LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. => Discussione aperta da: Admin - Settembre 24, 2008, 12:02:02 pm



Titolo: ALDO GRASSO.
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2008, 12:02:02 pm
A fil di rete

Il sindacalese di Lilli Gruber


A ridatece er puzzone! Una stagione è finita per sempre, improbabile che Giuliano Ferrara torni in tv, a breve termine, difficile che una trasmissione riesca ancora a proporci quei percorsi di conoscenza che sono stati la caratteristica principale di «Otto e mezzo». La comprensione degli avvenimenti di cui si discute in video nasce solo dal confronto di idee (ma prima di tutto bisogna averne, presupposto di cui la tv del quotidiano non tiene conto).

Quante lettere sono arrivate sul nostro Forum per ribadire un solo concetto! Che è questo: io non la penso come Ferrara però non riesco a fare a meno delle sue discussioni! Per questo sarebbe stato più opportuno cambiare nome all'appuntamento, cambiare collocazione, cambiare le carte in tavola. E invece «Otto e mezzo » e rimasto «Otto e mezzo», salvo che ha condurlo, sbaraccata la vecchia redazione, ci sono Lilli Gruber e un suo sparring partner, Federico Guiglia (La7, dal lunedì al venerdì, ore 20.30).

Pur continuando a essere un convinto europeista, non credo però che il Parlamento europeo faccia miracoli: la Gruber è sempre la Gruber (a parte le labbra), con quella sua aria da Sarah Palin altoatesina, quel suo parlar sindacalese, quel mettersi di traverso, nel corpo e nello spirito. Per non scivolare nei pregiudizi, voglio portare un esempio concreto: l'economista Tito Boeri, al di là delle sue convinzioni, è una persona estremamente civile, garbata, professionale e professorale. Ebbene, per la prima volta, è stato tirato per la giacca in una quasi rissa. Colpa di quel comandante dell'Alitalia, Fabio Berti, simpatico come una picconata in faccia, ma colpa anche di un dibattito fintamente imparziale. Così fintamente imparziale che la Gruber, mentre scorrevano i titoli di coda, ha fatto a Maurizio Sacconi la domanda che un giornalista non dovrebbe mai fare: «Ministro, si sente di essere ottimista?». Perché non «come vede il bicchiere?». Per dire: lo sparring partner è stato più puntuale nelle domande del campione.


Aldo Grasso
24 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO.
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2009, 12:47:18 pm
SCENARI

Se Fiorello passa a Sky

Il conflitto con Mediaset: dalla ritorsione per l'Iva ai nuovi mercati


Svanito il trasferimento di Kakà al Manchester City, quello di Fiorello a Sky potrebbe essere la notizia dell'anno.
Fin troppo clamorosa per essere vera.

Uno show teatrale registrato dalle telecamere di Sky non significa per forza che Fiorello stia per diventare il volto nuovo della tv di Rupert Murdoch. Anche se...

Le ipotesi di scuola, come si dice in questi casi, sono più che interessanti. La lettura della ritorsione di Murdoch nei confronti di Berlusconi per l'inopinato raddoppio dell'Iva sugli abbonamenti è la più facile ma anche la più banale. Le cose non stanno così. In un momento di crisi generale e di conseguente discesa degli investimenti pubblicitari quello che eventualmente potrebbe interessare a Sky è la torta della tv generalista, che è ancora consistente e generosa. Del resto, alcuni canali di Sky attuano ormai un'offerta da tv generalista, non solo con la riproposta dei programmi più significativi di Rai e Mediaset, ma anche con una politica tesa a conquistare le fasce più ampie dell'audience.

Se, con il posticipo di calcio e qualche film di successo, Sky proponesse una prima serata con Fiorello il gioco sarebbe fatto. Del resto, stiamo vivendo una fase di trapasso in cui il pubblico sta mandando precisi segnali di una trasformazione delle proprie abitudini, pronto ad abbracciare le nuove piattaforme se attratto da un contenuto capace di mobilitarlo. E fra i due poli della tv generalista gratuita e della tv a pagamento si aprirebbe una vasta area di conquista. Piacevolmente occupata da Fiorello. Quanto al protagonista di questa vicenda, si aprirebbe per lui un’occasione unica: sarebbe il primo showman italiano a simbolizzare il volto non di una rete ma di una piattaforma.

Soprattutto non avrebbe più problemi di spazi e di orari, al limite potrebbe avere un canale tutto per sé, una specie di canale laboratorio dove fare radio, musica, tv e spot con Mike Bongiorno. Oggi è fantatelevisione, domani non più.

Aldo Grasso
20 gennaio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO.
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 03:40:09 pm
A fil di rete

Ceronetti, Signorini e i paradossi della tv

Ci sono momenti in cui bisogna rassegnarsi all'inconoscibile, all'indecifrabile.

È così, non ci si può fare nulla, meglio limitare i commenti.


Guido Ceronetti ha infine ceduto alle sirene della tv ed è andato da Fabio Fazio a presentare un suo libretto di poesie.
Ho amato (e amo) tantissimo Ceronetti, ho avuto il privilegio di vedere nascere il suo teatro domestico, a Cetona, al punto di vergognarmi non poco con lui per il mestiere che faccio. Porto nel cuore alcune sue parole sulla tv: «Accendere il televisore è spegnere il bambino »; «Un certo grado di iconofobia è necessario alla purezza morale. Siamo in una pattumiera terrificante di immagini in movimento: le peggiori sono quelle che stanno lì, davanti a un tavolo, e parlano». Vederlo in tv mi ha creato sconcerto. Ma è un problema mio, non suo. Era già successo con Elemire Zolla.

Anche il comedian Piero Chiambretti ha sentito il bisogno di dire la sua sul caso Englaro, e sul caso Mentana. Chi non sa dovrebbe tacere, ma la regola non vale per la tv. Anzi. Per «approfondire » il discorso Chiambretti ha invitato Maurizio Costanzo ed Emilio Fede. L'uno ha inventato la «tv del dolore» e l'altro si è vantato di aver «gestito » la vicenda di Vermicino, il buco nero della nostra storia televisiva. Ancora una volta la tv si parla addosso e affida alle piovre mediatiche la sua legittimazione.

Due settimane fa, Alfonso Signorini ha maltrattato in diretta il «cappio espiatorio », ovvero la hostess dell'Alitalia Daniela Martani. L'ha umiliata davanti al paese intero, dicendole che sta rubando un posto di lavoro. Il tono era esagerato ma la sostanza giusta. Lunedì, Signorini ha regalato la copertina di «TV Sorrisi e Canzoni» alla hostess del Grande Fratello, intervista per l'occasione dall'«amico del cuore» Massimo Giletti. Olè. «La vita rimescola dati e dadi; l'ultima parola, su tutto, la dirà il silenzio» (Ceronetti).

Aldo Grasso

12 febbraio 2009
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Quel milione di euro a Bonolis
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2009, 10:39:01 am
La televisione e la crisi

Quel milione di euro a Bonolis

Il Servizio pubblico e un «modello virtuoso»


Che strano Paese, l'Italia. Operai e impiegati in cassa integrazione, aziende che collassano da un giorno all'altro, il prodotto interno ai minimi storici ma Paolo Bonolis prende un milione di euro per condurre il Festival. Qualcosa non torna. L'amministrazione Obama ha fissato un tetto massimo di 500 mila dollari ai salari dei grandi dirigenti delle aziende destinatarie dei fondi di salvataggio. Il provvedimento ha due scopi: puntare a una maggiore trasparenza e soprattutto dare l'esempio. Per una vecchia legge morale: se l'insegnamento non viene dall'alto, nessuno muove il primo passo. Che strano paese, l'Italia. Non è solo la Banca centrale a suggerire fosche previsioni (crescita zero, diminuzione delle esportazioni, compressione dei salari), lo è piuttosto la realtà quotidiana: molte famiglie non arrivano alla quarta settimana del mese, negozi in crisi, il precariato giovanile a livelli drammatici.

Eppure Paolo Bonolis, presentatore televisivo, e Roberto Benigni, lettore televisivo di Dante, prendono dal Festival di Sanremo una barcata di soldi. C'è anche Maria De Filippi (il suo compenso andrà in beneficenza), corsa tris della scuderia Lucio Presta. Bonolis si difende dicendo che ha lavorato per un anno al Festival come direttore artistico. Insomma, lavora a progetto, è il co.co.co. più ricco d'Italia. Complimenti.

E dire che il Servizio pubblico televisivo, proprio perché si rivolge alla stragrande maggioranza delle famiglie, proprio perché ha un'audience la cui consistenza principale è rappresentata dalle fasce meno abbienti della popolazione, avrebbe il dovere di porsi come modello virtuoso. Poco vale la giustificazione che i soldi per Bonolis e Benigni li tirano fuori gli sponsor. No, li tiriamo fuori noi: prima con il canone, poi al supermarket.

Non passa giorno che i nostri governanti non ci esortino al sacrificio: per l'Alitalia, per uscire dalla crisi, per risanare i conti pubblici.

Il presidente Silvio Berlusconi ha recentemente affermato «che tutti quanti in coscienza dobbiamo dare il nostro piccolo contributo affinché questa crisi non sia così drammatica». Ha ragione, se però, in coscienza, il contributo cominciasse a venire da una manifestazione musicale come Sanremo avrebbe anche un valore simbolico (non moralistico). Riguardo poi ai sacrifici, chi li fa e chi li predica la pensano in modo differente.

Ma ai primi è data scarsa possibilità di dirlo.


Aldo Grasso
13 febbraio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. «Scherzi» volgari e conformisti
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2009, 03:12:53 pm
A FIL DI RETE

«Scherzi» volgari e conformisti


E se il comunismo volesse dire anche buon gusto? Faccio fatica a seguire Scherzi a parte, trovo che sia la trasmissione più volgare e conformista della nostra tv (Canale 5, giovedì, ore 21.10). Dopo la figura barbina fatta l'altra sera da Amauri e da Fabio Quagliarella spero che le squadre di calcio vietino ai loro tesserati di prendere parte alla trasmissione: ma c'è sempre una moglie che vuol apparire, c'è sempre un amico che... Per dire il livello della trasmissione: la produttrice Fatma Ruffini (che, naturalmente, chiude a chiave una burla che la riguarda) ha ritenuto di mandare in onda uno scherzo idiota fatto a Gigi D'Alessio in cui compare anche Enrico Mentana. Cornuto e mazziato! Fra i conduttori c'è Claudio Amendola uno che si vanta di aver sempre votato Democrazia proletaria, Rifondazione ma mai Pci, mai Pds, mai Ds. Quasi a dimostrare che uno duro e puro come lui è difficile trovarlo.

E agli intervistatori che gli fanno notare come il suo spirito proletario strida un po' con il lusso di cui si circonda (ultima arrivata una barca da 4 milioni di euro), l'ex «coatto de Roma» risponde sempre: «Il comunismo oggi non vuol dire Lenin e Stalin. Vuol dire giustizia sociale, pagare le tasse, vivere moralmente sani, non sprecare, non sfruttare, pagare i contributi, seguire gli insegnamenti di Gesù Cristo». Sullo spreco e sull'uso indebito degli insegnamenti di Cristo è meglio sorvolare. Ma la lettura di Scherzi parte potrebbe essere un utile esercizio critico per capire la fine del comunismo, almeno della sua parte più ideologica e salottiera. La coerenza è gradita, ma il buon gusto obbligatorio. In coppia con un campione della grevità come Teo Mammucari, Amendola riesce a esacerbare il programma, a renderlo ancora più gretto. Scherzi a parte, ma una cosa non ho mai capito, da ingenuo: se uno è comunista perché non vive da comunista?

Aldo Grasso
14 febbraio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Gruber, il trionfo del Luogo Comune
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2009, 03:42:17 pm
a fil di rete

Gruber, il trionfo del Luogo Comune

Il merito principale di un conduttore non è di dire cose intelligenti (alla Piroso) ma di farle dire ai suoi ospiti.
 

Vorrei tanto ricredermi su Lilli Gruber, ma per quanti sforzi faccia non ci riesco.

Appena affronta un tema di cui ho qualche vaga cognizione, mi accorgo che in lei agisce potente il Demone del Luogo Comune. Il merito principale di un conduttore non è di dire cose intelligenti (alla Piroso) ma di farle dire ai suoi ospiti. Come faceva Giuliano Ferrara. Come non riesce a fare la Gruber.

Aveva in studio due «numeri uno» come Carlo Freccero e Giorgio Gori e ha strappato loro solo balbettanti frasi fatte. Per confermare la sua vocazione di canale colto, di nicchia, La7 ha contrapposto alla seconda serata di Sanremo Quinto potere, il celebre film del 1976 di Sidney Lumet dedicato alla tv. Il film è stato anticipato, come nei migliori cineforum, da una puntata speciale di «Otto e mezzo» che si prefiggeva di spiegare quali strade prenderà la tv del futuro. In un curioso cortocircuito temporale tra passato e futuro, il film ha dato più risposte del dibattito. Certo, le domande in gioco erano di portata epocale: la tv generalista è destinata a morire? Il web cannibalizzerà tutti gli altri media? Come può la sinistra italiana instaurare un rapporto meno snob con la tv?

