al Senato ROMA - Prendere tempo, guadagnare giorni e settimane pur di non arrivare al voto in Senato. Nella disperazione e nella rabbia di questi giorni, l'unica indicazione che esce da Arcore, dove Berlusconi si è asserragliato in consiglio permanente con i suoi avvocati (tranne Franco Coppi), è quella di evitare l'appuntamento con il destino: il giudizio sull'incandidabilità e la decadenza da senatore. "Dal giorno dopo - ha detto Berlusconi dando corpo alla sua paura - sarei alla mercé di qualunque Woodcock volesse arrestarmi". La strategia del rinvio, adottata dal Cavaliere in mancanza di meglio e in attesa di una decisione sulla richiesta di grazia, intercetta anche il sentimento delle colombe del Pdl. Terrorizzate dalle possibili conseguenze politiche di un voto del Pd a favore della decadenza di Berlusconi da senatore. Non a caso ieri il ministro Quagliariello, intervistato dall'Ansa, invitava a non precipitare le cose, chiedendo che alla giunta delle immunità di palazzo Madama sia concesso tutto il tempo necessario: "Credo ci siano molte cose da chiarire e approfondire e credo sia interesse di tutti farlo per bene. Non per sottrarsi alla deliberazione, ma perché essa non abbia esiti predeterminati e avvenga con ogni cognizione di causa". In realtà che l'esito sia "predeterminato", visti i rapporti di forza, lo sanno tutti. E tuttavia la questione potrebbe andare per le lunghe, molto per le lunghe. "Con un po' di impegno anche fino a dicembre", profetizza uno dei consiglieri del Capo. Il relatore pidielle Andrea Augello dovrà infatti formulare delle proposte alla giunta, riunita come una camera di consiglio di un tribunale. Ma se le sue tesi, com'è probabile, dovessero ricevere una bocciatura da parte della maggioranza Pd-Sel-M5S, si potrebbe aprire una trafila lunghissima. Ed è proprio su questa, che in gergo parlamentare viene definita "procedura di contestazione", che contano i berlusconiani. Dovrebbe essere nominato un nuovo relatore, con tempi non brevi per dargli modo di formulare una nuova proposta. Poi il Cavaliere avrebbe diritto a intervenire personalmente nella discussione, i suoi avvocati potrebbero richiedere "approfondimenti", poi ci sarebbe il voto in aula. Insomma, un cinema che andrebbe avanti per settimane se non mesi. Un temporeggiamento che servirebbe a scavallare l'ultima finestra elettorale del 2013, quella di fine settembre/ottobre. Dopo di che il Parlamento sarebbe impegnato con la legge di Stabilità e la crisi di governo sarebbe impensabile. Perché Berlusconi si sta convincendo che la fretta di una parte del Pd di arrivare al voto a palazzo Madama sulla sua incandidabilità sia legato anche a un piano per far saltare il governo Letta e andare subito al voto. "Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione - ha fatto notare Berlusconi con realismo all'ennesimo falco che lo ha chiamato ad Arcore prospettandogli le elezioni anticipate come soluzione ai suoi problemi - Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi. Loro metterebbero subito da parte le divisioni e si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze pur di batterci". È proprio la convinzione di essere diventato il principale azionista e garante della tenuta del governo Letta che spinge il Cavaliere, in queste ore tormentate, a guardare sempre in direzione del Colle nella speranza di un atto risolutivo. "Io sono sempre stato ai patti - ha ripetuto due giorni fa a un senatore Pdl che ha telefonato a villa San Martino - ma Napolitano non si è mai mosso per me. Non lo ha fatto ai tempi del lodo Alfano, del legittimo impedimento. Ma stavolta si deve inventare qualcosa, non so cosa ma la palla è nelle sue mani". Questo insistere su un impossibile (soprattutto dopo la nota di Napolitano) quarto grado di giudizio del Quirinale fa cadere le braccia alle colombe che raccolgono gli sfoghi del Cavaliere. Ma rende bene la sensazione di impotenza, la rabbia e il vicolo cieco in cui il leader del Pdl sa di essersi cacciato. Un falco come Daniele Capezzone dà voce a questa richiesta di un gesto fuori dall'ordinario, la speranza di una sorta di motu proprio quirinalizio: "Il Pdl - dice il presidente della commissione Finanze - ha dimostrato un assoluto senso di responsabilità, ma ora tocca a tutti gli attori politici e istituzionali, per la parte che compete a ciascuno, evitare ferite irrimediabili. La questione è politica, e serve una soluzione politica". Ma nell'attesa l'importante è restare aggrappato al seggio di senatore. da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/17/news/berlusconi_strategia_rinvio-64880117/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il Cavaliere ora mette sotto tiro Letta Inserito da: Admin - Agosto 23, 2013, 11:48:42 pm Il Cavaliere ora mette sotto tiro Letta "Fa il duro con me per battere Renzi" Ma Angelino lo frena: se rompiamo e resta l'Imu gli italiani ci puniranno. Il Cavaliere sogna il voto anticipato per il 24-25 novembre. Domani nuovo vertice ad Arcore di FRANCESCO BEI "Io pretendo un risarcimento politico, non mi interessano questi giochetti sul rinvio del voto in giunta". Berlusconi l'ha ripetuto ieri sera ad Arcore a uno sconfortato Angelino Alfano, entrato in udienza con la speranza di convincere il Cavaliere che qualcosa nel fronte del Pd si sta effettivamente muovendo. Ma il tempo delle mediazioni scorre troppo lento per chi vede avvicinarsi sul calendario la data della propria uscita definitiva di scena. Il Cavaliere non ci sta. E se la prende ora anche con Enrico Letta: "Mi ha deluso, non è più neutrale". Nonostante i ministri Lupi e Quagliariello si stiano dannando per convincere "gli amici del Pd" a concedere il sospirato approfondimento costituzionale sulla legge Severino, che eviterebbe il 9 settembre un "drammatico" voto nella giunta di palazzo Madama. Nonostante lo stesso Denis Verdini gli abbia sussurrato in un orecchio che "almeno tre o quattro membri della giunta non sono mozzaorecchi e si possono convincere". Nonostante gli spiragli e le tante mediazioni in corso, Berlusconi sembra sempre più convinto di far saltare il tavolo. E da ultimo, appunto, ha smesso di fidarsi anche del "nipote di Gianni". Già l'aveva messo nel mirino per i suoi silenzi, come se la questione della condanna di "un signore grazie al quale lui siede a palazzo Chigi" non lo riguardasse. Ma quando ieri sera Alfano gli ha riferito del rifiuto di Letta di farsi carico del "dramma umano e politico" del leader del Pdl, invitando a mantenere separato il destino del governo dalla vicenda "tecnica" del voto sulla decadenza da senatore, il Cavaliere è sbottato. E ha ripetuto quanto lo avevano già sentito dire martedì pomeriggio ad Arcore durante la riunione del vertice del partito. Parole di fuoco e sospetti pesanti sulle intenzioni di Enrico Letta: "Fa il duro perché ha deciso di giocarsi la sua partita contro Renzi per la premiership". I falchi, trovando un varco aperto, in quell'occasione avevano stillato altre gocce di veleno nel suo orecchio. Insinuando il dubbio sui reali progetti del premier che, secondo la disamina dei vari Capezzone, Verdini e Santanché, potrebbe trarre vantaggio da una crisi del suo governo, comunque arrivato a un impasse, e ricompattare dietro di sé tutte le correnti del partito democratico ostili al sindaco di Firenze. "Con le elezioni anticipate salterebbe il congresso, i bersaniani si terrebbero il partito e Letta potrebbe aspirare a vincere le primarie cucendosi al petto la medaglia di quello che ti ha mandato agli arresti". Veleni che hanno trovato un terreno permeabile in Berlusconi, da settimane sospettoso di tutto e di tutti. Arrivato persino a guardare di traverso chi insiste troppo nel proporgli la strategia del rinvio davanti alla giunta e l'ipotesi di un ricorso incidentale davanti alla Corte costituzionale. Anche perché allungare i tempi dell'esame sulla presunta non retroattività della legge Severino renderebbe ancora più difficile il ricorso al voto anticipato. Che nel suo "cronoprogramma" potrebbe arrivare giusto il 24-25 novembre, con una speranza di vittoria affidata alla risalita del Pdl "in tutti i sondaggi disponibili". Eppure il Cavaliere, se da una parte preferisce dare ascolto ai falchi e pretende senza mezzi termini che Napolitano gli cancelli la pena trasformandola in una multa, tiene aperto anche uno spiraglio per consentire alle colombe di esperire fino all'ultimo tutte le strade possibili. È la promessa che ha fatto ieri sera ad Alfano. Anche perché il ministro dell'Interno si è presentato ad Arcore con argomenti solidi. Uno su tutti, l'Imu. "Se il governo tra una settimana abolisce per decreto l'imposta noi che facciamo? Con la crisi di governo il decreto non verrebbe convertito e gli italiani dovrebbero pagare la prima e la seconda rata. E darebbero la colpa a noi. Cioè a te". L'altro punto dirimente della faccenda è quello dell'atteggiamento del capo dello Stato. Dopo averne discusso a lungo con Maurizio Lupi durante una cena al Meeting di Rimini, il segretario Pdl ha ribadito al Cavaliere una convinzione diffusa tra le colombe che tengono aperto il canale di comunicazione con il Colle: Napolitano non scioglierà mai le Camere ad appena sei mesi dal voto. Non senza aver prima fatto l'impossibile per cambiare la legge elettorale e arrivare almeno alla primavera del prossimo anno. E se anche il Pdl dovesse togliere il sostegno all'esecutivo, con le dimissioni dei ministri, il capo dello Stato rimanderebbe Letta di fronte alle Camere per trovare una maggioranza e andare avanti. Con o senza Berlusconi. (23 agosto 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/23/news/il_cavaliere_ora_mette_sotto_tiro_letta_fa_il_duro_con_me_per_battere_renzi-65163312/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Il governo pronto a bloccare l'Iva: nessun aumento nel 2013 Inserito da: Admin - Settembre 24, 2013, 11:27:02 am Il governo pronto a bloccare l'Iva: nessun aumento nel 2013 Patto tra Letta e Saccomanni. Il premier intende presentarsi alle Camere e chiedere una nuova fiducia ai partiti. La paura del Pd: una crisi ora aiuterebbe Berlusconi di FRANCESCO BEI ROMA - A un passo dalla crisi di governo, con le dimissioni del ministro Saccomanni sul tavolo, Enrico Letta ha deciso: l'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento sarà bloccato fino al 31 dicembre. Un congelamento che costa un miliardo di euro, ma che serve al premier per tamponare la falla politica che rischiava di mandare a fondo l'intera barca del governo. La mossa successiva è già stata discussa ieri mattina in una telefonata tra Letta e Saccomanni, durante la quale il capo dell'esecutivo ha fornito "piena copertura politica" al ministro dell'Economia. Soprattutto gli ha fornito "ampie garanzie" sul rientro al 3% nel rapporto defcit/pil. Per l'Iva, però, il piano prevede un ridisegno complessivo della giungla delle aliquote che diventerà operativo a partire dal primo gennaio 2014 e che servirà a scongiurare definitivamente l'aumento di quella maggiore. Intanto, dopo una riunione segreta venerdì pomeriggio, oggi un'altra riunione ristretta di governo - alla presenza di Saccomanni e con i tecnici della Ragioneria - consentirà di mettere la bollinatura finale sulle coperture per evitare l'aumento del primo ottobre. "Il famoso miliardo lo abbiamo trovato", annuncia trionfante un ministro del Pdl in serata, "ma adesso sarebbe bene che i nostri e quelli del Pd evitassero la gara per attribuirsene il merito". Certo, l'aver coperto il miliardo per rinviare l'aumento dell'Iva non alleggerisce il peso della legge di Stabilità. "I partiti possono fare tutto quello che vogliono - ripete in queste ore Fabrizio Saccomanni - ma non mi possono chiedere di sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil". Un impegno non da poco visto che per correggere lo scostamento dello 0,1 per cento (attualmente il rapporto è al 3,1%) occorre trovare un altro miliardo e 600 milioni di euro da qui a fine anno. E tuttavia, benché il clima nella maggioranza, dopo il drammatico ultimatum del ministro dell'Economia, si sia in parte rasserenato, la strada per Letta resta tutta in salita. I problemi stavolta non vengono solo dal Pdl, dove i falchi intravedono la possibilità di dare la spallata finale all'esecutivo, ma anche dal partito democratico. Nel Pd infatti è diffusa la convinzione che il ministro Saccomanni si stia comportando "troppo alla Monti", regalando un vantaggio tattico a Berlusconi. "Se dopo avergli intestato lo stop dell'Imu - si sfogava ieri mattina un autorevole esponente democrat alla lettura dell'intervista del ministro dell'Economia - consentiamo al Cavaliere di addossarci l'aumento dell'Iva, gli stiamo regalando la campagna elettorale. E stavolta rischia anche di vincere". Per mettere il Pdl con le spalle al muro e costringere ognuno ad assumersi le proprie responsabilità, Letta ha deciso quindi di giocare d'anticipo. Anzi, come ha detto in conferenza stampa, "all'attacco". Cosa abbia in mente lo ha anticipato venerdì a Mario Monti, salito al primo piano di palazzo Chigi per perorare nuovamente quel "patto di coalizione" richiesto invano a luglio. Si tratta in sostanza di procedere a un Letta bis senza crisi di governo. "Anziché morire di agonia - gli ha suggerito Monti - perché non metti nero su bianco un nuovo programma di governo impegnativo per tutti?". "È quanto intendo fare - gli ha risposto Letta - e poi mi presenterò in Parlamento per chiedere ai partiti una nuova fiducia. Perché in questo modo non si può più andare avanti". Una ripartenza insomma, un nuova spinta che lo tolga dalla palude in cui sembra piombato in questi giorni. Un nuovo programma che faccia perno sulla legge di stabilità. Anche perché Letta non intende fare la fine di Monti. Sabato il Professore era a Yalta, invitato a una conferenza internazionale, e incrociando Dominique Strauss-Kahn si è sentito soprannominare "Montroeder". "Il Montroeder, unione di Monti e Schroeder, è quell'animale politico che fa le riforme giuste e poi perde le elezioni". Dall'altra parte del fiume il Cavaliere attende paziente che il Pd si faccia saltare i nervi e ponga fine all'esperienza Letta. Anche se i pensieri di Berlusconi sono ancora concentrati, più che sull'Iva, sulla questione decadenza. Il leader di Forza Italia vede avvicinarsi la scadenza fatidica della cessazione dello scudo senatoriale e teme che dalla procura di Bari possa arrivare un nuovo tsunami. Per questo, raccontano, il Cavaliere ieri è tornato ad accarezzare l'idea di andare in televisione e raccontare la sua "verità". Su tutto: da Ruby ai diritti Mediaset, da Tarantini alle escort. da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/23/news/governo_pronto_a_bloccare_iva-67071147/ Titolo: FRANCESCO BEI. Il "Nuovo centrodestra", gruppi in crescita e logo tricolore Inserito da: Admin - Novembre 17, 2013, 06:38:16 pm Il "Nuovo centrodestra", gruppi in crescita e logo tricolore
Così gli scissionisti guidati da Alfano, pre ora 30 senatori e 26 deputati, vogliono rubare la scena a Berlusconi. In pole per la carica di capogruppo Costa alla Camera e Bianconi al Senato. Tutti si chiedono cosa farà Gianni Letta di FRANCESCO BEI 16 novembre 2013 LA SCISSIONE dei “Clarissi” si consuma nel palazzo di Santa Chiara. Quanti di quei 56 parlamentari alfaniani sanno che in quella stessa sala don Sturzo lanciò l’appello «ai liberi e forti» del Partito popolare? I "Clarissi" di Alfano ieri erano così suddivisi: trenta senatori e ventisei deputati, pronti a dar vita in parlamento alla formazione del "Nuovo Centrodestra". Numeri in crescita, assicurano: Formigoni arriva persino a dichiarare 37 senatori. Anche il logo con il tricolore è pronto, c'ha lavorato da giorni un'agenzia specializzata. Per i gruppi già si fanno i nomi di chi dovrà guidarli. A Montecitorio il capogruppo sarà il giovane maratoneta Enrico Costa, esperto di giustizia, figlio dell'ex ministro della Sanità. Al Senato, dove Renato Schifani ha già dato le dimissioni da capogruppo Pdl, a guidare i rivoltosi arriverà invece una donna, finora appartenente a Gal: la romagnola Laura Bianconi. Tra i 26 deputati, sei più del numero necessario a formare un gruppo, oltre ad Alfano figurano altri tre ministri: Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi... Più incerta la composizione al Senato, dove comunque spiccano nomi pesanti come appunto l'ex capogruppo Renato Schifani, il ministro Quagliariello, Maurizio Sacconi, Andrea Augello e poi Carlo Giovanardi, Roberto Formigoni, Paolo Naccarato, il gruppone calabro-siculo che è il vero zoccolo duro alfaniano. Nell’ordine arrivano poi Luigi Compagna, Piero Aiello, Laura Bianconi (capogruppo), Giovanni Bilardi, Antonio Stefano Caridi, Federica Chiavaroli, Francesco Colucci, Nico D’Ascola, Antonio Gentile, Marcello Gualdani, Giuseppe Marinello, Bruno Mancuso, Giuseppe Pagano, Luciano Rossi, Francesco Scoma, Salvatore Torrisi, Guido Viceconte, Claudio Fazzone, Franco Cardiello, Antonio D’Alì e Antonio Azzolini. Gli scissionisti in Parlamento per ora sono questi. È forte la componente democristiana e teocon, quelli che un tempo erano i paladini ratzingeriani e ruiniani come Quagliariello, Sacconi e Roccella. Da fuori li guarda benevolo Cesare Previti, ancora molto ascoltato nel Lazio. Mentre in Calabria è alfaniano il governatore Giuseppe Scopelliti. Ma soprattutto tutti si chiedono cosa farà ora Gianni Letta. Pur non essendosi mai iscritto al Pdl, potrà restare al fianco del Cavaliere insieme a Santanché e agli altri falchi? La voce clamorosa che circolava ieri sera è che anche lo storico collaboratore di Berlusconi, sconfitto su tutta la linea, potrebbe mollare la spugna. Ieri sera il premier Enrico Letta ha chiamato Alfano per sapere su quale cifra si sarebbe fermata la conta finale, chiedendo garanzie al vicepremier: "Angelino, cerca di portare a casa numeri certi e forti. Perché dopo l’otto dicembre Renzi ci farà ballare". Un'altra partita che rischia di aprirsi presto è quella del rimpasto di governo. Quelli di Scelta Civica, anche se spaccati, hanno infatti un solo ministro, Mario Mauro, potendo contare su quasi 70 parlamentari. La sproporzione con i cinque ministri del "Nuovo Centrodestra" è evidente. Anche sul fronte dei sottosegretari andrà rivisto qualcosa, dato che l'unico a lasciare il governo sarà Gianfranco Micciché. © Riproduzione riservata 16 novembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/11/16/news/composizione_nuovo_centrodestra-71131210/?ref=NRCT-71083837-9 Titolo: F. BEI. - Legge elettorale, offerta di Renzi alla destra: Mattarellum corretto Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2013, 05:50:54 pm Legge elettorale, offerta di Renzi alla destra: Mattarellum corretto
La proposta mantiene le vecchie quote: 75% maggioritario, 25% proporzionale. Premio a chi vince 200 collegi. Ballottaggio tra le prime due coalizioni se nessuno arriva a quella soglia di FRANCESCO BEI L'Ircocervo non ha ancora un nome. E tuttavia inizia a prendere forma nelle conversazioni riservate tra esponenti del Partito democratico e di Forza Italia sulla legge elettorale. È un modello del tutto nuovo. È un ibrido che prende la struttura del vecchio Mattarellum e ci innesta sopra un doppio turno (eventuale) di coalizione. Il composto alchemico è l'ultimo prodotto della fucina renziana e, secondo chi lo ha potuto leggere, sarebbe "l'uovo di Colombo". Berlusconi vuole il Mattarellum? Il Pd vuole il doppio turno? Che problema c'è, basta mischiarli insieme ed ecco il risultato. Anche i partiti minori, come Ncd, non verrebbe soffocati in culla grazie al fatto che la quota proporzionale rimarrebbe intatta. La proposta parte infatti dal mantenimento delle vecchie quote del Mattarellum: 75% di maggioritario e 25% di proporzionale. Alla Camera significa 475 seggi maggioritari e 155 seggi proporzionali. Dalla quota maggioritaria sarebbe ritagliato un tesoretto di 75 seggi, un "premio di governabilità" da assegnare a quel partito che abbia superato una certa soglia. L'idea è fissare l'asticella a un'altezza congrua, non semplice da raggiungere: 200 seggi. Chi li dovesse conquistare con i propri voti, collegio per collegio, vincerebbe anche il premio di governabilità di ulteriori 75 seggi (pari a quasi il 12 per cento dell'assemblea). A questi 275 andrebbero poi aggiunti i seggi ottenuti dal partito nella quota proporzionale per arrivare - auspicabilmente - alla maggioranza assoluta di 315 deputati. E se nessuno dovesse superare l'asticella dei 200 collegi vinti? Allora e solo allora scatterebbe un ballottaggio tra le prime due coalizioni per aggiudicarsi il premietto di 75 seggi. Questo è lo schema su cui si sta ragionando. Un cocktail di elementi diversi messo a punto, pare, dal renziano Matteo Richetti... L'articolo integrale su Repubblica in edicola o su Repubblica+ Riproduzione riservata 21 dicembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/21/news/legge_elettorale_offerta_renzi_mattarellum_corretto-74172422/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. - Renzi gioca la carta delle riforme: "Venerdì il via ... Inserito da: Admin - Marzo 24, 2014, 05:04:23 pm Renzi gioca la carta delle riforme: "Venerdì il via all'abolizione del Senato"
Cena con Padoan: piena l'intesa su Irpef, coperture e Def. Per il premier il Documento di economia e finanza sarà "lo snodo della nostra svolta". "Con Squinzi e Camusso niente concertazione" Di FRANCESCO BEI ROMA - È la settimana delle riforme costituzionali. Per Renzi è il momento di concentrarsi sul terzo pilastro della sua strategia in vista delle europee di maggio: la riforma del Senato e del regionalismo. Messo in sicurezza l'Italicum, archiviata per il momento la polemica sulle coperture per il taglio delle tasse - "basta, ci sono!", sbotta in privato il premier ogni volta che qualcuno avanza l'argomento - per Renzi si tratta di mantenere la locomotiva alla massima velocità. Per non rischiare di impantanarsi nei "battibecchi" con le parti sociali o nella "palude" della trattativa tra i partiti. E dunque dopo un fitto scambio di proposte e richieste di modifica, soprattutto con i governatori di centrosinistra e con la minoranza Pd, a palazzo Chigi sono pronti a far uscire il testo definitivo da depositare in parlamento. Venerdì ci sarà il via libera. Con l'obiettivo di pressare la maggioranza (allargata a Forza Italia) per ottenere il primo sì di palazzo Madama entro il 25 maggio. Il lavoro, impacchettato dal sottosegretario Graziano Delrio e da Maria Elena Boschi, è sostanzialmente finito. E lo dimostra il fatto che la giovane ministra sia fuggita nel week-end a Londra per riprendere un po' il fiato dopo la galoppata di queste settimane. Certo, rispetto al progetto iniziale immaginato da Renzi, qualcosa è cambiato. Saranno restituiti alcuni poteri alla nuova Assemblea delle autonomie, che potrà dare il suo parere sulle leggi europee e su quelle regionali. E saranno anche ridotti quei 21 senatori di nomina presidenziale che avevano fatto storcere il naso a molti. "Per me l'importante è che i costi restino a zero, sul resto siamo aperti a suggerimenti", è stato il mandato affidato dal premier ai suoi due negoziatori. Il disegno di legge costituzionale sarà al primo punto all'ordine del giorno della direzione del Pd di venerdì prossimo, proprio per testare l'accordo con la minoranza interna. Poi sarà incardinato rapidamente a palazzo Madama, con la precedenza sull'Italicum. Ma certo, se la riforma costituzionale è ora in cima alla lista delle priorità di Renzi, il premier non può rischiare di trovarsi scoperto sulle cose già messe in cantiere. Così, per registrare i bulloni della squadra e iniziare a impostare il Documento di economia e finanza, il capo del governo ha invitato a cena venerdì sera Pier Carlo Padoan. Quel paio d'ore trascorse a palazzo Chigi sono servite anche a fare il punto sugli incontri avuti a Bruxelles con Merkel e i vertici Ue, ma soprattutto hanno confermato che tra i due (per ora) le sintonie superano le differenze. Tanto che ieri, notano con piacere i collaboratori del premier, al forum di Cernobbio Padoan ha pronunciato una frase conciliante rispetto al suo ruolo nell'esecutivo: "Il ministro dell'Economia viene indicato tradizionalmente come il signor no. Sto imparando il mestiere, ma ritengo che il vocabolario di un ministro debba essere più ampio di questa singola parola". Dal vertice serale Padoan ne è uscito confortato sul fatto che Renzi consideri il Def "l'appuntamento cruciale, lo snodo della nostra svolta in politica economica". E il premier ha apprezzato il fatto che anche l'economista Padoan, come ha confermato ieri in pubblico, ritenga le riforme del sistema istituzionale "parte essenziale e fondante delle riforme economiche". A turbare la marcia del Pendolino-Renzi ci sono tuttavia due interlocutori non secondari nel sistema Italia. Squinzi e Camusso, Confindustria e Cgil, sempre più critici verso l'operato del governo. Renzi, dal suo rifugio a Pontassieve, fa filtrare di non avercela con il numero uno di viale dell'Astronomia. "La mia linea non è concertativa, quindi non mi interessa entrare in questi battibecchi. Liberi loro di criticare, liberi noi di agire". Quello che il premier fa notare nelle conversazioni con i suoi ministri, alcuni dei quali preoccupati per l'ostilità crescente delle parti sociali, è che "curiosamente Cgil e Confindustria sono uniti nell'attaccarci proprio nel momento in cui il governo dà i soldi alla gente". Nel fine settimana in famiglia Renzi ha comunque altre gatte da pelare più pressanti. La più grande si chiama Expo2015. La settimana in arrivo sarà decisiva per capire quanto siano fondati i timori di ritardi nella preparazione dell'Expo di Milano, dopo lo scandalo nella società Infrastrutture Lombarde. Ieri il premier ne ha parlato a lungo con il ministro Maurizio Martina (Agricoltura) e con il commissario unico Giuseppe Sala. © Riproduzione riservata 23 marzo 2014 DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/23/news/renzi_gioca_la_carta_delle_riforme_venerd_il_via_all_abolizione_del_senato-81659484/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi: “Ora tutti mangino questa minestra o si salta dalla ... Inserito da: Admin - Giugno 21, 2014, 10:32:03 am Riforme, ecco l’accordo, addio al bicameralismo. Senato di regioni, meno sindaci
