LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => AUTRICI e OPINIONISTE. => Discussione aperta da: Admin - Novembre 26, 2008, 03:58:04 pm



Titolo: GIOVANNA CASADIO. -
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2008, 03:58:04 pm
POLITICA

Il leader di An: nei partiti serve democrazia.

La replica di Tremonti "Forza Italia è una monarchia ottemperata dall'anarchia"

Fini, messaggio a Berlusconi "No al cesarismo nel Pdl"

di GIOVANNA CASADIO

 

ROMA - L'accusa è di Gianfranco Fini: "C'è il rischio di cesarismo" nel partito unico del centrodestra.
In quel Pdl - annunciato da Silvio Berlusconi dal predellino di un'auto e che ora dovrebbe muovere i primi passi dopo la convention di scioglimento rapido di Forza Italia, venerdì scorso, e in vista del congresso di An - il pericolo "di cesarismo" è reale, concreto. Visto il modo con cui il Cavaliere si comporta, di solito. Non poteva essere più schietto, il presidente della Camera ed ex leader di An. Un riferimento esplicito a quanto si muove nella metà campo del centrodestra: "Ci vogliono paletti contro il cesarismo e questi sono rappresentati dalla garanzia di democrazia interna ai partiti".

In generale, Fini si dice "ottimista" sul futuro di quel partito e anche della vita politica italiana però, mani avanti: "Il Pd è nato, il Pdl sta nascendo. Se nei partiti per quanto carismatici, leggeri, fluidi c'è un metodo democratico allora c'è il paletto per evitare che il cesarismo prevalga. Del resto oggi un partito leggero deve porsi il problema di selezionare la classe dirigente e di guidare la pubblica opinione, non si può limitare a inseguirla che è poi la differenza tra leadership e followship...".

Parla Fini avendo accanto Giulio Tremonti, il ministro dell'Economia e Anna Finocchiaro la capogruppo dei senatori del Pd. L'occasione è la presentazione del libro del dipietrista Pino Pisicchio sui parti politici, appunto. Finocchiaro apprezza: "Nel Pdl c'è un rischio di cesarismo, ed è preoccupante che il Pdl enfatizzi il presidenzialismo di Berlusconi. Bene ha fatto Fini, anche perché il Pdl nasce dalla fusione di Forza Italia un partito mediatico e costruito attorno alla figura del suo leader, mentre An ha una struttura tradizionale, fatta di sezioni e confronti tra militanti".

Tremonti invece se la cava con una battuta sul fatto che "Forza Italia è una monarchia ottemperata dal più grande quadro di libertà anarchica". Un certo anarchismo, c'è. Sulla Vigilanza Rai per esempio, nonostante l'appello di Berlusconi affinché Riccardo Villari - il presidente della commissione eletto con un blitz del centrodestra - si dimetta, le cose vanno avanti. I membri del Pdl ieri si presentano in commissione come se nulla fosse, prendono parte all'ufficio di presidenza disertato dal Pd. È presente il centrista Roberto Rao che ha chiesto a Villari di fare un passo indietro, non avendo avuto risposta, si è alzato e se n'è andato.

Villari, supportato dall'assist del Pdl, pensa a un nuovo blitz: procedere in commissione al rinnovo del Cda della Rai, la vera posta in gioco. Nel Pd il clima è teso: scorretto è quanto avvenuto, sottolinea Fabrizio Morri, cioè l'approvazione del regolamento per la par condicio in Abruzzo, dove si vota il 15 dicembre; l'annuncio delle audizioni del direttore Claudio Cappon e del presidente della Rai, Claudio Petruccioli.

Nel coordinamento del Pd, si è parlato anche di Vigilanza, miccia dello scontro interno. Veltroni ha ripetuto: "Il premier dice di essere in grado di risolvere la crisi economica più difficile, troverà una soluzione per il "caso Villari"". Farlo dimettere cioè, lasciando lo spazio per l'elezione di Sergio Zavoli, il quale preferisce tacere: "Vediamo che piega prende...".

Villari, che ha avuto un colloquio con Piero Martino del Pd, convocherà forse martedì prossimo la commissione. Sempre sul cesarismo, allarme di Di Pietro ieri alla Camera: "Troppi decreti, attenti al cesarismo".


(26 novembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: GIOVANNA CASADIO - Nucleare. Lo scienziato: "Non ho ancora deciso"
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2010, 10:27:11 am
ENERGIA

Nucleare, Bersani frena Veronesi "Non dia alibi a piani pericolosi"

Il leader del Pd: governo velleitario, altro che scelta bipartisan.

Lo scienziato: "Non ho ancora deciso"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Ce n'è da fare di cose sull'energia, ma la strada è un'altra da quella che il governo sta prendendo. Quindi a Umberto Veronesi ho detto: professore, massimo rispetto per le sue scelte e la nostra stima lei ce l'ha tutta, senza meno, ma il rischio è di fornire alibi a un piano velleitario e inconcludente". Pier Luigi Bersani squaderna la questione del nucleare smontando il progetto del governo e, ammette, "a Veronesi ho spiegato tutto ciò che penso e temo, la mia è stata un'avvertenza".

Un suggerimento, anche, a non diventare la foglia di fico del Pdl e dell'esecutivo. Lo scienziato, e senatore pd, è tentato infatti di accettare la presidenza dell'Agenzia per la sicurezza del nucleare che gli è stata offerta da Stefania Prestigiacomo. Anche se ha ribadito che "sta ancora valutando". E soprattutto ha posto alcune condizioni per accettare: niente spartizioni partitiche dei componenti dell'Agenzia; avere completa libertà d'iniziativa. Una scelta "bipartisan" è quanto rivendica il ministro dell'Ambiente Prestigiacomo, ma pure una mossa per spaccare il centrosinistra sul nucleare.

Tant'è che la prima contromossa di Pd e Radicali è stata quella di porre la questione dell'incompatibilità tra il ruolo di parlamentare e quello di arbitro. Problema istituzionale, cioè di regole di funzionamento della democrazia - spiega Bersani - e non politico. "Mai stata in discussione la questione di una compatibilità o incompatibilità politica del senatore Veronesi con l'Agenzia, o quella sciocchezza, che ho letto, che gli avremmo chiesto disciplina di partito. Il problema non esistite, dal momento che Veronesi stesso afferma che il compito di parlamentare non è compatibile con quello di una authority. Questo è principio-base e generale che lui condivide".

Tuttavia, una separazione tra Veronesi e il Pd avverrà. Anche se Bersani ridimensiona: "Macché separazioni. Semplicemente valuterà lui.
Mi sono limitato a dare il quadro della situazione". Un quadro allarmante per il leader Pd, che la vacatio al ministero dello Sviluppo economico - dal momento che Scajola non è stato ancora rimpiazzato - non fa che peggiorare. "Un conto è se c'è un ministro in sella, ora la credibilità di ciò che nel governo stanno dicendo è ancora minore. Non ho mica idea di quali saranno i criteri di questa Agenzia, chi la comporrà".

Né vuole sentire parlare, Bersani, di scelta "bipartisan" a cui i democratici starebbero reagendo con un irrigidimento ideologico.
"Al ministro Prestigiacomo desidero dire che il nucleare è un sistema. In discussione non è una centrale, una Agenzia o un presidente dell'Agenzia: pensare di rientrare nel nucleare in questi modi abborracciati, non va. Non stiamo facendo pressioni sul professore Veronesi, però il Pd non può certo cambiare opinione: il piano del governo è sbagliato, velleitario e propagandistico".

Un problema energia in Italia però c'è. Aggirarlo sarebbe altrettanto velleitario, lo sanno bene i democratici e il segretario, i quali hanno dedicato al tema dibattiti accesi nel partito. Diviso il Pd? Bersani, che è stato ministro dello Sviluppo economico, ha una traiettoria: "È giusto che l'Italia si infili nella prospettiva e nella tecnologia della ricerca sul nucleare. Ma il programma del governo Berlusconi è di approssimazione totale. Noi dovremmo diventare il paese che passa dall'essere fuori dal nucleare al club dei quattro, tra cui Giappone e Usa, che fanno il 25% di produzione elettrica con il nucleare. Non abbiamo ancora chiuso la vecchia vicenda del nucleare, né siano riusciti a localizzare un deposito temporaneo per le scorie del nucleare precedente. Saremmo totalmente dipendenti dalla tecnologia importata".

Non solo. "Oscuro il metodo delle localizzazioni delle centrali, con procedure approssimative e da definire". E poi i costi. "I prezzi delle centrali che ha in mente il governo, se paragonati con quella che si sta formando in Finlandia, ti danno la misura di quanto sia illusorio il risparmio. È del tutto ipotetico". In definitiva, la bandiera-nucleare del governo "ci distrae dalle priorità di oggi che sono in primo luogo l'efficienza energetica e uno sviluppo razionale delle fonti rinnovabili: nella manovra di Tremonti entrambe le cose sono state assolutamente colpite". La direzione per il leader del Pd dovrebbe essere quella di "interventi subito per migliorare la resa energetica", di proseguire, perfezionandoli, con gli incentivi, e di posizionarsi nell'evoluzione di tutte le tecnologie, "non prendendone un pacco fatto totalmente da altri". Perché in futuro - osserva - "in tutto il mondo una quota di nucleare ci sarà ma neppure negli Usa pensano che sarà quella di oggi". Sul ministero dello Sviluppo economico Bersani attacca: "Ci ho passato anni ed ho un dispiacere personale. È una vergogna. Il ministero è stato smontato come un giocattolo e i pezzi buttati da tutte le parti. Chi arriva non so cosa trova".

(26 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/26/news/nucleare_bersani_frena_veronesi_non_dia_alibi_a_piani_pericolosi-5828520/?ref=HREC1-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO - Bersani vuole affossare il "Porcellum"
Inserito da: Admin - Agosto 27, 2010, 09:04:12 pm
LEGGE ELETTORALE

Ora i democratici sognano il blitz

Bersani vuole affossare il "Porcellum"

Il segretario Pd cerca i numeri per cambiare l'attuale sistema di voto.

In pista il "Mattarellum", in vigore dal 1994 al 2006, o il sistema tedesco.

Bocchino: "Se salta il governo, non per colpa nostra, valuteremo anche la riforma"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il ragionamento è semplice: se c'è uno showdown del berlusconismo, anche la Lega potrebbe essere interessata al cambiamento della legge elettorale. Nella partita politica vera che tra poco riprenderà ("Al chiacchiericcio d'agosto io ho voluto sottrarmi, altro che "rapito"...", scherza Bersani) il "pallino" sta qui. L'obiettivo di coalizzare una maggioranza solo sulla legge elettorale è forse meno remoto di quanto non si creda. Questo sarà il tentativo del Pd. Anche se per ora il segretario si mantiene sulle generali, però ha chiesto ai suoi approfondimenti e di studiare nuove ipotesi di riforma che presto metterà sul tappeto e sottoporrà a tutti. I messaggi e i colloqui di ieri - con il leader dell'Udc, Casini; con Tabacci dell'Api; con Di Pietro e soprattutto con Prodi - dopo la strategia democratica annunciata nella lettera a Repubblica vanno tutti in questa direzione. Per chiudere un'epoca, si deve cominciare riscrivendo le regole della rappresentanza.

 Lo sa benissimo Fini. E Italo Bocchino infatti ammette: "Per noi c'è una maggioranza e un impegno di legislatura a favore del governo Berlusconi. Ma se qualcuno vuole far saltare la legislatura contro la nostra volontà, allora si potrebbe valutare una convergenza non di tipo politico ma mirata a realizzare regole condivise a partire dalla legge elettorale". Insomma, la "sveglia" suonata da Bersani con la proposta di alleanza larga per sconfiggere Berlusconi - "coinvolgendo anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto normale sarebbero collocate altrove" - ha il suo punto di caduta nel cambiamento della legge elettorale. Il leader Udc, Casini lo ha detto e ribadito ieri: "Bene Bersani sul cambiamento della legge elettorale". Luca Montezemolo, aprendo a un governo istituzionale, aveva insistito: "Niente urne adesso ma un governo di scopo che faccia prima la riforma elettorale". Anche Raffaele Lombardo, il "governatore" della Sicilia ieri torna sul tema: "Il sistema è ingessato auspico una vera riforma elettorale".

Il nodo è certo quello di mettersi d'accordo su come cambiare la "legge porcata", secondo la definizione sincera del suo ideatore, il leghista Roberto Calderoli. Bruno Tabacci, portavoce dell'Api, il movimento fondato con Rutelli, l'ha ribadito nella telefonata con Bersani: "Caro Pier Luigi le tue proposte mi sembrano serie e valide quanto più si allontanano da quell'idea dell'autosufficienza del Pd. Se a qualcuno piace questo sistema elettorale forzatamente bipolare, in cui non funziona niente, fonte di leaderismo esasperato, si accomodi... ma è come andare avanti con la testa rivolta all'indietro.

Il "modello tedesco" è la via d'uscita. Sarebbe un patto di pacificazione, con uno sbarramento al 5%". Proporzionalista è Nichi Vendola. Il leader di "Sinistra ecologia e libertà", pronto alle primarie e a sparigliare nel centrosinistra, non gradisce di essere trascinato in "una disputa oziosa" e rileva soprattutto la rissosità del Pd sull'argomento. Walter Veltroni, si sa, ha lanciato l'allarme proprio sul rischio di abbandonare il bipolarismo. L'uscita ieri di Bersani su Repubblica sancisce il punto di massima distanza con Veltroni. Per tagliare la testa ai contrasti, Pierluigi Castagnetti ha ricordato che la soluzione c'è già ed è il ritorno al Mattarellum. E Di Pietro in un'intervista: "Se sono troppe le proposte di legge elettorale meglio tornare al Mattarellum. Se però c'è una convergenza sul sistema tedesco con sbarramento andiamo a vedere di cosa si tratta".

(27 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/27/news/ora_i_democratici_sognano_il_blitz_bersani_vuole_affossare_il_porcellum-6539931/?ref=HREC1-2


Titolo: GIOVANNA CASADIO - Crisi, Berlusconi frena Bossi "Abbiamo i numeri, ...
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2010, 09:27:07 am
GOVERNO

Crisi, Berlusconi frena Bossi "Abbiamo i numeri, avanti tranquilli"

Il Senatur: "Pronti alla sfiducia".

Il Quirinale: "E' un problema puramente politico per cui non mi pronuncio"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il duo Bossi-Berlusconi stona. I due alleati di ferro hanno visioni opposte su come uscire dall'impasse in cui si trova il governo dopo lo "strappo" di Fini. Il leader della Lega vuole le elezioni anticipate, anzi il prima possibile: pur di andare al voto è disposto a sfiduciare Berlusconi. L'altra ipotesi leghista è che il Cavaliere si dimetta. Il premier invece, riunito l'ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli, frena e garantisce: "Noi andiamo avanti, dobbiamo governare. Serve responsabilità e stabilità, andremo avanti per il bene del Paese. Se poi ci sarà qualcuno che si assume la responsabilità di far cadere il governo, vuol dire che ora sta bluffando. Lavoriamo non per le elezioni ma per proseguire la legislatura, vogliamo garantire il governo del fare, io non vengo meno ai miei impegni e convincerò Bossi".

È una smentita secca di quanto Bossi aveva sostenuto appena poche ore prima conversando con i cronisti alla Camera. Il Senatùr si mostra di ottimo umore e improvvisa a Montecitorio una specie di show, con tanto di pernacchia rivolta a Fini. Dice che di "governo tecnico" proprio non se ne parla perché "abbiamo vinto noi le elezioni... abbiamo già in giro dei cornuti, la via d'uscita resta il voto, e se Berlusconi le vuole si fanno". L'invito-previsione è accompagnato da una minaccia: se è vero che spetta al presidente Napolitano decidere il da farsi davanti a una crisi di governo, "le forze politiche hanno una massa d'urto - sostiene - Pensate se io e Berlusconi portassimo dieci milioni di persone a Roma". Insomma, la Lega non teme nulla. "Ad avere troppa paura delle urne è la sinistra - afferma - l'ho detto pure a Violante. Farebbero di tutto pur di evitarle". E se Fini non si dimette da presidente della Camera, ebbene... una pernacchia è la risposta di Bossi. Per il quale certamente bisogna andare al Quirinale a parlare dell'incompatibilità di Fini con il ruolo di terza carica dello Stato. Anche su questo Berlusconi fa retromarcia: "Non è necessario andare da Napolitano". Un errore da matita blu nella grammatica istituzionale.

Al Colle il presidente del Consiglio andrà ma non per affrontare l'argomento-Fini.
In questa clima il presidente della Repubblica tiene la barra dritta. Napolitano gela Bossi: "Sfiducia? È un problema puramente politico su cui non mi pronuncio. È un annuncio, una scelta di cui non posso non prendere atto". E comunque, nessun incontro nell'agenda del capo dello Stato: "Gli incontri li prevedo quando mi vengono richiesti e finora non ho ricevuto nessuna richiesta di incontro". Quel che è certo è che Berlusconi andrà a fine settembre (tra il 28 e il 30) alla Camera per vedere se sui cinque punti programmatici già pronti gli sarà rinnovata la fiducia. Ne ha parlato il premier ieri anche con Raffaele Lombardo, il "governatore" della Sicilia e leader di Mpa, ricevuto a Palazzo Grazioli, e ne ha incassato l'appoggio. "Sono musica per noi le parole di Lombardo", sostiene Italo Bocchino il capogruppo di "Futuro e Libertà", il movimento di Fini, che continua a dichiarare la lealtà al governo.