Quando Gori afferma, con echi francescani, che la sinistra deve «imparare a comprendere e amare le audience», si capisce come nello studio aleggiasse ancora l'idea moraviana di un pubblico televisivo «di serie B». Anche Luxuria, vincitrice dell'«Isola dei famosi», ha dichiarato di guardare poco la tv, di perdersi Sanremo per andare a teatro. Spesso i progressisti compiono il paradossale errore di leggere l'avvenire del piccolo schermo con strumenti del passato e la tv appare loro come uno strumento pericoloso, che ci impone passivamente cosa consumare, per chi votare. Salvo poi frequentarla.

La Gruber fa tv e si crede Peter Finch, Gori fa programmi ed è come Faye Dunaway: esulta quando «fa centro», con gli ascolti.

Aldo Grasso
20 febbraio 2009



Titolo: ALDO GRASSO. La prima cosa che Candido mi diceva ...
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2009, 06:19:11 pm
Il personaggio Popolarissimo fra i tifosi

In redazione e in tv una lunga battaglia per lo sport pulito

«Il doping è autodistruzione»


La prima cosa che Candido mi diceva incontrandomi nei corridoi del Corriere era questa: «Ma come fa a piacerti il Grande Fratello? Io quella porcheria non la guardo mai». «Candido, se non lo guardi come fai a giudicarlo? », tentavo di rispondergli. Non c’era verso, l’unica strategia per non privarsi dei suoi discorsi ed evitare di parlare del Grande Fratello era di accompagnarlo a pranzo, in mensa. Il paradosso di questo straordinario uomo stava in questi suoi gesti apparentemente indecifrabili.

Il direttore storico della Gazzetta dello Sport, il giornalista sportivo più popolare d’Italia, un intellettuale di grande sensibilità amava incontrare le persone nella mensa aziendale: nella mezz’oretta del pranzo aveva modo di informarsi su varie cose, di salutare una cinquantina di persone che lo riverivano con affetto, di soddisfare la sua curiosità in mille campi. Sapeva tutto di tutto: mercoledì a Luca Traverso, direttore divisione Corriere-Rcs, grande tifoso genoano, ha tenuto una lezione su Enrico Preziosi e sul dramma del tifoso risucchiato sotto il pullman della Fiorentina. Un discorso di grande umanità. Unito alla fanciullesca felicità di aver ricevuto un premio a Barcellona. Pur essendo il giornalista più preparato e anche più attento agli sport cosiddetti minori non si atteggiava mai a Solone. Per questo guardava la tv con diffidenza; per questo non è mai diventato un personaggio televisivo, si è sempre tenuto alla larga dal circo mediatico.

Veniva invitato spesso in tv, in tutte le principali trasmissioni sportive, ma come ospite. È stato persino imitato con grande spirito da Maurizio Crozza a «Quelli che il calcio» condotto da Fabio Fazio (in verità, Candido subito storceva un po’ il naso quando sentiva battute come questa, poi però abbozzava: «Varenne, a fine carriera, smetterà di correre e farà lo stallone. E anch’io, tra pochi mesi...»), masi è sempre rifiutato di far parte della compagnia di giro. Lui apparteneva alla carta stampata, e ci teneva sempre a precisarlo. La sua prima preoccupazione era che la tv stava divorando lo sport. Dal punto di vista professionale, innanzitutto: «In questi anni—diceva spesso— abbiamo dovuto ripensare i giornali. Oggi devi dare per scontato che la gente sa già che cosa è successo quando compra il giornale. E devi costruire delle storie, entrare dentro l’anima degli sportivi perché quello è l’unico posto dove le telecamere non possono arrivare». Ma anche dal punto di vista morale, aspetto che lo interessava ancora di più: «Esiste un mercato del cattivo gusto e il trionfatore è Aldo Biscardi. Imbattibile. I più casinisti, i presidenti peggiori li trova sempre lui. Ha fiuto. Siamo amici, ma la sua è una tv che non mi piace». Candido assomigliava molto a «Candide», il protagonista del racconto di Voltaire.

Credeva in un mondo migliore, lavorava per un mondo migliore, continuava a lavorare per rendersi sopportabile la vita. I suoi numerosi interventi al «Processo» del Giro d’Italia si tramutavano in sfuriate contro il doping: «Il doping è una vera tragedia; per il ciclismo, sport umanamente eccezionale, rappresenta una sorta di maledizione. Ma è tutto lo sport che corre verso una sorta di autodistruzione, con la ricerca sempre più esasperata della prestazione, a scapito della fantasia e della tecnica. È tutto più muscolare e sui muscoli purtroppo si può agire con le sostanze dopanti». Quando andava in tv sembrava che venisse da un altro pianeta. Mentre gli altri si scannavano, lui cercava di usare ancora parole desuete come «morale», «etica», «sportività», di proporre esempi positivi, campioni dello sport ma anche modelli di vita. Parlava spesso di Giacinto Facchetti, Sara Simeoni, Livio Berruti, Deborah Compagnoni. Su Marco Pantani, che amava moltissimo, ha versato lacrime amare di delusione. Mala risposta che più lo caratterizza è quella che dava ai giornalisti che lo stuzzicavano sulla sua squadra del cuore: «Ho tifato per il Milan, per la Juve, per l’Inter e per la Roma. Tutto purché il campionato fosse vivace, nell’interesse della mia ditta, la Gazzetta dello Sport». Candido, il campionato di calcio ti ha dedicato un minuto di raccoglimento.

Aldo Grasso

23 febbraio 2009
da corriere.it



Titolo: ALDO GRASSO. E anche Di Vittorio ha il suo «santino»
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2009, 03:45:53 pm
A FIL DI RETE

E anche Di Vittorio ha il suo «santino»

Troppo agiografica la fiction Rai sul fondatore della Cgil con il bravo Pierfrancesco Favino
 

MILANO - Qui non si parla di Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 - Lecco, 1957), contadino, autorevole esponenti del sindacato, segretario della Cgil, autodidatta, deputato, efficace comunicatore, sposato due volte. Qui non si parla delle licenze storiche che gli sceneggiatori si sarebbero prese. No, qui si parla di fiction. E devo tristemente constatare che ci troviamo di fronte all'ennesima agiografia, l'unico modello cui sa appellarsi la serialità italiana secondo frusti stilemi: il «santo» da vecchio, un flashback, l'infanzia infelice (il piccolo cafone è costretto a guadagnarsi un tozzo di pane scacciando i corvi dai terreni arati), la lotta, le donne e gli amori, la beatificazione.

LA FICTION - L'agiografia della fiction Rai è figlia della lottizzazione, la sua mala pianta; spero che un giorno si arrivi ad analizzare in profondità questo fenomeno pervertito. Un «santino» non lo si nega a nessuno a destra, come a sinistra. «Pane e libertà. Giuseppe Di Vittorio» è la miniserie scritta da Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella e Alberto Negrin e diretta dallo stesso Negrin. L'agiografia si distende con un andamento vagamente da film western (il buono è Di Vittorio, il cattivo è don Luca, il latifondista, e il brutto è tutto il resto), ambientato però in Puglia facendo ricorso a un'iconografia da «Quarto stato» di Pellizza da Volpedo. Naturalmente Pierfrancesco Favino è bravo, davvero molto bravo, ma è solo in questa lunga cavalcata nel deserto della fiction italiana. E poi in due puntate bisogna farci stare tutto: il lavoro nei campi, le tragedie familiari, i primi scioperi, la fondazione della scuola serale, la repressione dell'esercito, l'assalto alla Camera del Lavoro di Bari, il Parlamento, l'esilio a Mosca, la guerra di Spagna... Negrin è un bravo regista. Molte delle sue opere però sono sempre vittime di una ragione politica superiore: da «Operai» (1969), a «Viaggio nel terrore», a «Pane e libertà».

Aldo Grasso
17 marzo 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Divi per uscire da ghetto della tv di nicchia
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2009, 10:28:05 am
STRATEGIE

Divi per uscire da ghetto della tv di nicchia

Alla ricerca di un modello di audience più appropriato


MILANO - Intanto Sky Vivo diventa Sky Uno per scrollarsi di dosso una sorta di cattivo auspicio. Tempo fa, quando i dirigenti di Sky diedero vita un canale con tendenze generaliste pensarono di invitare Maurizio Costanzo con un programma che si chiamava «Stella». Ma gli esiti non furono quelli sperati. Così, fra gli addetti ai lavori, Sky Vivo diventò subito il suo contrario, con spreco di scongiuri (di qui, forse, l'immotivato e invido risentimento di Costanzo nei confronti Mike, reo di spalleggiare Fiorello). La vera ragione della scelta generalista è un'altra. Nell'ormai guerra dichiarata fra Sky e Mediaset (con il supporto della Rai) bisogna metter in conto una eventualità: che Mediaset e Rai abbandonino la piattaforma Sky per costruirne una propria, a integrazione del digitale terrestre.

Decisione non facile per la Rai: le sue reti satellitari sono infatti pagate da Sky e non si vede dove Viale Mazzini possa reperire altri soldi per tenerle in vita; inoltre, come Servizio pubblico, la Rai dovrebbe essere aperta a tutte le piattaforme. Decisione non facile ma probabile. Ecco perché Sky si sta attrezzando per una rete rivolta a tutti, per uscire un po' dal ghetto della tv di nicchia. Solo creando eventi (finora relegati allo sport, visto che il settore cinema è poco attrattivo), solo sfondando nel settore intrattenimento, solo incrementando la «tv dei divi» (Fiorello, Cuccarini, Panariello, e un domani, chissà, persino Celentano, Mike...) si può dare uno scossone alla fisiologia degli abbonamenti. Tuttavia, parlare di tv generalista è un azzardo. Per definizione la pay tv non può essere generalista. La presenza di Fiorello ci suggerisce invece un modello di audience più appropriato: Sky punta a costruirsi un pubblico di tendenza, una via di mezzo tra la generalista e la tv di nicchia, il pubblico che si espande con il passaparola (o passaimmagine).



Aldo Grasso
18 marzo 2009


da corriere.it


Titolo: Re: ALDO GRASSO. Gli Asor Rosa e i Costanzo passano «i mike» restano
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2009, 12:14:51 pm
Gli Asor Rosa e i Costanzo passano «i mike» restano

Mai sottovalutare l'ultimo padre della patria tv

Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche


Privilegio Mai dire Mike. Mai pensare di sbarazzarsi dell' ultimo padre della patria televisiva. Mai prendere sottogamba l'uomo che ha trasformato la vita in quiz.
 
Mike Bongiorno è stato il primo presentatore della Rai, anno 1954. Mike è stato il primo presentatore di Canale 5, anno 1980 (che allora si chiamava ancora Telemilano e metteva in onda I sogni nel cassetto). Mike sarà la star starter di Sky Uno, la versione omnibus della PayTv. Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche, essere insieme padre, figlio e spirito, vanto di tre modi diversi di fare e intendere la tv. Perché questo è il segreto della sua eterna giovinezza televisiva: mentre gli altri si muovono, si agitano, si danno un gran daffare lui resta fermo come un Budda, maestro di filosofie orientali e orientabili.

A dir la verità, la sua saggezza si è sempre fondata sulla professionalità assoluta, sull'impegno, sulla dedizione totale. Tanto che per alcuni, questo suo essere un evento aurorale, è stato il facile pretesto su cui fondare una mitologia negativa: le sue apparizioni televisive sono state descritte come la fodera invisibile della mediocrità.

«I MIKE» RESTANO - Non tenendo conto che anche un mito televisivo è un modo di descrivere in forma narrativa le cose essenziali della vita: per fortuna gli Asor Rosa e i Costanzo (due grandi equivoci della Sinistra italiana) passano, i Mike restano. Mike è un candido perché non ha mai tentato, facendola, di prendere le distanze dalla tv, di distruggerla con la pretesa di svelarne i meccanismi occulti.

Sta ora per iniziare una terza vita televisiva, sul satellite (Mike in the Sky), forse per poter essere più vicino alla sua religione lavorativa: il pubblico è il soggetto al di sopra di tutti i soggetti, per il cui bene tutto si giustifica. Non servirlo tutti i giorni è un peccato, è il peccato. Segna tre epoche, nessun presentatore ha questo privilegio

Aldo Grasso
21 marzo 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Quando i talk show sostituiscono i tg
Inserito da: Admin - Aprile 09, 2009, 11:17:46 am
Quando i talk show sostituiscono i tg


La tv italiana manifesta il suo lutto e la sua parteci­pazione all’immane tragedia che ha colpito l’Abruzzo cancellando i reality: è toccato prima al Grande fratello (in onda ieri sera) e poi a X Factor. Anche altri spettacoli «leggeri» hanno su­bito la stessa sorte; l’importante però era sottolineare la gra­vità del momento rimuovendo l’«indecenza» (o supposta tale) di un genere. In altre occasioni simili erano stati i tg a prendere in mano la situazio­ne, con lunghe edizioni straor­dinarie. Ma anche con molte in­certezze di programmazione: le reti generaliste non hanno un canale dedicato esclusiva­mente alle notizie e in passato non sono mancate le polemi­che sull’incapacità di mantene­re viva una finestra informati­va. Questa volta è successa una cosa apparentemente stra­na: la gestione principale delle notizie è passata ai talk.