Renzi: “Ora tutti mangino questa minestra o si salta dalla finestra” Ok ai membri di nomina presidenziale. Il “nuovo” Italicum Di FRANCESCO BEI 19 giugno 2014 Addio al Senato, "la svolta" finalmente è arrivata. "Ognuno di noi dovrà rinunciare a qualcosa", ha chiarito Matteo Renzi a tutti gli interlocutori sondati anche attraverso il ministro Boschi. E, alla fine, anche sul punto più complicato, ovvero sulla composizione della nuova assemblea, la quadra è stata trovata. Tutti i tasselli stanno andando al loro posto e persino sull'Italicum il lavoro è ormai avanzatissimo, tanto da far ipotizzare a Renzi di vederlo approvato a palazzo Madama entro la pausa estiva. Ma intanto la riforma costituzionale. "L'accordo è vicino", conferma Giovanni Toti a denti stretti. Il nuovo Senato della Repubblica, disegnato dagli emendamenti messi a punto dai relatori Finocchiaro e Calderoli, recupera molte funzioni, pur perdendo quella fondamentale di poter dare o togliere la fiducia al governo. Insomma, non è più un "dopolavoro per sindaci", per dirla con Berlusconi. Ha competenza sulla legislazione regionale e su quella europea, co-elegge il presidente della Repubblica, il Csm e i giudici costituzionali, ma soprattutto recupera voce sulle leggi elettorali e su quelle costituzionali. Crescendo le funzioni, cambia anche la composizione. Renzi ha dovuto rinunciare al suo Senato dei sindaci. I primi cittadini saranno invece pochi, circondati da una stragrande maggioranza di consiglieri regionali-senatori. Il premier ha trattato partendo da 1/3 di sindaci e 2/3 di consiglieri regionali, ma alla fine Forza Italia è riuscita a strappare la quota simbolica di un sindaco per ogni regione (non sarà automaticamente il primo cittadino del capoluogo di regione, a Roma andrà invece un sindaco eletto dai suoi colleghi). Il cocktail finale è dunque più vicino a 1/4 di sindaci - una ventina - e 3/4 di rappresentanti regionali, un mix che rassicura il centrodestra, preoccupato di un'eccessiva rappresentanza del Pd nella Camera alta. Comunque nella notte si tratta ancora. Sono tornati ad esempio i senatori di nomina presidenziale scelti nella società civile, anche se non quanti ne avrebbe voluti il capo del governo. "Siamo all'ultimo, delicatissimo, miglio", si lascia sfuggire a tarda sera Debora Serracchiani. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli, e dopo averci lavorato così a lungo anche a palazzo Chigi qualche timore resta. "Sono abbastanza ottimista - ha detto Renzi ai suoi - ma con quelli là è sempre un'incognita". Certo, la conferenza stampa di Berlusconi ha confermato il premier nella sensazione di avercela fatta davvero. Che il leader di Forza Italia abbia presentato le sue proposte sul presidenzialismo non è stato considerato un ostacolo. A colpire di più è stata l'affermazione, ripetuta da Berlusconi, che l'accettazione del presidenzialismo non era "assolutamente" una conditio sine qua non per chiudere l'accordo sul Senato e sul Titolo V. Quanto al merito della proposta forzista, Renzi per il momento non ritiene di poterla accogliere: "Ora bisogna completare il percorso su cui c'è accordo. Per cui aprire la questione del presidenzialismo è inopportuno e intempestivo. Siamo a un passo dalla chiusura, inutile infilarci in un dibattito sul presidenzialismo". Più avanti si vedrà, non ci sono pregiudiziali. Se l'intesa c'è perché dunque non annunciarla subito? In realtà l'incontro di oggi tra Paolo Romani e Maria Elena Boschi - oltre ai ripetuti contatti di Denis Verdini con palazzo Chigi - servirà a stabilire con precisione come dovranno essere scelti i futuri senatori. Il problema su cui si stanno scervellando gli sherpa in sostanza è questo: visto che ogni regione ha una legge elettorale con un premio di maggioranza che schiaccia le minoranze, come garantire che le opposizioni siano rappresentate adeguatamente nel futuro Senato? La soluzione, suggerita da Roberto Calderoli, sta nel "voto limitato". Ovvero i consiglieri regionali avranno una scheda con un numero di opzioni inferiore al numero dei senatori da mandare a Roma. In questo modo, giocoforza, anche le opposizioni potranno avere i loro rappresentanti ponderati sul voto reale preso in regione. Al di là dei tecnicismi, quello che conta è che Renzi è convinto di aver strappato l'intesa solo dopo aver mostrato i muscoli. Non solo il sorprendente risultato elettorale, ma anche "la determinazione che abbiamo avuto con i casi Mauro e Mineo" hanno fatto la differenza. Da ultimo, per blindare l'accordo, Renzi ha voluto chiamare a sé tutto il Pd. È successo la sera di martedì, quando a palazzo Chigi il premier ha siglato quello che, scherzando, definisce "un patto di sangue dentro il partito". Assicurate le retrovie, è potuto andare avanti. Tenendo per sé la regia della trattativa finale. "Con Calderoli abbiamo fatto un gran lavoro - racconta la presidente Anna Finocchiaro - e siamo pronti a presentare i nostri emendamenti. Abbiamo registrato l'apprezzamento di tutti. Ora aspettiamo che Renzi sciolga gli ultimi nodi politici e poi li depositiamo in commissione". L'intenzione del premier è arrivare all'approvazione del pacchetto più presto che mai. "A questo punto prendere o lasciare, o mangiano questa minestra o si buttano dalla finestra...". Per palazzo Chigi il nuovo traguardo è arrivare al voto finale in commissione entro il 2 luglio, ovvero prima che Renzi si presenti a Bruxelles avviare il semestre italiano di presidenza. "Andare lì con la riforma approvata - ha spiegato il premier durante il vertice con i dem - per me cambia molto. Quando vado in Europa a dire che abbiamo cancellato le province e che supereremo il bicameralismo, rimangono tutti a bocca aperta. Questa partita in casa ci consentirà di vincere anche la partita in Europa". Del pacchetto fa parte anche l'Italicum, che il capo del governo vorrebbe vedere approvato dal Senato "entro la pausa estiva". L'intesa anche su questo sarebbe molto avanti, con alcune significative correzioni: soglie di sbarramento portate al 4% sia per chi si coalizza che per chi resta fuori; soglia alzata al 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza. Ma la vera novità sarebbe il superamento delle liste bloccate con l'introduzione delle preferenze o dei collegi. Su questo però si tratta ancora. © Riproduzione riservata 19 giugno 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/19/news/riforme_ecco_laccordo_addio_al_bicameralismo_senato_di_regioni_meno_sindaci-89385754/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_19-06-2014 Titolo: FRANCESCO BEI e VALENTINA CONTE. Pil, Renzi accusa il colpo ma reagisce: ... Inserito da: Admin - Agosto 09, 2014, 05:59:47 pm Pil, Renzi accusa il colpo ma reagisce: "Dobbiamo accelerare le riforme". E pensa ad un pressing sull'Europa
Il premier scrive alla maggioranza: "Possiamo farcela, dipende solo da noi". Il sottosegretario al Tesoro, Baretta: "Plausibile allentare i vincoli della Ue" di FRANCESCO BEI e VALENTINA CONTE ROMA - Consolidare quanto messo in campo. Portare a casa le riforme avviate. Difendere e sostenere un'agenda che non cambia. Ma accelerare i tempi. Nel giorno in cui l'Italia ripiomba nella terza recessione in cinque anni, il governo incassa il colpo e tira dritto. "Me lo aspettavo e quindi non sono sorpreso", fa sapere Renzi a chi gli chiede conto di quel segno meno davanti al Pil. "Si tratta di un dato negativo, lo so. Ma se si legge la curva trimestrale si vede che a giugno crescono sia i consumi che la produzione industriale. Anche il dato diffuso ieri da Confcommercio fa capire che i consumi salgono di oltre un punto e mezzo rispetto al dato precedente. Poi certo, so che così comunque non va bene". Per parare il colpo, anche dal punto di vista della comunicazione, il premier pubblica la lettera ai parlamentari della maggioranza, un documento programmatico (concordato due giorni fa con Padoan) per ricordare le dieci priorità dei "Millegiorni". E per dire che si va "avanti con maggiore decisione", ora che il Pil è di nuovo sotto zero. Non si drammatizza neanche in via Venti Settembre. Ma l'aria che tira nel ministero dell'Economia è di alzare d'ora in avanti la soglia di attenzione e vigilanza su tutti "quei rivoli di spesa fuori controllo" che potrebbero compromettere un rapporto tra deficit e Pil già proiettato verso il tetto invalicabile del 3%. Tutti però - da Palazzo Chigi ai tecnici del Tesoro - escludono con certezza una manovrina extra per aggiustare i conti e soprattutto confermano il bonus. "La ricetta sono le riforme: istituzionali, lavoro, giustizia. Non serve una manovra, ma le riforme. Dobbiamo smentire il Financial Times". Il quotidiano britannico - che ieri ha messo subito in homepage la notizia del ritorno italiano in recessione - insiste nel citare le critiche secondo cui Renzi avrebbe scelto la via di alcune facili riforme "da mettere in vetrina, come quella del Senato, non riuscendo a realizzare cambiamenti fondamentali nel mercato del lavoro e nella burocrazia". Renzi e Padoan, al contrario, ritengono essenziale partire dalle "radici" per cambiare il Paese. E le radici sono proprio "le riforme di sistema", quelle che "i mercati si attendono". Dunque riforma costituzionale ed elettorale. Alle quali sommare gli impegni in politica estera, la sfida educativa (riforma di scuola, cultura e Rai), la spending review. E ancora: riforma del lavoro, della pubblica amministrazione, del fisco, della giustizia. E lo Sblocca-Italia per far ripartire i cantieri. Queste le dieci priorità dei Millegiorni. Questi gli obiettivi del governo Renzi da qui al 2017, messi ieri nero su bianco nella lettera ai parlamentari. Dunque istituzioni ed economia in parallelo. Anche se Palazzo Chigi nega un patto del Nazareno "economico" siglato con Berlusconi. La disponibilità dell'ex Cavaliere si limiterà alle riforme istituzionali, con la maggioranza autonoma su fisco e conti pubblici. "Non abbiamo più alibi, ora si corre", ripetono i consiglieri economici del premier. "D'altro canto, gli effetti delle riforme non si possono vedere subito. Germania e Spagna hanno atteso due anni". Certo, di politiche espansive per tirare su la crescita nessuno parla. Fare spesa in deficit è impossibile, in questo contesto. Ma dietro le quinte trapela l'ultima battaglia, l'unica davvero utile per assicurare risorse extra e rilanciare gli investimenti: quella europea. Se l'alleato di maggioranza, il Nuovo centrodestra di Alfano, tira fuori dal cilindro l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come risposta al Pil negativo, Renzi e Padoan puntano invece a chiedere a Bruxelles lo scorporo del cofinanziamento dei fondi europei dal Patto di stabilità. Soldi freschi che non graverebbero sul deficit già gonfio e che potrebbero essere messi sui progetti in cantiere. Se ne parlerà da settembre in poi, quando l'Italia - tra Ecofin e altri appuntamenti - avrà il pallino di presidente di turno del semestre. "Continueremo la battaglia europea, senz'altro è prioritaria, confidando nel fatto che il momento è difficile per tutti e un allentamento dei vincoli pare plausibile", conferma il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta. Fare in fretta. Superare il blocco di sfiducia che corre nel Paese. Questo nel frattempo l'obiettivo dell'esecutivo. Senza drammatizzare, ma accelerando. Perché Renzi è convinto che "l'Italia ha tutto per farcela e per uscire dalla crisi". Se non cambia però "sarà sempre negativa". E non solo nel Pil. © Riproduzione riservata 07 agosto 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/07/news/renzi_pil_riforme-93293061/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Delrio: "Pensioni, nessun prelievo e gli 80 euro resteranno. Inserito da: Admin - Agosto 23, 2014, 05:48:59 pm Delrio: "Pensioni, nessun prelievo e gli 80 euro resteranno. La Ue torni a investire"
Il sottosegretario di Palazzo Chigi smentisce anche l'ipotesi di una patrimoniale: "Qualcuno ha preso un colpo di sole". La manovra? "Si parte dai 16 miliardi della spending review" di FRANCESCO BEI 22 agosto 2014 "l'Italia ce la farà". Graziano Delrio, braccio destro di Renzi, non ha dubbi. E intanto smentisce i tre incubi dell'estate: patrimoniale, contributo sulle pensioni e blocco dei contratti. "Ma l'Europa deve abbandonare la paura e tornare a essere un luogo di speranza e di investimenti". Nessuno screzio con Renzi. "L'unico nostro problema è che lavoriamo troppo". E Forza Italia resterà fuori dal governo, perché "le responsabilità devono essere chiare". (...) Difficile essere ottimisti se nel governo è ripartito il carosello di dichiarazioni intorno al prelievo sulle pensioni. Ci sarà si o no? "A palazzo Chigi non abbiamo nessuna proposta in questo senso. E siccome decide palazzo Chigi, cioè Renzi, escludo in maniera categorica che ci saranno interventi sulle pensioni". L'altra ipotesi che fa capolino, per trovare i soldi necessari a rilanciare gli investimenti, è quella di una patrimoniale. Esclude anche questa? "Benché quest'estate il sole non si sia fatto vedere troppo, qualcuno deve aver comunque preso un colpo di calore. La filosofia di questo governo non è mettere nuove tasse, semmai rimettere qualcosa nelle tasche degli italiani. In sei mesi abbiamo dato 80 euro a 11 milioni di italiani, abbiamo ridotto l'Irap del 10 per cento, la bolletta energetica per le imprese e i contributi Inail per oltre un miliardo. Noi siamo quelli che levano le tasse, non quelli che le mettono". (...) Intanto sarebbe bello sapere se il governo darà seguito alla promessa di Renzi di estendere il bonus di 80 euro... "Noi siamo il governo dei fatti, quelli che mantengono le promesse. Avevamo detto che l'avremmo esteso non appena fosse stato possibile. Ora purtroppo siamo in presenza di una congiuntura negativa che nessuno - Ocse, Ue, Bce - aveva previsto". LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O REPUBBLICA+ Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/22/news/delrio_pensioni_nessun_prelievo_e_gli_80_euro_resteranno_la_ue_torni_a_investire-94245469/?ref=HRER3-1 Titolo: FRANCESCO BEI. I diritti degli omosessuali parificati a quelli del matrimonio... Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2014, 11:23:21 pm Unioni civili, il piano di Renzi: riconosciute solo le coppie gay, adozioni per i genitori biologici
Ecco il disegno di legge del governo. Intesa nella maggioranza. Il premier: "Faremo le civil partnership come in Germania". I diritti degli omosessuali parificati a quelli del matrimonio classico ad eccezione dell'adozione Di FRANCESCO BEI 15 ottobre 2014 ROMA - Unioni civili. Si chiameranno così i nuovi "matrimoni gay" che il governo si appresta a presentare tra pochi giorni. Un disegno di legge copiato nei suoi aspetti essenziali dal modello in vigore in Germania fin dal 2001 - "Eingetragene Lebensgemeinschaft" - molto simile al matrimonio tranne che per due aspetti essenziali: non si chiama matrimonio e non si possono adottare bambini esterni alla coppia. Tutto è pronto. Matteo Renzi ha chiesto ad Antonella Manzione, capo dell'ufficio legislativo di palazzo Chigi, di preparare un testo da portare al Consiglio dei ministri entro la fine del mese. Dopo anni di tira-e-molla su Pacs, Dico e DiDoRe, stavolta sembra quella buona. "Ai vescovi - ha confidato il premier nei giorni scorsi - già l'ho detto. Si mettano l'anima in pace". Ai primi di settembre, all'ambasciata italiana presso la Santa sede, ai piedi dei Parioli, Renzi incontrò il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il segretario del Sinodo Lorenzo Baldisseri e il presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco. E durante il pranzo annunciò la novità in arrivo, senza incontrare opposizioni. Del resto Papa Bergoglio stava già preparando la rivoluzione del Sinodo, dove l'apertura ai gay è risultata il piatto forte dell'assemblea. L'ultimo ostacolo, quello interno alla maggioranza rappresentato dai teocon del Nuovo centrodestra, è stato superato nel week-end. Lavorando alla legge di Stabilità Renzi e il braccio destro Yoram Gutgeld hanno infatti "trovato" mezzo miliardo da destinare agli sgravi fiscali per aiutare le famiglie numerose. Una sorta di quoziente famigliare, da sempre cavallo di battaglia dell'Ncd. Così si è consumato questa sorta di patto tra Matteo e Angelino. Una pace siglata dopo le polemiche che hanno coinvolto Alfano per lo stop imposto ai sindaci che stavano avanzando per conto proprio trascrivendo i matrimoni gay nei registri comunali. "Serve una legge", è stato il refrain comune. In cambio dell'assenso alle unioni civili, Alfano potrà sbandierare i soldi alle famiglie tradizionali con molti figli. E così ognuno avrà ottenuto qualcosa. Dietro questa svolta in realtà c'è una preparazione che va avanti almeno da due anni. "Stiamo lavorando a questo schema fin dalla Leopolda del 2012 - spiega il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto - e ormai i tempi sono maturi. Persino il sinodo dei vescovi riconosce la validità del rapporto omosessuale, lo Stato italiano è l'ultimo in Europa a non aver normato le unioni tra persone dello stesso sesso". Anche la Corte costituzionale del resto, fin dal 2010, aveva messo in mora il Parlamento chiedendo di chiudere questo buco dell'ordinamento. La filosofia del governo è chiara: "Stiamo modernizzando l'Italia - insiste Scalfarotto - e questo processo di estende al lavoro, all'economia, ma anche ai diritti civili. Capisco che per l'Ncd può essere doloroso, ma anche noi nel Pd stiamo subendo un forte travaglio identitario per l'articolo 18. Dobbiamo tutti rinunciare a qualcosa per andare avanti". L'aspetto più delicato, sul quale anche i vescovi hanno chiesto a Renzi cautela, è quello che riguarda i figli. Il punto di mediazione è che l'adozione del bambino sarà possibile solo se uno dei due genitori è quello biologico. Un partner potrà adottare il figlio naturale dell'altro. Nessun affidamento insomma di bambini esterni alla coppia. Per il resto, i diritti (e doveri) saranno quelli del matrimonio tradizionale, reversibilità della pensione, diritto alla successione in caso di morte e possibilità di assistenza negli ospedali e nelle carceri, partecipazione ai bandi per le case popolari, sussidi fiscali. In Senato dunque si fermerà il cammino del disegno di legge Cirinnà, che già riunisce proposte molto simili, e arriverà il nuovo matrimonio alla tedesca. Il cammino parlamentare a questo punto si annuncia spedito. Se la resistenza del Nuovo centrodestra si limiterà al no di alcuni irriducibili come Giovanardi e Roccella, il governo potrà sicuramente contare sul voto favorevole di molti parlamentari dell'opposizione. "Io sono per il matrimonio tout-court - dice l'ex vendoliano Alessandro Zan - ma non c'è altro tempo da perdere. Iniziamo dalle unioni civili alla tedesca, purché si facciano subito". Sel è sulle stesse posizioni, anche dai cinque stelle ci si aspettano aperture. Ma è da Forza Italia, dopo la clamorosa apertura di Berlusconi (grazie a Francesca Pascale), che dovrebbero arrivare i consensi più larghi. "E pensare che noi eravamo il partito - scherza Gabriella Giammanco alla buvette - che con la Gardini impedì al deputato Luxuria di andare nella toilette delle donne!". Acqua passata, adesso la svolta "omo" del Cavaliere rimescola tutte le carte. Tanto che Renato Brunetta, il capogruppo, attacca Renzi da sinistra: "I miei DiDoRe sono del 2008. Non siamo noi che ci accodiamo, casomai è il governo che ci copia". © Riproduzione riservata 15 ottobre 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/15/news/unioni_civili_il_piano_di_renzi_riconosciute_solo_le_coppie_gay_adozioni_per_i_genitori_biologici-98134199/?ref=HRER1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. G20, Renzi in Australia per spingere sulla crescita Inserito da: Admin - Novembre 16, 2014, 06:03:48 pm G20, Renzi in Australia per spingere sulla crescita
Il premier per la prima volta al summit dei Grandi. L'uscita dalla recessione e la creazione di posti di lavoro al centro dell'incontro Dal nostro inviato FRANCESCO BEI 14 novembre 2014 BRISBANE - Chiuso l'accordo con la minoranza Pd sul Jobs Act, incassata la promessa di un'approvazione ultraveloce della delega lavoro, Renzi è atterrato in Australia per giocarsi la mano più importante sul grande tavolo internazionale: il vertice G20 di Brisbane. Un forum dove la maggioranza dei leader - per una volta è la Merkel a stare sulla scomoda poltrona degli accusati - spinge decisamente per interventi pro-crescita che possano far centrare l'obiettivo di un 2% di sviluppo. Lo stesso primo ministro Tony Abbot, ospite e presidente di turno di questo incontro "informale" dei venti grandi che assommano il 90 per cento del Pil mondiale, ha voluto mettere la creazione di posti di lavoro e la crescita al centro della discussione, relegando tutto il resto a margine. Persino il clima, da sempre nel menu di questi summit spesso ricchi di dichiarazioni e avari di fatti, stavolta è finito in fondo alla lista. Anzi, quando i giornali australiani hanno chiesto ad Abbot di commentare l'accordo "storico" tra Usa e Cina sul cambiamento climatico, il primo ministro ha risposto in maniera quasi sprezzante: "Non siamo qui per parlare di cose che forse accadranno tra 16 anni (il 2030 è la data concordata tra cinesi e americani per la riduzione delle emissioni ndr), ma per concentrarsi sui posti di lavoro e la crescita". Non a caso lo sherpa italiano Armando Varricchio, nei giorni scorsi spiegava che "l'agenda italiana e quella australiana coincidono perfettamente". E' proprio l'enfasi sulla crescita la chiave per capire quante aspettative Renzi nutra sui risultati del vertice australiano. Al suo debutto in un G20, il premier italiano ha l'occasione dimostrare che le sue priorità in Europa - occupazione e investimenti - coincidono di fatto con le ricette che tutti i grandi considerano prioritarie rispetto al mero conseguimento del pareggio di bilancio. L'Europa, ammonisce infatti il segretario americano al Tesoro, Jack Lew nel discorso preparato per il G20 "deve fare di più per evitare un decennio perduto". Una pressione, quella dei Grandi per la crescita, che può essere utile al premier italiano anche per rintuzzare le voci di una nuova richiesta di correzione della legge di Stabilità da parte della Commissione Ue. Ritratto su un giornale locale con muta da sub e una tavola da surf pronto a sfidare le onde, Renzi potrà cavalcare dunque un sentimento comune a quasi tutta la comunità economica, tranne appunto la Germania. E certamente aiuta il rapporto appena pubblicato dal Fondo monetario internazionale, alla vigilia del summit di Brisbane, in cui si ingiunge esplicitamente ai paesi con surplus di bilancio - in Europa non c'è nemmeno da chiedersi a chi si riferisca - di darsi da fare con investimenti pubblici e privati per smuovere la domanda. Poi, ovviamente, per influenzare la crescita conta molto altro. La situazione di grande caos geopolitico da est a ovest, dalla Libia alla Siria fino all'Ucraina non aiuta di certo. Oggi Renzi ne discuterà in un faccia a faccia a pranzo con Putin in una suite dell'hotel Hilton. C'è poi la questione della corruzione (altro freno alla crescita), un tema nell'agenda del G20 e proprio l'Italia in questi mesi ha co-presieduto il gruppo di lavoro anticorruzione. Infine gli investimenti. Alla sua prima apparizione internazionale dopo la nomina, il presidente della commissione Ue Junker sarà chiamato a esporre il suo programma per i famosi 300 miliardi di investimenti europei sui quali si è impegnato. Renzi lo starà ad ascoltare attentamente. Roma ha evitato di mettere Junker in imbarazzo sull'affare Luxleaks, lo scandalo che lo ha lambito in quanto ex primo ministro lussemburghese. E il G20 rischia di essere per Junker un palcoscenico ancora più scivoloso visto che tra i punti principali in discussione c'è proprio la lotta ai paradisi fiscali (un pallino di Abbot) e il contrasto all'elusione delle grandi multinazionali. Ma il sostegno di Renzi e degli altri leader Pse ha una contropartita, quella degli investimenti europei. E su questo che il presidente della Commissione sarà giudicato. La visita australiana, oltre al bilaterale già fissato con Putin, prevede un altro faccia a faccia importante. Quello con il primo ministro indiano Narendra Modi. Tra poche settimane è previsto infatti il rientro in India di uno di due fucilieri del San Marco, Massimiliano Latorre (in Italia per curarsi) e il governo italiano spera di sbloccare la trattativa con la nuova leadership di Delhi. Per Renzi sarebbe la notizia più bella da riportare a casa. Si comincia subito, mentre in Italia è notte. Oltre all'incontro con Putin ne è previsto un altro con la presidente brasiliana rieletta Dilma Rousseff e con il segretario generale dell'Ocse, il messicano Angel Gurria. © Riproduzione riservata 14 novembre 2014 DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/11/14/news/renzi_australia-100593681/?ref=HREC1- Titolo: FRANCESCO BEI. sul Colle: "È un ruolo tutto politico, serve un nuovo Pertini" Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2015, 11:36:49 am L’identikit di Palazzo Chigi per l’accordo sul Colle: "È un ruolo tutto politico, serve un nuovo Pertini"
Meno chance per i tecnici, frecciate a D’Alema e Fitto: "Ostruzionismo sull’Italicum? Siamo esperti di canguri" di FRANCESCO BEI 30 dicembre 2014 ROMA - Non è dato sapere se l'ottimismo gli derivi dai segnali riservati in arrivo dai Cinque Stelle o dal dialogo mai interrotto con Berlusconi. Fatto sta che Renzi è convinto di poter portare a casa un capo dello Stato con una maggioranza larghissima, che metta insieme potenzialmente "Grillo e Berlusconi". O comunque che renda molto difficile a entrambi sottrarsi all'investitura comune. Nei pochi indizi disseminati ieri nella conferenza stampa di fine anno, il premier in fondo ha lasciato trasparire quale sia il suo "sogno", il risultato che lo legittimerebbe come king maker di un presidente della Repubblica "attorno al quale si coaguli la maggioranza prevista dalla Costituzione e l'affetto di tutti gli italiani". Nemmeno nelle conversazioni con i suoi Renzi si lascia mai sfuggire un nome, semmai un identikit di una figura altamente condivisa. "Servirebbe, in questo momento di crisi, un nuovo Pertini", l'hanno sentito dire. Un profilo ambizioso, che porterebbe a escludere figure tecniche e pure politici di primo piano del presente o del recente passato. "E' evidente - ha ribadito ieri nell'auletta dei gruppi davanti a un centinaio di giornalisti - che il Presidente della Repubblica deve assolvere a funzioni tipicamente politiche con la "P" maiuscola". Un passaggio che, riferiscono i suoi, sarebbe sbagliato interpretare come una stroncatura preventiva di un Padoan o di un altro tecnico. E tuttavia una prima scrematura sembra sia stata compiuta. Nessun problema di franchi tiratori, al momento opportuno, cioè dal quarto scrutinio, Renzi è certo che non mancherà la maggioranza assoluta. "Ci sono i numeri per eleggere il Presidente della Repubblica se e quando avverrà il passaggio necessario". E sbaglia quindi il dem Ugo Sposetti che aveva paventato un raddoppio di franchi tiratori, fino a 200, rispetto ai 101 che impallinarono Prodi. "Non la penso come lui", taglia corto il premier. Poi, nella conferenza stampa, si chiude a riccio, non vuole partecipare "al giochino dell'Indovina Chi?". Eppure un paio di sassolini non rinuncia a toglierseli. Uno contro la minoranza interna che lo critica per il rapporto preferenziale con Berlusconi. Facendo la storia delle varie elezioni al Colle, Renzi perfidamente ricorda che proprio Massimo D'Alema "era stato candidato dal direttore del Foglio, direttore di un giornale di proprietà della famiglia Berlusconi. Quella proposta non passò e alla fine il centrosinistra scelse Napolitano". Vale a dire nessuno è vergine rispetto al rapporto con il Caimano. E' quindi "del tutto fisiologico che Fi possa stare (senza diritto di veto che non ha nessuno, neanche il Pd) al tavolo per l'elezione del Presidente della Repubblica con il suo capo Berlusconi, che non voto io ma qualche milione di italiani". L'altra frecciatina la scaglia contro Raffaele Fitto e i vari ribelli di Forza Italia ostili al patto del Nazareno. A tutti loro il premier ricorda un'ovvietà, ovvero che "se qualcuno pensa che possa esistere Forza Italia senza Berlusconi, auguri. E' una valutazione che nemmeno ai teorici del girotondismo più puro può venire in mente". Il gancio gli consente di passare al tema dell'Italicum e anche qui si registrano un paio di novità. Prima di tutto la chiusura netta a qualsiasi ipotesi di rimettere in discussione i 100 capilista bloccati, come gli chiede la minoranza dem. L'Italicum di fatto è "un Mattarellum con preferenze". Mostrando un fac-simile di come potrà essere la scheda una volta approvata la nuova legge elettorale, il premier ha negato che ci possa essere problemi di costituzionalità della legge. Chiudendo quindi all'altra richiesta della minoranza di sottoporre l'Italicum in via preventiva al giudizio della Corte: "Il candidato di quel collegio lì è chiaramente riconoscibile in più c'è lo spazio per mettere due preferenze, un uomo e una donna. Io lo trovo un meccanismo di una semplicità impressionante". Nessun timore per le migliaia di emendamenti annunciati dal leghista Roberto Calderoli: "Siamo grandi esperti di canguri", dice ricordando la tecnica di saltare a piè pari emendamenti simili. Nessuna contrarietà "alla clausola di salvaguardia sui tempi di entrata in vigore" della nuova legge elettorale, "però arriva alla fine". © Riproduzione riservata 30 dicembre 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/30/news/lidentikit_di_palazzo_chigi_per_laccordo_sul_colle_un_ruolo_tutto_politico_serve_un_nuovo_pertini-103983517/?ref=HRER2-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza... Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2015, 04:01:26 pm Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza dem: "Serve un presidente per le riforme"
