Titolo: Renzo Piano: «Cemento armato? Meglio il legno» Inserito da: Admin - Aprile 11, 2009, 04:46:57 pm Le proposte
«Cemento armato? Meglio il legno» Renzo Piano: per evitare errori è necessario prendere tempo, elaborare il lutto Renzo Piano parla del terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo «in diretta» da San Francisco, la città del Big One (ma anche la città che, devastata nel 1906 da un sisma violentissimo, venne ricostruita ex novo in soli nove anni). Quello dell’architetto del Beaubourg e della futura London Bridge Tower (in viaggio da Frisco verso Los Angeles, altra città sismica, dove sta completando il Los Angeles Country Museum) sembra, d’altra parte, il destino di un progettista che ha dovuto fare spesso i conti con i terremoti: «Durante i lavori per la costruzione dell’aeroporto di Osaka, durati 38 mesi, — dice — ci furono almeno 30 terremoti, alcuni dei quali superiori al quinto grado Richter». Ma chiarisce: «Nessun intoppo. Nemmeno per il terremoto che nel 1995 distrusse Kobe: ha 'solo' fatto oscillare il mio aeroporto (costruito sull’acqua ndr) di 50 centimetri e non si è praticamente rotto un vetro. Perché la flessibilità nelle strutture sismiche è essenziale al pari della leggerezza». Architetto che fare adesso con le città distrutte? «Vanno ricostruite o restaurate dove sono: non ha alcun senso fare altrimenti. Anche se ci vorrà tempo. Anzi, oserei dire che per evitare errori è assolutamente necessario prendere tempo, lasciar cadere la polvere, elaborare il lutto ». Questo vale per le case. E per i monumenti? «Vanno restaurati e consolidati. Oltretutto in Italia le soprintendenze possono contare su tecnici preparatissimi. Ma ripeto, tutto quello che è stato distrutto, va ricostruito proprio dov’era». Allora niente new town? «Le new town sono sempre deserti affettivi: si immagini dopo un terremoto. Una volta esaurite le urgenze, e approfittando della buona stagione, penso che bisognerebbe invece costruire, in un luogo molto prossimo alle città distrutte, un quartiere o più quartieri di transizione. Ecco queste possono essere, per me, le uniche new town possibili: quelle che dovrebbero sostituire i campi degli sfollati prima della ricostruzione vera e propria». Mattoni o cemento armato? «Meglio il legno. Che è un materiale leggero, flessibile, riciclabile, rinnovabile, sicuro. Si tagliano gli alberi per costruire quelle case temporanee e se ne piantano tre volte tanti. E quando, dopo quattro o cinque anni, si buttano giù le case, al loro posto si fa nascere un bosco e si ricicla il legno usato. Si lavora, insomma, sulla natura. Meglio dimenticarsi quel cemento armato che rende tutto meno elastico e più vulnerabile» Che consiglio darebbe al premier Berlusconi sulla ricostruzione? «Lasci perdere gli aumenti di cubatura. Non faccia aggiungere protesi, sopralzi appiccicati qua e là, che non faranno altro che peggiorare condizioni di stabilità già precarie». E poi? «Promuova un progetto di messa in sicurezza degli edifici già esistenti. Rilanci l’edilizia per 'fare meglio' e non per 'fare di più'. Faccia applicare le regole. Faccia eseguire più controlli perché, in Italia, la gente deve smettere di rubare sulle tecniche di costruzione, aggirando i controlli, tirando su palazzi brutti e 'a rischio'. Oltretutto le regole ci sono, le leggi anche: devono essere solo applicate». Se le regole ci sono perché, allora, questi danni così gravi? «Perché l’Italia si è assuefatta al pressappochismo e alla fatalità che del pressappochismo è la giustificazione: le tracce lasciate dal terremoto in Abruzzo ne sono la dimostrazione evidente». Che impressione le fa vedere questo terremoto da San Francisco? «Penso che qui ci sono circa mille allarmi all’anno sul Big One. Nella maggior parte dei casi sono allarmi ingiustificati, ma nessuno si permette di catalogarli come 'inutili'. Perché la sismologia è una scienza esatta fatta di tanti elementi, allarmismi compresi: quello che è importante è capire la differenza tra vera scienza e semplice paura. Qui, come in Giappone, sembrano averlo capito. Forse dovremmo farlo anche noi». Stefano Bucci 11 aprile 2009 da corriere.it Titolo: Le scosse dureranno a lungo... Inserito da: Admin - Aprile 11, 2009, 04:51:01 pm La tabella dei dati elaborati dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia
