LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => AMBIENTE & NATURA => Discussione aperta da: Admin - Dicembre 07, 2009, 11:20:55 am



Titolo: LUCA MERCALLI.
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2009, 11:20:55 am
7/12/2009
Il complotto dei climatologi
   
LUCA MERCALLI


Il 18 gennaio 1989 si chiudeva a Torino la conferenza internazionale «Atmosfera, clima e uomo». Nel rapporto conclusivo si leggeva: «Gli effetti involontari della crescita economica nell’alterare i processi atmosferici globali costituiscono una seria minaccia alla sicurezza internazionale e al futuro dell’economia globale».

Né l’incertezza scientifica né la mancanza di precise conoscenze devono essere ragione di ritardo o inazione». Le soluzioni proposte coincidevano con quello che otto anni dopo sarebbe diventato il protocollo di Kyoto: riduzione delle emissioni inquinanti, efficienza energetica, energie rinnovabili, riciclo dei rifiuti e minori sprechi di materie prime, stop alla deforestazione, investimenti nella ricerca.

La conferenza non suscitò tuttavia né interesse né accesi dibattiti. Eppure non era stata indetta da un gruppo di ambientalisti, bensì dalla Fondazione Sanpaolo di Torino: ebbe luogo nel nobile salone di piazza San Carlo della banca torinese, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. I pochi ricercatori di punta di allora sostenevano con coraggio quanto nei vent’anni successivi è stato confermato dai fatti: la concentrazione di CO2 nell’aria era a 350 parti per milione ed è oggi a 390; i dieci anni più caldi degli ultimi secoli dovevano verificarsi tutti dopo il 1997; la rovente estate 2003, causa di 35000 vittime in Europa, non si era ancora verificata; la mummia Otzi, antica di cinque millenni, non era ancora emersa dal ghiacciaio altoatesino del Similaun; la banchisa del mar glaciale Artico non si era ancora ridotta come nel 2007.

Oggi disponiamo di una quantità impressionante di ricerca scientifica sul clima, supercalcolatori, carotaggi polari, nuovi satelliti, migliaia di ricercatori, un’agenzia delle Nazioni Unite - l’Ipcc - le cui conclusioni hanno confermato le affermazioni di vent’anni fa. Eppure proprio ora che le evidenze aumentano, la confusione impera, dubbi e maldicenze si insinuano sull’operato dei climatologi e tira aria di complotto. Ma mettiamoci dal punto di vista di un investigatore: manca il movente. Difficile pensare che gli scienziati riuniti a Torino nel 1989 fossero in malafede e avessero architettato tutto per arrivare - vent’anni dopo - a favorire la lobby dei pannelli solari. C’erano modi più semplici e rapidi di guadagnare! Difficile pensare alla volontà dei governi di fregare tutti i loro amministrati con nuove tasse sui combustibili fossili: la convenzione quadro sui cambiamenti climatici, emanata nel 1992, è stata firmata da 188 Paesi, ognuno con i propri interessi da tutelare, incluso il commercio di petrolio e carbone.

Come si può pensare che l’Arabia Saudita abbia la stessa visione delle Isole Tuvalu e insieme complottino contro di noi poveri mortali? E per cosa? Tuvalu ha paura di finire sott’acqua, l’Arabia vuole lucrare sul petrolio. Entrambe però hanno accettato una posizione diplomaticamente equilibrata che concorda sul problema epocale che abbiamo di fronte. E dunque, perché sulla questione climatica si assiste oggi a un accanimento ideologico che la vuole destituire di fondamento? È forse così terribile la ricetta di Copenhagen? Chiede di amputare una gamba sana o invita a fumare di meno? Un mondo che va a energia solare ed eolica, ha automobili che inquinano meno, case ben isolate che non disperdono l’energia, aria urbana più respirabile, garanzia di salvaguardia per le foreste tropicali, moderazione nell’uso delle risorse scarse e riciclo dei rifiuti, è forse così detestabile? Non ci dovremmo arrivare comunque, clima o non clima?

Di fronte a una Terra sempre più affollata e inquinata, con il petrolio che tra breve mostrerà la spia della riserva, Copenhagen consiglia di prendere due piccioni con una fava. Essere più efficienti in un mondo che non ha risorse infinite, è sempre una vittoria. Dall’altro lato c’è invece la prudenza: oltre tre gradi in più a fine secolo, l’aumento dei fenomeni estremi e del livello dei mari, la stabilità dell’agricoltura e della biosfera dalle quali dipendiamo, non sono certo uno scherzo. È in gioco la qualità del nostro futuro e chi punta i piedi contro Copenhagen, ha interessi probabilmente molto più espliciti da difendere.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Ma almeno il problema ora esiste
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2009, 10:19:39 am
20/12/2009
 
Ma almeno il problema ora esiste
 
LUCA MERCALLI
 
Forse avevamo caricato la Conferenza di Copenhagen di troppe aspettative. In fondo si tratta pur sempre del più complesso negoziato internazionale mai intrapreso nella storia dell’umanità.

Mettere d’accordo 193 Paesi, praticamente tutto l’orbe terracqueo, è ovvio che non è impresa semplice. E allora guardiamo non a ciò che Copenhagen non ha partorito - un accordo condiviso legalmente vincolante sulla riduzione delle emissioni climalteranti - bensì a ciò che ha invece raggiunto. Il primo risultato è che i governi di tutto il mondo non mettono in dubbio il problema climatico, la sua importanza e la sua urgenza, anzi aprono così il comunicato ufficiale: «Noi sottolineiamo che il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide del nostro tempo».

La consapevolezza c’è e la volontà di agire pure. Il fatto stesso che l’accordo politico plenario sia stato inficiato proprio dall’opposizione di uno stato minuscolo come le isole pacifiche di Tuvalu, è sintomatico: non era l’Arabia che difendeva il suo petrolio, ma la quarta più piccola nazione del mondo, ventisei chilometri quadrati e 11.500 abitanti, minacciata dall’aumento del livello marino causato dalla fusione dei ghiacciai e dall’espansione termica delle acque. Un’opposizione affinché il nuovo trattato fosse più incisivo di quanto l’asse Usa-Cina avrebbe voluto. Gli obiettivi sono però ormai accettati da tutti: contenere l’aumento della temperatura mondiale entro un paio di gradi, ridurre significativamente le emissioni di gas serra e ad aumentare i finanziamenti a favore dei paesi in via di sviluppo.

A questo punto l’Accordo di Copenhagen, come ha detto Yvo de Boer, segretario esecutivo della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici «pur non essendo tutto quello in cui si era sperato, è un primo passo importante; ora la sfida è arrivare ad uno strumento legalmente vincolante tra un anno in Messico». Non si discute dunque sui fini, ma solo sulle modalità. L’importante è che il processo di perfezionamento del trattato prosegua senza sosta, e non ci sono motivi di pensare il contrario. Semmai questa pausa di riflessione può servire a correggere il tiro, anche da parte dell’informazione di massa. Uno dei luoghi comuni che più ostacolano la presa di coscienza collettiva è la questione dei costi. A Copenhagen i paesi sviluppati si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo di trasferire cento miliardi di dollari all’anno entro il 2020 verso i paesi in via di sviluppo, per favorire la riduzione delle emissioni.

C’è la diffusa convinzione che questa voce rappresenti solo un costo, uno spreco, soldi buttati. Ma è vero? Dove vanno questi denari? Non sono forse investimenti per la ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico, la difesa delle foreste tropicali e della biodiversità, l’adozione di nuovi cicli produttivi più rispettosi dell’ambiente nel suo complesso e non solo del clima, la riduzione dei rifiuti, l’ottimizzazione dei trasporti? Certo, è vero che per fare investimenti di tale portata bisognerà spostare dei fondi da alcuni settori dell’economia ad altri che stanno emergendo, è vero che toccherà introdurre nuovi meccanismi di tassazione, di incentivi e di sanzioni. Ma alla fine il gioco vale la candela. Chi perderà un po’ dei suoi margini di guadagno attuali, godrà comunque di vantaggi collettivi e avrà pure tutto il tempo per riconvertirsi a una nuova economia più sobria e meno impattante sull’ambiente. E se queste somme, ci auguriamo in crescita, verranno spese bene, forse tra qualche anno avremo case che consumano un decimo dell’energia che usiamo oggi, avremo automobili forse più piccole ma molto più efficienti, avremo prodotti più riciclabili e meno tossici per la salute nostra e della biosfera.

Lo sviluppo delle energie rinnovabili è poi un passaggio cruciale per l’umanità, anche se non ci fosse la grana climatica. Perfino l’International Energy Agency ha riconosciuto che siamo in prossimità del picco di estrazione petrolifera. Se non ci muoviamo ora a progettare un futuro meno dipendente dall’energia fossile, quando dovremmo farlo? Quando saremo in guerra per spartirci l’ultimo barile di petrolio? I soldi di Copenhagen sono ben altro che buttati via.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Costretti a salvare anche chi sbaglia
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2009, 09:58:48 am
28/12/2009

Costretti a salvare anche chi sbaglia
   
LUCA MERCALLI


Con un bollettino di rischio valanghe di livello quattro su cinque non si dovrebbe partire per un'escursione fuori pista. Se lo si fa, si deve essere consci di mettere a repentaglio la propria vita.

E alcune amministrazioni pubbliche stabiliscono, a titolo dissuasorio, che la salata fattura dell'eventuale soccorso sarà a carico dell’infortunato o dei suoi familiari in caso di morte. Ma come affrontare il problema dell'incolumità dei soccorritori? Se un'operazione di recupero si svolge sotto la minaccia di nuove valanghe o durante forte maltempo che riduce i margini di sicurezza degli elicotteri, cosa bisogna fare? Astenersi e lasciar morire qualcuno o tentare la roulette russa? La risposta non è facile e attinge ai più profondi valori umani.

Per definizione, chi offre la propria competenza, il proprio coraggio e la propria abnegazione per salvare qualcuno, non si pone la domanda se costui sia un imbecille o un criminale degno o no di essere salvato. Se così non fosse, le ambulanze non dovrebbero mai affrontare pericolosamente il traffico a sirene spiegate per salvare un ubriaco causa di incidente stradale, né si sarebbe mai dovuta rischiare la vita a soccorrere le vittime di un terremoto in case moderne che violavano le normative antisismiche, oppure gli alluvionati in edifici abusivi costruiti sul greto di capricciosi torrenti.

Insomma, lo sfogo di Bertolaso è comprensibile in quanto pronunciato sotto lo stress dell'emergenza, ma inattuabile in pratica: in ogni situazione drammatica i soccorritori tentano sempre il massimo compatibile con le loro capacità tecniche e i mezzi a disposizione, ma si astengono giustamente dal dare giudizi. A questo penserà dopo la magistratura. Il prezzo da pagare è che ogni tanto, per fortuna raramente, le cose vanno male anche per i soccorritori.

Soluzioni? Tanta, tantissima informazione e prevenzione. A chi scia fuoripista, non ci si stancherà mai di ripetere che la neve è un elemento mutevole e instabile, che i bollettini di rischio servono proprio per non trasformare il divertimento in tragedia, che bisogna sempre portare con sé l'apparecchio di localizzazione Arva. Ma si ripete da sempre che anche superare i limiti di velocità sulle strade aumenta il rischio di incidenti mortali, eppure le 4731 vittime della strada del 2008 quasi non fanno più notizia, mentre per i 19 sfortunati che in media periscono sotto la neve ogni anno, e non sempre per imperizia o tracotanza, chissà perché ci si indigna di più.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Dura la vita degli stregoni della pioggia
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2010, 12:09:16 pm
18/1/2010

Dura la vita degli stregoni della pioggia
   
LUCA MERCALLI


Si è diffusa ieri la notizia che la Bbc voglia esautorare il MetOffice, uno degli uffici meteorologici più celebri e autorevoli del mondo, dalla fornitura delle previsioni a causa di imprecisioni sulla stima delle nevicate dei giorni scorsi. Al suo posto subentrerebbe la società neozelandese Metra, ramo commerciale del servizio meteo governativo agli antipodi.

In realtà, Bbc ha annunciato ieri il passaggio al nuovo software grafico tridimensionale per la presentazione televisiva delle previsioni, di cui Metra è indiscusso leader mondiale, ma non sembra intenzionata a sollevare il MetOffice dall’incarico. Le polemiche hanno piuttosto riguardato le previsioni stagionali che il MetOffice aveva emesso in autunno, pronosticando un inverno mite che invece sulla Gran Bretagna coperta di neve non si sta verificando. Le previsioni a lungo termine, dell’ordine del trimestre, sono infatti ancora a carattere sperimentale e molti esperti ritengono che non dovrebbero essere diffuse al pubblico, altrimenti creano confusione intaccando la reputazione del servizio meteorologico che sul breve termine ottiene invece eccellenti risultati. In effetti la previsione a 48 ore oggi raggiunge oltre il 90 per cento di affidabilità grazie ai modelli numerici di simulazione, e i risultati sono indiscutibilmente migliorati negli ultimi vent’anni.

Ma queste riflessioni mettono in luce la dura vita del meteorologo che è condannato alla critica sia che faccia, sia che non faccia. Ricordate la previsione di neve su Genova di pochi giorni fa? Gli ingredienti per la nevicata c’erano tutti, l’allerta della protezione civile è stata data, poi la neve si è appena vista e tutti addosso ai meteorologi, per un grado di differenza che ha trasformato la neve in pioggia. E se non si fosse dato l’allarme e al mattino la città fosse stata davvero bloccata? Chi si trova a prendere decisioni così delicate nel giro di poche ore ha prima di tutto come missione l’incolumità delle persone. Gli errori, in verità modesti, sono sempre possibili, come per ogni previsione non solo meteorologica, ma rappresentano una piccola percentuale rispetto ai successi che ogni giorno fanno decollare e atterrare aerei, riempire e svuotare dighe, programmare viaggi e vacanze, semine e raccolti. Semmai si è diventati tutti così esigenti da non tollerare più la minima incertezza, peraltro dichiarata apertamente in ogni previsione. Più che un problema di fisica dell’atmosfera, è un problema di comunicazione: tocca spiegare alle persone cos’è il concetto di probabilità. Al contrario, viviamo in una società che tende sempre più a polarizzare le visioni: o è bianco o è nero, o è buono o è cattivo, o piove o fa sole. La previsione meteorologica utilizzata in giusta prospettiva, oltre che permetterci di scegliere che abito indossare domani, potrebbe anche aiutarci a fare un piccolo esercizio quotidiano sulla consapevolezza del concetto di probabilità: lo vogliamo deliberatamente ignorare, ma permea la nostra vita.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Prevedere i cataclismi non basta più
Inserito da: Admin - Marzo 01, 2010, 01:17:57 pm
1/3/2010

Prevedere i cataclismi non basta più
   
LUCA MERCALLI

Esposta sull’Atlantico, la Vendée è stato il dipartimento francese più martoriato dalla tempesta «Xynthia», così battezzata dall’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino. Vi si sono contate 29 vittime, annegate nel corso delle repentine inondazioni causate da pioggia e ondate oceaniche in periodo di alta marea.

Il vento a oltre 150 chilometri orari, con una raffica di 242 km orari al Pic du Midi, sui Pirenei, ha poi portato il tragico bilancio francese ad almeno 45 morti sommando i vari incidenti negli altri dipartimenti, in particolare a causa di caduta di alberi e detriti, ma aggiungendo le vittime in Portogallo, Spagna, Belgio e Germania il totale assomma a 57.

Sono cifre ancora provvisorie, ma che rendono «Xynthia» la peggior tempesta a colpire l'Europa occidentale dopo «Lothar» e «Martin» i due uragani in rapida sequenza del 26-28 dicembre 1999, che fecero registrare venti fino a 170 km/ora su Parigi e causarono una novantina di vittime. Che il cuore della vecchia Europa venga colpito così profondamente da poche ore di vento forte lascia sempre senza parole ma non dobbiamo dimenticare che questi fenomeni meteorologici - cicloni delle medie latitudini che non hanno nulla a che vedere con gli uragani tropicali - sono piuttosto frequenti al di là delle Alpi: prima di Lothar la memoria va a «Vivian» che il 27 febbraio 1990 colpì Francia e Svizzera e poi alla burrasca del 15 ottobre 1987, quando le raffiche a 180 km/h devastarono Bretagna, Normandia e Inghilterra meridionale, con 34 vittime.

Ma gli archivi conservano traccia di eventi epocali, come quelli del gennaio 1739 e soprattutto la «Great Storm» della fine di novembre del 1703, descritta anche da Daniel Defoe, il peggior disastro meteorologico dell'Inghilterra meridionale e della Manica: tredici navi della flotta di Sua Maestà di ritorno dalla guerra di successione spagnola affondarono, foreste e paesi furono rasi al suolo e il bilancio stimato fu tra le 8000 e le 15000 vittime. Se mettiamo in prospettiva questo evento con la minor popolazione del tempo ci rendiamo conto che dopo tutto la prevenzione e l'allertamento ottengono oggi ben altri risultati.