L'area dei fedelissimi di Renzi considera una "provocazione" la proposta dell'ex leader. "Due identikit si possono di sicuro scartare, quello dello 'scendiletto' e quello del 'giustiziere'" di FRANCESCO BEI 09 gennaio 2015 ROMA - "Uno come Napolitano", un capo dello Stato autorevole in Italia e all'estero, che spiani le montagne di fronte al governo. "Un presidente per le riforme", è l'identikit che Renzi ha iniziato a far uscire nei suoi colloqui. Che si ponga in continuità con il mandato del predecessore e aiuti la maggioranza a completare il percorso riformatore appena iniziato. Una pista che può portare a diversi nomi con cui il premier intende comporre la sua rosa. Da ieri tuttavia uno dei petali, quello di Romano Prodi, agli occhi dei renziani appare un po' più appassito. Dopo l'uscita di Pierluigi Bersani le quotazioni del fondatore dell'Ulivo appaiono infatti in drammatica discesa. Scandagliando gli umori dei democratici più vicini al capo del governo non è difficile veder affiorare un grumo di risentimento e di sospetto per una candidatura subita come una "provocazione". Dai Civati a Vendola, da Bindi a Bersani, tutti i principali sponsor del Professore in Parlamento appaiono oggi sul fronte degli oppositori del segretario Pd. Per questo un renziano della prima ora si spinge a definire l'endorsement di Bersani a Prodi come "il bacio della morte", l'affossamento definitivo di un nome gettato nella mischia in palese contrapposizione al patto del Nazareno. "Due identikit - spiega infatti uno degli esponenti del giglio magico - al momento si possono tranquillamente scartare. Uno è quello di un presidente-scendiletto, perché non passerebbe mai. E l'altro è quello di un presidente-giustiziere, che abbia come prima missione quella di opporsi a Renzi". E di certo non aiuta il fatto che, nel novero dei sostenitori occulti di Prodi, figurino a torto o a ragione anche tutti i nemici del Nazareno annidati in Forza Italia, da Minzolini a Fitto. A questo punto poco importa capire la ragione vera per cui Bersani, di certo non uno sprovveduto, abbia rilanciato con tanto candore il nome di Prodi sul proscenio. L'ex segretario del Pd, in Transatlantico ieri giurava che non ci fossero secondi fini: "Io sulla storia di Prodi sono andato a casa, cosa volete che dica se mi chiedono un parere? È ovvio che per me bisogna ripartire da lì". Ma in questa fase anche le intenzioni più genuine rischiano di ingenerare dubbi, retropensieri e fuochi preventivi di sbarramento. In ogni caso, più che quello che rivela sul grado di apprezzamento di Prodi, l'uscita di Bersani è importante come segnale dello stato dei rapporti interni al Pd. Tornati al grado zero nonostante i tentativi di distensione delle scorse settimane. A sentire la minoranza bersaniana allo stato infatti manca qualunque presupposto per un accordo che tenga unito il Partito democratico. A pochi giorni dalle dimissioni di Napolitano, i gruppi dem sono infatti percorsi da una tensione sempre più forte. Emblematico il caso di Massimo Mucchetti, arrivato ieri a pretendere che il premier riferisca in aula sull'incidente del "salva-Silvio", tra gli applausi dei grillini e l'imbarazzo dei colleghi dem come Giorgio Tonini. Per non parlare del muro contro muro sulle riforme. Dall'assemblea dei deputati di due giorni fa non è emersa infatti alcuna disponibilità di Renzi a inserire nella riforma costituzionale le proposte di modifica della minoranza. A partire dal controllo preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale. Anche sull'Italicum i margini per rimettere in discussione i capilista bloccati e le pluricandidature sono prossimi allo zero. "Non è accettabile, dopo anni di Porcellum, che oltre il 60 per cento degli eletti sia composto da nominati", insiste il senatore dem Vannino Chiti. Il cammino della legge elettorale, così intrecciato al calendario del Quirinale, ieri ha subito una battuta d'arresto: si ricomincerà a discutere in aula da martedì, sperando che il fine settimana possa portare a un'intesa. Appare chiaro comunque che la sponda su cui conta il capo del governo resta quella di Forza Italia. E proprio per rassicurare Berlusconi e i forzisti sul rispetto degli accordi sulla clausola di garanzia, quella che dovrebbe rinviare al 2016 l'entrata in vigore della legge elettorale, nella serata di ieri si è fatta strada una soluzione a prova di bomba. Si sta trattando su un emendamento congiunto, firmato dai capigruppo della maggioranza "allargata", per mettere nero su bianco la clausola di garanzia. Un emendamento che avrebbe la benedizione ufficiale del governo. Contro questa ipotesi si sono scagliati ieri i ribelli forzisti ostili al patto con Renzi. E sono volate parole grosse tra il capogruppo Paolo Romani e alcuni dei firmatari degli emendamenti azzurri. "Voi - ha ingiunto Romani - dovete ritirare tutti gli emendamenti all'Italicum. Così il governo darà via libera alla clausola di garanzia". "Niente affatto", gli hanno risposto i ribelli, "prima si vota la clausola di garanzia e poi, forse, ci pensiamo ". Si parla di 1600 emendamenti solo di parte forzista, firmati da Minzolini e dall'area fittiana. Mentre si avvicinano il 15 gennaio e le dimissioni di Napolitano, la battaglia continua. © Riproduzione riservata 09 gennaio 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/09/news/renzi_frena_il_toto-colle_e_bacchetta_la_minoranza_dem_serve_un_presidente_per_le_riforme-104572859/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-01-2015 Titolo: F. BEI.Quirinale, Renzi telefona a Berlusconi: "Urne se no a Mattarella, ... Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2015, 04:38:38 pm Quirinale, Renzi telefona a Berlusconi: "Urne se no a Mattarella, riforme anche da soli"
Pressione del premier sull'ex Cavaliere per cercare di convincere Forza Italia a votare il giudice costituzionale. Il leader Fi: "Ci avevi promesso Amato e non hai rispettato il patto" Di FRANCESCO BEI 30 gennaio 2015 ROMA -Stavolta nessun incontro. Per sancire lo strappo basta una telefonata. A mezzogiorno Renzi consulta Berlusconi per l'ultima volta. Il leader di Forza Italia parte in quarta chiedendo al premier di fare marcia indietro. "Vi abbiamo concesso il ballottaggio sulla legge elettorale e anche il premio di lista. Ora ci aspettiamo un uguale ascolto da parte vostra sul Quirinale". Ma per Renzi il piano del Nazareno, quello delle riforme, deve restare separato dal Colle. Inoltre, ricorda Renzi, "nella legge elettorale ci sono cose che piacciono anche a voi: proprio il premio di maggioranza alla lista sei stato tu il primo a suggerirlo. Tutta la filosofia dell'Italicum è in linea con quello che hai sempre detto". Berlusconi, da buon venditore, cambia argomento e riattacca sul Quirinale: "Ci avevi promesso Amato e non hai rispettato il patto". "Non è vero - replica il segretario Pd - tu pensavi di impormi il vostro candidato, ma io non ti ho mai promesso niente". Il colloquio, riferiscono i presenti, si fa sempre più teso. I toni si accendono. È Berlusconi, amareggiato per essere finito con le spalle al muro, ad alzare il tiro. "Se voi andate avanti su Mattarella, per quanto mi riguarda tutti gli accordi sono definitivamente messi in discussione". È la minaccia più grave, quella di far saltare il patto del Nazareno e sfilarsi dal sostegno alla riforma elettorale e quella costituzionale. Sulla carta la maggioranza ci sarebbe ancora, ma il segretario sarebbe esposto a qualsiasi ricatto della minoranza interna al Pd. È un'arma finale e Renzi risponde rilanciando a modo suo. Con una minaccia altrettanto forte: "Va bene, fai pure. Per me non è un problema, io vado avanti anche senza di te". Che sia un bluff, uno sfogo o una mossa calcolata, di certo sortisce qualche effetto. Perché l'ex Cavaliere torna alla fine colomba e si lascia uno spiraglio d'uscita: "Non c'è bisogno di rompere, aspetta. rivediamoci appena torno a Roma la prossima settimana. Noi voteremo bianca anche al quarto scrutinio". Un segnale, quello della scheda bianca su Mattarella, che serve a lanciare un ponte verso l'altra sponda. Senza contare che offre (a differenza dell'uscita dall'aula) la possibilità di far giungere sottobanco alcuni voti forzisti al nuovo presidente se dovessero eventualmente mancare. Che il clima possa cambiare lo fa capire anche Matteo Orfini. A sera, in Transatlantico, confida infatti che il Pd "chiederà al centrodestra un supplemento di riflessione " su Mattarella. Francesco Bonifazi, renziano di ferro e tesorie- re Pd, conferma: "Possiamo tendere loro una mano per farli rientrare con dignità". Alla fine di una giornata in cui il Pd sembra finalmente pacificato, è quasi di tempo di bilanci. Anche se, a palazzo Chigi, Renzi si mantiene prudente. Forse per scaramanzia, pur dichiarandosi "ottimista", con i suoi ammette che "l'elezione non è ancora in cassaforte". Certo, il Pd stavolta sembra "serio e convinto", ma che qualcuno ne approfitti per consumare le proprie vendette lo dà per scontato: "I franchi tiratori ci saranno, ma in una quota fisiologica. Non più di 40-45 e, anche senza Ncd, dovremo stare sui 530-550 voti al quarto scrutinio". Grazie forse a qualche apporto grillino e dall'Ncd. Per Renzi resterebbe un obiettivo ragguardevole quello di aver "dimezzato i franchi tiratori del 2013". Qualcosa, sotto la superficie piatta dell'unanimità, per la verità già emerge. Tra i bersaniani si raccolgono sospetti contro i turchi che "non voteranno Mattarella perché speravano in Amato ". I turchi replicano che saranno semmai i seguaci di Bersani a smarcarsi da Mattarella "perché scontenti rispetto alla decisione del loro stesso leader di non aver fatto a Renzi il nome della Finocchiaro". Insomma, Renzi per primo sa bene che il fuoco cova ancora sotto la cenere. Anche per questo ci tiene a far circolare un monito preciso. "Dio non voglia, se non passasse Mattarella sarebbe un bruttissimo segnale per il governo... e anche per la legislatura". Anche per questo ieri mattina ha voluto incontrare il magistrato anticorruzione Raffaele Cantone, per far capire a tutti che un Presidente della Repubblica sarebbe comunque eletto. Magari con i voti dei cinque stelle. Ma a quel punto senza garanzie per nessuno. Un pratico Davide Zoggia, bersaniano di ferro, ieri alla buvette spiegava ad alcuni giovani deputati un dato di fatto elementare: "Mattarella non scioglie le Camere, Cantone sì. Regolatevi". Resta il problema del rapporto nel governo con Angelino Alfano. Il leader Ncd ha iniziato a piantare un seme dentro Forza Italia in vista delle prossime elezioni, in mancanza di qualsiasi segnale di apertura da Renzi. Ma il premier, con i suoi, ribalta il ragionamento: "Possiamo anche ragionare insieme sulla prospettiva politica da qui al 20018, ma che senso ha rompere sul presidente della Repubblica? Alfano mi ha fatto due nomi, era un prendere o lasciare, non potevamo accettare ". Convinto che "Angelino " si chiami fuori "in un passaggio storico" e solo per "mettersi in scia di Berlusconi", Renzi pone un'altra domanda: "Non voteranno Mattarella per un fatto di principio. Bene. Ma se Mattarella non passa, Angelino che fa?". © Riproduzione riservata 30 gennaio 2015 Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/01/30/news/matteo_telefona_a_silvio_le_urne_se_salta_lui_riforme_anche_da_soli-106107683/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Rai, il piano Renzi: al vertice manager nominato dal governo,... Inserito da: Admin - Marzo 09, 2015, 10:34:22 pm Rai, il piano Renzi: al vertice manager nominato dal governo, alle Camere solo il controllo
La riforma / Il disegno di legge sarà presentato al prossimo Consiglio dei ministri per un confronto preliminare. Il via libera ci sarà dopo una consultazione degli esperti Di FRANCESCO BEI 09 marzo 2015 ROMA - Il cavallo di viale Mazzini avrà tra poco in groppa un solo cavaliere. Un vero amministratore delegato, con poteri ampi, come in qualunque azienda privata. "Modello codice civile", spiegano nel governo. E nominato direttamente dall'esecutivo. È questa la principale innovazione della governance Rai immaginata da Renzi per superare la legge Gasparri. Un modello che porta a rottamare l'attuale gestione mista Cda-direttore generale, nel tentativo di allontanare i partiti dall'amministrazione diretta dell'azienda. Ma che, accentrando in capo al governo la scelta dell'amministratore unico, non mancherà di sollevare polemiche. L'ARTICOLO INTEGRALE IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+ I PUNTI 1. In settimana al Consiglio dei ministri arriveranno le linee guida della riforma della Rai. Sarà un disegno di legge governativo, non un decreto. Se dovesse servire non è esclusa una proroga dell'attuale vertice di viale Mazzini, che altrimenti scadrebbe entro giugno 2. Come per la buona scuola, sul progetto di riforma della Rai ci sarà una consultazione ristretta con i pareri di 30 esperti. Gli aspetti su cui riflettere riguardano soprattutto la governance di viale Mazzini, rivoluzionata a partire dal numero dei membri del consiglio di amministrazione che passeranno da 9 a 5. 3.Con la riforma scende il sipario sulla figura del direttore generale (oggi Luigi Gubitosi). L'azienda di Viale Mazzini sarà guidata da un amministratore delegato, con tutti i poteri dell'ad di una società privata. Fine della cogestione con il Consiglio di amministrazione. 4. Nel progetto del governo la commissione parlamentare di Vigilanza Rai resterebbe come organo di controllo, ma non avrebbe più il compito di nominare i membri del consiglio di amministrazione come avviene oggi. 5. Una delle ipotesi è la nascita di un consiglio di sorveglianza cui sarebbe demandata la nomina degli esponenti del consiglio di amministrazione Rai. Ma non è escluso che la scelta venga lasciato al Parlamento riunito in seduta comune come avviene per l’elezione dei giudici del Csm e della Consulta. 6. Il canone sarà dimezzato, 65 euro al posto dei 113,5 di oggi. È la tassa più evasa al Sud, con picchi per esempio in Campania. Da qui la decisione di abbinarlo alla bolletta dell’energia elettrica e il pagamento sarà richiesto per ciascuna utenza, a prescindere dal denunciato possesso o meno di una tv. © Riproduzione riservata 09 marzo 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/09/news/rai_ecco_il_piano_di_renzi_un_manager_al_vertice_nominato_dal_governo_alle_camere_solo_il_controllo-109090517/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Governo, ecco il rimpasto: Delrio alle Infrastrutture. Inserito da: Admin - Aprile 04, 2015, 11:33:24 am Governo, ecco il rimpasto: Delrio alle Infrastrutture. Braccio di ferro Renzi-Alfano, una donna agli Affari regionali
L’attuale sottosegretario sostituirà Lupi. Al suo posto corsa tra Lotti e Richetti. Tra oggi e domani le nomine Di FRANCESCO BEI 01 aprile 2015 ROMA - Sarà oggi o al massimo domani, ma il ministro delle Infrastrutture, quello che prenderà il posto di Maurizio Lupi, c'è già: sarà Graziano Delrio, attuale sottosegretario a palazzo Chigi. Matteo Renzi ha deciso di accelerare, di chiudere questa partita piazzando a Porta Pia un fedelissimo per rimettere ordine in una struttura che sembra andata fuori controllo. Ma qui finiscono le certezze. Nemmeno un vertice pomeridiano tra il premier e Angelino Alfano (presente anche Maurizio Lupi) è bastato per sciogliere il nodo politico della faccenda. Ovvero, quale sarà la compensazione per i centristi? Renzi e Alfano un'intesa non l'hanno ancora trovata. "Noi - ha detto il ministro dell'Interno al premier - ti proponiamo Quagliariello per un ministero del Sud. Un nuovo ministero che metta insieme gli Affari regionali e la delega sulla coesione territoriale ". La risposta è stata evasiva. "Preferirei una donna, anche per rispettare la parità di genere ", ha replicato Renzi. E la cosa è finita lì. In ambienti renziani circolano anche i nomi più graditi per quel ruolo. Graditi a palazzo Chigi, s'intende: da Erminia Mazzoni a Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato Antonino assassinato dalla 'Ndrangheta, dalla senatrice Federica Chiavaroli a Valentina Castaldini, portavoce Ncd. Ma Alfano e Lupi insistono su Quagliariello. E soprattutto non accettano l'altra idea che Renzi sembra avere in mente. Quella di dare ai centristi solo gli Affari regionali, nominando un renziano doc al posto che sarà lasciato libero dal sottosegretario Delrio (con il potere sui fondi Ue). Anche per questa carica circolano un po' di nomi, con un'alta dose di aleatorietà: si parla del vicesegretario Guerini (che smentisce), del vicecapogruppo Ettore Rosato, di Matteo Richetti. Se non lo stesso Luca Lotti, l'altro dioscuro di palazzo Chigi, che sommerebbe le deleghe di Delrio a quelle già nel suo mazzo. Almeno su una nomina Alfano e Renzi si sono invece trovati d'accordo: il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, in settimana diventerà il nuovo prefetto di Roma per gestire il Giubileo straordinario. Tra le tante voci fatte circolare c'è anche quella di uno spostamento di Maria Elena Boschi dalle riforme agli Affari regionali, per un ritorno di Quagliariello sulla poltrona che occupava con Letta. Il rebus sarà sciolto soltanto oggi, quando il premier salirà al Quirinale (gli uffici sono stati preallertati per un mini rimpasto "prima delle vacanze di Pasqua"). La questione rimpasto, a caduta, ha comportato uno psicodramma dentro l'Ncd. Nunzia De Girolamo, la pasionaria capogruppo antirenziana, non viene considerata più adatta per quel ruolo. Su questo concordano sia il premier che Alfano. "Un capogruppo di maggioranza - è il ragionamento comune - non può comportarsi come se stesse all'opposizione". Da qui l'idea di sostituirla con Lupi, ma l'interessata non ha alcuna intenzione di farsi da parte. Tanto che ieri i rumors raccontavano di una raccolta di firme tra i deputati, ispirata da Alfano, per convocare un'assemblea di gruppo per far fuori la ribelle. "Non posso credere - replica lei maliziosa - che il ministro degli Interni perda il suo tempo nell'organizzare trame di questo tipo". Intanto Renzi, in preparazione della visita di Stato alla Casa Bianca di metà aprile, si apre la strada con un'intervista al New York Times. Molto assertiva. "Sono il più giovane leader che l'Italia abbia mai avuto. Sto usando la mia energia e il mio dinamismo per cambiare il Paese. Penso che sia il tempo di scrivere una nuova pagina. Non posso aspettare a causa dei vecchi problemi del passato". Il leader del Pd rivendica anche la "nuova direzione " presa da un'Unione europea che finalmente parla di crescita e non più "solo di bilanci e austerità". Il Jobs act è "la cosa più di sinistra che abbia mai fatto", quanto al Pd, Renzi racconta di ispirarsi "all'azzardo" di Blair: "Trasformare il Labour da un partito perdente a un partito vincente". L'altra mossa di giornata, affidata a Yoram Gutgeld, l'uomo che ha in mano il dossier Spending review, è quella di rendere finalmente pubblico il famoso Piano Cottarelli di tagli alla spesa pubblica. All'indirizzo "revisione della spesa. gov. it" si possono trovare tutte le schede prodotte da Mister Forbici nel periodo di lavoro da Letta a Renzi. Suggerimenti dimenticati per mesi nei cassetti e ora tirati fuori, a un anno di distanza, in base al principio degli "open data". E a proposito di Infrastrutture, Cottarelli suggeriva cose importanti che magari avrebbero aggredito il "Sistema" Incalza: "Per grandi opere la consultazione pre-progettuale per decidere se/come fare l'opera"; "messa in esercizio dell'opera entro i 90 giorni dal collaudo tecnico- amministrativo pena l'applicazione di sanzioni"; e soprattutto "forti azioni di sorveglianza nell'esecuzione delle opere programmate dal Cipe (350/600 ispezioni entro il 2015)" e "definanziamento automatico in caso di mancato avvio delle opere". Un bel libro dei sogni, un manuale che il futuro ministro Delrio dovrà leggere con attenzione. © Riproduzione riservata 01 aprile 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/04/01/news/governo_ecco_il_rimpasto_delrio_alle_infrastrutture_braccio_di_ferro_renzi-alfano_una_donna_agli_affari_regionali-110951574/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_01-04-2015 Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi a Obama: "Pse, nuovo nome, non socialista ma democratico" Inserito da: Admin - Aprile 20, 2015, 05:42:41 pm La confidenza di Renzi a Obama: "Pse, nuovo nome, non socialista ma democratico"
Le parole del premier: “Bisognerebbe cambiare la sigla al partito in Europa, sostituendo l'aggettivo". L'idea di stringere sempre di più i legami con Washington anche in vista della candidatura di Hillary Clinton Dal nostro inviato FRANCESCO BEI 19 aprile 2015 WASHINGTON - Da socialisti a democratici. Una rottamazione delle vecchie socialdemocrazie, ecco il sogno nel cassetto di Renzi. E se i nomi, come insegnava Giustiniano, devono corrispondere alle cose, per il premier italiano anche il Partito socialista europeo un giorno dovrebbe cambiare sigla alla ditta. Assumendo l'aggettivo "democratico " al posto di "socialista". Il progetto renziano è uno di quelli a lunga gittata, destinando peraltro a scontrarsi con storie lunghe e onuste di gloria come quelle dei socialdemocratici tedeschi o dei socialisti francesi. Ma Renzi ha intenzione di gettare il sasso nello stagno. Anzi, l'ha già iniziato a fare venerdì alla Casa Bianca, parlando con il leader che ritiene politicamente molto più affine rispetto ai cugini socialisti europei: Barack Obama. "Un giorno - ha confessato Renzi a Obama - mi piacerebbe chiamare il nostro partito, i socialisti europei, partito democratico". Ora l'idea di una trasposizione europea dell'esperienza italiana non è per la verità nuovissima. Anzi, una parte non irrilevante delle lacerazioni all'interno del vecchio Ulivo aveva proprio l'approdo europeo come terreno di battaglia. "Non moriremo socialisti". "Il partito socialista è la nostra casa". Contrapposizioni che oggi sembrano provenire dal Pleistocene, come le ossa di Pterodattilo, ma un tempo tra Ds e Margherita si litigava anche su questo, sull'adesione o meno all'Internazionale socialista o al Pse. L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 19 aprile 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/04/19/news/la_confidenza_di_renzi_a_obama_pse_nuovo_nome_non_socialista_ma_democratico_-112307981/?ref=HRER2-2 Titolo: FRANCESCO BEI. Scuola, il premier chiama i parlamentari pd: "Ritocchi possibili Inserito da: Admin - Maggio 11, 2015, 10:04:25 am Scuola, il premier chiama i parlamentari pd: "Ritocchi possibili senza stravolgere"
La linea: dialogo sul merito, l'obiettivo resta. Oggi il summit di deputati e senatori dem Dal nostro inviato FRANCESCO BEI 06 maggio 2015 Chiama i parlamentari pd: "Ritocchi possibili senza stravolgere" TRENTO - Dialogo sul merito e fermezza sull'obiettivo. O, più banalmente, la vecchia tattica del bastone e della carota. Matteo Renzi non cambia strada, deciso a portare a casa - "dopo la legge elettorale” - anche la riforma sulla "buona scuola". Quello che si può fare e quello che sarà modificato, dopo le grandi manifestazioni in tutte le città d'Italia, verrà messo oggi sul tavolo in un summit a porte chiuse tra il premier e tutti i parlamentari del Pd delle commissioni cultura. Camera e Senato insieme, in modo da raccordare le modifiche e assicurare al provvedimento un iter spedito. Perché quella del cronoprogramma è un'altra fissazione del capo del governo, imporre delle date fa parte del suo metodo di lavoro. E dunque "entro il 19 maggio la delega sarà approvata dalla Camera, entro il 15 giugno sarà legge". Fissati questi paletti, non c'è dubbio che Renzi si sia reso conto che non è conveniente andare allo scontro frontale con tutto un mondo che, in fin dei conti, costituisce ancora una delle architravi elettorali del Pd. Una delle sue "constituencies", come dicono al Nazareno. Al dunque qualche apertura ci sarà. Sui contenuti ma anche, se si vuole, sullo stile. L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 06 maggio 201 Da - http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/06/news/scuola_il_premier_chiama_i_parlamentari_pd_ritocchi_possibili_senza_stravolgere_-113640869/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Usano gli insegnanti per farci perdere alle urne Inserito da: Admin - Maggio 16, 2015, 04:04:48 pm Il sospetto del premier sulla minoranza pd: “Usano gli insegnanti per farci perdere alle urne”
Di FRANCESCO BEI 16 maggio 2015 ROMA - "Usano la scuola per farci perdere le regionali". La certezza di Renzi, guardando alle presenze in piazza a fianco dei sindacati e alle dichiarazioni sempre più agguerrite di una parte della minoranza dem, è che nel mirino - più che la Buona Scuola - ci sia proprio il suo governo. Il sospetto che circola a palazzo Chigi è che i generali anti-renziani, sconfitti nella battaglia sull'Italicum anche perché rimasti senza sostegno nel paese, sognino di buttare giù "l'usurpatore" mettendosi alla testa del "popolo della scuola" (espressione in voga nella sinistra del Pd). Provocando uno smottamento nell'elettorato di centrosinistra. Visti i sondaggi sul filo del rasoio in regioni chiave come la Liguria e la Campania, una sconfitta del Pd in tre regioni su quattro - in Veneto il leghista Zaia è troppo avanti per essere ripreso - segnerebbe infatti la prima, pesante, battuta d'arresto del fenomeno Renzi. E l'inizio del gioco più praticato nel partito democratico dalla fondazione a oggi: il tiro al piccione sul segretario. Non a caso è proprio il precedente di Walter Veltroni, costretto a gettare la spugna dopo la sconfitta alle regionali in Abruzzo e Sardegna, a risuonare in queste ore nel quartiere generale renziano. Ma stavolta, giurano, sarà diverso. "Intanto le elezioni noi le vinciamo - premette Giorgio Tonini, che della stagione di Veltroni fu uno degli ideologi - e poi fare paragoni tra le due situazioni è totalmente improprio: il Pd nel 2008 aveva perso le politiche, al governo c'era Berlusconi. E Veltroni candidò Soru contro l'establishment del partito, che lo fece perdere. A quel punto Walter si dimise. Ma Renzi sta al governo e, anche nel malaugurato caso che la candidatura di Pastorino faccia vincere Toti in Liguria, a lasciare non ci pensa proprio. Hanno fatto male i loro conti". Ma l'operazione, il premier ne è convinto, sarà comunque tentata. L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 16 maggio 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/05/16/news/il_sospetto_del_premier_sulla_minoranza_pd_usano_gli_insegnanti_per_farci_perdere_alle_urne_-114468989/?ref=HREA-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi: "Non cambio la Severino, aspettiamo la Consulta" Inserito da: Admin - Giugno 05, 2015, 10:46:54 pm Renzi: "Non cambio la Severino, aspettiamo la Consulta"
