Titolo: LA SVIZZERA E IL SEGRETO BANCARIO Inserito da: Admin - Agosto 14, 2009, 11:31:23 am LA SVIZZERA E IL SEGRETO BANCARIO
Un successo americano Gli Stati Uniti fanno sul serio. Nel momento in cui la cittadinanza soffre, colpita dalla recessione, il governo persegue l’evasione fiscale con un’energia sconosciuta all’Italia e all’Europa. Non si limita alla retorica contro i paradisi fiscali, ma attacca una grande banca internazionale perché, come ogni buon fiscalista sa, non c’è paradiso fiscale senza la collusione dell’aristocrazia bancaria globale. Il Dipartimento della Giustizia vuole i nomi degli americani che hanno depositato i loro denari — si parla di attività per 15 miliardi di dollari — in 52 mila conti correnti aperti presso la Ubs, gestiti in paradisi fiscali e coperti dal segreto bancario svizzero. L’amministrazione finanziaria di Washington sospetta che quelle ricchezze siano state ottenute anche evadendo le tasse. Ma la legge svizzera autorizza le banche residenti nella Confederazione a rivelare identità e interessi dei clienti solo a fronte di richieste che indichino il nome dell’indagato e un reato che, come il riciclaggio o la falsificazione dei documenti contabili, sia compreso tra quelli per i quali va prestata tale collaborazione. L’evasione fiscale ai danni di un erario straniero non fa parte della lista. Ma certi segreti bisogna poterseli permettere. E la Svizzera oggi se li può permettere meno di ieri. Quando favorisci la crescita di una enorme piovra bancaria con tentacoli estesi in tutto il mondo e attività pari a 4 volte il prodotto interno lordo del Paese, poi capita che la crisi di una Ubs rischi di mandare a picco la Svizzera. E allora i soccorsi costano potere. Per salvare Ubs dall’indigestione di titoli tossici denominati in dollari, ha avuto bisogno della Federal Reserve. La Banca centrale svizzera ha dato alla Fed franchi in cambio dei 60 miliardi di dollari con i quali ha comprato dalla Ubs i titoli spazzatura che la stavano soffocando. E ora l’America di Obama, che non è più quella deregolata dei Bush e di Clinton, chiede il conto. Di più, se Berna non avesse liberato gli gnomi di Zurigo dalle dorate catene dei loro segreti, il governo americano avrebbe potuto togliere a Ubs la licenza per operare a Wall Street. La Svizzera, dunque, sembra piegarsi. Di quanto ancora non si sa. La banca e il governo elvetico rischiano cause da parte dei clienti. Si parla di alcune migliaia di nomi svelati. Non tutti quelli richiesti, dunque. Ma forse abbastanza per incrinare davvero il segreto bancario sull’evasione fiscale. La Svizzera rinuncia così a una quota di sovranità. Ma di questa rinuncia aveva posto le basi lasciando crescere un colosso non più governabile da un piccolo Paese. Il successo americano potrebbe incoraggiare l’Italia dello scudo fiscale a chiedere all’Europa una politica coerente con tutte le Ubs del mondo. E intanto pretendere dalle banche che hanno sedi nelle varie Cayman Islands i nomi dei beneficiari dei conti sospettabili da parte dell’Agenzia delle entrate, pena il ritiro della licenza bancaria nel Belpaese. mmucchetti@corriere.it Massimo Mucchetti 13 agosto 2009 © RIPRODUZIONE RISERVATA Titolo: I banchieri elvetici che rivelano dettagli sui clienti rischiano il carcere Inserito da: Admin - Agosto 14, 2009, 11:37:46 am Il caveau del mondo
La legge del ’34 che ha introdotto le regole per i depositi Dal no ai nazisti alla privacy sui divorzi I banchieri elvetici che rivelano dettagli sui clienti rischiano il carcere MILANO—La situazione era giunta a un punto tale che la Gestapo aveva una procedura fissa. Un ufficiale in borghese si presentava in una banca svizzera, metteva sul tavolo una somma, pronunciava un nome sospetto. Ordinava un versamento sul conto della persona in questione. Se l’impiegato allo sportello accettava il denaro, il conto esisteva, dunque in Germania c’era un uomo con quel nome che aveva nascosto i suoi risparmi in Svizzera. Vari tedeschi, non solo ebrei, furono passati sotto le armi dopo quelle missioni. E se c’è qualcosa che ancora oggi colpisce nella sfida sul segreto bancario elvetico, è come ognuna delle parti reclami per sé la moralità e il senso di giustizia. Così l’amministrazione fiscale americana o