Il presidente della Camera si è iscritto al gruppo di Fli, sfidando gli anatemi del Pdl. E in conferenza dei capigruppo Fabrizio Cicchitto lo attacca: "È incompatibile; Fini non è più super partes". "Sull'incompatibilità non rispondo in capigruppo", è la replica di Fini.
Di questa maggioranza - denuncia l'opposizione - non rimangono che brandelli. "Ci sono i resti, ormai sono tutti contro tutti", è la sintesi del pd Dario Franceschini. Pier Ferdinando Casini ironizza sulla disinvoltura con cui il Carroccio parla di sfiducia e di elezioni: "Elementare Watson. Tutto come previsto. La Lega si prepara a staccare la spina. Del resto vuole andare alle urne solo per guadagnare voti, il bene del paese non conta nulla". E Di Pietro apre al governo tecnico di scopo, per cambiare la legge elettorale, della durata di novanta giorni e incalza Fini: "Sfiduci il premier o è suo complice". "Bossi minaccia la sommossa, questa è sovversione", avverte Luigi Zanda, vice capogruppo Pd al Senato.

(09 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/09/news/berlusconi_no_voto-6887920/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. "Draghi premier? Valuterà il Colle"
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2010, 09:07:01 am
L'OPPOSIZIONE

Bersani e Casini: follia andare al voto

"Draghi premier? Valuterà il Colle"

Il leader pd insiste: governo di transizione, ma pronti anche alle urne.

Franceschini all'assemblea dei gruppi democratici: "Mai si era visto un premier così attaccato alla poltrona"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Di nomi non se ne fanno a voce alta. Ma è Mario Draghi, governatore di Bankitalia, il più gettonato nel Pd per la guida di un governo di transizione. Pier Luigi Bersani, il segretario, si schermisce: "Un governo Draghi? Lascio la valutazione su nomi e incarichi nella fase giusta al presidente Napolitano". È durante la riunione con Emma Marcegaglia, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil - Camusso, Bonanni e Angeletti - e le altre parti sociali, che al leader pd arriva la notizia della decisione del capo dello Stato e di Fini e Schifani sul voto di fiducia il 14 dicembre. Ma la preoccupazione politica del Pd - e dell'Udc di Casini - è una sola: evitare le urne, come invece Berlusconi minaccia appoggiato dalla Lega.

"Non abbiamo certo paura delle elezioni - commenta Bersani - ma sarebbe una cosa esiziale che ci farebbe perdere mesi e ci metterebbe in una situazione che non ci consente di guardare avanti con sicurezza". Mente c'è bisogno di affrontare l'emergenza economica e il segretario teme "la controffensiva di Berlusconi" e "una tattica dilatoria" del Pdl. Casini rincara: "Vedo un'irresponsabilità diffusa. Irlanda e Portogallo rischiano di fare la fine della Grecia e noi siamo dietro l'angolo. Bisogna che tutte le forze responsabili, tutte le persone, compreso il premier facciano un passo indietro nell'interesse generale. Perché il ricatto delle elezioni anticipate è pura follia".
I Democratici riuniscono ieri sera i gruppi parlamentari di Camera e Senato. Un'assemblea nella Sala della Regina a Montecitorio affollata come non si vedeva da tempo per parlare della spallata a Berlusconi; della necessità di un governo di transizione come "unica soluzione positiva"; di legge elettorale. Bersani ripete ai parlamentari: "La crisi va formalizzata subito. Se andiamo avanti con questo sistema elettorale del "ghe pensi mi" avremo sempre una democrazia che non decide; ci sarà un sistema populistico che tende al plebiscitario".

Il capogruppo alla Camera Dario Franceschini denuncia il tentativo del Pdl di fare melina sulla legge di bilancio. "Mai nella Seconda Repubblica si era visto un premier così incollato alla poltrona". Proprio per evitare gli espedienti del centrodestra, i capigruppo delle opposizioni (Franceschini e Finocchiaro per il Pd; Casini e D'Alia dell'Udc; Donadi e Belisario di Idv; Tabacci e Russo dell'Api; Melchiorre di Ld) avevano ieri mattina inviato una lettera a Fini e Schifani per ottenere che la legge di bilancio fosse approvata entro novembre. È però sul dopo-crisi, e se si dovesse andare alle urne, che tra i Democratici la maretta è forte. Ventroni, Fioroni e Gentiloni riuniscono i Modem e attaccano: "Non resteremo al capezzale di un malato la cui morte è annunciata, bisogna avere la cura". Sul tavolo c'è la scelta delle alleanze e la sconfitta alle primarie di Milano. Fioroni, sarcastico: "Ora si perdono pure le primarie, non solo le elezioni". Polemica Pd-Radicali che avevano chiesto di invitare Pannella. La risposta è no. Rita Bernardini ricorda le volte in cui il Pr è stato discriminato. Follini avverte: "Sì al governo di transizione, che però ha poche possibilità. Ma voglio capire quale è la rotta del Pd".

(17 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/opposizioni_e_crisi-9190849/


Titolo: GIOVANNA CASADIO Bocchino: possibile bis del Cavaliere ma deve dimettersi ...
Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2010, 09:12:48 am
L'INTERVISTA

Bocchino: possibile bis del Cavaliere ma deve dimettersi entro il 14 dicembre

Il capogruppo Fli accusa di "terrorismo" la campagna di Libero contro i dissidenti della maggioranza.

"Più degli insulti di Berlusconi preoccupa il clima di odio che creano certi giornali vicini a lui"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Onorevole Bocchino, Berlusconi vi ha definiti "traditori, maneggioni, ammucchiata di reduci ". Vi preoccupa l'ira del premier su Fli e Udc?
"Il premier è in piena tempesta emotiva. Del resto Berlusconi è abituato a comandare, come ogni imprenditore, e si accorge di essere finito in minoranza, da qui la reazione. Il resto è propaganda. Sperando di andare al voto vuole fare la campagna elettorale sul tradimento, senza rendersi conto che i nostri sondaggi, come del resto i suoi, dimostrano in modo evidente che questa operazione porta voti proprio a noi, poiché tutti sanno che è stato lui a cacciare Fini. Più delle parole di Berlusconi ci preoccupa il clima che il Pdl e le sue propaggini giornalistiche vogliono creare. Un clima di odio, di contrapposizione che, come è accaduto in altro periodi della storia, rischia di armare le mani di estremisti o di pazzi".

La campagna di "Libero" contro di voi quali conseguenze ha?
"Il "metodo Belpietro" è quello terroristico di sbattere nome e indirizzo (ora quello mail) in prima pagina, per additarlo agli elettori, si dice, ma l'obiettivo è intimorire e minacciare. Dovevamo fare la rivoluzione liberale e siamo riusciti a fare quella sudamericana, con Verdini per il quale "chissenfrega" delle istituzioni e gli avversari politici additati così che qualcuno possa colpirli".

Lei è stato minacciato?
"Essendo il primo della lista, ho ricevuto 500-600 mail: due terzi di insulti e minacce, il resto di persone indignate per questa operazione. Numeri esigui, in definitiva".

Cosa si aspetta in questa settimana di passione che manca alla sfiducia?
"Il posizionamento è finito: da una parte ci sono 317 deputati per la sfiducia e 308-309 dall'altra. Non ci saranno sorprese. Sarà una settimana politicamente tesa, ma di scontri verbali. Berlusconi non ha più la maggioranza. Il consiglio è che vada a dimettersi e poi si sieda attorno a un tavolo con Fini e Casini".

Ritenete ancora possibili le dimissioni di Berlusconi?
"È probabile che si dimetta. Non c'è ragione per farsi sfiduciare. Può continuare a mostrare i muscoli per rabbia o perché qualche consigliere "scienziato" gli fa credere di avere i voti in tasca. Ma il 14 mattina immagino si dimetterà, avendo così la possibilità, per prassi costituzionale, di riassumere l'incarico. Da quel momento si apre un'altra fase politica".

Quindi Fli non chiude a un Berlusconi-bis?
"Se Berlusconi viene sfiduciato, non ci sono più margini. In un nuovo governo per noi è importante in primo luogo il programma".

E quali sarebbero i vostri punti-cardine?
"Sarebbero due. Una nuova agenda economico-sociale partendo dall'accordo che Confindustria e parti sociali hanno recentemente firmato; la riforma della legge elettorale non punitiva nei confronti di nessuno, ma che cambi il meccanismo del premio di maggioranza e che preveda almeno la metà dei deputati scelti attraverso i collegi uninominali. Poi è importante la coalizione: vogliamo si torni a quella del 1994. La foto è Berlusconi, Fini, Casini e Bossi: il premier ha espulso l'anima moderata e valorizzato quelli con la bava alla bocca. Chi guiderà questo governo, si vedrà".

La partita vera è quella del 15 dicembre, del "dopo"?
"È Berlusconi stesso che può precludersi il bis se si fa sfiduciare. Noi non vogliamo elezioni perché la crisi economica è grave. E non vogliamo ribaltoni: no a un governo di responsabilità che mandi all'opposizione chi ha vinto le elezioni; sì, se è con Pdl e Lega. Se Berlusconi indica un suo nome - Letta, Tremonti o Alfano - va benissimo".

E un governo Schifani per cambiare la legge elettorale?
"Non me vedo le condizioni politiche, ma da parte nostra nessuna preclusione".

(06 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/06/news/bocchino-9870350/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Bersani tira dritto: "La linea è giusta" ma la minoranza ...
Inserito da: Admin - Dicembre 15, 2010, 05:21:38 pm
L'OPPOSIZIONE

Bersani tira dritto: "La linea è giusta" ma la minoranza chiede una riscossa

Nel Pd, critiche al leader per la gestione della sfiducia. Il segretario: "Il governicchio cadrà".

Ma i veltroniani chiedono di cambiare linea: "Pensare meno alle alleanze".

Anche Renzi attacca

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Fino all'ultimo il Pd ha sperato di vincere la partita. Bersani lo ammette: eravamo a un passo dalla nuova fase. Invece, la doccia fredda. "Eccoci nel governo Scilipoti-Razzi", che svela la fragile vittoria di Berlusconi, "una vittoria di Pirro, una scandalosa compravendita dei voti che consegna al Paese un governo più debole e un'opposizione più ampia e un esecutivo nell'impossibilità di dare una rotta". Pochi minuti dopo la fiducia a Berlusconi, il segretario democratico riunisce i big nel suo ufficio a Montecitorio. "Grazie a noi la maggioranza non c'è più - esordisce - ci siamo mossi bene, l'opposizione si è allargata".

 E la strategia Pd resta la stessa: no alle elezioni-iattura per il Paese ("Chi pensa al voto è irresponsabile"); prestissimo il "governicchio" cadrà, la battaglia ora si fa dura; ci vuole "un governo di transizione". Ma, al di là delle rassicurazioni, per i Democratici, delusi e preoccupati, comincia una difficile scommessa: da un lato, ritrovare un'unità non di facciata come è stata la tregua in attesa della spallata; dall'altro attrezzarsi per affrontare le elezioni che restano uno spauracchio. Matteo Renzi, il "rottamatore" (messo sotto accusa nel partito per essere andato una settimana fa ad Arcore da Berlusconi), si toglie la soddisfazione di dire su Facebook quel che pensa di Fini e di chi si è fidato di lui: "Fini in trent'anni non ha mai azzeccato una
mossa, neanche per sbaglio", e c'è stato chi "lo ha osannato in questi sei mesi, convinto fosse un compagno solido per il futuro".

Walter Veltroni e gli altri Modem chiedono al segretario di "cambiare linea", di "tornare a dare le carte e pensare meno alle alleanze". Rischia di essere il Pd troppo a rimorchio di Fini, in pratica. Lo dice Beppe Fioroni, l'ex popolare, che fa pesare la sua forza contando gli aderenti (48) alla Fondazione appena creata. Torna il mantra della scissione dei Modem e della creazione di gruppi autonomi. Smentita indignata: tutte balle. "I gruppi separati non li faranno mai - commenta Franco Marini, leader storico dei Popolari e bersaniano - Ma dove vanno? Rompono, anche se non hanno tutti i torti". Amara considerazione di Arturo Parisi, braccio destro di Prodi quando quel governo fu sfiduciato la prima volta: "Nel 1998 dissi che avevamo perso, ma non ci eravamo perduti; ora abbiamo perso e ci siamo perduti.
Avrei preferito avessimo perso nel voto con le nostre ragioni e non all'inseguimento di un inesistente Terzo Polo. Quanto ci vuole prima che il Pd riveda la sua condotta?".

I Democratici non vogliono sentire parlare di resa dei conti. Già oggi dovrebbe tenersi un nuovo coordinamento; questa sera, assemblea di Modem. C'è irritazione per l'Opa lanciata da Berlusconi sui "democristiani" del Pd. Rosy Bindi, cattolico- democratica e presidente del partito, reagisce: "Berlusconi non punti le sue carte su chi viene dalla storia della sinistra dc. Lui è solo un'anatra azzoppata". Si apre un fronte di aspra polemica con i dipietristi. Dario Franceschini accusa: "Se non ci fossero stati due traditori dell'Idv, Scilipoti e Razzi, avremmo vinto: il Pd è stato compattissimo". Per Idv sono "affermazione sciacallesche". Il Pd sa che la battaglia per fare cadere il governo ora inizia davvero: ci sarà il Vietnam delle commissioni; il decreto-rifiuti; la mozione di sfiducia a Bondi. Nichi Vendola in Transatlantico ieri rilancia: "Se si vota, e le elezioni sono più vicine, sono pronto alla premiership del centrosinistra".
 

(15 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/15/news/bersani_tira_dritto_la_linea_giusta_ma_la_minoranza_chiede_una_riscossa-10212953/?ref=HREA-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Gli ex popolari del Pd smentiscono la voce di una loro uscita
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2010, 09:02:35 pm
LE ALLEANZE

"Vendola subito con noi".

No del Pd a Di Pietro

Il leader dell'Idv: sposiamoci entro Natale. Letta: provocazione distruttiva.

Gli ex popolari del Pd smentiscono la voce di una loro uscita.

Colloquio D'Alema-Fioroni

di GIOVANNA CASADIO


 
ROMA - "Il Pd fa come l'asino di Buridano che, non sapendo scegliere tra il mucchio di fieno a destra e quello a sinistra, alla fine muore di fame". Antonio Di Pietro forza la mano a Bersani: "Si decida, è inutile che ci giriamo intorno. Il matrimonio è pronto, sposiamoci entro Natale. Tanto alla fine saremo noi tre: i Democratici, noi di Italia dei valori e Vendola".

Giornata di iniziative per Di Pietro che incontra Pier Luigi Bersani a Montecitorio e telefona a Nichi Vendola. Si è ripreso dalla "botta" dei due traditori Scilipoti e Razzi, l'ex pm. A due giorni dal "day after" della fiducia incassata da Berlusconi alla Camera per tre voti, il leader di Idv dice che non ci si può permettere di aspettare, che se "il Pd vuole fare altre scelte, è libero ovviamente ma è tempo di dire sì o no, di uscire allo scoperto. Ma ho impressione che i Democratici vogliono vedere prima se ci sia qualcosa di meglio di Di Pietro... aspettare le decisioni dell'Udc è come rincorrere la luna". Le elezioni sembrano sempre più vicine, la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento l'11 gennaio scriverà anche la deadline dell'incertezza di Berlusconi. Ragiona l'ex pm: "E allora? Il centrosinistra dovrà trovare un candidato leader in fretta e furia".

Dal fronte democratico piomba il gelo sull'offerta dipietrista. Enrico Letta gli dà del provocatore: "Non c'è nessun matrimonio alle viste perché non c'è stato
nessun fidanzamento. La provocazione di Di Pietro sembra fatta per destabilizzare più che per costruire ed è basata su elementi della fantasia più che della realtà". L'irritazione è forte anche tra i Modem, la minoranza di Veltroni, Gentiloni e Fioroni. "Sposare Di Pietro non è la nostra bussola", avverte Gentiloni. Stesso invito da Follini per il quale quel matrimonio non s'ha da fare: "Sconsiglio vivamente Bersani. Non mi metto nei panni di don Rodrigo ma fatico molto a vedere Vendola e Di Pietro insieme a noi nella parte di Renzo e Lucia". In tutt'altra direzione si muove Nicola Latorre, il vice capogruppo dalemiano al Senato che immagina una "rifondazione" del Pd con Vendola. Lo dice in un'intervista a "Gli altri", il settimanale di Sansonetti ed è come buttare benzina sul fuoco delle tensioni con i Popolari. Non proprio il giorno adatto.
L'addio di Fioroni e di un gruppetto di altri democratici cattolici torna in un tam-tam insistente al punto da insinuare che sarebbero "acquistabili" da Berlusconi. Fioroni ha un colloquio con D'Alema: "Forse do fastidio ma basta mettermi di mezzo".

Lo stesso segretario Bersani si sfoga: "È iniziata la stagione dei veleni; questi irresponsabili non si rendono conto del deterioramento micidiale che si aggrava tra società e istituzioni?". I parlamentari popolari di cui si sono fatti i nomi - Giaretta, Baio, Bosone D'Ubaldo ma anche Graziano e Andria, tutti con un curriculum politico di rispetto - smentiscono indignati. Ma contrattaccano: "Queste voci vengono alimentate dall'interno del partito, prima si qualifica come "cretini e mentecatti" chi come noi pensa che l'attuale linea del partito vada corretta, poi si accreditano voci di uscita di parlamentari di area cattolica". Al di là delle acque agitate, resta la scelta di alleanze a cui i Democratici e che nella direzione del 23 il partito dovrà fare. Di Pietro dal canto suo rincara: "Faremo ogni sforzo per fare capire al Pd che sta snaturando se stesso. Casini, cosa pensano che faccia? Diventerebbe il concubino subito dopo il voto. Tuttavia ci facciano sapere in fretta. Si sono presi ventiquattr'ore. Vogliono andare appresso all'Udc? Grazie, e buona fortuna, però noi ci organizziamo. Il progetto di Nuovo Ulivo di Bersani dov'è finito?". Gennaro Migliore di Sel: "La coalizione è il minimo sindacale". 

