Titolo: Due processi «scongelati». Ma senza rischi (per lui...). Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2009, 11:38:17 am Due processi «scongelati». Ma senza rischi
Prescrizione decisiva. Su Mills si riparte da capo con altri giudici, ridotte le imputazioni sui diritti tv MILANO — E adesso cosa rischia in concreto Silvio Berlusconi nei due processi milanesi (Mills e diritti tv Mediaset) «scongelati» dall’incostituzionalità della legge Alfano? Niente, nel breve-medio termine. E poco anche nel lungo termine. Perché la prescrizione limerà le asperità di entrambi ben prima del loro approdo in Cassazione. E soprattutto perché la legge Alfano ha comunque già ottenuto lo scopo per il quale fu approvata velocemente: liberare subito Berlusconi dai giudici che un anno fa erano ad un passo dal giudicarlo come poi hanno fatto con il diretto coimputato Mills condannato a 4 anni e mezzo, e in prospettiva assicurare al premier l’azzeramento di questo «suo» processo, destinato per forza a ricominciare da capo davanti a nuovi giudici. Il processo Mills Il 4 ottobre 2008, infatti, nel sottoporre alla Consulta la legge Alfano, i giudici Gandus-Dorigo- Caccialanza avevano dovuto stralciare il processo a Berlusconi, e proseguire per il solo coimputato Mills la fase finale del dibattimento (ormai a un passo da requisitoria e arringhe). Il 17 febbraio 2009 avevano pronunciato la sentenza di condanna di cui proprio domani inizierà l’appello, fissato in fretta perché il reato si prescrive verso febbraio- marzo 2010. Ma in questo modo i tre giudici, nel ritenere l'avvocato inglese corrotto nell’interesse di Berlusconi per dire il falso sui conti esteri Fininvest, hanno già espresso un convincimento sulla medesima corruzione imputata al premier nello schema corrotto-corruttore: e per legge sono perciò diventati tecnicamente «incompatibili» a poter giudicare il coimputato Berlusconi, ora che il suo processo ripartirebbe a causa della bocciatura della legge Alfano da parte della Corte Costituzionale. I vecchi giudici dovranno dunque fissare una udienza nella quale spogliarsi del processo, che passerà a tre nuovi giudici della stessa sezione ma non ricomincerà dal punto quasi finale in cui era: davanti ai nuovi giudici, infatti, tutte le testimonianze (22) e le rogatorie all’estero (9) e le prove sinora assunte in quasi 2 anni di processo varranno soltanto a patto che la difesa del premier presti consenso alla loro utilizzabilità. Ma siccome è improbabile che Berlusconi rinunci al diritto di vedere le prove formarsi davanti ai nuovi giudici («principio di immediatezza »), il processo dovrà per forza ricominciare da capo. E l’azzeramento del processo cancellerà le realistiche chance che qualunque verdetto faccia in tempo ad arrivare in Cassazione prima che la prescrizione, accorciata dalla legge ex Cirielli, scocchi entro un anno e mezzo anche nel più generoso dei calcoli (termini normali più recupero del tempo d’attesa della Consulta sulla legge Alfano). Diritti tv Mediaset Macchinosa sarà anche la rimessa in moto del processo «diritti tv Mediaset», che dal 2007, contesta a Berlusconi e 7 coimputati d'aver «mascherato la formazione di ingenti fondi neri», dirottati dalle casse aziendali a «conti esteri gestiti da suoi fiduciari », con la compravendita di diritti tv «gonfiata» da fittizi negoziati tra agenti e società in apparenza estranei al gruppo ma di fatto riconducibili a Berlusconi. Già al momento dello stop-Alfano, il dibattimento era molto «dimagrito»: la prescrizione aveva ingoiato quasi tutte le imputazioni che all’inizio assumevano appropriazioni indebite per 276 milioni di dollari e frodi fiscali per 120 miliardi di lire «fino al 1999». Nelle ultime udienze pm e difese battagliavano sulla legittimità delle contestazioni suppletive del pm che, spostando la frontiera della superstite frode fiscale al 2003, provava ad «allungare» la vita del processo al 2012, approdo possibile forse per un verdetto di primo grado ma improbabile per un esito in Cassazione; e sulla correttezza del continuo riversamento nel processo di atti provenienti da un’altra indagine (stessa materia ma anni successivi), che presto vedrà i pm chiedere un altro rinvio a giudizio di Berlusconi per appropriazione indebita. E poi il processo Mediaset. Poco prima della legge Alfano, il presidente del collegio, Edoardo D’Avossa, era passato al tribunale di La Spezia, e per proseguire il processo milanese aveva avuto dal Csm un anno di «applicazione». Quando però la legge Alfano ha sospeso il processo, D’Avossa ha chiesto al Csm di sospendere anche l’applicazione, altrimenti consumata invano. Ora dovrà essere ripristinata dal Csm, ma è chiaro sin d’ora che il processo Mediaset, quando riuscirà a ripartire, non potrà viaggiare più veloce di una udienza alla settimana, e non tanto per la spola Milano- La Spezia del presidente, quanto perché dovrà rispettare le «targhe alterne»: e cioè spartirsi, con il calendario del processo Mills, le uniche giornate (lunedì e venerdì, forse sabato mattina) nelle quali evitare i possibili «legittimi impedimenti » parlamentari degli avvocati- parlamentari di Berlusconi, Ghedini e Longo. Luigi Ferrarella 08 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it Titolo: La Corte ha fatto vedere di essere impermeabile a tutto ciò... Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2009, 12:02:57 pm Retroscena