Lune­dì sera, nel momento più drammatico, il coordinamento era in mano a Porta a porta (Raiuno), a Matrix (Canale 5), Otto e mezzo (La7). Certo, in collaborazione con i rispettivi tg ma l’impronta era quella del talk. Suppongo che la decisio­ne sia stata presa per due moti­vi: il primo è che ormai esisto­no le reti all news, le tv locali e soprattutto il web con nuove forme di citizen journalism. La tv generalista preferisce dare un’impronta più colloquiale, più familiare; il secondo è che bisognava omogeneizzare quel misto di informazione e intrat­tenimento che ormai caratteriz­za tutta la giornata. Del terre­moto parlano trasmissioni come Uno mattina, Omnibus, Cominciamo bene, Mattino cinque, Italia allo specchio, Po­meriggio cinque, La vita in diretta, ecc. Il talk show si esal­ta quando diventa centro di raduno virtuale o, meglio, una formidabile macchina narrativa a basso costo (anche le que­stioni che pone, però, sono low cost) e, insieme, instaura una forma di controllo sulla vita sociale come nessuna altra trasmissione riesce a fare.

Aldo Grasso

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Santoro Zizzania in tv (si forse ma chi se non lui? ndr).
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2009, 12:06:22 am
Lo show di santoro sul terremoto

Zizzania in tv


Ancora una volta Santoro ha fatto il Santoro. Dietro il paravento della libertà d’informazione, di cui è rappresentante unico per l’Italia, isole comprese, ha allestito una trasmissione all’insegna del più frusto slogan politico «piove, governo ladro». Non di pioggia si trattava, ma di un terremoto che finora ha fatto 290 vittime e quarantamila sfollati, raso al suolo paesi, buttato giù case, seminato distruzione.

Ma i morti non lo fermano, la commozione non lo trattiene. Se ha in mente una tesi, che tesi sia. La tesi era che bisognava comunque attaccare la Protezione civile, specialmente Guido Bertolaso, i Vigili del Fuoco, la comunità scientifica che non ha dato ascolto agli avvertimenti di Giampaolo Giuliani, gli amministratori locali, il ponte sullo Stretto, Berlusconi, il governo. A dargli manforte in studio ha chiamato l’ex magistrato Luigi De Magistris, candidato alle Europee con l’Italia dei Valori (che acquisto per la politica!) e l’esponente di Sinistra e Libertà Claudio Fava. Contro aveva, e hanno fatto un figurone, Guido Crosetto del Pdl e Mario Giordano.

Il giornalismo di Santoro funziona così: con l’aiuto delle poderose inchieste di Sandro Ruotolo e Greta Mauro ha intervistato una signora che si lamentava di un ritardo di un paio d’ore dei soccorsi, un signore che diceva di aver freddo, di un altro ancora che cercava riparo in tende non ancora montate, una studentessa che preoccupata aveva lasciato l’Abruzzo per tempo, un medico che denunciava la mancanza di bottigliette d’acqua nel suo reparto. Ne è uscito così un quadro di devastazione organizzativa da aggiungersi alla devastazione reale. Da un punto di vista simbolico, se un dottore chiede aiuto per la mancanza di qualcosa significa il fallimento dei soccorsi, l’impreparazione della Protezione civile, lo sfascio.

Di fronte a una simile tragedia, ma soprattutto di fronte al meraviglioso e commovente impegno dei Vigili del fuoco, dei volontari, della Protezione civile, dei militari, di tutte le organizzazioni che hanno passato notti insonni per salvare il salvabile, Santoro si è sentito in dovere di metterci in guardia dalla speculazione incombente, di seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l’Italia come il solito Paese di furbi, incapaci di rispettare ogni legge scritta e morale. Santoro la chiama libertà d’informazione. Esistono gli abusi edilizi, ma forse anche gli abusi di libertà.

Aldo Grasso
11 aprile 2009

da corrirere.it


Titolo: L’Unità, Gramsci e la scoperta del Grande Fratello
Inserito da: Admin - Aprile 23, 2009, 10:43:16 am
LA SINISTRA E I REALITY

L’Unità, Gramsci e la scoperta del Grande Fratello

Sei pagine del quotidiano sulla vittoria di Ferdi

di ALDO GRASSO


Che bello, l’Unità ha finalmente sdoganato il Grande Fratello; benvenuta fra noi mostri! Il giornale fondato da Antonio Gramsci e diretto ora da Concita De Gregorio ha dedicato alla vittoria di Ferdi ben sei pagine: copertina, fondo del direttore, testimonianza di un’attrice rom, intervista a un autore del GF, analisi di Carlo Freccero, intervista a Luxuria, commento preoccupato dello scrittore Roberto Alajmo. E dire che fino a poco tempo fa il reality era considerato la sentina di tutti i vizi possibili e immaginabili, lo schifo fatto tv. Si vede che le teorie gramsciane sul nazional-popolare alla lunga fanno effetto. Sì, qualche cautela c’è ancora ma l’interdetto è caduto.

L’ultimo eroico resistente è Marco Belpoliti che dalla prima pagina della Stampa ci avvisa che non esiste più differenza tra spettacolo e vita e che gli intellettuali italiani sono stati piegati dal «pensiero unico» della neotelevisione berlusconiana. La verità è che il GF ha messo in scena il «sociale» e con il «sociale» non si scherza, bisogna fare i conti. Per questo la De Gregorio osserva che «televotare un rom aiuta a sentirsi antirazzisti... e costa poco». Insomma, va bene tutto ma attenzione: la realtà è ben altra cosa. Freccero parla della rivincita televisiva delle minoranze. Vladimir Luxuria spiega che il reality mette gli spettatori a contatto con realtà chiuse in cliché crudeli ma «qualche interrogativo in più la gente se lo pone dopo aver visto me, un trans, in tv». Eh, certo, qualche interrogativo in più. Alajmo (prestigioso consulente di Agrodolce, una delle più insulse soap mai realizzate dalla Rai) pensa infine che questo GF sia stato «un lavacro rituale per la cattiva coscienza degli spettatori». Sdoganamento sì, ma con giudizio.

Il paradosso di queste sei pagine è che fino a ieri l’Unità si era sempre lamentata di una realtà troppo televisiva, plastificata, mediatica (come direbbe Belpoliti). Adesso scopre che la tv è meglio della realtà: l’una è un sogno, «una festa del Principe», l’altra una schifezza. Come recita un titolo del giornale, «la tv cambia, il Paese no». Potenza del telecomando.


23 aprile 2009
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Il Cavaliere visto in tv
Inserito da: Admin - Maggio 06, 2009, 05:57:08 pm
Il Cavaliere visto in tv

Il contrattacco per trasformare la crisi in successo

Forse non era il caso di andare a «Porta a porta» a lavare i panni sporchi di famiglia


Con lucido cinismo, Giulio Andreotti ha sempre sostenuto che una smentita è una notizia data due volte. Forse non era il caso di andare a «Porta a porta» a lavare i panni sporchi di famiglia. Ma Berlusconi è fatto così: prova fastidio per i consigli ed è sicuro di saper volgere a suo favore anche le situazioni più sfavorevoli. Lo hanno dato spacciato mille volte e lui se l’è sempre cavata, rafforzando la sua immagine di invincibile.

Com’è successo con il terremoto d’Abruzzo: invece di piangersi addosso e di imprecare contro la malasorte che perseguita i suoi governi ha trasformato una tragedia in trionfo personale. Ma ecco che, nel momento in cui il suo consenso è alle stelle, arriva un altro terremoto, quello della crisi familiare. Nello studio deserto di Vespa campeggia una scritta: «Adesso parlo io» e il monologo non si è fatto attendere; come gli applausi in studio. Nonostante negli sventati anni della contestazione si predicasse a gran voce che «il privato è pubblico», i fatti hanno sempre smentito questa equiparazione, specie in termini di comunicazione.

Invece di gridare alle menzogne della stampa, Berlusconi dovrebbe considerarsi fortunato di vivere in un Paese non così bigotto come l’America dove i comportamenti privati non sfuggono al giudizio. Però l’Avvenire, che è il giornale dei vescovi, questa volta non gli ha fatto sconti ed è andato giù duro. Per la parte di trasmissione che riguardava la sua vicenda personale, Berlusconi ha sostenuto con forza che sua moglie è stata vittima di due menzogne alimentate dalla stampa di sinistra. Ora proprio questa confusione di piani (Veronica strumento inconsapevole di un complotto politico) è un’offesa per una moglie. Che gli ha solo chiesto ragione di cose che riguardano loro due, la loro vita di coppia. Forse non avrebbe dovuto chiedergliele a mezzo stampa.

A un certo punto, Berlusconi ha detto: «Mi spiace che tutto sia andato in pasto ai giornali o alle tv». Veramente alle tv, che in un modo o nell’altro sono sue, il pasto ieri sera l’ha servito lui. E se «Porta a porta» alimenterà altre trasmissioni, altri «Ballarò», altre parodie la colpa sarà difficilmente attribuibile alla sinistra. Insomma, di fronte a due cataclismi ha applicato la stessa logica: ribaltare il momento negativo in uno positivo. Con l’Abruzzo ci è riuscito, col ciclone Veronica non si sa.


Aldo Grasso
06 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Littizzetto, per favore se la prenda con Fazio
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2009, 04:13:24 pm
A Fil di rete

Littizzetto, per favore se la prenda con Fazio

Fabietto e il decoratore di idee
 

Testo scritto per Luciana Littizzetto, se un giorno avrà la bontà di interpretarlo.

«Fabio, ma la smetti di romperci i maroni con questo Pelagatti, questo Pappagalli, come cavolo si chiama? Peregalli. Non avesse la colf che tutti i giorni gli spolvera il buffet vorrei vedere se viene ancora qui a fare l’elogio della polvere. Ma compratevi un Folletto e an­date a pulire le scale dei vostri condomini! Lo so che tutto è venuto dalla polvere e tutto ri­torna nella polvere ma, nel frat­tempo, mi fate venire l’allergia, sembrate due acari che fanno testamento e si spartiscono la forfora.

Fabio, va be’ che adesso ti è preso il vizio di presentare i li­bri dei tuoi autori, le mogli dei tuoi autori, gli architetti dei tuoi autori ma non hai un bel giardino privato dove discutere con Peregalli di Renzo Mongiar­dino, roba da ricchi milionari, e non romperci le palle con le vo­stre manie catacombali! Quan­do parla, il tuo Peregalli, se la tira come un primo della classe che vuol fare bella figura davan­ti alla maestra, questo John Ru­skin della mutua, questo Rober­to Calasso del ceto medio rifles­sivo, questo Guido Gozzano dei parvenu della cultura.

Caro il mio Balengo, lo so che sei cresciuto sui testi di Claudio Baglioni ma non farti abbindolare dal primo che ti spiega che «museo» deriva da «musa».
Fabietto, come dite voi a Savona? Qualcosa come 'Me pa’ che vuscia’ scia-a cunte de musse', che poi vorrebbe di­re... Lo sai bene cosa vuol dire.
Mi sembrate quei due famosi copisti che hanno passato l’ulti­ma parte della vita a trasformare la loro casa in un museo di Babele, in cui si ammucchiano libri e antichità, dizionari di idées reçues e trompe l’oeil, boiseries, ninnoli, cuscinoni orientaleggianti, stucchi, cineserie, turcherie, arazzi, busti, vasi, conchiglie, fossili, polvere, polvere, polvere. Come ap­pare Peregalli mi viene da starnutire. Fabietto, ma avevi pro­prio bisogno di un decoratore di idee?».

Aldo Grasso
12 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. D'Eusanio, maschera del Carnevale tv
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2009, 10:56:29 am
A FIL DI RETE

D'Eusanio, maschera del Carnevale tv

di ALDO GRASSO

 

Confesso che speravo di capire qualcosa di più sulla misteriosa morte della contessa Francesca Vacca Agusta rievocata a Ricominciare dall'ex compagno Maurizio Raggio (Raidue, lunedì, ore 21.05). Ma non sempre ricominciare significa cambiare vita, a volte significa semplicemente essere daccapo, l'eterno ritorno dell'uguale. A cominciare dalla conduttrice, Alda D'Eusanio, il volto tirato, quasi irriconoscibile, maschera perfetta, come direbbe il suo Omero Walter Siti, di quel continuo Carnevale che è ormai la tv. Raggio no, è incanutito, inquartato, intristito. Aveva 27 anni quando nel 1986 comincia a frequentare la ricca contessa Francesca Vacca Agusta (che di anni ne aveva 41); lui è figlio di un ristoratore del luogo, sono gli anni della Milano da bere e Portofino è il porticciolo della ricca borghesia milanese.

Poi nel 2001 il triste epilogo, con la misteriosa morte della contessa. Inizia così la più singolare soap opera che la cronaca abbia mia offerto alla consacrazione del piccolo schermo: nemmeno Balzac, nemmeno Maupassant, che di commedie umane e di spartizioni maledette se ne intendono, avrebbero potuto immaginare scene come quella dei finanzieri che fermano Raggio a Chiasso con due o tre testamenti in macchina. Per non parlare della scomparsa della contessa, del ritrovamento del cadavere a Marsiglia, dei patti segreti fra i pretendenti, dei molti misteri. È una storia popolare ma è anche una storia intricata e confusa che gira attorno a un patrimonio valutato intorno ai 35 miliardi e a un mare tempestoso di debiti. E a reclamarli, i primi e i secondi, sono in tanti, forse troppi, fra amanti, ex amanti, creditori, l'Ufficio tributi, avvocati, notai, fiorai, fornai, cognate, nipoti e dame di compagnia. E invece niente: nemmeno un accenno a Bettino Craxi, che pure con Raggio aveva avuto rapporti stretti. Un ricominciare che assomiglia molto a un modo di dire.


