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Titolo: G. PASCAL ZACHARY Ma in Ghana Obama pensa agli Usa
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2009, 09:19:22 am
11/7/2009
 
Ma in Ghana Obama pensa agli Usa
 
G. PASCAL ZACHARY *
 
Il 10 luglio un illustre discendente dell’Africa nera ha fatto un trionfale rientro in patria. Gli studiosi usano il termine di «l’impero colpisce ancora» in riferimento agli immigrati dall’Africa e dall’India che si stabiliscono in Europa e in America del Nord sfidando le vecchie norme razziali e identitarie. Nel suo primo viaggio ufficiale in Africa, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama restituisce il colpo in una maniera inedita: la sua visita in Ghana mette in luce la necessità che gli esponenti di spicco della diaspora diano un contributo positivo agli affari africani.

Ma la visita di Obama, pur carica di simbolismo, rivela anche i limiti del suo potere. Oberato dal fardello dei problemi economici in America e delle guerre in Iraq e in Afghanistan, non può impegnarsi in un’azione vasta in Africa, o fare grandi promesse. In effetti, a sei mesi dall’inizio della sua presidenza, Obama ha già dato un taglio alle aspettative. E’ stato molto prudente nella regolazione dei violenti conflitti regionali, in Darfur, nel Congo orientale e in Somalia. Si è tenuto a distanza di sicurezza dai fallimenti politici dell’Africa, soprattutto per quanto riguarda lo Zimbabwe, resistendo agli appelli di chi gli chiedeva un contributo per mandare via Robert Mugabe.

La prudenza di Obama è ragionevole. Non vuole essere etichettato come «il presidente dell’Africa». Ma scegliendo il contenimento rispetto all’intervento ha deluso sia i comuni africani che gli attivisti internazionali. Come i suoi predecessori George W. Bush e Bill Clinton, Obama vuole evitare di invischiarsi nella politica interna dell’Africa. Bush non fece niente per fermare l’eccidio in Darfur o accelerare l’uscita di Mugabe. Clinton ha vergognosamente abbandonato la Somalia dopo la morte dei soldati americani a Mogadiscio, e non fece nulla di fronte al genocidio in Ruanda.

Per Obama, l’Africa resta per ora soprattutto un fondale sul quale lui proietta la sua identità americana. Come ha raccontato lui stesso nelle sue memorie I sogni di mio padre, visitare per la prima volta il Kenya, dove era nato suo padre, lo fece sentire più americano - e meno americano - che mai. Con la scelta del Ghana, ex colonia britannica e uno snodo cruciale nel commercio degli schiavi globale del XVIII-XIX secolo, Obama ha evitato il Kenya di suo padre, un Paese dilaniato da aspre dispute tribali e guidato da un governo sfacciatamente corrotto. Per contrasto, il Ghana rappresenta il lato solare dell’Africa. Ha appena vissuto delle elezioni ben organizzate nel corso delle quali l’opposizione è andata al potere. La sua economia sta crescendo. Le relazioni interetniche in questa nazione molto eterogenea sono buone quanto quelle nel resto del mondo.

Obama resterà sul suolo africano per appena due giorni, nei quali probabilmente metterà in risalto il ruolo dell’America nel promuovere il buon governo e la non violenza in Africa, due obiettivi da tempo nell’agenda statunitense. La nuova priorità aggiunta da Obama - l’aumento del sostegno americano agli agricoltori africani - è un intelligente riconoscimento del fatto che l’espansione dell’agricoltura può far uscire molti africani della campagna dalla povertà in tempi rapidi. Non aspettatevi che Obama affronti il punto più controverso delle relazioni degli Usa con l’Africa: il nuovo comando militare africano delle forze armate americane. Bush, che l’ha creato, ha dato al Dipartimento della Difesa nuovi poteri che comprendono in Africa anche dossier civili, e permettono di espandere le partnership militari con i governi della regione. E’ improbabile che Obama annunci una riduzione del ruolo militare degli Usa nella regione, o che ammetta che il vero motivo per il quale corteggia gli africani non è la sua eredità africana, ma la scommessa sempre maggiore che gli Usa fanno sul petrolio del Continente Nero. La mancanza di candore non danneggerà Obama negli Stati Uniti, dove i calcoli di interesse interno hanno la precedenza.

In fondo, il vero motivo del suo viaggio in Africa è ripagare i suoi sostenitori afroamericani che in schiacciante maggioranza hanno votato per lui nel novembre scorso e restano una delle colonne portanti del suo seguito. Per gli afroamericani il Ghana ha un significato speciale. Questo Paese ha avuto un ruolo importante nella promozione dei diritti civili in America. Nel 1957, quando la segregazione legale negli Usa sembrava impossibile da sradicare, il primo presidente del Ghana, Kwame Nkrumah, approfittò dell’occasione dell’indipendenza del suo Paese dalla Gran Bretagna per denunciare le ingiustizie patite quotidianamente dagli americani di colore. Invitò Martin Luther King alla sua investitura, dando al campione dei diritti civili di Atlanta, per la prima volta, una tribuna globale. Malcolm X, il leader nazionalista nero, visitò il Ghana due anni dopo, e ci tornò nel 1964. Nel 1961 Nkrumah invitò anche W.E.B. Du Bois, il più importante intellettuale nero del ’900. Du Bois diventò cittadino del Ghana e ci visse fino alla morte. Centinaia di afroamericani oggi abitano in Ghana, alcuni a pochi passi da Cape Coast Castle, il forte degli schiavi dal quale la merce viva partiva fino al 1807, quando la Gran Bretagna ha fermato questo commercio.

Colto e intelligente, Obama sa che gli americani di colore vedranno la sua visita in Ghana sotto una luce molto diversa da quella degli americani bianchi. La sua tendenza a guardare all’Africa attraverso le lenti americane è comprensibile e inevitabile. Ma le sue radici africane gli offrono un’opportunità unica di trasformare le relazioni tra America e Africa, stimolando l’autosufficienza e il progresso dell’Africa e rendendo più intelligenti ed efficienti gli aiuti americani.

* Giornalista, docente alla Stanford University
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da lastampa.it