Titolo: MICHAEL T. KLARE La corsa ai pozzi che ha causato la marea nera Inserito da: Admin - Maggio 22, 2010, 05:46:03 pm 20/5/2010
La corsa ai pozzi che ha causato la marea nera MICHAEL T. KLARE Il petrolio che sta sgorgando dal fondo del Golfo del Messico in quantità spaventose potrebbe rivelarsi il più grande disastro ecologico della storia dell’umanità. Ma, a rifletterci bene, è soltanto il preludio dell’era del «Petrolio difficile», un’epoca nella quale dovremo contare su risorse sempre più problematiche. Probabilmente non riusciremo mai a chiarire le cause della tremenda esplosione che ha distrutto la piattaforma Deepwater Horizon. Tra i possibili colpevoli c’è una falla nel cemento che l’ancorava al fondale e un dispositivo anti-esplosioni disattivato. Ma quale che sia l’innesco immediato dell’esplosione, non ci sono dubbi sulle cause a monte: la corsa delle multinazionali, spalleggiate dal governo, a sfruttare i giacimenti di gas e petrolio nelle zone più remote della Terra. Gli Stati Uniti sono entrati nell’era degli idrocarburi con riserve gigantesche di petrolio e gas. Lo sfruttamento di queste materie prime preziose e utilizzabili in mille modi è stato uno dei motori della crescita economica, e dei profitti favolosi di giganti dell’energia come Bp ed Exxon. Nell’epoca pionieristica dei pozzi di petrolio, le esplosioni e le fuoriuscite incontrollabili erano la norma. Anno dopo anno le compagnie impararono a gestirli con nuove tecnologie. Ora, nella corsa ai giacimenti difficili, siamo tornati a queste «esuberanze» del petrolio. L’esplorazione condotta dalla Deepwater Horizon è un esempio di questa tendenza. Bp stava da qualche anno spingendo le ricerche sempre più in profondità. Il pozzo esploso, conosciuto come Mississippi Canyon 252, partiva da un fondale a 1500 metri di profondità e scendeva per altri 4000 sottoterra. Le maggiori compagnie insistono nel dire che hanno adottate misure di sicurezza senza falle, ma il disastro nel Golfo del Messico fa strame di queste affermazioni. Già nel 2006, per esempio, un oleodotto della Bp piagato da scarsa manutenzione, si ruppe e riversò un milione di litri di petrolio nell’area di North Slope, in Alaska. Nonostante questi rischi, una serie di Amministrazioni, compresa quella Obama, ha appoggiato la strategia delle aziende nella loro corsa ai giacimenti in aree ostili. La cornice giuridica è stata fornita dalla National Energy Policy (Nep) del 2007, adottata da George W Bush e dettata dalla filosofia del vicepresidente Dick Cheney, che ammoniva contro la crescente dipendenza dal greggio importato: «L’obiettivo primario della Nep è assicurare diverse fonti di approvvigionamento. Ciò significa petrolio, gas e carbone nazionali». La prima raccomandazione della Nep era far ripartire lo sviluppo dei giacimenti nel National Wildlife Refuge dell’Alaska. Altrettanto significativa era quella di accrescere le esplorazioni nel Golfo del Messico. E il braccio regolatore dell’esecutivo, il Mineral Management Service (Mms) ha per anni concesso licenze senza nessun riguardo per l’ambiente. Ma anche le compagnie petrolifere hanno le loro ragioni per gettarsi in questa corsa. Prendiamo la Bp. Nata come Anglo-Persian Oil Company, ora le sue attività sono concentrate in Nigeria e Azerbaigian, ma Alaska e Golfo del Messico stanno diventando sempre più importanti. «Operare alle frontiere dell’energia» è il titolo del rapporto annuale del 2009 della Bp. Il management è convinto che una rapida crescita della produzione nel Golfo del Messico è essenziale per la salute finanziaria dell’azienda. L’esplosione della Deepwater Horizon, ci assicurano, è stato un caso sfortunato: un coincidenza di scelte sbagliate e materiale fallato. Con controlli più rigidi, l’incidente poteva essere evitato. E così potremo andare di nuovo a trivellare in acque profonde in piena sicurezza. Non credeteci. Materiale scadente e scarsi controlli hanno giocato forse un ruolo decisivo nella catastrofe, ma la ragione a monte è la corsa compulsiva dell’azienda ai pozzi in regioni pericolose, per cercare di compensare il declino delle riserve convenzionali. Costi quel che costi. Finché prevarrà questa spinta compulsiva, altri disastri seguiteranno a capitare. Potete scommetterci. Copyright Tomdispatch.com http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7374&ID_sezione=&sezione= |