Titolo: Il giallo della faglia di Paganica Inserito da: Admin - Maggio 05, 2009, 06:02:31 pm Il giallo della faglia di Paganica
ROMA (5 maggio) - La faglia responsabile del sisma che ha devastato L'Aquila lo scorso 6 aprile era stata individuata già nel 1989 da un gruppo di giovani geologi romani; ma la loro scoperta non fu presa sul serio dalla comunità scientifica, che non diede molto credito all'idea che proprio tra L'Aquila e Paganica ci fosse una faglia attiva in grado di provocare terremoti di elevata intensità. La storia risale al 1988, quando Andrea D'Epifanio, Roberto Bagnaia e Stefano Sylos Labini, all'epoca non ancora trentenni, cominciano a interessarsi alla storia geologica della piana dell'Aquila. Compiono sopralluoghi sul posto, studiano le tracce di antichi movimenti tellurici, prendono foto aeree della zona. Fino a che, nel 1992, pubblicano sulla rivista «Quaternaria Nova» uno studio dedicato alla formazione dei terrazzi della provincia dell'Aquila. La loro ipotesi è che la morfologia della terra in questo lembo dell'Abruzzo sia stata plasmata dai movimenti tellurici prodotti nei secoli da un complesso sistema di faglie del quale farebbe parte una spaccatura di circa 15 chilometri, dritta come un fuso, che corre tra Paganica e San Demetrio nè Vestini. La faglia viene ribattezzata proprio «faglia di Paganica-San Demetrio». I tre sono convinti che sia attiva da almeno 200.000 anni: sua la responsabilità dei terremoti che hanno distrutto il capoluogo abruzzese nel 1461 e nel 1703. Ma lo studio dei tre giovani geologi viene accolto con freddezza e scetticismo. Per qualche mese gli studiosi discutono l'ipotesi suggerita da D'Epifanio e compagni, ma alla fine il verdetto è una bocciatura. La faglia di Paganica, se pure esiste, non mostra segni di attività. A 20 anni di distanza, dopo che il devastante terremoto del 6 aprile ha dimostrato che la faglia di Paganica non solo esiste ma è anche in piena attività, D'Epifanio riflette con amarezza: «se ci avessero dato retta, forse qualcuno si sarebbe preso la briga di monitorare la faglia con attenzione nel momento in cui qualche mese fa, ha cominciato a ridare segni di vita. Purtroppo qui in Italia l'atteggiamento dei geologi di fronte ai terremoti è improntato al fatalismo e alla rassegnazione. A furia di ripetere che i terremoti non possono essere previsti, nessuno prova a controllare e a dare un senso a quello che succede sotto i nostri piedi». D'Epifanio, dopo la delusione di quel 1989, ha chiuso con la geologia: a una incerta carriera di ricercatore ha preferito un impiego in una compagnia telefonica. Ma oggi si prende la sua rivincita e raccoglie i tardivi riconoscimenti. Nicola D'Agostino, professore di geologia a Roma Tre, è uno degli studiosi italiani che segue da vicino la sequenza sismica dell'aquilano. «D'Epifanio, Bagnaia e Sylos Labini - riconosce lo studioso - avevano visto giusto. All'epoca io ero solo uno studente, ma ricordo il dibattito che nacque sulla faglia di Paganica, che fu da loro descritta e cartografata con precisione. Non raccolsero molti consensi, ma i fatti hanno dimostrato che avevano ragione. Tanto di cappello». D'Agostino, però, non crede che l'individuazione della faglia avrebbe potuto attenuare le conseguenze del terremoto del 6 aprile: «il monitoraggio non consente di prevedere con certezza se e quando si verificherà una scossa distruttiva. La geologia, oggi, può fare previsioni attendibili solo su periodi medio lunghi e su aree estese». Ma D'Epifanio e gli altri autori del profetico studio sono convinti che qualcosa in più poteva essere fatto: «la faglia di Paganica - sostiene D'Epifanio - rappresentava l'elemento più critico che doveva essere tenuto sotto controllo con tutti i metodi disponibili. L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, invece , ha utilizzato solo il metodo Gps e il monitoraggio sismico su un'area estesa, metodi che evidentemente non hanno fornito quegli elementi per decidere di far evacuare gli edifici più a rischio della città de L'Aquila e per allestire preventivamente dei campi di accoglienza» E per il domani? Secondo D'Epifanio bisogna fare tesoro dall'accaduto: «a posteriori diventa importante analizzare nuovamente i fenomeni che si sono verificati prima del terremoto aquilano in modo da mettere a punto un protocollo decisionale di intervento che possa essere utilizzabile in altre aree interessate da attività sismica persistente». da ilmessaggero.it |