Titolo: NAVI PILLAY L'8 marzo e la violenza senza colpe Inserito da: Admin - Marzo 08, 2010, 08:55:52 am 8/3/2010
L'8 marzo e la violenza senza colpe NAVI PILLAY Una ragazza che ha amici uomini. Cosa potrebbe esserci di più normale? Eppure un’adolescente turca, per essersi comportata così, è stata sepolta viva dal padre e dal nonno. Questa notizia ha destato choc e sdegno in tutto il mondo. Crimini come questo, tuttavia, non costituiscono affatto l’eccezione. Infatti, un tribunale in Arizona sta in questi giorni affrontando il caso di un uomo accusato di aver investito e ucciso la propria figlia, a suo dire troppo «occidentalizzata». L’Onu stima che ogni anno 5 mila donne in tutto il mondo vengono uccise da membri della propria famiglia, nei cosiddetti omicidi d’onore. Quando le donne sono viste come portatrici dell’onore di famiglia esse diventano vulnerabili alle aggressioni. Le quali implicano violenza fisica, mutilazione e anche omicidio, di solito per mano di un congiunto offeso, e spesso con il tacito o esplicito assenso delle altre donne della famiglia. Le «aggressioni d’onore» sono perpetrate come rituale di «riparazione e purificazione» a seguito di una violazione delle norme imposte dalla famiglia o dalla comunità, in particolare quando è coinvolta la condotta sessuale. Ma le cause scatenanti potrebbero anche essere il desiderio di una donna di sposare o vivere con una persona di sua scelta, di divorziare, o di reclamare un’eredità. A volte, chi si autoproclama «vendicatore» è pronto ad agire anche sulla base di puri pettegolezzi o sospetti inconsistenti. La percezione della colpa è anche più importante della sua reale sussistenza. Le donne sono condannate a sentenze violente senza avere il beneficio di raccontare la loro versione dei fatti e senza alcuna possibilità di appello. Questa logica perversa e la violenza che essa scatena vengono applicate anche quando le donne sono state oggetto dell’attenzione indesiderata di un uomo o vittime di uno stupro, compresa la violenza incestuosa. Di conseguenza, esse sono vittime due volte, mentre l’atteggiamento degli aggressori viene perdonato. Spesso gli autori delle violenze possono contare sulla piena o parziale assoluzione per via di leggi indulgenti o applicate in maniera non uniforme. A volte, gli aggressori possono anche finire per godere dell’ammirazione della loro comunità per aver fermato il comportamento deviante di una donna disobbediente e averne lavato la colpa nel sangue. Le «aggressioni d’onore» violente sono però crimini che violano il diritto alla vita, alla libertà, all’integrità del corpo, il divieto di tortura o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il divieto di schiavitù, la libertà dalla discriminazione di genere e dall’abuso o sfruttamento sessuale, il diritto alla privacy, il diniego delle leggi discriminatorie e di pratiche dannose per la salute delle donne. È semplicistico e fuorviante pensare che queste pratiche appartengano soltanto a culture retrograde che disdegnano una condotta civilizzata. La realtà è che in tutti i Paesi del mondo le donne subiscono violenze nella sfera familiare nella quale esse dovrebbero aspettarsi sicurezza anziché attacchi. Le aggressioni d’onore sono intrise della stessa attitudine e nascono dallo stesso atteggiamento mentale che produce la violenza domestica. Queste aggressioni derivano dal desiderio di controllare le donne e di soffocarne voce e aspirazioni. Le donne sono intrappolate tra le mura domestiche dall’isolamento e dall’impotenza che la violenza costruisce attorno a loro. Ne deriva che molte aggressioni perpetrate contro le donne nella sfera domestica rimangono avvolte nel silenzio e nella vergogna piuttosto che essere denunciate per ciò che sono, vale a dire, orribili abusi dei diritti umani. Sebbene la capacità delle donne di mantenersi da sole economicamente possa offrire vie di uscita dalle costrizioni della società, dall’abuso domestico e dalla sottomissione, la violenza contro le donne è andata aumentando perfino nei Paesi dove le donne hanno raggiunto l’indipendenza economica ed uno status sociale alto. Ciò obbliga alcune donne imprenditrici di successo, così come rispettabili parlamentari, brillanti studiose e professioniste, a condurre una doppia vita. In pubblico sono considerate come modelli di riferimento tra i più alti ranghi della società. In privato, sono umiliate e aggredite. Di solito alla violenza domestica si risponde offrendo alle donne un riparo sicuro, togliendole così dal contesto in cui vivono. Al contrario, i responsabili sono raramente costretti ad andarsene o a fuggire dalle proprie case o dal proprio ambiente sociale per la vergogna e la paura. Tale approccio deve essere capovolto. Lo Stato ha una chiara responsabilità nella protezione delle donne, e nel punire gli aggressori e far loro carico del costo e delle conseguenze della loro ipocrisia e brutalità. Questo deve essere fatto, senza tener conto dello status sociale dei colpevoli, della loro motivazione e della loro relazione con la vittima. Al tempo stesso, uomini e donne, ragazzi e ragazze, devono essere educati sui diritti umani delle donne ed edotti circa la responsabilità che tutti hanno di rispettare i diritti altrui. Ciò dovrebbe includere il riconoscimento del diritto delle donne di gestire il proprio corpo e la propria sessualità, nonché l’eguaglianza di accesso all’eredità, alla proprietà, alla sicurezza sociale e abitativa. Le donne stanno combattendo per assicurarsi che tale cambio di atteggiamento avvenga e che si consolidi. Esse sfidano sempre più di frequente i propri aggressori per avere la possibilità in tribunale di spiegare il valore della loro azione. Le donne sempre più pretendono che anche i loro tormentatori affrontino le conseguenze della violenza. Noi dobbiamo sostenere queste donne coraggiose. Dobbiamo aiutare le altre a farsi avanti e a rompere il silenzio e gli schemi della connivenza sociale che hanno permesso alla cultura della violenza di attecchire. *Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani da lastampa.it |