Grazie alle previsioni offerte dai modelli matematici, Météo France sabato aveva già posto in vigilanza rossa, il massimo grado di pericolo, le regioni francesi poi effettivamente colpite dal fortunale. Navi e aerei non sono stati così coinvolti e milioni di persone si sono attrezzate per resistere al sicuro. Il tributo di vittime residuo si può considerare inevitabile durante un evento di tale portata: rami che cadono, tetti scoperchiati, tegole che volano come proiettili, cartelli pubblicitari, pannelli stradali e pali della luce, incidenti stradali, il rischio zero non si può pretendere.

Tutto sommato le lezioni del dicembre 1999, con gli ulteriori richiami dovuti a «Kyrill» che a metà gennaio 2007 reclamò in Europa centrale 45 morti con venti a 200 km/ora e a «Klaus» che solo un anno fa, dal 23 al 25 gennaio spazzò la Francia meridionale e i Pirenei causando 31 vittime, sembrerebbero aver perfezionato i piani di protezione civile e la prevenzione a lungo termine dei danni. Resta da vedere se questi episodi in futuro potranno presentarsi con maggior frequenza e intensità a causa del riscaldamento globale.

Per ora la statistica non è significativa, secondo lo storico del clima Emmanuel Garnier, dell'università di Caen, dal 1700 al 2000 gli archivi hanno restituito le cronache di almeno 22 tempeste maggiori sulla Francia e questi recenti episodi non possono ancora fornire chiare evidenze di aumento, tuttavia le simulazioni contemplano uno scenario futuro nel quale l'Europa centro-settentrionale potrebbe vedere una crescita di cicloni invernali. Se così fosse è ovvio che il meccanismo di prevenzione deve essere ulteriormente perfezionato, almeno per salvare le vite, mentre per i danni materiali sarà difficile limitare le perdite e il mercato assicurativo dovrà sicuramente evolvere per non fare bancarotta.

Lothar e Martin sono infatti costati all'Europa circa 16 miliardi di euro, di cui solo una dozzina rimborsati dalle assicurazioni, Kyrill è costata circa 5 miliardi di euro, Klaus ha fatto spendere solo alla Francia 1,2 miliardi di euro. Senza contare i disagi per milioni di persone rimasti per giorni senza elettricità e possibilità di riprendere le normali attività lavorative. Mentre oggi si contano dunque i nuovi danni di Xynthia, la civiltà del XXI secolo, anche se dotata di mezzi e conoscenze scientifiche come non mai, si riconosce ancora una volta vulnerabile.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Non sparate sulla scienza
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2010, 09:11:28 am
29/3/2010

Non sparate sulla scienza
   
LUCA MERCALLI

Dopo le abbondanti nevicate del mese di febbraio su Washington, la percezione del riscaldamento globale negli Stati Uniti si è molto ridotta mettendo in crisi l’autorevolezza di una delle ultime istituzioni inattaccabili della nostra epoca, la scienza.

Il New York Times ha ragionato su quanta parte nella formazione di queste opinioni è legata ai fatti e quanta al modello mentale e culturale delle persone. David Ropeik, esperto in comunicazione del rischio, sostiene che la gente si serve degli estremi meteorologici di freddo o di caldo non come eventi per comprendere il clima, ma come proiettili da sparare contro un diverso gruppo di appartenenza sociale. La questione climatica conduce infatti a una critica dell’attuale modello di sviluppo, quindi i gruppi più conservatori e individualisti, che detengono privilegi in uno status quo di rigido ordine e gerarchia sociale, brandiscono i candelotti di ghiaccio e le palate di neve per screditare la scienza del riscaldamento globale contro i gruppi progressisti, fautori di una società più equa e di un maggior intervento dello stato nelle politiche ambientali e sociali, che a loro volta adotteranno come armi termometri roventi e invasi disseccati. Nessuno dei due schieramenti ha però la minima idea di cosa sia il clima e della differenza che corre tra i fatti meteorologici locali e quotidiani, rispetto agli andamenti globali e a lungo termine. Del resto, mentre Washington era bloccata dalla bufera, a Vancouver l’inverno più caldo della storia obbligava l'organizzazione olimpica a trasportare la neve in camion, mentre migliaia di ettari di foresta di conifere subivano gli attacchi di un coleottero parassita che di norma viene ucciso da temperature sotto i -30 gradi e prospera invece negli inverni miti.

Nel conflitto sul cambiamento climatico, ogni «tribù» adotta punti di vista che riflettono le proprie convinzioni sul funzionamento della società piuttosto che una reale comprensione fisica del problema. A ciò Janet Swim, docente di Psicologia alla Penn State University, aggiunge che il modello mentale è spesso una gabbia che ci fa credere di conoscere argomenti complessi semplificandoli eccessivamente: la neve è un’icona associata con un clima freddo, quindi nell’immaginario esclude che il pianeta si stia riscaldando.

Eric Johnson, della Columbia Business School, precisa che le nostre esperienze più vivide e recenti spesso offuscano informazioni più significative ma astratte e lontane nel tempo, proprio come un malato non si accorge dell’insorgere di una grave patologia, riscontrabile solo da un esame medico e non dal fatto di sentirsi in forma. Insomma, questa miscela di impressioni e interpretazioni soggettive, unita all’informazione talora affidata a giornalisti non preparati, ha mandato a picco la fiducia nella scienza del clima, rafforzata dal fiasco della previsione di mortalità dovuta al nuovo virus influenzale. Eppure la scienza in sé, con tutto questo rumore c'entra poco o nulla. Continua a fare il suo mestiere di ricerca della verità, sbagliando e correggendo, ma offrendoci comunque degli strumenti di decisione basati sulla probabilità. Anche nell’incertezza si possono così fare scelte razionali.

Lo scetticismo è benvenuto quando aiuta a migliorare la qualità dei risultati, non quando mira soltanto a demolire la credibilità di un’intera categoria. Purtroppo vi è anche una scienza deviata che su inevitabili imprecisioni del rapporto sul clima dell’Ipcc-Onu ha costruito una campagna di disinformazione di proporzioni pari a quella che fu messa in atto dalle multinazionali del tabacco contro i medici che ne sostenevano la tossicità. In proposito, Greenpeace ha pubblicato un rapporto su vent’anni di negazionismo climatico ad opera dell’industria dei combustibili fossili, intitolato «Dealing with doubt» («far commercio del dubbio»). Michael Mann, il climatologo della Pennsylvania University ferocemente attaccato per la sua ricostruzione della temperatura della Terra negli ultimi duemila anni, ritenuta fasulla, ha commentato così: «La fazione che sta montando questi attacchi è estremamente ben finanziata e organizzata. Da decenni dispone di un’infrastruttura preparata per aggressioni di questo genere, sviluppata durante le campagne contro il fumo e per la difesa di altri interessi. E’ letteralmente come un marine che fa a botte con un ragazzino scout. Noi non siamo esperti di pubbliche relazioni come lo sono loro, non siamo avvocati, non siamo lobbisti. Siamo scienziati, abbiamo studiato come fare scienza». La scienza ha sì i suoi difetti, come tutte le cose umane, ma in fondo funziona, e anche questo giornale si scrive e si stampa grazie alle sue conquiste.

da lastampa.it


Titolo: LUCA MERCALLI. Si può fare molto anche da soli
Inserito da: Admin - Giugno 05, 2010, 05:15:05 pm
5/6/2010

Si può fare molto anche da soli
   
LUCA MERCALLI

Affinché la Giornata mondiale dell'Ambiente non sia la solita celebrazione di facciata come tante, è importante un coinvolgimento personale immediato, senza aspettare, come spesso si sente dire, che siano i grandi a decidere. La Terra è abitata da quasi sette miliardi di persone ed è la somma dei loro comportamenti a incidere sul suo stato sanitario.

I motivi per far qualcosa non sono solo di natura etica o estetica, ma attingono alla difesa del benessere degli individui di oggi e di domani in relazione a un ambiente che, minacciato su ogni fronte, dai cambiamenti climatici alla macchia oleosa sull’oceano, dal sovrasfruttamento di suoli, mari e foreste alla produzione di rifiuti, rischia di non garantirci più, come specie, una dignitosa sopravvivenza. Da che parte cominciare allora? Primo, caccia allo spreco. E' il principio guida a cui guardare. Nella nostra società occidentale si butta via tra energia, cibo e materie prime circa il trenta per cento di ciò che circola sul mercato.

La casa: è un gran colabrodo energetico, d'inverno il prezioso caldo ottenuto da gas o petrolio esce da spifferi, pareti e tetti mal isolati, d'estate a uscire è il freddo prodotto a caro prezzo dai condizionatori. Isolare, isolare e isolare ancora, cambiare infissi, installare pannelli solari per l'acqua calda e fotovoltaici per l'elettricità, mettere una caldaia a condensazione o una pompa di calore. Tutte cose che sembrano costar care sul momento, ma in realtà godono di incentivi e sgravi fiscali, generano nuova economia virtuosa e abbassano per sempre le bollette e le emissioni. E poi non è solo per denaro, farsi la doccia con l'acqua solare deve diventare un punto d'orgoglio, un godimento interiore e spazzare via altri status symbol obsoleti e ingordi.

Ah, tutto ciò si può fare anche in condominio, l'esercizio di democrazia partecipata che si deve superare per mettere d'accordo tutti sarà utile per l'intera società. Ridurre i rifiuti: meno imballaggi, meno acquisti superflui, essenzialità degli oggetti del desiderio, meno cose, più buone relazioni. E quello che resta, lo si ricicla differenziando. Se avete solo pochi metri quadri di terreno, fateci il compost, evitando che un camioncino debba passare a raccogliere bucce di patate e insalata appassita bruciando gasolio laddove i microrganismi fanno tutto gratis in pochi mesi.

E se avete un giardino con i nanetti e il prato all'inglese, uccidete i nanetti, arate il prato - che nel nostro clima ingoia inutilmente un sacco d'acqua - e al loro posto piantate pomodori e zucchine. Ci sono anche tanti orti urbani da creare sulle ceneri di aree dimenticate, nell'orto si produce a chilometri zero e si imparano molte cose sul funzionamento del mondo. Viaggiate di meno, una riunione evitata grazie a Skype è una benedizione anche per il vostro relax e ha emesso molta meno CO2 di un aereo o di un treno. L'auto? Piccola ed efficiente, astenersi dai Suv. Si può cominciare da qui, il resto verrà, anche da parte dei grandi della Terra.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7440&ID_sezione=&sezione=


Titolo: LUCA MERCALLI. Se l'estate diventa virtuale
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2010, 04:19:16 pm
21/6/2010 - NEVE A GIUGNO

Se l'estate diventa virtuale
   
LUCA MERCALLI


Al Bar Sport e da Livia Coiffeur non si parla d’altro: che fine ha fatto l’estate? Sarà colpa delle ceneri del vulcano islandese? I climatologi rispondono che si è trattata di un’eruzione di piccola taglia che non ha raggiunto la stratosfera e quindi difficilmente può modificare il clima in modo vistoso.

Sarà la corrente del Golfo che si è fermata? No, per ora è accaduto solo nei film di Hollywood, e anzi quest’anno è proprio l’Atlantico settentrionale a soffrire il caldo, con il ghiaccio di banchisa ai minimi termini. Saranno misteriosi esperimenti militari americani? Mah, almeno finché c’era il muro si poteva anche pensare che fossero sovietici, oggi non c’è più gusto nemmeno a sognar complotti. Il fatto è che pur vivendo nell’epoca dove più di sempre abbiamo avuto a disposizione tanti dati scientifici precisi e tanti modi per diffonderli, non siamo capaci di comprenderli e gestirli, siamo frastornati da migliaia di informazioni che si sovrappongono, si elidono, si annichilano, e ciò che ne rimane è solo la sensazione a pelle dell’immediato e mai la riflessione di testa ad onda lunga. Oggi fa caldo, colpa dell’effetto serra, domani fa freddo, ci avviamo verso l’era glaciale. Così a proposito di questi giorni di giugno effettivamente freschi e piovosi, parliamo d’estate quando la stagione è appena cominciata e tutto luglio e agosto potrebbero ancora ribaltare la situazione facendoci rimpiangere la frescura. Sentenziamo su una settimana di nubifragi dimenticando che i primi dieci giorni del mese ci lamentavamo già per l’afa insopportabile con i condizionatori a manetta per via di quattro gradi oltre la media stagionale, tanto anomali quanto il freddo di oggi. Gridiamo all’eccezionalità senza nemmeno ricordare il tempo del mese scorso e men che meno quello di dieci anni fa.

Fortuna che ci sono i computer: il 1992 fu al Nord Italia un pessimo giugno, freddo e piovoso, il 19 giugno del 1983 cadeva sulle Alpi occidentali quasi un metro di neve, il 15 giugno 1957 da Cuneo alla Val d’Aosta una delle peggiori alluvioni della storia devastava le vallate, il 23 giugno del 1940 gli alpini impegnati con le divise estive nell’attacco alla Francia sulle giogaie della Val di Susa avvolte dalla tormenta, piangevano mani e piedi congelati. È certamente giusto sorprendersi di questa variabilità così accentuata - mancano alla corrente stagione gradualità e continuità - ma nubifragi, grandine e ritorni di freddo in giugno non sono una novità, tant’è che appena in Svizzera questi fenomeni vanno tradizionalmente sotto il nome di «freddo delle pecore», l’ultimo caso è dietro l’angolo, metà giugno 2008, quando anche a Torino e Milano il termometro toccò 13 gradi, come ieri. Piuttosto non sarà che ci stiamo sempre più abituando a stagioni virtuali? L’estate deve essere bella e calda perché lo dice la pubblicità, e quando quella reale non coincide con questo modello, allora andiamo in crisi. E poi negli ultimi dieci anni il riscaldamento globale ha fatto diventare molti mesi di giugno caldi come luglio: dal 2003 al 2006 e poi ancora nel 2009. Hanno fatto in fretta a diventare norma anche se sono l’eccezione.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7501&ID_sezione=&sezione=


Titolo: LUCA MERCALLI. Un rischio subdolo in alta quota
Inserito da: Admin - Agosto 27, 2010, 08:57:55 pm
27/8/2010

Un rischio subdolo in alta quota

LUCA MERCALLI

Ciò che si sta cercando di evitare che avvenga sul Ghiacciaio di Tête Rousse è un Glof. Acronimo onomatopeico per «Glacial lake outburst flood», ovvero alluvione generata dall’improvviso rilascio di un lago glaciale.

In realtà il rumore che fece la sacca d’acqua di 200 mila metri cubi intrappolata nel ventre dell’insignificante ghiacciaietto del gruppo del Bianco quando esplose alle ore 01,25 della notte del 12 luglio 1892, fu ben più di un «glof»: un rombo lugubre, una furiosa colata di fango, alberi e massi che fece tremare il suolo sul suo percorso di 14 chilometri e 2400 metri di dislivello e dopo qualche decina di minuti si abbatté sulle terme di Saint-Gervais. Gli ospiti dello stabilimento termale furono svegliati da un soffio, seguito da un sibilo, una vibrazione, un boato assordante. E poi la morte per 130 di essi. Nelle tenebre, tra muri che crollavano e gorghi di fango che invadevano saloni e corridoi, risuonavano i lamenti dei feriti e le urla dei superstiti seminudi in preda al panico. L'ondata mortifera si propagò fino al villaggio sottostante e in totale le vittime identificate furono 175.

I glaciologi del servizio Eaux et forets che visitarono il ghiacciaio nei giorni successivi videro una grande caverna che si apriva nel ghiaccio là dove il segreto lago endoglaciale, forse per anni, aveva covato la catastrofe. Con i mezzi dell'epoca, senza elicotteri, senza macchinari, furono realizzate opere di prevenzione ammirevoli: entro il 1900 si terminò un tunnel di 150 metri, ramificato in sette branche, per drenare l'acqua alla base del ghiaccio. Nel 1901 venne identificata una nuova sacca d'acqua che costrinse a scavare ancora un tratto di galleria in roccia: raggiunta il 28 luglio 1904 con enormi sforzi, fu drenata senza danni.

Poi per un secolo più nessun evento, ma le gallerie sono state sempre mantenute in ordine e da qualche anno, grazie anche alla possibilità di effettuare sondaggi radar e tramite risonanza magnetica nucleare, l'équipe di Christian Vincent, del Laboratoire de Glaciologie del CNRS di Grenoble ha identificato un nuovo accumulo idrico di circa 65.000 metri cubi che oggi viene drenato più facilmente dall'alto, forando il ghiacciaio con sonde a vapore e utilizzando potenti pompe azionate da gruppi elettrogeni trasportati a quota 3200 metri da elicotteri. Ogni metro cubo d'acqua estratto dal ventre del ghiacciaio allevierà il pericolo che incombe su Saint Gervais.