Il retroscena. La linea del premier: "La questione De Luca si risolverà da sola" Di FRANCESCO BEI 28 maggio 2015 ROMA - Guai a toccare la legge Severino. Matteo Renzi se ne guarda bene: sarebbe un regalo graditissimo per i cinque stelle e per tutti quelli che lo aspettano al varco di una legge "ad personam". Il fatto è che il presidente del Consiglio è convinto che non ce ne sia bisogno. "Aspettiamo - è la linea del capo del governo -, la questione De Luca si risolverà da sola. Aspettiamo la Corte costituzionale". La decisione delle sezioni unite della Cassazione, che hanno tolto al Tar la competenza in materia, per Renzi non cambia i termini della questione. Vincenzo De Luca, se sarà eletto, si rivolgerà al giudice ordinario e non a quello amministrativo per bloccare la sospensione dall'incarico. Ma il punto vero è un altro: nel frattempo chi governerà la regione? Renzi, in privato, non ha difficoltà ad ammettere la "contraddizione" di un candidato eleggibile ma non titolato a governare a causa di una condanna in primo grado per abuso d'ufficio. "Il problema - osserva con i suoi - nessuno può negarlo. Ma nel momento in cui si è consentito a De Luca di fare le primarie, si è preso atto di una situazione e cioè che quella norma è stata immediatamente disapplicata a Salerno, ma soprattutto a Napoli perché, come è noto, il sindaco di Napoli ha la stessa condizione in cui si trova l'ex sindaco di Salerno e futuro presidente se vincerà le elezioni". Insomma "nell'esperienza concreta del comune di Napoli e del comune di Salerno" il problema è stato superato. E un domani, a rigor di logica, potrà essere superato anche in regione Campania. Ma nessuno deve immaginare o far credere che il governo voglia depotenziare la Severino. Ne ha fatto le spese ieri persino De Luca, arrivato a dire in pubblico che Renzi considerava la legge Severino "superabile". Un equivoco che poteva fornire munizioni polemiche agli avversari del Pd in momento delicatissimo, specie dopo il fuoco di fila di accuse per i candidati "impresentabili". Da qui un colloquio telefonico con il premier e una correzione di tiro serale di De Luca via agenzie di stampa: "Bene ha fatto il governo a rimanere fuori dalle vicende riguardanti la legge Severino". Come spesso accade in Italia, la questione De Luca si risolverà con un po' di melina e un pizzico di fortuna. La melina serve a consentire al candidato, se eletto, di formare la sua squadra. E soprattutto nominare un vice-governatore che regga l'Istituzione finché il Tribunale (sulla sospensione della sospensione) e poi la Corte costituzionale non si saranno pronunciati. Gli esperti si aspettano una sentenza in autunno, perché la Consulta il 27 gennaio scorso ha ricevuto un ricorso della corte di appello di Bari su un caso analogo. E nel Pd confidano che i giudici costituzionali si pronunceranno contro quella parte della Severino che dispone, anche per un reato come l'abuso d'ufficio, la sospensione fin dal primo grado di giudizio. Nel quale caso De Luca potrebbe tornare a governare la Campania. Ma ce la farà, prima di essere sospeso, a nominare la giunta e il suo vice? Stefano Ceccanti, uno dei costituzionalisti più vicini a Renzi, ricorda che la Severino "fa iniziare la procedura all'autorità giudiziaria che, dopo la proclamazione degli eletti, avvisa il prefetto, che a sua volta allerta il Governo, il quale decide la sospensione, la comunica al prefetto che a sua volta la notifica al Consiglio Regionale. Tutti passaggi non certo immediati". Insomma, tra un passaggio e un altro, prima che la "lettera" con la notifica di sospensione arrivi sul tavolo di De Luca, passeranno parecchi giorni. Il tempo necessario per consentire al governatore di nominare la sua giunta. Diventa centrale a questo punto capire chi effettivamente sarà scelto come numero due, dato che si tratterà per molti mesi del vero governatore facente funzioni. Non è un mistero che De Luca vorrebbe Fulvio Bonavitacola, avvocato, deputato Pd e soprattutto suo braccio destro (e sinistro). Ma al Nazareno questo profilo sembra assolutamente fuori luogo. "Serve una personalità che unisca il gruppo consiliare - spiega una fonte vicina al premier - non un clone di De Luca. Non sarebbe accettato". © Riproduzione riservata 28 maggio 2015 Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-regionali-edizione2015/2015/05/28/news/renzi_non_cambio_la_severino_aspettiamo_la_consulta_-115436104/?ref=HREC1-6 Titolo: FRANCESCO BEI. Roma vuole superare il trattato di Dublino Inserito da: Admin - Giugno 14, 2015, 03:38:01 pm Il premier va all’attacco: “Serve un nuovo piano, quei 24mila via dall’Italia non sono sufficienti”
Prossima settimana faccia a faccia con Hollande e Cameron. Obiettivo: cambiare il documento della Commissione. Roma vuole superare il trattato di Dublino Di FRANCESCO BEI 14 giugno 2015 ROMA. "Al Consiglio europeo di giugno mi sentiranno. Forte e chiaro". Con le principali città italiane - Milano e Roma - costrette ad allestire tendopoli nei giardinetti pubblici, Matteo Renzi ha compreso che l'emergenza immigrazione è diventata la priorità numero uno del governo. I numeri aggiornati dal Viminale e dalla Farnesina parlano di 180-200 mila migranti in arrivo quest'anno. A questo punto il piano Juncker, con la distribuzione di appena 24 mila richiedenti asilo, è evidente quanto sia lontano dalla realtà del fenomeno. Per Renzi infatti il problema non è più di numeri o di quote ma, come ha spiegato in queste ore ai suoi, di "approccio". Di principio: "Perchè è stata l'Europa a creare il caos in Libia e ora non può voltarci le spalle". Da qui l'intenzione di arrivare al summit Ue con delle proposte precise che disegnino un nuovo piano, più ambizioso di quello elaborato dalla Commissione, e un obiettivo di fondo: superare definitivamente il trattato di Dublino che costringe l'Italia a trattenere nei propri confini i richiedenti asilo. I passi per arrivare alla meta sono molteplici e la strategia di palazzo Chigi è quella di operare su tutti i fronti, usando tutte le leve. All'Expo di Milano i bilaterali della prossima settimana con il britannico Cameron e il francese Hollande serviranno proprio a questo, a creare un terreno politico-diplomatico per provare a portare a casa intanto il principio delle quote "non volontarie". Ovvero senza la possibilità che uno dei 28paesi membri si rifiuti di fare la propria parte. L'Altro corno della questione è invece domestico, perché il presidente del Consiglio teme che al vertice Ue di fine giugno le proposte italiane di "equa distribuzione" dei profughi vengano accolte con scherno se l'Italia non dimostrerà prima di essere stata solidale al proprio interno. Per questo all'incontro già previsto tra il ministro Alfano e i presidenti delle venti regioni italiane Renzi ha deciso di partecipare in prima persona. Il suo sarà un discorso duro, senza sconti verso i governatori leghisti che hanno scritto ai prefetti e ai sindaci per minacciarli in caso di nuove accoglienze. "Per essere credibili in Europa - è il ragionamento del premier - dobbiamo prima fare la nostra parte. Ed è singolare che proprio coloro che hanno per primi imposto alle regioni di accogliere i rifugiati ora siano quelli che strillano di più". Anche il ministro dell'Interno ha il suo ruolo nel piano di battaglia in vista del Consiglio Ue. Martedì Alfano avrà una colazione in Lussemburgo con i suoi 27 colleghi europei. E il piatto forte di quel pranzo sarà proprio l'emergenza immigrazione. Il piano italiano infatti va oltre, molto oltre il piano Juncker. I punti fermi sono tre. Anzitutto puntare i piedi sulle quote "non volontarie", poi considerare "flessibile" il numero di 24 mila richiedenti asilo da distribuire in Europa, perché l'emergenza è fluida e ne arriveranno ancora tanti. Infine, il capitolo più delicato, quello dei "migranti economici". In sostanza coloro che non hanno diritto d'asilo e arrivano per trovare un lavoro. Gli irregolari insomma, che costituiscono il 60 per cento dei passeggeri dei barconi. Per l'Italia è "prioritario" che se ne faccia carico l'Europa, provvedendo con accordi bilaterali di rimpatrio tra la stessa Unione europea e i paesi d'origine. Solo in cambio di questi passaggi Roma sarà disposta a mandare avanti quello che più sta a cuore ai paesi del Nord Europa, Germania in testa. Ovvero la creazione di "hotspot" extraterritoriali in Italia e Grecia per garantire un'effettiva fotosegnalazione di chi presenta domanda di rifugiato. Questo perché, per il trattato di Dublino, il paese dove il migrante viene identificato è anche quello dove è obbligato a risiedere. Finora l'Italia si è spesso voltata dall'altra parte, lasciando che i migranti si allontanassero dai centri di raccolta per fuggire indisturbati in Francia o in Germania. Ed è proprio la chiusura di queste due valvole di decompressione (con la sospensione di Schengen da parte di Parigi e Berlino, fino a lunedì) che sta creando i problemi a Roma e Milano. Per l'Italia la creazione di questi "hot spot" potrebbe dunque rivelarsi un boomerang, ma a palazzo Chigi sono convinti che sia un falso problema. Un ministro spiega il perché: "Dublino ormai è saltato, non può più funzionare. E lo hanno capito anche i tedeschi. Se passa il principio delle quote sarà una grande vittoria, perché il passo successivo sarà la modifica di Dublino". © Riproduzione riservata 14 giugno 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/06/14/news/il_premier_va_all_attacco_serve_un_nuovo_piano_quei_24mila_via_dall_italia_non_sono_sufficienti_-116812125/ Titolo: FRANCESCO BEI. - Renzi "Bisogna chiudere ora o salta tutto" Inserito da: Admin - Giugno 25, 2015, 10:18:04 am Sms di Matteo ai ribelli, poi la svolta: "Bisogna chiudere ora o salta tutto"
Ecco come il premier ha deciso la strada del compromesso con la minoranza interna: "Andiamo avanti e liberiamoci finalmente di quest'incubo". Ma il bersaniano Gotor: "Non basta, bisogna cambiare sulla valutazione dei pro e sui docenti di sostegno" Di FRANCESCO BEI 24 giugno 2015 ROMA. L'accordo tiene. Sulla buona scuola Matteo Renzi ha "cambiato verso", dando via libera a una serie di modifiche per venire incontro alla minoranza del Pd e ai sindacati. Un «metodo» che il premier intende replicare anche per gli altri provvedimenti a rischio come le unioni civili e, soprattutto, la riforma del Senato. «Sulla scuola ho chiesto consigli a tutti, persino a Tocci», ha rivelato il capo del governo ai suoi, riferendosi a Walter Tocci, il più strenuo degli oppositori interni a palazzo Madama (insieme a Corradino Mineo, altro membro della commissione istruzione). Proprio Tocci si è visto comparire sul telefonino un sms di Renzi, al quale ha poi girato tre pagine di suggerimenti per migliorare il ddl scuola. Una strada che il premier ha scelto di percorrere una settimana fa, dopo una notte drammatica. Quando aveva ormai deciso di gettare la spugna e rinunciare al provvedimento. Poi la svolta. A cui l'hanno convinto i colloqui con i democratici che in Parlamento hanno gestito i passaggi più delicati del ddl. «Lo abbiamo fatto ragionare. Gli abbiamo spiegato - rivela Francesco Russo - che le avrebbe prese due volte. All'andata, con lo sciopero nazionale dei 600 mila, e al ritorno, con il ritiro del provvedimento». Certo, non tutto ancora è definito. La minoranza dem al Senato spera di strappare ancora qualcosa. «La notte è ancora lunga - scherza Miguel Gotor - e noi vogliamo insistere almeno su due punti: che la valutazione dei professori sia affidata a un organismo nazionale esterno e che gli insegnanti di sostegno restino docenti per la classe come tutti gli altri». Ma dei ventitre senatori della minoranza forse soltanto due o tre marcheranno visita. L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 24 giugno 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/06/24/news/sms_di_matteo_ai_ribelli_poi_la_la_svolta_bisogna_chiudere_ora_o_salta_tutto_-117557069/?ref=HREC1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Scalfarotto: "Il mio sciopero della fame per le unioni civili" Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 04:33:29 pm Scalfarotto: "Il mio sciopero della fame per le unioni civili"
Il sottosegretario per i rapporti col parlamento protesta per la battaglia di civiltà e una maggioranza di cui fa parte che tiene però bloccata la legge Di FRANCESCO BEI 02 luglio 2015 ROMA. C'è una prima volta per tutto, recita un adagio popolare. Da lunedì scorso l'Italia, per la prima volta, ha un membro di governo in sciopero della fame. Contro la sua stessa maggioranza, quella che tiene bloccato il disegno di legge sulle unioni civili. E contro il mondo etero progressista, che lascia soli i gay in questa "battaglia di civiltà". Il personaggio è Ivan Scalfarotto, sottosegretario della Boschi per i rapporti con il Parlamento. Uno che le leggi le dovrebbe spingere per mestiere. Si aggira in Senato sconfortato, ci sono duemila emendamenti che tengono inchiodato il ddl Cirinnà in commissione. E chissà quando mai vedrà la luce. "Da lunedì prendo solo due cappuccini al giorno, alla radicale. Il fatto è che non ce la facevo più a far finta di niente, ad andare avanti con il mio lavoro come al solito, mediando, giocando di rimessa, con fair play. Qua c'è Giovanardi che mena colpi tutti i giorni con la scimitarra, c'è la piazza di San Giovanni che strilla e si mobilita. Ma noi dove siamo? Gli italiani che sono favorevoli a compiere questo passo in avanti sulla strada dell'uguaglianza dei diritti, cosa fanno? Non parlo dei gay, del gay pride. Parlo degli italiani perbene, eterosessuali, del mondo progressista. A nessuno sembra importare questa vergogna che relega l'Italia, nella mappa mondiale dei diritti, insieme ai paesi del patto di Varsavia". Ecco, per lanciare questo sasso il mite Scalfarotto, uno che non alza mai la voce e chiede sempre permesso prima di parlare, ha deciso di mettere in gioco il suo corpo. Contro Renzi? "Assolutamente no, lui ha preso un impegno pubblico e forte, anche il mio ministro, Maria Elena Boschi, sta facendo il possibile. Ma è evidente che, senza una mobilitazione da fuori, rischia di essere tutto vano". L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E SU REPUBBLICA + © Riproduzione riservata 02 luglio 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/02/news/scalfarotto_il_mio_sciopero_della_fame_per_le_unioni_civili_-118121859/ Titolo: FRANCESCO BEI. Governo, pronto il mini-rimpasto: Quagliariello alle regioni e... Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 06:09:30 pm Governo, pronto il mini-rimpasto: Quagliariello alle regioni e due nuovi viceministri
Le nomine in occasione dell'elezione di otto Presidenti di commissione, fissata per il 21 luglio Di FRANCESCO BEI 12 luglio 2015 ROMA. La data c'è, il 21 luglio. Matteo Renzi salirà al Quirinale insieme a Gaetano Quagliariello per farlo giurare come nuovo ministro per gli Affari regionali. Ma quello stesso giorno arriverà anche un'altra infornata di nomine, per rimettere a punto a la squadra di governo e dare il via all'annunciato "ribaltone" di alcune strategiche presidenze di commissione. Due viceministri infatti mancano da mesi e quel martedì di luglio arriveranno i sostituti. Scelti per premiare quella componente del Pd - Sinistra è cambiamento, guidata dal ministro Martina - che si è staccata dal resto dei bersaniani e ormai di fatto è integrata nella maggioranza renziana. Dunque al posto di Lapo Pistelli come viceministro degli Esteri sarà nominato Enzo Amendola, attuale responsabile esteri del Pd. Mentre a sostituire Claudio De Vincenti come numero due del ministero dello Sviluppo sarà chiamato Cesare Damiano, altro fondatore della neonata corrente di sinistra dialogante. Vacante da tempo, la poltrona di Antonio Gentile, sottosegretario Ncd alle Infrastrutture, verrà affidata a un membro di Scelta Civica, che con l'adesione della Giannini al Pd ha perso un posto al governo. Ma quella della squadra di governo è solo una delle leve a disposizione del premier per rilanciarsi. L'altra sono le presidenze delle commissioni parlamentari, che vengono normalmente rimesse in gioco a metà legislatura. Come normalmente è tradizione riconfermare gli uscenti. Solo che molta acqua è passata sotto i ponti dal 2013 e Forza Italia, prima in maggioranza con Enrico Letta, è ora all'opposizione. E senza un nuovo Nazareno in vista - un'eventualità che il premier continua in privato ad escludere - saranno i quattro presidenti forzisti della Camera e i due del Senato (questi ultimi però solo a settembre) a doversi fare da parte. Il toto-presidenti impazza, con un bilancino che terrà conto della necessità di premiare la sinistra che ha accettato di collaborare con il segretario, senza però scontentare i renziani di vecchia data. Nella Affari costituzionali di Montecitorio Francesco Paolo Sisto andrebbe sostituito con Emanuele Fiano, anche se in ballottaggio c'è Matteo Richetti. Entrambi renziani. Alla Difesa al posto di Elio Vito, si parla del renziano Gian Piero Scanu (non troppo ben visto tuttavia dalla ministra Pinotti) o del giovane turco Daniele Marantelli. Alla Finanze si scalda Marco Causi, uno degli animatori della corrente di Martina, ma potrebbe anche lasciare il posto al veltronian-renziano Andrea Martella (in arrivo da un'altra commissione). Per sostituire Giancarlo Galan alla commissione Cultura la prima scelta è la renziana Flavia Piccoli Nardelli, in panchina pronto Roberto Rampi (martiniano). Il Risiko delle commissioni è complicato dal fatto che, oltre alle correnti del Pd, Renzi si dovrà di fronte alle richieste di Scelta Civica, Ncd e Popolari per l'Italia - junior partner della coalizione - che hanno chiesto una presidenza a testa. Un capitolo a parte meritano le presidenze della commissione Bilancio di Camera e Senato. A palazzo Madama il compito è relativamente più semplice visto che Antonio Azzollini si è dimesso travolto dall'inchiesta di Trani. Il Pd vorrebbe metterci il renziano Giorgio Santini, ma anche Linda Lanzillotta ha i suoi supporter. Il caso più delicato è invece quello di Montecitorio, dove la presidenza è di Francesco Boccia, un democratico non allineato. In passato è stato molto critico con Renzi, anche se il suo tasso di antagonismo è scemato. Il premier però, in vista della legge di Stabilità, pretende che le due commissioni Bilancio siano affidate a personalità di provata fede. E sembra che Boccia non sia considerato tale, soprattutto dal potente sottosegretario Luca Lotti. A palazzo Madama ci sono poi da scegliere i sostituti dei forzisti Nitto Palma e Altero Matteoli (Giustizia e Lavori Pubblici). Ma la commissione giustizia della Camera è già appannaggio del Pd, così si sta pensando di consegnarla a un alfaniano. In cambio Ncd dovrebbe convincere Roberto Formigoni - sotto processo a Milano - a sloggiare dalla presidenza della commissione Agricoltura prima che arrivi la sentenza. L'altra partita che Renzi si sta giocando è quella sulle riforme. Un sasso nello stagno l'ha lanciato, su l'Unità, il vicepresidente del Pd Matteo Ricci, sindaco renziano di Pesaro. Ha proposto di tornare all'idea iniziale di Renzi, quella di un Senato composto dai sindaci delle città capoluogo e dai venti presidenti delle Regioni. Andando così incontro alle richieste di un Senato composto da senatori eletti e non nominati, come chiede la minoranza: "Se il punto è compattare il Pd, l'unità si può ritrovare intorno a quell'idea, costruita su un sistema chiaro e semplice per i cittadini". Una palla buttata in avanti, ma con l'incoraggiamento del segretario. Rispondendo nella sua rubrica ai lettori de l'Unità Renzi è invece sembrato non curarsi molto dei fuoriusciti: "Fassina - ha scritto ieri - non può pretendere di riscrivere la storia. Il Pd invece può scrivere una pagina di storia. Lo faremo, anche senza di lui". © Riproduzione riservata 12 luglio 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/12/news/pronto_il_mini-rimpasto_quagliariello_alle_regioni_e_due_nuovi_viceministri-118896938/?ref=HREC1-2 Titolo: FRANCESCO BEI. Ue, Renzi punta sulla legge di stabilità: "Ora flessibilità e ... Inserito da: Admin - Agosto 02, 2015, 04:42:35 pm Ue, Renzi punta sulla legge di stabilità: "Ora flessibilità e nuovi investimenti"
Evitato per il momento il rischio Grexit, il premier apre un nuovo match, quello sui margini per imprimere uno stimolo più vigoroso alla crescita. "Siamo il paese delle riforme. Quando Schroeder cambiò il mercato del lavoro sforò il 3%" Di FRANCESCO BEI 14 luglio 2015 ROMA. Al termine di una discussione «in cui ti fermi qualche centimetro prima di fare il crash», Matteo Renzi plaude al finale di una partita chiusa «nel nome del buon senso e della ragionevolezza rispetto a come era partita». Con gli occhi ancora gonfi di sonno, il premier a Bruxelles ammette quello che tutti hanno capito: «Si è rischiata davvero la Grexit». Ma non è stata una vittoria della Germania "imperiale", non c'è un solo paese che detta la linea per tutti. E proprio «la discussione vera, anche accesa» che c'è stata durante la notte tra falchi e colombe lo dimostrerebbe. Il capo del governo italiano, questa la voce che rimbalza nei corridoi, si sarebbe ad esempio scontrato duramente con il falco olandese Rutte sull'ipotesi di piazzare il fondo di garanzia da 50 miliardi, creato con i beni ellenici da privatizzare, in Lussemburgo. La delegazione italiana smentisce l'alterco, tuttavia in conferenza stampa Renzi conferma di essersi mostrato «deciso nel dire che se vuoi fare un fondo con i beni che vengono dalla Grecia non puoi pensare di metterlo in Lussemburgo perché sarebbe stata un'umiliazione». Tornato a Roma con il rischio Grexit (almeno per ora) scongiurato, per il presidente del Consiglio si apre il vero match, quello sui margini di flessibilità per imprimere uno stimolo più vigoroso a una crescita che, in Italia, si mostra ancora molto più flebile rispetto al resto d'Europa. «Questo accordo non riguarda l'Italia - confida il premier in privato - perché noi in Europa siamo ormai il paese delle riforme. Anzi, a questo ultimo vertice abbiamo dato l'immagine di un paese serio. Abbiamo dimostrato buon senso, non ce ne siamo usciti inventandoci cose strane». Ora però è il momento di passare all'incasso, visto che le riforme l'Italia le sta facendo. «Con un ritmo - aggiunge il capogruppo Ettore Rosato - che non ha paragoni con nessun altro paese in Europa». E il prossimo step nell'agenda di Renzi sarà la riforma della Pubblica amministrazione, un disegno di legge a cui annette la stessa importanza strategica del Jobs Act e della Buona Scuola. «Puntiamo tutto sulla riforma Madia», è la parola d'ordine che sta facendo passare ai suoi. Ma questo capitale politico, questo tesoretto di credibilità conquistato in Europa e al tavolo con la Merkel, Renzi ha intenzione di metterlo presto a frutto. Giocandosela fino in fondo sui margini di flessibilità per nuovi investimenti. Se necessario anche ritoccando al rialzo il deficit. «Per dirne una - ha ricordato ieri ai collaboratori - il cancelliere Schroeder, per fare la riforma del mercato del lavoro, ci mise un anno e mezzo e sforò il vincolo del 3%. E nessuno ebbe da ridire». Non che sia stato già deciso nulla, ma nelle discussioni a palazzo Chigi nella squadra economica di Renzi e con il ministro Padoan le ipotesi sul tavolo sono molte. Alcune più eterodosse, altre più in linea con gli obblighi del Fiscal compact. Tutte comunque girano intorno al binomio vincente: meno tasse più investimenti. Senza curarsi troppo dello zero virgola dei parametri europei ma puntando tutto sulla crescita. L'attenzione si è posata sulla "clausola sugli investimenti", una norma prevista dallo strumento preventivo del Patto di stabilità e crescita. L'Italia, al tempo del governo Letta, provò ad attivarla ma senza successo. A palazzo Chigi, dopo aver chiesto lo scorso anno l'applicazione della "clausola per le riforme strutturali" del Patto (quella che ha generato il famoso tesoretto, poi mangiato dalla sentenza della Consulta sulle pensioni), si sono convinti di poterci riprovare. Visto l'andamento positivo del Pil e il percorso delle riforme. Ai tempi di Letta si parlava di un bonus nell'ordine di tre miliardi di euro, visto il miglioramento dei conti pubblici si potrebbe domani arrivare fino a sei miliardi. «La condizione per chiedere l'applicazione della "investment clause" - spiega l'economista dem Filippo Taddei - è che gli investimenti del paese siano in una fase crescente. E la cosa interessante è che la crescita italiana, in questa fase, è proprio trainata da investimenti privati in aumento. Quindi ci siamo». Riuscire a fare più deficit per gli investimenti è cruciale per passare da una crescita asfittica a un paese che tira per davvero. E arrivare alle elezioni nel 2018 con un'Italia rimessa al passo degli altri paesi dell'eurozona. È questa la scommessa di Renzi. Certo, la strada da recuperare è enorme. Ancora nel 2011 la quota di investimenti sul Pil era del 21%, quest'anno siamo al 16%: un calo di cinque punti percentuali che equivale a qualcosa come 80 miliardi persi per strada. «Ma la crescita è legata agli investimenti. Più ne fai e più cresci. Io - aggiunge Taddei - la chiamo la politica della ciliegia: una tira l'altra». Tra stimolare lo sviluppo abbassando le tasse sulla casa per generare più consumi e puntare invece sulle imprese, sembra che a palazzo Chigi e a via XX Settembre stia prevalendo la seconda ipotesi. Con l'idea di incentivi fiscali per le imprese che investono. Il tempo delle decisioni sarà a settembre, con i primi "paper" della legge di Stabilità. Renzi comunque ha deciso di giocarsi tutto nella Finanziaria, anche per non arrivare a mani vuote alle amministrative del 2016. In conferenza stampa lo ha detto in 140 battute: «Credo che costi meno fare un grande investimento sulla crescita che rischiare di dover fare domani un grande investimento sui salvataggi». © Riproduzione riservata 14 luglio 2015 Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/07/14/news/ue_renzi_punta_sulla_legge_di_stabilita_ora_flessibilita_e_nuovi_investimenti_-119016035/?ref=HREC1-1 Titolo: FRANCESCO BEI. Patto per le amministrative Lega-M5S. Inserito da: Arlecchino - Marzo 10, 2016, 05:53:22 pm Patto per le amministrative Lega-M5S.