(17 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/17/news/vendola_subito_con_noi_no_del_pd_a_di_pietro-10302799/?ref=HREA-1


Titolo: G. CASADIO. Veltroni e l'offensiva del Lingotto Se non si vota congresso...
Inserito da: Admin - Gennaio 06, 2011, 05:29:30 pm
LA POLEMICA

Veltroni e l'offensiva del Lingotto "Se non si vota congresso anticipato"

Pd, i rottamatori lanciano la direzione "parallela". Fassino difende le primarie: "Autolesionistico metterle in discussione"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il Pd va alle grandi manovre. La partita politica si riapre nel partito con la direzione di giovedì 13. Che sarà preceduta da una provocatoria "direzione parallela" convocata dai "rottamatori" Matteo Renzi e Pippo Civati, il 12, sempre a Roma. E poi c'è la data-clou, a cui Veltroni sta lavorando da mesi, ovvero il "Lingotto 2", a Torino, il 22 gennaio. È lì che i veltroniani giocheranno le loro carte. Giurano che non vogliono una conta, né battaglie per la leadership. Però avvisano: se non si va alle elezioni, se insomma non c'è l'emergenza che richiede il serrate le file e di "mettersi l'elmetto per andare in combattimento", allora "ci vuole un congresso anticipato".

È un'analisi dettagliata quella di Veltroni e della corrente di minoranza, che muove da cinque idee-chiave per modernizzare il paese: un esempio è la posizione dell'ex segretario su Mirafiori, ovvero le condizioni per il sì a Marchionne, illustrata ieri sulla Stampa, e che si smarca dal "compromesso" di Bersani. Dalle questioni concrete all'offensiva politica nel Pd il passo è breve: la strategia dei Democratici va ripensata. "I nodi riemergono tutti, perché siamo finiti spostati a sinistra per fare un accordo con Casini che non lo vuole, e pensa piuttosto al dialogo nel centrodestra", osserva Stefano Ceccanti. La direzione della prossima settimana non sarà forse il luogo dei chiarimenti. "È stretta
tra date cruciali, la decisione della Consulta sul legittimo impedimento e il referendum a Mirafiori. Finiranno giocoforza per tenere banco. Però - sottolinea sempre Ceccanti - Bersani non potrà a maggior ragione parlare di alleanze in astratto". Ma è Giorgio Tonini, senatore, cattolico, veltroniano doc, a incalzare: "Il 14 dicembre, il giorno della fiducia per tre voti a Berlusconi, ha segnato il fallimento della linea tutti-contro Berlusconi, l'idea cioè di un cartello di tutte le opposizioni è una non-strategia. Va ripresa la strada maestra. Vendola appare sempre più in continuità con il bertinottismo. O si rilancia o non c'è soluzione. E un congresso sta in questo quadro".

Per ora Walter Verini, braccio destro e amico personale di lunga data di Veltroni, dice che "il "tagliando" non va fatto alle primarie ma al partito" e che il tempo del "partito di sinistra che si allea al centro ha tutta l'aria di essere una stagione finita". Il tam-tam del congresso è sempre più forte. Veltroni ha riconquistato un formidabile attivismo, deciso a lasciarsi alle spalle anche rancori consolidati, come quello con D'Alema, che ha incontrato e vedrà lunedì a Brescia in un'iniziativa per la strage di piazza della Loggia. Ancora più netto è Beppe Fioroni, che con un gruppo di Popolari sarebbe pronto alla scissione. Lui nega decisamente però ammette: "La linea politica del Pd va riplasmata, elezioni o non elezioni. Se si va al voto rapidamente e i Democratici fanno un'alleanza con Vendola e Di Pietro è chiaro che noi siamo in sofferenza. Un partito che incontra Landini, come fa Bersani, non ci sta bene". La carta del congresso insomma è quella che la minoranza di Modem vuole giocarsi. A tempo debito. Veltroni intende così contrastare Vendola. Fioroni spera che, se la frattura non si potrà evitare, a quel punto sarà l'ala sinistra a mettersi fuori. Da quel lato, il movimento da registrare è l'associazione "Lavoro e libertà" che vede insieme Cofferati e Bertinotti, Nerozzi e Rossanda, Rodotà, contro la deriva di Marchionne e a sostegno della Fiom. Bersani dovrà fronteggiare l'offensiva provocatoria dei "rottamatori" (che difendono le primarie e lanciano una petizione) e la carta a sorpresa dei veltroniani. Aperto è il fronte-primarie: sono da congelare? Fassino, candidato sindaco di Torino e in corsa alle primarie, avverte: "È autolesionistico metterle in discussione adesso". Gozi ritiene che abbandonarle sia "snaturare il partito".

(06 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/06/news/veltroni_e_l_offensiva_del_lingotto_se_non_si_vota_congresso_anticipato-10896197/


Titolo: GIOVANNA CASADIO - : Bersani ai cancelli Fiat vi inseguirebbero coi forconi
Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2011, 12:11:12 pm
PD

Bersani risponde a Veltroni: non è tempo di congressi

Il segretario: ai cancelli Fiat vi inseguirebbero coi forconi.

Ma andrà ospite al Lingotto dall'ex leader il 22 gennaio

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Un congresso anticipato per ridefinire la strategia del Pd? Lo vadano a dire davanti ai cancelli della Fiat, li inseguiranno con i forconi". Pier Luigi Bersani stoppa ogni discussione. Non è disposto a prendere in considerazione l'ipotesi, sintomo casomai dell'eterno "tafazzismo" della sinistra. O meglio del "narcisismo" di chi la avanza, ovvero Veltroni e la sua minoranza: come dice Stefano Fassina, responsabile economico dei Democratici e collaboratore del segretario. "E comunque, se congresso anticipato ci fosse, Bersani stravincerebbe". Ma i veltroniani - che lanceranno la loro offensiva al Lingotto il 22 gennaio - non rinunciano all'idea. Neppure vogliono tensioni alla vigilia di tanti appuntamenti politici cruciali per la partita politica del nostro paese: l'11 la Consulta decide sul legittimo impedimento; il 13 e il 14 c'è il referendum a Mirafiori; poi inizia il risiko parlamentare. Perciò precisano: "L'idea resta ma oggi è prematura". Se c'è insomma un un'interruzione traumatica della legislatura, allora bisogna solo "serrare i ranghi e definire con Bersani le soluzioni migliori". Ma se la legislatura va avanti, se l'Udc di Casini privilegia il dialogo nel centrodestra, allora "ci vuole un congresso anticipato". Per rimettere a punto la strategia dei Democratici.

Per il momento nessuna resa dei conti, però. Bersani ribadisce che andrà ospite al Lingotto, da Veltroni. Invitato anche D'Alema. Tempo di fair play. Tranne che con "i rottamatori" di Pippo Civati e del sindaco di Firenze Matteo Renzi. La "direzione parallela" da loro organizzata il 12 (il giorno prima della direzione del partito) a Roma, ha irritato la segreteria: "In altri tempi di sarebbero aperte procedure disciplinari... ". Civati sul suo blog rilancia. Pubblica il documento della fine del 2008 con le firme per chiedere "primarie vere, primarie sempre": ci sono quelle di Bersani, D'Alema, Marini, Bindi, Finocchiaro, Gentiloni, Epifani. Didascalia: "Il manoscritto rinvenuto nelle catacombe di Sant'Andrea delle Fratte... ", cioè la sede del Pd. Cesare Damiano, l'ex ministro del Lavoro, avverte. "Concentriamoci sui contenuti, perché se il partito continua così siamo alla frutta".

La querelle sulle primarie è il fronte aperto. La linea di Bersani è quella di non congelarle per le amministrative di Torino, Bologna e Napoli. Ma una revisione va fatta. Spiega Fassina: "Buonsenso dice che prima si affrontano i problemi del paese, poi si decidono gli schieramenti e quindi le leadership. Altrimenti abbiamo smarrito il senso della politica". Nel "parlamentino" di giovedì prossimo il segretario rivolgerà un appello a tutte le forze dell'opposizione di centro e di centrosinistra per una "riscossa repubblicana". E inviterà all'unità il Pd e a non perdersi in chiacchiere. Beppe Fioroni attacca: "Non si può dire: non si fanno le primarie perché le perdiamo. Non possiamo avere paura delle primarie". Indispensabili sono anche per Sandra Zampa, deputato, portavoce di Prodi: "È assurdo e grottesco congelarle proprio mentre sono già in corso in alcune città italiane come Torino e Bologna". C'è poi il "caso" Cosenza, dove il sindaco uscente Salvatore Perugini contesta la decisione del coordinamento provinciale di non ricandidarlo.
Da oggi a domenica, i Radicali hanno riunito il comitato nazionale con il segretario Mario Staderini, i leader Marco Pannella e Emma Bonino. Sul tavolo tutte le questioni politiche e l'organizzazione del prossimo congresso che sarà uno spartiacque. I radicali sono stati eletti nel 2008 nelle liste del Pd. 

(07 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/07/news/bersani_veltroni-10932789/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Vendola: "Il Terzo polo non vuole allearsi con il Pd"
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2011, 03:58:17 pm

CENTROSINISTRA

Vendola: "Il Terzo polo non vuole allearsi con il Pd"

Ancora tensione tra i democratici. D'Alema lancia la sfida a Casini e Fini: "Voglio vedere sino a che punto saranno coerenti".

La minoranza di Veltroni si prepara a dare battaglia al Lingotto. Giovedì la direzione

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Vendola boccia la strategia di Bersani: mettere insieme tutte le opposizioni - dalla sinistra a Casini fino a Fini - in un patto repubblicano, è "come parlare del sesso degli angeli". Oltretutto il Terzo Polo alla proposta del segretario del Pd ha dato "una risposta secca: no grazie". Segno che "sta lavorando a un'altra ipotesi". E insomma, per il governatore della Puglia e leader di Sel, bisogna rimboccarsi le maniche nel centrosinistra ma per fare altro, cioè costruire "una coalizione riformatrice che voglia mettere al centro l'Italia".

Non può però Vendola nascondersi le distanze di merito con il Pd su tante questioni. La Fiat, ad esempio. Oggi Bersani vede il segretario Fiom, Maurizio Landini (e questo già aveva suscitato i malumori dei Popolari capitanati da Beppe Fioroni) ma incontrerà anche le sigle metalmeccaniche di Cisl e Uil. Il governatore pugliese invece il 12 sarà ai cancelli di Mirafiori a sostegno della Fiom. Il leader Pd insiste sulla "risposta straordinaria" davanti all'emergenza italiana che richiede "l'alleanza strategica". C'è una situazione più che critica, un governo che "non ha più fiato". Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria Pd, attacca: "Non sono riunisti a fare riforme quando avevano oltre 100 deputati di maggioranza, figuriamoci ora". Tra i Democratici resta sempre alta la tensione tra Bersani e la minoranza. Veltroni darà battaglia al Lingotto (il 22 gennaio) sulla linea. I "rottamatori" di Renzi sono iper critici.

A segnare il tempo a Casini è Massimo D'Alema. "Non capisco dove porta la tattica dell'Udc che non vuole andare con Berlusconi ma non vuole lo scontro". Il presidente del Copasir lancia l'affondo dalle pagine del Riformista: "Serve un governo costituente, Casini deve scegliere. Voglio vedere fino a che punto lui e Fini saranno coerenti". Ma la sfida bersaniana per ora non viene raccolta dai centristi. Il segretario Udc, Lorenza Cesa replica a D'Alema: "Vogliamo rimanere equidistanti da centrosinistra e centrodestra. La nostra posizione è netta; il nostro obiettivo quello di costruire un'alternativa a questo sistema che così com'è non funziona; le alleanze si costruiscono su obiettivi programmatici e valori comuni non per vincere solo le elezioni". Con Fini e Rutelli lavori in corso per definire il Terzo Polo. A corteggiare l'Udc è anche Berlusconi e il Pdl. Fabrizio Cicchitto, il capogruppo Pdl, liquida le idee democratiche e accusa D'Alema: "Non è una proposta politica ma una brusca intimazione a Casini e una rappresentazione teatrale ispirata al tempo che fu". Con D'Alema Berlusconi era stato sarcastico definendolo un comunista in cachemire in vacanza a Sankt Moritz. "A Sankt Moritz sono andato un giorno in gita, nessun cachemire, scarpe comprate a 29 euro". Ad accettare la proposta di Bersani sono i Radicali ma Pannella chiede chiarezza sulle riforme. Anche Di Pietro rimprovera al Pd di perdersi in chiacchiere e afferma: se si vota in primavera, meglio non fare le primarie. "Impossibile cancellarle" per Vendola. Cruciale la direzione Pd di giovedì.
 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/10/news/vendola_il_terzo_polo_non_vuole_allearsi_con_il_pd-11033994/?ref=HREC1-3


Titolo: GIOVANNA CASADIO. "Né guerra né tiranno" - (VECCHI SLOGAN MUFFITI).
Inserito da: Admin - Marzo 22, 2011, 10:28:28 pm
LIBIA

"Né guerra né tiranno", si muovono i pacifisti

Ma nel movimento voci contro l'"inerzia"

Sabato corteo. Strada: armi mai umanitarie.

Pax Christi: atti bellici fuori dalla razionalità.

In piazza anche esponenti del Pd

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Una bandiera della pace macchiata di sangue. Sul web parte la mobilitazione pacifista per la Libia (sul sito perlapace. it, ma anche su facebook) e c'è subito un appuntamento in piazza: sabato, a Roma, la manifestazione per l'acqua pubblica e contro il nucleare (corteo alle 14,30 da piazza della Repubblica fino a piazza San Giovanni) sarà anche mobilitazione per la pace.

Ma l'arcipelago pacifista è diviso: il no alla guerra "senza se e senza ma" questa volta non basta, perché c'è anche la necessità di fermare la repressione contro gli insorti e di schierarsi contro il tiranno Gheddafi. Flavio Lotti della Tavola della pace, il cartello di sigle che ogni anno organizza la marcia Perugia-Assisi, ha messo online l'appello ("L'Italia ripudia la guerra"), invita ad esporre la bandiera della pace alle finestre, però chiarisce in dieci punti una posizione in cui si ritrovano molte delle associazioni per la pace: "Una cosa è la risoluzione dell'Onu, un'altra è la sua applicazione. Una cosa è difendere i diritti umani, un'altra è scatenare la guerra". Insomma, stop alle bombe ma, ribadisce, "tra l'inerzia e la guerra altre strade sono possibili e l'Italia ha una sola missione da compiere: togliere rapidamente la parola alle armi e ridare la parola alla politica, promuovere il negoziato politico a tutti i livelli". E non c'è solo la Libia, ovviamente, ma anche Bahrein e Yemen.

Il "cessate il fuoco-parlino le diplomazie" viene anche dalla Cgil, dall'Arci, dalle Acli, dall'Anpi, da Libera, da Pax Christi, da Emergency. Gino Strada - ieri sera sul palco dell'Ambra Jovinelli per presentare la nuova rivista di Emergency in un dibattito al quale hanno partecipato tra gli altri don Luigi Ciotti, il direttore di Repubblica Ezio Mauro, lo scrittore Erri De Luca, la cantante Fiorella Mannoia e il disegnatore satirico Vauro - attacca: "Nessuna guerra può essere umanitaria, ed è questa la più disgustosa menzogna per giustificare la guerra che è sempre un crimine contro l'umanità". E ribadisce che "i nostri governanti, gli stessi che ora indicano la guerra come necessità, fino a poche settimane fa hanno finanziato armato e sostenuto il dittatore Gheddafi e le sue continue violazioni dei diritti umani". L'Anpi chiede rapidità nelle decisioni, perché "siamo contrari alla guerra, ripudiamo le armi, però dobbiamo porre il problema di come rispondere ai libici che nelle piazze ci chiedono di sostenerli". Un tam-tam parte dal "Movimento non violento" e viene rilanciato online con la parola d'ordine "Fermate la guerra". La Cgil è tra i primi a schierarsi per "dare la priorità alla soluzione diplomatica" e a denunciare "l'inadeguatezza" del governo italiano. In piazza sabato ci sarà la Fiom-Cgil con lo slogan "Fermare i bombardamenti, serve la soluzione negoziata". E "Libera" di don Ciotti indica "la debolezza della politica dietro il degenerare della situazione: la guerra non risolve i problemi ma finisce per moltiplicarli e aggravarli".

Tra le voci cattoliche contro l'intervento in Libia c'è il vescovo di Pavia monsignor Giovanni Giudici, presidente di Pax Christi: "Le operazioni contro la Libia costituiscono un'uscita dalla razionalità. Mentre parlano solo le armi si resta senza parole, ammutoliti, sconcertati. Gheddafi era già in guerra con la sua gente quando era nostro alleato e amico". Il vescovo constata in questa situazione "la fretta della guerra e l'assenza della politica". In piazza sabato a Roma ci saranno molti politici, dai "rossi" Diliberto a Ferrero al gruppo democratico dei popolari di Fioroni, molta sinistra Pd (Vita, Nerozzi, Amati, Della Seta) e la sinistra di Vendola. Ma presidi e sit-in "no war" ci sono già stati e ci saranno davanti alla basi militari; all'università di Roma "La Sapienza", lo striscione ieri "Not in my name"; contestazioni dei sindacati di base. Giovedì assemblea alla sede Acli su "No guerra, no a Gheddafi".

(22 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/esteri


Titolo: GIOVANNA CASADIO D'Alema: "L'alleanza con Fini ci serve"
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2011, 11:02:49 pm
IL CASO

D'Alema: "L'alleanza con Fini ci serve"

Ma Futuro e libertà si spacca

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Non ci sta a passare per uno che spara "eresie" alla vigilia del voto per le amministrative. Massimo D'Alema apre al Terzo Polo e anche a Fini, però spiega subito che non si tratta di un allargamento scandaloso: "Con il gruppo di "Futuro e libertà" noi votiamo insieme tutti i giorni in Parlamento. Non è una novità, quello che dico non è un'eresia. Anche perché è evidente che le forze dell'opposizione condividono alcuni valori". Altrettanto chiaro che "lavoriamo per unire le opposizioni le quali rappresentano in questo momento oltre il 60% degli italiani". Quindi, si può fare ed è la strada per battere Berlusconi.