I laghi glaciali sono tra i rischi più subdoli e impattanti per le montagne di tutto il mondo, dalle Ande all'Himalaya, dove assumono proporzioni enormi, esaltate dal riscaldamento globale, che tuttavia nel caso di Tête Rousse ha un ruolo secondario rispetto alla morfologia del ghiacciaio. Sulle Alpi i laghi glaciali sono stati censiti dal progetto europeo Glaciorisk, che nel 2002 culminò con la crisi estiva del lago Effimero sul ghiacciaio del Belvedere di Macugnaga, alla base della parete est del Monte Rosa. Il gigantesco bacino di tre milioni di metri cubi d'acqua che minacciava la Valle Anzasca fu oggetto di una colossale operazione di protezione civile per abbassarne il livello, e si svuotò poi naturalmente senza danni.

Negli stessi anni un altro grande lago di 600.000 metri cubi sul ghiacciaio del Rocciamelone, sul confine tra Val di Susa e Maurienne, inquietava le autorità francesi e italiane che nel 2004 incaricavano sempre l'équipe di Vincent dello svuotamento, felicemente concluso nell'estate 2005. Storie di buona protezione civile.

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Titolo: LUCA MERCALLI. Italia, tristi cartelli di benvenuto
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2010, 10:02:54 pm
2/9/2010

Italia, tristi cartelli di benvenuto

LUCA MERCALLI

Un paese lo si ama se lo si conosce. C’è una geografia che si impara a scuola, e che è in via di estinzione, e c’è una geografia che si impara ogni giorno dai finestrini dell’auto o del treno.
Ma chi guarda ancora al territorio con curiosità, attenzione e senso critico? Ormai in viaggio si fa di tutto per estraniarsi dal contesto attraversato: palmari, lettori di musica, internet, film, vetri oscurati. Così si diventa sempre più insensibili e ignoranti, mentre il brutto avanza e il paesaggio si degrada inesorabilmente. Nel 1876 il lecchese Antonio Stoppani, illustre geologo e geografo oggi dimenticato, pubblicava con strepitoso successo «Il Bel Paese» (oggi ristampato, dopo lunga assenza dai cataloghi, dall’editore Aragno con introduzione di Luca Clerici).

Un libro che è un capolavoro di divulgazione scientifica, nel quale l’autore si rivolge ai suoi giovani nipoti in forma di dialogo, raccontando per ventinove serate in un salotto milanese le peculiarità naturalistiche dell’Italia appena fatta, dalle Alpi all’Etna. Un libro che diventò un long seller, e per un po’ fu il terzo titolo venduto dopo I Promessi Sposi e il Cuore di De Amicis. Oggi tutti parlano del bel paese, ma più che Stoppani ricordano un formaggio così battezzato in onore dello studioso da Egidio Galbani nel 1906. E soprattutto i giovani studenti di oggi, orfani di uno Stoppani e distratti da mille gingilli virtuali, non ricevono più quella semplice abitudine a osservare e godere del mondo fisico che li circonda.

Le strade italiane poi non aiutano. Mai una piazzola ben curata che inviti a una sosta per apprezzare un panorama o scattare una foto, per farsi un’idea di quel pezzo di pianeta Terra. Immensi pannelli pubblicitari impestano l’orizzonte stradale, quando trovi uno scorcio e riesci a fermarti senza creare un tamponamento, vieni in genere accolto da mucchi di piastrelle sbrecciate, vecchie tazze di wc, copertoni usati, cespugli-latrina e vari resti del posto-prostituta. Immagino di essere un turista francese in viaggio verso il bel paese. Arrivo dalla Provenza via Briançon, e poco dopo L’Argentière-la-Bessée in un tornante della Route Nationale 94 trovo una grande statua che simboleggia il turista alpino, un parcheggio e una tavola d’orientamento in ceramica smaltata che illustra le vette degli Ecrins. Un posto qualunque, valorizzato e reso portatore di informazioni e di valori. Ti fermi e apprendi dove sei.

Colle del Monginevro, Clavière, il cartello stradale dice che entri in Italia. All’uscita delle gallerie paravalanghe dello Chaberton c’è un balcone perfetto sull’alta Val di Susa: la vista spazia su Sestriere, Cesana, Sauze d’Oulx, giù fin verso la pianura padana.

Il biglietto da visita dell’Italia è però un magazzino Anas diroccato e uno spiazzo con cumuli di macerie, oggi pure transennato per il cantiere del nuovo tunnel in costruzione. Altro che tavola di orientamento in ceramica! Nemmeno le olimpiadi invernali hanno pensato che valesse più un dignitoso belvedere di mille slogan turistici bugiardi.

Proviamo un altro italico accesso, dall’augusto valico del Moncenisio. Passato il ridente villaggio alpino di Lanslebourg, poco prima del colle, altro semplice parcheggio con tavola d’orientamento verso la Vanoise. Poco dopo a Bar Cenisio appare il vecchio posto di frontiera italiano, abbandonato e devastato: sembra il Kosovo dopo i bombardamenti. Un borgo fantasma, vecchi alberghi con le imposte inchiodate, un ponte a senso unico alternato non ancora riparato dopo i danni dell’alluvione del maggio 2008, una baita ristrutturata con i gerani alle finestre unica tenace nota di civiltà. E poi fino a Susa la Strada Statale 25 costellata dei tristi ruderi delle case cantoniere, imponenti e pericolanti edifici rosso pompeiano, usate oggi come cessi e come supporto per graffiti. Uno spettacolo che ti prende alla gola, perfetta metafora del Bel Paese in rovina.

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Titolo: LUCA MERCALLI. In Liguria bombe d'acqua sull'eccesso di urbanizzazione
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2010, 05:43:10 pm
6/10/2010

In Liguria bombe d'acqua sull'eccesso di urbanizzazione
   
LUCA MERCALLI


Nubifragi e urbanizzazione non vanno d’accordo. Una precipitazione torrenziale di 411 millimetri in sei ore, di cui 124 in una sola ora, come quella caduta al Santuario di Monte Gazzo, sopra Genova, rappresenta di per sé un fenomeno violento della natura, cioè oltre quattrocento litri d'acqua al metro quadro che si precipitano dai pendii, erodono il suolo e trasportano fango, pietre, alberi, detriti.

Da sempre questi episodi minacciano i centri abitati e l’agricoltura, come dimostrano le cronache storiche di cui il nostro paese è pieno, a cominciare dall’alluvione proprio di Genova dell’ottobre 1970, allorché i millimetri caduti a Bolzaneto furono 948 in un giorno, la pioggia più intensa d’Italia. Ma se alla pioggia si aggiunge una dilagante occupazione del territorio da parte di edifici, strade, piazzali, capannoni, che talora arrivano pure a intubare i corsi d’acqua torrentizi, allora il quadro si complica: da un lato aumenta in modo esponenziale il danno, là dove cent’anni fa c’era solo un bosco o un campo, ora ci sono milioni di euro di valori e molte vite umane a rischio.

Ogni metro quadro di territorio diventa un obiettivo sensibile: una rete di tubi e cavi si dispiega sottoterra, una viabilità capillare percorre il suolo, automobili in marcia o in sosta vengono distrutte come fuscelli, edifici con i loro contenuti - preziosi in denaro o in affetti - vengono inondati dal fango, fino alla perdita di vite, come accaduto nel sottopassaggio di Prato, allagato da una pioggia di 105 mm in poco più di due ore. E dall’altro lato, proprio Prato insegna, l’impermeabilizzazione del suolo cementato e asfaltato aumenta le portate di ruscellamento e diminuisce i tempi di corrivazione, aggiungendo alla bomba d’acqua meteorologica l’alluvione-lampo antropogenica.

La scarsa cultura di protezione civile italica fa il resto: quanti sanno che anche il più massiccio Suv galleggia in mezzo metro d’acqua nella quale si perde il controllo e si viene trascinati via? Cent’anni fa, ammesso che un sottopassaggio fosse esistito, durante una pioggia così non ci si sarebbe entrati a piedi o a cavallo. Oggi la falsa sicurezza di un guscio di lamiera fa dimenticare che vince sempre l’acqua. E se poi i cambiamenti climatici ci si mettono pure ad aumentare la frequenza di questi eventi intensi, la prevenzione diventa ancora più necessaria. E la salvaguardia assoluta del poco suolo libero rimasto, anche.

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Titolo: LUCA MERCALLI. Guardare in faccia il Grande Dissesto
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:28:15 pm
2/11/2010

Guardare in faccia il Grande Dissesto
   
LUCA MERCALLI


Racconta Fenoglio nei «Ventitré giorni della città di Alba» che «verso la fine d’ottobre (1944) piovve in montagna e piovve in pianura, il fiume Tanaro parve rizzarsi in piedi tanto crebbe». Una tra le tante piene di cui l’autunno italiano è da sempre costellato.

Capitano a causa delle intense perturbazioni che si generano per l’interazione tra le prime discese di aria fredda polare e la tiepida superficie del Mediterraneo ereditata dall’estate. È appena il caso di ricordare le pietre miliari delle grandi piogge autunnali, limitandoci a quelle più recenti e rovinose: l’imponente alluvione del Polesine è di metà novembre 1951, la storica piena dell’Arno a Firenze, con Venezia invasa dall’acqua alta del secolo, è del 4 novembre 1966, il Biellese viene devastato il 3 novembre 1968, Genova è messa in ginocchio il 7 ottobre 1970, il Tanaro infanga Alba e Alessandria il 5-6 novembre 1994, il Po a metà ottobre del 2000 esonda dalle Alpi al delta. L’elenco completo sarebbe immenso, e non è una novità per il nostro territorio.

Solo un mese fa ci toccava scrivere un pezzo non diverso da questo per i nubifragi su Genova, un anno fa era Messina che franava e a Natale erano in piena i fiumi della Lunigiana, la stessa regione investita nelle scorse ore da piogge di 200-300 millimetri da cui hanno preso origine le colate detritiche sulle frazioni di Massa. Una vasta perturbazione generata dalla depressione «Xanthippe», così battezzata come è uso da oltre un decennio dall’istituto di meteorologia dell’Università di Berlino, ha scaricato sul nord Italia tra cento e duecento millimetri di pioggia in due giorni, con massimi di 350 mm sull’alto Vicentino, ha portato le prime abbondanti nevicate oltre i 2000 metri e una vigorosa sciroccata sulle isole. Un evento tuttavia non eccezionalmente intenso, capita più o meno ogni anno. Ma allora perché siamo sempre qui a stupirci di fronte alle vittime e ai danni? In effetti nubifragi, frane e alluvioni fanno parte, dalla notte dei tempi, della naturale dinamica del territorio e sempre ci saranno, qui come altrove. È la nostra vulnerabilità che si è accresciuta, a seguito di una dilagante cementificazione fondata su un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che di convivenza. La ricetta internazionalmente proposta affinché le forti piogge facciano meno paura è dunque: 1) una più saggia pianificazione urbanistica con drastico blocco della nuova edificazione; 2) una coraggiosa rilocalizzazione degli abitati in zone a rischio, come ha fatto il governo francese nelle aree costiere inondate dalla tempesta Xinthia dello scorso febbraio; 3) un fondo assicurativo obbligatorio sui rischi naturali; 4) un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare e diffusa in luogo di grandi opere di canalizzazione e arginatura che spesso producono un senso di falsa sicurezza e aprono la strada a nuovi insediamenti edilizi; 5) martellanti programmi educativi di prevenzione, nelle scuole e in televisione: si abbia il coraggio di spiegare alla gente in prima serata come ci si deve comportare in caso di emergenza senza essere etichettati come portaiella; 6) potenziamento dell’infrastruttura di previsione meteorologica e protezione civile, incluse esercitazioni. Tutte queste cose si fanno regolarmente per esempio negli Stati Uniti contro uragani e alluvioni (www.floods.org), in Italia sono in genere riservate agli addetti ai lavori, invece bisogna che arrivino al grande pubblico, che diventino parte integrante del corredo di capacità di ogni cittadino: in gioco ci sono la casa e la vita. È probabile che in futuro i cambiamenti climatici proporranno precipitazioni ancora più intense: una ragione di più per attrezzarsi. Invece del Grande Fratello forse sarebbe bene cominciare a guardare in faccia il Grande Dissesto Idrogeologico del nostro Paese.

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Titolo: LUCA MERCALLI. Ma i grandi vertici non servono
Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2010, 04:22:11 pm
12/12/2010

Ma i grandi vertici non servono


LUCA MERCALLI

Alla fine Cancún ha portato a casa un accordo definito «equilibrato». Tutti concordi sul fatto che contro il riscaldamento globale si debba agire, che si debbano stanziare fondi per i Paesi in via di sviluppo per la diffusione di energie rinnovabili e per la salvaguardia delle foreste. Ma la domanda è: i tempi della diplomazia sono compatibili con quelli della termodinamica?

Il sistema climatico, soggetto a implacabili leggi fisiche, è del tutto indifferente alle nostre difficoltà politiche ed economiche, e i segnali che giungono dall’ambiente sono giustamente inquietanti. La banchisa polare artica si sta riducendo al di là dei modelli più pessimisti elaborati negli scorsi anni e si ritiene che il ghiaccio marino estivo sarà pressoché scomparso verso il 2030. La concentrazione di CO2 in atmosfera è oggi di 390 parti per milione.
Mentre il valore ritenuto sicuro per evitare cambiamenti climatici inediti per la specie umana è di 350 parti per milione.

In questo contesto, anche con accordi più severi, si rischia comunque un aumento termico dell’ordine di tre gradi entro fine secolo, il che non sarà una passeggiata per la civiltà. Quindi, che fare?

Cancún e Copenhagen mostrano che l’epoca delle grandi conferenze mediatizzate e onnicomprensive è al tramonto. Troppa attesa concentrata in negoziati ora febbrili, ora stancamente trascinati, spesso bloccati su questioni formali. Meglio dunque un flusso continuo di intese multilaterali che risolvano via via le varie questioni che sorgono tra singoli Paesi o blocchi economici. Ma il vero obiettivo è la diffusione di una consapevolezza globale che porti a una corale condivisione dal basso dell’urgenza di agire, della necessità di mettere al servizio di questa enorme sfida tutti i saperi, tutte le risorse e tutta la creatività in grado di spingere la politica internazionale a fare molto di più di quanto oggi si possa immaginare.

Tocca ribaltare l’attuale criterio di delega assoluta alla politica per la soluzione dei problemi mentre nel frattempo si aspetta inerti.
Almeno nel mondo industrializzato ognuno ha la possibilità di assumersi fin da subito le proprie responsabilità: consumi sobri, efficienza energetica, pannelli solari, trasporti morigerati, riduzione dei rifiuti. Sono scelte che non hanno bisogno di aspettare né Cancún né Durban. E i migliori cervelli del mondo è ora che riflettano sull’evoluzione del modello economico e demografico imperante: la crescita infinita dei consumi e della popolazione non è infatti compatibile con la finitezza delle risorse terrestri e la stabilità del clima.
Invece che di crescita, vogliamo cominciare a parlare dell’economia in «stato stazionario»?

Cercate Herman Daly su Google


Titolo: LUCA MERCALLI. Sorpresi da una precipitazione annunciata
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2010, 11:09:28 am
18/12/2010

Sorpresi da una precipitazione annunciata

LUCA MERCALLI

A Palermo non ha nevicato, ma negli ultimi giorni la temperatura non è mai salita sopra i 9 gradi. Non freddo polare, ma abbastanza per diventare un problema se non c’è il riscaldamento. In 158 scuole, tra asili nido, elementari e medie i termosifoni non sono mai stati accesi perchè il Comune di Palermo lo scorso luglio, per mancanza di risorse, ha sospeso il servizio, gestito dall’Amg, di manutenzione e accensione delle caldaie. Unico rimedio per i bambini è stare in classe con cappotti, piumini, sciarpe, guanti e cappelli e con le gambe coperte da plaid distribuiti dagli insegnanti.

«Stiamo letteralmente morendo dal freddo - dice Francesca Vella, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo Pier Santi Mattarella - la palestra è stata chiusa perchè non si può chiedere ai bambini di mettersi in tuta, c’è troppo freddo e umidità. Nelle classi tutti stanno con le sciarpe e i piumini: per questo ho preso la decisione di comprare delle stufe e distribuirle nelle classi».Appennino Pistoiese, è mezzanotte di giovedì, la luna splende in un gelido cielo, non c’è da credere che domani nevichi, ma si sa, oggi le previsioni meteo sono quasi infallibili. A guardar bene c’è un sottile velo di cirrostrati che avanza da occidente, appena un alone attorno alla luna, eccolo lì l’indizio. Alba di venerdì 17, cielo plumbeo e primi fiocchi, alla stazione di Prato comincia a imbiancare per terra. Treni in ritardo, anche il mio intercity da Napoli, dove tuttavia non nevica e ci sono tre gradi. Passato l’Appennino i prati sono verdi, a Bologna termometro a meno quattro, qualche fiocco svolazzante e altri treni in ritardo.

