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Forum Pubblico => ESTERO fino al 18 agosto 2022. => Discussione aperta da: Admin - Marzo 11, 2009, 09:26:07 am



Titolo: Diritti umani l’ora di cambiare
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2009, 09:26:07 am
TIBET, SE L’ITALIA SI MUOVE


Diritti umani l’ora di cambiare


di Franco Venturini


Nel giorno del cinquantesimo anniversario della rivolta di Lhasa la Camera dei Deputati ha espresso ieri un sì bipartisan alla mozione proposta dai Radicali per il rispetto dei diritti umani in Tibet. Il testo impegna il governo italiano, spesso timido in materia, a chiedere alla Cina garanzie di libero accesso nella regione e un dialogo costruttivo con il Dalai Lama «nella cornice della Costituzione cinese». Ma soprattutto, la mozione di Montecitorio riporta in primo piano, e non soltanto per l’Italia, quell’eterno dilemma tra sfera morale (la difesa dei diritti umani) e sfera politico-diplomatica (la tutela degli interessi) che negli ultimi tempi è stato messo a dura prova.
Prima Hillary Clinton va in Cina e «dimentica » la repressione del dissenso interno. Poi il Tribunale penale internazionale spicca un mandato d’arresto contro il presidente sudanese al-Bashir e si attira per questo un mare di critiche. E ora torna alla ribalta la questione del Tibet, nel silenzio, quasi generale, dei governi.

Casi tra loro diversi, che tuttavia ripropongono lo stesso interrogativo: come deve comportarsi la comunità di valori chiamata Occidente davanti alla violazione sistematica dei suoi princìpi? Sventolare la bandiera della propria identità è un diritto- dovere, oppure è un gesto autolesionista da anime belle?

Proprio dall’identità crediamo si debba partire. Sarkozy, che è abbastanza forte, ha ricevuto nei mesi scorsi il Dalai Lama e le minacce di rappresaglia cinesi si sono spente senza conseguenze. Barroso, che è più debole pur rappresentando in teoria tutta l’Europa, si è fatto dare una strigliata pubblica da Putin per aver sollevato perplessità su una Russia che non trova gli assassini della Politkovskaya e che sottopone Khodorkovsky a un secondo processo politico. Ma anche Putin non è andato oltre. E cosa avrebbero mai fatto i cinesi se la Clinton fosse rimasta fedele alla sua parte? Un comunicato e basta. Eccolo, il vero problema: l’Occidente si autocensura sottovalutando la reciprocità degli interessi concreti. E così finisce con il non esprimere collettivamente e singolarmente quei valori identitari senza i quali rischia di cessare di esistere.

Ma, dirà qualcuno, affermare la giustizia è compito del Tribunale penale internazionale. Tralasciamo il fatto che l’America non ne ha sottoscritto la creazione, e andiamo a vedere cosa è accaduto con i l mandato c o n t r o al-Bashir (il primo contro un capo di Stato in carica). Nella regione del Darfur sono state massacrate almeno trecentomila persone. I profughi sono due milioni. Chi è rimasto viene regolarmente attaccato, con una predilezione (tipica anche della guerra in Congo) per la pulizia etnica a base di stupri. La responsabilità di al-Bashir è ampiamente provata e documentata. Cosa doveva fare il Tpi, infilare la testa nella sabbia per non innescare le reazioni controproducenti che sono regolarmente arrivate dall’uomo forte di Khartum?

Non ci sfugge che queste reazioni (in particolare l’espulsione di un gran numero di Ong impegnate nella distribuzione di viveri e medicine) porteranno a nuove sofferenze per la popolazione. Non ci sfugge che arrestare al-Bashir, salvo colpi di scena, si rivelerà impossibile.

Ma siamo davvero davanti a una colpa del Tpi, a un gesto puramente dimostrativo carico di conseguenze negative? Il Tribunale, visto che esiste, deve fare il suo mestiere.
In maniera ampiamente incompleta e imperfetta, come accade nella realtà, ma senza abdicare. Dov'è, piuttosto, la politica? Non è stato approvata, in sede Onu, una formula interventista chiamata responsability to protect? Non aveva deciso, la stessa Onu, l'invio in Darfur di una forza vicina ai 20.000 uomini? Non è forse vero che il suo dispiegamento non ha mai avuto luogo, che pochissimi Paesi offrono truppe, che mancano gli elicotteri, che insomma al-Bashir può continuare a fare i suoi comodi? Sostenere che il Tpi sia stato incauto è una foglia di fico per coprire l'assenza, anzi la fuga della politica. La quale ha ora il dovere di mantenere i suoi impegni e di reagire alla espulsione delle Ong, senza colpevolizzare un Tribunale che si è trovato a surrogare governi pavidi.

Sul Tibet bene hanno fatto i nostri Radicali a promuovere la rara convergenza di ieri alla Camera. Ma alla prima occasione (e le occasioni di certo non mancheranno) servirà qualcosa di più, proprio perché la Cina, con le sue gravi carenze in tema di diritti civili, è un terreno di affermazione della nostra identità liberaldemocratica.
Si pecca forse in tal modo di ingenuità, si dimentica che in tempi di crisi finanziaria i cinesi tengono per il collo gli Usa, e dunque anche noi? Siamo piuttosto convinti che i cinesi abbiano anch'essi bisogno degli altri, e che non siano disposti, loro per primi, a correre troppi rischi nei rapporti con l'Occidente.

Sempre che l'Occidente diventi credibile, e smetta di aver paura di essere se stesso.

11 marzo 2009
da corriere.it