L'offerta di alleanza costituzionale, Fini incluso, suscita tuttavia un secco "no, grazie" di Fli, riaccendendo lo scontro interno. Andrea Ronchi liquida D'Alema con una battuta: "Probabilmente ha avuto un colpo di sole... il nostro compito è quello di ricostruire il centrodestra". Ronchi marca in modo netto le distanze dal centrosinistra e anche da Rutelli, il leader dell'Api con cui pure Fli è alleata insieme con l'Udc nel Terzo Polo: "Il dibattito nel centrosinistra mi è assolutamente indifferente nei suoi esiti". Il contrario sarebbe "un ribaltonismo mascherato". E anche Adolfo Urso, altro finiano moderato, boccia ogni possibilità di incontro: "Sarebbe un abbraccio mortale: Fli non andrà mai con la sinistra". Da Carmelo Briguglio invece via libera a patto che si tratti di un confronto sulle regole: "Fli può e deve dialogare con chi ci sta sulle regole del sistema, e quindi anche con il Pd, non trovo nulla di scandaloso". Ovvio che il Pdl ne approfitti accusando Fini e il suo progetto di essere stati smascherati. Sandro Bondi osserva che D'Alema ha ragione e che sarà "inevitabile assistere alle prove di un'alleanza tra una sinistra e una destra che hanno in comune l'avversione verso i principi liberali". Altero Matteoli rincara: "D'Alema ha gettato la maschera e ha detto quello che la pubblica opinione già intuiva".

A sinistra, più volte Bersani (che ribadisce l'importanza del segnale che può venire da Milano e definisce Napolitano "una delle poche risorse rimaste all'Italia") ha indicato l'alleanza costituzionale come la strada maestra per battere il berlusconismo. Un tema su cui torna Enzo Bianco, ma sollecitando, insieme all'alleanza costituzionale, un premier "esterno". Un richiamo a confrontarsi sui problemi del paese e ad ascoltare Napolitano viene da Anna Finocchiaro. Bersani a Radio radicale appoggia Pannella in sciopero della fame per il diritto all'informazione: "Penso che abbia buone ragioni; ne ho io, figuriamoci lui". 

(12 maggio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/05/12/news/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. La battaglia sulle regole "Ballottaggio se nessuno supera ...
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2012, 02:41:35 pm
PRIMARIE PD

La battaglia sulle regole "Ballottaggio se nessuno supera il 50%"

Gli sherpa del partito riuniti per decidere come organizzare la consultazione.

Doppio turno, sedicenni al voto, bassa soglia minima di supporter. Ma le decisioni dovranno essere approvate dall'assemblea del 6 ottobre.

E si preannuncia battaglia

di GIOVANNA CASADIO


ROMA  -  Marta Vincenzi è stata fatta fuori alle primarie di Genova, dopo una lotta fratricida con Roberta Pinotti. Entrambe del Pd, entrambe sconfitte nella gara per Palazzo Tursi, hanno dovuto lasciare il passo a Marco Doria, di Sel, che è poi diventato sindaco. Il segretario democratico, Pier Luigi Bersani, riunendo i sindaci nella sede del partito per parlare di tagli e enti locali, la saluta: "Vorrei salutarvi a uno a uno, ne saluto una per tutti, Marta...". Quindi la Vincenzi, uscita pestata dalle primarie, ora un paio di cose da dire riguardo alle regole ce le ha. Afferma: sono incise sulla pelle viva. "Un registro anagrafico dei votanti ci vuole, è indispensabile: per evitare inquinamenti vari".

Di nuovo si sono riuniti gli sherpa del partito coordinati da Migliavacca. Poche questioni sul tavolo, ma importanti. Intanto per avere primarie aperte per la premiership occorre modificare la norma dello statuto che assegna automaticamente al segretario del partito il ruolo di candidato premier. Ci sarà una norma transitoria che però va votata da 500 delegati più uno dei mille che costituiscono l'Assemblea. Inoltre. Soglia bassa di supporter (il 10 per cento dei delegati dell'Assemblea oppure 10 mila firme in 10 regioni) per consentire candidature molteplici. Le primarie saranno in due turni, a meno che uno sfidante non raggiunga il 50%. Al secondo turno passano i primi due. Sedicenni al voto. Immigrati forse. Obolo 3 o 5 euro. E appunto, registro degli elettori.

Alla riunione degli amministratori al Nazareno c'è anche Laura Puppato, la quasi-certa terza candidata del Pd, oltre Bersani e Renzi. Il segretario si scalda: "Ma noi perché facciamo le primarie? Le facciamo per questo, per riconnettere la politica con la società, perché c'è troppo distacco tra la politica e il paese". Chiede una mano ai sindaci, avvia la discussione sulla carta d'intenti: "Se ci date una mano, possiamo avere il coraggio di governare".

Renzi, sceso in camper ormai da una settimana, è alla tappa napoletana. Alla sua convention sono segnalati anche giovani del centrodestra del think tank "Giovani in corsa". Lui continua a promettere rottamazioni: "Se vinco non finisce il centrosinistra, ma la carriera parlamentare di D'Alema".

E mentre Vendola si dà ancora qualche giorno per sciogliere la riserva se candidarsi o meno, Bruno Tabacci, portavoce di Api, inizia la campagna organizzando 140 comitati "Noi per Tabacci". Essendo primarie di coalizione, è con gli altri partiti della coalizione che occorrerà infine mettere a punto le regole.

(27 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/27/news/primarie-43382299/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. -
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2013, 11:32:47 pm
Pd, battaglia sulle candidature: il braccio destro di Renzi rischia

Assalto al "listino Bersani": Reggi in bilico. Ci sarà la filosofa Michela Marzano. Polemiche in Sicilia: troppi "paracadutati"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Roberto Reggi, il coordinatore della sfida di Renzi per la premiership, rischia di restare fuori. Era dato per certo nel "listino" dei garantiti, tra i 17 nomi a disposizione del sindaco "rottamatore". Alle nove di sera, Maurizio Migliavacca ammette che è "in forse". Fuori è Stefano Ceccanti, costituzionalista, senatore. Lo chiama Walter Veltroni per annunciargli che le possibilità sono scarse, benché non sia stato ricandidato nessuno della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, e lui rappresenterebbe la continuità.

Sono ore di tensioni, trattative, ribellioni: nel Pd si fanno e si disfano le liste e gli elenchi dei capilista. Parte l'assalto al "listino", che Bersani sta completando e dove ha reclutato anche il numero due di Confcommercio, Luigi Taranto e la filosofa Michela Marzano.

Ma le bordate si sprecano. In quasi tutte le regioni, il Pd riunisce le direzioni, che invitano a mettere in testa di lista i vincitori delle primarie per i parlamentari e a ridurre al minimo i paracadutati. In Sicilia è rivolta: stamani il segretario Giuseppe Lupo sarà a Roma. Per una volta all'unanimità, i democratici siciliani sono sul piede di guerra per gli undici catapultati da Roma. E soprattutto, Lupo contesta la scelta di dare a Giuseppe Lumia, in lista con Crocetta, il ruolo di capolista al Senato. "Si sta lavorando alacremente, lunedì sera tutto sarà a posto", rassicura il vice segretario Enrico Letta.

Letta
è anche presidente del "comitatone" elettorale che si è riunito ieri mattina, ma si è concluso con un nulla di fatto. Aggiornato a lunedì. Minniti, Franceschini e Marino hanno chiesto un vertice politico. Alla fine si è deciso che ci sarebbero stati incontri faccia a faccia tra i leader e Bersani, con Migliavacca e Errani. Malumori circolano tra i renziani, soprattutto tra quelli come Andrea Sarubbi, Fausto Recchia che sembrano ormai esclusi, avrebbero dovuto essere nel "listino" non avendo corso alle primarie.

Renzi non ha in realtà ancora dato formalmente i nomi dei suoi 17, ricorda che proprio Reggi aveva criticato il "listino", però è convinto che l'ex sindaco di Piacenza tornare in gioco. Tra i nomi renziani, l'ambientalista Ermete Realacci e Ivan Scalfarotto dovrebbero essere testa di lista. Dei veltroniani, l'unico certo è Giorgio Tonini. Ma ce la farebbero anche i parlamentari uscenti Verini , Martella, Causi. Franceschini ha "blindato" Marina Sereni, Antonello Giacomelli, Francesca Pugliesi.

In Piemonte spunta a sorpresa una capolista che vedrebbe passare al secondo posto l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano: è la presidente di Confindustria Piemonte Mariella Enoc. Non ha ancora sciolto la riserva. Bersani vuole dare l'immagine del Pd partito plurale, non scompensato a "gauche", così dando maggiore efficacia alla sfida con Monti.

In Puglia dovrebbe essere candidato l'intellettuale Franco Cassano; al Senato Anna Finocchiaro. Molti di quelli che hanno ottenuto ottimi piazzamenti alle primarie (Fassina nel Lazio; Boccia in Puglia) e che erano dati come capilista, sono in testa ma dietro personalità scelte dal segretario. Letta potrebbe guidare la lista democratica non in Veneto (dove Laura Puppato è candidata o al Senato o a Venezia per la Camera) bensì in Campania riequilibrando sul fronte moderato la candidatura dell'ex segretario Cgil, Epifani.

Da sciogliere il caso di alcuni recuperi di bocciati alle primarie: la modenese Manuela Ghizzoni e il veneto Marco Stradiotto. I sindaci vicentini hanno rivolto un appello a Bersani per Stradiotto. La mappa-liste è un cantiere.
 

(05 gennaio 2013) © Riproduzione riservata


da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/05/news/pd_battaglia_sulle_candidature_il_braccio_destro_di_renzi_rischia-49933318/


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - I 'montiani': "Tenuti fuori deliberatamente"
Inserito da: Admin - Gennaio 06, 2013, 11:27:44 pm
Pd, ancora scontri per le liste nelle regioni.

I 'montiani': "Tenuti fuori deliberatamente"

Si moltiplicano gli appelli per non essere estromessi dalla quota nazionale.

Trattative agli sgoccioli: martedì le candidature saranno votate dalla direzione 

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Esclusi deliberatamente e definitivamente": i montiani del Pd si sentono discriminati. Sono sul piede di guerra. Del gruppo che nel luglio scorso lanciò l'appello per l'Agenda Monti, Bersani ne ha accolti nelle liste pochissimi. Per l'esattezza, oltre a chi ha partecipato e vinto le primarie per i parlamentari, solo due: Giorgio Tonini e Paolo Gentiloni. Qualcuno potrebbe essere tentato di saltare il fosso e raggiungere Pietro Ichino, che è stato il primo di quel drappello a passare con Monti? Stefano Ceccanti si limita a commentare che l'unica cosa di cui è certo è di non essere in nessuna lista.

IL CASO MILANO "Tagliate i posti garantiti"

Neppure il renziano Andrea Sarubbi sarà ricandidato: "Sono una presenza scomoda". Ha rifiutato un posto in lista in Emilia Romagna, Salvatore Vassallo, altro renziano che alle parlamentarie si era piazzato male e a cui era stato proposto di essere ora al trentesimo posto. Fuori è il braccio destro di Renzi, Roberto Reggi che si dice "amareggiato".

 Ci sono ancora margini di trattativa, nelle ore frenetiche in cui il Pd sta completando le liste. Martedì le candidature saranno votate dalla direzione nazionale. Prima a consegnare è stata l'Emilia Romagna. Il segretario democratico Stefano Bonaccini è riuscito a completare il puzzle, componendo i conflitti: i capilista sono Dario Franceschini alla Camera (dove in posizione sicura ci sono anche Sandra Zampa e Paolo Bolognesi) e la canoista olimpica Josefa Idem (seguita dal sindaco di Crevalcore, il paese più colpito dal terremoto, Claudio Broglia).

Bersani punta soprattutto a mostrare che i Democratici sono un partito plurale, non schiacciato solo a sinistra, e perciò del tutto competitivo con Monti. In funzione anti-montiana in Piemonte il Pd vuole candidare Mariella Enoc, presidente di Confindustria regionale, cattolica, che non ha ancora sciolto la riserva. Potrebbe essere capolista a Camera 2, o passare davanti all'ex ministro Cesare Damiano a Torino.

Ma dalla Sicilia al Friuli all'Umbria e alla Liguria, i Pd regionali sono in rivolta. Troppi paracadutati dal "listino" dei garantiti (cioè la quota nazionale decisa dal segretario, extra primarie), a cui bisogna fare spazio in testa di lista. "Sfoltire il "listino"", è la richiesta via blog di Pippo Civati, il consigliere lombardo, vincitore delle primarie nel collegio di Monza e in pole position per la Camera. In Sicilia c'è poi un'insurrezione, tanto che dopo l'ennesima trattativa romana è saltato il quadro dei capilista (con l'eccezione di Bersani a Palermo). Nonostante il braccio di ferro ingaggiato dal segretario regionale, Giuseppe Lupo la tensione è altissima.

Come in Umbria, dove il Pd locale manda a dire che quattro candidature romane sono troppe. Respinge inoltre le dimissioni del segretario Bottini, sconfitto alle primarie. Aggrovigliata la situazione in Friuli, dove la segretaria democratica Debora Serracchiani è sotto attacco dei Popolari e dove si cerca di recuperare Carlo Pegorer, nonostante il risultato delle primarie. A sorpresa, in Abruzzo l'ex presidente del Senato Franco Marini rinuncia a essere capolista per Palazzo Madama e lascia il passo a una donna, Stefania Pezzopane, l'ex presidente della Provincia dell'Aquila.

Così come Beppe Fioroni, leader dei Popolari, seguirà, nella circoscrizione Lazio 2, la capolista Donatella Ferranti. La Liguria protesta: la direzione regionale democratica chiede "meno esterni" e rinvia la definizione delle liste. In Toscana, il cantiere-candidature è aperto: circola l'ipotesi che il passo indietro di Andrea Manciulli ("Il posto di capolista è a disposizione") sia per lasciare spazio a Riccardo Nencini, il leader del Psi.

Si moltiplicano gli appelli per non essere estromessi dalla quota nazionale. Per Paola Concia si mobilitano personalità dello spettacolo e della cultura, da Mario Pirani, Stefano Rodotà, Lucia Annunziata a Mara Vernier, Michela Murgia. Un appello anche per recuperare Vannino Chiti, ex vice presidente del Senato. Appello dei sindaci vicentini per Stradiotto; sottoscrizione per non lasciare fuori la senatrice Silvia Della Monica.

Sul tavolo del segretario del Pd arriva ieri anche una richiesta da Pantelleria: in Parlamento ci vuole un rappresentante delle isole minori. Il nome segnalato è Salvatore Gino Gabriele. La richiesta è dei sindaci delle isole, a cui si sono aggiunti Vincenzo Visco e altri panteschi d'adozione, Carole Bouquet, Isabella Ferrari, Fabrizio Ferri. Inoltre, Renzi sta completando l'elenco dei suoi 17, tra esclusioni (oltre a Reggi, fuori anche Da Empoli) e new entry.

(06 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/06/news/pd_ancora_scontri_nelle_regioni_per_le_liste_i_montiani_tenuti_fuori_deliberatamente-49977600/?ref=HRER2-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Dubbi del Colle sul premier ad interim
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2013, 11:18:08 am
Monti in pole per guidare il Senato.

Dubbi del Colle sul premier ad interim

Se il Professore sarà presidente a Palazzo Madama, ipotesi governo affidato Cancellieri o Grilli.

Saranno forse Moretti e Gotor gli "ambasciatori" inviati a dialogare con i 5Stelle

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Andiamo avanti con i fari anabbaglianti nella nebbia...". Bersani e Enrico Letta usano questa metafora. Il segretario del Pd e il vice (d'accordo con Dario Franceschini) sono per la strategia "un passo per volta". E, passo dopo passo, il centrosinistra sta tessendo l'incerta tela che dovrebbe consentirgli di governare. Una "mission" che Bersani stesso sa essere difficilissima. Tuttavia, ragiona, "il paese su cui pesa l'incognita-economia, non può restare senza guida, e quindi qualsiasi tentativo va perseguito fino in fondo". Tira dritto, senza dare peso alle bordate di Renzi.

Resta più che mai convinto, il segretario democratico, della necessità di coinvolgere Grillo in quel "governo del cambiamento" con lo scopo di portare a casa alcune riforme che diano ossigeno all'Italia e ricuciano il rapporto tra cittadini e politica. In questo senso va inquadrata l'offerta della presidenza di una Camera ai 5Stelle. Non uno scambio di poltrone, ma una prova di "corresponsabilità". Domani sera, o martedì al più tardi, potrebbe già esserci l'incontro tra Pd e grillini. Non a caso nell'assemblea dei neo eletti democratici, convocata nel primo pomeriggio di domani al teatro Capranica, potrebbero essere indicati i due "ambasciatori": un deputato e un senatore. Forse Alessandra Moretti e Miguel Gotor, o Maurizio Migliavacca. Migliavacca, il capo della segreteria di Bersani, non vuole si facciano nomi: "Tanto sono tutti sbagliati. Piuttosto quell'assemblea va raccontata: 420 parlamentari, mai così tanti di uno stesso partito dai tempi di De Gasperi".

E se Grillo, come tutto lascia prevedere, risponde picche al Pd? Allora l'intenzione di Bersani è di mantenere ai democratici la presidenza di Montecitorio, che dovrebbe essere affidata a Franceschini, e offrire la presidenza del Senato a Mario Monti. Che il Pd stesse lavorando a un accordo con i montiani era "nelle cose". Vendola non avrebbe obiezioni a un ruolo istituzionale per il premier uscente. Certamente al centrosinistra è preclusa la strada degli approcci con il Pdl. Per ragioni politiche serie. Bersani l'ha ripetuto in tutte le lingue, che non si fanno patti con chi ha pensato di sovvertire il risultato delle urne comprando senatori, durante il governo Prodi. Eleggere alla presidenza di Palazzo Madama un pidiellino poi, significherebbe configurare una maggioranza di governo di quel tipo. Escluso. Dell'esperienza del 2006, resta anche un altro insegnamento, che il leader democratico fa suo, rilanciando: "Non faremo l'asso pigliatutto, non terremo per noi entrambe le presidenze delle Camere, né le presidenze delle commissioni". In gergo politico, si dice "governance plurale", ed è la proposta che illustrerà domani dall'assemblea degli eletti.