13 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Fiorello non riconosce il signor Berlinguer
Inserito da: Admin - Maggio 17, 2009, 12:16:41 am
A FIL DI RETE


Fiorello non riconosce il signor Berlinguer

Il rischio di un piccolo dramma umano


Durante il «Fiorello Show» (SkyUno, giovedì, ore 21.10) si è sfiorato un piccolo dramma umano. O forse no: inavvertitamente è andata in scena una storia edificante, un esercizio di ammirazione, pur all'interno di un'ominosa penombra televisiva. È successo questo. Fiorello scorge tra il pubblico l'attore Lorenzo Ciompi e comincia scambiare qualche battuta di prammatica. Con galanteria Ciompi segnala che accanto a sé siede Bianca Berlinguer.

E qui Fiorello si scatena: final­mente una comunista, una donna, una telegiornalista! Tra lei e Ciompi esiste qualcosa, c'è una storiaccia? A quel pun­to si manifesta il vero marito o compagno, seduto alla sinistra della Berlinguer: «Sono il fortu­nato ». Fiorello apprezza la ga­lanteria ma non riconosce il marito. Tragedia! Ora le ipote­si che si fanno sono due. La pri­ma: a Luigi Manconi, il marito, questa botta di anonimato ha creato un trauma da cui difficil­mente si riprenderà.

Il ragazzo è vanitoso anzichenò e poi ha un passato mica da ridere: sar­do anche lui, lottacontinuista, sociologo, già portavoce nazio­nale dei Verdi, esponente del Pd, sottosegretario nel gover­no Prodi. Mica cotiche. Ha scritto a lungo sui giornali, ha collaborato in tv con Andrea Barbato e Gad Lerner, grande amico di Sofri e Fabio Fazio, ha vergato articoli di musica sot­to lo pseudonimo di Simone Dessì. Una volta l'ho sentito con le mie orecchie rimprove­rare Oliviero Beha perché lo invitava poco in tv. La seconda ipotesi è ancora più interessante. Luigi Manconi è lo pseu­donimo di Simone Dessì, un ragazzo schivo, felice di vivere all'ombra di una moglie famosa, l'autore del profetico testo «Il dolore e la politica». Manconi è un idolo delle folle ma Dessì lo tempera, lo mitiga. Nei suoi accessi d'orgoglio vor­rebbe non sottrarsi ai sotterfugi dell'apparire, della fama, ma Dessì lo costringe a indietreggiare. Persino da Fiorello.

Aldo Grasso
16 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Fiorello più libero senza pubblico
Inserito da: Admin - Maggio 30, 2009, 12:01:36 pm
Fiorello più libero senza pubblico


Senza pubblico.

È andato in scena senza pubblico, lui che viene scioccamente accusato di essere un animatore di pubblici. Recitare con la platea vuota è come camminare sull’orlo dell’abisso con gli oc­chi bendati, giocare una partita di calcio a porte chiuse, ma soprattutto fregarsene delle pie intenzioni di quelli che inneggiano al pubblico sovrano. Causa partita Champions fra Barcellona e Manchester, il teatro-tenda di Piazzale Clodio, dove ogni sera Fiorello si esibisce, è stato chiu­so al pubblico. Per una volta, provvidenzialmente. Perché Fiorello, dialogando solo con la sua coscienza (e con quella di Cremonesi), si è potuto libera­re di un fantasma triste. Una se­ra, agli esordi del Fiorello Show, lo spettacolo si è conclu­so con qualche minuto d’antici­po. Molti ci hanno ricamato so­pra (la più simpatica delle con­clusioni era del tipo «Fiorello è finito»); la verità è che Fiorello era infastidito dal pubblico del­le prime file, quello che a teatro continua a telefonare, che è lì per esserci e non per vedere.

 Così Fiorello ci ha regalato una specie di seduta d’analisi in cui ci ha presentato l’audien­ce ideale, il pubblico che non c’è, la mirabile figura dello spet­tatore assente (SkyUno, giove­dì, ore 21,15). Detesto gli artisti che ammiccano verso il pubbli­co (o il popolo) perché, da veri demagoghi, esaltano nel pubbli­co «l’informe umano», che è co­me concorrere a mantenere il povero nella sua povertà o l’ignorante nella sua ignoranza. Per questo Fiorello ha fatto riap­parire il pubblico solo per intonare con Amedeo Minghi l’in­ciso di «trottolino amoroso» (l’essenza stessa dell’informe umano, direbbe Pasquale Pannella). Ha scritto Alfred Polgar: «Il pubblico di teatro (o della tv): la massa disomogenea del­la gente di città che ogni sera viene spinta a teatro dalla noia, dalla curiosità o dal bisogno di sottrarsi all’insulsaggine del­la propria esistenza, non ha assolutamente gusto, nemmeno cattivo». Si può fare senza, per una sera.

Aldo Grasso

30 maggio 2009
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Bignardi e Calabresi: intervista difficile
Inserito da: Admin - Giugno 15, 2009, 11:42:06 am
A fil di rete


Bignardi e Calabresi: intervista difficile

L' intervista più lunga realizzata da Daria Bignardi, 40 minuti. All'«Era glaciale» (Raidue, venerdì, ore 22.55) era ospite Mario Calabresi, da poco direttore de La Stampa, per presentare il suo ultimo libro La fortuna non esiste - Storie di uomini e di donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi (Mondadori). Hanno parlato di tutto: di Obama, di Noemi, di Papa Wojtyla, della visita romana di Gheddafi, del presunto tesoro nascosto di Gianni Agnelli, di Lapo, del caso Amanda, dell'incontro di Licia Pinelli con Gemma Capra, sua madre. Il tempo è volato. Hanno anche taciuto, e forse il non detto è stato più importante e decisivo delle molte parole spese. Calabresi ha una dote invidiabile: degli uomini sa cogliere il lato che unisce, la forza che serve loro per andare avanti, anche dopo tracolli stordenti, lo spirito che deve animarli nel sanare le ferite passate ma, nello stesso tempo, nel conservare la memoria di quelle ferite.

Il suo precedente libro, Spingendo la notte più in là, è stato qualcosa di più di un evento editoriale: una sorta di risarcimento pubblico soprattutto nei confronti delle vittime del terrorismo. La nostra società (politici, intellettuali, media, organizzazioni varie) si è molto occupata di chi ha ucciso, ma molto poco di chi è stato ucciso, delle loro famiglie, dei tanti drammi umani. Fra le vittime, non tutte hanno avuto il coraggio di rialzarsi ma tutte hanno riconosciuto in Calabresi la voce che ha ridato loro dignità e forza per continuare. Il non detto dell'intervista è che Daria Bignardi (mai così timorosa come l'altra sera) è la nuora di Adriano Sofri. Un atto di «pacificazione sottintesa». P.S. Calabresi si è dichiarato juventino. Nessuno è perfetto. P.P.S. La Bignardi ha detto che la sua famiglia vanta un santo in Paradiso. Lo sospettavamo.

Aldo Grasso
14 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. La passione dei politici per la tv ultimo palcoscenico del non fare
Inserito da: Admin - Giugno 29, 2009, 06:20:02 pm
Il commento

La passione dei politici per la tv, ultimo palcoscenico del non fare


Intervistato da Lucia Annun­ziata, nel corso della trasmis­sione In mezz’ora, il ministro Giulio Tremonti ha lanciato un monito: «Un po’ di calma, un po’ meno televisione, un po’ meno show sarebbero utili per tutti». Pronunciato dall’«editore» della Rai, l’invito vale il doppio e, sembra di capire, non riguarda solo il clima di esa­gerazione mediatica che rischia di ali­mentare la paura della crisi. È il classi­co invito rivolto a nuora perché suocera intenda. Sì, certo, con meno tv, meno show e con una maggiore attenzione alle cose reali, l’uscita dal tun­nel sembrerebbe più age­vole. Invece, l’impressione è che alcuni politici amino il palcoscenico più del do­vuto, si comportino spes­so come attori da soap opera, e che il «velinismo» sia il loro orizzonte esteti­co. In questo senso, la storia della rap­presentazione della politica sembra ar­rivata al suo compimento, con il disfaci­mento della politica medesima. Che ha trasformato se stessa in scontro virtua­le.

 Il passo ulteriore (camminiamo sul­l’orlo del burrone) è che la politica di­venti un sistema autoreferenziale, non più speculazione sulla realtà ma realtà essa stessa, dove i segni vivono di mobi­lità perpetua, disancorati da ogni refe­rente, prigionieri dei sondaggi. «Un po’ di calma, un po’ meno televi­sione, un po’ meno show» potrebbe es­sere lo slogan ideale per i giorni che ci attendono. Buona parte della politica è ormai ridotta a talk show (morta l’ideo­logia, la politica è sospesa tra la forma­zione del consenso e la modalità televi­siva del problem solving) e l’uomo di governo assomiglia sempre di più a un conduttore voglioso solo di amministrare il «suo» pubblico. Se al talk uniamo poi il Bagaglino, l’invito di Tre­monti assume un’urgenza inaspettata. Da tempo ab­biamo imparato che le im­magini televisive ci infor­mano non tanto sul loro oggetto quanto sulla socie­tà che le guarda; il loro significato è ben lungi dall’essere chiaro. Dobbiamo perciò temere sia un nuovo sistema me­diatico assolutistico in cui l’anchor­man- politico è sovrano irresponsabile, sia il nostro conformismo dell’abiezio­ne, l’accondiscendenza nei confronti di questo sistema.

Ogni demiurgia televisiva si sviluppa sempre a spese della lucidità. E della concretezza.

Aldo Grasso

29 giugno 2009
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Quelli che «Fiorello non è più Fiorello»
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2009, 04:09:40 pm
Risposta alla stroncatura di Marianna Riz­zini sul «Fo­glio»

Quelli che «Fiorello non è più Fiorello»

Il suo show è un fe­nomeno con pochi eguali nella storia della nostra tv. Eppure c’è chi non è conten­to
 

Quasi ogni sera, Skyuno (canale 109) ripropone un’antologia dello spettacolo «Fiorello Show». Dif­ficile staccarsene: Fiorello dimostra di aver or­mai raggiunto la piena maturità artistica, pro­prio in un esperimento dove aveva tutto da per­dere. Per la natura della pay tv (diversa, è utile ripeterlo, dal­la tv generalista), per la difficoltà di coniugare spettacolo tea­trale con le esigenze della tv, per la voglia di sperimentarsi in un universo sempre più tran­smediale. Basta fare un piccolo esperimento: confrontare il flo­rilegio di «Supervarietà» che Ra­iuno offre tutte le sere con quel­lo di Fiorello per capire che for­se ci troviamo di fonte a un fe­nomeno con pochi eguali nella storia della nostra tv. Eppure c’è chi non è conten­to. Ho tenuto (per leggerlo e ri­leggerlo: sbagliarsi nei giudizi è molto facile, mi ripeto sempre) un lungo pezzo di Marianna Riz­zini apparso tempo fa sul Fo­glio. Un duro attacco, una stron­catura, una demolizione del mi­to Fiorello. Con un accorato ap­pello finale: «Fiorello, per favo­re, torna a esser Fiorello».

Già, ma quale Fiorello? C’è un Fiorel­lo più Fiorello di quello attuale? A leggere e rileggere il pezzo della Rizzini la colpa principale di Fiorello sarebbe stata quella di aver concesso una intervista a Vanity Fair. Fossi stato Fiorel­lo, a Vanity Fair e a un funziona­rio Rai l’intervista non l’avrei mai concessa: giusto per non andarmi a infilare nella guerra tra Sky e Mediaset e raccontare ancora una volta il gran rifiuto al Cavaliere («non sapevo che avevo incrinato la sacralità del potere del Cavaliere»). Su questo ha ragione la Rizzini. Fossi Fiorello (magari!) non rilascerei interviste e men che meno mi farei catturare da questi giochini politici. Ma il Fiorello in onda è lì, basta vederlo. Se il suo spettacolo fosse stato recensito nelle crona­che teatrali, il paragone sarebbe stato con il Teatro Tenda di Vittorio Gassman o di Gigi Proietti. Quelli i punti di riferi­mento. Non certo l’universo della sinistra vanitosa.

Aldo Grasso
11 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Se il conduttore è un narcisista
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2009, 03:54:17 pm
A fil di rete

Se il conduttore è un narcisista

 

Philippe Daverio se ne va in Messico, con la scusa di studiare la Vergine di Guadalupe e l’ostentazione esa­sperata del sangue, che — lo ripete più volte — trova le fondamenta nel sacrificio rituale degli Aztechi, e ci regala invece un problema teorico di non facile solu­zione. Sotto le insegne di Passepartout , Daverio e due suoi ami­ci, il gallerista milanese Jean Blanchaert (la controfigura di Karl Marx) e l’antropologo Franco La Cecla, scorazzano felicemente per il Messico: i murales di Diego Rivera al Palacio Nacional, il grande sito archeologico preco­lombiano di Teotihuacán, l’acro­poli di Monte Alban, il Museo Na­zionale di Antropologia, una sor­ta di cattedrale della cultura do­ve la datazione è un optional.