l’Unione europea da anni incalzano gli svizzeri in nome della trasparenza e delle regole, non solo fiscali: persino le figlie di Than Shwe, il capo della giunta birmana, divennero «attaché» presso l’ambasciata del Myanmar a Berna per meglio seguire gli investimenti di famiglia, prima che gli americani forzassero gli svizzeri a espellere almeno quei fondi. Ma provate un po’ ad andare ancora oggi alla banca Wegelin di San Gallo, dove certi conti sono aperti ininterrottamente dal 1780. Lì Konrad Hummler, socio- guida e presidente dei banchieri privati della Confederazione, per spiegare il culto del segreto risale sempre a quello che lì sembra il peccato originale del resto d’Europa. Nel ’32 il governo francese spiava i conti dei transalpini a Ginevra; quindi le irruzioni della Gestapo, il rapimento di un ebreo tedesco che aveva seguito a Basilea il suo patrimonio, le continue infiltrazioni. Da quando gli svizzeri hanno introdotto nel ’34 la legge sul segreto bancario, per loro è poco meno di una norma sui diritti umani. «Diversificazione di sistema », la chiama pudicamente Hummler di questi tempi. E c’è chi ne ha davvero bisogno: imprenditori russi che a Mosca pagano una ritenuta di appena 13% sui redditi da capitale, possono in effetti preferire un forziere nel cantone di San Gallo per tenere i propri patrimoni al riparo dai rischi di esproprio. Considerazioni simili possono valere per molti ricchi mediorientali o asiatici. Ma le regole sulla privacy finanziaria di un italiano o di un americano appaiono davvero un po’ draconiane. Non solo per i giudici milanesi le cui rogatorie finiscono spesso in un vicolo cieco: a volte le norme sono quasi persecutorie anche per gli stessi guardiani svizzeri dei caveau. Un banchiere che dovesse rivelare il nome di un correntista, rischia fino a tre anni di carcere. Non potrà farlo neanche se voi come clienti glielo chiedete, poiché potreste trovarvi sotto minaccia del vostro governo come nella Germania hitleriana. Nel caso di una causa di divorzio, il banchiere ha poi in molti casi l’interdizione di testimoniare di fronte a un tribunale straniero. In teoria sarebbe sempre possibile far sequestrare il conto del coniuge, ma non si conosce nessuna ex moglie o ex marito deluso che vi sia riuscito, tanto è cara, lenta e tortuosa la procedura. Su quest’aspetto per la verità la tutela dei «diritti umani» appare selettiva, perché per i matrimoni celebrati in Svizzera gli stessi vincoli di discrezione del banchiere non si applicano. Ma, visto da Ginevra o Zurigo, il messaggio è sempre lo stesso: la tutela della privacy di chiunque è parte di una civiltà liberale che difende l’individuo dagli abusi potenziali del suo stesso Stato, soprattutto se estero. Orson Welles diceva che queste virtù svizzere hanno prodotto «amore fraterno e cinquecento anni di pace e democrazia ». Fra gli effetti collaterali c’è però anche un’industria finanziaria, la più grande al mondo fra i centri «off shore», che raccoglie almeno duemila miliardi di dollari dall’estero. Alcuni banchieri di Ubs arrestati negli Stati Uniti hanno confessato di aver contrabbandato gli averi dei clienti in molti modi, inclusi i diamanti nascosti nel dentifricio. E gli istituti, le compagnie d’assicurazione e il sistema che ruota loro attorno sono arrivati a pesare quasi per un quinto dell’intera, prospera economia elvetica. Eppure per l’Occidente in recessione accusare ora la Svizzera forse è anche troppo facile. Berna in realtà ha accettato da anni l’accordo con l’Unione europea che impone una ritenuta alla fonte del 35% (dal 2011) dei redditi da capitale per chi scelga l’anonimato. E già dal ’91, chi apre un tipico conto numerato deve comunque mostrare alla banca il passaporto, il certificato di nascita e le bollette elettriche o dell’acqua per dimostrare quale è la sua vera residenza. Niente del genere è richiesto a chi apre una posizione in Delaware, in Wyoming, in Nevada o in Somalia: soli casi al mondo, lì l’opacità è totale. Forse perché, come scrisse lo svizzero Friedrich Dürrenmatt in un romanzo sul mondo degli affari di Zurigo, «la giustizia può compiersi solo fra coloro che sono egualmente colpevoli». Federico Fubini 13 agosto 2009 © RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it |