La neve ricompare a Forlì e a Rimini ce ne sono dieci centimetri, un paesaggio fiabesco che prosegue lungo un ceruleo Adriatico fino in Puglia, dove però la nevicata si era fatta vedere soprattutto mercoledì e giovedì: a Bari appena una spruzzata. E non è certo la prima volta che le spiagge e l’entroterra pugliesi si imbiancano all’inizio dell’inverno: il 15 dicembre 2007 si verificò la fioccata più abbondante degli ultimi anni, con 15 centimetri di manto a Foggia e perfino una trentina nell’entroterra barese. Per non parlare del 1993, quando il 2-3 gennaio le stesse zone furono coperte da mezzo metro di neve sotto le gelide correnti balcaniche.

Ma allora perché ogni volta improvvisamente tutto si complica e diventa difficile, e per una decina di centimetri di neve anche l’informazione assume contorni apocalittici? Nemmeno si può invocare la sorpresa, perché le previsioni l’annunciavano da tre giorni. Sarà forse perché il nostro contatto con l’ambiente naturale si è affievolito, completamente allontanato dai nostri ritmi quotidiani fatti di affari sempre più cittadini, corse contro il tempo, realtà virtuali, fiumi di telefonate e valanghe di Internet, dove improbabili spot pubblicitari inneggiano ad automobili senza limiti che arrampicano impavide sul ghiaccio e contrastano con la goffaggine quotidiana di chi non riesce nemmeno a uscire dal garage, e meno che mai a montare le catene. Sarà che una banale nevicata diventa come una scintilla che fa esplodere una società sempre sull’orlo del collasso. O sarà forse perché psicologicamente vogliamo che la nevicata sia un evento di stacco, di purificazione di un mondo sporco che ci piace sempre meno.

Allora questi pochi centimetri di bianco che ricoprono i nostri paesaggi abituali diventano occasione per desiderare un rinnovamento, un cambio di prospettiva. Ci lamentiamo dei disagi ma in fondo siamo contenti di aver avuto per una giornata un diversivo e una testimonianza che là fuori esiste ancora un pianeta dove le cose semplicemente avvengono senza il nostro controllo. Ma intanto, tra poche ore sarà tutto finito: dopo i venti nordici arriveranno, a partire da domani, quelli atlantici più miti e umidi. La neve fonderà e lascerà il posto alla pioggia su molte regioni italiane. Così, passato il gelo, torneremo a lamentarci di altre faccende.

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Titolo: LUCA MERCALLI. Un aprile mai così afoso e il termometro salirà
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2011, 10:33:34 pm
8/4/2011

Un aprile mai così afoso e il termometro salirà

LUCA MERCALLI

Un caldo così nella prima metà di aprile non si era mai visto. Ieri pomeriggio, sotto l’azione di un robusto anticiclone alimentato da aria algerina e con il contributo di un lieve effetto föhn, le temperature sono salite fino a 30,1 gradi all’aeroporto di Aosta.

Così nel capoluogo valdostano è stato stabilito un record per l’intero mese di aprile dall’inizio delle misure nel 1974 secondo i dati dell’Ufficio Meteorologico Regionale valdostano. Ma la soglia dei trenta si è raggiunta - con un mese e mezzo di anticipo rispetto al normale - anche in altre località del Nord come Alessandria e Bolzano. Altrove, 28 gradi a Torino e Milano, 27 a Bologna e Verona, valori che - sebbene non costituiscano ancora dei massimi assoluti per il mese - sono tuttavia eccezionali a scala secolare per la prima decade, solitamente fresca e piovosa: il divario rispetto alle medie del periodo tocca infatti i 12-15 gradi. Solo un mese fa si verificava l'ultima nevicata della stagione in Pianura Padana, ed eccoci ora in mezze maniche… inevitabile che questo caldo precoce lo si avverta così tanto. Le temperature diurne potranno ulteriormente salire di 1-2 gradi tra oggi e domani, quando sul Nord Italia diversi record storici potrebbero essere battuti.

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/


Titolo: LUCA MERCALLI. Sole e caldo rifaranno presto capolino
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2011, 09:58:25 am
Cronache

20/07/2011 -

Sole e caldo rifaranno presto capolino

Le previsioni per l'estate

LUCA MERCALLI

Mentre a Bologna ieri il termometro sfiorava i 30 gradi, a Torino raggiungeva appena quota venti, sotto l’ennesimo acquazzone, e la neve imbiancava i pascoli alpini fin verso i 2500 metri. Come mai questa estate 2011, che al centro-sud Italia è ormai partita alla grande - 37 gradi a Bari sempre ieri - snobba completamente l’angolo nord-ovest? Il motivo risiede nella conformazione che hanno assunto fin da inizio giugno le correnti atmosferiche sull’Europa occidentale: l’anticiclone delle Azzorre è ben solido sull’Atlantico ma stenta a prolungarsi verso il Mediterraneo, dove invece si susseguono moderate pulsazioni dell’alta pressione africana, una sorta di bolla calda che dal Marocco o dall’Algeria invade le nostre regioni centro-meridionali.

In un modo o nell’altro, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria rimangono o sotto il flusso di fresche correnti orientali che scorrono sul bordo del timido anticiclone atlantico, oppure sotto le umide e afose correnti da sud-ovest che strisciano sul confine dell’anticiclone africano piegato dal Marocco all’Adriatico. Questo fa sì che i periodi stabili e soleggiati - che distinguono il cuore dell’estate anche sulla Pianura Padana, allorché si è ampiamente protetti su tutti i lati dall’alta pressione - quest’anno, per la posizione «di confine» che il nord-ovest si è trovato ad assumere, non si siano ancora instaurati. Al contrario, particolarmente frequenti sono state le piogge, spesso abbondanti e torrenziali, che hanno ampiamente compensato l’anomala siccità primaverile, scaricando su Torino circa 470 millimetri d’acqua da inizio giugno a ieri, e promettendo così a questa stagione una posizione di rispetto negli annali pluviometrici.

L’impressione di un’estate bacata è legata soprattutto alla frequenza delle piogge più che alla mancanza di caldo: infatti, sempre a Torino, giugno si è chiuso con 0,3 gradi oltre la media nonostante i 17 giorni di pioggia, e luglio, benché abbia fatto cilecca nei suoi giorni centrali che statisticamente dovrebbero essere i più caldi dell’anno, è per ora appena al di sotto del valore normale trentennale, tant’è che la maturazione della frutta e lo sviluppo delle viti si mantengono comunque in netto anticipo.

Dobbiamo dunque metterci il cuore in pace anche sulla seconda metà dell'estate? No, i giochi non sono ancora fatti. Per il momento, dopo altre giornate ancora fresche e variabili, solo negli ultimi giorni del mese si profila un consolidamento delle strutture anticicloniche anche sulle Alpi, con tempo più stabile e asciutto e temperature in aumento su valori diurni probabilmente superiori a trenta gradi in pianura. In seguito agosto, sul quale per ora non si possono ancora fare previsioni affidabili, ha ancora tutte le potenzialità di riprendersi e farci soffrire il caldo. Sempre se la circolazione generale dell’atmosfera, che recentemente mostra non poche novità - come il caldo anomalo che in giugno ha insistito sull’Oceano Artico, Groenlandia e Siberia - si degnerà di rispettare i suoi canoni.

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/412273/


Titolo: LUCA MERCALLI. Consigli per resistere all'emergenza
Inserito da: Admin - Agosto 27, 2011, 04:23:06 pm
27/8/2011

27/8/2011

Consigli per resistere all'emergenza

LUCA MERCALLI

Costa Est degli Stati Uniti: prima un improbabile terremoto, poi l’attesa per l’arrivo di Irene fino a New York, un uragano poco consueto fino a queste latitudini, il tutto a dieci anni da quel drammatico undici settembre. Cosa si accanisce sull’America? Le tempeste naturali dopo quelle finanziarie hanno almeno un vantaggio: sono un fenomeno fisico potente, pericoloso ma ben identificabile, contro cui ci si può organizzare e preparare. E proprio una concreta e pragmatica «preparedness» formicola febbrile su una striscia di territorio che va dalla South Carolina al New England, un concetto intraducibile in italiano, un misto di prevenzione e prontezza operativa di fronte a un disastro annunciato, sotto il motto «Sperare in bene, prepararsi al peggio». Nulla a che vedere con il catastrofismo né con il fatalismo. Qui sono le immagini satellitari e i modelli di simulazione dell’atmosfera a fornire i dati su cui costruire una strategia delle istituzioni ma soprattutto del popolo. Dopo Katrina nel 2005 gli Stati del Sud hanno metabolizzato questa lezione, per New York è invece meno scontato dover mettere in atto un piano di emergenza uragani, ma c’è sempre una prima volta, vuoi perché la statistica dei fenomeni meteorologici ha sempre nuove sorprese in serbo, vuoi perché i cambiamenti climatici cominciano a truccare le carte delle frequenze di eventi estremi.

Così, allertata dal National Hurricane Center (www.nhc.noaa.gov), la municipalità newyorkese non ha esitato da un lato a pulire i tombini da foglie e detriti, dall’altro a informare con ogni mezzo i propri cittadini su cosa fare di fronte al ciclone tropicale che potrebbe portare piogge torrenziali fino a 380 millimetri, raffiche tempestose di vento fino a 100 km/h e onde di marea alte fino a un paio di metri in grado di allagare vaste aree costiere e urbane. Le istruzioni sono semplici e chiare, stampate fin dal 2006 in undici lingue, italiano incluso (www.nyc.gov). Preparatevi a resistere fino a tre giorni di isolamento in casa con un «emergency kit»: quattro litri d’acqua potabile al giorno per persona, cibo in scatola e ovviamente l’apriscatole, materiale di pronto soccorso, lampada di emergenza con lampeggiante, radio a batterie o meglio con generatore manuale a molla, materiale per igiene personale maschile e femminile, varechina e contagocce per disinfezione acqua, provviste per bambini piccoli o anziani. Poi, in caso di evacuazione, tenete pronto uno zainetto d’emergenza («go bag») contenente: copia dei documenti importanti in busta impermeabile, secondo mazzo di chiavi di casa e dell’auto, bancomat, carta di credito e 50-100 dollari in biglietti di piccolo taglio, acqua in bottiglia e cibi non deperibili come barrette ai cereali o ad alto contenuto energetico, torcia elettrica, radio con pile di riserva, informazioni mediche aggiornate, elenco farmaci assunti e altri oggetti personali essenziali, nomi e numeri di telefono dei medici di famiglia, cassetta di pronto soccorso, informazioni su contatti e luogo di incontro per i membri della famiglia, unitamente a una mappa della zona, provviste per i bambini piccoli e altri oggetti per familiari bisognosi di speciali attenzioni. Ho voluto riportare anche solo una parte di questo elenco che sembra (a noi) ridicolo e banale, ma è fondamentale per difendere la propria vita e garantire un minimo di comfort durante i momenti critici. In Italia ve lo ha mai dato qualcuno? L’avete sentito declamare alla tv? Qui ci si vergogna quasi a dire alla gente di tener pronto un paio di stivali in caso di alluvione e un cambio di mutande pulite, paura di creare panico, di portare sgarro, meglio incrociare le dita, toccare ferro o altro, e poi sperare sui vigili del fuoco e i volontari della protezione civile, loro sì preparatissimi, ma che tuttavia intervengono solo a tragedia compiuta.

La Grande Mela tecnologica e glamour non si è vergognata, per bocca dello stesso sindaco Bloomberg, di ricordare di prendere portafoglio e dentifricio, di consultare la mappa su web dei rifugi collettivi più vicini (lo sapete dov’è il vostro?) e di scendere sotto il decimo piano dei grattacieli, che più in alto il pericolo è maggiore, e senza dimenticare cani e gatti! E’ proprio questa composta e operosa solerzia di tutti, dai politici ai portinai, che stupisce noi latini: qui siam stati rapidi a copiare i mutui subprime, mentre la preparedness è sconosciuta. Ne avremmo tanto bisogno, come patrimonio personale diffuso, non solo degli addetti ai lavori. Vi si sopperisce spesso con una tardiva pietas, da parte dei soccorritori, dei medici, ma più spesso nei cimiteri.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9133


Titolo: LUCA MERCALLI. E il nuovo clima diventa normalità
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2011, 05:43:05 pm
20/9/2011 - LE "ANOMALIE" SPIEGATE DALL'ESPERTO

E il nuovo clima diventa normalità

LUCA MERCALLI

E' appena passata e la si chiama ormai «l'estate più estrema di sempre». Ma cosa vuol dire? Dal punto di vista di chi studia il clima, nulla. È difficile definire il carattere degli estremi climatici, soprattutto su un'area geografica vasta. Su un singolo punto, come un osservatorio meteorologico attivo da duecent'anni, si può ricorrere a una statistica di rango, e dire questo caldo è eccezionale perché non si è mai verificato prima, questa pioggia non s'è mai vista, un vento così forte non ha mai soffiato. Ma non ha senso trasferire questi risultati a un'intera regione, o sul mondo intero. Pochi chilometri più in là la pioggia potrebbe non esser caduta, o il vento esser stato più debole.

Un po' meglio va con la temperatura che è un parametro più omogeneo sul territorio. Per definire un estremo climatico bisogna dunque precisare la scala spaziale: una città, l'Europa occidentale, il globo terrestre... E ancora: cosa vuol dire evento meteorologico estremo? Che ha fatto delle vittime? Distrutto case, strade, ponti? Rovinato le vacanze a un milione di turisti? In genere la percezione soggettiva di estremo meteorologico è mediata dall'interazione dell'evento con la società.

Un temporale può anche non essere estremo, bensì normale, ma può causare enormi guasti se colpisce il centro di Milano piuttosto che la campagna lodigiana. E hai voglia convincere chi ha subito lutti e danni che statisticamente non c'è nulla di anormale. Viceversa un vero inedito meteorologico può svilupparsi in una remota zona priva di abitanti e di stazioni meteorologiche e passare del tutto inosservato. E a livello stagionale, è più estrema l'estate 2003, il cui unico evento saliente è stato costituito dall'ostinata permanenza di giorni torridi, o l'estate 2011, ricca di alternanze meteorologiche contrastanti e di appariscenti tempeste locali?

Consci di questi limiti e della facilità con la quale si può cadere in trappole lessicali, cerchiamo di inquadrare cosa è successo in Italia in questa stagione estiva. Secondo l'Isac-Cnr di Bologna (www.isac.cnr.it) il trimestre giugno-agosto ha registrato un'anomalia di +0,8 gradi, che lo piazza al diciannovesimo posto tra le estati più calde dal 1800. La frescura alpina di giugno e luglio è stata infatti più che bilanciata dalla calura straordinaria che ha invaso tutto il paese in agosto. E nonostante i frequenti nubifragi al Nord, a scala nazionale alla fine è mancato il 20 per cento delle precipitazioni normali.

Se ampliamo lo sguardo a tutto il mondo la stagione è settima nell'elenco delle più roventi dal 1880 con 0,6 gradi oltre media, come indica l'americana Noaa (www.ncdc.noaa.gov), e alla banchisa artica, una settimana fa al suo minimo annuale di estensione, mancavano 2,4 milioni di chilometri quadrati rispetto alla norma, un deficit di superficie marina ghiacciata pari a otto volte l'Italia. Solo nel 2007 andò peggio.

Non è dunque l'estate più estrema di sempre, ma sono le anomalie di un nuovo clima che stanno diventando normalità.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9222


Titolo: LUCA MERCALLI. E' la febbre del nuovo Ferragosto
Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2011, 03:21:54 pm
1/10/2011

E' la febbre del nuovo Ferragosto

LUCA MERCALLI

Un settembre così caldo sul Nord Italia non si era mai visto, almeno da quando si eseguono le misure termometriche. Il predominio sull’Europa centrale di alte pressioni alimentate da aria di origine subtropicale ha determinato un anomalo prolungamento dell’estate, che si mantiene tuttora, giunti ormai al primo fine settimana di ottobre.

Tutti gli osservatori meteorologici storici, da Torino a Modena, da Piacenza a Pontremoli, hanno registrato temperature medie mensili da record. A Torino il valor medio di 23,1 gradi supera di 4 gradi il normale, ed è un primato per settembre dal 1753, superando il precedente massimo di 22,7 gradi stabilito nel settembre 1961. La situazione è stata simile all’osservatorio di Pontremoli, attivo dal 1929 sul fondovalle appenninico della Lunigiana: media di 20,1 gradi, 3 sopra la norma, anche qui un record. Pure al Sud il caldo non è mancato di certo, ma con anomalie meno pronunciate rispetto alle regioni centro-settentrionali. Ben poche perturbazioni sono riuscite a vincere il dominio anticiclonico e a scorrere lungo la penisola, effimere ma violente, come quella che tra il 17 e il 18 settembre ha scatenato nubifragi in Piemonte e Lombardia, e d’improvviso ha portato la neve fino a quota 1000 metri in Alto Adige.