Tuttavia, ci spiega Daverio, in questo strano luogo si genera una identità secondo parametri molto particolari, lontani dalla consueta museologia: la sensazio­ne diventa più importante del sa­pere. Qui non si deve capire o ap­prendere, ma si deve percepire la magia potente dell’antenato, con i reperti autentici posti in mezzo a un decoro teatrale che vuole so­prattutto evocare. Non è questo il problema teo­rico: i guardiani del museo lascia­no entrare la telecamera ma il conduttore resta fuori. O meglio: si possono riprendere le immagi­ni ma è vietato al conduttore so­vrapporre la propria immagine a quelle degli oggetti ripresi. Che è proprio la modalità tipica delle trasmissioni attuali, una scelta di scrittura ma anche una grande manifestazione di narcisismo.

È vero che un programma, una tra­smissione storica, un reportage sull’arte dove non appare il conduttore fanno molto anni Cin­quanta, ma forse è anche un segno di sobrietà, di distacco, di rispetto. Non è il caso di Daverio, ma ormai il conduttore si ritiene più importante delle cose che mostra; e dunque, mostra soprattutto se stesso. La lezione del Museo Nazionale di Antro­pologia di Città del Messico non va sottovalutata. Evocando un gusto rétro, mette in crisi la nostra «modernità» televisiva.

Aldo Grasso
©RIPRODUZIONE RISERVATA
04 agosto 2009

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Il meglio e il peggio del paradosso Timperi
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2009, 04:23:32 pm
A fil di rete

Il meglio e il peggio del paradosso Timperi

Sciatto e inconsistente in tv, alla radio cerca di dare il meglio di sè

 
Il paradosso Timperi. Mi è capitato più volte di ascoltare su Radiouno una trasmissione che si chiama Il grano e il loglio e che si occupa della lingua italiana, dei suoi inciampi e delle sue risorse. Potendo contare sull’aiuto prezioso del prof. Francesco Sabatini, ordinario di Linguistica e presidente onorario dell’Accademia della crusca, il programma evoca i fasti di una fortunata trasmissione tv, Parola mia, condotta da Luciano Rispoli e dal mitico professor Gian Luigi Beccaria. A saperla trattare, la lingua italiana è piena di curiosità, di complessità ma anche di sorprese. La sorpresa più grande, tuttavia, è la conduzione di Tiberio Timperi: si vede che si sta impegnando, si prepara, ha soggezione del suo interlocutore e, quindi, anche del pubblico.

Perché, invece, il Timperi tv, quello che conduce i programmi di Michele Guardì, sembra, e sottolineo sembra, così sciatto, futile e inconsistente?
Perché fa le smorfie, perché infila, una dietro l’altra, tutte quelle banalità? Se risolviamo il paradosso Timperi forse capiamo qualcosa di più della lingua televisiva. Da anni, Guardì continua a sfornare lo stesso, identico, mediocre programma, qualunque sia la maggioranza politica che governa la Rai. Non solo ha abbassato il livello della comunicazione tv ma dev’essere uno di quegli autori che chiedono ai conduttori il peggio di sé, nella convinzione che solo così si è popolari.

Al contrario, di fronte al prof. Sabatini, Timperi vuole fare bella figura e cerca di dare il meglio di sé. Senza saperlo, si adegua alla regola aurea del Servizio pubblico, quella formulata da John Reith: «Il broadcasting ha la responsabilità di portare nel numero più ampio possibile di case il meglio di ciò che è stato formulato in ogni area della conoscenza umana». Non deve adeguarsi ai gusti del pubblico, ma semmai guidarli. Come la grammatica della lingua italiana.

Buon Ferragosto e arrivederci al 1˚ settembre.

Aldo Grasso
15 agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Bongiorno incarnava l’uomo qualunque, Fiorello l’eccezionalità dell’artista.
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2009, 11:38:14 pm
Bongiorno incarnava l’uomo qualunque, Fiorello l’eccezionalità dell’artista.

Insieme hanno regalato momenti unici

Fiorello e Mike Bongiorno, un’amicizia tra ragazzini


La loro breve storia è stata qualcosa di più di un legame professionale. Mike e Fiorello non erano un’improvvisata coppia di presentatori, un duo comico nato quasi per caso. Erano due persone che si volevano bene, si stimavano, «due pischelli» secondo Fiorello: un atteggiamento quasi naturale per lui, una vera sorpresa per Mike, che sullo schermo appariva sempre così contegnoso, pur essendo un prodigioso gaffeur, facile preda dell’ironia di molti suoi colleghi.

«Senza previsione — raccontava Mike — ho partecipato praticamente tutti i giorni al programma radiofonico di Fiorello intitolato Viva Radio 2 . Alle tre meno cinque mi chiamava sul telefonino, raggiungendomi nei posti più impensabili. Ogni volta inventavo qualche gag. La popolarità di questo collegamento divenne tale che nei giorni in cui Fiorello non riusciva a raggiungermi, arrivavano telefonate di protesta alla Rai tipo: 'Come mai non c’è Mike?'».

Mike stava attraversando un periodo poco felice: a Mediaset non lo facevano più lavorare (salvo che per le televendite), in Rai nemmeno lo ricevevano, nonostante avesse pronto un progetto sulla storia della tv italiana. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto condurre un simile programma. Se nei primi anni Sessanta l’oggetto ideale cui dedicare attenzione critica poteva essere solo Mike, popolarissimo, prima icona televisiva italiana, con la sua immagine da everyman , da uomo comune in cui l’italiano medio non faticava a identificarsi, nella tv italiana di oggi bisogna ribaltare tutto: intanto perché l’ everyman , grazie ai talk o ai reality, è diventato protagonista assoluto della scena e poi perché, per contrappasso, l’eccezionalità è diventata merce rara, si fatica a riconoscerla, bisogna di nuovo fare lo sforzo di tratteggiarla.

E il personaggio che risponde in modo più compiuto alla definizione di «artista» e che esprime il modo più originale e maturo di fare spettacolo è sicuramente Fiorello. Così, i due estremi si sono toccati e hanno saputo regalarci momenti di grande divertimento: alla radio, negli spot pubblicitari, in tv. Grazie a Fiorello, Mike era come rinato: pieno di energie, di idee, dimentico degli anni che cominciavano a pesare. «Nella mia lunga carriera — diceva ancora Mike — ho incontrato tutti i tipi di artisti, ma vi posso garantire che uno come Fiorello non c’è mai stato. Mi menziona spessissimo e dice che mi vuole molto bene. Anch’io gliene voglio altrettanto».

Aldo Grasso
12 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Così un evento diventa rituale a reti unificate
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2009, 03:37:24 pm
IL PREMIER DA VESPA

La tv dell'obbligo

Così un evento diventa rituale a reti unificate

di ALDO GRASSO


La trasmissione che Bruno Vespa non avrebbe mai dovuto fare. Vespa ha sapientemente iniziato la puntata con la toccante storia di Giulia. Nel computer della studentessa, morta sotto le macerie del terremoto, è stato trovato il progetto per la costruzione di un asilo a forma di libro. Ieri, alla presenza dei genitori, è stata inaugurata la nuova scuola materna costruita con i soldi raccolti dalla trasmissione e firmata, appunto, da Giulia Carnevale. Nonostante la commozione, questa è la trasmissione che Vespa non avrebbe dovuto fare. Per evitare le violente polemiche suscitate. Ma anche per orgoglio professionale, per non rovinare quanto di buono aveva fatto a favore dei terremotati della sua città. Vada per «Porta a porta» spostata in prima serata per la consegna delle villette agli sfollati di Onna. Vada per Vespa cronista privilegiato al seguito del Presidente tornato gioiosamente impresario edile. Vada per il monologo del premier sulla ricostruzione, e il suo sciorinare cifre e sondaggi favorevoli.

Ma Vespa si sarebbe dovuto opporre allo slittamento di «Ballarò» e, visti i suoi buoni rapporti con Palazzo Grazioli, anche a quello di «Matrix». Perché, in questo modo, anche una cerimonia importante come l'inaugurazione delle casette antisismiche ha dato adito a ogni sospetto. E soprattutto è parso uno di quei rituali sovietici a reti unificate, in stile Putin, a metà strada tra populismo demagogico e culto della personalità. Ieri sera Vespa (con non poche resipiscenze) e il direttore generale della Rai Mauro Masi hanno fatto fare un passo indietro all'informazione tv, l'hanno riportata ai tempi del pensiero e del canale unico. La tv dell'obbligo. Dopo quello scolastico, è stato ripristinato l'obbligo televisivo. Non è tv di regime (c'era anche Piero Sansonetti), ma un brutto modo di fare tv. Il fatto è che i tempi mediatici sono cambiati e sull'episodio è sceso anche un velo comico. Specie quando a Berlusconi sono stati serviti su un piatto d'argento gli argomenti per la difesa scontata sul conflitto d'interesse.

Dicono che Berlusconi avesse paura che altre trasmissioni di approfondimento frazionassero l'ascolto e insinuassero dubbi, non veri secondo lui. Dicono che la concomitanza delle partite di Champions su Sky, che vedevano impegnate Juve e Milan, rappresentassero già un temibile diversivo. Dicono che... Qualunque cosa si sia detto o pensato la concorrenza, politica e televisiva, deve restare il sale della democrazia. Non si può accusare, in nome del libero mercato, il leader dell'opposizione Franceschini di voler abolire l'Auditel dai programmi informativi e poi accettare che vengano spostate due trasmissioni che avrebbero potuto sottrarre audience a «Porta a porta». Oggi l'Auditel ci dirà quanti spettatori hanno seguito la trasmissione, ci darà anche una radiografia della tipologia di questo pubblico. Ma l'unico dato certo è che ormai l'informazione tv è spinta a rafforzare il suo ruolo di «mediazione», di organizzazione dello sguardo sul mondo, di interpretazione e valutazione degli eventi, per quella parte della popolazione che, per diverse ragioni, non ha accesso alle nuove tecnologie. Per gli altri è tutta un'altra storia, informativa


16 settembre 2009
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Il talk show mostra i suoi anni
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2009, 06:36:52 pm
A FIL DI RETE

Il talk show mostra i suoi anni

Lo schema della contrapposizione ha fatto il suo tempo: non c'è mai imprevedibilità, non ci sono sorprese


Grazie anche alle polemiche scatenate dallo spo­stamento, ho seguito con molta attenzione «Ballarò» (Raitre, giovedì, ore 21.10). Confes­so che mi sono un po’ annoiato. Mi pare che lo schema della contrapposizione (tre giocatori da una parte, tre dall'altra) abbia fatto il suo tempo: non c'è mai imprevedibilità, non ci sono sorprese e, di conseguen­za, non c'è racconto. Tutt'al più qualche battuta. Più spesso, un livello molto deprimente della discussione (così impone la politica italiana). Comincio anche a credere che il genere sia in crisi. I

Il talk show, se manca di brillantezza, se non sa incuriosire lo spetta­tore, mostra gli anni. Quando Giovanni Floris ha comunicato i nomi dei partecipanti si sareb­be già potuto scrivere una sca­letta della trasmissione, al mas­simo non calcolando i solerti assistenti del ministro Angioli­no Lodo Alfano o l'intemerata di Concita De Gregorio sul pote­re dei soldi («Hanno vinto i sol­di non i valori!»). Ma il terzo e decisivo fattore di noia è l'inevitabilità degli ar­gomenti. Si parli dei militari morti in Afghanistan o del ter­remoto, si parli di vita o di mor­te, si parli della ripresa econo­mica o di quelli che non arriva­no alla quarta settimana, alla fi­ne si parla sempre e solo di lui. Di Berlusconi. Che ormai non è più un imprenditore, un politi­co, un presidente del Consi­glio. È un'ossessione: magnifi­ca per alcuni, detestabile per al­tri. Ma sempre ossessione, la nostra balena bianca (quello che più mi spaventa è che non siamo mai noi a scegliere le ossessioni, ma sono sempre le ossessioni a scegliere noi). A inizio trasmissione lo studio ha reso omaggio alle vitti­me della carneficina di Kabul con un lungo applauso (cui non si è unito il ministro Giulio Tremonti). Ma perché si applaude? Non sarebbe più giusto un minuto di raccogli­mento? Non sarebbe più consona una partecipazione silen­ziosa al senso della tragedia?

Aldo Grasso
19 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: CORTO CIRCUITO TRA POLITICA, INFORMAZIONE E SATIRA
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2009, 11:02:47 am
CORTO CIRCUITO TRA POLITICA, INFORMAZIONE E SATIRA

Quella inutile poetica dello sciacquone


« Lunga vita alla Dandini e a San­toro che non fanno altro che portare voti al centrodestra». Temo che Silvio Berlusconi abbia ragio­ne: lui conta i voti della gente, gli altri si esercitano sull’audience. Anzi, sono pri­gionieri della logica perversa della tv più corriva. Di questi tempi, l’Italia avrebbe bisogno di tutto, fuorché di lottare per la poetica dello sciacquone.

