Titolo: Il territorio italiano. Quegli avvertimenti dimenticati Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2009, 11:01:46 am Quegli avvertimenti dimenticati
Il territorio italiano continua a sbriciolarsi, a cedere, a travolgere i propri figli uccidendoli. E parallelamente si disperde la memoria collettiva, quella capacità (in altri Paesi diffusa e radicata) di ricordare i disastri, metabolizzarli, trasformarli in materia sociale e politica da nazione civile: cioè esperienza, saggezza amministrativa, lotta all’abusivismo e alla cementificazione selvaggia, consapevole azione preventiva. Prendiamo Giampilieri. Il 25 ottobre 2007 una frana colpì quella stessa frazione, per fortuna senza provocare vittime. Furono stanziati fondi per mettere in sicurezza la zona. Ma l’unico manufatto visibile fu un semplice terrazzamento. Viene in mente ciò che era accaduto il 18 luglio scorso a Borca di Cadore, frazione di Cancia: una colata di fango e sassi ammazzò due persone. Un rapporto della Società geologica italiana del 1998 (lo raccontò Gian Antonio Stella il 19 luglio sul nostro giornale) aveva annunciato tutto, previsto la catastrofe, suggerito interventi tempestivi. Non accadde nulla, ovviamente. E tristemente. Insomma, a Messina come a Borca di Cadore, il Sud come il Nord. Non esiste Settentrione né Meridione in questa assurda graduatoria della dimenticanza: un drammatico avvertimento, un cupo campanello d’allarme e poco dopo la memoria svanisce, ogni preoccupazione si dissolve. Un varco spalancato per tanti, troppi disastri colposi. Eppure siamo l’Italia del Vajont nel 1963 (molti libri di racconti e i monologhi di Marco Paolini hanno tentato l’operazione opposta, cioè riproporre il ricordo a chi aveva dimenticato o non era ancora nato). Eppure siamo l’Italia del Polesine. Soprattutto siamo l’Italia di Sarno, altra tragedia- simbolo che sembra aver insegnato poco o nulla, vista la sfrontatezza con cui l’abusivismo edilizio continua a dilagare in quella complessa fetta di territorio italiano. Nemmeno a dirlo, sotto gli assai poco vigili occhi delle amministrazioni locali e di quelli, invece attentissimi, della criminalità organizzata. Lo ha sottolineato ieri il presidente della Repubblica: «Il dissesto idrogeologico, come dice bene Bertolaso, è in gran parte causato dall’abusivismo nel Messinese e in tante altre parti d’Italia. O si avvia un piano serio che investa, piuttosto che su opere faraoniche, sulla garanzia e la sicurezza, oppure queste zone del Paese potranno essere afflitte da altre sciagure». Giorgio Napolitano ha indicato un punto: o si ricorre alla memoria per affrontare il domani con azioni concrete (e adeguati stanziamenti). O una grande opera come il Ponte sullo Stretto apparirebbe assurda: un grandioso segno urbanistico contemporaneo circondato da uno sfacelo intollerabile per qualsiasi altro luogo d’Europa. E qui occorre uno scatto in avanti, culturale e politico, sia per le amministrazioni locali che per il governo nazionale. Cioè smetterla di considerare le preoccupazioni di chi segue le sorti del territorio italiano (geologi, urbanisti, ambientalisti, paesaggisti) come lamentele di importuni nemici dello sviluppo («lasciateci lavorare»). Come dimostra l’esperienza degli ultimi anni (decine di frane, la spaventosa piena del Tevere a Roma, il nubifragio a Cagliari) l’Italia vive un’emergenza idrogeologica senza precedenti. È urgente avere buona memoria, smetterla di dimenticare lasciando via libera, nonostante decenni di sciagure, a una indiscriminata e irreparabile devastazione della nostra terra. Le immagini di Giampilieri lo dimostrano: non c’è più tempo da perdere. Paolo Conti 03 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it |