Così, curiosamente, nel settembre più caldo da due secoli si è avuta una nevicata insolitamente precoce sulle Alpi centro-orientali. Bizzarrie della variabilità meteorologica, che talora propone anomalie ravvicinate di segno opposto, ma nello studio del clima contano più le medie di lungo periodo rispetto a episodi brevi e localizzati. E se pure le ondate di calura prese singolarmente non possono essere messe in relazione con certezza al riscaldamento globale, la loro frequenza è inequivocabilmente in aumento.

Dei dodici mesi dell’anno, a Torino ben undici - tutti salvo dicembre - hanno aggiornato il loro record ultrasecolare di caldo, inteso come media mensile, negli ultimi vent’anni, allorché la febbre dell’atmosfera è divenuta più evidente. E la frescura del luglio 2011, che ha disturbato le vacanze sulle Alpi, è stata solo un breve intermezzo in un'annata finora ben più calda del dovuto: se ne sono accorti non solo i ghiacciai, in drastico regresso anche quest’anno, ma anche le piante, le cui fasi di sviluppo stagionale hanno visto anticipi fino a un mese, e che talora stanno esibendo insolite fioriture che contribuiscono a rendere surreale l'atmosfera di questo strano inizio d'autunno.

Ieri pomeriggio, nonostante i cieli lattiginosi per foschie e particolato inquinante presente nell’aria della Pianura Padana, i termometri segnavano 27 gradi a Bolzano, 28 a Torino e Bologna, 29 a Trieste, valori da metà agosto. La configurazione meteorologica rimarrà immutata anche nel weekend, con temperature prossime a 30 gradi in molte città italiane, da Nord a Sud, e solo a metà della prossima settimana correnti dalla Scandinavia dovrebbero riportare le temperature entro la norma stagionale.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9268


Titolo: LUCA MERCALLI. - Il cielo minaccia ancora pioggia
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2011, 05:46:24 pm
30/10/2011

Il cielo minaccia ancora pioggia

Come difendersi dal disastro

LUCA MERCALLI

Una nuova perturbazione è attesa a partire da giovedì. Le correnti umide da sud apporteranno piogge abbondanti su Liguria, Piemonte e Triveneto, tuttavia a oltre quattro giorni di distanza non è ancora possibile definire i dettagli. Oggi le previsioni meteorologiche a medio termine sono affidabili, ma per diramare un’allerta attendibile in genere tocca attendere le quarantott’ore precedenti, comunque sufficienti a mettere in atto un piano di sicurezza. Alle previsioni del resto non si possono chiedere i miracoli, al momento non sono in grado di stabilire ora e luogo preciso di una piena o di una frana, ma possono concentrare l’attenzione su un’area dove attivare prefetture, Comuni, vigili del fuoco, protezione civile e volontari.

Tuttavia ciò che manca oggi in Italia è soprattutto la sensibilizzazione del pubblico: nel caso delle piene-lampo (flash floods) è fondamentale la conoscenza di elementari norme di autoprotezione, perché le onde di piena su torrenti montani in forte pendenza, le frane e le colate detritiche, sono fenomeni rapidissimi e non permettono di attendere avvisi esterni. La protezione civile interviene in questi casi solo a soccorrere le vittime, quando è troppo tardi, l’unica protezione efficace è quella che si mette in atto da soli. Dopo un primo avviso di attenzione bisogna informarsi costantemente sull’evoluzione meteorologica, e non fidarsi solo delle voci, ma ricorrere alle fonti ufficiali dei servizi meteo. Ogni Comune deve disporre di un piano di protezione civile e dovrebbe informare i cittadini sull’ubicazione dei rifugi, dei centri di raccolta e delle zone a rischio. Pretendete di conoscere queste cose quando si è tranquilli nelle giornate di sole, non in emergenza. Non bisogna farsi prendere dal panico: primo obiettivo è salvare la vita e non farsi male. Mai combattere con l’acqua e i detriti, sono più forti loro, vi travolgerebbero.

Un’automobile galleggia in poco più di 30 centimetri d’acqua e pesa oltre una tonnellata, vi spazza via come fuscelli se tentate di opporvi. Non entrate mai nell’acqua in movimento anche se vi sembra di conoscere la strada, meno che mai in un sottopassaggio allagato: negli ultimi sei anni ci sono state in Italia dieci vittime che potevano essere facilmente evitate. L’incidente peggiore a Prato nell’ottobre 2010 dove tre donne cinesi annegate. Il sottopassaggio è una trappola, sta solo a voi evitare di entrarci. Anche a piedi non si entra mai in acqua in movimento se è superiore a 20 centimetri. Non rimanete in locali bassi, garage, seminterrati, ma trasferitevi ai piani alti, eventualmente chiedendo ospitalità ai vicini. Se la casa è a rischio frana, trasferitevi in luogo sicuro. Preparate uno zainetto di sopravvivenza in luogo facile da raggiungere, pronti prenderlo con voi in caso di evacuazione: bottiglie d’acqua potabile, cibo conservabile, cambio biancheria e oggetti per igiene personale, fotocopia documenti, torcia elettrica, carta e penna, radio (molti telefonini l’hanno incorporata), medicine e pronto soccorso, stivali di gomma.

Poi pensate alla casa: spostate documenti e oggetti di valore da cantine e piani terra ai piani alti, parcheggiate le auto lontane da corsi d’acqua. Ma soprattutto, rimanete vigili: molti incidenti capitano perché nelle giornate a rischio facciamo di tutto per continuare a vivere come nei giorni normali, invece bisogna concentrarsi, ascoltare i rumori sospetti, osservare cosa accade nei fiumi, prepararsi materialmente e psicologicamente a salvarsi con le proprie forze senza aspettare aiuti improbabili: per definizione, un’emergenza è qualcosa nella quale nulla funziona e nessuno potrebbe aiutarvi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9380


Titolo: LUCA MERCALLI. L'inverno russo e le primule
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2012, 11:30:50 pm
31/1/2012

L'inverno russo e le primule

LUCA MERCALLI

Mentre si chiude un gennaio molto più mite della norma, che in Svizzera ha superato anche di tre gradi le medie trentennali, e in Italia settentrionale è di un buon paio di gradi al di sopra delle attese, febbraio inizia con un'ondata di gelo che si annuncia straordinaria.

Ci asteniamo qui dal commentare i record prima che si siano verificati: come per una partita di calcio possiamo dire che i fuoriclasse in campo ci sono tutti, e sono i venti gelidi delle steppe russe, ma quanto faranno segnare al termometro possiamo per ora solo stimarlo, di certo numeri negativi a due cifre, attorno ai meno quindici sulla pianura padana, e sempre con segno meno anche al centro-sud. La statistica però la si commenta solo con i dati effettivamente misurati.

Per il momento prendiamo atto dalle carte di previsione che una tale trasferta mediterranea delle correnti siberiane mancava da qualche tempo: ce ne fu una modesta nel febbraio 1991, poi quella ancora nella memoria del gennaio 1985, quindi si va al mitico febbraio 1956 e al più lontano febbraio 1929, nel quale gelò estesamente il Po. Ma i veri record del freddo sono dei secoli scorsi: 1709, 1754-55, quando il naturalista Vitaliano Donati annotava da Torino: «Il freddo insoffribile non mi permette di scrivere».

La seconda metà dell’inverno è propizia a queste ondate glaciali: il continente asiatico ha avuto tre mesi di tempo per raffreddarsi e strutturare grandi anticicloni freddi, e non appena un varco meteorologico si apre sull’Adriatico, ecco precipitarsi su di noi l’inverno russo, proprio quando cominciano a spuntare le primule. Oggi che l'aumento termico globale ha nettamente diradato la frequenza di questi eventi, abituandoci a inusuali tepori invernali, è il caso di ricordare le precauzioni più importanti per evitare rischi e danni: avete controllato le tubazioni dell’acqua esposte all’esterno o nei solai? Gli idraulici del ventunesimo secolo si sono spesso lasciati prendere la mano isolando poco le condotte dimenticando che non siamo ancora ai tropici. Chiudete le valvole dell’irrigazione da giardino e svuotate gli impianti delle case non riscaldate, altrimenti al disgelo l'alluvione domestica colpirà parquet e tappeti. E ovviamente salvate i gerani sul balcone dal congelamento e state attenti a non cadere sul ghiaccio. Banale vero? Ma al pronto soccorso lo sanno bene, puntuali come le vittime da botti di Capodanno arriveranno le fratture da gelo. E’ l'inverno, bellezza!

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9717


Titolo: LUCA MERCALLI. La colpa dei disagi è sempre degli altri
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2012, 03:49:42 pm
5/2/2012

La colpa dei disagi è sempre degli altri

LUCA MERCALLI

Cinquant’anni fa un’ondata di gelo siberiano ti colpiva alle spalle e basta, perché le previsioni erano quello che erano. Oggi la si individua con una settimana di anticipo. Mercoledì 25 gennaio, nelle città del Nord splendeva ancora il sole, ma già si pensava alla prevenzione.

Comuni e viabilità avevano messo in moto la macchina per far fronte alla nevicata attesa sul Piemonte da sabato 28 e poi in estensione sull’Appennino emiliano-romagnolo. La neve a Firenze e Roma era data per certa, così come le temperature boreali, da giovedì in poi.

Nessuno è stato sfiorato dal dubbio che le previsioni meteo non fossero da prendere sul serio, tanto che nei giorni successivi si è sviluppata una vera tempesta mediatica sull’imminente irruzione dell’inverno russo, al punto che si leggevano i valori dei record meteorologici prima ancora che si fossero verificati! Sarà l’ondata di gelo peggiore dal 1985, nevicherà a Roma, ghiaccio e neve creeranno disagi ai trasporti: nemmeno un condizionale. Più di così per informare istituzioni e cittadini non si poteva fare! Poi neve e gelo sono puntualmente arrivati, e con essi i treni soppressi, le code in tangenziale, le cadute sul ghiaccio e ogni genere di polemiche. Tutto come da copione, una fotocopia di quanto avvenuto dopo il devastante nubifragio di Genova del 4 novembre, anche quello annunciato con congruo anticipo.

Ma se dunque non riusciamo ad attrezzarci di fronte agli eventi meteorologici anomali nemmeno ora che abbiamo la possibilità di prevederli con ragionevolissima affidabilità, cosa non ha funzionato? Non si può scaricare sempre la colpa sulle pubbliche amministrazioni. E’ vero che qualche locale italica manchevolezza ci sarà pur stata, è vero che il traffico ferroviario potrebbe essere migliore anche quando non nevica, ma tutti i mezzi spartineve erano in servizio, condotti da personale addestrato e disciplinato, il sale e la sabbia erano stati sparsi in tempo e la vita è andata avanti dignitosamente anche a Cesena, a Bologna, a Urbino, dove la nevicata è stata imponente, talora superiore al metro. Eppure c’era sempre chi si lamentava che la neve non era stata spazzata anche su quel marciapiede di periferia e alla fermata del bus 39 sbarrato, dimenticando che la macchina sgombraneve ha un costo molto rilevante per le pubbliche casse. Bisogna agire di compromesso privilegiando alcuni assi viari, assegnando priorità agli ospedali, non si può asportare ogni fiocco di neve appena tocca terra, si spenderebbero milioni di euro per un ben effimero risultato.

A Roma una nevicata così abbondante non la si vedeva dall’11 febbraio 1986, quando ne caddero 23 cm. Poi solo un paio di spruzzate subito fuse nel febbraio 1991 e 2010. Per una città con una così bassa frequenza di nevicate tenere in piedi un servizio di sgombero neve come quello di Torino o Milano sarebbe una follia. Una fortezza Bastiani per combattere un sol giorno in 26 anni. E se non hai le armi - e qui era giusto non averle, per ragioni economiche e di buon senso - ritirati! Ma grazie alle previsioni, che sia una ritirata ordinata e programmata.

Invece, e qui sta il nocciolo della questione, l’impressione è che ormai ognuno pensi che il mondo ruoti tutto intorno a sé. Che la bufera soffi solo sugli altri, che il coefficiente di attrito dinamico sul ghiaccio aumenti magicamente sotto le proprie gomme, che le scarpette con i tacchi non si immiseriscano nella fanghiglia gelata, che la neve fonda istantaneamente sotto i propri specialissimi passi, che si possa insomma continuare a fare tutto quello che si sarebbe fatto con il sole anche nella settimana più glaciale degli ultimi trent’anni. Senza cambiare programmi, senza adeguare comportamenti e incolpando sempre gli altri per i disagi subiti. La vera anomalia non sta nei termometri, ma nell’incapacità di leggerli.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9738


Titolo: LUCA MERCALLI. Clima, è già un anno da record
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2012, 05:10:47 pm
29/3/2012 - CALDO ANOMALO

Clima, è già un anno da record

LUCA MERCALLI

Appena iniziata la primavera, siamo già di fronte a un caldo precoce e quasi estivo.

Tutto avviene sotto l’influenza del poderoso anticiclone «Harry», centrato sul Regno Unito ma esteso anche all'Italia, le temperature ieri pomeriggio hanno toccato i 24 gradi a Torino e Viterbo, 25 a Milano e Verona, e 26 a Pontremoli, in Lunigiana, dove si è stabilito un nuovo record per le massime di marzo dal 1929. Valori da mese di maggio, superiori al normale di 8-10 gradi. Eppure solo poche settimane fa, a inizio febbraio, era il freddo straordinario a dominare le cronache, con temperature fin sotto i -20 gradi che in Val Padana non si vedevano dal 1985.

La primavera è dunque esplosa alla grande, e lo testimonia anche il rapido ed esteso sviluppo delle fioriture degli alberi da frutto, in anticipo di circa 10-15 giorni rispetto al consueto sulle pianure del Nord. Ma tutto questo mese è stato caratterizzato da temperature superiori al normale, per la prevalenza di flussi di aria di origine subtropicale e l'assenza di colpi di coda dell’inverno, tanto che in Pianura Padana verrà ricordato come uno tra i mesi di marzo più caldi dall’inizio delle misure meteorologiche circa due secoli fa.

A Torino, ad esempio, si stima che la temperatura media mensile possa giungere attorno a 13,7 gradi, con un’anomalia media di quasi 5 gradi e a un soffio dal primato ultrasecolare di 13,9 gradi stabilito nel marzo 1997. Ancora più inconsueta la situazione in altri osservatori meteorologici del Centro-Nord italiano, come Modena e Pontremoli, dove con ogni probabilità la media termica del marzo 2012 sarà in testa alla classifica, superando il precedente massimo che anche qui spettava al 1997. Ma ora il problema è più che altro la siccità, ancora più esacerbata dall’evaporazione dai suoli che in questi giorni soleggiati inizia a farsi intensa. Molte località dalla Toscana al Settentrione hanno ricevuto meno della metà della precipitazione mediamente attesa negli ultimi 5 mesi, e per ora mancano all’appello le tradizionali piogge primaverili, che soltanto un vigoroso flusso di aria umida atlantica e mediterranea potrebbe avviare in modo significativo, ma tale situazione per ora non sembra all’orizzonte. E, salvo colpi di scena, per i mesi a venire l’agricoltura padana così come gli impianti idroelettrici alpini non potranno nemmeno contare su abbondanti deflussi di fusione nivale, poiché specialmente sul settore centro-orientale della catena, dai rilievi lombardi a quelli giuliani, al momento gli spessori nevosi sono ai minimi talora da un decennio, con valori dell’ordine di appena mezzo metro a quota 2500 metri.

Il tempo sereno, caldo e secco con temperature localmente superiori a 25 gradi soprattutto sulle zone interne delle regioni centro-settentrionali - ci accompagnerà dalle Alpi alla Sicilia ancora fino a sabato, poi da domenica e nei primi giorni di aprile è prevista una discesa di correnti nordorientali più fresche e instabili che dovrebbero dare origine a un calo generalizzato delle temperature - che si riporteranno più in linea con la norma - e a variabilità associata a piogge sparse, tuttavia ancora difficili da localizzare e quantificare, ma che in ogni caso non saranno sufficienti a migliorare la situazione idrica in modo radicale. Per lo meno, nonostante il previsto calo termico, non sono attese brinate tardive che possano penalizzare le fioriture in corso. Ma della primavera è bene non fidarsi: non sarà forse il caso di quest’anno, ma in passato - come nel 1991, 1998 e 2008 - freddo e neve a bassa quota si sono ripresentati improvvisamente perfino in aprile inoltrato.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9936


Titolo: LUCA MERCALLI. Caldo afoso al Nord con 32°C e punte di 34 sull’Emilia Romagna
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2012, 06:48:23 pm
Cronache

15/06/2012 - MOLTO CALDO MA LE BOLLE DI CALORE RIENTRANO NEI CICLI METEOROLOGICI

I giorni dell'estate africana: mezza Italia verso i 40 gradi

Caldo afoso al Nord con 32°C e punte di 34 sull’Emilia Romagna

Le punte massime all'inizio della prossima settimana

LUCA MERCALLI
Roma

Tranquilli, nulla di eccezionale, è solo un anticiclone subtropicale che porterà sull’Italia, e questa volta anche al Nord, la prima vampata d’estate a scala nazionale. Non è una situazione particolarmente a rischio. Farà semplicemente caldo, soprattutto all’inizio della prossima settimana, con punte vicine a 40 gradi nelle zone interne di Sardegna, Sicilia e Puglia e valori diffusamente sui 33-36 gradi in Pianura Padana.