Eppure, il dibattito politico è stretto dentro sgangherate sceneggiate che ben poco hanno a che fare con l’informazio­ne. È un corto circuito che non lascia in­travedere vie di scampo, un serpente che si morde la coda spargendo veleno su chi assiste alla scena. Da una parte c’è la cari­catura dell’informazione, per cui il gior­nalista Stefano Ziantoni, in compagnia di Susanna Petruni, si sente in dovere non solo di fare gli auguri al premier (cosa del tutto lecita) ma di esagerare nella piagge­ria: «Presidente, torni quando vuole, que­sta è casa sua». Dall’altra c’è la caricatura della caricatura, per cui Serena Dandini, fino a ieri allegra vestale del luogocomu­nismo, manda in onda una modesta e im­barazzante sitcom sulle avventure galanti del premier: «Lost in Wc». Berlusconi alli­scia il consenso, la Dandini s’illude di fa­re controinformazione.

L’altra sera, persino uno serioso come Gad Lerner si è occupato nel suo «Infede­le » di veline mignotte: ha migliorato l’ascolto ma peggiorato la sua immagine, visibilmente a disagio in un terreno tra il pruriginoso e il moralistico. Stasera Mi­chele Santoro rincara la dose e invita di nuovo in trasmissione Patrizia D’Adda­rio, l’escort pugliese al centro delle feste a Palazzo Grazioli. Farà di nuovo il pieno di audience e si sentirà ancora più marti­re.

Ma la logica perversa della tv non ri­sparmia nessuno. Il ministro dello Svilup­po economico Claudio Scajola ha convo­cato i vertici della Rai perché, a suo dire, il programma «Anno zero» avrebbe viola­to il contratto di servizio. L’intervento di Scajola ha scatenato una campagna stam­pa per lo sciopero del canone Rai, dimen­ticando che il Premier è anche proprieta­rio di Mediaset: nella canea, la D’Addario diventa più importante del conflitto d’in­teressi.

Non si risparmia nemmeno il vicemini­stro alle Comunicazioni, Paolo Romani (un passato da imprenditore tv con stori­che performance di Maurizia Paradiso): sostiene che «Parla con me» della Dandi­ni non rientra nei canoni del Servizio pub­blico. E su Michele Santoro: «Non è solo un problema di pluralismo, è giornali­smo militante che nulla ha che fare con il giornalismo obiettivo». Già, perché certi tg della Rai hanno a che fare con il giorna­lismo obiettivo? Tutte le forme di nego­ziazione che la tv ha inventato, le modali­tà di contatto, le strategie attraverso cui la tv dialoga con lo spettatore, lo chiama, lo coinvolge, servono — tutte quante — a sancire la verità della tv, non più la veri­tà del reale. E in questo momento, gran parte del dibattito politico italiano è pri­gioniero di questo stravolgimento catodi­co.

Chi comanda il gioco è Berlusconi: la sinistra si limita a viverlo come una osses­sione, ad attaccarlo, a suggellare in tv la propria subalternità.

Aldo Grasso

01 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Peggio la stupidità o la faziosità?
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2009, 04:22:12 pm
A Fil di rete

Peggio la stupidità o la faziosità?

Sentire discutere Monica Set­ta di economia mentre esprime giudizi di tale avventatezza da mettere i brividi


Fa più male la stupidità o la faziosità? Negli obbli­ghi del contratto di servizio è prevista la tutela dal­l’idiozia? Il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola vede mai la tv o fa come quegli studiosi che scrivono di tv senza mai aver visto un programma? Leggendo la cronaca dell’incontro fra Scajola, Paolo Roma­ni, Paolo Garimberti e Mauro Masi (quattro persone che, pur occupandosi di tv, credo ne ve­dano ben poca) mi sono chie­sto: ma Scajola, che ha chiesto «chiarimenti» sui programmi di approfondimento della Rai, avrà mai visto un po’ di Rai­due?

Mi riferisco a programmi come «I fatti vostri» di Michele Guardì, «Il fatto del giorno» con Monica Setta, «L’Italia sul due» con Lorena Bianchetti e Milo Infante, «Scalo 76 Talent» con Lucilla Agosti e Alessandro Rostagno e altri ancora. Imma­gino di no perché, ne sono sicu­ro, anche lui sarebbe tormenta­to dal dubbio: fa più male la stu­pidità o la faziosità? Sentire discutere Monica Set­ta di economia mentre esprime giudizi di tale avventatezza da mettere i brividi a qualunque persona sensata, o perdersi ne­gli arzigogoli mentali dell’ex chierichetta Bianchetti, o sop­portare la vista di un clone mal riuscito di Sgarbi sono cose che dovrebbero far riflettere sulla natura del Servizio pubblico. La faziosità è disdicevole ma la stu­pidità di certi programmi lascia il segno. Specie su un pubblico non particolarmente attrezzato come quello del pomeriggio. Se fossi l’imperiese Scajola convocherei il direttore di Rai­due Massimo Liofredi e gli direi: «Scusi, ma lei che ha quella faccia un po’ così, chi l’ha nominata direttore e perché? Qua­li programmi ha fatto prima di diventare direttore? Perché la sua rete è così brutta e va così male? Guardi che i soldi che lei spende per Monica Setta sono quelli del canone». Non sono Scajola, guardo la tv e non posso convocare nessuno.

Aldo Grasso

10 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Brachino e Capuozzo giornalismi diversi
Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2009, 04:46:45 pm
A fil di rete

Brachino e Capuozzo giornalismi diversi

Un toccante servizio sulla vi­ta dei nostri soldati in Afghanistan, e il pedinamento di Mesiano


Due modi diversi di fare informazione, su Canale 5. Mercoledì sera (ore 23.30) il settimanale del Tg5 «Terra!» a cura di Toni Capuozzo e Sandro Provvi­sionato ha proposto un toccante servizio sulla vi­ta di tutti i giorni dei nostri soldati che si trovano in missione in Afghanistan, a un mese dall’attentato avvenuto il 17 settembre e costato la vita a sei connazionali e a 24 civili.


CAPUOZZO - Da Kabul, Toni Capuozzo (il nostro giornalista preferito) e Anna Migotto hanno raccontato in maniera mirabile, senza retori­ca e sentimentalismi, la vita dei nostri soldati, sempre sospesa tra la tensione delle lunghe ore di missione, scandite dai turni di pattuglia diurni e notturni, e il ca­meratismo dei pochi momenti di tempo libero. Sono state propo­ste interviste ai militari, a gente del posto le cui famiglie sono sta­te straziate dalle bombe dei tale­bani; abbiamo visto le immagini del più scalcagnato golf del mon­do e di un altrettanto malandato zoo. Abbiamo provato soprattut­to commozione nel ripercorrere tante storie che testimoniano la drammaticità della guerra. Ca­puozzo ha così concluso il lungo reportage: «Ciò che conta è aver fatto il tuo dovere e il ricordo di chi non torna, piaccia o meno al Times di Londra».


BRACHINO - Mercoledì verso le 10, nel cor­so di «Mattino cinque», Claudio Brachino aveva lanciato un servi­zio sul giudice civile milanese, Raimondo Mesiano, quello della sentenza a sfavore della Finin­vest. Il filmato di Annalisa Spino­so voleva mostrare le stravagan­ze comportamentali del magistra­to (che poi si risolvono in un camminata davanti a un negozio di barbiere) e si è concluso con un’osservazione sul colore dei calzini. Grande giornalismo d’inchiesta! Intanto, in studio, Claudio Brachino commentava le immagini con alcune capriole dialettiche tra le presunte stra­vaganze del giudice e la sua promozione a opera del Csm.

Aldo Grasso

17 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Rai, un po' di coraggio
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2010, 08:41:24 am
Rai, un po' di coraggio

Se solo la dirigenza Rai avesse un po’ di coraggio, stasera manderebbe in onda «Annozero», domani «Ballarò» e poi tutti i programmi che si occupano di politica. Per un sussulto di dignità, per orgoglio aziendale, per mettere la parola fine a una piccola tragedia che nasconde una grande farsa o viceversa. Da questa triste vicenda — dalla serrata dei talk alle intercettazioni—l’immagine della Rai esce ammaccata. Quella che fino a poco tempo fa veniva indicata come la prima industria culturale del Paese appare ora come una nave alla deriva.

Da qualunque punto la si osservi: da destra pensano che ci sia un serio problema di governance, che il direttore generale Mauro Masi sia incapace di farsi rispettare (per mettere la mordacchia a Michele Santoro, il dg si augura che il conduttore faccia la «pipì fuori dal vaso »); da sinistra chiedono le dimissioni di Masi per come ha gestito lo stop ai talk show e soprattutto per la rimozione del direttore di Raitre Paolo Ruffini. Ieri, i consiglieri di maggioranza del Cda della Rai hanno respinto la richiesta di dimissioni avanzata nei confronti del dg, ribadendo che «è immotivata e del tutto inaccettabile». Sarà, ma la figura di Masi ne esce fortemente indebolita. Nello stesso giorno in cui nega di aver ricevuto pressioni dal premier, appaiono intercettazioni (pubblicate anche dal «Giornale») che lo vedono a colloquio con Giancarlo Innocenzi (commissario dell’Agcom) per risolvere il «problema Santoro». Masi sostiene che la Rai resta leader negli ascolti ma basta controllare i dati Auditel nei giorni in cui non sono andati in onda «Annozero» e «Ballarò» e ci si accorge che, il giovedì, Raidue è passata da una media del 14% a una del 9,3% di share e che, il martedì, Raitre è passata da una media dell’ 11,5% al 6,22% di share. E poi il balletto di responsabilità tra la Vigilanza e il Cda della Rai sembra una sceneggiata al limite del ridicolo. Viene quasi da rimpiangere il lessico con cui la lottizzazione filtrava opinioni a servizio dei partiti cercando almeno di salvare le forme. Erano ipocriti, è vero, ma qui sono ipocriti e inetti. Il «si faccia subito chiarezza » lanciato ieri dal presidente Paolo Garimberti suona più come un grido di dolore che come un invito a lavare i panni sporchi. L’abuso metodico delle intercettazioni telefoniche e la loro sistematica diffusione a mezzo stampa sono insostenibili, ma ormai la frittata è fatta.

Se è vero, come dice qualcuno, che le conversazioni sono penalmente irrilevanti (anche se intervenire su un’Autorità di Garanzia è un atto di assoluta gravità), il ritratto che ne esce è sconfortante. Il premier è ossessionato da alcuni fantasmi e pur essendo un grande esperto di comunicazione dimentica che le trasmissioni di Santoro e Floris spostano pochissimi voti. Dimentica che, nell’epoca di Internet, l’informazione viaggia per mille altri canali. Dimentica che la separatezza fra controllori e controllati è l’abc della democrazia. L’unico che ne esce dignitosamente è il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò: non si è lasciato mettere i piedi in testa. Il resto è un paesaggio di rovine padronali.

Aldo Grasso

18 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. E Serena Dandini ride, ride sempre
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2010, 11:05:19 am
A FIL DI RETE

E Serena Dandini ride, ride sempre


Gli uomini preferiscono le tenebre, Gentlemen Prefer Darkness. Uno dei grandi dilemmi degli studi mediatici e televisivi è questo: quanto il contenitore condiziona il contenuto? Un esempio: se un emerito studioso espone una sua pur piccola teoria in un talk scomposto, tipo l’«Arena» di Giletti, è molto probabile che quell’esposizione risenta del clima e lo studioso faccia la figura di un Sergio Mariotti qualsiasi (in arte Klaus Davi). Cosa succede se un professore di cinema, un organizzatore di cultura, un letterato, il nostro più stimato baluardo culturale a New York siede nel salotto di Serena Dandini? Antonio Monda è in Italia per presentare il suo ultimo libro, «Hanno preferito le tenebre » (Mondadori), dodici variazioni sul tema del male a partire da una famosa e terribile frase del Vangelo di Giovanni: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie».

Sono dodici racconti che si leggono di un fiato e attraversano la cronaca, il cinema, la televisione: trasudano sangue e buone letture. Sì, ma cosa ci faceva Antonio Monda dalla Dandini, da quella regina del luogocomunismo su tacco dodici, da quella ridanciana che si riempie la bocca di Cormac McCarthy, di J. D. Salinger, di Philip Roth (Monda ha confessato che Roth non ama Antonioni ma Fellini; se non li amasse entrambi sarebbe perfetto)? Antonio Monda non fa testo perché è totalmente impermeabile all’esterno, la «mondanità», di cui è artefice e maestro, sembra scivolargli addosso senza lasciare tracce apparenti, è inscalfibile. Vederlo discutere di letteratura e di cinema con la Dandini («Parla come me», Raitre, martedì, ore 22.55) mi procurava contorcimenti, inquietudini, ansie: lui diceva cose serie e importanti e lei rideva. Ride sempre. A fine intervista, però, la rivelazione: «La libertà dell’uomo è anche di scegliere il male». Parola di Antonio Monda.

di Aldo Grasso
25 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Libertà o incitazione all'odio?
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2010, 11:01:20 pm
IL COMMENTO

Libertà o incitazione all'odio?