Il piano segreto di Salvini a Roma per affossare Bertolaso nei gazebo Torino e la Capitale ai cinque stelle, in cambio Bologna e Novara al Carroccio I leghisti a Roma hanno già dimostrato un certo grado di mobilitazione organizzativa: hanno fatto votare 10 mila persone alle loro primarie quasi senza preavviso 09/03/2016 Francesco Bei Roma È tutto pronto, la strategia è stata studiata nei giorni scorsi. Matteo Salvini farà fuori Guido Bertolaso, il candidato di Berlusconi a Roma. Infilzandolo il prossimo fine settimana con la stessa arma scelta dal leader di Forza Italia per plebiscitare l’ex capo della Protezione civile: le gazebarie. La «gazebata» (copyright Maria Stella Gelmini) prevede un centinaio di chioschi aperti per far esprimere gli elettori romani su un quesito semplice: siete d’accordo con la candidatura di Bertolaso? Non essendoci altri nomi sulla scheda, i cittadini potranno mettere una croce sul sì oppure sul no. Tutto scontato? Non proprio. I leghisti, che a Roma hanno già dimostrato un certo grado di mobilitazione organizzativa - hanno fatto votare 10 mila persone alle loro primarie quasi senza preavviso - hanno infatti deciso di rovinare la festa a Berlusconi. E quella che avrebbe dovuto essere un’incoronazione, rischia di trasformarsi in un disastro. Il piano di Salvini prevede infatti di saturare i gazebo forzisti con una massa di elettori pronti a votare “No” a Bertolaso. L’attacco avrebbe dovuto essere pianificato ieri tra lo stesso Salvini e lo stato maggiore leghista nella Capitale (il vicesegretario Giancarlo Giorgetti e il commissario laziale Gian Marco Centinaio). Riunione poi saltata all’ultimo minuto. Ma il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga, dietro le quinte della trasmissione Omnibus, qualcosa si è lasciato sfuggire: «A queste consultazioni di Forza Italia si può votare sì... ma immagino si possa votare anche no. E se Bertolaso venisse bocciato, Berlusconi dovrebbe prenderne atto». Certo, i leghisti mettono in conto anche un controllo capillare del voto da parte dei forzisti. Decisi a non farsi travolgere dalle truppe cammellate di Salvini. Per questo il segretario del Carroccio ha pronto anche un piano di riserva, nel malaugurato caso Bertolaso venisse comunque incoronato dalle urne. Se infatti Berlusconi, come sembra, dovesse insistere, la Lega è già pronta a mollare gli ormeggi. E presentarsi da sola nella Capitale con un proprio candidato di bandiera per raccogliere quanti più voti possibile. Con quale volto? «Irene Pivetti potrebbe essere quella giusta», confida Fedriga. Ma ci sarebbe anche l’ipotesi di una corsa tutta sulla fascia destra, con un candidato lepenista come Francesco Storace. «Se la lega converge su di me - dice l’ex governatore del Lazio - di sicuro prende una barca di voti». Ma è improbabile che regalare «una barca di voti» a Storace (o Pivetti) sia l’obiettivo di Salvini. Dunque perché tutto questo attivismo su Roma? Le voci più affidabili su quanto viene discusso a via Bellerio, sede federale della Lega, descrivono un quadro molto più credibile e interessante. Che chiama in causa direttamente il Movimento Cinque Stelle. Negli ultimi tempi infatti colpiscono i ripetuti attestati di stima che il segretario elargisce a due candidate grilline: la romana Veronica Raggi e la torinese Chiara Appendino. «Entrambe - ha ripetuto ieri alla Zanzara su Radio24 - hanno le idee chiare su quello che bisogna fare. Se nelle due città ci fosse un ballottaggio tra Pd e Grillo, voterei certamente per i candidati dei 5 Stelle». Questo rinnovato endorsement sulle due ragazze M5s nasconde l’ultimo elemento del piano leghista. Un patto occulto di desistenza tra Lega e Movimento 5 Stelle per lanciare reciprocamente Appendino a Torino, Raggi a Roma e i due candidati leghisti a Bologna e Novara. Una desistenza mascherata, che prevede il voto disgiunto nelle quattro città: a Roma e Torino i leghisti metteranno una croce sulla propria lista e sulla candidata sindaca grillina; in cambio a Bologna e Novara il M5s non si scalderà troppo per far arrivare al ballottaggio i propri candidati. Lasciando spazio a quelli del Carroccio. Da - http://www.lastampa.it/2016/03/09/italia/politica/patto-per-le-amministrative-legams-il-piano-segreto-di-salvini-a-roma-per-affossare-bertolaso-nei-gazebo-ZahpRHWuT9cxuuhB44z4BL/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Cancro, pacemaker e il resto il corpo restaurato del Capo Inserito da: Arlecchino - Giugno 13, 2016, 12:57:08 pm Cancro, pacemaker e il resto il corpo restaurato del Capo
Dalla rivelazione del Duemila sul tumore alla prostata ai problemi cardiaci Il carisma del leader, alla ricerca dell’immortalità, accresciuto dalle malattie Berlusconi era stato ricoverato al San Raffaele anche per una uveite acuta nel 2013 10/06/2016 Francesco Bei Roma «Ho avuto un cancro e dopo aver superato questa prova, ho imparato a non avere più paura di nulla». Berlusconi e il mito della sua immortalità, la malattia, il corpo vulnerabile e tuttavia onnipotente. E poi la potenza virile e la delicatezza femminile, gli acciacchi dell’età e la rincorsa all’eterna giovinezza, insomma con tutto quello che c’è tra la vita e la morte, sesso incluso naturalmente, ci gioca da sempre traendone anche una discreta rendita politica. Quel corpo, su cui si sono esercitati in molti e la letteratura abbonda, a partire dal molto citato “Il corpo del capo” di Marco Belpoliti (Guanda), è ormai una sorta di monumento italiano e come tutti i monumenti negli anni ha subito colpi, è stato restaurato, un pezzo crollato, un altro sostituito. In un susseguirsi di lifting, pacemaker, uveiti, trapianti, operazioni varie, aggiunte e tagli, sempre tutto pubblico, perché nell’ostensione del corpo, anche del corpo malato, il leader ha sempre ritrovato la sua forza. E così, appunto, nel 2000 fu la rivelazione del cancro alla prostata, ma l’operazione risaliva a tre anni prima. Anche in quel caso, curiosamente, durante una campagna elettorale per le amministrative. «Ero sul palco, in mezzo alla gente, ma parlavo con la morte nel cuore. La mattina dopo dovevo entrare in sala operatoria, non riuscivo a non pensarci, temevo che il male fosse incurabile», confidò in un’intervista a Repubblica. Altra fuga in gran segreto in America nel 2006. «Vado a divertirmi a Las Vegas», disse ai cronisti prima di partire. Invece era a Cleveland a mettersi un pacemaker. E ancora nel 2015, quando quel ricambio elettronico dovette essere sostituito. Vita sregolata, notti insonni, troppo stress, (troppe ragazze), troppo tutto. Nel 2006 a un convegno dei giovani di Dell’Utri – a proposito, il gemello politico del Cavaliere ha avuto problemi di cuore pochi giorni fa – Berlusconi clamorosamente e pure in diretta tv, s’accasciò, svenne, perse i sensi e le guardie del corpo fecero appena in tempo ad acchiapparlo al volo perché non cadesse dal palco. Ma erano già i giorni del declino, lontani da quelli della potenza fisica. Come l’esaltazione del fitness, della corsa del ’95 alle Bermuda con gli amici di sempre: Fedele Confalonieri, Adriano Galliani, Carlo Bernasconi, Gianni Letta e, appunto, Marcello Dell’Utri. Lui davanti e gli altri a inseguirlo, tutti in divisa bianca. «Sui cento metri non ce n’è per nessuno, mi lascio dietro anche i ragazzi della scorta», raccontava in Sardegna negli ultimi anni. Ma il primo a non crederci era lui. Di lì a poco, nel 2009, sarebbe arrivato quel pazzo di Massimo Tartaglia a scagliargli in pieno volto una miniatura appuntita del Duomo. «E ci mancò poco che mi cavasse un occhio». Anche allora l’ostensione del volto tumefatto e pieno di sangue ebbe un effetto magico sulle masse dei fedeli, rinsaldò il mito di un uomo «tecnicamente immortale» (parola di Umberto Scapagnini, il suo medico prima di Zangrillo, morto nel 2013). Lo stesso Scapagnini che gli somministrava un misteriosissimo elisir antietà a base di «olio di onfacio e palosanto, una pianta di cui si nutrono gli abitanti centenari di Ocobamba». Che poi esisterà veramente sull’atlante? Ma si potrebbe andare avanti con l’uveite che lo costrinse a girare in Senato con gli occhialoni da sole stile il Padrino, con la sciatica che miracolosamente lo abbandonò a Vicenza per mostrarsi arrabbiato e pimpante davanti ai industriali, l’Alzheimer, «ma al primo stadio», come i malati di Cesano Boscone dove svolgeva i servizi sociali. Fino alla valvola atriale di un suino che gli impianteranno martedì. Confermandone così la natura ibrida di uomo/animale, nel segno totemico del verro. Per gli antichi Celti simbolo di fertilità. E che sia lunga vita. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/06/10/italia/cronache/cancro-pacemaker-e-il-resto-il-corpo-restaurato-del-capo-Lyvq2AD4R02FFoCImzUDHO/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. La risposta allo smacco delle urne Inserito da: Arlecchino - Giugno 22, 2016, 06:05:12 pm La risposta allo smacco delle urne
22/06/2016 Francesco Bei Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. C’è voluto il clamoroso risultato di questa tornata elettorale per portare finalmente al centro della politica il tema delle periferie. O meglio di come concretamente vivono i cittadini a dieci fermate dal centro storico. Il governo sembra aver capito che la direzione di marcia deve essere quella e il piano di riqualificazione edilizia con cui apriamo oggi il giornale è un primo segnale di ascolto. D’altronde lo stanno testimoniando le nostre inchieste per strada in questi giorni e lo confermano i flussi elettorali: fuori dalla cerchia delle mura cittadine cova un giacimento di rabbia pronto a esplodere, un deposito che ha trovato sfogo domenica nell’urna. E siamo fortunati che sia ancora il voto democratico a incanalare questo risentimento, mentre in altri Paesi l’odio sociale si è trasformato in incendio. E ha infiammato i quartieri-ghetto con la benzina dell’immigrazione. Per chi si sente abbandonato da tutti, il voto ai cinque stelle è stato come un grido di dolore e un insulto sparato in faccia a chi governa. «Il problema dell’eguaglianza e delle periferie - sembra abbia riconosciuto il ministro Andrea Orlando nella tesa riunione di governo di lunedì a urne ancora calde - è stato poco affrontato dal Pd in questa campagna elettorale». Sbaglia Beppe Grillo a considerare quel voto un’adesione incondizionata al programma M5s (una serie di slogan che faticheranno a trovare applicazione concreta) e un’investitura anche per il governo nazionale, ma sbaglierebbe anche Matteo Renzi a ridurlo a una questione che si può risolvere rafforzando la segreteria del Pd con qualche innesto. Tuttavia il capo del governo è ancora in tempo per recuperare. Ma deve ritrovare quello spirito di attenzione al particolare, quell’atteggiamento da sindaco che sta sempre «sul pezzo» che gli consentì di vincere le primarie e poi di convincere il 40 per cento degli italiani. Quando a Firenze, durante il primo mandato, lo accusarono di essersi dimenticato delle periferie e di pensare solo alla pedonalizzazione di piazza della Signoria, Renzi non negò il problema, non cambiò assessori, fece una cosa di buon senso: studiò il modo per allungare la tramvia che collega la zona di Piagge con il centro. E ricucì il territorio. Con l’ultima legge di Stabilità ha stanziato 500 milioni di euro per le periferie, grazie alla flessibilità strappata a Bruxelles. Il decreto di Renzi che stabilisce le modalità di erogazione di questi fondi alle città porta la data del 7 giugno, due giorni dopo il primo turno elettorale. Ma tutto va troppo lento, si aspettano i progetti dei sindaci, e ci vorrà molto tempo prima che i cittadini si accorgano che qualcosa sta cambiando. Il problema in fondo è tutto qui. Perché una volta in periferia c’era il Pci con le sue sezioni e la Dc con le sue organizzazioni collaterali, c’erano i sindacati, le parrocchie, un mastice che teneva incollato il mondo dei privilegiati e il mondo di sotto. Ora in questo vuoto non c’è più nulla. E Renzi ha solo il governo per provare a farsi ascoltare. Ma lo deve fare in fretta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/06/22/cultura/opinioni/editoriali/la-risposta-allo-smacco-delle-urne-6H8DvpeHmAT64tzjDvhKEM/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Testacoda in Medio oriente della delegazione Cinquestelle... Inserito da: Arlecchino - Luglio 12, 2016, 11:56:39 am Testacoda in Medio oriente
11/07/2016 Francesco Bei Ci risiamo, verrebbe da dire. Il testacoda della delegazione Cinquestelle guidata da Luigi Di Maio in Israele merita di essere valutato con attenzione perché, al di là dell’episodio in sé, racconta molto della natura del Movimento politico che si candida a guidare l’Italia (ancora una nazione del G7, tra i maggiori contributori della Nato come truppe sul terreno, fondatrice dell’Unione europea) e delle pulsioni che animano nel profondo alcune frange neppure troppo minoritarie dell’elettorato. L’amicizia verso Israele, avamposto democratico in un Medio Oriente sconvolto dalla guerra, dal terrorismo e da dittature brutali, ora ci appare scontata. Centrodestra e Pd – vale a dire forze che ancora rappresentano il baricentro della politica italiana – hanno introiettato questa amicizia (che non significa chiudere gli occhi di fronte a scelte controverse come gli insediamenti) nel loro Dna costitutivo. Ma è necessario ricordare che non sempre è stato così, questa simpatia verso gli ebrei è un sentimento recente, diciamo degli ultimi vent’anni. Basta avere un po’ di memoria storica per ricordare che tutto l’arco politico italiano, con l’eccezione dei radicali, dei repubblicani e dei liberali, è stato completamente sbilanciato a favore della causa palestinese. In anni in cui, oltretutto, l’Olp e tutte le varie frange del nazionalismo palestinese ammazzavano civili in Europa, Italia inclusa. Nemer Hammad, ambasciatore Olp in Italia, era di casa al Sismi e alla Farnesina di Giulio Andreotti ed Emilio Colombo. Per non parlare del Psi di Craxi e, soprattutto, del Pci berlingueriano. Proprio nella sinistra comunista si consumò la frattura più profonda e dolorosa con l’ebraismo politico, fino ad allora (e a ragione) considerato una costola del movimento socialista e democratico internazionale, dai tempi di Herzl e Mazzini. Un trauma che ebbe origine dalla guerra del 1967 e dalla decisione del Pci, presa a Mosca, di schierarsi con i Paesi arabi che provavano a cancellare un giovane Israele dalla mappa geografica. Da allora e per merito anche di personalità come Achille Occhetto, Giorgio Napolitano, Piero Fassino, Walter Veltroni, Umberto Ranieri, quella ferita è stata rimarginata e la sinistra italiana del Pds e poi del Pd è tornata amica di Israele. Così come, grazie a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, lo è stata la destra, Lega compresa. Ma con l’attuale declino, anzitutto culturale, degli schieramenti tradizionali, è venuta meno anche la loro «pedagogia» politica sull’elettorato. Così possono tranquillamente essere rimesse in circolo tesi unilaterali sul conflitto fra israeliani e palestinesi, un membro del direttorio M5S può dire che con l’Isis si deve trattare senza che questo implichi la sua espulsione dal consorzio civile e dai salotti televisivi, il futuro ministro degli Esteri grillino, invitato dal governo Netanyahu, può minacciare il riconoscimento della Palestina e l’apertura di un’ambasciata italiana a Ramallah. Se la missione in Israele di Luigi Di Maio era stata concepita come un primo passo del Movimento verso la maturità politica, anche in vista della visita negli Usa a settembre, si può dire che per il momento l’obiettivo è stato mancato. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/07/11/cultura/testacoda-in-medio-oriente-ojig9sIMTHcvTv6ozHC3EP/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. L’ostacolo sulla strada del premier Inserito da: Arlecchino - Ottobre 08, 2016, 04:54:09 pm L’ostacolo sulla strada del premier
08/10/2016 Francesco Bei A voler personalizzare, se Ignazio Marino ha vinto ieri la sua mano e ha riavuto indietro il suo onore, gli «sconfitti» sono almeno due. Indirettamente il capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone, che vede smontata dal giudice un’accusa che ha contribuito, in ultima istanza, al defenestramento del sindaco e ha spianato la strada del Campidoglio ai grillini azzerando un’intera classe dirigente (la smentita di ieri arriva, tra l’altro, all’indomani delle 116 richieste di archiviazione per i principali esponenti politici imputati in Mafia Capitale). Ma è in fondo il gioco della giustizia, accusa e difesa si combattono e un giudice giudica. Pignatone fa il suo mestiere, porta prove che devono essere valutate. Politicamente lo sconfitto è invece Matteo Renzi, che fu il principale avversario di Marino, il vero artefice della sua caduta. Si può discutere finché si vuole sul fatto che la città fosse paralizzata, sulle gaffe di Marino, sulla sua scarsa empatia, sui ritardi, sulle immersioni ai Caraibi, sulla Panda in sosta vietata e sui cortocircuiti persino con il Papa. Ma aver trasformato un sindaco magari inefficiente e maldestro prima in un martire - con la grottesca vicenda delle dimissioni dal notaio dei consiglieri comunali - e poi in un nemico pubblico è stato peggio che un crimine, è stato un errore politico. Adesso si tratterà di vedere quanto male potrà fargli Marino. La prima telefonata ricevuta dall’ex sindaco di Roma, quella con Massimo D’Alema, ha chiarito da che parte starà Marino nella guerra mortale che oppone Renzi e il vasto schieramento del No al referendum. Anche le attestazioni di stima a Marino da parte della minoranza dem, da Speranza a Cuperlo, rendono evidente che gli avversari del segretario del Pd, soprattutto quelli interni, possono contare da ieri su una nuova bocca di fuoco. Del resto, nell’intervista al nostro Fabio Martini, oggi Marino lo preannuncia trionfante: mi invitano ovunque a parlare del referendum e ci andrò per dire che la riforma di Renzi è scritta con i piedi. Dalle parti del premier ieri sera ci si consolava con una battuta: «Per farci davvero male Marino avrebbe dovuto annunciare un comitato per il Sì». Ma la campagna, lo dicono i sondaggi, ancora non decolla, il Sud sembra perso e non c’è speranza che recuperi. Per Renzi si tratta solo di sperare che nelle regioni del Mezzogiorno sia alta l’astensione. Ecco dunque la proposta. Invece di alimentare involontariamente la campagna del No con il miraggio delle sue dimissioni e l’addio alla politica (gli oppositori puntano più su questo aspetto che sul merito della riforma costituzionale), Renzi dovrebbe spiazzare tutti con un annuncio a sorpresa: me ne vado se vince il Sì. Soprattutto se vince il Sì. Nel senso: la mia missione era di cambiare l’Italia, ho ricevuto il mandato da Napolitano per questo, l’ho fatto, i cittadini l’hanno confermato con il voto, ora vi lascio in legato la Terza Repubblica, usatela bene. In un secondo toglierebbe ai suoi nemici l’arma di propaganda più forte, quella di voler instaurare una sorta di regime personale, ed entrerebbe nella storia. De Gaulle nel 1968 vinse le elezioni ma l’anno dopo perse per un soffio un referendum di scarso valore politico sulla riforma del Senato (!). L’indomani a mezzogiorno si dimise e si ritirò a Colombey-les-Deux-Églises, sulle Ardenne. Ma ancora oggi è sua la firma sulla Costituzione della V Repubblica. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/08/cultura/opinioni/editoriali/lostacolo-sulla-strada-del-premier-VxJOmMN6hazOZwJzhnOuiL/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Franceschini, Padoan o Calenda: la sfida nell’ipotesi dopo-Matteo Inserito da: Arlecchino - Ottobre 10, 2016, 12:00:46 pm Franceschini, Padoan o Calenda: la sfida nell’ipotesi dopo-Matteo
A decidere potrebbe essere, paradossalmente, il segretario del Pd 10/10/2016 Francesco Bei Roma Appena cinquantacinque giorni, tanti ne mancano al referendum costituzionale, e Matteo Renzi potrebbe essere costretto a subire il rito del campanellino – quello che sancisce il passaggio di consegne tra il presidente del Consiglio uscente e il subentrante – dopo averlo inflitto a Enrico Letta. E saranno pure soltanto retroscena, cose che «i giornalisti si divertono a scrivere», come ha detto ieri Dario Franceschini nell’intervista con Maria Latella. Ma nei palazzi romani c’è un nome fra tutti che si rincorre per un’ipotetica successione a Renzi in caso di vittoria del No. Quello, appunto del ministro della Cultura. Lo stesso Renzi, due giorni fa a Firenze, ha buttato lì una battuta davanti all’interessato. «Caro Dario, l’ultimo ferrarese che è passato di qui ha fatto una brutta fine, una finuccia…». A Franceschini, che oltre a essere di Ferrara è anche un appassionato di storia, deve essere corso un brivido nella schiena pensando al dominicano Savonarola, arrostito in piazza della Signoria. Ma se le battute servono a stemperare una tensione, la realtà non cambia. Perché effettivamente se c’è qualcuno che può tenere unita l’attuale maggioranza e portarla a fine legislatura, mentre il Parlamento si impegna ad approvare una nuova legge elettorale, quello è Franceschini. Leader di Areadem, un correntone a cui fa riferimento la maggioranza dei parlamentari Pd e alla quale appartengono, tra l’altro, entrambi i capigruppo: Zanda e Rosato. Lo sa bene il premier quanto conti, visto che solo grazie a lui riuscì a far saltare il governo Letta. Vicino ai giovani turchi e alla sinistra di Orlando, Martina e Fassino, l’ex segretario Pd ha inoltre buoni rapporti con Forza Italia. Un tassello non secondario in vista di un post-referendum dove giocoforza saranno il Pd e Berlusconi a doversi mettere d’accordo. Ma soprattutto il ministro della Cultura gode della stima del capo dello Stato. A rimettere in cima al mazzo la carta Franceschini è stato, forse involontariamente, un suo fedelissimo, il deputato Piero Martino. Che su Twitter ha ripubblicato, aggiungendo un commento positivo, un retroscena di Panorama sulle mosse che potrebbero portare il suo capo a soffiare la poltrona a Renzi. Ingenuità o mossa calcolata? Fatto sta che a Montecitorio nei capannelli dem venerdì si parlava solo di questo tweet. E il giorno dopo…zac! Ecco Renzi che fulmina il ministro con la battuta sul rogo di Savonarola. Ma se davvero le cose dovessero andare storte per il premier, ci sono almeno altri due uomini pronti a entrare nella rosa del capo dello Stato. Il candidato naturale è Pier Carlo Padoan, per il suo standing internazionale e perché Mattarella dovrebbe come prima cosa rassicurare i mercati. Quello stesso Padoan che a Bloomberg, da Washington, ha promesso: «Continueremo a spingere sulle riforme anche se dovesse vincere il no». Renzi quando l’ha letta è sobbalzato: «Continueremo chi?». Sebbene più defilato un altro candidato s’intravede sullo sfondo. Il giovane Carlo Calenda, possibile premier di un governo che ancora spinga sulla crescita. Raccontano che lo sventurato se ne sia vantato di recente con la persona sbagliata, che immediatamente è corsa a spifferarlo al premier, mettendo Calenda in cattiva luce. Perché non bisogna dimenticare un dato fondamentale: il 5 dicembre forse Renzi non sarà più a palazzo Chigi, ma certamente resterà al Nazareno. E qualsiasi successore dovrà avere anche il suo imprimatur. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/10/italia/politica/franceschini-padoan-o-calenda-la-sfida-nellipotesi-dopomatteo-CcJnNWzTa1ayt0ezuoKscP/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di mezzo" Inserito da: Arlecchino - Dicembre 10, 2016, 11:19:20 pm Renzi adesso è tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di torno”
Il premier: ma nel Pd mi chiedono di restare. Sms a Merkel: “Non torno indietro” Pubblicato il 06/12/2016 Francesco Bei Roma «Devo staccare. Voglio prendermi una vacanza con Agnese». E’ passata una notte e Matteo Renzi ha sbollito solo in parte la rabbia e la delusione per il risultato del referendum. Chiamato al Colle, il capo dello Stato lo avvolge con lunghi ragionamenti sulla stabilità e lo sostiene cercando di frenarne la tentazione di mollare tutto e subito. Mollare - oltre la poltrona a palazzo Chigi anche quella da segretario del Pd – questo è il vero desiderio del premier. Il quale confida a Mattarella qual è adesso il suo sogno segreto: «Mi piacerebbe staccare per davvero, prendermi un sabbatico, magari un anno negli Stati Uniti, ma i miei amici del Pd non me lo permettono». Le pressioni del Presidente alla fine fanno breccia sul capo del governo. Che quando scende dal Quirinale riferisce ai suoi di essersi piegato. «Io sinceramente avrei evitato, non sarei rimasto un minuto di più, ma è un fatto di serietà istituzionale e prima di tutto viene l’Italia. Non voglio passare per uno che fa i capricci, un bambino viziato che se ne va con il broncio. Quindi proseguiamo fino alla legge di stabilità». La garanzia che Renzi riesce a strappare a Mattarella è che anche il Capo dello Stato si adopererà con il presidente Grasso affinché l’iter della Finanziaria in Senato sia il più rapido possibile e si arrivi all’approvazione definitiva entro una manciata di giorni. Senza tornare alla Camera. Renzi lo ripete ai suoi dopo essersi congedato nel pomeriggio dai ministri con un brindisi a palazzo Chigi. «Il mio obiettivo è togliermi subito di qui. Sembra assurdo ma non riesco ad andarmene. Di solito i miei predecessori facevano le barricate per restare, io invece voglio togliermi di torno e non ce la faccio». La soluzione è il compromesso raggiunto con il Capo dello Stato, una soluzione a tempo. Costretto suo malgrado a restare in carica, in realtà Renzi si comporta come se già fosse uscito da quel portone. E il primo segnale è stato quello di cancellare tutti gli appuntamenti previsti nei prossimi giorni, atteggiandosi di fatto a premier dimissionario. Ma tra l’intenzione e la realtà ci passa in mezzo il Parlamento e le procedure della sessione di Bilancio. Perché se è vero che Mattarella ha garantito di dare una mano, la verità è che nessuno può impedire al Senato di emendare in lungo e in largo la legge approvata da Montecitorio. E’ il bicameralismo perfetto, bellezza, e gli italiani in maggioranza hanno mostrato di averlo in gran conto. Se la Finanziaria dovesse subire rilevanti modifiche, come ad esempio chiede Forza Italia con i suoi capigruppo (“via i bonus, le mance elettorali, i miliardi regalati senza coperture”), la legge dovrebbe tornare alla Camera e allora addio al progetto di lasciare palazzo Chigi già entro la fine di questa settimana. Renzi ne è consapevole: «Le opposizioni, se vogliono che me ne vada subito, mi devono dare una mano». Quanto alla legge elettorale per il Senato o alle modifiche da fare all’Italicum, pure da concordare con le opposizioni, il premier fa spallucce: «Io non me ne occupo, con quelli non parlo, ci penserà il Parlamento». Insomma, il morale è ovviamente sotto i tacchi, ma appena gli si nominano gli avversari Renzi torna Renzi: «Voglio vedere adesso cosa riusciranno a fare». Dei progetti per il futuro, di cosa accadrà al partito, è ancora presto per parlare. Al momento i pochi di cui si fida veramente lo stanno martellando con un mantra: «Sei a capo di un fronte riformista che si riconosce nella tua leadership. Un fronte che, con questo referendum, ha dimostrato di avere la maggioranza relativa del paese». E’ quello che ha scritto Luca Lotti nel suo tweet: «Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!». Non sarà facile, l’idea di ritirarsi dalla scena pubblica lo sta davvero solleticando. Un piccolo segnale lo si è colto ieri quando, nella riunione più ristretta a palazzo Chigi, si è parlato delle consultazioni al Quirinale. E Renzi ha detto chiaro e tondo che non ha molta voglia di stare ancora sotto i riflettori. «Non so se andrò io, preferirei mandare i vicesegretari. Vediamo, l’importante è che non sembri uno sgarbo al capo dello Stato». Quello che al premier ha fatto piacere è il sostegno che sta arrivando in queste ore sia al Pd che a palazzo Chigi da tanti cittadini che gli chiedono di «non mollare» e lo ringraziano per essersi speso senza riserve in campagna elettorale. Nulla ovviamente che possa far dimenticare quella massa enorme di elettori che gli ha votato contro. «Abbiamo commesso errori, non c’è dubbio, non possiamo prendercela con chi vota». Nella lunga giornata di ieri il centralino di palazzo Chigi ha smistato anche molte telefonate di leader europei che volevano esprimere personalmente il loro rammarico per le dimissioni. Alcuni provando anche a convincerlo a restare. Con Angela Merkel invece ogni formalità è superata da tempo, i due si stimano e si sono scambiati i rispettivi cellulari. Così «Angela» già nella serata di domenica, con uno scambio di sms, ha saputo dal diretto interessato quello che sarebbe accaduto: «Non torno indietro». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/06/italia/speciali/referendum-2016/renzi-adesso-tentato-dallanno-sabbatico-voglio-togliermi-di-torno-kATY6fBnabLNA3whmz5BoN/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Renzi e Gentiloni, prima lite sul ruolo di Boschi e Lotti Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2016, 01:52:29 pm Renzi e Gentiloni, prima lite sul ruolo di Boschi e Lotti