Di anticicloni africani in espansione sul Mediterraneo nel corso del trimestre estivo se ne vedono alcuni tutti gli anni. Questo in arrivo, che alcuni chiamano «Scipione», ma che risponde al battesimo ufficiale di «Stefan» secondo l’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino deputato alla meteonomastica, è uno dei tanti. Negli ultimi dieci anni è accaduto ad esempio nel giugno 2002, con «Yannick» che intorno al giorno 20-22 ha spinto i termometri a 38 °C a Grosseto, 37 a Firenze e Foggia, 36 a Linate, Perugia e Viterbo; poi nel 2003 con «Christa» nella seconda decade, e fu solo l’inizio della terribile sequenza di ondate di caldo – quelle sì inedite a livello plurisecolare - di quell’estate rovente: il giorno 14 si toccarono 39 °C a Firenze e Foggia, 36 a Linate, ma le massime rimasero per una decina di giorni sopra i 35 °C in molte località da Nord a Sud. Nel 2005 «Wenke» infiammò tutta la terza decade con culmine di 37 °C a Linate, 38 ad Ancona, 40 a Sigonella. Il 25 giugno 2007 «Yvonne» fece balzare il mercurio addirittura a 44.6 C a Bari, 43.9 a Catania e 44.6 a Palermo, quelli sì valori record. Nel 2008 fu ancora la terza decade a proporre il caldo più intenso per via degli anticicloni «Seba» e «Thomas»: punte di 36 °C ad Aosta, Verona e Ferrara, 37 a Terni, 38 a Foggia. Più indietro nel tempo ci fu anche la grande ondata di caldo del giugno 1996 al Nord Italia, durata circa una settimana e culminata il 10-12 con valori diffusamente sopra i 33-35 °C.

Dunque ogni due o tre anni in giugno un episodio di questo tipo è regolarmente atteso, almeno dalla fine degli anni Ottanta, cioè da quando il riscaldamento globale ha alzato l’asticella della frequenza di calori estivi. E da luglio fino a settembre c’è buona probabilità che se ne verifichino altri, anche se non è possibile formulare ora una previsione attendibile.

Quanto a Stefan alias Scipione non siamo ancora in una situazione di allerta tale da giustificare precauzioni straordinarie rispetto alle consuetudini mediterranee che con il caldo hanno piena dimestichezza. Bere molto, ovvio, non esporsi deliberatamente al sole nelle ore meridiane, ovvio, ma se lo andate a raccontare agli operai che asfaltano le strade vi rideranno in faccia o vi rincorreranno con la pala, e con ragione. Piuttosto è sempre sorprendente la dinamica sociale delle percezioni meteorologiche: fino a ieri nelle regioni settentrionali non si faceva altro che parlare del freddo, della pioggia e dell’estate che non arriva.

Ma sono considerazioni frutto di realtà o di impressioni tanto soggettive quanto imprecise? Prendiamo Torino nel periodo che va da inizio maggio a oggi, se guardiamo alle statistiche il quadro che emerge è ben lontano da ciò che ha percepito la gente: la temperatura media pari a 19 °C è di circa 1.5 °C più elevata della norma, le piogge sono state di 186 mm, circa l’11% oltre il normale ma distribuite in 14 giorni, una frequenza assolutamente normale. E se c’è stata qualche giornata fresca, del tutto coerente con la climatologia primaverile, si deve anche ricordare che l’11 e 12 maggio il termometro era già a 32 gradi. Quindi una tarda primavera e un inizio d’estate 2012 molto miti e appena più piovose della media stagionale.

Memoria umana sempre cortissima, luoghi comuni sempre in gran forma. Per fortuna abbiamo il computer. Andò infatti ben peggio nel 2008: nello stesso periodo ci furono ben 27 giorni piovosi con 299 mm, allora qualche ragione di lamentarsi c’era eccome!

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/458487/


Titolo: LUCA MERCALLI. Attenti a non ignorare gli avvisi dell'allarme-stallo
Inserito da: Admin - Luglio 08, 2012, 10:28:05 am
8/7/2012

Attenti a non ignorare gli avvisi dell'allarme-stallo

LUCA MERCALLI

La scorsa notte sulla sponda Nord del Mar Nero sono eccezionalmente caduti 280 millimetri di pioggia: una piena-lampo e più di cento vittime.
Washington sperimenta invece il terzo giorno con termometro sui 37-39 gradi, un’ondata di calore che prosegue da giugno, quando il 29 la temperatura toccò i 40 gradi, record da 142 anni, e fu bruscamente interrotta dal passaggio della raffica di temporali a 130 km orari (il «Derecho»): 22 vittime e black-out per milioni. Intanto il Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la sécurité de l’aviation civile (Bea) rende note in 230 pagine le cause dell’incidente del volo Air France 447 Rio de Janeiro-Parigi, precipitato nell’Atlantico la notte del 1 giugno 2009. Questi tre fatti presentano connessioni istruttive, e conviene partire proprio dall’analisi dell’incidente aereo, frutto della saggia abitudine aeronautica di trarre insegnamenti dalle tragedie.

L’Airbus A330 decolla da Rio senza problemi e verso l’una di notte approccia la zona di convergenza intertropicale sull’Atlantico. A quota 10.000 metri il radar meteo suggerisce un leggero cambio di rotta per evitare la turbolenza di un temporale, ma nulla di più. Poco prima delle due il comandante con oltre 10.000 ore di volo lascia i comandi ai due giovani copiloti. Alle due e dieci minuti alcuni cristalli di ghiaccio otturano i tubi di Pitot che servono a misurare la velocità, non più di un minuto di assenza di dati, ma ciò basta a disinserire il pilota automatico. Il difetto degli anemometri era noto da anni, ma la norma di sostituzione tardava e il training operativo in caso di guasto non era stato sufficiente. I copiloti sorpresi non comprendono il motivo dell’anomalia e, complice il buio, correggono erroneamente l’assetto di volo puntando il muso verso l’alto.

Si accende l’avvisatore di stallo, uno di quegli eventi che su un aereo deve catalizzare tutta l’attenzione, eppure lo ignorano, perché occupatissimi a reagire al primo problema. Dopo un solo minuto di errata manovra l’aereo è ingovernabile, l’avvisatore di stallo suona e ancora una volta viene ignorato. Il comandante rientra in cabina, ma è troppo tardi, l’aereo sta precipitando come una pietra a 270 km/ora. Le duecento tonnellate dell’Airbus impattano sull’oceano andando in pezzi che verranno recuperati due anni dopo, incluse le scatole nere, a 3900 metri di profondità.

Appena quattro minuti per passare da una banale avaria risolvibile con una giusta manovra, alla morte di 228 persone. Capito vero? Le anomalie climatiche mondiali, il picco del petrolio, il sovrasfruttamento ecologico planetario, l’inquinamento di aria e acqua, la cementificazione dei suoli e la deforestazione tropicale risuonano ormai da anni nel cockpit terrestre come la voce metallica «Stall-Stall-Stall». I piloti sono però occupatissimi con la crisi finanziaria, la loro dissonanza cognitiva con i segnali d’allarme è totale, la manovra di correzione a suon di crescita e consumi peggiora l’assetto e apre la strada alla catastrofe. Eppure il manuale dice chiaro come si fa a evitare l’impatto…

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10309


Titolo: LUCA MERCALLI. Ferragosto non fermerà un'estate da record
Inserito da: Admin - Agosto 17, 2012, 06:45:29 pm
17/8/2012

Ferragosto non fermerà un'estate da record

LUCA MERCALLI

Una nuova pulsazione dell’alta pressione africana si sta espandendo sull’Europa centro-meridionale. Questa volta l’apice del caldo non sarà raggiunto al Sud Italia, bensì tra Spagna e Midi francese, e interesserà dunque maggiormente le regioni alpine, fino ad ora rimaste escluse dai calori più intensi delle scorse settimane. Nei prossimi giorni e fino a martedì 21 agosto lo zero termico si porterà a 4500 metri sulle Alpi occidentali, divorando i ghiacciai, e i termometri indicheranno fino a 38-40 gradi dalle pianure dell’Alessandrino alla Romagna e nella Toscana interna, e valori attorno ai 30-35 gradi sulle regioni centro-meridionali.

Ormai dalle prime anticipazioni statistiche, che saranno definitive a fine mese, si può comunque assegnare all’estate 2012 la seconda posizione dopo quella epocale del 2003, che ancora per durata e intensità mantiene un primato poco invidiabile. Caratteristica di questa stagione estiva 2012, più che il raggiungimento di picchi di caldo estremo, è stata la perdurante continuità: sia giugno sia luglio sono stati mesi termicamente ben al di sopra della media, che ora si avviano a essere completati da un agosto analogo. Eppure si diceva un tempo «Agosto inizio d’inverno». Ed era vero che in genere dopo Ferragosto l’estate italiana manifestava i primi segni di cedimento soprattutto su Alpi e settentrione: temporali frequenti, prime imbiancate di neve sulle vette e notti più fresche e rugiadose.

Da una decina d’anni tuttavia non è più così, l’estate tende infatti ad attardarsi fino ad autunno inoltrato e agosto, da mese subordinato a luglio, è diventato gran protagonista dell’estate meteorologica mediterranea. E’ stata infatti la prima decade dell’agosto 2003 la parentesi più rovente della storia italiana degli ultimi secoli, con la simbolica soglia dei quaranta gradi toccata anche nelle aree urbane di Torino, Milano e Bologna, ma pure nel 2009 l’incursione d’aria africana si rinnovò tardivamente, e nei giorni 20-21 agosto si toccarono 40 gradi a Firenze-Peretola, 37 a Verona e 38 a Bologna. E per chi ha la memoria corta pure il 21 agosto 2011 stabiliva un primato di caldo a Firenze, con 40,8 gradi, e quasi 39 nell’Alessandrino.

Pertanto l’episodio attuale si inserisce pienamente nella tendenza recente verso estati più lunghe e più calde, peraltro previste da decenni dai modelli di simulazione numerica del clima come sintomo inequivocabile del riscaldamento globale. In queste condizioni la siccità giorno dopo giorno conquista posizioni: i temporali hanno interessato negli scorsi mesi in modo rilevante solo le Alpi, mentre a sud del Po il deficit di pioggia si fa sentire e il caldo prolungato non fa che aumentare l’evaporazione e le esigenze idriche agricole e civili. Nei prossimi giorni è probabile che di caldo, di carenza d’acqua e di cambiamenti climatici si parlerà molto, poi dalla prossima settimana, con il ritorno di temporali, aria più fresca, e la chiusura delle vacanze tutto verrà presto dimenticato, come accade di solito per le alluvioni, che si presenteranno poi all’appuntamento autunnale.

Eppure la ricerca scientifica internazionale sta apportando elementi sempre più rigorosi e affidabili agli scenari climatici che ci attendono, di cui questi episodi anomali rappresentano per ora casi relativamente gestibili e isolati destinati a infittirsi. Cosa aspettiamo dunque a intraprendere una seria politica di mitigazione e di adattamento? La crisi economica non è una buona scusa per ignorare la severissima sfida ambientale che abbiamo di fronte e che ha bisogno di un grande sforzo di pianificazione a lungo termine per essere efficace.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10433


Titolo: LUCA MERCALLI. Non si contratta lo spread con la natura
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2012, 04:45:06 pm
23/8/2012

Non si contratta lo spread con la natura

LUCA MERCALLI

Ad aprile è stato inserito nella Costituzione italiana il pareggio di bilancio, ovviamente riferito al denaro. Ma c’è un bilancio estremamente più importante per la nostra vita. Vita che prima di essere soggetta ai capricci dell’economia è ferreamente dominata da flussi di energia e materia: è quello delle valute «fisiche» disponibili sul pianeta Terra. Un dato che, per quanto denso di conseguenze per il futuro dell’Umanità, nessuno considera strategico, né lo si inserisce nelle Costituzioni, salvo forse che in quella dell’Ecuador.

In sostanza, non si possono prelevare dal conto terrestre più risorse di quante i sistemi naturali siano in grado di rigenerare né immettere rifiuti e inquinanti più di quanto la biosfera sia in grado di metabolizzare. L’Overshoot Day di quest’anno, annunciato ieri, definisce la data nella quale il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso. Abbiamo speso tutti gli interessi in questi primi 234 giorni dell’anno, e da oggi al 31 dicembre dilapideremo una parte del capitale, con conseguenze talora irreversibili, come il riscaldamento globale o l’estinzione di specie viventi.

Il pareggio di bilancio mondiale è stato rispettato più o meno fino alla metà degli Anni 70, quando l’umanità contava 3,5 miliardi di individui. Oggi siamo 7 miliardi, consumiamo e inquiniamo come non mai e preleviamo l’equivalente di una terra e mezza. La biosfera è un sistema resiliente, e per brevi periodi può sopportare uno stress senza collassare, a patto che si rientri nei limiti imposti dalle leggi universali che governano i cicli biogeochimici, il clima, la riproduzione della fauna ittica, la rigenerazione delle foreste. Ma, come accade a un motore lanciato a folle corsa, quando la lancetta del contagiri entra in zona rossa, per non sbiellare bisogna ridurre la velocità.

Stranamente l’economia mondiale appare preoccupatissima del rallentamento dei giri del motore e invoca un’ulteriore accelerazione che secondo i modelli ecologici porterebbe attorno al 2050 alla necessità dell’equivalente di due pianeti, dei quali evidentemente non disponiamo. Ovvero il motore salta e la macchina si ferma di botto con gravi conseguenze per la società e per l’ecosistema. La «spending review» tanto oggi di moda dovrebbe dunque includere anche le risorse fondamentali da cui dipendiamo, suolo, acqua, energia, biomassa, carico inquinante.

Una riduzione dei giri governata con saggezza per riportarci nei limiti concessi dall’unico pianeta che abbiamo è l’unico atteggiamento razionale a cui ricorrere, e sarebbe assurdo non considerarlo proprio ora che la ricerca scientifica ci mette a disposizione tanti dati affidabili su cui costruire gli scenari futuri, scegliendo quelli più favorevoli ed evitando le trappole del sovrasfruttamento. La sfida è enorme, l’uomo deve completamente mutare il proprio paradigma, da un cieco inseguimento della crescita fine a se stessa a un’economia basata su uno stato stazionario, energie rinnovabili e rifiuti riciclabili. È un obiettivo per nulla facile da perseguire, né esistono ricette preconfezionate, tuttavia ciò che la comunità scientifica invoca invano da anni è una disponibilità all’ascolto del mondo economico e politico, alla ricerca di soluzioni nuove e condivise che tengano conto dell’enorme posta in gioco, ovvero la sopravvivenza della specie per un periodo dello stesso ordine di grandezza del nostro cammino evolutivo precedente, diciamo 200 mila anni. Sotto le isteriche oscillazioni dello spread, c’è un debito con la natura che non si potrà contrattare in nessun Parlamento.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10454


Titolo: LUCA MERCALLI. La (breve) bufera non ferma il termometro
Inserito da: Admin - Agosto 27, 2012, 05:19:50 pm
27/8/2012

La (breve) bufera non ferma il termometro

LUCA MERCALLI

Come spesso accade dopo un periodo di gran caldo, al primo sbuffo di aria atlantica più fresca, ecco scoppiare i nubifragi.