Santoro e una tv da Zimbabwe


Cose che succedono solo in Italia, peggio che in Zimbabwe. Quello che probabilmente resterà l’evento multimediale dell’anno (con pesanti effetti di reazione) è stato visto da tutti fuorché dagli abbonati Rai. Un’altra perla di questa dirigenza che, non contenta di aver rifiutato il contratto di Sky, di aver perso più di 7 milioni di introiti pubblicitari per la mancata messa in onda dei talk
d’approfondimento (fonte Sole24Ore), ha creato le premesse per l’ennesima celebrazione del martirio di Michele Santoro.

Martirio o incitazione all’odio? Per non farsi mancare nulla, «Raiperunanotte» è iniziato subito con una pesante analogia tra Mussolini e Berlusconi, sotto forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica: «Noi non siamo al fascismo - proclama Santoro - ma certe assonanze sono comunque preoccupanti...».

Poteva mancare la requisitoria di Marco Travaglio? E il temino da primo della classe di Giovanni Floris dal titolo «Gli italiani hanno la democrazia nel sangue»? E l’invito di Gad Lerner a «mettere agli atti» chi si è accorto della censura e chi no? E la metafora hard di Daniele Luttazzi su certe attitudini sodomitiche del potere? Il Santoro show che ieri è andato in onda dal PalaDozza è stato molto più interessante per le modalità di fruizione che per i contenuti (a parte il dramma dei lavoratori che perdono il posto). Nel nome della libertà d’espressione si sono incrociati generi differenti (informazione, intrattenimento, musica, satira…), tutte le nuove tecnologie distributive (Internet, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio, siti, blog, social network, dirette streaming, maxischermi, persino 200 piazze), personaggi di diversa provenienza, professionale e artistica, chiamati in platea come fossero grandi star.

Ma il problema, e grave, è un altro. Quando Luttazzi conclude il suo monologo ricordando che «odiare i mascalzoni è cosa nobile » non fa un enorme regalo elettorale a Berlusconi? Fomentare l’odio, alla vigilia delle elezioni, non è un atto di irresponsabilità? Se oggi la maggioranza reagirà pesantemente sarà inutile nascondersi dietro la retorica della libertà d’espressione o della rivoluzione. La politica è effetto di scena e la censura il peggiore dei suoi effetti, un indice di stupidità, ma spesso il rumore delle piazze, delle adunate, degli applausi ottunde le menti e copre i pensieri.

Aldo Grasso
26 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA


Titolo: ALDO GRASSO. Il format di Enrico Mentana ha provato due cose fondamentali
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2010, 11:02:16 pm
IDEE

Campagna elettorale, così il web ha cambiato le regole del gioco

Il format di Enrico Mentana ha provato due cose fondamentali

Si può fare ameno della tv, lo ha dimostrato il «Mentana Condicio». Queste elezioni regionali, grazie a una cavillosa interpretazione della par condicio, rischiavano di essere il funerale del confronto: niente dibattiti tv, in quarantena i contraddittori fra politici. Il format di Enrico Mentana ha provato due cose fondamentali: la prima è che mettere il bavaglio alla tv è ormai un ridicolo controsenso; la seconda, più importante ancora, è che la tv tradizionale o generalista non è più al centro della scena mediatica.

Per questo, giovedì 11 marzo, quando su corriere. it ha preso le mosse il confronto fra Ignazio La Russa ed Enrico Letta, è da considerarsi una data importante: grazie alla indiscussa professionalità del conduttore, il pubblico ha dimostrato di essere capace di migrare da un mezzo all’altro, dalla «vecchia» tv al «nuovo» web. Con l’introduzione della tecnologia digitale, la tv ha mutato il suo statuto e si è trasformata, nel corso di un grande processo di frantumazione, in un new medium. Cioè in un medium interattivo, personalizzabile, delocalizzato, convergente; solo così è possibile trasformare la dimensione comunicativa in un atto sempre più complesso e partecipativo da parte degli spettatori. Sotto questa luce, lo show di Michele Santoro dal PalaDozza di Bologna ha esibito straordinarie capacità di mobilitazione: dell’audience, certo, ma più ancora delle nuove tecnologie distributive: Internet, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio, siti, blog, social network, streaming. Mentana e Santoro hanno avuto il merito di sperimentare la sinergia tra nuovi media e vecchi contenuti. Hanno avuto il merito di proporre prodotti professionalmente ineccepibili, anche dal punto di vista tecnico.

Si può fare a meno della tv generalista, specialmente nei momenti in cui il mezzo non svolge soltanto una funzione di intrattenimento ma serve anche a riflettere, a immaginare il proprio destino politico: ciò che caratterizza il cambiamento in atto è l'idea della radicale personalizzazione del consumo. La tv generalista continua a rimanere una grande luogo comune, un discorso condiviso, l’offerta mainstream per eccellenza: le nuove tecnologie, però, non servono più ad «ammazzare il tempo» ma a renderlo proficuo.

Aldo Grasso

27 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Addio a Raimondo Vianello
Inserito da: Admin - Aprile 17, 2010, 04:33:55 pm
Addio a Raimondo Vianello

Il brontolio dell'Italia media

Le prime parole che vengono in mente per definire Raimondo Vianello non riguardano il suo mestiere ma la sua persona: signorilità, garbo, finezza. Bastava infatti la sua presenza in scena perché ogni programma, brillante e raffinato come lui, viaggiasse sul filo sottile dell’ironia.

Nella sua straordinaria carriera ha avuto tre grandi compagni: Ugo Tognazzi, Sandra Mondaini e il calcio. «Un, due, tre» è stato il varietà più fortunato e famoso della storia della tv delle origini, un piccolo gioiello di contaminazione tra la tradizione consolidata del teatro di rivista di ascendenza tutta italiana, e l’influenza straniera dei grandi show americani, amalgamata dallo stupore e l’entusiasmo per il nuovo mezzo televisivo. La comicità elegante e rarefatta di Vianello diventava complementare alla spontaneità sanguigna e casereccia di Tognazzi.

I veri protagonisti della trasmissione non erano più i numeri d'attrazione internazionali ma i due comici che avrebbero dovuto introdurli: il pubblico iniziava ad aspettare i loro sketch, ed è così che è nata l'idea di scherzare proprio sui programmi tv. La parodia della tv e dei suoi personaggi diventava l'argomento principale delle scenette della coppia (del resto, con Tognazzi formava l'acronimo del mezzo che lo avrebbe reso famoso: Tv), regalando alla leggenda televisiva indimenticabili ed esilaranti ritratti.

Sandra e Raimondo sono poi stati ineguagliabili nel mettere in scena il microcosmo casalingo-sentimentale, tipico della commedia teatrale, traendo spunti dalla cronaca, dalla vita di condominio, da incontri casuali. Battibecchi e piccoli malintesi animavano il ménage quotidiano, scandito dai brontolii di lui, dalle intemperanze civettuole di lei, dall’incrollabile verve di entrambi.

«Casa Vianello» è stato qualcosa di più di un sitcom, quasi un ritratto antropologico dell'interno/inferno familiare, un accurato ritratto borghese, «un modo di rappresentare un’Italia media, abbastanza eterna, piuttosto governativa, tradotta in un format » (come leggo in un ritaglio conservato a firma Edmondo Berselli).

Per ragioni anagrafiche il meglio di sé Sandra e Raimondo lo hanno dato alla Rai (si pensi a «Tante scuse») ma la loro vita di coppia e la coppia come idealtipo di una certa italianità (famiglia benestante, la «rosea» come bibbia quotidiana, lavoro e pensione, tali da garantire una bonne a tempo pieno) è esplosa a Mediaset, regnante Silvio Berlusconi. «Casa Vianello» è stata una delle poche seconde case a disposizione di tutti, una sorta di multiproprietà gratuita. Una location di impianto teatrale, tre locali più servizi, nessun tormento ma solo tormentoni tipo «Che noia che barba, che barba che noia».

Per molti anni Vianello è stato uno dei protagonisti di «Pressing», appuntamento settimanale dedicato al calcio. Nessuno come lui ha tentato di volgere al riso ogni contingenza, ha usato l’ironia come prezioso lenimento — un massaggio canforato per i troppi muscolosi pensieri che governano lo showbiz dello sport — ha cercato di far capire agli spettatori che il gioco del calcio è, prima di ogni altra cosa, un gioco.

Aldo Grasso

16 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Annozero, Santoro contro tutti
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2010, 05:25:58 pm
Il commento

Annozero, Santoro contro tutti

Il monologo di Masaniello


Se uno amasse davvero il Servizio pubblico dovrebbe cominciare ad astenersi dall’usare il Servizio pubblico per fatti personali, per regolare i propri conti con chi la pensa in maniera diversa, per ergersi a Sentinella Unica della Democrazia. E invece, ancora una volta, Michele Santoro ha aperto «Annozero» con un lunghissimo intervento dedicato alle sue vicende, al suo addio all’azienda. Un monologo di venti minuti contro tutti, scritto e recitato, lo sguardo allucinato rivolto alla telecamera, uno show militante, un delirio di onnipotenza che farà testo. Ci sono molti modi per dirsi addio, anche in campo professionale, alcuni più eleganti e discreti, altri meno. Santoro ha scelto il più clamoroso, usando persino espressioni che appartengono al gergo delle vecchie soubrette («il mio pubblico»). Ha alzato il dito contro Sergio Zavoli, contro la Commissione di vigilanza, contro i vertici Rai, contro i politici del Pd che non lo hanno sostenuto, contro i direttori di giornale che non gli hanno dedicato un martirologio. Nell’invettiva, si è chiesto a gran voce se deve ritenersi un giornalista scomodo per la Rai o una risorsa strategica per l’azienda.

Si è anche dato una risposta. Nella foga ha persino detto che il suo programma «dev’essere considerato la perla del Servizio pubblico». Quello che non si è capito è se vuole veramente andarsene oppure restare: «L’accordo non è ancora stato firmato. Se voi pensate che "Annozero" sia un prodotto proibito, scabroso del Servizio pubblico, che non prevede quel tasso di libertà, di spregiudicatezza, di senso critico, allora lasciatemi andare via». Poi il coup de théâtre finale: «Volete che rimanga in Rai? Chiedetemelo». Più correttamente, avrebbe dovuto dire: rivolgetevi al mio agente Lucio Presta. Se Santoro lascia la Rai sarà una perdita: sa fare il suo mestiere, è una voce critica, non governativa, procura profitti all’azienda. Ma Santoro dovrebbe una buona volta smettere di credersi il Masaniello della tv, il solo tutore delle nostre coscienze e liberarsi di quella grossolanità ideologica che mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Col passare del tempo, questo suo vizio antico si è ingigantito e i cattivi sono diventati tutti gli altri e il buono (il generale Custer assediato dagli indiani) è rimasto solo lui, ipertrofico e autocompiaciuto. Un venditore ambulante di libertà. Certo con il suo pubblico, i suoi adepti, le sue tricoteuses.

Aldo Grasso

21 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_maggio_21/annozero_santoro_contro_tutti_il_monologo_di_masaniello_grasso_a69e60c6-649e-11df-ab62-00144f02aabe.shtml




Titolo: ALDO GRASSO. Il perfetto para-guru guida Uno Mattina (Diaco Pierluigi )
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2010, 12:12:59 pm

A fil di rete

Il perfetto para-guru guida Uno Mattina


«La sveglia delle 4.30 del mattino mi ha regalato un privilegio senza pari: il silenzio della preghiera. Anche la statua di Pasquino, che mi guarda dalla piazza omonima quando apro le finestre, mi saluta con la sobrietà che meritano i primi istanti dell'alba. La vita è una meraviglia e Dio è sempre più rock. Grazie a Uno Mattina».

Sono queste le parole più sincere che Pierluigi Diaco abbia mai pronunciato in vita sua, anche se è difficile capacitarsi della sua presenza sul Foglio. Ringraziare Dio per aver finalmente coronato un suo sogno: condurre un programma su Raiuno. La storia di Diaco è la storia esemplare di una resistibile ascesa sociale nel demi-monde della tv romana, cominciata prestissimo con una raccolta devozionale degli interventi di Sandro Curzi (non è il solo danno combinato da quel vanitosone, pace all'anima sua) e proseguita poi con serrati corteggiamenti ai Veltroni e ai Fassino ma anche ai Belpietro, ai Costanzo, alle De Filippi.

Il ritratto più riuscito di questo blando avventuriero del piccolo schermo lo si deve a Filippo Facci: «Pierluigi Diaco, professione giovane e dj, creativo, nientologo del tutto, tuttologo del niente». Assolutamente privo di ironia, corteggia spudoratamente la banalità e programma con pignoleria la sua carriera: cerca di entrare nelle grazie di chiunque detenga un potere senza mai dispiacere l'interlocutore, inondandolo anzi di melassa e di condiscendenze.

Le doti principali di Diaco sembrano essere appunto l'adulazione e l'opportunismo: è di sinistra ma anche di destra (lavora per la radio «giovane» del ministro Giorgia Meloni), dice di amare le donne ma anche gli uomini, parla da orecchiante ma anche da cultore di idées reçues, espresse preferibilmente in un italiano incerto. È giovane ma anche vecchio. Non ha un pensiero, ma finge di averlo, come tutti i cosiddetti opinionisti tv, insomma è un perfetto para-guru.