Il premier vorrebbe affidare la delega sul Cipe a De Vincenti per dare un senso al ministero per il Sud, ma il leader Pd: è di Luca Pubblicato il 17/12/2016 Ultima modifica il 17/12/2016 alle ore 09:50 Francesco Bei Roma Non è ancora una crepa, ma certo nell’ingranaggio finora oliato dei rapporti fra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi qualcosa non sta girando per il verso giusto. Stavolta non si tratta di sfumature lessicali, come quando il nuovo presidente del Consiglio, nel discorso sulla fiducia, ha messo in chiaro - senza tener conto delle impazienze di Renzi - che il suo governo non ha una scadenza, anzi andrà avanti «finché avrà la maggioranza». No, stavolta si parla di una questione molto più delicata, il ruolo di Luca Lotti e Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi. Che Gentiloni abbia dovuto pagare un forte prezzo politico e d’immagine per far contento il leader dem e mantenere Boschi nella squadra, nonostante le promesse di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum, è noto. Quello che non è stato ancora raccontato è che fino all’ultimo il presidente incaricato ha provato a puntare i piedi, cercando di convincere il segretario del Pd “dell’errore politico” che stava commettendo. Una discussione che si è protratta a lungo nelle ore successive alle dimissioni di Renzi. A sentire gli habitué del Quirinale, anche sul Colle ha provocato un certo stupore e imbarazzo l’insistenza di Renzi, che avrebbe trattato per avere precise garanzie sul ruolo dell’ex ministra delle riforme, prima ancora di discutere il nome del nuovo presidente del Consiglio. Giusta collocazione Incassata la Boschi, si trattava di trovare la giusta collocazione anche per Lotti, l’altro dioscuro del renzismo. La sua presenza al governo, al contrario di Boschi, non destava alcun problema in Gentiloni e nemmeno l’upgrade da sottosegretario a ministro dello Sport. Le complicazioni sono arrivate dopo e riguardano le deleghe da attribuire al neotitolare dello Sport. Perché Lotti, spalleggiato da Renzi, dà per scontato di mantenere almeno le competenze che aveva da sottosegretario su editoria e, soprattutto, sul Cipe, dopo che è sfumata la speranza di avere sotto di sé i Servizi segreti. Mentre Gentiloni sarebbe di tutt’altro avviso e avrebbe ingaggiato un braccio di ferro con l’ex presidente del Consiglio, adottando la tattica del muro di gomma, senza andare allo scontro aperto. Sta di fatto che, a tre giorni dal voto di fiducia, le deleghe a Lotti sono ancora un mistero. Da Palazzo Chigi fanno sapere che il lavoro è in corso, i testi sono quasi pronti, ma di fatto è ancora stallo. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, un puntiglio. Se non fosse che dal Cipe, il comitato per la programmazione economica, e soprattutto dal Dipartimento Cipe presso la presidenza del Consiglio, passano tutte le decisione strategiche sulle infrastrutture da fare. E’ quello il luogo della pianificazione di tutti i grandi appalti italiani, mentre la parte operativa viene poi delegata ai ministeri competenti. Un posto di grande potere, com’è evidente. A cui Lotti, sostenuto da Renzi, non vuole assolutamente rinunciare. L’idea di Palazzo Chigi Qual è invece l’idea di Gentiloni? «Come si può giustificare - è il ragionamento del premier - che il ministro dello Sport abbia la delega sul Cipe, che senso ha? Meglio affidarla al titolare del Mezzogiorno». Il ministro della coesione territoriale e del Mezzogiorno, dicastero nuovo di zecca e fiore all’occhiello di Gentiloni (che vuole dimostrare di aver sentito la rabbia che è salita dal Sud il 4 dicembre), al momento infatti è una scatola vuota. C’è la targa sulla porta, mancano i poteri veri. Tanto che il povero Claudio De Vincenti è stato definito dagli avversari “il ministro dei convegni”. Perché oltre a quelli per il Mezzogiorno potrà fare poco. Braccio armato La programmazione regionale è del ministro Enrico Costa, i fondi europei, che sarebbero di sua competenza, sono già tutti impegnati fino al 2020, della parte operativa dello sviluppo si occupa Invitalia, braccio armato del ministero di Carlo Calenda. L’unica strada per dare un senso al ministro del Meridione, per Gentiloni, è quindi metterlo a capo della cabina di regia del Cipe. Il precedente del ministro Fabrizio Barca, che cumulava le deleghe sul Cipe, sulle regioni e sui fondi europei, farebbe pendere la bilancia a favore di De Vincenti. Ma la resistenza di Lotti e Renzi è potente e Gentiloni rischia di finire stritolato tra due vasi di ferro. Il Giglio Magico Su una cosa tuttavia sono tutti d’accordo nel governo: le deleghe su Cipe ed Editoria, che di norma vanno al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, non possono finire a Boschi. Il primo a dolersene sarebbe proprio Lotti, da sempre rivale di “Meb” nel Giglio Magico. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/17/italia/politica/renzi-e-gentiloni-prima-lite-sul-ruolo-di-boschi-e-lotti-tS4U7SRL0RUxtxy8bbOq2H/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi: “Trump ha ragione su Putin. Ma l’isolazionismo è un.. Inserito da: Arlecchino - Gennaio 23, 2017, 11:14:53 am Berlusconi: “Trump ha ragione su Putin. Ma l’isolazionismo è un errore”
“Sono molto deluso dall’astensione della Lega su Tajani. Serve una legge proporzionale. No alle preferenze, sì ai collegi piccoli” Silvio Berlusconi tra il 1994 e il 2001 è stato alla guida di quattro governi Pubblicato il 23/01/2017 FRANCESCO BEI - ROMA Presidente Berlusconi, le celebrazioni del 60° anniversario dei Trattati di Roma colgono l’Unione in una crisi potenzialmente fatale: i 27 divisi su tutto, con la Gran Bretagna che annuncia una «hard Brexit» e Donald Trump che sembra voltare le spalle sia all’Ue che alla Nato, considerando l’alleanza atlantica «obsoleta». C’è ancora una possibilità per l’Europa? «Il sogno europeo oggi è più attuale che mai. La costruzione dell’Europa come è stata realizzata dai burocrati di Bruxelles invece è fallita e sta suscitando crescenti reazioni di rigetto. Vede, il sogno europeo è quello con il quale è cresciuta la mia generazione: era il sogno di un grande spazio di libertà, economica, politica e civile; di pace e sicurezza condivisa. Cosa ne è rimasto oggi? Una cosa, importante: la pace nel nostro continente. Ma tutto il resto è svanito, si è dissolto. L’Europa deve ripensarsi a fondo, oppure muore. Parola di un convinto europeista». L’Ue ci ingiunge di fare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro. Il governo sembra intenzionato a tenere duro, respingendo la richiesta di nuovi tagli e tasse. Come sta operando Gentiloni nel rapporto con Bruxelles? «In questa vicenda si sommano due torti, uno europeo e uno italiano. Entrambi vanno al di là della responsabilità contingente del governo Gentiloni, che si trova a gestire una situazione che ha ereditato. Il torto dell’Europa è quello di applicare un rigore burocratico e formalistico, che non tiene conto né delle esigenze dello sviluppo, né delle particolari condizioni dell’Italia, dall’emergenza profughi a quella dei terremoti». Dunque assolve Gentiloni e getta la croce su Renzi? «Il governo Renzi ha impostato un bilancio in deficit, quindi creando ulteriore indebitamento, non per fare investimenti o per rilanciare lo sviluppo, ma per distribuire promesse di denaro a pioggia in vista del referendum. Quel progetto è fallito, ma sono rimasti i conti da pagare, per il governo Gentiloni e per tutti gli italiani. Come si comporterà il nuovo esecutivo in questa difficile partita è tutto da vedere: credo però che la scelta di evitare affermazioni roboanti che poi non si è in grado di sostenere sia un apprezzabile segnale di serietà». Un’altra crisi che sembra colpire sempre più duramente l’Italia è quella dell’immigrazione clandestina. Il ministro Minniti suggerisce il doppio binario: espulsioni per i clandestini, accoglienza e integrazione per chi ne ha diritto. La convince questo approccio? «L’approccio del ministro Minniti è corretto, ma affronta solo la parte finale del problema. Quello che dovremmo chiederci non è soltanto come gestire profughi e clandestini una volta arrivati in Italia: è piuttosto come evitare che ci arrivino. Il mio governo aveva realizzato una serie di accordi con i governi del Nord Africa, primo fra tutti la Libia di Gheddafi, per fermare all’origine questo traffico di esseri umani. Purtroppo sappiamo com’è andata. Se non si chiude questo flusso, se non riusciamo a stabilizzare l’Africa e il Medio Oriente, allora il problema esploderà. E per questo non bastano le forze dell’Italia, e neppure quelle dell’Europa. Occorre una grande coalizione che veda protagonisti l’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, la stessa Cina, i Paesi Arabi moderati». È iniziata l’era Trump e gli Stati Uniti sembrano privilegiare rapporti diretti con la Russia di Putin e con la Gran Bretagna, senza vincolarsi ai vecchi alleati europei. Vede dei rischi nel nuovo approccio della presidenza Trump? «Io da un lato vedo con molto favore il ritorno ad una collaborazione con la Russia di Putin che per l’America e tutto il mondo libero dev’essere un amico e un alleato, non certo un nemico. Dall’altro vedo tutti i rischi di un ritorno all’isolazionismo. Sarebbe un grave errore, se accadesse, sia per il mondo intero, ma anche per l’America». Pochi giorni fa, dopo decenni, un italiano è riuscito a conquistare la poltrona più prestigiosa del parlamento europeo. Ma la Lega non ha votato Tajani. Se l’aspettava? «Sono rimasto molto deluso. Non credevo che la Lega potesse essere indifferente nella scelta fra un moderato espressione del centro-destra e un esponente del Pd sostenuto da tutta la sinistra. Faccio fatica a capire, ma non voglio polemizzare: per me le ragioni dell’alleanza sono più importanti». Ormai non passa giorno senza che Salvini non la attacchi personalmente. Che idea si è fatto di questo martellamento? «Immagino che Salvini si stia ponendo un problema di leadership che è del tutto prematuro e che comunque non appassiona gli italiani. Sono ben altri, e più concreti, i temi ai quali bisogna dare una risposta: fisco, sicurezza, immigrazione, giustizia, infrastrutture. E comunque le leadership non si misurano sulle polemiche, ma sul consenso». Il segretario del Pd le sembra cambiato? Ha capito la lezione del 4 dicembre? «Me lo auguro per lui. Spero rifletta e impari dalla sconfitta. Ma per ora non ho visto molti segni di cambiamento». Quali sono le linee guida che dovrebbero ispirare la nuova legge elettorale? Proporzionale con un premio di governabilità al primo partito? «È fondamentale che la nuova legge elettorale consenta la massima corrispondenza fra il voto espresso dai cittadini e la maggioranza parlamentare. Ogni distorsione in senso maggioritario, in uno scenario tripolare come l’attuale, porterebbe al governo una minoranza contro il parere dei due terzi degli elettori». Collegi piccoli o preferenze? «Ritengo che le preferenze siano il peggior sistema possibile per garantire una effettiva rappresentanza degli elettori. I candidati devono piuttosto essere proposti agli elettori in piccole circoscrizioni, in modo che i cittadini sappiano con chi hanno a che fare e dove cercarli dopo l’elezione». Il 26 gennaio ricorre il 23° anniversario della sua discesa in campo. Farà entrare aria nuova in Forza Italia? «Le rottamazioni non ci appartengono. Ma voglio che almeno un terzo dei nostri candidati e dei nostri eletti per la prossima legislatura siano persone che non hanno mai fatto politica, ma che abbiano dimostrato in altri campi le loro capacità. Nei prossimi giorni rivolgerò un appello alla “società civile”: apriamo le nostre liste a chi se la sente di candidarsi». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/01/23/italia/politica/berlusconi-trump-ha-ragione-su-putin-ma-lisolazionismo-un-errore-uOmIzq0FFBlUZ9FLQtjzIN/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Campo Dall’Orto: “Rete salva solo con la qualità. Basta pressioni Inserito da: Arlecchino - Marzo 22, 2017, 12:30:25 pm Il dg Campo Dall’Orto: “Rete salva solo con la qualità. Basta pressioni degli agenti”
“Sabato si è rotta la fiducia con i telespettatori” Pubblicato il 21/03/2017 Francesco Bei Roma Nessuna distrazione, nessun incidente, nel caso di “Parliamone sabato”, «è stata rispettata la catena di comando. Se vogliamo è ancora più grave, perché il problema non riguarda solamente la conduttrice, ma tutto un gruppo di lavoro. E chi doveva controllare evidentemente ha sbagliato». Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai, difende la decisione di cancellare il programma “Parliamone sabato” dopo lo scivolone sulle donne dell’Est. Ha capito cosa è successo? La responsabilità arriva fino al direttore di Raiuno Andrea Fabiano? «L’errore si è fermato prima. Ho ripercorso tutta la catena di controllo e purtroppo ogni passaggio è stato rispettato. Ma se vogliamo è ancora più grave, perchè chi doveva controllare ha dato via libera». Perché è ancora più grave? «Io credo molto nel principio di responsabilità e nella delega. Ma per funzionare in un’azienda come la nostra, che è a contatto con il pubblico, questi due principi devono poggiare su una cultura forte e condivisa». Quello che è mancato sabato scorso? «Esattamente, un errore lo possiamo fare tutti. Ma sabato è successa una cosa enorme: se si arriva a rompere il patto di fiducia con i telespettatori e a dare una rappresentazione completamente inaccettabile delle donne, significa che nessun campanello d’allarme è suonato. Per questo il programma è stato cancellato». La Perego paga per tutti? Il trash in tv, specie nel daytime, abbonda sovente anche sulla Rai... «Sarebbe sbagliato prendersela con lei, anche perché un programma è fatto di tante persone. In questo caso un gruppo di lavoro ha ritenuto che fosse accettabile un contenuto inaccettabile per il servizio pubblico». Insisto, cosa state facendo per evitare il trash nelle trasmissioni destinate al largo pubblico? «È da mesi che lavoriamo per cambiare i contenuti del daytime, quella parte di televisione che più di tutte, proprio perchè si rivolge a un pubblico largo, deve essere coerente con l’identità del servizio pubblico. Un’identità sempre più slegata dal modello di tv commerciale». In concreto? «Solo per fare un paio di esempi, abbiamo tolto la cronaca nera dalla domenica pomeriggio, per evitare di scadere nel sensazionalismo e abbiamo investito molto nella divulgazione culturale, con esempi quali la prima della Scala in diretta su Raiuno, oppure Fuocammare in prima visione su Raitre. Adesso ripensiamo tutti i contenitori». Polemica sulla Rai e le donne dell’Est. I vertici a chi devono fare le scuse? Per fare cosa? «Il modello è un po’ quello di Uno Mattina, che sa tenere insieme contenuti di qualità, giornalismo e l’infotainment più leggero». C’è anche il problema di manager esterni, come Lucio Presta (marito e agente della Perego), che nei programmi fanno il bello e il cattivo tempo. Farete qualcosa per contenerne lo strapotere? «La verità è che quanto più un’azienda ha le idee chiare sulla sua mission, tanto più è indipendente da figure esterne di questo tipo. I manager come Presta ci sono in tutte le tv del mondo, fanno il loro mestiere, ma sei tu azienda che devi avere la forza per decidere in maniera autonoma senza sottostare alle pressioni». Intanto come tapperete il buco del sabato pomeriggio su Raiuno? «Non si tratta di tappare un buco. Ho chiesto ad Andrea Fabiano di sviluppare dei progetti che vadano nella direzione di una televisione sempre più scritta, con gruppi autoriali e giornalistici più strutturati. Tanto più il servizio pubblico è scritto, come con le fiction, tanto più è forte e difendibile. Vale anche per il varietà e lo dimostrano i casi di Bolle, di Mika su Raidue, o la Notte al Museo di Alberto Angela». A che punto siete con il tetto agli stipendi delle star? Riuscirete a farlo saltare? «Siamo fiduciosi che le Istituzioni possano accompagnarci verso una soluzione positiva, altrimenti le conseguenze potrebbero essere significative. Per avere un’azienda forte e indipendente è indispensabile lasciare alla Rai la libertà d’azione per cercare i migliori talenti sul mercato». Vista la situazione della Rai, qualcuno ha anche lanciato l’idea di mettere a gara la concessione di servizio pubblico. Si sente in pericolo? «La concessione si giustifica proprio per il modo in cui stiamo portando avanti questa cultura che prova a unire qualità e ascolti. Siamo noi della Rai che dobbiamo provare tutti i giorni ad essere all’altezza della missione che ci è stata affidata». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/21/italia/cronache/il-dg-campo-dallorto-rete-salva-solo-con-la-qualit-basta-pressioni-degli-agenti-Y26CqGLfHOajpMAh6Yk78J/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Strappo che va oltre la politica Inserito da: Arlecchino - Marzo 23, 2017, 11:09:31 am Strappo che va oltre la politica
Pubblicato il 17/03/2017 - Ultima modifica il 17/03/2017 alle ore 09:59 FRANCESCO BEI Si possono legittimamente criticare i senatori che, votando contro la decadenza di Augusto Minzolini, hanno di fatto svuotato di senso la legge Severino. Si può certamente attaccare il Pd, accusarlo di consociativismo con Forza Italia, denunciarne il doppiopesismo quando si trattò di cacciare dal Senato Silvio Berlusconi. Si possono fare e dire molte cose e il Movimento Cinque Stelle, nella conferenza stampa di ieri, ha detto tutto quello che c’era da dire e anche di più. Ciò che tuttavia non si può fare – e spiace ricordarlo a un giovane che da quattro anni ricopre (grazie ai voti del Pd) la carica di vicepresidente della Camera – è lasciare libertà di caccia ai picchiatori. Perché di questo stiamo parlando. Quando Luigi Di Maio sostiene che i senatori a favore di Minzolini non si devono lamentare «se poi qua fuori i cittadini manifestano in maniera violenta», bisogna dire chiaro che il limite è stato sorpassato. Il limite della convivenza civile, quello che dovrebbe imporre a tutti, specie a chi rappresenta le istituzioni parlamentari, di fermarsi prima della soglia dell’incitamento indiretto al linciaggio. Ogni giustificazionismo della violenza è sbagliato. Di Maio è un moderato, domani potrebbe persino avere l’onore di rappresentare l’Italia nel mondo. Quelle parole non gli appartengono e farebbe bene a riconoscerlo. E anche il gesto di stracciare una legge dello Stato, altamente simbolico, appare del tutto fuori luogo. Tra i senatori messi alla gogna da Di Maio e Di Battista c’è anche la giornalista antimafia Rosaria Capacchione, sotto scorta, un garantista a 24 carati come Luigi Manconi, un antirenziano doc come Massimo Mucchetti, fino al filosofo dell’operaismo Mario Tronti. Tutti eversori e venduti? Di Maio è un politico capace e siamo certi che saprà emendarsi da questo scivolone. Nel frattempo, lo invitiamo a riflettere su queste tre righe. «Le istituzioni parlamentari, con tutti i loro difetti, hanno una funzione: proteggere un minimo di libertà politiche e di diritti personali contro il dispotismo, mentre i fascisti intendono fare uso della forza di strada per abolire le istituzioni parlamentari». Lo scriveva Gaetano Salvemini a Carlo Rosselli. Sappiamo com’è finita. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/17/cultura/opinioni/editoriali/strappo-che-va-oltre-la-politica-rhPsehhFvr8clh4xOEBMvM/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Ma il governo evita lo scontro con Mosca Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 05:01:29 pm Ma il governo evita lo scontro con Mosca
Pubblicato il 31/03/2017 - Ultima modifica il 31/03/2017 alle ore 06:57 FRANCESCO BEI Il popolo italiano ama la Russia. La sua letteratura immensa, i suoi paesaggi, la sua storia, i musei, la musica, la gente. E i russi amano giustamente il nostro Paese, l’estate popolano le nostre spiagge, visitano le nostre città d’arte, vestono la nostra moda, adorano il nostro cibo. Un amore ricambiato, dunque. E’ del tutto legittimo che il governo italiano e le principali forze politiche – su questo punto c’è una sorta di unanimità – si battano da tempo nelle sedi opportune per un ripensamento delle sanzioni contro Mosca. Tra le nazioni europee siamo politicamente i più vicini alla Russia. Ma questo non può giustificare quello che potrebbe accadere o sta già accadendo riguardo a una possibile interferenza nelle elezioni in Italia e negli altri Paesi che andranno al voto quest’anno nell’Unione Europea. Non sappiamo se l’avvertimento che gli Stati Uniti hanno trasmesso al nostro e ad altri governi occidentali, di cui ha scritto ieri Paolo Mastrolilli, sia fondato su fatti concreti oppure no. A noi è sufficiente per giudicare quello che è squadernato sotto gli occhi di tutti: la posizione di acritico sostegno a tutto ciò che viene dal Cremlino da parte della Lega e del M5S. Quando un importante esponente dei cinque stelle, di fronte all’ondata di arresti degli oppositori di Putin, ribatte con un «e allora Guantanamo?», come se i diritti umani e civili in Russia avessero la stessa protezione rispetto agli standard occidentali, il problema non è la Stampa o il presunto accanimento nei confronti dei grillini. La trave che il M5S si rifiuta di vedere è la possibilità che una grande potenza straniera stia cercando di influenzare direttamente i risultati delle elezioni a casa nostra. Come forse ha fatto negli Stati Uniti. Abbiamo già avuto in Occidente per oltre quarant’anni dei partiti comunisti che erano la longa manus di Mosca: coordinati dal Cremlino venivano usati come quinte colonne dal patto di Varsavia per indebolire la capacità di risposta della Nato. E di nuovo, curiosamente, è oggi proprio il M5S a proporre l’uscita dell’Italia dall’Alleanza Atlantica. Che è cosa diversa, caro Alessandro Di Battista, dalla legittima difesa dell’export italiano in Russia colpito dalle sanzioni. L’altra anomalia, certamente meno grave ma da segnalare, è il silenzio del governo italiano su queste presunte interferenze russe. In tutti i Paesi europei e anche a Bruxelles si studiano contromisure o quanto meno si prende atto del problema. Da noi, al contrario, tutto tace. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/31/cultura/opinioni/editoriali/ma-il-governo-evita-lo-scontro-con-mosca-1l0d9BbCzihhun39Py06PN/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Due segnali che svelano la fragilità Inserito da: Arlecchino - Aprile 08, 2017, 05:34:30 pm Due segnali che svelano la fragilità
Pubblicato il 06/04/2017 FRANCESCO BEI Non è privo di utilità, per capire dove sta andando l’Italia e l’Europa, leggere insieme i due eventi politici della giornata di ieri, così apparentemente diversi. Da una parte l’elezione a sorpresa di un senatore Ap, con i voti dell’opposizione, a presidente della prima commissione di Palazzo Madama, quella per intenderci da cui passerà la legge elettorale; dall’altra la votazione on line del programma Esteri del M5S, con gli iscritti al blog chiamati a scegliere tre su dieci proposte pre-selezionate dagli «esperti». Il primo avvenimento, in tempi normali, sarebbe stato derubricato a incidente parlamentare. Poco più di un anno fa, sempre al Senato, venne eletto presidente della commissione lavori pubblici il forzista Altero Matteoli. E nessuno nel Pd si appellò a Mattarella. Ma in politica contano i tempi e il contesto. E il quadro attuale è di una debolezza imbarazzante: è debole il governo, al limite della paralisi. E’ debolissima la maggioranza, a Palazzo Madama esposta a ogni refolo, a ogni ricatto, a ogni rappresaglia. Poco importa se del voto di ieri siano responsabili gli scissionisti Pd per punire Renzi, una frangia di Ap per punire Alfano, il fronte dei proporzionalisti contro i maggioritari, oppure gli stessi renziani. Magari per creare l’incidente e provocare una crisi. Quello che conta è che il Pd, con i suoi organi dirigenti, ha cercato di drammatizzare al massimo l’episodio, dando una forte scrollata all’albero in cima al quale è seduto Paolo Gentiloni. Qualcuno pensa davvero che una situazione tale possa durare ancora un altro anno? E questo ci riporta alla seconda notizia di ieri, i grillini che avanzano nella costruzione di una forza di governo, con un programma che non siano solo slogan o «stelle». Stavolta è toccato alla politica estera, fondamentale per capire che tipo di Italia hanno in mente e dove la vogliono collocare in Europa e nel mondo. Con una certa schematizzazione, non è sbagliato inserire il M5S - alla luce della lettura dei dieci punti sottoposti al voto - in quel fronte composito di partiti e movimenti, di destra e di sinistra, che si propongono di smantellare l’Europa che conosciamo, con il suo sistema di trattati (compresa la Nato), per tornare a un mondo di Stati nazionali, al vecchio concerto europeo delle potenze, dove ciascuno è libero di perseguire i propri interessi. In fondo, con tutte le dovute differenze fra il Fronte nazionale di Marine Le Pen - partito di estrema destra, venato anche di antisemitismo - e il Movimento Cinque Stelle, la visione europea che ne viene fuori è la stessa: Nazioni che si riprendono le quote di sovranità cedute nei decenni verso le istituzioni comuni, che siano l’Unione europea o la Nato. Governi che non si impicciano degli affari interni degli altri Paesi, fine dell’interventismo umanitario e stop alla diplomazia dei diritti umani. Significa che Putin è padrone a casa sua di fare ciò che vuole con i suoi oppositori interni, basta che continui a fare affari con le imprese italiane. Significa lasciare Assad libero di continuare a combattere la sua guerra ai «ribelli» nei modi che crede. Il testa a testa fra l’europeista Macron e la sovranista Le Pen in Francia segnerà il destino di tutta l’Europa. Se dovesse prevalere la candidata di destra, l’Ue sarebbe finita, inutile girarci intorno. Se al contrario all’Eliseo vincesse Macron e in Germania, in autunno, i tedeschi premiassero un altro grande europeista come Martin Schulz, la storia prenderebbe una svolta. Sarebbe il rilancio del sogno federalista. In Italia, quando finalmente arriveranno le elezioni, il bivio sarà ugualmente decisivo. Lo si è cominciato a capire ieri, bastava leggersi i dieci punti sul Blog. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/06/cultura/opinioni/editoriali/due-segnali-che-svelano-la-fragilit-775cf5TrRtV5OYc1fN5LxO/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170406. Titolo: FRANCESCO BEI. All’Italia serve una «scossa», un piano pensato in grande per ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 11, 2017, 09:32:14 am Matteo Renzi nega l’isolamento: “Il premier la pensa come me”