Su Monti alla presidenza del Senato però ci sono i dubbi del Quirinale. Non è poca cosa. Monti dovrebbe lasciare subito Palazzo Chigi, e allora bisognerebbe nominare un premier ad interim. Mai accaduto. Non è vietato, però. Addirittura circolano già i nomi per l'interim: Anna Maria Cancellieri, il ministro dell'Interno; Corrado Passera, il responsabile dello Sviluppo, o il ministro dell'Economia Vittorio Grilli. In questo scenario, Bersani accetterebbe un incarico esplorativo. Le ipotesi si rincorrono, e descrivono scenari confusi. Una delle voci è che il presidente Napolitano possa dimettersi prima per accelerare una soluzione. A quel punto, Napolitano-senatore a vita potrebbe essere papabile per un governo breve? L'idea è accarezzata dal costituzionalista Michele Ainis, e circola anche in casa democratica tra chi dà per perduto in partenza lo sforzo bersaniano.

Ma è ancora tempo di strategie di Palazzo? La cosa certa è che Bersani vuole andare fino in fondo e evoca i precedenti di governi "di minoranza": uno ebbe la fiducia (Andreotti nel 1976), mentre quello di De Gasperi nel 1953, restò in carica un solo mese e si vide rifiutata la fiducia dal Parlamento. È convinto che i grillini non vogliano tornare al voto e che potrebbero astenersi, così facendo nascere un suo governo. La possibilità invece che i 5Stelle accettino la presidenza della Camera è molto remota. Se così fosse, a guidare l'assemblea del Senato potrebbe essere un democratico che piaccia ai grillini come Piero Grasso. Sono conti senza l'oste: ne è consapevole Bersani. I tassi dei nostri Btp hanno già "mostrato tensioni al rialzo" rispetto a gennaio: e se i tassi esplodessero?

(10 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/10/news/monti_senato-54230400/?ref=HREA-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. La fronda del Pd: "Pierluigi troppo ostinato"
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2013, 11:57:09 am
La fronda del Pd: "Pierluigi troppo ostinato"

I renziani: dovremo assecondare il Colle. Errani: ora tutti uniti sul segretario.

Aria pesante in tutte le aree del partito: "Giochiamo una partita dove non c'è vittoria"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Cosa succede nel Pd, adesso? Il partito continuerà ad appoggiare l'impegno di Bersani... voglio vedere chi si alza a dire di no, adesso!". Vasco Errani in questi giorni ha sondato i leghisti, ha tessuto la tela bersaniana e ieri ha parlato a lungo con Matteo Renzi, che era a Roma per l'assemblea dei sindaci. È per il Pd il passaggio più difficile: il partito sotto stress, potrebbe esplodere. "Stiamo giocando una partita dove non c'è vittoria", è la triste riflessione che nelle ore d'attesa prima dell'incontro tra Bersani e Napolitano, circola tra i Democratici. Ma l'ultima mano concessa dal Quirinale al segretario non convince tanti e cresce il numero di chi avrebbe già voluto un "governo del presidente", rassegnandosi all'evidenza: il centrosinistra non ha i numeri al Senato. Senza troppa ostinazione.

I renziani si trattengono a stento. "Non si capisce bene cosa significhi quello che sta accadendo - ragiona Paolo Gentiloni - e mi ripeto: tifo Bersani fino a quando sarà in campo. Però poi, la linea del segretario sarà archiviata dai fatti e il Pd dovrà assecondare in pieno gli sforzi del presidente della Repubblica". L'ennesimo rilancio del leader democratico è un azzardo? Oggi al Colle i Democratici ripeteranno che "altre soluzioni, non a guida Bersani, sono complicate, difficili: non è che un tecnico qualsiasi possa rendere più facile la nascita del governo". La precisazione arriva ieri sera tardi dalla segreteria del Pd. Insieme a quell'altra considerazione che il leader democratico è saldamente in sella al partito.

"Continua la suspense e siamo tutti guardinghi...", ammette Andrea Orlando, uno dei leader della "gauche" del Pd. Nessuno però, neppure tra i "giovani turchi", se la sente di ripetere oggi che l'unica strada - fallendo ormai Bersani - sia il voto. Parte da loro il tam tam sul nome di Fabrizio Barca. Sono molti i nomi che si rincorrono del resto per il "passo B" del Pd. Tra i premier graditi: Saccomanni, Bonino.

Si irrigidisce Davide Zoggia, bersaniano di ferro: "Non si potrebbe del resto avviare una cosa che sia contro la maggioranza assoluta della Camera, rappresentata dal centrosinistra". Marina Sereni, vice presidente della Camera appena eletta, e franceschiniana, esclude ancora che il Pd, il partito di maggioranza relativa, possa imbarcarsi in un'avventura di governo con il Pdl: "Non abbiamo accettato scambi indecenti, grandi coalizioni che sarebbero comunque state guidate dal segretario democratico, e perché ora dovremmo appoggiare un governo con una personalità non nostra?".

Replica Giovanni Legnini: "Ma come possiamo essere irresponsabili, noi?. Abbiamo finora fatto appello al senso di responsabilità di tutti perché conosciamo bene le condizioni del paese". E Gianclaudio Bressa, a cui è toccato ieri il compito di rispondere a Grillo che vorrebbe un Parlamento in funzione senza governo - riconosce: "Come fai a sottrarti a un'ipotesi, qualsiasi questa sia, del presidente? Abbiamo appena detto che il paese è allo stremo e ha bisogno di un governo. Tutto poi, va fatto in fretta, prima che riaprano i mercati".

Renzi intanto scalda i motori. Evidente che nel Pd sta per cominciare la conta, e il sindaco "rottamatore" - come ha già detto - è pronto a candidarsi alla premiership quando si andrà a votare. Non subito: precisa Dario Nardella, l'ex vice sindaco di Firenze, renziano, preoccupato per la strada che il partito ha imboccato, per l'oscillazione tra i 5Stelle e le larghe intese. "Ora siamo davvero al giro di boa - ribadisce Nardella - non c'è da perdere tempo". Anche Francesco Boccia, lettiano, afferma che "occorre affidarsi a Napolitano, che il Pd non può chiudere gli occhi e non decidere, nella malaugurata ipotesi che per Bersani la strada sia impedita davvero".

È Arturo Parisi, l'ex ministro, critico verso il partito, a ricordare: "Forse ci si poteva accorgere subito che andava trovato un baricentro esterno. Il Pd deve elaborare il lutto, prendere atto che la linea tenuta è stata perdente". Cosa succede, quindi? Parisi ironizza: "Qualcosa di molto simile alle vecchie convergenze parallele, in cui forze politiche profondamente diverse convergono parallelamente, come vedersi e dire "Toh, anche tu qui?"". Ricorda che dalle urne i Democratici sono usciti migliori perdenti: probabilmente la via di un "baricentro esterno" sarebbe stata da intraprendere subito.

Laura Puppato riconosce: "Prendiamo atto che i numeri non ci sono, e a questo punto facciamo un passo di lato, però ci auguriamo che ci si renda conto che il paese non può attendere". Puppato, che è tuttora ufficiale di collegamento tra il Pd e i 5Stelle, pensa a un governo "con una figura tecnica o politica", purché ci sia.

(29 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/29/news/fronda_pd-55561889/?ref=HREA-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Il segretario accusato di riunirsi nel bunker.
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2013, 06:24:40 pm
Tensione nel Pd, pressing dei big su Bersani: "Non si può insistere solo sul tuo nome

L'assalto delle correnti dai renziani ai Giovani turchi: "Nel partito bisogna aprire una fase 2".

Il segretario accusato di riunirsi nel bunker.

E Veltroni gli rinfaccia: nel 2009 fui costretto a lasciare la segreteria

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Da qualche giorno le riunioni di Bersani con i collaboratori più fidati - Migliavacca, Errani, Zoggia - sono soprannominate "il bunker". Dov'è Bersani? Nel bunker: è la risposta aspra che, con un sorrisetto, i Democratici consegnano ai cronisti. Nel "bunker" si decide la linea, che è quella di andare fino in fondo verso il "governo di cambiamento" guidato dal segretario. Ma fuori dal bunker, si salda un fronte di correnti e di dirigenti del Pd pronti ad archiviare le mosse bersaniane: non c'è solo un governo Bersani, va aperta una fase 2.

Matteo Renzi, il "rottamatore" è in campo, apertamente e le bordate alla linea di Pierluigi Bersani sono quotidiane. Ma pure Dario Franceschini ha tratto il dado. Sostiene, l'ex segretario, che è tempo di prendere atto che Berlusconi ha milioni di voti, un'intesa con il Pdl va trovata, e soprattutto che ci vuole "un governo di transizione". Un modo per dire a Pierluigi e al suo entourage, che intestardirsi non vale e che è tempo di abbandonare il "piano A", cioè il governo del cambiamento, dal momento che i numeri non ci sono e non ci saranno.

Lo smottamento è in atto. Benché i bersaniani neghino, minimizzino, raccontino dei contatti continui tra Dario e Bersani, il Pd è alla svolta forse più drammatica dei suoi 7 anni di vita e della sua scommessa politica, che è stata quella di unire ex Pci ed ex Dc, immaginando un partito popolare progressista.

Enrico Letta, il vice, difende Franceschini. Ritiene che Dario non abbia affatto preso posizione contro Bersani, ma stia tentando di spostare un po' in avanti la timidezza del mondo bersaniano. L'"arroccamento", dicono i renziani. "La mia lealtà a Pierluigi è piena", ha ripetuto Letta. Che però, se il governo del cambiamento non si potesse fare, allora pensa a un governo del presidente. Si racconta di un D'Alema, che di Bersani è stato il "grande elettore" alla segreteria, in dissenso totale con la ridotta in cui si trova oggi il Pd. Comunque, D'Alema è negli Usa, già alla scorsa Direzione del partito aveva dato forfait per impegni all'estero.

Veltroni è stato subito per un'altra rotta: il governo del presidente. E ha ricordato pubblicamente, con perfida bonomia, che a costringerlo a lasciare la segreteria del Pd nel 2009, dopo la sconfitta del centrosinistra alle regionali in Sardegna (e il Pd era al 33%), fu proprio Pierluigi... Insomma, la ruota gira: con il partito al 25% e lo stallo politico, Bersani veda un po'. Fioroni, leader dei Popolari, è fan delle larghe intese. A fare cerchio attorno al segretario sono ora i "giovani turchi". "Un'area elastica", la definisce Stefano Fassina, che ne fa parte ma non ha condiviso alcune fughe in avanti, come il documento dell'altroieri che chiede la costituzione subito delle commissioni parlamentari. "Troppi posizionamenti... non siamo mica un'armata Brancaleone, stiamo andando un po' oltre, uno si sveglia e fa una cosa. Sono un bersaniano "senza se e senza ma", però comprendo che se Pierluigi non va a Palazzo Chigi, una fase sarà finita. È fisiologico".

Rincara Francesco Verducci: "L'ipotesi di larghe intese non risolve lo stallo, lo aggrava. Si lavora per Bersani pancia a terra". Un altro dei leader della "gauche" del Pd, Matteo Orfini è sarcastico: "Quello che ha detto Dario? Irrilevante. Finirà in minoranza in Direzione. Certo ne discuteremo, laicamente, sia di quanto afferma Franceschini che di quanto sostiene Renzi. Con il Pdl non si fa nessun accordo". La "gauche" e i liberal renziani si trovano a sorpresa sulla stessa lunghezza d'onda: "Nel partito troppi hanno paura delle urne", ripetono. Loro, no. A temere un collasso del Pd è il sindaco di Bologna, Virginio Merola, per il quale gli strattoni dei renziani e quelli dei "giovani turchi" rischiano di provocare un crollo, una falla insanabile. Lo spettro della scissione, evocato spesso a sproposito, non è mai stato così concreto. 

(07 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/07/news/tensione_nel_pd_pressing_dei_big_su_bersani_non_si_pu_insistere_solo_sul_tuo_nome-56106057/?ref=HREA-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Pd, un terremoto scuote le correnti: gli ex pci non ...
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2013, 10:02:50 am
   
Pd, un terremoto scuote le correnti: gli ex pci non controllano più la "ditta"

Bersani verso il sostegno a Cuperlo. Marini rompe con Areadem. Bindi per ora non sceglie con chi stare.

L'ironia di Civati: contro l'intesa Dc-Renzi

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Per capire lo choc in casa democratica, bisogna andare indietro di quattro anni, quando Dario Franceschini tifava per Lapo Pistelli a Palazzo Vecchio e invece il "rottamatore" Renzi - allora senza ambizioni di leader nazionale - vinse a man bassa e diventò sindaco di Firenze. E chi l'avrebbe detto che il cattolicodemocratico Franceschini avrebbe proprio lui aperto la breccia renziana alla scalata del Pd? È uno scossone, qualcuno parla di terremoto. Non solo perché scompagina le correnti del partito e rompe una maggioranza interna bersanian-franceschiniana-lettiana consolidata, ma soprattutto perché, per la prima volta, gli ex comunisti rischiano di perdere il controllo della "ditta". Renzi, il cattolico ex Margherita, è super favorito. A contendergli la segreteria per ora sono in tre - il dalemiano Gianni Cuperlo, l'outsider Pippo Civati, Gianni Pitella - che messi insieme, dice Beppe Fioroni, non fanno il 20% di consensi.

A restarci male, anzi malissimo, è Pierluigi Bersani. Ancora davanti ai primi lanci di agenzia, il bersaniano Nico Stumpo nicchiava: "Vediamo, non dice proprio che appoggia...". Il punto è che dopo la sfida delle primarie del 2009 (in cui Bersani batté Franceschini e diventò segretario), i due, entrambi emiliani, si erano presi bene. In nome della mescolanza delle culture di provenienza - comunista l'uno, democristiano l'altro - hanno costruito un buon tratto di Pd. Insieme con Enrico Letta. Il premier è stato informato dell'endorsement che l'amico ministro stava per compiere. Pare abbia dato il placet e i lettiani, pur restando per ora alla finestra come il loro presidente del Consiglio, si adegueranno. Ovvio che poi nulla è pacifico come lo si racconta.

Basta zoomare sulla stessa corrente di Franceschini, Areadem, per trovare uno sfarinamento. Franco Marini, storico leader dei Popolari, che in Franceschini ha avuto il suo pupillo, è poco convinto. Renzi ha offeso Marini (e non l'ha votato per il Quirinale) e Marini ha picchiato duro contro Renzi. Avvisaglie di avvicinamento comunque c'erano. Antonello Giacomelli, franceschiniano, una settimana fa aveva annunciato di appoggiare il renziano Dario Parrini per la segreteria toscana del partito. Ma nel rimescolamento delle carte a perdere pezzi sono i bersaniani. Bersani ha cercato un candidato anti Renzi che raccogliesse un'ampia maggioranza interna. Non lo ha trovato e ora, se non vuole rimanere isolato, darà i suoi voti a Cuperlo. Fino a qualche settimana fa, i bersaniani avevano tentato di convincere Cuperlo a fare un passo indietro; avevano anche saggiato l'ipotesi di gettare nella corsa Stefano Fassina; avevano ipotizzato la candidatura di Letta prevedendo una fine imminente della legislatura. Una costola bersaniana, guidata dal segretario emiliano Bonaccini, è diventata renziana. Cuperlo, che ha in D'Alema e nei "giovani turchi" i suoi sponsor, corteggia da tempo Bersani. La sinistra ex Pds-Ds si ricostituirebbe in una minoranza.

Ma quanto è contento Renzi dell'abbraccio dei big? Molto poco: "Non mi imprigioneranno...", ha ripetuto. Il "rottamatore" sa che la sua forza sta nella lontananza dalla nomenklatura, e tuttavia se vuole guidare il partito ha bisogno di alleanze. Da tempo i renziani denunciano il pericolo che "tanti nel Pd per opportunismo vogliano salire sul carro di Matteo". Dario Nardella avverte: "Non è che oltre la rottamazione c'è il riciclaggio, Matteo non farà mai accordi, patti alla vecchia maniera". E' a un Pd federale che Renzi pensa.

Infine c'è Rosy Bindi, che oggi scioglierà la riserva e indicherà il suo candidato alla segreteria. Fioroni parla di "candidato unico, se Renzi ha l'80% non ce ne sono altri...". Però un abbraccio tra Fioroni e Renzi è assai complicato, e Fioroni sarebbe sul punto di passare dall'altra parte, con i profughi del Pdl e i centristi, quando lo scacchiere politico si sarà del tutto scompaginato. Cautela di Alessandra Moretti e del gruppo dei "non allineati". Ironie del "turco" Orfini ("Rivoluzione Renzi con Franceschini, Fassino, Fioroni, Veltroni, Bettini... bel congresso"); impegno di Civati: "Contrasterò le larghe intese dc-Renzi".

(03 settembre 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/03/news/pd_terremoto_correnti-65779890/?ref=HREC1-2


Titolo: GIOVANNA CASADIO Assist, dialogo e complimenti E' disgelo tra D'Alema e Renzi
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2014, 06:03:05 pm
Assist, dialogo e complimenti
E' disgelo tra D'Alema e Renzi

Per l'ex premier l'ipotesi di fare il commissario Ue. Partito in fermento per le candidature alle Europee. Prodi: "E' lì che si gioca il governo"

di GIOVANNA CASADIO

ROMA — Di un patto tra i due si parla da tempo. Ma il “rottamatore” e il “rottamato”, Matteo Renzi e Massimo D’Alema hanno un certo pudore ad ammettere il feeeling. Più che di feeling in verità si tratta di una reciproca convenienza. Per questo entrambi si sono tolti l’elmetto. Il premier deve convincere l’Europa che l’Italia ha davvero “cambiato verso” e ha bisogno che la squadra socialista sia sulla palla nella partita anti austerity. Chi meglio del lìder Massimo — presidente della Fondazione europea degli studi progressisti (Feps), nel board del Pse, ex premier, ex ministro degli Esteri, amico di vecchia data di Martin Schulz, in buoni rapporti con Francois Hollande, con i socialdemocratici tedeschi — può svolgere questa missione. Per questo Renzi si sta convincendo che indicare D’Alema come commissario Ue è la strada migliore, più che puntare su Enzo Moavero, l’altro nome in pole position. Mentre Enrico Letta potrebbe rientrare in gioco, solo se si ricucisse il rapporto con Renzi.

