Titolo: Ma quel Lodo non è una vera immunità Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2009, 11:19:03 am Oggi la Consulta
Ma quel Lodo non è una vera immunità Caro direttore, quando la Consulta deve affrontare questioni non solo di notevole complessità giuridica, ma anche di innegabile delicatezza politico- istituzionale, credo sia per essa essenziale attenersi ai propri precedenti. Nella materia cui il Lodo Alfano si riferisce, il precedente è del 2004. La Corte chiarì allora che la soluzione del Lodo Schifani introduceva nell’ordinamento un caso di sospensione processuale, per la durata del mandato, in relazione a reati comuni commessi dalle alte cariche dello Stato. Questo fu scritto con chiarezza nella sentenza: non di una immunità si tratta, ma di una sospensione processuale. Tant’è che il Lodo Schifani fu dichiarato incostituzionale, ad esempio, perché non consentiva al titolare della carica di rinunciare alla sospensione. Se la Corte avesse ritenuto di trovarsi di fronte a una immunità, quel rilievo non avrebbe avuto senso, perché le immunità, in quanto riferite alla funzione, non sono liberamente rinunciabili dal titolare della carica «protetta». L’attuale Lodo Alfano segue la stessa impostazione, con le correzioni di cui dirò. E questo mi serve a dire che l’argomento fondamentale spesso usato dai sostenitori dell’incostituzionalità del Lodo — ci vuole la legge costituzionale, non basta la legge ordinaria — è infondato. Solo se si trattasse di una vera immunità, essi avrebbero ragione. Certo, la Corte potrà cambiare opinione, ma si tratterebbe di un revirement abbastanza clamoroso. In generale, poi, il legislatore attuale ha tenuto conto dei rilievi che la Corte fece al precedente lodo Schifani. Come ricordavo, la carica istituzionale imputata può ora rinunciare alla protezione in ogni momento. Inoltre, la durata dello scudo processuale parrebbe non più indefinita, poiché la legge stabilisce che la sospensione opera per la sola durata della carica o funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura, né si applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o funzioni. Ancora, la vittima del reato ha ora agevolazioni procedurali per trasferire la causa in sede civile, onde ottenere comunque in tempi stretti un risarcimento. La prescrizione del reato, a sua volta, non decorre per tutta la durata della sospensione del processo. Il legislatore ha qui operato un bilanciamento non irragionevole fra due esigenze contrapposte, ma entrambi meritevoli di protezione: quella per cui nessuno può sottrarsi all’esercizio della giurisdizione, e quella per cui l’eletto a cariche di vertice deve poter affrontare le proprie responsabilità istituzionali senza essere costretto a trascurare le esigenze della propria difesa in giudizio, ovvero non deve essere costretto a scegliere fra le une e le altre. Bilanciamento ragionevole in un contesto costituzionale che non conosce più l’immunità parlamentare e in cui non è raro che iniziative giudiziarie possano essere utilizzate come arma contro avversari politici. So bene che la soggezione di chiunque alla giurisdizione è un principio essenziale del costituzionalismo. Ma vorrei ricordare che ha un peso non indifferente anche l’esigenza di garantire che chi ha avuto il consenso democratico possa esercitare le proprie funzioni in piena legittimazione morale e politica. Aggiungo, infine, che la scelta del legislatore è stata esplicitamente non disprezzata dal Capo dello Stato, che in più occasioni ha richiamato proprio l’adeguamento della nuova legge alle prescrizioni contenute nella sentenza del 2004. Vero che la pervasività del controllo di costituzionalità operato dalla Corte non è paragonabile a quello che il Capo dello Stato può svolgere, ad esempio in sede di promulgazione delle leggi. Ma sono convinto che il dato non sia senza peso. Nicolò Zanon Costituzionalista 06 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it |