Il segretario Pd: “Abbiamo colto nel segno, ora non si discute più di alleanze” Pubblicato il 11/07/2017 - Ultima modifica il 11/07/2017 alle ore 07:39 FRANCESCO BEI ROMA All’Italia serve una «scossa», un piano pensato in grande per farci uscire dalla crescita misurata sempre sui decimali. Il tempo è arrivato, perché «di austerità ne abbiamo avuta fin troppa e non ha funzionato». Quello che Matteo Renzi ha proposto nel suo libro «Avanti» - portare il rapporto deficit/Pil alla soglia del 3 per cento, violando deliberatamente il Fiscal Compact, e usare questo surplus per abbassare le tasse - è stato accolto ieri in maniera ruvida a Bruxelles, mentre Gentiloni è rimasto in silenzio e Padoan non ha sprizzato entusiasmo. Ma il segretario del Pd nega che la sua battaglia sia in contrasto con quanto sta facendo il governo in Europa. «La dichiarazione di Padoan l’abbiamo concordata ed ha ragione lui: io parlo del futuro, della prossima legislatura». LEGGI ANCHE - L’Ue ignora le proposte di Renzi: “Parliamo con Gentiloni e Padoan” (M. Bresolin) Quanto al premier, parlando con i collaboratori Renzi spiega che è «ridicolo» immaginare una distanza tra lui e Gentiloni: «Paolo queste cose le conosce bene, ne parliamo insieme da una vita. Del resto non è una proposta estemporanea, sono due anni che il mio team ci sta lavorando e ne ho parlato anche con diversi professori di economia. Sarà questa una delle idee del Pd in campagna elettorale». Il senso del ragionamento è chiaro: Gentiloni, a differenza di Padoan, non è un tecnico. È un dirigente di primo piano del Pd, renziano della prima ora. Se è comprensibile la prudenza odierna di palazzo Chigi per non entrare in conflitto palese con la Commissione Ue, è chiaro che il leader del Pd dà per scontato che il capo del governo sappia da che parte della barricata stare. Il giorno dopo, Renzi si gode l’effetto che fa. In un tempo che consuma qualsiasi idea in un amen, la sua provocazione in effetti ha monopolizzato il dibattito. «Abbiamo colto nel segno, lo dimostrano proprio queste reazioni contrarie di Bruxelles. Visto che la Commissione presenterà tra il 2017 e il 2019 una proposta per integrare il Fiscal Compact nel quadro giuridico dell’Ue, a quel punto la posizione ufficiale del Pd è che l’Italia debba mettere il veto. Mentre per loro era tutto scontato, adesso non lo è più, questo inserimento devono trattarlo con noi. Un primo risultato lo abbiamo già ottenuto». A Renzi premeva tracciare una linea da cui ripartire, consapevole che la battaglia vera deve ancora cominciare. «Il punto oggi era ribadire, senza fare polemiche sterili, che l’austerità è un errore». E non a caso, a dimostrazione che «abbiamo colto nel segno», il primo a contrattaccare è stato Dijssemloem, «il custode dell’austerità, quell’olandese che accusò gli europei del Sud di dissipare i soldi in alcol e donne. Uno che per fortuna, avendo il suo partitino preso il 4 per cento, tra poco non sarà più presidente dell’Eurogruppo». Della trattativa in Europa, minaccia di veto compresa, se ne dovrà insomma fare carico «il prossimo governo, da chiunque esso sarà guidato: Gentiloni, Renzi, Zaia, Draghi, chiunque. È una battaglia italiana, non mia». Certo, per condurla con efficacia serve un governo forte, con una prospettiva di legislatura. «Per questo mi premeva andare subito al voto, perché a Bruxelles i rapporti di forza contano eccome. Lì ti misurano al centimetro: l’apertura sulla flessibilità è nata all’indomani della vittoria alle Europee, prima non ci si filava nessuno». L’altro effetto di cui Renzi molto si compiace è che il dibattito domestico da 48 ore ruota attorno a questo. «Non si parla più di alleanze o di legge elettorale ma di cose concrete, adesso voglio vedere chi dice che non abbiamo idee». E la sinistra che lo attacca? «Ma come fa Bersani a non essere d’accordo con il deficit al 2,9? Infatti non può, è costretto a fare polemica su come spendere quei soldi che resteranno in Italia. Ma di quello ne possiamo discutere, io sono per abbassare le tasse, loro parlano di investimenti. Benissimo, facciamo metà e metà?». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/11/italia/politica/matteo-renzi-nega-lisolamento-il-premier-la-pensa-come-me-QH7C2L5zTTGx1RnXHY0ktN/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Alfano: la collaborazione col Pd ormai s’è conclusa Inserito da: Arlecchino - Luglio 18, 2017, 04:39:39 pm Alfano: la collaborazione col Pd ormai s’è conclusa
«Ma continuiamo a sostenere lo stesso governo, Gentiloni corretto. Lo ius soli? Una legge giusta proposta nel tempo sbagliato» Il leader di Alleanza popolare Angelino Alfano ha ormai rotto con il Pd Pubblicato il 18/07/2017 FRANCESCO BEI ROMA Pd addio, «la collaborazione con loro si è ormai conclusa», annuncia il leader di Alternativa popolare Angelino Alfano. Lei è appena uscito dalla riunione con gli altri ministri degli esteri dell’Ue dove si è parlato proprio di Libia e dell’ondata di migranti sulle nostre coste. La solita solidarietà a parole all’Italia? «Diciamo che tutti hanno ben chiara l’insostenibilità di questa situazione, sarebbe bene che tutti avessero il coraggio di fare insieme a noi seri investimenti in Africa per diminuire le partenze e applicassero quanto già sottoscritto in termini di ricollocamenti». Intanto in Italia avete fatto questo sgambetto al Pd sullo ius soli. Si è vendicato di Renzi che l’ha trattata come un leader di un cespuglio senza voti? «Macché...Semplicemente: una legge giusta, se fatta in un modo o in un tempo sbagliato, rischia di diventare sbagliata al di là del merito». Voi lo ius soli l’avete votato alla Camera, adesso avete cambiato idea. Al di là della buona volontà di Gentiloni di approvarla a settembre, la legge è finita su un binario morto? «Noi abbiamo ribadito a Gentiloni che non siamo pentiti del voto favorevole alla Camera. Ma alcuni correttivi saranno necessari al Senato, anche su questioni delicate». Per esempio? «La concessione della cittadinanza nei confronti di figli i cui genitori non l’abbiamo chiesta. Alcuni elementi di debolezza vanno colmati». Ma così si rischia di non fare più in tempo a votarla, e poi ci sarà la sessione di bilancio... «Non abbiamo pregiudiziali ideologiche contro lo ius soli, ma ciascuno ha le sue priorità: noi per esempio, per questo finale di legislatura, chiediamo l’approvazione della legge sulla legittima difesa». Insomma, proponete uno scambio al Pd: ius soli in cambio della legittima difesa? «Nessun baratto, ma vogliamo concordare un’agenda di fine legislatura con le forze che sostengono il governo». Intanto con il rinvio dello ius soli avete ottenuto gli applausi del centrodestra. State lavorando per tornare alla casa madre? «Con questa legge elettorale che non prevede alleanze, abbiamo la possibilità di costruire un’area autonoma, popolare e liberale. A questo soltanto stiamo lavorando. Non sono previste alleanze e noi non le stiamo cercando: sono gli altri, da Monza a Catanzaro passando per Genova, che alle ultime amministrative le hanno cercate con noi». E dopo il voto? «Vedremo come si saranno espressi i cittadini». Dopo la decisione di bloccare la fiducia sullo ius soli si è guastato il vostro rapporto con Gentiloni? «Il presidente del Consiglio è stato molto corretto, ha mostrato rispetto verso chi lo sostiene pur ribadendo che la legge la vuole fare. Il rispetto e la buona educazione talvolta sono un optional, come il metallizzato sulle auto, mentre Gentiloni le ha di serie. Ha esercitato inoltre una leadership di sua stretta competenza - in quanto premier - nel decidere di non mettere la fiducia». A differenza di altri, come Renzi, intende? Con il segretario del pd ha più avuto modo di parlare dopo la rottura sulla legge elettorale? «Non ce n’è stata né l’occasione né la necessità». Probabile che si vada al voto con queste leggi rimaste dopo il taglia e cuci della Consulta. Voi cosa farete? «Cercare alleanze è un modo per confondere gli elettori visto che non sono previste dal Consultellum. Io credo invece che occorra al più presto lanciare una proposta politica che unisca tutti coloro che sono distinti e autonomi dalla sinistra, ma che non vogliono andar dietro a chi, come Salvini, ci vuole portare fuori dall’Europa». Addio Pd dunque? «La collaborazione con loro si è ormai conclusa, sosteniamo lo stesso governo, ma non facciamo parte della stessa coalizione: diciamo che abbiamo un parente in comune, di nome Gentiloni, ma tra noi e loro non c’è più alcun legame». Con Berlusconi invece come vanno le cose? L’ha più sentito? «Sì, ci siamo incontrati al funerale di Kohl». E...? «Ci siamo salutati ma non abbiamo parlato di politica». Un’ultima cosa, c’è molta polemica sulla missione Triton: la destra e M5s sostengono che Renzi abbia barattato la flessibilità sui conti con l’accettazione della clausola per cui i migranti sarebbero stati sbarcati nei nostri porti. È andata così? «Io all’epoca ero al Viminale, il negoziato sulla flessibilità non era, ovviamente, nelle mie competenze, ma mi sento di escludere scambi. E comunque Triton, per quanto riguarda le navi europee, conta solo il 10 per cento sul totale degli sbarchi». Da - http://www.lastampa.it/2017/07/18/italia/politica/alfano-la-collaborazione-col-pd-ormai-s-conclusa-mgh8eJgFfDCEVyhZgGV2NK/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Berlusconi: “Parigi deve capirlo, non è più il tempo di Colbert Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:13:54 pm Berlusconi: “Parigi deve capirlo, non è più il tempo di Colbert e del Re Sole”
Il leader di Fi: “Fincantieri? L’Italia ha perso peso con gli ultimi governi”. E sui retroscena dell’intervento in Libia nel 2011: “Il tempo è galantuomo” Ex Premier Silvio Berlusconi è tornato a essere uno dei protagonisti del dibattito politico Pubblicato il 04/08/2017 FRANCESCO BEI ROMA Reduce da una settimana a Merano in un centro benessere, dal quale torna «in forma, “ricaricato”, con molte idee e molti progetti per l’Italia», Silvio Berlusconi attacca l’atteggiamento «né liberale né europeista» del presidente Macron sul caso Fincantieri/Stx e attende invece speranzoso a settembre un «successo» elettorale della Merkel per trovare un nuovo equilibrio in Europa. I francesi propongono una partnership 50-50 allargata anche al settore militare. Ma il ministro Padoan anche oggi ha ribadito il no del governo. Lei accetterebbe? «Certamente no. I governi francesi, forse memori della lezione di Colbert, non esitano ad usare la forza politica, diplomatica e anche militare dello Stato per difendere gli interessi delle aziende francesi e ostacolare quelle straniere. Non dimentico che fui costretto a cedere la rete tv che avevo creato in Francia, La Cinq, che aveva troppo successo perché il governo di allora potesse accettarla. Però dall’epoca del Re Sole il modo di intendere i rapporti in Europa dovrebbe essere cambiato. Ma i presidenti francesi se ne sono accorti?». Parigi teme per l’occupazione e per il possibile scippo di tecnologia... «Il cantiere di Saint-Nazaire non è un’impresa pubblica che viene privatizzata, bensì un’impresa che i francesi avevano già venduto a un gruppo coreano che deteneva il 66% ed è poi fallito, e che Fincantieri, con una operazione dalla logica industriale impeccabile, ha rilevato. Bloccarla non mi sembra un atteggiamento né liberale né europeista». Anche in Libia gli interessi italiani e francesi si scontrano. Gentiloni non è stato invitato al summit di Parigi e la Francia sostiene Haftar che ha un forte atteggiamento anti-italiano. Esiste una via d’uscita? «Dispiace dirlo, ma in questi anni il peso specifico del nostro Paese a livello internazionale è sensibilmente diminuito. Basti pensare alla dilettantistica e sciagurata gestione dell’emergenza immigrazione da parte della sinistra. Il mio governo era riuscito, stipulando accordi bilaterali con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, prima fra tutti la Libia di Gheddafi, a impedire che i migranti partissero dall’Africa». È il lavoro che sta portando avanti Minniti. Anche Forza Italia ha votato la missione, no? «Adesso sembra che a sinistra abbiano finalmente capito che questa è la strada giusta da seguire, e siamo i primi a compiacercene. Abbiamo espresso un voto favorevole all’iniziativa del governo per senso di responsabilità, da settembre verificheremo puntualmente quello che accade. Bisogna operare sui punti di imbarco e sulle acque libiche per fermare e controllare sul nascere l’invasione». Giorgio Napolitano ha ricostruito su Repubblica il retroscena dell’intervento in Libia nel 2011, attribuendo al suo governo la decisione finale sulla missione decisa da Francia e Inghilterra. Conferma la versione del Presidente emerito? «Non mi piacciono le ricostruzioni interessate e autoassolutorie. Per fortuna il tempo è galantuomo e posso dire anche io, come il Presidente Napolitano: “ho un ricordo che altri forse hanno cancellato”. Quello che è importante è che anche il Presidente Napolitano ricorda e riconosce come io fossi contrario all’intervento militare in Libia e come lo abbia manifestato in quella e in altre circostanze, fino alle dimissioni del governo. Tanto da aggiungere: “che Berlusconi abbia evitato quel gesto per non innescare una crisi istituzionale al vertice del nostro Paese, fu certamente un atto di responsabilità da riconoscergli ancora oggi”. E questo mi basta». A settembre si vota in Germania: un’elezione importante anche per far ripartire l’Europa? «Elezioni importantissime, dalle quali mi aspetto – e naturalmente mi auguro - un successo della signora Merkel e del suo partito, che è come noi parte integrante del Ppe, il centro cristiano e liberale, alternativo alla sinistra, che noi orgogliosamente rappresentiamo in Italia». Quali sono i suoi rapporti con la Cancelliera? «I miei rapporti con la signora Merkel sono sempre stati eccellenti. Non sono riusciti a scalfirli neppure le dicerie malevole su una battuta volgare che non ho mai pronunciato, e che le solite intercettazioni, una volta tanto utili, hanno clamorosamente smentita. E neppure è servita la “trappola” creata da Sarkozy contro l’Italia nel 2011, quando la signora Merkel fu coinvolta suo malgrado, con un sorriso, in un giudizio sarcastico sul nostro Paese. Oggi la signora Merkel è in Europa forse l’unico statista con una visione all’altezza dei tempi». A novembre invece sarà la volta delle elezioni in Sicilia. Chi vince lì vince in Italia? E Forza Italia alla fine si presenterà con Ap? «Per dire la verità, le elezioni siciliane sono molto importanti, ma non sono e non saranno decisive per il futuro del Paese, come tanti vorrebbero far credere. L’eventuale accordo con Ap si baserà su considerazioni locali: già in altre importanti regioni, la Lombardia e la Liguria, governiamo bene insieme, senza che questo preluda ad alleanze nazionali, impossibili con chi fino ad oggi ha sostenuto la sinistra». Lei di recente ha rilanciato il sistema elettorale tedesco, naufragato alla Camera. Ma senza un premio di maggioranza non c’è il rischio di non avere alcuna maggioranza dopo il voto? Non la spaventa il caso spagnolo, con lo spettro di dover tornare al voto a giugno 2018? «Se non sbaglio la Spagna dalla morte di Franco, come la Germania dal 1949, hanno conosciuto governi democratici che, in un regime di alternanza, hanno portato i due paesi ad una trasformazione e ad una crescita straordinaria. Dunque il sistema proporzionale non funziona così male. Le difficoltà a formare un governo non dipendono dalla legge elettorale: il problema si è posto poche settimane fa anche nel Regno Unito dove il sistema di voto è strettamente uninominale». Se si andasse invece a votare, nonostante l’appello di Mattarella, con i due sistemi attuali, è possibile immaginare una lista unica Forza Italia-Lega-Fdi? «Non voglio neppure prendere in considerazione l’idea che il saggio appello del Capo dello Stato a modificare l’attuale legge elettorale sia lasciato cadere nel vuoto, vanificando così ancora una volta la possibilità per i cittadini di scegliere davvero il loro futuro». Intanto per Forza Italia che programmi ha? «Mi dedicherò ad un intenso programma di incontri con i protagonisti dell’impresa, delle professioni, del lavoro, della cultura, ai quali spiegherò le mie idee sulla “rivoluzione liberale” per l’Italia, e che spero di convincere a scendere in campo con noi». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/08/04/italia/politica/berlusconi-parigi-deve-capirlo-non-pi-il-tempo-di-colbert-e-del-re-sole-XSOAsyc52RE5EgW2ScNNCK/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Se il Colle si sostituisce a Gentiloni Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:19:28 pm Se il Colle si sostituisce a Gentiloni Pubblicato il 08/08/2017 Francesco Bei La crisi istituzionale che ha investito ieri il governo, arrivando a far traballare la poltrona del ministro dell’Interno, sembra rientrata solo grazie all’intervento diretto del capo dello Stato. Secondo la Costituzione (articolo 95), spetta al presidente del Consiglio mantenere l’unità di indirizzo politico del governo, coordinando l’attività dei ministri. Ora era evidente da giorni che, sulla materia del contrasto all’immigrazione clandestina, la cacofonia nell’esecutivo aveva raggiunto livelli di guardia. Ma lo sforzo di persuasione di Gentiloni con quei ministri più propensi ad ascoltare il grido di dolore delle Ong, non era stato sufficiente ad evitare l’isolamento e la conseguente minaccia di dimissioni del titolare del Viminale. Così si è resa necessaria la copertura del capo dello Stato, che ieri ha rimesso in equilibrio l’asse del governo facendo capire a tutti che Minniti gode dell’apprezzamento del Quirinale. A conferma della legge della fisarmonica presidenziale: quando la politica è debole i poteri del capo dello Stato si dilatano. Per Mattarella è la prima volta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/08/08/cultura/opinioni/editoriali/se-il-colle-si-sostituisce-a-gentiloni-Kd4zQeKcqFKmrYxyZq3lBL/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Niente accordo fra i centristi, salta la Direzione Inserito da: Arlecchino - Dicembre 03, 2017, 01:45:22 pm Niente accordo fra i centristi, salta la Direzione
Il ministro Lorenzin punta all’intesa con il Pd, Lupi vuole una corsa in solitaria Pubblicato il 02/12/2017 - Ultima modifica il 03/12/2017 alle ore 07:24 FRANCESCO BEI ROMA Nulla di fatto. I centristi non riescono a trovare la quadra al loro interno fra chi, come il ministro Beatrice Lorenzin, punta a stringere un’alleanza di governo con il Pd e l’ala invece “autonomista” di Maurizio Lupi. Così la direzione che lunedì avrebbe dovuto prendere una decisione finale slitta ancora di una settimana. Nell’ultima riunione era stato approvato quasi all’unanimità (salvo i voto contrari di Roberto Formigoni e Gabriele Albertini) un documento che dava mandato al coordinatore Lupi e al vice Gentile di «approfondire i contenuti di un’opzione che prevede la prosecuzione di un’alleanza di governo in vista della campagna elettorale o di fare un’alleanza con le forze centriste per un’eventuale corsa autonoma in vista di prossime elezioni». Lorenzin spinge per proseguire l’intesa con il Pd di Renzi, perché «andare da soli significherebbe danneggiare i moderati e regalare la vittoria ai populisti Salvini e Grillo». Il coordinatore Lupi, sensibile alle richieste dei lombardi e dei liguri più favorevoli al centrodestra, vorrebbe invece mantenere un profilo autonomo. Accettando anche il rischio di non superare l’asticella del 3 per cento fissata dalla legge elettorale. In mezzo Angelino Alfano, che comunque ha deciso di non correre in un collegio uninominale ma soltanto nella quota proporzionale. Una settimana è quindi passata invano e la decisione di far slittare la Direzione certifica l’impasse. Lunedì si terrà soltanto la segreteria ristretta di Alternativa popolare. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/02/italia/politica/niente-accordo-fra-i-centristi-salta-la-direzione-62c5bm6uhiPJTr23pHfBPL/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Maria Elena Boschi: “Quegli incontri erano doverosi, non farò il Inserito da: Arlecchino - Dicembre 21, 2017, 12:34:22 pm Maria Elena Boschi: “Quegli incontri erano doverosi, non farò il capro espiatorio” La sottosegretaria: nessun favore, pronta a ricandidarmi Pubblicato il 21/12/2017 Francesco Bei Roma «Non sono stata io a chiedere di acquisire. Io mi sono informata sul se, non ho chiesto di. É una informazione, non una pressione. C’è una differenza abissale». È questa la linea del Piave di Maria Elena Boschi, al termine di 48 ore infernali sul caso Banca d’Etruria. Una differenza semantica tra «pressione» e «informazione» che la spinge a resistere contro le richieste di dimissioni che si alzano pubblicamente dalle opposizioni. E contro le voci interne al Pd che vorrebbe non si ricandidasse. Lei lamenta di essere diventata il capro espiatorio dell’intera crisi bancaria, quando Banca Etruria in fondo vale una piccola frazione del totale. Ma se è vero, non sente anche una responsabilità nell’errore speculare del Pd che ha impostato il lavoro della commissione come una revanche contro la Banca d’Italia e il suo governatore? «Io non mi lamento, io prendo atto. Ci sono stati scandali, perdite bancarie per almeno 44 miliardi di euro, vergognose mistificazioni e di che cosa parlano gli addetti ai lavori? Solo della mia agenda e dei miei appuntamenti che sono, peraltro, del tutto legittimi e doverosi. Penso che il Pd abbia fatto benissimo a chiedere la Commissione di inchiesta non per vendicarsi, anche perché non si capirebbe di cosa, ma per mettere in evidenza i nodi che impediscono alla vigilanza di funzionare bene. Noi siamo quelli della trasparenza, sempre. Qualcuno ha trasformato il racconto di questa Commissione in una caccia all’uomo, anzi alla donna. Ma ognuno è responsabile di ciò che fa: il Pd fa bene a insistere per fare chiarezza». Il banchiere Ghizzoni, pur dicendo che lei non fece «pressioni», di fatto ha ripetuto in commissione quello che scrisse Ferruccio De Bortoli nel suo libro. Fair play vorrebbe che ritirasse la querela nei confronti di De Bortoli… «Eh no. De Bortoli sostiene che io vada da Ghizzoni per chiedergli di comprare la banca e che l’Ad a quel punto faccia fare le verifiche. A chiedere a Unicredit di valutare l’acquisizione era stata Mediobanca e le necessarie verifiche erano state fatte prima che io chiedessi informazioni a Ghizzoni. De Bortoli mi ha confuso con Mediobanca, ma non è la prima volta che prende di mira qualcuno di noi del cosiddetto “Giglio Magico”. Proprio non gli andiamo giù, peccato. L’azione civile va avanti e spero solo che non cada tutto nel dimenticatoio». Lei nel 2014 era già ministro e braccio destro del presidente del Consiglio. Non le sembra che già il solo fatto di chiedere informazioni a un banchiere sia una forma di pressione? «Vediamo di dirla chiara. Non ho fatto pressioni, non ci sono stati favoritismi, mio padre è stato commissariato, mio fratello si è licenziato per non creare difficoltà ad altri dipendenti. Se qualcuno mi dimostra che ho favorito i miei, tolgo il disturbo domattina. Io penso di averli danneggiati, ma è un’altra storia. Rivendico invece il fatto di aver chiesto informazioni. Sarebbe stato assurdo il contrario. Parlare con gli amministratori delegati e ascoltare gli amministratori delegati è una delle attività di chi sta al governo: chi non lo capisce o è in malafede o è totalmente vittima della demagogia qualunquista». Nel suo post del 9 maggio scorso lei scrisse «non ho mai chiesto all’ex Ad di Unicredit, Ghizzoni, né ad altri, di acquistare Banca Etruria». Alla luce dell’audizione di oggi lei conferma la sua versione? «Non sono stata io a chiedere di acquisire. Ma Mediobanca prima, il management di Bpel poi. Io mi sono informata sul se, non ho chiesto di. È una informazione, non una pressione. C’è una differenza abissale». Siamo alla fine della commissione d’inchiesta, in questa ultima settimana si è saputo di plurimi contatti che lei ha intrattenuto con Vegas (Consob), con Panetta (Bankitalia) fino a Ghizzoni (Unicredit). Perché di questi colloqui si è saputo solo adesso? «Trasecolo. I miei contatti con queste persone sono talmente segreti da essere o nei palazzi istituzionali o in sedi pubbliche. Vegas, Visco e Ghizzoni dicono che il mio comportamento è stato corretto e normale. Ma davvero vi sembra una notizia che un ministro incontri il capo della Consob o un alto dirigente di Banca d’Italia o un amministratore delegato? Per di più una persona che è suo malgrado spesso seguita da fotografi. Il tentativo è quello di trovare un ottimo capro espiatorio per non discutere delle vere vicende che hanno riguardato il sistema bancario italiano. Io non mi faccio utilizzare come foglia di fico per coprire chi ha sbagliato in questi anni. Da mesi sembra che Banca Etruria sia l’unica priorità per questo Paese. A me dispiace solo che quella storia non sia stata salvata, il resto appartiene al chiacchiericcio. La mia famiglia è presa di mira da due anni, ma non abbiamo mai chiesto alcun trattamento di favore. Dura lex, sed lex. A differenza di chi è colpevole e non paga mai». Marco Carrai sostiene di aver mandato quella e-mail a Ghizzoni per conto di un cliente e non da parte sua o di Renzi. Converrà che è coincidenza sorprendente… «Conosco Marco Carrai. Se dice una cosa, è quella. Ma per chi non si fida basta rileggere le notizie locali dell’epoca per sapere che esisteva un interessamento per la Federico Del Vecchio. Sorprendente è che un deputato Cinque Stelle chieda un appuntamento al Governatore Visco su un fatto personale e nessuno dica una parola sul tema. Ma forse il problema è che quel deputato, Villarosa, non è toscano». Al di là del merito, nel suo partito alcuni pensano che la vicenda bancaria sia diventata una zavorra troppo pesante in campagna elettorale. Non ha mai pensato, per il bene del Pd, di rinunciare alla candidatura? «Io non ho un problema personale. A me pare evidente quanto sia meschina la strumentalizzazione di queste ore. Se chiedono a me, io darò la disponibilità a correre in qualsiasi collegio con l’entusiasmo e la forza di chi non ha niente da temere. Perché la verità e più forte delle strumentalizzazioni. La decisione però spetta al Pd e ai cittadini: io nel frattempo lavoro e vado avanti». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/21/economia/maria-elena-boschi-quegli-incontri-erano-doverosi-non-far-il-capro-espiatorio-ePunq92Wc5OhFnuVn866ZM/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Se Di Maio ostacola il governo M5S Inserito da: Arlecchino - Marzo 29, 2018, 06:32:23 pm Se Di Maio ostacola il governo M5S