D’Alema dal canto suo ha espresso negli ultimi giorni alcuni misurati apprezzamenti nei confronti del premier: «Abbiamo opinioni diverse ma si può lavorare insieme per obiettivi condivisi». E, ciliegina sul feeling, martedì sarà Renzi a presentare il libro di D’Alema “Non solo euro”.

«Ci sentiamo spesso — aveva spiegato il presidente di Feps e di “Italianieuropei” — e il mio libro Matteo lo ha letto in bozze». Apprezza, D’Alema, l’adesione al Pse del Pd, dopo polemiche durate anni, che il segretario ha spazzato via e condotto in porto velocemente. Poi c’è una questione di buonsenso — ha fatto sapere — e cioè che «questo governo va sostenuto». Quasi un mantra. Di certo una presa di distanza dal “correntino”, la minoranza del partito oggi scompaginata dal ciclone-Renzi. Un altro indizio del patto tra i due è nella mano che l’ex premier avrebbe dato a Renzi sull’Italicum, la nuova legge elettorale. Sarebbe stato D’Alema a convincere i più riottosi della minoranza dem a bocciare quell’emendamento sulla doppia preferenza presentato da Gregorio Gitti e affossato per una manciata di voti. Se fosse passato, l’intesa sulla riforma elettorale con Berlusconi sarebbe saltata immediatamente.

Il clima nel Pd è cambiato. Persino Roberto Gualtieri, amico di D’Alema, europarlamentare, autore di quell’emendamento al fiscal compact a Strasburgo che ha reso possibile un margine di flssibilità, apprezza la strategia del neo premier: «Ci sono degli spazi effettivi di flessibilità in Europa che Renzi ha colto bene e resi possibili se si avvia un programma di riforme e di crescita». Enrico Letta, è il giudizio, su questo si è mosso con troppa acquiescenza. Comunque a sostenere la candidatura di D’Alema alla commissione sono già alcuni renziani. Lorenzo Guerini, l’uomo a cui il segretario-premier ha affidato il partito, si limita a dire che «avrebbe tutte le carte in regola». Ettore Rosato, renziano, lo sponsorizza: «Per un commissario Ue ci vuole autorevolezza, è il fattore indispensabile e di certo Massimo l’autorevolezza ce l’ha». E poi c’è il bersaniano Stefano Fassina, ex ministro dell’Economia del governo Letta che afferma: «D’Alema sarebbe la persona giusta, ha un grande riconoscimento in Europa, non solo tra i socialisti ma anche nelle altre famiglie politiche». Entro luglio il governo deve sciogliere il nodo sul candidato commissario. Ma in queste ore sono già approntate le liste. La voce di un candidatura di Renzi come capolista per Strasburgo è seccamente smentita da Guerini.

Non sarà facile tuttavia dare un po’ d’appeal al voto per le europee. Romano Prodi le considera decisive: «È lì che si gioca il governo». Per ora candidata dovrebbe essere l’ex ministra Kyenge, Paolo De Castro nel nord est; nel Sud è capolista Emiliano; al Nord Stefano Boeri, e nelle Isole tra gli altri si pensa a Renato Soru, Giuseppe Lupo; Giusi Nicolini. Entro la fine del mese le liste saranno completate, mentre la settimana prossima sarà convocata la direzione per il nuovo organigramma del Pd, allargato alla minoranza. Disponibilità di “giovani turchi” e dalemiani a co-gestire il partito.

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Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/15/news/assist_dialogo_e_complimenti_e_disgelo_tra_d_alema_e_renzi-81045585/?ref=HREC1-7


Titolo: GIOVANNA CASADIO. "Su Italia e Berlusconi Renzi si è sbagliato.
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2015, 10:27:55 am
Prodi: "Su Italia e Berlusconi Renzi si è sbagliato. Riforme? No a interventi sguaiati"
Prodi, a Capalbio per un premio, rivendica il ruolo dei suoi governi: quel ventennio non fu tutto "in pausa".
Sulla Costituzione: "La seconda parte non ha funzionato bene, però non mettiamoci mano in modo scoordinato".
Stoccata sulle tasse: "Se ne discute solo su Twitter e si promette tutto a tutti"


Dal nostro inviato GIOVANNA CASADIO
29 agosto 2015
 
 CAPALBIO - "Renzi parla di vent'anni di stallo tra berlusconismo e anti berlusconismo? Allora 'l s'è sbaiè ... ". Romano Prodi lo dice in dialetto emiliano. Il Professore evita accuratamente polemiche con il governo ("Chi deve governare credo che vada lasciato in pace"), però quando ci vuole, ci vuole. Difende i suoi due governi e quello che hanno fatto.

E anche sulla riforma costituzionale, su cui il premier tiene premuto l'acceleratore, avrebbe più di qualcosa da dire. "Mi pare però che non sia il momento delle riflessioni serene - premette - da rivedere e da ripensare c'è tanto. Ma oggi ci si muove per contrapposizioni e così non riusciremo a fare una riforma seria. Occorre vedere cosa fare e cosa no. La prima parte della Costituzione ha validità totale, la seconda non ha funzionato bene. Però non mettiamoci mano in modo sguaiato e scoordinato, perché non si arriverebbe a capo di nulla. Ritengo che per questa modifica ci vorrebbe del tempo" (...)

Punto sul vivo sull'attività dei suoi governi, i vent'anni alle nostre spalle e quel giudizio errato di Renzi, precisa: "Il debito pubblico si è formato prima degli anni '90 e tutti e due i miei governi l'hanno abbattuto. Le disfunzioni quindi sono cominciate prima ". Un "affondo" lo riserva sulla questione delle tasse. "Un tempo si facevano analisi politiche serie per valutare tra l'altro dove destinare le imposte, se sulla sanità o sul welfare". Ora? "Se c'è chi ti impedisce l'analisi è Twitter".

L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+

© Riproduzione riservata
29 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/08/29/news/prodi_su_italia_e_berlusconi_renzi_si_e_sbagliato_riforme_no_a_interventi_sguaiati_-121815774/?ref=HREC1-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO RAFFAELE RICCIARDI senatori del Pd contro la riforma delle Bcc
Inserito da: Arlecchino - Marzo 10, 2016, 06:04:16 pm
Spaccatura nella maggioranza: i senatori del Pd contro la riforma delle Bcc
Missiva al governo sottoscritta da Massimo Mucchetti e altri parlamentari dem.
Riprese le critiche di Federcasse e Bankitalia sul progetto di holding unica e sulla possibilità di sfilarsi per le casse che raggiungano 200 milioni di patrimonio.
"Errore trasformare le Bcc in Spa, si darebbe ai soci pieno possesso delle riserve"


Di GIOVANNA CASADIO e RAFFAELE RICCIARDI
10 marzo 2016

Anche i senatori del Pd chiedono correttivi alla riforma delle Bcc, mettendosi in scia a quanto rilevato da Bankitalia e dalle stesse casse cooperative nei giorni scorsi. Una lettera sottolinea i punti deboli dell'intervento del governo, che prevede in buona sostanza la creazione di una holding unica per le Bcc, che vi dovranno aderire versando un capitale complessivo di 1 miliardo di euro. E' però prevista la nota way-out, ovvero la possibilità di sfilarsi da questo schema per le Bcc che abbiano almeno 200 milioni di patrimonio. La lettera è indirizzata al premier Renzi, a Maria Elena Boschi nella sua veste di ministro per i Rapporti con il Parlamento e al capogruppo dem Luigi Zanda. E' l'altolà di venti senatori del Pd capitanati da Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria di Palazzo Madama, al disegno di legge sulle banche così come è stato scritto dal governo, soprattutto per quanto riguarda le banche di credito cooperativo, finite nel mirino negli ultimi mesi. "Inaccettabile" è la parola chiave per dire che il governo non pensi di mettere la fiducia al testo che uscirà da Montecitorio, soprattutto se la Camera non apporterà le modifiche indispensabili. A sottoscrivere il dissenso sono senatori bersaniani come Doris Lo Moro, Maurizio Migliavacca, Miguel Gotor e della sinistra dem tra cui Cecilia Guerra, Lucrezia Ricchiuti. Ma anche battitori liberi come Walter Tocci, Felice Casson, Sergio Lo Giudice. È un altro fronte aperto nelle file del Pd e rischia di scoperchiare un calderone di polemiche e di interessi contrapposti.

Il testo della missiva
La prima "lacuna" tecnica sottolineata dai senatori dem sta a monte: "Riguarda le modalità con cui le Bcc possono costituire il capitale della holding. Il ddl non precisa se la holding debba essere capitalizzata per contanti o attraverso il conferimento di asset. Non funziona. Bisogna scegliere, e scegliere bene", si legge nella missiva. "Con il versamento in contanti, la holding sarà forte, basata su valori non discutibili. Un miliardo liquido, d'altra parte, rappresenta una somma rilevante per le Bcc. Avremo perciò una holding sola e un gruppo unico di credito cooperativo, aperto al capitale finanziario nella holding, che è una Spa, ma non scalabile. Ridurre a 5-600 milioni il capitale della holding e ammettere la sua sottoscrizione attraverso il conferimento di asset (immobili soprattutto, ma anche partecipazioni) favorirebbe la moltiplicazione di holding per lo più illiquide e di gruppi di credito cooperativo per lo più deboli. Alla prima difficoltà, le Bcc dovrebbero aprire le holding anche oltre il 49% per ricapitalizzarsi, non potendo più contare sulla solidarietà del sistema del credito cooperativo. E non ci sarebbe obbligo di legge a conservare il 51% della holding che possa tenere ove i requisiti patrimoniali si indebolissero sotto le soglie stabilite dalla Vigilanza".

Il dito si punta anche sulla way-out sopra richiamata: "L'errore consiste nel prevedere il diritto di uscire dal credito cooperativo per le Bcc con patrimonio netto superiore ai 200 milioni previo pagamento di un'imposta sostituiva del 20% sulle riserve indivisibili", scrivono Mucchetti e colleghi. "La fuoriuscita potrà avvenire o attraverso la semplice trasformazione della cooperativa di credito in spa ovvero con la scissione dell'azienda bancaria e il suo conferimento a una spa in prima battuta controllata dalla cooperativa e poi chissà. Anche in questo caso si prevede l'imposta sostituiva del 20%. E' un errore consentire la trasformazione della Bcc in spa. In tal modo si darebbe ai soci attuali il pieno possesso di riserve, che costituiscono in media il 90% del patrimonio delle Bcc e che sono state accumulate dalle precedenti generazioni in esenzione d'imposta per la precisa finalità di esercitare lo scambio mutualistico nell'attività creditizia. L'imposta sostituiva, d'altra parte, non ripagherebbe le imposte evitate in tanti decenni e il loro costo finanziario cumulato per lo Stato. Ove l'errore fosse confermato, il minimo che ci si possa aspettare è una procedura d'infrazione da parte della Ue per aiuti di Stato".

Come ha fatto Bankitalia, anche i senatori si soffermano sulla "data alla quale si calcola se una Bcc raggiunge o meno la soglia dei 200 milioni che darebbe diritto alla way out. Logica vorrebbe che ci si riferisse all'ultimo bilancio approvato prima dell'entrata in vigore della legge. Ma il ddl tace e con questo silenzio accredita il sospetto che si voglia procrastinare nel tempo la verifica della soglia così da consentire anche a Bcc di minor taglia di approfittare della way out attraverso fusioni dell'ultima ora. Una tale combinazione di errori e di lacune può risultare fatale al progetto del gruppo bancario cooperativo con gravi ricadute sull'intero sistema del credito. E sarebbe un peccato. Vi chiediamo dunque di operare in modo tale da scongiurare esiti inaccettabili".

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10 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/03/10/news/lettera_pd_senatori_bcc-135186745/?ref=HRER2-1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Antimafia: ecco i 15 impresentabili candidati nei comuni
Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2016, 12:11:52 pm
Antimafia: ecco i 15 impresentabili candidati nei comuni
Oggi Bindi illustra i risultati della Commissione. "Meno che in passato, c'è l'effetto deterrenza"

Di GIOVANNA CASADIO
31 maggio 2016

ROMA - Non ci sarà un "caso" De Luca, come l'anno passato. E gli incandidabili sono una quindicina, che le verifiche dell'ultima ora potrebbero fare salire a venti. Il numero è ancora oscillante perché la commissione parlamentare Antimafia solo stamane darà il verdetto definitivo, dopo avere esaminato gli oltre 3.000 candidati nei 13 Comuni a rischio cosche.

Alla vigilia delle amministrative di domenica la presidente Rosy Bindi ha convocato per oggi la commissione che vidimerà il resoconto, lungo un mese, sulle liste. Sotto osservazione è finita anche la Capitale insieme con i comuni di Badolato, San Luca, Platì, Scalea, Ricadi, San Sostene in Calabria, con Sant'Oreste e Morlupo nel Lazio, con Battipaglia, Trentola Ducenta e Villa di Briano in Campania. In Antimafia sono soddisfatti e parlano di "effetto deterrente" che il loro lavoro - travolto dalle polemiche solo un anno fa - ha prodotto. Nel 2015 in corsa per le regionali, c'era Vincenzo De Luca, poi eletto governatore della Campania, che Bindi inserì tra gli impresentabili e fu accusata di avere usato la commissione per regolare i conti nel Pd. Acqua passata.

Per ora i risultati della commissione hanno indicato ad alto rischio di impresentabili Battipaglia e Roma. Ma un po' dappertutto si sono mossi i prefetti. Due esempi in particolare sono indicati dall'Antimafia come virtuosi e tempestivi: quello del prefetto di Caserta, Arturo De Felice e la prefettura di Roma dove si è appena insediata Paola Basilone dopo Franco Gabrielli. Il prefetto De Felice ha tolto dalle liste 19 persone nel casertano che avevano fatto dichiarazioni mendaci sia sulla loro compatibilità con la legge Severino che sui carichi pendenti. Nella Capitale ci sarebbero due nomi in due liste di rinviati a giudizio da altre Procure che rischiano peraltro una condanna per falsa auto certificazione.

Dall'Antimafia oggi arriverà comunque un allarme: non bastano gli strumenti che ci sono per mettere al riparo il voto locale dalle infiltrazioni mafiose e spezzare la corruzione. Una postilla della relazione che stamani sarà illustrata e approvata a San Macuto, è dedicata alla vicenda Platì.

Il piccolo comune della Locride, 4mila abitanti, 3 scioglimenti delle giunte in dodici anni, capillarmente infiltrato dalla 'ndrangheta, si ritrova con due liste civiche - una guidata da Ilaria Mittiga (figlia del sindaco a capo di due amministrazioni sciolte per mafia), l'altra da Rosario Sergi - dopo la rinuncia della dem Anna Rita Leonardi a correre come sindaco. La Leonardi aveva chiesto al procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho di supervisionare i candidati in lista. Poi ha gettato la spugna.

La commissione Antimafia e la presidente Bindi segnano con la matita rossa le anomalie di Platì, a partire dall'impossibilità di definire impresentabili coloro che pure sono imparentati con boss e 'ndranghetisti ma non risultano coinvolti in inchieste. "Ci vogliono banche dati e la possibilità di verifiche, codici etici stringenti", rimarcano tanto Franco Mirabelli del Pd che Luigi Gaetti dei 5Stelle, entrambi nell'ufficio di presidenza dell'Antimafia in Parlamento. L'allarme di Bindi risuonerà di nuovo oggi in commissione: "Gli enti locali sono la principale porta d'ingresso per i clan nella gestione delle risorse pubbliche, mettendo le mani sugli appalti".

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31 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/31/news/antimafia_ecco_i_15_impresentabili_candidati_nei_comuni-140974685/?ref=HREC1-3


Titolo: GIOVANNA CASADIO Orfini: "C'è chi rimpiange il Pd di Mafia Capitale"
Inserito da: Arlecchino - Luglio 01, 2016, 05:36:35 pm
Orfini: "C'è chi rimpiange il Pd di Mafia Capitale"
Parla il presidente Dem: "Rimango commissario a Roma"

Di GIOVANNA CASADIO
27 giugno 2016

ROMA. "Il Pd in molte parti sembra non essere all'altezza della sfida: sono rimaste le correnti senza il partito". Detto dal presidente dem, Matteo Orfini, è una sferzata. Orfini va al contrattacco, dopo che nella Direzione del Pd, slittata per Brexit, già alcuni compagni si preparavano a chiederne le dimissioni da commissario romano del partito, addossandogli la responsabilità della sconfitta che ha portato la grillina Virginia Raggi in Campidoglio. "Chi ci critica preferiva il Pd di Mafia Capitale. Io lascio a ottobre quando scade il mio mandato", risponde.

Orfini, nell'onda montante dei populismi - Brexit, Spagna spaccata, Grillo vittorioso alle amministrative in Italia - al Pd sta arrivando l'avviso di sfratto dai 5Stelle?
"Credo proprio di no. Ma non dobbiamo sottovalutare il clima che si respira in tutta Europa. Non si può non tenere conto della rabbia che cresce e che oggi viene intercettata solo dal populismo. Con la conseguenza che i costi del populismo li scopri il giorno dopo, come sta succedendo con Brexit, e li paghi per anni".

Dicevamo, il Pd renziano è alle corde?
"Dobbiamo fare tesoro del messaggio che ci hanno mandato gli elettori. Ho visto le analisi più disparate: Bersani invoca il profumo di Ulivo, chi chiede più cambiamento, chi parla di legge elettorale, come se la risposta alle periferie rabbiose possa essere un emendamento sul premio di coalizione. Ma la questione è un po' più profonda. Ovvero che l'enorme crescita delle diseguaglianze rende necessario per la sinistra, ancora prima di assumere le misure necessarie, radicarsi in quel disagio".

