Titolo: Susanna TAMARO. Il femminismo non ha liberato le donne Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 10:16:52 pm Società - La mia generazione ha combattuto la battaglia per la parità tra i sessi e l’aborto.
Oggi l’appiattimento ha cancellato le identità Il femminismo non ha liberato le donne Tutti i messaggi si concentrano sul corpo: siamo passati dall’angelo del focolare alla mistica della seduzione Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto. La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche. Quella generazione che organizzava dei voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro. È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità. Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta. Personalmente, non sono mai stata un’attivista, ma lo erano le mie amiche più care e, per quanto capissi le loro ragioni, non posso negare di essere stata sempre profondamente turbata da questa pratica che, in quegli anni, si era trasformata in una sorta di moderno contraccettivo. Mi colpiva, in qualche modo, la leggerezza con cui tutto ciò avveniva, non perché fossi credente — allora non lo ero — né per qualche forma di moralismo imposto dall’alto, ma semplicemente perché mi sembrava che il manifestarsi della vita fosse un fatto così straordinariamente complesso e misterioso da meritare, come minimo, un po’ di timore e di rispetto. Come sono cambiate le cose in questi quarant’anni? Ho l’impressione che anche adesso il discorso sulla vita sia rimasto confinato tra due barriere ideologiche contrapposte. La difesa della vita sembra essere appannaggio, oggi come allora, solo della Chiesa, dei vescovi, di quella parte considerata più reazionaria e retriva della società, che continua a pretendere di influenzare la libera scelta dei cittadini. Chi è per il progresso, invece, pur riconoscendo la drammaticità dell’evento, non può che agire in contrapposizione a queste continue ingerenze oscurantiste. Naturalmente, un Paese civile deve avere una legge sull’aborto, ma questa necessaria tutela delle donne in un momento di fragilità non è mai una vittoria per nessuno. I dati sull’interruzione volontaria di gravidanza ci dicono che le principali categorie che si rivolgono agli ospedali sono le donne straniere, le adolescenti e le giovani. Le ragioni delle donne straniere sono purtroppo semplici da capire, si tratta di precarietà, di paura, di incertezza—ragioni che spingono spesso ormai anche madri di famiglia italiane a rinunciare a un figlio, ragioni a cui una buona politica in difesa della vita potrebbe naturalmente ovviare. Ma le ragazze italiane? Queste figlie, e anche nipoti delle femministe, come mai si trovano in queste condizioni? Sono ragazze nate negli anni 90, ragazze cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non sono mancate le possibilità di informarsi. Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, perfino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l’aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna, ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più. Qualcuno ha spiegato loro che cos’è la vita, il rispetto per il loro corpo? Qualcuno ha mai detto loro che si può anche dire di no, che la felicità non passa necessariamente attraverso tutti i rapporti sessuali possibili? Chi conosce il mondo degli adolescenti di oggi sa che la promiscuità è una realtà piuttosto diffusa. Ci si piace, si passa la notte insieme, tra una settimana forse ci piacerà qualcun altro. I corpi sono interscambiabili, così come i piaceri. Come da bambine hanno accumulato sempre nuovi modelli di Barbie, così accumulano, spinte dal vuoto che le circonda, partner sempre diversi. Naturalmente non tutte le ragazze sono così, per fortuna, ma non si può negare che questo sia un fenomeno in costante crescita. Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant’anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri. Si vedono bambine di cinque anni vestite come cocotte e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà. Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po’ più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili. Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l’amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo. Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia, della chiesa, della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo — voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo — che cosa nasconde? Il corpo è l’espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un’origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l’idea che l’essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l’unicità del volto. L’omologazione imposta dalla società consumista—e purtroppo sempre più volgarmente maschilista — ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale. Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell’essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall’idea dell’esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri. Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l’unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall’altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All’inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l’angoscia. Dove sarà l’uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole. Susanna Tamaro All rights reserved www.susannatamaro.it 17 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it Titolo: Barbara Mapelli. RISPOSTA ALL'ARTICOLO DI SUSANNA TAMARO Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 10:18:02 pm RISPOSTA ALL'ARTICOLO DI SUSANNA TAMARO
Le ragazze non sono un esercito di Barbie Barbara Mapelli: «Brave studenti, progettano un futuro non solo di lavoro e famiglia. Grazie al Femminismo» Non si può passare sotto silenzio l’articolo di Susanna Tamaro, pubblicato a pagina 56 del Corriere del 17 aprile Il femminismo non ha liberato le donne. Non si può passare sotto silenzio perché si tratta di uno scritto che, ad essere benevole, è semplicistico e superficiale, a non esserlo, è tendenzioso e manipolatorio. Ed è quasi augurabile che queste siano le intenzioni dell’autrice che, altrimenti, dimostrerebbe soltanto di essere molto ignorante su quello di cui va parlando. Ammette infatti la Tamaro di non aver partecipato al Movimento femminista, pur appartenendo alla generazione «ragazze negli anni ’70», e che non vi abbia partecipato è più che evidente, poiché sembra non saperne nulla e riduce il Movimento a una pratica di aborti casalinghi e voli per Londra con donne pronte ad abortire quasi al termine della gravidanza. Non vale la pena di obiettare puntualmente a queste affermazioni, che creano in chi legge – senz’altro in me, che del Movimento ho fatto parte – un fastidio crescente e il sospetto, più che fondato, di malafede. A qual fine, poi, si può anche intuire. E il fastidio cresce con il proseguire della lettura: chi ha così sbrigativamente e colpevolmente archiviato il femminismo degli anni ’70, si muove verso un’analoga operazione – e credo altrettanto in malafede – nei confronti delle giovani donne contemporanee. Intente solo a rapporti sessuali frequenti e con altrettanto frequenti cambi di partner: rapporti naturalmente non protetti. E come mai sono così ignoranti queste ragazze, oltre ad essere incapaci di concepire l’affettività se non attraverso un esercizio assiduo, irriflesso di una sessualità fine a se stessa? Forse non sa l’autrice dell’articolo che la nostra scuola è l’unica in Europa a non avere mai avuto programmi che prevedano istituzionalmente l’educazione sessuale, fatta solo in poche scuole grazie all’iniziativa di alcune insegnanti, molto spesso, in realtà, le stesse donne che hanno partecipato negli anni ’70 al Movimento. Ma, nonostante questo e le altre carenze del nostro sistema educativo, non solo scolastico, che non aiuta le difficili crescite di ragazze e ragazzi nel contemporaneo, le giovani donne non sono certo solo quelle che descrive Tamaro. Un esercito di piccole Barbie tutte uguali. Mi occupo di educazione, sono una pedagogista, incontro quotidianamente ragazze che frequentano la scuola e l’Università e la realtà che loro mi presentano di sé è ben diversa. Sono studiose, ben più dei loro coetanei maschi, hanno risultati scolastici ed accademici mediamente superiori e sono impegnate a progettarsi un futuro, nel quale prevedono non solo lavoro e famiglia, ma impegno nel sociale, volontariato, che spesso già esercitano contemporaneamente al percorso di studi. Certo ci sono anche le pseudo veline, le clienti precoci dei centri di chirurgia estetica, ma rappresentano una parte, molto visibile ma minoritaria, di quella pluralità che significa oggi essere una giovane donna. Una pluralità di scelte e destini che il Movimento femminista ha reso possibile, ora, per le generazioni più giovani, rispetto ai percorsi obbligati, univoci e minoritari che erano le vite delle donne fino a non molti decenni fa. Barbara Mapelli Pedagogista, Università Bicocca Milano 19 aprile 2010 da corriere.it Titolo: Bia Sarasini. In risposta all'articolo di Susanna Tamaro Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 10:19:12 pm In risposta all'articolo di Susanna Tamaro