Cara lettrice, caro lettore, c’è qualcosa di sorprendente nella linea con cui il Movimento Cinque Stelle affronta il problema della formazione del governo. Una “stranezza” tanto più forte se raffrontata con la tattica che, specularmente, sta portando avanti l’altro pretendente al trono, Matteo Salvini. Il leader della Lega infatti al momento è inappuntabile. Ha aperto sul programma, arrivando a sostenere ieri che il reddito di cittadinanza – la bandiera dei grillini in campagna elettorale - si può fare. Non ha posto problemi personali, dicendo chiaramente di essere pronto a fare un passo indietro sulla premiership, pur rivendicando al centrodestra la guida del governo. Si può chiedere di più? Dall’altro lato invece il refrain dei Cinque Stelle è: Di Maio o niente. L’alfa e l’omega di ogni discorso sul governo è sempre quello, il premier deve essere Luigi Di Maio. Il resto viene dopo. Ora è sorprendente appunto che una tale linea Maginot sia stata scavata proprio dai grillini a difesa della leadership di Di Maio. Perché in teoria tutta la narrazione M5s finora è stata incentrata sul programma. Il mito del programma, del mettere al centro di tutto “i temi” e non gli uomini o i destini personali dei leader. Il mantra dell’uno vale uno in fondo aveva questo assunto base: i parlamentari sono tutti fungibili, sono soltanto “portavoce” del Movimento. Non devono avere una faccia, come i capigruppo. Che infatti ruotavano ogni tre mesi nella scorsa legislatura. Ora invece Di Maio è intoccabile. Se anche Salvini offrisse i suoi voti per realizzare per intero i venti punti del programma grillino, Di Maio pretenderebbe comunque di guidare lui il governo. E’ una posizione ideologica, che mostra una certa fragilità e alla lunga sarà difficile da difendere. E se Salvini proponesse un disarmo bilanciato, un passo indietro di entrambi per il bene comune? Si dirà, e i grillini infatti lo dicono, che Di Maio si è presentato agli elettori come candidato premier. Ma è una giustificazione che non giustifica niente. Sia perché anche Salvini si era attribuito questo titolo. Sia perché l’attuale legge elettorale, essendo proporzionale, postulava una trattativa parlamentare per arrivare a un governo parlamentare. Senza investitura diretta della premiership, come invece prevedeva – in vigenza del Mattarellum- la Costituzione materiale della Seconda repubblica. Ha detto bene ieri Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia: “Se esiste la disponibilità di Di Maio e Salvini a fare un passo indietro per individuare una persona terza la cosa può essere risolta velocemente”. Ma è davvero questo che vogliono i grillini? Francesco Bei Capo della Redazione Romana, La Stampa Da – La Stampa 27 marzo 2018 Titolo: Re: FRANCESCO BEI. Inserito da: Arlecchino - Aprile 02, 2018, 01:57:35 pm “Via Di Maio e programma comune” Il governo della Consulta tra M5S e Pd
Per la premiership tre giuristi. Anche Amato e Prodi in pressing. Ora Renzi teme di restare solo Richiesta di dialogo Discutere la linea Pd sul governo prima delle consultazioni: la richiesta è arrivata da Dario Franceschini ed è stata sostenuta da Andrea Orlando che parla di «dialogo doveroso» con il M5S Pubblicato il 31/03/2018 - Ultima modifica il 31/03/2018 alle ore 15:48 FRANCESCO BEI ROMA Pazienti, in attesa, i giocatori della partita sanno che si dovrà consumare senza esiti il primo giro di consultazioni al Quirinale prima che si faccia sul serio. Davanti a una selva di microfoni, appena usciti dallo studio alla vetrata, la prossima settimana i vari leader mostreranno i muscoli, parleranno agli italiani ancora il linguaggio della campagna elettorale. Eppure, sotto la superficie, molti sono già al lavoro per «aiutare» Mattarella a trovare una quadra superando i due maggiori ostacoli che oggi si frappongono al governo M5S-Pd-LeU: Matteo Renzi e Luigi Di Maio. Il primo luogo dove si combatte la battaglia è dentro e attorno al Partito democratico. Le uscite di Andrea Orlando e Dario Franceschini, terminali di un disegno più alto, rispondono infatti a un unico scopo. Preparare il terreno per un cambio di gioco, oltre il recinto aventiniano dove Renzi spera di rinchiudere i dem. Ma ancora è presto, prima devono consumarsi tutti i passaggi politici e costituzionali delle consultazioni. «Noi – spiega uno dei registi dell’operazione – non possiamo appoggiare un governo Di Maio. Nessuno nel Pd può spingersi a tanto. Lo stiamo facendo capire ai Cinquestelle. Ma è giusto che ci arrivino piano piano». I contatti con Franceschini e Orlando, tramite i grillini Emilio Carelli e Danilo Toninelli, sono frequenti e il ragionamento che viene esposto dai dem è sempre lo stesso: individuiamo insieme un programma limitato, offriteci un presidente del Consiglio votabile, un profilo «alla Rodotà», e una discussione si può aprire. Nonostante Renzi. «Anche il programma va impostato su punti chiari, che “parlino” ad entrambi gli elettorati ed escludano di fatto il centrodestra: legalità, lotta alla corruzione, difesa del lavoro, contrasto alla povertà. Oltre ovviamente alla legge elettorale». In questo ragionamento si riconoscono non soltanto i due ex-ministri. Ma anche alcune grandi figure di riferimento che, con discrezione e senza apparire, stanno spingendo pezzi di Pd in quella direzione. Nelle conversazioni ricorrono sempre i nomi di Romano Prodi e Giuliano Amato. Anche il percorso politico è in qualche modo già abbozzato. Perché a metà aprile, esaurito appunto senza esito il primo giro di consultazioni, nel Pd si aprirebbe una discussione vera. Pesante. Con una dichiarazione di smarcamento dallo schema renziano per bocca dello stesso Paolo Gentiloni. Un vero e proprio appello che dovrebbe suonare come un tana libera tutti. Nella speranza che anche l’ex segretario alla fine si pieghi o venga messo in minoranza. I nomi che circolano per guidare questo governo sono tre e tutti di giuristi di altissimo profilo: Giovanni Maria Flick, Paolo Grossi e Giorgio Lattanzi. I primi due ex presidenti della Corte costituzionale, l’ultimo – Lattanzi - presidente in carica. È quel «governo della Consulta» che si era affacciato proprio all’indomani del voto, poi inabissatosi nel calore dello scontro politico. A questo schema si tornerebbe - nella speranza di quella parte del Pd fuori dall’ortodossia renziana - anche per scongiurare il progetto alternativo che viene attribuito all’ex segretario dem. Ovvero quello di accodarsi a un governo di centrodestra, purché non guidato da Salvini ma da un leghista meno contundente come Giancarlo Giorgetti. Renzi sa bene cosa si sta muovendo alle sue spalle. E non è un caso, viene spiegato, se Andrea Marcucci, il fedelissimo capogruppo al Senato, ieri abbia sparato proprio in quella direzione: «Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5S. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente». I due leader che in campagna elettorale più si sono combattuti - Renzi e Di Maio - in questa fase sono tatticamente alleati per evitare ogni soluzione che passi sopra le loro teste. Come quella rivelata ieri da La Stampa e attribuita a Max Bugani, un Cinquestelle della prima ora: passo indietro di Di Maio e dialogo con il Pd. Ieri mattina, in un Transatlantico deserto, nonostante gli strali del quartier generale grillino che smentiva le parole di Bugani, un rilassato Alessandro Di Battista ad alcuni deputati di sinistra confidava: «Quella di Bugani? Una sua opinione personale». Per ora. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/03/31/italia/politica/via-di-maio-e-programma-comune-tre-giuristi-per-un-governo-mspd-xpGsFFQes2bVsyJhckIJkN/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Il miglior governo? Quello che non c’è Inserito da: Arlecchino - Aprile 14, 2018, 06:08:27 pm Il miglior governo? Quello che non c’è
Cara lettrice, caro lettore, e se facessimo a meno del governo? A più di un mese dal voto, senza concrete prospettive di superamento dei veti reciproci tra centrodestra, m5s e Pd, qualcuno ci sta pensando sul serio. È stato il ministro Graziano Delrio a dire per primo che il re è nudo: «Possiamo resistere anche tre anni senza Governo». Una battuta paradossale, quella del ministro dei Trasporti, ma sarebbe davvero solo fantapolitica? È utile ricordare che nel 2010 il Belgio andò avanti piuttosto bene senza un premier per 544 giorni, nel 2015 gli spagnoli stettero quasi un anno con la Moncloa vuota, in Olanda e Germania lo stallo è durato mesi. E in tutti i casi citati l’economia filava a gonfie vele. Oltretutto l’idea di un autogoverno parlamentare, orizzontale, risponde molto a una certa idea grillina delle origini. Non a caso è stato Roberto Fico, ultimo interprete del sentimento utopistico di Casaleggio senior, a invitare i partiti a mettersi al lavoro prescindendo dalle trattative per il governo. «I gruppi parlamentari – ha dichiarato il presidente della Camera - secondo me devono dialogare fino in fondo per cercare di risolvere i problemi che affliggono il paese: lotta alla povertà ma anche lotta alla corruzione o annullare gli incidenti sul lavoro con misure e controlli molto più adeguati». Un appello alla democrazia dal basso, alla via parlamentare per uscire dallo stallo. Ancora più significativo perché pronunciato proprio nel giorno dello scontro tra Salvini e Di Maio. Parole, quelle di Fico, in sintonia con l’approccio più di sinistra della presidente del Misto, Loredana De Petris (LeU): «È assurdo che, in una situazione così delicata per l’intero Paese, la crisi si sia avvitata in una serie di veti e pregiudiziali che prescindono completamente dal merito. Come LeU abbiamo già detto che siamo pronti a un confronto programmatico in Parlamento con tutti tranne che con la destra». Dunque avanti così, con accordi in Parlamento e senza un esecutivo. Del resto ne era convinto Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti: «Il miglior governo è quello che governa meno». Ancora meglio, il miglior governo è quello che non c’è. Francesco Bei Capo della Redazione Romana, La Stampa Da – lastampa.it Titolo: FRANCESCO BEI. Per i partiti la ricreazione sta finendo Inserito da: Arlecchino - Aprile 25, 2018, 04:47:56 pm Per i partiti la ricreazione sta finendo
Pubblicato il 20/04/2018 - Ultima modifica il 20/04/2018 alle ore 07:22 FRANCESCO BEI Dopo la giornata sull’ottovolante di ieri - con le aperture, poi la gelata e la sfilza di accuse reciproche - verrebbe da concludere che i vincitori delle elezioni non si stanno dimostrando all’altezza delle aspettative che hanno suscitato. Un conto è prendere i voti, altro è la fatica di formare una maggioranza. Luigi Di Maio e Matteo Salvini lo stanno scoprendo a proprie spese. Sarebbe divertente poter ascoltare l’audio della telefonata intercorsa fra i due ieri mattina e capire come si è potuta ingenerare questa commedia degli equivoci. Ma stiamo ai fatti. I Cinque stelle arrivano al massimo ad accettare, bontà loro, che Forza Italia sostenga gratis dall’esterno un esecutivo Di Maio. Ma considerano una bestemmia far sedere i propri capigruppo insieme a quelli delle tre forze del centrodestra per parlare di programma. Eppure il 29 marzo, appena venti giorni fa, sono stati proprio i capigruppo M5S a svolgere un giro di incontri programmatici con tutti i colleghi, compresi quelli di Forza Italia e FdI. Al termine dei quali Toninelli disse che «quando non si parla di poltrone ma di soluzioni ai problemi dei cittadini, anche forze politiche differenti possono dialogare per il bene del paese». Cos’è cambiato da allora? Che stavolta si fa sul serio e il tempo della ricreazione è finito. È bene che tutti ne prendano atto rapidamente. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/20/cultura/per-i-partiti-la-ricreazione-sta-finendo-kQvljeewt89phiukN1LuzI/pagina.html Titolo: Steve Bannon: “L’Ue sarà costretta a trattare con l’Italia anti-sistema” Inserito da: Arlecchino - Maggio 26, 2018, 06:03:03 pm Steve Bannon: “L’Ue sarà costretta a trattare con l’Italia anti-sistema”
L’ex stratega di Trump era stato il primo a prevedere la saldatura Lega-M5S: “Roma sarà capofila europea del movimento populista. La priorità è l’emergenza migranti” Pubblicato il 23/05/2018 - Ultima modifica il 23/05/2018 alle ore 10:50 FRANCESCO BEI ROMA Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca, ora libero battitore e ideologo del movimento “antisistema”, è stato il primo a prevedere quello che poi è effettivamente avvenuto: la saldatura tra le due forze “populiste” italiane per un governo che ribaltasse il paradigma liberale europeo. A due mesi da quell’intervista a La Stampa, Bannon torna a osservare con curiosità e ammirazione l’esperimento in corso in Italia, tanto da aver deciso di fare tappa domenica nel nostro Paese. Come lei si era augurato fin dall’inizio, Lega e Movimento Cinque Stelle hanno trovato un accordo per formare il nuovo governo. C’è il nome del presidente del Consiglio, il contratto di programma e anche l’indicazione dei principali ministri. Come giudica questa intesa? «Penso che quello tra M5S e Lega sia un patto intelligente, sono certo che farà gli interessi del popolo italiano. Dimostra inoltre la maturità e la saggezza politica di leader come Di Maio e Salvini, capaci di mettere da parte le ambizioni personali per il bene del loro Paese». Cosa significa per l’Italia essere guidata dal primo governo europeo composto dalle forze “anti-sistema”? «L’Italia, con il suo “governo di unità”, diventerà la capofila in Europa del movimento populista anti-establishment. Per la prima volta, Bruxelles sarà costretta a trattare con un governo anti-sistema in un paese fondatore dell’Unione. Un governo che può godere del sostegno travolgente del suo popolo». Come vede i rapporti di forze e le dinamiche interne tra M5s e Lega nel nuovo governo? «I due partiti, come ho detto prima, hanno dimostrato pazienza e saggezza nel mettere da parte le legittime ambizioni personali dei loro leader e questo dimostra al mondo che il loro rapporto funziona. Se Di Maio e Salvini governeranno con il pragmatismo che hanno dimostrato finora, con il tempo l’Italia ne avrà grandi benefici». Hanno individuato una figura terza come Giuseppe Conte. Un professore, un tecnico, anche se ora lo definiscono un “politico”. Questo non contraddice tutti gli slogan di Lega e M5S contro i presidenti del Consiglio “non eletti dal popolo”? «Il popolo ha eletto i partiti. Questi stessi partiti stanno ora lavorando per raggiungere un compromesso positivo che pochi credevano si potesse davvero trovare. Io dico che questo non solo potrebbe ma dovrebbe accadere: saranno poi i cittadini, alle prossime elezioni, a decidere se premiare oppure no il lavoro che sarà stato fatto». Secondo lei il governo M5s-Lega su quali temi si dovrebbe concentrare? «La priorità dovrebbe essere l’immediata restituzione al popolo italiano della sovranità sul proprio Paese con la soluzione dell’emergenza immigrazione. Da questa riconquista di sovranità dovrebbe quindi discendere un serio progetto per liberare il gigantesco potenziale imprenditoriale degli italiani, il loro talento nella creazione del lavoro e nella crescita». Ma quale sarà l’impatto di questo governo sull’Unione europea? «Il “governo di unità”, come mi piace chiamarlo, avrà un impatto enorme su Bruxelles. Insieme alla vittoria schiacciante di Victor Orban in Ungheria, il messaggio è chiaro: i cittadini rivogliono indietro i loro Paesi e li rivogliono ora». Commissari Ue, leader europei e media internazionali stanno già esprimendo scetticismo e critiche: pensa che l’Italia si ritroverà isolata? «L’Italia, mi creda, non sarà isolata, anzi si è appena messa all’avanguardia del cambiamento in Europa. Inoltre, se anche volesse, l’Unione europea non si può permettere di isolare uno dei suoi membri fondatori, specialmente con le implicazioni che questo avrebbe sulla questione dei confini». Come pensa che l’amministrazione americana possa reagire alla formazione di questo governo? Non crede che ci possano essere tensioni tra Washington e Roma, visti i rapporti stretti fra la Russia e la Lega di Salvini? «Sono un privato cittadino ed esprimo solo la mia personale opinione, ma credo che l’amministrazione degli Stati Uniti e il popolo americano supportino tutto ciò che ritengono sia nei migliori interessi dell’Italia e dei suoi cittadini». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/23/italia/ora-bruxelles-deve-trattare-con-un-governo-antisistema-WKBBRUWwED8MEzcfWOZ6IK/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. Mattarella un cuneo fra i sovranisti Inserito da: Arlecchino - Maggio 31, 2018, 01:09:11 pm Mattarella un cuneo fra i sovranisti
Pubblicato il 31/05/2018 - Ultima modifica il 31/05/2018 alle ore 10:50 FRANCESCO BEI In una crisi che sembrava avvitata e senza sbocchi, improvvisamente ieri si è prodotto un potente fattore di novità. Non è ancora chiaro se questo sarà sufficiente a sbloccare lo stallo, ma il cambiamento di fronte è notevole e va registrato. Invertendo una dinamica che sembrava consolidata, Sergio Mattarella è infatti riuscito a incunearsi nel fronte «sovranista» e a dividere i dioscuri del cambiamento. Da una parte Luigi Di Maio, dall’altra Matteo Salvini. Uniti nell’attacco al Quirinale, «servo della Germania e delle agenzie di rating» solo 48 ore prima. La svolta arriva alle 17.30, quando la deputata Laura Castelli, vicinissima a Di Maio, a sorpresa si rivolge in modo perentorio al professor Savona: «Stupisce che non abbia ancora maturato la decisione di fare un passo indietro». Un cambiamento radicale di posizione, se si pensa che il giorno prima i grillini chiedevano la messa in stato d’accusa di Mattarella proprio per non aver voluto nominare Savona all’Economia suggerendone uno spostamento in un altro dicastero. Preannunciata dalla nota di Castelli, ecco che la richiesta del passo indietro a Savona diventa la posizione ufficiale di Di Maio dopo un incontro al Quirinale con il capo dello Stato. La mossa a sorpresa del capo M5s, dovuta al timore per un arretramento nei sondaggi e per gli scricchiolii della sua leadership interna (ieri nell’assembla dei gruppi parlamentari grillini per la prima volta si sono alzate voci di critica), è tale da aver riaperto i giochi. Ora, come si dice con una metafora abusata, il «cerino» è in mano al segretario leghista. Se accetta di spostare Savona, già domattina – come maliziosamente gli suggerisce il grillino Fraccaro – potrà sedersi al Viminale per iniziare a espellere i clandestini. Altrimenti sarà sua la responsabilità di aver fatto precipitare il Paese alle urne in piena estate, con tutti i rischi del caso. L’alternativa Cottarelli è infatti piena di incognite. Chi dovrebbe votare il governo del Presidente? Nessuno. Né Salvini, né tantomeno i grillini. Persino il Pd si è chiamato fuori, per non farsi massacrare in campagna elettorale a causa del sostegno all’ennesimo governo tecnico. Secondo la Costituzione se un governo non ottiene la fiducia e non esiste un’altra maggioranza, il Capo dello Stato ha il dovere di procedere senza indugio allo scioglimento delle Camere. Traccheggiare per far piacere a Salvini e trascinare la legislatura fino a settembre appare impervio. Ieri in Transatlantico fiorivano congetture su ipotetici ordini del giorno, sottoscritti da tutte le forze politiche, per chiedere al Presidente di «procrastinare» lo scioglimento e consentire così alle Camere di approvare una mini-manovra per scongiurare almeno l’aumento dell’Iva e arrivare al voto a fine settembre. Perfino se il Capo dello Stato prendesse in considerazione questa ipotesi, sarebbe del tutto evidente la debolezza di un espediente ai limiti della costituzionalità. Per Mattarella la soluzione più lineare resta quella del «governo politico» affidato ai vincitori del 4 marzo. Ecco perché ha deciso di aspettare ancora prima di far suonare la campanella dell’ultimo giro. Stavolta ha dalla sua parte nuovamente Luigi Di Maio, che ha capito di aver commesso un errore strategico con la richiesta di impeachment e, da politico ormai navigato, ha fatto marcia indietro senza pensare all’orgoglio personale. Chissà quanto deve essergli infatti costata ieri quella salita al Colle che somigliava tanto a un’andata a Canossa. Ma nella guerra di nervi con Salvini, Di Maio ieri ha segnato un punto. La parola ora è al leader della Lega. Mattarella intanto ha già vinto la sua mano: se anche il M5s arriva a chiedere a Savona di fare un passo indietro, evidentemente le questioni poste dal Colle non erano peregrine; e dopotutto far partire il «governo del cambiamento» dovrebbe essere per Salvini un obiettivo più importante che impuntarsi sulla casella del professor Savona. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/31/cultura/mattarella-un-cuneo-fra-i-sovranisti-ewBaPKevXYnByVo6suI13O/pagina.html Titolo: FRANCESCO BEI. La sfida di Di Maio al premier Inserito da: Arlecchino - Agosto 02, 2020, 05:20:17 pm La sfida di Di Maio al premier
01 AGOSTO 2020 DI FRANCESCO BEI Il modo in cui un leader politico si misura con la gestione di un'emergenza è spesso uno strumento utile per valutarne il profilo, la tenuta, l'ambizione o lo scopo che si prefigge. È stato così per Giuseppe Conte, che attraverso il crogiuolo della pandemia ha compiuto la sua metamorfosi da "avvocato del popolo" del governo giallo-verde a "punto di riferimento dei progressisti" (per usare un'espressione in voga nel gruppo dirigente del Pd). E potrebbe essere lo stesso per Luigi Di Maio, un giovane leader ancora in cerca di un'identità politica compiuta. Il quale in questi giorni, con una serie di interventi sempre più incisivi sulla nuova ondata di migranti, sta emergendo sulla scena dopo essere rimasto per mesi fuori fuoco. Esistono diverse chiavi di lettura di questo protagonismo del ministro degli Esteri, in chiave interna al Movimento Cinque Stelle, nel rapporto con Conte e, in fine, nella relazione con il Pd e il suo vertice. Ma intanto va sgombrato il campo da una prima impressione frettolosa riguardo alle sue uscite. Il fatto che abbia sentito il bisogno di parlare a ridosso della missione di Luciana Lamorgese in Tunisia non significa che il bersaglio sia la ministra dell'Interno. Nessun controcanto. Anzi, i grillini vicini a Di Maio assicurano che i due viaggiano in sintonia, tanto che ancora ieri si sono sentiti per concordare la linea e starebbero lavorando a una nuova visita a Tunisi, questa volta insieme e accompagnati dal commissario Ue all'Immigrazione e dall'Alto rappresentante per la sicurezza. Per provare a trasformare un dramma per ora solo italiano in problema comune. Appurato che Lamorgese, ministra "tecnica", non è la sagoma nel mirino del collega della Farnesina, è evidente che l'attivismo dimaiano ha un altro scopo. Di fatto più i toni del ministro degli Esteri crescono, più viene in luce, in parallelo, l'inabissamento pubblico del presidente del Consiglio sull'immigrazione. Una materia che, a differenza del Covid, non prevede vie d'uscita di breve-medio periodo e porta più oneri che onori. Curiosamente, sia dalle parti del Pd che da quelle Di Maio si odono le stesse lamentele a mezza bocca sulla scarsa "proattività" del premier su questo tema, quasi che il raddoppio degli sbarchi fosse solo un problema del Viminale o delle forze politiche della maggioranza e non di palazzo Chigi. Ma è chiaro che la questione immigrazione, oltre a misurare la distanza tra Di Maio e Conte, è anche il pantografo grazie al quale il ministro degli Esteri sta provando a profilare la sua identità politica di leader moderato in un delicatissimo momento di passaggio del Movimento Cinque Stelle. La creatura di Grillo e Casaleggio è infatti nel pieno di una tumultuosa trasformazione dall'esito ancora incerto (prova ne sono le battaglie di questi giorni tra le diverse correnti). È una crisi di maturità inevitabile e troppo a lungo rimandata, che ora ha un punto di approdo in autunno negli Stati Generali e nella definizione di un nuovo assetto di leadership dopo il "governatorato" di Vito Crimi. La prima mano di questa partita è finita in pareggio. Conte, che pensa a un rapporto stabile e organico con il Pd e Leu, si è speso personalmente per l'alleanza alle Regionali tra M5S e sinistra, ma ha ottenuto il punto solo in Liguria. Di Maio è infatti riuscito a sabotare l'alleanza pre-elettorale nelle altre Regioni, a partire da quella di provenienza di Conte, la Puglia. Pari e patta. Ora siamo alla vigilia del matchpoint e Di Maio - a partire dal contrasto agli sbarchi clandestini - sta chiaramente piantando i paletti identitari di un movimento di centro che guarda a destra. O che, in ogni caso, non intende lasciare a Salvini e Meloni, come ha notato ieri su queste colonne Stefano Folli, il monopolio della sicurezza e della linea dura sull'immigrazione. Conte invece - pensiamo solo alla serata illuminante con i ragazzi del Cinema America - è ormai pienamente nel ruolo di novello Prodi, nella prospettiva di un Movimento Cinque Stelle che, insieme al Pd, rifondi un centro-sinistra da proiettare anche nella prossima legislatura. In questo il premier intercetta e completa il disegno strategico del Partito democratico. È proprio dall'esito di questa battaglia identitaria che vede protagonisti Conte e Di Maio che si capirà non solo il destino del M5S - una forza che comunque ha trovato un suo bacino stabile di elettori - ma anche, probabilmente, il futuro e la durata dell'esecutivo. da repubblica |