Invece Renzi, segretario-premier, racconta un'altra storia, quella dell'Italia felice che riparte.
"Non c'è dubbio che l'Italia stia ripartendo ma la ripresa non si percepisce nei grandi quartieri delle periferie metropolitane, perché non è ancora arrivata. O noi capiamo che c'è un disagio con cui parlare e una grande forza i quei luoghi da coinvolgere nel nostro progetto di cambiamento del paese, oppure lì ci starà solo il populismo".


Ma per paura dell'onda populista, farete slittare il referendum costituzionale?
"No, dirigenti che avessero paura degli elettori sarebbero inadeguati".

Quindi, come correte ai ripari, dopo avere perso anche Roma e Torino? Ci vuole una svolta?
"Premesso che a Tor Bella Monaca a Roma, per fare un esempio, i voti non li abbiamo presi ora e nemmeno alle politiche. Abbiamo recuperato tra i ceti più deboli solo alle europee, quelle del 40%. Lì il nostro messaggio non era di neutro cambiamento, che non vuole dire niente, ma aveva una grande forza sociale, figlia degli 80 euro e della promessa di inclusione nel cambiamento di intere generazioni che vivevano ai margini. Quel messaggio si è perso. Più che discutere di quanto ci dobbiamo spostare al centro o a sinistra, dovremmo essere più popolari... nel senso non televisivo del termine".

Presenta le dimissioni da commissario del Pd romano dopo la sconfitta?
"No, il mio lavoro di commissario scade a ottobre, a me resta da fare il referendum e di avviare il congresso romano, è quello che farò".

Non si rimprovera nulla?
"Ho preso in mano un partito sotto processo, con suoi esponenti in manette e l'ho riportato a testa alta nelle strade della città. Mi pare semplicistico che si attribuisca al lavoro di bonifica la responsabilità del risultato su Roma, perché vorrebbe dire che si stava meglio quando c'era il Pd di Mafia Capitale".

Amareggiato per la richiesta di sue dimissioni fatta dalla ministra Marianna Madia? E per D'Alema, di cui lei è stato allievo, e che ora dice: l'ho allevato male?
"Tutte le opinioni sono legittime, anche quella di Madia
... a me fa riflettere vedere Massimo D'Alema annunciare girotondi per il No al referendum costituzionale".

Lei è sempre renziano?
"Non lo sono mai stato, sono presidente del Pd. E vorrei che discutessimo senza lacerazioni quotidiane".

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27 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/06/27/news/matteo_orfini_dobbiamo_fare_tesoro_del_messaggio_del_voto_parliamo_con_chi_vive_nel_disagio_o_restera_solo_il_populi-142888133/?ref=HRER2-2


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Cuperlo: "Abbiamo ottenuto quel che volevamo, ora voterò sì"
Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 11:24:01 am
Pd, Cuperlo: "Abbiamo ottenuto quel che volevamo, ora voterò sì"
Il colloquio.
L’esponente della sinistra dem: "Incoerente è chi parla di tradimento. Però non chiamatemi renziano"

Di GIOVANNA CASADIO
06 novembre 2016

Pd, Cuperlo: "Abbiamo ottenuto quel che volevamo, ora voterò sì “ROMA. "Ho riscritto io la bozza perché la prima, quella di giovedì dopo la riunione al Nazareno, non andava bene...". Poi sono stati dilemmi e contatti: "Ho sentito Roberto Speranza, mentre Bersani l'ho cercato ma non l'ho trovato". La reazione di Cuperlo pochi minuti dopo la firma al documento di accordo sull'Italicum bis, è di "sollievo", come di chi ha superato il guado.

Gianni, il triestino, il leader del Pd che ha imparato a fare politica nella Fgci, seguace della realpolitik di D'Alema per alcuni anni - ma con un certo distacco fino all'allontanamento definitivo - lo sfidante di Renzi alle primarie, quindi ha deciso: "Sono un uomo di dubbi, però poi mi assumo la responsabilità". Sa bene che la frattura e il rischio scissione nel Pd restano, che Bersani e i bersaniani accusano ora lui di incoerenza, di avere semplicemente spaccato la sinistra, e già fanno campagna per il No al referendum. Gianni si difende e contrattacca: "Non sono io l'incoerente. Evidente che non si può essere completamente soddisfatti, ma abbiamo ottenuto quello che come minoranza abbiamo chiesto per mesi. Quindi da parte mia firmare un documento su queste modifiche all'Italicum - i collegi per eleggere i deputati, il no al ballottaggio, il premio di governabilità, oltre all'elezione diretta dei nuovi senatori - è stato un atto di coerenza". Coerentemente come voterà al referendum costituzionale? "Voterò Sì".

Bersani ha detto che non si risolvono le cose con un foglietto di carta che vale un impegno generico. Anzi, peggio: equivale a quell'"Enrico stai sereno", diventato ormai il promemoria dell'inaffidabilità di Renzi. Enrico era Letta e, dopo le rassicurazioni il segretario Renzi lo sfiduciò sostituendolo a Palazzo Chigi. Non può funzionare allo stesso modo anche per il documento Italicum? Cuperlo non ci sta: "Il documento è firmato dai capigruppo Rosato e Zanda, dal presidente del partito Orfini e vidimato dallo stesso Renzi. Se decidiamo che questo non vale nulla, per carità... ma allora diventa difficile pensarsi nella comunità del Pd".

Il convitato di pietra della scissione è sempre più presente. Anche se Cuperlo parla di "unità", di "lealtà, la cui prova spetta a Renzi", e di "dispiacere" per la frattura a sinistra. Questi i sentimenti che lo accompagnano in queste ore. Fedele al ruolo di mediatore, non vorrebbe polemizzare con i bersaniani. Ma alla fine lancia l'affondo: "Se stiamo sul piano della coerenza, allora potrei ricordare le battaglie che abbiamo fatto in commissione e in aula per migliorare la riforma...".
La riforma costituzionale è stata votata da tutto il Pd, minoranza inclusa. L'Italicum invece ha provocato la vera grande rottura: Speranza si dimise da capogruppo, la minoranza dem non votò la fiducia messa dal governo sulla legge elettorale. Cuperlo non teme ora di essere accusato di renzismo: "La mia storia parla per me...". Ritiene di avere condotto in porto la mission e di avere gettato le basi perché il centrosinistra rinasca, che è la scommessa politica. Da presidente del Pd si dimise per coerenza in conflitto con Renzi. Ma che non avrebbe accettato lo strappo del No al referendum si era capito sabato scorso quando, a sorpresa, si presentò alla manifestazione del Sì a piazza del Popolo. E si fece un selfie con la Boschi.

© Riproduzione riservata 06 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/06/news/_abbiamo_ottenuto_quel_che_volevamo_incoerente_e_chi_parla_di_tradimento_-151420376/?ref=nrct-13



Titolo: GIOVANNA CASADIO. Pd, la corsa al voto rianima la scissione: D'Alema all'attacco
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 28, 2017, 12:49:30 pm
Pd, la corsa al voto rianima la scissione: D'Alema all'attacco.
Renzi mira a blindare le liste, la minoranza: "Ci caccia".
L'ex leader Ds trasforma in movimento i comitati per il No

Di GIOVANNA CASADIO
28 gennaio 2017

ROMA. Bastano gli appuntamenti del fine settimana a fotografare il Pd com'è. Il segretario Matteo Renzi sarà a Rimini oggi, all'assemblea dei mille amministratori dem. Dice che non parlerà di legge elettorale e data del voto, ma di ambiente, sicurezza, delle liste d'attesa nella sanità: per sentirsi sindaco tra i sindaci. Nelle stesse ore a Roma i comitati "Scelgo No" al referendum costituzionale di dicembre, capitanati da Massimo D'Alema, tutt'altro che disposti a sciogliersi, si riuniscono in un Movimento, che avrà un nuovo nome: per la Ricostruzione del centrosinistra. Qui il parterre sarà affollato di leader della minoranza del partito, ci saranno Roberto Speranza, candidato bersaniano alla segreteria, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia anche lui in corsa nella sfida a Renzi, il bersaniano Stefano Di Traglia e sindacalisti della Cgil.

In un clima sempre più surriscaldato dalla volontà di Renzi di andare a elezioni a breve, in primavera, e con una blindatura delle liste, il Pd fa i conti con una fibrillazione continua. E la parola scissione non è più un tabù. Se il segretario si irrigidisse nella sua strategia di corsa al voto, di liste bloccate e volesse davvero portare il Pd verso un listone da Alfano alla sinistra di Pisapia, allora la strada "obbligata " non può che essere quella della separazione.

D'Alema l'ha spiegato a più di uno tra gli invitati alla sua kermesse: "Se Renzi pensa di scoraggiare la possibilità di una scissione con soglie di sbarramento alte, come l'8%previsto per il Senato, si sbaglia. Perché noi supereremmo quell'8%. E al Sud prenderemmo più voti di lui". Insomma con liste senza sinistra, la separazione sta nelle cose.

Bersani e i bersaniani si muovono con più cautela. Ripetono sempre più spesso che il Pd deve cambiare, altrimenti è difficile sentirsi a casa propria. Non vogliono neppure sentire nominare l'ipotesi di un listone. Smentita del resto dallo stesso vice segretario dem, Lorenzo Guerini: "Sono scenari fantasiosi, mai pensato a un listone con dentro tutto e il suo contrario". Ma molti sono giornate in cui si tastano tutte le possibilità. La battaglia per le candidature dentro il Pd sembra già cominciata. Ai bersaniani che contestano la "riserva" di candidature del segretario, i renziani rispondono: "Ma con la segreteria di Bersani ci furono i pre-assegnati e a noi toccò l'8%".

Renzi invita a restare sul concreto: "La gente vuole le nostre proposte, non le nostre polemiche ". A Rimini Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ha preparato una scaletta di interventi che va da gli amministratori in prima linea nel terremoto a quelli che hanno saputo investire. Il segretario del Pd dirà che da qui si riparte da "una nuova classe dirigente di giovani preparati e con un forte radicamento sul territorio". Dall'altra parte - è l'affondo di Renzi - ci sono i soliti con le "solite vecchie discussioni ". Alla convention con D'Alema andrà oggi anche il bersaniano Miguel Gotor, che assicura: "Non andiamo via dal Pd, ma sfideremo Renzi e possiamo batterlo. La corsa alle elezioni è un errore, il Pd non può fare cadere il terzo governo guidato da un suo esponente".

Però tutto è in movimento. Francesco Boccia pensa a una raccolta

di firme per chiedere il congresso anticipato del Pd: "Metteremo un banchetto anche a Pontassieve, sotto casa di Renzi". A Firenze l'11 e il 12 febbraio riunione dem organizzata da Cecilia Carmassi: "Complicato reggere liste blindate e la strategia annunciata da Renzi ".

© Riproduzione riservata 28 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/28/news/pd_la_corsa_al_voto_rianima_la_scissione_d_alema_all_attacco-157042035/?ref=HREC1-3


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Vendola apre a D'Alema e al listone unico della sinistra
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 01, 2017, 08:31:42 pm

Vendola apre a D'Alema e al listone unico della sinistra
Da D'Alema a De Magistris, spunta il listone anti Renzi.
Pisapia: "Niente alleanze col Nazareno"

Di GIOVANNA CASADIO
01 febbraio 2017

ROMA - "Nella vita pubblica ci sono troppi risentimenti e pochi grandi sentimenti, io mi iscrivo alla categoria dei sentimenti". È la premessa di Nichi Vendola, che apre a D'Alema e a un listone della sinistra. Sei anni fa, nel 2010 D'Alema faceva la guerra a Vendola, ricandidato governatore della Puglia e Nichi gli rendeva pan per focaccia.

Ora Vendola a sorpresa scommette su D'Alema: "Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all'impegno di D'Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica. Perché Renzi non l'ha portato la cicogna, ma è frutto di una storia e dell'idea che il compito della sinistra sia fare la destra, questo è il blairismo. Nessuna alleanza con il Pd renziano, ma osservo che il giocattolo si sta rompendo nelle mani di Renzi".

Tutto si muove nel centrosinistra. Di scissione si parla apertamente nel Pd, dopo la nascita del movimento di D'Alema che viene stimato intorno al 10%. E ieri Pierluigi Bersani, l'ex segretario dem che ha sempre ripetuto non avrebbe lasciato il Pd neppure con le cannonate, non si mostra più tanto fermo: "Scissione? Non minaccio nulla né garantisco nulla. Porrò a Renzi delle questioni e sentirò la risposta. C'è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io chiederò delle risposte su questo e poi mi regolerò".

Nel caotico passaggio di queste ore, Vendola - leader dell'ex Sel e in vista della nascita ufficiale di Sinistra Italiana nel congresso del 17-19 febbraio prossimo a Rimini indica la possibile "reunion", soprattutto se si vota a giugno: "Interessante è il lavoro di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli; la discussione aperta nel Pd; quello che si muove sotto la cenere nei 5Stelle". E Giuliano Pisapia, l'ex sindaco di Milano, che sta sondando e organizzando in tutta Italia il Campo progressista? Vendola risponde: "Pisapia è stato un amministratore eccellente, è una personalità della sinistra. Penso abbia sbagliato l'analisi della società italiana non comprendendo cosa stava accadendo con il referendum sulla riforma costituzionale e che il fronte del No con Cgil, Arci e Movimenti era la base sociale della sinistra. Lui ha fatto fatica a vederlo e ha immaginato ci potesse essere un restyling del centrosinistra con Renzi. Ma la sinistra non può allearsi con i voucher, con la "buona scuola". Però nella ricostruzione della sinistra Pisapia ci deve essere, sarebbe infelice se non ci fosse, sono convinto ci sia".

E nel movimento di Pisapia, tentato dal listone di sinistra, colloqui e contatti sono in corso. Con Michele Emiliano, ad esempio. Il governatore della Puglia si prepara a sfidare Renzi. Per questo chiede il congresso anticipato del Pd, convinto, come del resto i bersaniani, che sia l'unica opportunità per evitare la scissione.

Ieri Emiliano e Francesco Boccia hanno fatto partire la piattaforma "primailcongresso", raccolta di firme online tra gli iscritti. E il governatore pugliese minaccia il ricorso alle carte bollate se Renzi non ascolta. Nel listone della sinistra c'è Emiliano, se si precipita verso le elezioni e nel Pd si arriva alla scissione. Bersani rincara: "In tutti i partiti del mondo prima di andare al voto si fa il punto su programma e leadership. Qui c'è una questione democratica, non solo per l'Italia ma per il Pd. Sennò la cosa diventa veramente seria, saremmo all'inedito ". Allarme di 19 segretari regionali (non ci sono quelli di Basilicata e Puglia) del Pd: "Evocare la scissione e parlare di carte bollate è da irresponsabili".

Tra i molti nodi da sbrogliare c'è anche la spaccatura di Sinistra Italiana. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, ha chiesto di congelare il congresso di febbraio trasformandolo in una kermesse della sinistra. Scotto si è candidato alla segreteria contro il coordinatore Nicola Fratoianni. È disposto a un passo indietro e ha chiesto a Fratoianni di farlo a sua volta. "Perché tutto il paesaggio politico sta cambiando": motiva Scotto. Fratoianni replica: "Se c'è una svolta nel Pd ne discutiamo sul serio, ma per ora c'è solo l'attesa di una svolta. Preferisco guardare a De Magistris e ai movimenti".
Clima teso, al punto che il gruppo di Scotto e del vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio hanno anche pensato di non partecipare al congresso di Rimini. Problemi anche di equilibrio nel tesseramento: dai 4 mila tesserati della fine del 2016 si è passati a 22 mila.

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01 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/01/news/vendola_apre_a_d_alema_e_al_listone_unico_della_sinitra-157346291/?ref=nrct-14


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Sinistra, da Pisapia alla Cgil inizia l'estate delle grandi
Inserito da: Arlecchino - Giugno 17, 2017, 11:38:49 pm
Sinistra, da Pisapia alla Cgil inizia l'estate delle grandi manovre.

Alla ricerca dell'unità perduta. Sabato la manifestazione contro i voucher del sindacato guidato da Susanna Camusso: è il primo di una serie di appuntamenti in cui la sinistra italiana fa il punto su programmi e ambizioni politiche

GIOVANNA CASADIO
14 giugno 2017

Roma - La Cgil si riprende piazza San Giovanni a Roma, da dove mancava dal 25 ottobre del 2014. Allora la manifestazione era contro il Jobs Act, sabato prossimo sarà contro i voucher, cassati in modo da evitare il referendum, e ora riapparsi in parte nella “manovrina”. Mobilitazione di 200 pullman, di treni e di traghetti dalla Sardegna, oltre alla partecipazione dei leader della sinistra. Ci saranno Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, Arturo Scotto, Massimo Paolucci, Massimo D’Alema, Nicola Fratoianni, Nichi Vendola. Non ci sarà Giuliano Pisapia, il leader di Campo progressista. E’ il primo appuntamento della “estate calda” della sinistra. Sinistra alle grandi manovre per organizzarsi in vista delle elezioni politiche, benché non sembrino più dietro l’angolo. Ma la sinistra non può e non vuole farsi trovare impreparata.

Nella piazza dell’Ulivo il 1°luglio. Quindi i leader di Mdp-Articolo 1, ovvero gli ex dem ed ex vendoliani, hanno fatto pressing perché fosse già pronto l’appello del primo luglio a cui Pisapia ha chiamato tutte le forze di sinistra. Il logo per ora è un manifesto su sfondo arancione con il mese – luglio -, il numero 1 e il nome “Insieme” con l’aggiunta “Nessuno escluso”. Ha scritto Pisapia su Facebook: “L’appuntamento a Roma per un grande incontro nazionale aperto a tutte le forze politiche e sociali che vogliono costruire la casa di un nuovo centrosinistra che si candidi a governare il Paese”. Potrebbe essere il nome della futura lista della sinistra unita, magari declinato con alcuni principi di programma, ad esempio “Insieme per il lavoro”. Intanto tutti alle 16,30 il primo luglio in piazza Santi Apostoli, la storica piazza delle vittorie dell’Ulivo, una scelta tutt’altro che casuale.  Non mancano le polemiche. Sinistra italiana con ha gradito che tutto sia stato deciso senza consultarli.