Nel collegio la volontà di respingere la Costituzione materiale evocata dai difensori del Cavaliere Il no dei cinque giudici nominati dal Quirinale È arrivata la decisione che s’intravedeva già prima della discussione e della camera di consiglio. Nelle ultime settimane i giudici costituzionali avevano studiato e cominciato ad affrontare tra loro il nodo del Lodo Alfano, sciogliendolo (a maggioranza) con l’idea di rispedire al mittente una legge illegittima. L’altro ieri hanno ascoltato gli avvocati, tutti schierati a difesa della norma blocca- processi per le più alte cariche dello Stato, ma senza cambiare idea. Anzi. Qualche accenno nelle arringhe ha convinto almeno un paio di indecisi a dire che proprio no, un Lodo così fatto e così scritto non andava bene. Qualcuno nella minoranza di chi voleva salvare la norma, almeno nella parte che sospendeva il processo milanese a carico di Silvio Berlusconi per la presunta corruzione dell’avvocato Mills, ha provato a proporre le cosiddette «soluzioni intermedie»: sancire l’incostituzionalità ma sanandola con una sentenza che lasciasse intatta la parte che più interessava il governo e la maggioranza che lo sostiene. Non ce l’ha fatta, e nemmeno ha insistito più di tanto. Ha capito in fretta, dopo la decisa introduzione del relatore Gallo, che le sue argomentazioni erano troppo deboli rispetto al «macigno» già individuato dalla maggioranza dei giudici: una legge illegittima due volte, nella forma e nella sostanza. Perché doveva essere costituzionale e non ordinaria; e perché il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge è uno di quei capisaldi che per essere intaccato ha bisogno di tali giustificazioni, filtri e controfiltri (com’era ad esempio la vecchia immunità parlamentare abrogata nel ’93) che forse il Lodo Alfano non sarebbe andato bene nemmeno nella veste di una riforma della Costituzione. Ovviamente bisognerà attendere le motivazioni della sentenza, ma ieri sera era questa la più accreditata interpretazione della decisione della Corte. Le voci che filtrano dalla riservatezza che avvolge il palazzo della Consulta parlano di una votazione finita 9 a 6 in favore della bocciatura, ma qualcuno ipotizza un scarto addirittura maggiore, 10 a 5 o anche di più. Circolano liste di nomi coi voti espressi, verosimili ma senza certezze. Nell’elenco di chi avrebbe voluto mantenere in vita la legge ci sono i tre giudici votati dal Parlamento e indicati dal centrodestra (Frigo, Mazzella e Napolitano) più due o tre eletti dalle alte magistrature. Tutti gli altri si sono detti contrari (compresi i cinque nominati dal capo dello Stato e il presidente della Corte Amirante, che nel 2004 aveva steso le motivazioni della bocciatura del Lodo Schifani), al termine di una camera di consiglio dai toni rimasti sempre pacati e tutto sommato sereni. Anche da parte di chi vedeva profilarsi la sconfitta e ha tentato di scongiurarla confidando sui desideri istituzionali di una soluzione meno traumatica. Nemmeno l’argomento che ancora ieri sera veniva sbandierato dai parlamentari del centrodestra (la sentenza sul Lodo Schifani non aveva detto che serviva una legge costituzionale) ha fatto breccia tra i giudici. Che in grande maggioranza, 11 su 15, non facevano parte del collegio del 2004. Però sanno leggere le motivazioni dei giuristi; è vero che nel precedente verdetto è scritto che il vecchio Lodo era illegittimo «in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione», senza menzionare il 138 che regola le riforme della Carta, ma subito dopo c’era un’aggiunta: «Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale ». Il che può significare che una volta individuate le due violazioni citate potevano essercene anche altre, ma si decise di non entrare nel merito. Perché considerate «assorbite», appunto, dalla prima bocciatura. Questa dunque la sintesi della discussione di palazzo della Consulta, per come s’è svolta sul piano tecnico e giuridico. Però tutti i giudici erano consapevoli che la loro decisione avrebbe avuto anche significati ed effetti politici, e quindi può esserci una lettura anche «politica» della sentenza. C’è chi pensa, ad esempio, che con questo verdetto la maggioranza degli inquilini della Consulta ha voluto rivendicare la propria autonomia rispetto a qualunque pressione o tentativo di influenzare le proprie decisioni; dai più felpati ai più espliciti, come la drammatizzazione dell’attesa nei palazzi della politica, gonfiata dalle dichiarazioni sempre più allarmate accavallatesi fino a pochi minuti prima della sentenza. La Corte ha fatto vedere di essere impermeabile a tutto ciò, e ha fatto sapere che se si vogliono riformare la Costituzione e i suoi principi fondamentali bisogna farlo con chiarezza e con le procedure previste, non attraverso qualche scorciatoia. È come se le argomentazioni usate nell’udienza pubblica dai difensori di Berlusconi su una Costituzione materiale ormai diversa da quella scritta — quando l’avvocato Pecorella ha evocato un capo del governo eletto direttamente dal popolo; o quando l’avvocato Ghedini ha sostenuto che la legge è uguale per tutti ma la sua applicazione no — avessero svelato un tentativo di cambiare le regole (o darle per cambiate) senza rispettare le procedure. Disegnando una situazione di fatto diversa da quella scritta nelle leggi, e prima ancora nella Costituzione. Così non è e non può essere, hanno stabilito i giudici della Consulta. Certamente alcune immunità o protezioni dai processi penali si possono prevedere e stabilire, ma assumendosi la responsabilità di farlo con gli strumenti adeguati. Che non a caso prevedono l’ipotesi del referendum confermativo. Passando da quella porta la riforma è praticabile, altrimenti no. Anche quando le esigenze della politica fossero diverse. Giovanni Bianconi 08 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it |