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Forum Pubblico => ITALIA VALORI e DISVALORI => Discussione aperta da: Admin - Luglio 30, 2009, 11:40:58 pm



Titolo: Via libera della Ru486 non scontato Vaticano: "Scomunica per chi la usa"
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2009, 11:40:58 pm
30/7/2009 (22:58) - LA PILLOLA ABORTIVA

Via libera della Ru486 non scontato Vaticano: "Scomunica per chi la usa"
 
Seduta fiume dell'agenzia italiana del farmaco per esaminare il dossier


ROMA

La pillola abortiva Ru486 è un «veleno letale, non un farmaco»: è come l’aborto chirurgico, quindi un «peccato, un delitto» che comporta la «scomunica» della chiesa per chi la usa, la prescrive o partecipa a qualsiasi titolo «all’iter». Il Vaticano torna all’attacco nel giorno dell’atteso pronunciamento dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa) sulla Ru486. Il Cda dell’Aifa deve decidere circa l’autorizzazione alla commercializzazione anche in Italia della pillola. Una decisione tutt’altro che scontata ed in serata, dopo una seduta fiume protrattasi per ore, i membri del Cda sono ancora riuniti ad esaminare i dossier relativi al farmaco.

Una decisione che qualcuno, alla vigilia, pareva dare per ovvia - alla luce del parere positivo già espresso dal Comitato tecnico-scientifico della stessa Aifa nelle scorse settimane - ma non il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, la quale aveva avvertito che il pronunciamento non sarebbe stato una mera «prassi burocratica». Perchè - anche se la pillola Ru486 è già commercializzatata in molti paesi europei e negli Usa, e l’Oms dal 2005 l’ha inserita nella lista dei farmaci - sulla sicurezza di tale farmaco, ha ribadito Roccella, gravano «lati oscuri, come dimostrano le 29 morti registrate in vari paesi».

LA CONDANNA DEL VATICANO, È DELITTO DA SCOMUNICA
Per voce di monsignor Giulio Sgreccia, emerito presidente dell’Accademia per la vita, il Vaticano auspica «un intervento da parte del governo e dei ministri competenti». Perchè - spiega - non «è un farmaco, ma un veleno letale» che mina anche la vita delle madri, come dimostrano i 29 casi di decesso. La Ru486 - afferma Mons. Sgreccia - è uguale, come la chiesa dice da tempo, all’aborto chirurgico: un «delitto e peccato in senso morale e giuridico» e quindi comporta la scomunica ’latae sententiaè, ovvero automatica.

ROCCELLA, RISCHIO DI ABORTI IN "CLANDESTINITA' LEGALE"
Il pericolo paventato dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella è che con la pillola abortiva Ru486 si possa arrivare ad una «cladestinità legalizzata» degli aborti. Il metodo dell’aborto farmacologico con la Ru486, ha affermato, «intrinsecamente porta la donna ad abortire a domicilio, proprio perchè il momento dell’espulsione non è prevedibile», in una sorta di «clandestinità legale». Infatti, ha aggiunto, «se si facesse una politica di ricovero, ciò sarebbe costosissimo perchè non si può capire fino a quanto tempo deve durare il ricovero stesso». Ed ancora: «Chiaramente - ha sostenuto Roccella - tale uso è promosso da un’organizzazione sanitaria che ha un peso degli aborti nelle strutture pubbliche, e che tende a cercare di liberarsene».

CONSIGLIO SUPERIORE SANITÀ, IN OSPEDALE FINO ABORTO AVVENUTO
Con l’utilizzo dell’aborto farmacologico attraverso la pillola abortiva Ru486, la donna «deve essere trattenuta» in ospedale o altra struttura prevista «fino ad aborto avvenuto». È quanto affermato dal Consiglio superiore di sanità (Css) in due pareri del 2004 e 2005. I pareri del Css, dunque, non prevedono il ricorso al day hospital in caso di aborto farmacologico con la pillola Ru486, come invece effettuato dal 2005 ad oggi in alcuni istituti sulla base di protocolli regionali. Secondo il parere del 2004, infatti, «i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti alla interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero». Tra le motivazioni addotte c’è la «non prevedibilità del momento in cui avviene l’aborto» e il «rispetto della legislazione vigente che prevede che l’aborto avvenga in ambito ospedaliero». Secondo il successivo parere del 2005, «l’associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto».

da repubblica.it