Sinistra, da Pisapia alla Cgil inizia l'estate delle grandi manovre
Assemblea per la sinistra e l’uguaglianza domenica 18 giugno. Nel mezzo, tra la piazza della Cgil e quella della Sinistra di Pisapia e Mdp, ci sono altri due prove generali di unità a sinistra. Domenica 18 sempre Roma al Teatro Brancaccio Anna Falcone e Tomaso Montanari insieme alla sinistra che disse No al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, hanno lanciato l’Assemblea nazionale per la sinistra e l’uguaglianza. Su Facebook modalità di adesione e partecipazione. Con l’avvertenza che si riparte dal “civismo” per una sinistra unita e di popolo.  Di sicuro ci sarà Mdp con Massimo D’Alema che ha detto di vedere bene Anna Falcone come leader della sinistra, la Fiom di Maurizio Landini, molte associazioni.

A Napoli Pisapia e Bersani il 24 giugno. E alla vigilia dei ballottaggi ma soprattutto come prova generale della convention del primo di luglio, Bruno Tabacci il leader del Centro democratico che aderisce al Campo progressista di Pisapia ha organizzato una manifestazione politica a Napoli alla Stazione Marittima. Interverranno sia Pisapia che Bersani. Non mancheranno i “Marxisti per Tabacci”, i supporter nati alle ultime elezioni sui social.

Sabato 17 “manifestazione straordinaria”. Tornando al primo appuntamento, ieri la segretaria della Cgil, Susanna Camusso ha inviato una lettera aperta agli iscritti per chiamarli alla mobilitazione. Due cortei - da piazzale Ostiense e da piazza della Repubblica – confluiranno in piazza San Giovanni dove alla 12 interverrà la Camusso. Prima la scaletta prevede la testimonianza di giovani lavoratori. “Straordinaria è la manifestazione - spiega Camusso - perché urgente, straordinaria perché parla soprattutto di democrazia, straordinaria perché contesta comportamenti antidemocratici che non hanno precedenti nella storia repubblicana”. E ricorda le firme per i referendum con cui si abrogavano alcuni punti del Jobs Act tra cui i voucher, ora reintrodotti nella “manovrina”. Mdp minaccia di non votare la fiducia alla “manovrina”, se non saranno cancellati. E al Senato i 16 voti dei demoprogressisti sono ago della bilancia.

© Riproduzione riservata 14 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/14/news/estate_sinistra-168058333/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T2


Titolo: GIOVANNA CASADIO. - Intervista all'ex ministro e leader radicale.
Inserito da: Arlecchino - Settembre 01, 2017, 12:04:42 pm
Bonino a Repubblica: "Siamo diventati intolleranti. Salvini e Di Maio imprenditori della paura"

Intervista all'ex ministro e leader radicale. "La colpa non è dell'Unione Europea ma dei singoli Stati"

Di GIOVANNA CASADIO
27 agosto 2017

"Nella guerriglia per gli sgomberi a Roma abbiamo perso tutti: la politica, il paese, i migranti stessi".
Emma Bonino, ex ministro degli Esteri e leader radicale, soprattutto denuncia "gli imprenditori della paura, da Salvini a Di Maio e non solo".
 
Bonino, la guerriglia a Roma per lo sgombero del palazzo occupato dai profughi si poteva evitare?
"Mi pare di avere capito dalle dichiarazioni del ministro Minniti che si eviteranno d'ora in poi. E questo è di per sé un giudizio chiaro".
 
Le sembra una autocritica?
"Una ammissione netta che non è questa la strada. Penso che in quell'episodio dello sgombero a Roma, come in molti altri, anche se di diverso genere, stiamo perdendo tutti. La politica, il paese, i migranti stessi. Il senso dei diritti e dei doveri per tutti. Una politica rigorosa di integrazione può aiutare anche la sicurezza".
 
Il parroco pistoiese minacciato da Forza Nuova per avere regalato una giornata di piscina a un gruppo di profughi. Barricate per non ospitare un gruppetto di minori non accompagnati. Gli italiani sono diventati razzisti?
"In parte. Ma certamente sono intolleranti verso chiunque sia altro e diverso. In particolare se povero. Si veda il cartello contro l'handicappato nel centro commerciale di Carugate nel milanese, che nulla ha a che vedere con i colori della pelle, eppure coperto di insulti comunque".
 
L'emergenza migranti provoca paura, amplificata dal timore che i terroristi islamici arrivino sui barconi?
"Veramente abbiamo visto all'opera dei veri imprenditori della paura, da Salvini a Di Maio e non solo. Eppure se apriamo le pagine di cronaca abbiamo liste lunghissime di atti criminali e violenti, specie contro le donne, compiuti da italiani "bianchi". Per non aggiungere che la stragrande maggioranza di terroristi abitano e vivono da noi".
 
Sono diminuiti gli sbarchi. La strategia di Minniti funziona?
"È evidente che meno ne scappano più ne rimangono nei lager libici. L'avevo detto già alla convention di Renzi al Lingotto: attenti, più ne tappiamo in Libia più aumenterà il numero delle persone sottoposte a torture, ricatti, stupri, cosa che sta avvenendo, testimoniata da reportage non solo italiani, ma internazionali e dalle Nazioni Unite. Senza dimenticare che a parte i centri visitabili e gestiti dal Dipartimento del governo libico, ce ne sono decine, in particolare a sud della Libia, affidati alle milizie. Terribili e senza testimoni. Il ministro Minniti nella conferenza stampa di Ferragosto ha detto che questo è il suo "assillo", usando un eufemismo, perché tutti sono a conoscenza della situazione e bisogna ammetterlo per onestà intellettuale".
 
La tregua dei flussi ha un prezzo?
"Il prezzo è drammatico e lo pagano "loro", quelli tappati in Libia. Ma lontani dagli occhi, lontani dal cuore. Noi continuiamo a fare finta di non sapere, magari nella speranza che arrivi l'Unhcr o le Ong umanitarie a tentare di alleviare questi drammi indicibili".

Ong finite sotto inchiesta. C'è stato un eccesso di disinvoltura da parte di alcune?
"Non so, c'è una sola inchiesta aperta dalla Procura di Trapani. Comunque in quelle stesse Ong così vituperate recentemente, si spera. Ma succede sempre così, quando la politica annaspa, si chiamano gli umanitari. Lo so bene per esperienza da commissaria europea. Ricordo che nella crisi dei Grandi Laghi a metà degli anni Novanta, con due milioni di profughi ruandesi, la comunità internazionale pretendeva che fossero gli umanitari, medici, infermieri a disarmare a mani nude i rifugiati armati. Ma lo stesso è successo in Afghanistan, Iraq, attualmente nello Yemen, per non dimenticare Srebrenica".

L'Europa è sempre la grande assente?
"Sono gli stati membri ad essere non solo assenti ma decisamente contrari a una politica estera comune, oltre che a una politica di integrazione comune. Ognuno per sé. Quindi inutile e falso prendersela con Bruxelles. Che pure quando fa proposte - come la ricollocazione di 160 mila rifugiati in due anni - non le attua nessun paese".
 
Cosa andrebbe fatto?
"Nella campagna "Ero straniero" di Radicali, Arci, Acli, Centro Astalli e molti altri, abbiamo una serie di proposte nella legge di iniziativa popolare. Perché dipende solo da noi. Tanto più che il nostro declino demografico ha bisogno di nuovi arrivi ovviamente legali, impossibili con l'attuale legge Bossi-Fini. So perfettamente che non è facile, non ci sono soluzioni miracolose. Però osservo che centinaia di sindaci (pochi sugli 8 mila) e operatori del settore stanno attuando politiche di inserimento e integrazione. Ma serve ripartire dalla testa e non farsi governare solo dalla pancia".
 
Roma, polizia carica a Termini e disperde i rifugiati. Il funzionario: "Se tirano qualcosa, spaccategli un braccio''
© Riproduzione riservata 27 agosto 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/08/27/news/bonino_a_repubblica_gli_italiani_sono_diventati_intolleranti_salvini_e_di_maio_imprenditori_della_paura_-173950175/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S3.4-T1


Titolo: GIOVANNA CASADIO. Modello "Linke" alla sinistra del Pd: "Al lavoro per una lista
Inserito da: Arlecchino - Settembre 27, 2017, 12:36:40 pm
Modello "Linke" alla sinistra del Pd: "Al lavoro per una lista unitaria alle Politiche"
Via libera a un raggruppamento elettorale che tiene insieme Mdp, Campo progressista, Sinistra Italiana e Possibile.
Assemblea nazionale a novembre, dopo il voto in Sicilia. Ma resta il nodo della legge elettorale.
E intanto Civati lancia le "popolarie"

Di GIOVANNA CASADIO
27 settembre 2017

Roma. Eppure la sinistra si muove. Immagina anche gazebo per organizzare una grande Assemblea a novembre, dopo le regionali siciliane, che dovrà dare il via libera alla lista unitaria per il voto politico. Il dado è stato tratto lunedì pomeriggio in una riunione dove c'erano Roberto Speranza per Mdp, Pippo Civati per "Possibile", Nicola Fratoianni per Sinistra Italiana e Ciccio Ferrara di Campo Progressista, il movimento di Giuliano Pisapia. Ma la prossima settimana, lunedì o martedì, nella riunione operativa ci saranno anche Tomaso Montanari e Anna Falcone. Tutti insieme per una sorta di Linke con una spruzzata di Spd tanto cara a Bersani e una buona dose ambientalista: è la sintesi di Pippo Civati.

Civati e Speranza spingono per accelerare.  "Facciamo campagna elettorale per preparare la campagna elettorale, forse è tempo di muoversi": è la battuta. Da Campo progressista qualche resistenza per evitare di finire in un recinto massimalista. "La possibilità di fare la lista unitaria ormai si intravede", scommette Stefano Fassina di Sinistra italiana.   

E Civati lancia già le "popolarie”, una consultazione della base con votazioni dalle 9 di giovedì 28 alle 18 di sabato 30 settembre sulla piattaforma "partecipazione.possibile.com" che saranno intanto aperte a tutti gli iscritti. Si vota un documento da sottoporre poi agli altri della Linke. Il prossimo passo però saranno mobilitazioni un po' dappertutto, dalle fabbriche ai quartieri per preparare l'Assemblea che dovrebbe avere circa mille delegati.

Incontro anche tra Pisapia e i demoprogressisti per parlare della manovra economica e delle modifiche da chiedere al premier Gentiloni. Qui le distanze restano soprattutto sull'atteggiamento da tenere. Mdp minaccia di non votare la fiducia se le proposte della sinistra non saranno accolte. Campo progressista chiede senso di responsabilità: "Non si può usare il Def come un'arma di ricatto, noi dobbiamo andare al tavolo con il governo con poche richieste e senza minacce".

Di certo se passasse il Rosatellum bis, la legge elettorale che rende indispensabili coalizioni per i collegi uninominali, la sinistra italiana si troverebbe a un bivio: con il Pd o contro il Pd?

© Riproduzione riservata 27 settembre 2017


Titolo: Giovanna Casadio. FRANCESCO LAFORGIA parla di nemesi della politica: ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 22, 2018, 05:55:27 pm
Buon compleanno, candidato senatore

FRANCESCO LAFORGIA parla di nemesi della politica: “Il Senato che doveva essere cancellato dalla riforma costituzionale di Renzi, sarà la vera arena politica della prossima legislatura perché a Palazzo Madama si sono candidati Matteo Renzi e Matteo Salvini”.

E anche Laforgia è candidato al Senato per Liberi e uguali. Candidato per un pelo. Ha infatti appena compiuto l’età per presentarsi nelle liste del Senato: 40 anni, essendo nato il primo febbraio del 1978.

Ha fatto a braccio di ferro in Leu: il partito voleva mandarlo lontano dalla Lombardia in un listino della Camera sicuro in Puglia o altrove. Lui ha tenuto duro: “Preferisco Milano, grazie. Qui ho fatto attività politica da sempre”. E infatti Laforgia è stato coordinatore milanese del Pd, tessendo la tela che portò all’elezione di Giuliano Pisapia sindaco, prima di passare con Pierluigi Bersani e Roberto Speranza nel nuovo partito della sinistra. Quando sembrava che proprio a Milano, dove si è candidata Laura Boldrini alla Camera non ci fosse modo e maniera, Laforgia ha spiazzato i compagni alle prese con le liste: “Io vado al Senato”, ha chiesto. E carta d’identità alla mano, ha mostrato che i requisiti c’erano e anche le condizioni per farcela. E’ in due listini proporzionali capolista e anche nell’uninominale.

“Buon compleanno, senatore”: lo hanno salutato i compagni accettando la proposta prima di presentare le liste. Se sarà eletto, sarà il più giovane senatore della prossima legislatura.

Dice di sentirsi come un soldato alla campagna d’inverno: “C’è nel paese un clima di grande ostilità nei confronti della politica”. Giovedì a Milano con Piero Grasso e Laura Boldrini proveranno a convincere gli indecisi in una convention alla Camera del Lavoro alle 18.

Giovanna Casadio

da - http://politiche2018.blogautore.repubblica.it/buon-compleanno-candidato-senatore/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.5-T2



Titolo: GIOVANNA CASADIO. Lepri, l'Asterix Pd eletto all'uninominale nel Nord Italia...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 09, 2018, 06:22:35 pm
Lepri, l'Asterix Pd eletto all'uninominale nel Nord Italia: "Lotti ha vinto, ma aveva un collegio blindato"

A Stefano Lepri l'attacco del ministro dello Sport Orlando, su chi vince grazie al paracadute, non piace. E' l'ultimo atto di uno scontro che scuote un Pd sotto shock

Di GIOVANNA CASADIO
08 marzo 2018

"Beh, c'è chi è stato messo in un collegio blindato. Non è che sempre c'è stato bisogno del paracadute. Empoli dove correva Luca Lotti mi pare lo fosse blindato. E lo posso dire io che ho vinto in un collegio impossibile". Stefano Lepri è tra i pochi Asterix - questo il soprannome social dato un po' per sfotto', un po' affettuosamente ai dem che hanno vinto nei collegi uninominali del Nord d'Italia. A Lepri l'attacco di Lotti a Andrea Orlando, leader della minoranza, su chi vince grazie al paracadute del proporzionale non piace. Ultimo atto di uno scontro che scuote un Pd già sotto choc.
Stefano Lepri, lei è una mosca bianca, ha vinto un collegio uninominale al Nord.
"Sì, a Mirafiori. L'unico collegio vinto in periferia dal Pd".
Quanti altri "villaggi di Asterix" ci sono stati?
"Al Nord sono: a Milano centro, dove ha vinto Bruno Tabacci; Lia Quartapelle a Milano 2; Mattia Mora a Milano 3. A Torino centro Andrea Giorgis; al Senato Mauro Laus e io, l'unico in un collegio periferico. A Mirafiori. Che è un territorio soprattutto popolare, con quartieri operai e altri di media borghesia"
E con quanti voti di scarto ha vinto?
"Ho vinto con il 33% e una differenza di mille e trecento voti di scarto dal candidato del centrodestra Paolo Greco Lucchina".
Ma soprattutto come ha fatto?       
"E' stata una campagna elettorale a 360 gradi, mobilitando tutte le anime del Pd. Abbiamo creato chat whatsapp così da avere una rete dei gruppi operativi del collegio. D'altra parte conosco questo quartiere bene, avendoci vissuto per 30 anni. Ho lavorato sul reticolo di associazioni di volontariato. Le parrocchie mi hanno dato una mano. Essendo stato assessore ai servizi sociali con i sindaci Sergio Chiamparino e Valentino Castellani, forse avevano un buon ricordo di me. Insomma la ricetta è stare molto sul territorio, nel porta a porta, nelle strade, nei mercati, volantinando agli incroci delle strade. Sa quante ore sono stato per strada?"
Quante?
"Sei, sette ore al giorno in giro".
Lei è stato in questa passata legislatura nella pattuglia dei cattodem, contro la stepchild adoption, l'adozione del figlio del partner nelle coppie gay, quando si è discusso di unioni civili. Questo ha avuto un effetto in positivo o in negativo sulla sua campagna elettorale?   
"No. Del resto io sono stato contro la stepchild ma per l'affido rafforzato e a favore delle unioni civili come del biotestamento. Non ho fatto l'integralista come qualcuno voleva dipingermi. I dubbi che avevo sulla stepchild li condividevo con il 70% degli italiani, come risultava dai sondaggi".
E' sempre stato renziano, ora Renzi cosa dovrebbe fare secondo lei?
"Renzi si è dimesso. Era giusto farlo. Si va incontro a una stagione in cui ripensare tutto, anche il nostro modo di essere un partito di sinistra. Ad esempio avremmo dovuto puntare meglio e prima a rilanciare il sostegno per i figli a carico fino a 240 euro. Sarebbe stato un segnale di attenzione che avrebbe raggiunto il ceto medio ma anche gli incapienti. Dobbiamo ripartire dalle attese del popolo".
Si vanno a vedere le proposte dei 5Stelle?
"Ma no! Stiamo all'opposizione, loro hanno vinto con promesse da mercate, ugualmente il centrodestra. Il reddito di cittadinanza, la flat tax, via gli immigrati, tutti in pensione prima sono promesse da mercanti".
Lotti accusa i dem che hanno vinto solo grazie al paracadute del proporzionale, l'ex ministro Orlando in testa, di pontificare "non avendo mai vinto".
"Empoli, dove Lotti ha vinto, è un collegio uninominale blindato, non c'è bisogno sempre del paracadute..."
 
© Riproduzione riservata 08 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/08/news/lepri_l_asterix_pd_che_ha_vinto_in_un_collegio_del_nord_lotti_ha_vinto_ma_in_un_collegio_blindato_-190807982/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-L