Abruzzo: lo spostamento degli epicentri dei terremoti delle scosse di replica Costanza dell’energia liberata lungo una fascia sismica di 30 km, dal lago di Campotosto alla valle dell’Aterno Un continuo salire e scendere, prima verso nord, poi verso sud, e viceversa, sta caratterizzando la sequenza sismica del terremoto dell’Aquila. La migrazione degli epicentri si compie lungo una fascia di una trentina di chilometri, orientata parallelamente alla catena degli Appennini che si sviluppa approssimativamente dal lago di Campotosto fino alla valle dell’Aterno, passando per L’Aquila. Sulla base dei dati forniti dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), è possibile ricostruire su una cartina geografica lo spasseggiare delle scosse, a partire dal quella principale del 6 aprile, limitandosi, per semplificare, a prendere in considerazione gli eventi al di sopra di 4 gradi Richter, che sono giudicati dalla popolazione «molto forti», anche per gli ulteriori effetti devastanti sul patrimonio edilizio già duramente colpito. La scossa principale delle 3,32 del 6 aprile colpisce un’area pochi km a sud-ovest dell’Aquila con un’intensità di 5,8 Richter. Dall’Ingv, che gestisce la rete sismica italiana, essa viene associata all’attivazione di una faglia (una frattura della crosta terrestre) lunga una dozzina di km che passa proprio sotto L’Aquila. Per effetto della dislocazione della faglia, i sismologi hanno potuto verificare che il suolo della città si è abbassato di circa 15 centimetri. Le successive due repliche più intense non si fanno attendere: poco più di due ore dopo, alle 4,36, se ne registra una da 4,6 Richter e nel tardo pomeriggio dello stesso 6 aprile, alle 18,38, una da 4 Richter; entrambe qualche km più a nord rispetto all’epicentro della scossa principale. La quarta scossa forte della sequenza, di 4,8 Richter, fa un balzo a nord e si manifesta circa a metà strada fra L’Aquila e il lago di Campotosto, alle 2,15 del 7 aprile. Gli abitanti si risvegliano e la descrivono come «un po’ meno violenta della scossa principale»; e sicuramente si tratta di uno scuotimento notevole, ma bisogna ricordare che la scala Richter è costruita secondo una progressione logaritimica, per cui un punto di differenza in meno (da 5,8 a 4,8) corrisponde a un terremoto ben trenta volte meno intenso. L’epicentro della quinta scossa forte riporta a sud, esattamente all’Aquila, dove alle 11,26 del 7 aprile si libera un’energia da 4,7 Richter. Tutte le scosse fin qui elencate hanno una caratteristica comune: i loro ipocentri (la zona profonda, al di sotto dell’epicentro, in cui effettivamente si rompe la faglia) si collocano tra i 9 e i 10 km di profondità, ossia sono, come dicono i geofisici, relativamente superficiali e questo spiega anche la loro elevata distruttività. Con la sesta scossa si scende verso quello che è il margine più a sud dell’area colpita, la valle dell’Aterno, a ridosso dei monti di Ocre. Il sisma ha luogo alle 19,47 del 7 aprile e raggiunge un’intensità di 5,3 Richter, finora la più alta fra le repliche. Ancora un’inversione di marcia caratterizza gli epicentri dell’ottava e della nona tra le forti scosse, che si manifestano all’estremo nord della fascia sismica, sul bordo meridionale del lago di Campotosto. Gli scuotimenti si verificano, rispettivamente, all'1,57 del 9 aprile con magnitudo 4,3 Richter; e alle 2,53 dello stesso giorno con magnitudo 5,1 Richter. Poche ore dopo, alle 5,15 del 9 aprile, la decima forte scossa fa riattivare un segmento di faglia poco sotto L’Aquila, raggiungendo una magnitudo da 4,2 Richter. Questo scuotimento detiene, finora, il primato dell’ipocentro più profondo: 18 km. E poi, nella stessa giornata del 9 aprile, ancora una volta l’attività si sposta a nord, con l’undicesima forte scossa, di magnitudo 4, registrata alle 6,32, e la dodicesima di magnitudo 4,9 alle 21,38. Il saliscendi può apparire sconcertante ai non esperti, ma trova la sua giustificazione nel meccanismo di interazione reciproca fra faglie contigue. Con parole semplici: l’energia liberata dallo scattare di un segmento di faglia, va a sollecitare altre faglie vicine su cui si erano pure accumulate tensioni e le fa attivare a sua volta. Si tratta di un meccanismo che ha un precedente in una sequenza sismica relativamente recente: quella umbro-marchigiana che si protrasse dal settembre 1997 all’agosto 1998 e che fu caratterizzata da notevoli migrazioni degli epicentri e dal susseguirsi di repliche di notevole intensità. Per questo si teme che anche la sequenza aquilana possa protrarsi a lungo. Franco Foresta Martin 10 aprile 2009 |