È accaduto sabato sera in molte zone dell’Italia nord-occidentale, ma con particolare violenza tra Biellese e Verbano. I temporali, previsti da giorni e invocati specialmente dagli agricoltori penalizzati dalla siccità, hanno però portato più danno che sollievo, soprattutto sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, intorno a Verbania. La stazione meteorologica Arpa Piemonte di Pallanza (www.arpa.piemonte.it), investita in pieno dalla tempesta di pioggia e vento attorno alle 20, ha registrato in totale 94 millimetri d’acqua, di cui 66 in appena un’ora, e raffiche fino a 108 km/h, più che sufficienti a sradicare centinaia di alberi e scoperchiare edifici. Si è talora parlato di tornado, ma in realtà le impetuose folate che hanno squassato il celebre parco di Villa Taranto sono attribuibili alle turbolente correnti discendenti dai cumulonembi - le torreggianti nubi temporalesche - e non a una tromba d’aria con la sua caratteristica nube vorticosa «a imbuto», di cui in questo caso non c’è testimonianza. Non si tratta tuttavia di fenomeni nuovi per la fine di agosto, anzi, ogni anno accade che i contrasti termici tra i calori padani di fine estate e le prime perturbazioni dal Nord Atlantico generino vigorose linee temporalesche che, con movimento solitamente orientato da Sud-Ovest verso Nord-Est, si propagano lungo le zone pedemontane dal Torinese ai grandi laghi prealpini. Questa volta gli effetti sono stati particolarmente vistosi perché il fortunale si è abbattuto su un’area turistica densamente abitata. D’altra parte l’instabilità atmosferica di fine agosto è così ricorrente da essere impressa perfino in un detto popolare locale che ricorda la «bura ‘d San Bartlumé», la piena di San Bartolomeo, 24 agosto. E proprio il 24 agosto 1987, venticinque anni fa, piogge torrenziali da 250 millimetri in 24 ore si abbattevano sul bacino del Toce causando frane ed esondazioni, poi il 5 settembre 1998 la stessa Verbania fu investita da un nubifragio che allagò la città rovesciando in 12 ore ben 352 mm d’acqua. In genere questi episodi segnavano la «rottura» dell’estate e l’avvio dell’autunno, invece quest’anno, passata la breve tempesta, l’estate continua.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10463


Titolo: LUCA MERCALLI. Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno
Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2012, 04:19:07 pm
Editoriali
16/10/2012

Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno

Luca Mercalli


E dunque su Roma i temporali sono arrivati in serata ma non si è trattato dell’annunciato Armageddon pluviale. 

 

Qualche criticità nella notte su Lazio, Campania, Sicilia e Friuli è da mettere in conto, ma i sacchi di sabbia, l’ordine di non uscir di casa e gli annunci esasperati erano di troppo. 

 

è dalla grave alluvione del Po del 15 ottobre 2000 che le informazioni meteorologiche dimostrano attendibilità ottimale per programmare un serio allertamento preventivo. Ma ad oltre dieci anni da allora, ciò che ancora manca è il coordinamento della diffusione degli avvisi, che soffre pure della frammentazione delle fonti, pubbliche e private, moltiplicate dalla rete, nonché la formazione dei comunicatori dell’emergenza e l’educazione al rischio del pubblico. 

 

Tutte operazioni che necessitano di programmazione a lungo termine, di azioni preventive nelle scuole, nei mezzi d’informazione, serenamente pianificate quando splende il sole, e non di affannose improvvisazioni a poche ore dall’emergenza. La perturbazione c’era, è stata correttamente prevista e aveva in sé il potenziale per produrre nubifragi, allagamenti e disagi al traffico. Ma si è preferito coniugare tutto all’indicativo piuttosto che al condizionale, usare i superlativi assoluti invece di quelli relativi, non avere cautela e rispetto per la terminologia, che conta moltissimo nella comunicazione del rischio. 

 

Come per i terremoti, anche in meteorologia si usano scale di pericolo: gli uragani hanno la Saffir-Simpson con intensità crescente da uno a cinque, i tornado hanno la Fujita, da F0 a F5, le grandinate si classificano con la scala Torro, da H0 a H10. Le piogge alluvionali in genere in Europa si suddividono in tre livelli – come in Francia - o cinque – come in Svizzera - con codici colore dal verde al rosso. Il fronte temporalesco di ieri poteva ragionevolmente classificarsi a un livello moderato, un arancione, ovvero non al massimo grado se comparato con altri recenti episodi disastrosi, quali le alluvioni venete del novembre 2010, il nubifragio delle Cinque Terre del 25 ottobre scorso o quello successivo su Genova del 4 novembre 2011. I comunicati dovevano dunque attirare l’attenzione su uno stato di vigilanza attiva delle persone e di preparazione degli organi di manutenzione e di pronto intervento. 

 

Creare aspettative così inquietanti non era giustificato per tale categoria di evento, soprattutto in quanto la natura temporalesca dei fenomeni, a macchia di leopardo e difficili da localizzare, escludeva a priori sia il coinvolgimento contemporaneo di un vasto territorio, come accade nelle piene maggiori sui corsi d’acqua di ordine superiore, sia la certezza di occorrenza su zone fortemente urbanizzate, lasciando un carattere di aleatorietà che non interviene nel caso di perturbazioni più vaste, organizzate e durature per le quali l’allarme può essere più preciso. Come nel caso dell’uragano Irene su New York nell’agosto 2011, che indusse correttamente il sindaco Bloomberg a evacuare parte della città, colpita poi soltanto di striscio. Insomma, ora che le previsioni son fatte, bisogna fare gli utenti e i comunicatori, altrimenti emerge lo spettro - temutissimo da ogni operatore del rischio - del vano grido «al lupo, al lupo». 

 

Alla prossima previsione in codice rosso, chi crederà più ai bollettini?

da - http://lastampa.it/2012/10/16/cultura/opinioni/editoriali/troppi-codici-rossi-cosi-non-ci-credera-piu-nessuno-nnx74uErj8d9X7vLiivtEN/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Previsioni, la terra di nessuno
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2012, 05:42:11 pm
Editoriali
14/11/2012

Previsioni, la terra di nessuno

Luca Mercalli


Le allerte meteorologiche di queste settimane, delle quali l’ultima del tutto motivata sulla Maremma, chiedono a gran voce istruzioni per l’uso per i cittadini e riorganizzazioni istituzionali. Cominciamo dalle previsioni. In Italia il panorama è all’insegna della frammentazione:
l’Aeronautica Militare detiene il ruolo di Servizio Meteorologico nazionale presso l’Organizzazione meteorologica mondiale ma la sua presenza a scala locale è limitata. Per questo sono sorti negli ultimi trent’anni i servizi meteo regionali in genere gestiti dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente. La Protezione civile nazionale a sua volta ha costituito una propria struttura previsionale. Su questa complessa meteorologia dei granducati si è sovrapposta la recente esplosione di siti web amatoriali e commerciali la cui attendibilità è più o meno buona ma la cui capacità di relazionarsi con le persone è ben più dinamica delle istituzioni. Sul numero 4/2012 di «Ecoscienza», rivista del Servizio Meteo Regionale dell’Emilia Romagna (www.arpa.emr.it), Stefano Tibaldi, uno dei fisici dell’atmosfera che più si sono spesi per la nostra meteorologia, definisce questa situazione un «disastro nazionale unico in Europa», motivato da «enorme debolezza accademica e totale disinteresse istituzionale statale».

 

Di recente è vero che il Dipartimento della protezione civile ha favorito «la crescita di alcune eccellenze scientifiche e operative», ma la persistente indifferenza dello Stato mantiene l’Italia una «terra (meteorologica) di nessuno», nonostante la legge 100/2012 per il riordino del Sistema nazionale di protezione civile, che dovrebbe realizzare il «Servizio meteorologico nazionale distribuito» richiesto dal decreto legge 112/98 e mai attuato.

 

Nel frattempo i cittadini si arrangiano, pescando le previsioni dove capita ricevendo le allerte non da un’unica e autorevole fonte, diciamo Météo France o Meteo Svizzera, bensì dalle chiacchiere del bar. Poi l’alluvione arriva, anche per via della cementificazione selvaggia e
dell’urbanistica che non si è accordata con l’idraulica, cose ipernote, se ne parla dall’evento di Firenze del 1966. Fiumi di congressi, gruppi di lavoro, commissioni, progetti di ricerca... Eppure le famiglie di Vicenza che in due anni si sono viste invadere la casa dal Bacchiglione, si stanno arrangiando da sole: se ne vanno, cambiano casa. Incredibile che la dinamica di adattamento stia coinvolgendo in modo dirompente e improvvisato le persone senza che vi sia la minima guida di questi delicati processi da parte delle istituzioni! Che cosa giunge di tante dotte riflessioni a chi ora ha l’acqua in salotto?

 

In Francia, dopo la tempesta Xynthia che il 28 febbraio 2010 ha causato 29 vittime nel comune atlantico di La Faute-sur-Mer, l’area residenziale costruita in violazione del rischio è stata dichiarata dalla prefettura «zone noire» con abbattimento e delocalizzazione di 674 case. 

da - http://lastampa.it/2012/11/14/cultura/opinioni/editoriali/previsioni-la-terra-di-nessuno-qXIf4Chmg6mDoIoHE6B73L/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Il blocco d’aria rallenta le stagioni
Inserito da: Admin - Giugno 03, 2013, 04:43:06 pm
Editoriali
03/06/2013

Il blocco d’aria rallenta le stagioni

Luca Mercalli


È stata la depressione «Günther» sulla Polonia a convogliare aria umida contro le Alpi del nord dove sono caduti fino a 250 mm di pioggia, come in Tirolo, attivando la grande piena del Danubio. 

 

L’ennesimo evento di tempo inclemente di questa primavera che sull’Europa centro-occidentale è risultata, secondo le zone, la più fredda dal 1991.

Oppure dal 1987, o anche dal 1962 sulla Gran Bretagna, e pure grigia e piovosa, come tra Basilea e l’Alsazia, dove si sono registrate 292 ore di sole invece delle 495 normali. Per contro Mosca ha avuto un eccezionale anticipo d’estate con termometro a 30 gradi, insieme alla Lapponia da settimane oltre i 25 gradi con rischio di incendi boschivi. 

 

Variabilità climatica naturale e riscaldamento globale si combinano in un complesso sistema di retroazioni che proviamo a inquadrare. La ragione della persistenza di condizioni opposte nello spazio di qualche migliaio di chilometri risiede nella situazione di blocco creata da ondulazioni su grande scala della circolazione atmosferica. L’Oceano Artico vive recenti drastiche trasformazioni, con il minimo storico della superficie di ghiacci di banchisa registrato nello scorso settembre e temperature sopra la media. 

 

Diminuisce così la differenza termica tra il polo e l’equatore, fenomeno chiamato «amplificazione artica», al punto da rallentare la corrente a getto che si localizza sul fronte polare, al contatto tra aria tiepida subtropicale e aria fredda boreale. Come un fiume d’aria che quando è rapido corre quasi rettilineo da ovest a est, e quando rallenta genera invece ampi meandri, le correnti principali tendono a formare profonde ondulazioni orientate sui meridiani. Così lungo il ramo ascendente l’aria calda tropicale può spingersi ben oltre il circolo polare, come successo in Russia e Scandinavia, mentre sul ramo discendente l’aria fredda cola verso sud, ed è ciò che è capitato su Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia centrale in questi mesi. Queste ondulazioni sono lente a evolvere e quindi si bloccano per molte settimane sulle stesse regioni portando o caldo e siccità o pioggia e freddo. La danza barometrica dell’oscillazione Nord-Atlantica (Nao) che alterna sull’Europa stagioni più fresche e piovose ad altre più calde e secche viene così forzata dal riscaldamento globale a produrre sorprese climatiche. Ma anche per questa prima settimana d’estate tutto rimane fermo, avremo ancora aria fresca e temporali sul centro-nord Italia in attesa che il blocco ceda.

da - http://lastampa.it/2013/06/03/cultura/opinioni/editoriali/il-blocco-daria-rallenta-le-stagioni-RCQhrVO6pITBMPLMtPXKXN/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Il caldo africano non risparmia neanche la vetta del Bianco
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2013, 11:24:50 am
Cronache
02/08/2013

Il caldo africano non risparmia neanche la vetta del Bianco

Agosto sarà un mese molto caldo ovunque anche se progressivamente dovrebbero arrivare i temporali pomeridiani a mitigare la calura

Fino al 10 agosto ci sarà lo zero termico oltre i 5 mila metri

Luca Mercalli

Torino


La primavera fresca e piovosa aveva suscitato chiacchiere timorose di un anno senza estate, invece la canicola eccola qui, in piena forma. Già giugno era stato moderatamente più caldo del normale, con circa mezzo grado in eccesso a scala nazionale; ma è stato soprattutto luglio a veder esplodere l’estate mediterranea. 

 

Ancora non sono disponibili le statistiche nazionali complete, ma il mese si è chiuso con un buon paio di gradi al di sopra della norma, nonostante le infiltrazioni d’aria nord-orientale che avevano prevalso nelle prime due decadi scatenando nubifragi e grandinate da Nord a Sud. 

 

A pesare è stata soprattutto la grande ondata di calore che si è sviluppata nell’ultima settimana, quando le temperature sono salite a massime di 37°C a Bolzano e Perugia, 38 a Bologna, Verona e Cagliari, 40 a Lecce, 41 a Foggia. A Torino la temperatura media di luglio è stata di 25,8 gradi: 1,3 sopra la media del trentennio recente 1981-2010, collocandosi in undicesima posizione tra i più caldi dal 1753. 

 

Anomalia simile appena oltre confine, a Lugano (+1,6 °C), mentre all’osservatorio dell’Università di Modena, più direttamente investito dalla vampa di una settimana fa con punte prossime a 40°C, il mese ha conquistato il quarto posto nell’elenco dei più roventi dal 1861. Sui ghiacciai alpini oltre i 3000 metri la neve è tuttavia ancora abbondante, dopo la primavera fredda e tardiva: ai 2850 metri della fronte del ghiacciaio Ciardoney (Gran Paradiso) la coltre nevosa stagionale si è esaurita solo il 25 luglio, con un ritardo di circa due settimane rispetto al normale. 

 

Ora l’ago della bilancia sarà l’andamento di agosto, ancora in tempo a causare danni al nostro patrimonio glaciale qualora la calura dovesse insistere a lungo, come peraltro era avvenuto l’anno scorso, quando il gran caldo si era ravvivato dopo Ferragosto con temperature di 40 gradi centigradi nell’Alessandrino. 

 

Al momento si può dire che la nuova ondata di calore africano proseguirà in tutta Italia almeno fin verso il 10 agosto, sebbene con un progressivo aumento della tendenza temporalesca pomeridiana sulle Alpi e in Pianura Padana, soprattutto a partire da giovedì 8. Temperature oltre i 35°C sono da attendersi in molte regioni, con punte di 36-38°C in Emilia-Romagna, basso Veneto, e al Centro-Sud e localmente attorno a 40°C nelle più infuocate zone interne di Sardegna e Sicilia. 

 

Lo zero termico supererà quota 4500 metri e vi saranno le condizioni per toccare temperature positive anche sulla vetta del Monte Bianco, dove normalmente la temperatura media annua è attorno ai meno 16 gradi e le occasioni di fusione nivale sulla calotta glaciale si contano sulle dita. Un fenomeno tuttavia sempre più frequente nelle estati recenti, a causa del riscaldamento globale: anche il 20 agosto 2012, alla Capanna Margherita, 4554 m sul Monte Rosa, si misuravano ben 8.4°C. Allora c’era meno neve in quota e i ghiacciai privi di protezione soffrirono gravemente.

da - http://lastampa.it/2013/08/02/italia/cronache/il-caldo-africano-non-risparmia-neanche-la-vetta-del-bianco-PAPQfT8U8T8DnHtrVJUxKN/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Neve, caldo e temporali - Addio all’inverno pazzo
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2014, 11:32:19 am
CRONACHE ITALIANE
02/03/2014 - tre mesi di follie meteorologiche

Neve, caldo e temporali
Addio all’inverno pazzo
La stagione mai iniziata si chiude battendo (quasi) tutti i record
Nubifragi, neve e caldo: il pazzo inverno 2013-2014

Luca Mercalli

Con febbraio è terminato un lungo autunno durato sei mesi, una tiepida e piovosissima stagione che su gran parte d’Europa ha cancellato i caratteri tipici dell’inverno. Aria mite oceanica, prati verdeggianti, poche o nulle le gelate, alluvioni fuori stagione, innevamento alpino da record ma solo oltre quota 1000 metri. La temperatura del trimestre dicembre 2013 - febbraio 2014 è stata al Nord Italia la seconda più elevata da oltre due secoli, posizionandosi appena al di sotto del record, peraltro recente, dell’inverno 2006-07. 

Nelle città della pianura padana, dove in genere si attendono ogni inverno una quarantina di giorni con ghiaccio, brina e galaverna, non si è arrivati a contarne dieci e su certi balconi i fiori non sono mai gelati. Incessanti sciroccate hanno portato aria mite africana, con tanto di polvere rossastra del Sahara, sul Mediterraneo, dove il carico di umidità ha dato luogo a ripetute piogge torrenziali. 

Sono stati stabiliti nuovi primati di carattere propriamente monsonico: 2546 mm in tre mesi al pluviometro di Musi, sulle Prealpi Giulie alle spalle di Udine, 2174 a Orto di Donna, nelle Alpi Apuane, 1300 a Pontremoli, in Lunigiana, inverno più piovoso da quasi un secolo. Ma un po’ ovunque le quantità d’acqua hanno superato la media, provocando anche straripamenti di fiumi, come il Secchia nel Modenese a metà gennaio, o piene-lampo come il nubifragio romano da 167 mm in 18 ore il 31 gennaio. Tutta acqua che sulle montagne, oltre i 1000 metri, si è trasformata in neve umida e pesante, tipicamente primaverile, creando disagi alla viabilità, valanghe e interruzioni delle linee elettriche, come a Cortina nei giorni natalizi. Al Rifugio Gilberti, quota 1840 metri nelle Alpi Giulie al confine con la Slovenia, la neve arriva al terzo piano, con uno spessore massimo di oltre sei metri e mezzo a metà febbraio. Arno e Tevere più volte in piena, mareggiate a ripetizione sul Tirreno, il treno sospeso sulla scogliera in Liguria, inusuali temporali invernali con tuoni e fulmini su Veneto e Lombardia, inclusa la grandinata del 26 febbraio su Milano. La notte del 19 febbraio a Roma è stata la più mite dal 1782 per il periodo, con una minima di 17,2 gradi: sembrava un’ottobrata. 