La rimozione del femminismo Bia Sarasini: «Il Movimento è stato estromesso dal racconto corrente della società e della politica italiana» C’è un cortocircuito tra l’articolo di Susanna Tamaro dello scorso sabato, e il titolo scelto dal Corriere della Sera che l’ha ospitato: «Il femminismo non ha liberato le donne». Quando l’autrice di Và dove ti porta il cuore scrive: «Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo avere portato le donne a essere soltanto oggetti in modo diverso», non nega le battaglie per la libertà delle donne, eppure ne rovescia l’esito. Non c’è stata liberazione, solo un cambiamento di forme, dice. La prova? Le sciagurate ragazze di oggi, che si propongono come puro apparire, praticano la promiscuità come se fosse bere un bicchiere d’acqua e si affidano alla chirurgia estetica. Non è ben chiaro se Susanna Tamaro pensi a una colpa originaria oppure a un fallimento di buone intenzioni. È curioso che nel suo articolo, che parte da ricordi di un passato a cui l’autrice ha partecipato, manchi il senso del tempo. Nell’eterno presente in cui si rispecchia l’angoscia – autentica, sembra – della conclusione: «siamo in mille, ma siamo sole», non c’è storia, non ci sono le voci, le fisionomie vere delle protagoniste di queste vicende. Che la tirannia del corpo e della bellezza sia propaganda, una potente campagna di immagine imposta alle donne, un’arma per bloccare, anzi meglio azzerare i risultati di quella liberazione è un pensiero che non sfiora la scrittrice, che pure parla della sensazione, provata negli anni Settanta « di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità». Il tempo per Tamaro è puro succedersi di generazioni, non c’è il tempo del conflitto dei soggetti e dei desideri, del cambiamento e di chi si oppone al cambiamento, l’esperienza forse drammatica ma anche intensa e vitale in cui siamo immersi. Ecco allora il rovesciamento, l’accusa angosciosa e disperante. Sono le attiviste, «lo erano le mie amiche più care», le responsabili delle nuove schiavitù femminili? Perché non considerare che mettersi in mostra, esporsi, quella mistica della promiscuità che Susanna Tamaro con precisione mette a fuoco, insomma tutto quello che certe “bad girls” addirittura teorizzano, siano un aspetto della libertà conquistata? Il libero arbitrio non è anche la libertà di scegliere il “male”? Che libertà sarebbe, altrimenti? E come si potrebbe parlare di etica e responsabilità? Naturalmente sentirsi dentro una battaglia non significa considerare un “bene” il lavaggio del cervello a cui sono sottoposte le adolescenti, tantomeno le bravate identitarie di quelle che si mostrano nude su Youtube. Eppure bisogna avere ben chiaro che è la libertà femminile l’oggetto della contesa, non altro, non si può lasciare che scivoli via in una capriola di parole, oplà, e la libertà non c’è più. Soprattutto non sui media, che di questa propaganda quotidiana dell’esibizione del corpo femminile sono artefici in prima linea. Per questo è interessante il mirabolante cortocircuito del titolo del Corriere della Sera. Rivela la rimozione completa del femminismo dal racconto corrente della società e della politica italiana. Nel più classico ritorno del rimosso, ciò che si tiene accuratamente fuori dalla scena, il femminismo, viene accusato di non avere liberato le donne. È come volere chiudere il cerchio all’insegna del “non c’è stato nulla”, e se qualcosa c’è stato, oggi è del tutto inutile e superfluo, in ogni caso è uno sbaglio, una colpa. Come se le femministe avessero mai diretto un quotidiano, o una tv. O si fossero mai viste femministe diventare presidente della Repubblica. Come invece è stato possibile, a proposito di marginalità, alternativa e culture politiche, per un comunista, come è stato in passato il nostro attuale presidente. E se l’accostamento, come spero, suscita un sobbalzo, proprio il sussulto spiega al meglio la natura e la profondità della rimozione delle femminismo dal discorso pubblico della società e della politica italiana. Come se il femminismo non avesse nulla da dire, di significativo per tutti, sulla società e la politica. Come se non facesse parte della storia del Paese. Come se l’oggetto del contendere portato sulla scena dal femminismo fosse sul serio la banale e pericolosa libertà sessuale di mettere in atto di qualunque pulsione. Come se in gioco non ci fosse la libertà delle donne – e degli uomini naturalmente. Anche la libertà di essere cattive. Oltre che presidenti. Bia Sarasini Giornalista, ex direttore «Noi donne» 19 aprile 2010 da corriere.it |