 Insomma, gli eccessi non sono mancati in questa stagione ibrida, che propone scenari da riscaldamento globale destinati con elevata probabilità a divenire più frequenti. Da quando esistono dati misurati, ovvero circa due secoli, non esistono infatti analoghi trimestri invernali per combinazione di elevata temperatura e piovosità. Secondo gli storici del clima, solo un inverno poteva rivaleggiare per tepore con il 2006-07: un’antica stagione di oltre settecento anni fa, datata 1289-90, allorché le cronache riportano di un passaggio dall’autunno alla primavera senza gelo e neve anche nel Nord Europa, piante verdi e viole fiorite a Natale a Vienna e a Colonia. Un caso isolato. Al contrario, due inverni mancati a distanza di sette anni invece che di settecento, in compagnia delle estati più calde della storia tutte successive al 2003, sono ormai indice di una tendenza, di una transizione a un nuovo clima con cui le assicurazioni in modo molto pragmatico stanno già facendo i conti: avremo infatti speso meno di combustibile per riscaldare le nostre case, ma ci siamo ampiamente mangiati tutto con i danni da dissesto idrogeologico.

Da - http://lastampa.it/2014/03/02/italia/cronache/neve-caldo-e-temporali-addio-allinverno-pazzo-bkutpVjir7W8Uj2mbQop4O/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Un mix esplosivo di scirocco e tramontana
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2014, 03:01:18 pm
Un mix esplosivo di scirocco e tramontana

11/10/2014
Luca Mercalli
Torino

L’alluvione genovese di ieri notte è stata causata da intensi temporali «rigeneranti» che già da martedì si formavano a ripetizione sul mare di fronte alla città, sospinti poi sulla costa dai venti meridionali. Non è una novità: in questo caso è accaduto per la convergenza tra scirocco e tramontana, che ha provocato il sollevamento d’aria caldo-umida alimentando la continua formazione di nubi temporalesche sopra la stessa zona, a differenza di un normale acquazzone estivo che si esaurisce entro un’ora o poco più. Durante questo episodio, alcune zone dell’entroterra genovese hanno ricevuto fino a 700 mm d’acqua in 4 giorni (pari a 700 litri per metro quadrato), 400 dei quali giovedì. 

Fino a qualche tempo fa, senza immagini satellitari e radar meteorologici, era difficile seguire lo sviluppo di tali intensi nuclei piovosi, oggi invece se ne può osservare la nascita in tempo reale, prevedendone l’evoluzione ma solo con poche decine di minuti d’anticipo. Infatti, se diversi modelli matematici di previsione avevano consentito di segnalare da un paio di giorni il generico rischio di temporali violenti tra il Genovesato e il Levante, prevedere in dettaglio su quale zona del capoluogo si sarebbe maggiormente scaricato il finimondo non sarebbe stato possibile.

La situazione meteo-idrologica di Genova è complessa: è una città mediterranea tra le più esposte a nubifragi data la sua posizione sotto un arco di montagne subito a ridosso del mare; enormi quantità d’acqua defluiscono dalle brevi valli appenniniche irrompendo in meno di un’ora - senza tempo sufficiente a evacuare la cittadinanza - su un’area urbana da 600 mila abitanti e fortemente cementificata. E’ dunque inevitabile che spesso i diluvi d’autunno si trasformino in disastri, come nell’ottobre 1970 (948 mm in 24 ore a Bolzaneto, record italiano), nel settembre 1992 e 1993, ottobre 2010 e novembre 2011. A ciò si aggiunge la frammentazione istituzionale del sistema italiano di previsione meteo e protezione civile, suddiviso in troppi enti che operano con modalità diverse disorientando i cittadini con messaggi talora inefficaci o contraddittori.

Ma fa la sua parte anche la scarsa educazione al rischio della popolazione, quella che i giapponesi con i terremoti e gli americani con i tornado imparano fin dalla scuola elementare: a volte per salvarsi la vita basterebbe conoscere meglio il territorio e applicare poche (e solo in apparenza banali) norme di autoprotezione, come spostare in anticipo le autovetture in luogo sicuro lontano dai torrenti, ed evitare di affrontare a piedi o in auto sottopassaggi inondati in giornate che, oltre alle indispensabili allerte, impongono anche un elevato livello di vigilanza individuale.

Da - http://www.lastampa.it/2014/10/11/cultura/opinioni/editoriali/un-mix-esplosivo-di-scirocco-e-tramontana-xRAK7tEQsE1LiCxX92QwDO/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI. Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 31, 2016, 02:22:57 pm

Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano
Pubblicato il 28/12/2016  -  Ultima modifica il 28/12/2016 alle ore 07:41
Luca Mercalli

Venti gradi ieri a Milano, ma pure ad Aosta a Natale, complice il foehn, il vento di caduta dalle Alpi che comprimendosi scalda l’aria, insieme all’alta pressione atlantica già di per sé mite. Un episodio simile in Valpadana si verificò nel dicembre 1967, però a inizio mese - periodo di norma meno freddo - per cui l’anomalia dei giorni scorsi è più straordinaria. 

Come sempre quando si parla di clima un giorno fuori norma non significa granché, ma se la frequenza di queste anomalie aumenta anno dopo anno allora i sintomi del riscaldamento globale diventano inequivocabili. L’inverno più caldo in assoluto degli ultimi due secoli fu quello del 2007, quando in dicembre fiorivano le primule, il 19 gennaio si misuravano 25 °C sulla pianura piemontese e le Alpi erano brulle fino a tremila metri, ma uno scenario simile si verificava pure un anno fa. Finora, nei primi scorci di questo inverno, nebbie e inversioni termiche avevano un po’ mascherato gli eccessi di tepore in pianura, ma con l’impennata tiepida natalizia questo dicembre si avvia a chiudersi con almeno 1 °C sopra media sull’Italia settentrionale, collocando il 2016 tra i cinque anni più caldi degli ultimi due secoli. 

Peggio ancora a scala globale, dove l’anno diverrà il più caldo della storia meteorologica, stracciando il vicinissimo record del 2015. Nei prossimi giorni aria più fredda da Est investirà soprattutto l’Adriatico, portando un assaggio d’inverno, ma per la neve, che ancora manca su Alpi centro-orientali e Appennini, toccherà ancora aspettare. 

Dall’Artico alle Ande gli avvertimenti che ci lancia il clima sono sempre più espliciti e collimano con gli scenari che erano stati elaborati oltre vent’anni fa. Le riviste scientifiche internazionali pubblicano ogni giorno articoli che sottolineano la gravità del cambiamento climatico indotto dalle attività umane e l’urgenza di ridurre il nostro impatto sull’ambiente. Una grande quantità di conoscenza sottovalutata e sottoutilizzata: peccato, potrebbe rappresentare la nostra uscita d’emergenza dalla rotta verso il collasso, ma rischia di essere semplicemente il documento postumo della nostra stupidità.

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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/28/cultura/opinioni/editoriali/il-messaggio-che-arriva-dai-gradi-a-milano-Hg9pxSTdZR5mG43WyhSkGK/pagina.html


Titolo: LUCA MERCALLI: “Dai Sì Tav solo slogan, hanno un'idea sbagliata del progresso.
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 14, 2019, 07:06:15 pm
Mercalli: “Dai Sì Tav solo slogan, hanno un'idea sbagliata del progresso”

   Intervista a Luca Mercalli di Giacomo Russo Spena

“Hanno un'idea sbagliata del progresso”. Luca Mercalli ce l'ha con un mondo che in maniera fideistica ha scelto le ragioni Sì Tav: “Vanno avanti a slogan, non supportati da numeri e dati”. Meteorologo, divulgatore scientifico e climatologo, è in attesa di analizzare la relazione costi/benefici del governo che sarà resa pubblica a giorni. Nel frattempo Mercalli prova a smontare, una ad una, la propaganda dei favorevoli alla tratta Torino-Lione. Tra le loro ragioni ci sarebbe quella ecologista. Su questo, il climatologo sorride: “Come si fa ad affermare tale assurdità? E' vero l'esatto contrario, meglio spendere per azioni che diano subito un risultato in termini di emissioni di Co2 e non per progetti che lo potrebbero dare forse tra oltre 20 anni”. 

A breve si conoscerà il verdetto di questo dossier sui costi e i benefici. Ma era veramente indispensabile?
Se ne sentiva il bisogno dalla bellezza di quasi trent’anni! Il progetto della Tav in Val di Susa nasce nel 1991 senza alcuna analisi di terza parte e per volontà fondamentalmente dei proponenti, ovvero da coloro che maneggiano soldi pubblici e hanno profitti. Se chiedi al macellaio se la carne è buona, ovviamente ti dirà di sì. Bisognava, già da tempo, passare per il parere di una struttura composta da esperti neutrali.

Ma conosce il team che ha elaborato il dossier? E' affidabile il loro responso e sono davvero neutrali?
Tenderei a fidarmi: Marco Ponti è uno dei maggiori esperti di economia dei trasporti. Tra l'altro, non credo che l’analisi costi/benefici, essendo elaborata fondamentalmente da economisti e da ingegneri, prenda in considerazione gli aspetti ambientali che sono personalmente il mio campo di ricerca. Se aggiungiamo pure questi, il giudizio sulla Tav diventa ancor più negativo.

Qual è il principale motivo per cui lei è No Tav?
Siamo in una condizione di crisi ambientale che richiede di moderare i consumi e non di aumentarli quindi un’opera che incrementa il transito merci è contraria al principio basilare della sostenibilità. La stessa Europa è in contraddizione con se stessa perché la Commissione trasporti favorisce quest'opera mentre abbiamo la Commissione ambiente che agevola il modello dell’economia circolare, ovvero l'economia che ricicla ed è basata sul risparmio di materie prime. Lo scenario del futuro prevede meno rifiuti e il consumo di meno risorse, così serve men che mai un’opera che secondo i proponenti farà passare più merci, più velocemente, e in container più grandi.

Ci sta dicendo che la scelta di realizzare il treno ad alta velocità è figlia di un modello di sviluppo economico ed infrastrutturale ormai considerato obsoleto?
Assolutamente: hanno in testa un modello che era valido giusto negli anni Sessanta.

Sostiene che il tunnel danneggerà persino il nostro clima, non è vero il contrario? La nuova linea ferroviaria Torino-Lione viene giustificata proprio con motivi ambientali: la cura del ferro fa bene e spostare traffico da gomma a rotaia riduce le emissioni.
Questo sarebbe vero se si fosse usata una rete ferroviaria già esistente. Quando si va a costruire un’infrastruttura nuova, è necessario considerare due fattori, entrambi estremamente dannosi per il nostro clima. Innanzitutto per realizzare una maxi opera con gallerie – e qui stiamo parlando di 57km, oltre a tutte le gallerie accessorie di cui nessuno parla – ci vogliono almeno dieci anni di cantiere e non si scava con il piccone ma con gasolio ed energia elettrica. Per non parlare dei materiali: ci vogliono cemento, acciaio, rame, alluminio. Succede che l’infrastruttura, per dieci anni, invece di diminuire le emissioni, ne produrrà di nuove a causa di un cantiere che sarà fonte certa di inquinamento atmosferico. In secondo luogo, la propaganda Sì Tav sostiene che se la tratta verrà usata a pieno carico – perché il proponente afferma ciò – e taglierà Co2 eliminando la circolazione dei camion per strada ma, attenzione, si dimenticano che metteremo almeno altri dieci anni per compensare l’inquinamento emesso nei dieci anni di costruzione. Quindi il primo kg di Co2 tolto effettivamente dall’atmosfera non arriverà prima del 2040. Allora, le Nazioni Unite e il comitato di controllo governativo per il clima delle Nazioni Unite sostengono che siamo già in emergenza climatica e che se vogliamo mantenere la temperatura sotto l’aumento di due gradi entro questo secolo, la Co2 va tolta subito. Oggi bisogna investire denaro per decarbonizzare l’atmosfera, non tra vent’anni. Tra vent’anni è tardi, il danno climatico sarà irreversibile.

Abbiamo capito i motivi tecnici, le chiedo ora le conseguenze politiche. Come la mettiamo con l’Unione europea che su quest’opera ci ha investito e ci crede?
Prima di tutto i trattati sui trasporti non menzionano necessariamente il super tunnel come non contemplano, come unica scelta possibile, l’alta velocità: il programma europeo prevede soltanto un miglior uso delle ferrovie. Dice semplicemente che le linee devono essere armonizzate e che bisogna trovare la migliore condizione per farle funzionare con efficienza. Non sostiene che siamo condannati a costruire tappe nuove... questa è una forzatura che è stata usata strumentalmente per sostenere le ragioni Si Tav in Val Susa.

Come finirà il braccio di ferro tra M5S e Lega?
Non lo so. Dico soltanto che oggi si è aperto il primo spiraglio politico in trent’anni e che, finalmente, si discute pubblicamente dell'opera smontando la narrazione propagandistica di chi sostiene l'indispensabilità di questa infrastruttura. Il movimento No Tav è composto anche da molti miei colleghi, docenti, ricercatori, scienziati, tecnici del Politecnico di Torino... tutta gente che da anni cerca di rompere un muro di omertà ma nessun governo, prima, ha mai aperto un dibattito serio sull'impatto ambientale/climatico e sui reali benefici dell'opera.

Perché, secondo lei, il Si Tav ha il sostegno della stampa mainstream e di tutti i governi avuti negli ultimi vent’anni?
Dove ci sono i grandi progetti che muovono tanti soldi, può essere comodo stare da quella parte.

Gli interessi economici ce li hanno le lobby che devono costruire, mi chiedo perché la stampa e i governi?
C’è un motivo simbolico. Esiste una gran parte di persone che identifica con il progresso alcuni simboli ma non fa un’analisi critica basata sui numeri: non ho mai avuto dalla controparte tesi documentate e convincenti che mi spiegassero le ragioni Si Tav.  Chiamparino è così: vede lo sviluppo con le stesse lenti di un Cavour che siccome ha realizzato il traforo nell'Ottocento, oggi lo dobbiamo fare ancora più grosso e lungo. Inoltre ribalto la posizione chiamparinesca affermando che la montagna è sempre lì. Nessuno la sposta. Se mai le condizioni cambiassero e tra cinquant’anni si decidesse di realizzare il traforo perché tutte le mie previsioni si rivelassero sbagliate a vantaggio di nuovi studi, si potrebbe sempre fare. Se perdi oggi l'occasione, puoi recuperare nel futuro. È falso, invece, il contrario. Realizzare oggi la Tav, con tutti i dubbi annessi, significa non poter più riparare all’errore ambientale ed economico. Soldi spesi male ed ingenti danni. Una follia.

Si riferisce ai Si Tav quando affermano “da questo treno non passeranno solo merci ma anche idee”?
Capisci, non vuol dire niente una frase così. Siamo a delle posizioni puerili: uno slogan ideologico che non ha niente a che vedere con lo sviluppo economico del Paese.

Scusi, qual è la sua idea di progresso?
Non sono un retrogrado, non voglio tornare alla candela. Per me il futuro è la sostenibilità ambientale, il risparmio energetico, l’innovazione tecnologica sui pannelli solari. Sono per quegli investimenti d’avanguardia che, come è ormai provato, portano ottimi risultati.

Nel silenzio generale è stato dato l’ok ai cantieri nel Terzo Valico, una piccola Tav di 53km situata tra la Liguria e il basso Piemonte. Come mai lì non si è prestata attenzione e il M5S non ha fatto le barricate?
Non conosco perfettamente la questione del Terzo Valico non avendo studiato le carte ed io parlo soltanto se conosco dati e numeri. Temo, però, che l'opera abbia avuto l'ok del M5S semplicemente per un motivo: la zona interessata dal Terzo Valico è meno abitata rispetto alla Val Susa. Ci sono comunità più piccole e, quindi, è stato fatto un discorso meramente elettorale. Lì venivano scontentate meno persone e, quindi, andavano persi pochi voti. In Val di Susa ci sono più abitanti e la protesta è maggiormente strutturata. Per questo, il M5S avrà scelto di fare quadrato sulla Tav Torino-Lione e di sacrificare il Terzo Valico.

(8 febbraio 2019)

Da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/mercalli-dai-si-tav-solo-slogan-hanno-unidea-sbagliata-del-progresso/