Il conduttore ideale di questa Rai.

Aldo Grasso

18 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_giugno_18/para-guru-diaco-uno-mattina-grasso_8bc901a2-7a9c-11df-aa33-00144f02aabe.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il congedo di Piroso narcisismo mediatico
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2010, 04:15:53 pm
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Il congedo di Piroso narcisismo mediatico

Annuncio tv a metà tra il bollettino della vittoria del generale Diaz e la lettera di Totò e Peppino


Mi ero sintonizzato per tempo su La 7 per vedere il nuovo programma di Luisella Costamagna e Luca Telese "In onda," quando un minaccioso proclama (lettere bianche in campo nero) ha cominciato a scorrere, in apertura del tg. Era l’editoriale di commiato di Antonello Piroso.
Mi perdonino la Costamagna e Telese, ma di fronte a un simile congedo ogni altro discorso passa in second’ordine.

Diciamo subito che la formula scelta per salutare il pubblico dallo schivo Antonello ha alcuni precedenti storici: due su tutti.
Il primo è il famoso bollettino della vittoria firmato Diaz: stesse parole scolpite nel marmo, stessi riferimenti agli spettatori catturati («Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni…»). Piroso parlava di audience, ma era la stessa cosa. Quanto al suo austriaco successore, Enrico Mentana è stato paragonato a Lady Gaga (Antonello, intanto, si ergeva a Madonna).

Il secondo è la famosa lettera di Totò e Peppino alla malafemmina: mancava solo il riferimento alla moria delle vacche, ma quanto a parentesi, punti e punti e virgola l’estensore non ha badato a spese. Veramente ci sarebbe anche un terzo modello di riferimento: il proclama si concludeva con queste parole (a beneficio dei pochi che fin lì non avevano ancora capito): «Io sono Antonello Piroso». Che ricorda molto il finale del film Il processo di Kafka: «My name is Orson Welles». Se vogliamo ci sarebbe anche il finale con cui l’autore dell’Apocalisse suggella la propria visione: «Io, Giovanni, sono colui che ode e vede queste cose».

Ora, una cosa è certa: questo congedo è ben poco significativo per la storia della tv (uno dei tanti exploit da prima donna), ma si offrirà come capitolo fondamentale per la storia del narcisismo mediatico. A volte, una lapide racconta molto più di un volto.

Aldo Grasso

03 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_luglio_03/congedo-piroso-narcisismo-mediatico-grasso_03c55b50-8665-11df-8332-00144f02aabe.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Se Giordano si mette in «Bikini»
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2010, 10:18:31 am
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Se Giordano si mette in «Bikini»

Come tuffarsi senza remore nell’indecenza.


Che «Bikini» sia un settimanale di costume non ci sono dubbi (Italia 1, domenica, ore 21.40). Con quella sua aria da ex seminarista, Mario Giordano manifesta assoluta mancanza di pruderie, da «Lucignolo» in poi. Forse è questo il suo stile, il suo modo di coltivare la decenza: tuffarsi senza remore nell’indecenza. In realtà una remora c’è, risolta espressivamente con la riesumazione del Cinegiornale. C’è stato un tempo, ai primordi della tv, in cui i cinegiornali (Settimana Incom e Cinemondo), proiettati in tutti i cinema prima del film, hanno cambiato registro: figli del Luce, hanno dovuto abbandonare la pura informazione per passare a uno stile rotocalco, con ampi servizi dedicati ai pettegolezzi su personaggi dello spettacolo.

La cosa incredibile è che Giordano ha conservato di quei cinegiornali l’umorismo un po’ oratoriale (allora, per ironizzare su un’attrice che mostrava con generosità le gambe, si dicevano frasi del tipo «in lei si ammira il paesaggio delle mute Ande»), un po’ da compagnuccio della parrocchietta. Di che si parla in «Bikini», il cinegiornale curato da Roberta Potasso? Di Fabrizio Corona, naturalmente, che avrebbe sbattuto fuori di casa la bella Belen. Di Mario Balotelli e dei suoi scherzi estivi a Milano con una scacciacani, dei tuffi in piscina nella sua villa di Amalfi di Michele Santoro, delle vacanze di Cristiano Ronaldo.

C’era anche un servizio su Cristel Carrisi, la figlia di Albano e Romina. Un’intervista che metteva tenerezza, ambientata ovviamente a Cellino San Marco, nella tenuta paterna. Cristel ha un’aria smarrita, sembra uscita da una canzone dei suoi genitori, eternamente sospesa in un mondo creato da qualche modesto paroliere.

Certo, vuole sfondare nel mondo dello spettacolo, ma qualcuno dovrebbe suggerirle che non è il caso di esporsi a queste languide interviste in cui si finisce sempre per recitare la parte della svampita. In bikini o senza.

Aldo Grasso

20 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_luglio_20/grasso-fil-di-rete-giordano-bikini_35af19da-93bc-11df-8c86-00144f02aabe.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. In tv l'accumulo vince sul racconto
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2010, 07:01:21 am
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In tv l'accumulo vince sul racconto

«Una notte per Caruso» e il dialogo demenziale Saluzzi-Ward con cui è stato aperto il programma


Siamo d'estate e i programmi non devono avere, e nemmeno mostrare, tante pretese. Specie se gli ascolti arrivano. In realtà, qualche pretesa artistica Una notte per Caruso pareva averla (Raiuno, venerdì, ore 21,20). A Sorrento, sul palco di Marina Grande, si sono esibiti molti artisti: Gigi D'Alessio, Chaka Khan, Ray Gelato, Simone Cristicchi, Noemi, Giulia Ottonello e Massimiliano Pironti, le sorelle Marinetti, l'acclamatissimo Kledi Kadiu, la prima ballerina Emanuela Bianchini, il primo ballerino dell'Opéra di Parigi Alessio Carbone, i sedici artisti della Compagnia Mvula Sungani, i campioni del gruppo di breakers Heroes Crew.

Però bastava seguire il dialogo demenziale, in barca, con cui i due conduttori, Paola Saluzzi e Luca Ward hanno aperto il programma, per fuggire a gambe levate. Com'è possibile scrivere simili scempiaggini? È possibile, perché dalla nostra tv è sparita totalmente la nozione di racconto per essere sostituita da quella di accumulo. Una notte per Caruso è stato scritto da Alessandro Buccini, Duccio Forzano (regista), Andrea Lo Vecchio, Domini Soso, Mvula Sungani (coreografo). E proprio la presenza di Duccio Forzano ci aiuta a capire qualcosa. In realtà, Forzano non è un regista (non ha uno stile particolare che lo contraddistingua, non sa raccontare) è un bravo visualizer, un visualizzatore. Le sue regie, quelle di Fabio Fazio o di qualsiasi altro varietà, sono caratterizzate da alcuni effetti ottici di grande suggestione.

Questi effetti hanno il compito di amalgamare il tutto (come la panna in cucina), l'esibizione di un cantante con un balletto ispirato alla Carmen di Bizet, il pianista Raphael Gualazzoni con Gigi D'Alessio. La serata non ha alcun sviluppo, procede per affastellamento (più è ricca la produzione, più ospiti si possono invitare), la Saluzzi e Ward leggono testi da arresto immediato, si aggrappano a ogni pretesto per evocare il fantasma Caruso.

Aldo Grasso

01 agosto 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_agosto_01/grasso-accumulo-vince-contro-racconto_011154c6-9d3b-11df-afd5-00144f02aabe.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Monsignor Ravasi e la cultura in tv
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2010, 12:33:49 pm
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Monsignor Ravasi e la cultura in tv

Forse la Basilica di Santa Prassede in Roma ha fatto venire in mente a monsignor Ravasi donna Prassede dei Promessi sposi, libro inesausto da cui trarre una citazione sull'amicizia: «Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto»(cap XI). La nuova stagione di «Frontiere dello spirito», in onda dal 1988, si è aperta sotto il segno dell'amicizia. A causa dei numerosi impegni che lo gravano, monsignor Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, aveva lasciato intendere un suo possibile abbandono: le migliaia di lettere ricevute lo hanno fatto desistere, per ora (Canale 5, domenica, ore 8.50).

Ma potrebbe mai la tv Italiana privarsi di monsignor Ravasi? La sua è una delle poche rubriche culturali esistenti, nel vero senso della parola. Perché, lo abbiamo ripetuto più volte, la sua esegesi della Parola è un viaggio attraverso le civiltà e le religioni; ogni passo biblico diventa un perpetuo interrogarsi, una scoperta vertiginosa, un limpido garbuglio (da Mondadori sta per uscire Questioni di fede).

La lettura scelta era un passo del profeta Abacuc, una domanda del sofferente che chiede ragione a Dio dell'iniquità e della violenza del mondo, della continua prevaricazione dei cattivi sui giusti (il libro è stato scritto in ebraico 7 secoli prima di Cristo). Il Signore risponde dicendogli di preparare una tavoletta su cui segnare una scadenza: «Il giusto vivrà per la sua fede». La frase verrà poi ripresa da Paolo nella «Lettera ai Romani» (scritta in greco) a proposito della dottrina sulla fede. Passando dall'aramaico all'ebraico, dal greco al latino, monsignor Ravasi ci mostra come la religione abiti ancora le valli profonde del paesaggio della vita. «Le frontiere dello spirito» è curato da Maria Cecilia Sangiorgi, prodotto da Tiziana Colombo e diretto da Vittorio Riva.

Aldo Grasso

05 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_ottobre_05/grasso_7be505de-d040-11df-9b01-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Capuozzo fa quello che la Rai dimentica
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:35:29 pm
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Capuozzo fa quello che la Rai dimentica


Terra su terra. Un programma che si chiama «Terra!», settimanale del Tg5 a cura di Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato, non poteva non occuparsi di «Terra madre», quella straordinaria manifestazione che si è svolta a Torino dal 21 al 25 ottobre e che ha riunito oltre 5.000 rappresentanti di comunità del cibo, cuochi, contadini provenienti da tutto il mondo e impegnati a promuovere una produzione alimentare locale, sostenibile, in equilibrio con il pianeta e rispettosa dei saperi tramandati di generazione in generazione. Vivessimo in un Paese normale, il Servizio pubblico dedicherebbe non un programma ma una rete intera a un evento così importante. E invece, salvo l'impegno di «Ambiente Italia», la Rai continua a confondere l'agricoltura con il turismo gastronomico e la cultura del cibo con Antonella Clerici. Roba da non crederci! Tocca all'impavido Toni Capuozzo, con il ritardo di una settimana per aver ceduto anche lui alla morbosità di Avetrana, occuparsi di agricoltura sostenibile e del futuro che attende l'umanità in campo agroalimentare. Capuozzo era in Niger a raccontare quel martoriato Paese, soprattutto il terribile dramma della mortalità infantile; Marco Corrias in Sardegna a descrivere i problemi dei pastori; Sabina Fedeli in Marocco e Anna Migotto in Israele a raccogliere le testimonianze di chi è tornato a coltivare la terra recuperando antiche tradizioni, Gaetano Savatteri a Pollica per ricordare Angelo Vassallo il sindaco ambientalista ucciso dalla criminalità organizzata.

Provvisionato ha intervistato Carlo Petrini, il padre fondatore di Slow Food: «In tanti pensano che dietro Terra Madre ci sia chissà quale organizzazione, tutti rimangono stupiti da questa presenza incredibile. Ma quello che ci unisce è il valore dell'incontro... Abbiamo diversi colori della pelle, diverse religioni, credi e lingue. Ma siamo uniti nel rispetto della terra, nel rispetto dell'umanità che la abita».

Aldo Grasso

02 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_novembre_02/grasso_9f1b6c3c-e648-11df-a903-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L’Eco di una domanda che non ha risposta
Inserito da: Admin - Novembre 03, 2010, 10:06:14 pm
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L’Eco di una domanda che non ha risposta

Tour de force televisivo per Umberto Eco: domenica da Fabio Fazio, lunedì da Gad Lerner. Speriamo non sia agìto dalla «sindrome Vespa», quella sottile patologia che ti spinge a frequentare tutti i salotti televisivi, indistintamente, come l’ultimo dei venditori ambulanti. A occhio, direi che l’impegno è finito. A meno che... A meno che Il cimitero di Praga, il suo ultimo romanzo, non faccia parte di un complotto universale, quell’ossessione che da secoli ci accompagna e ci spinge a sostituire gli accidenti e le casualità della storia con un disegno, ovviamente malvagio e sempre occulto.

Fabio Fazio altri non sarebbe che un chierichetto in mano ai gesuiti, quegli stessi gesuiti che hanno fatto affondare il Titanic perché da quell’incidente è stato loro possibile fondare la Federal Reserve Bank attraverso la mediazione dei cavalieri di Malta che essi controllano... Gad Lerner, manco a dirlo, sarebbe l’ultimo esponente del grande complotto giudaico massonico, pronto a far cadere il governo per... Si scherza su queste cose, ma neanche tanto, se si pensa che in giro ci sono dei cretini che giurano che la strage dell’11 settembre è stata provocata ad arte dagli americani stessi. Si scherza, ma neanche tanto, perché l’argomento principale del romanzo di Eco riguarda quel clamoroso falso che si chiama I protocolli dei savi di Sion, volume su cui si fonda l’antisemitismo moderno (da Hitler in poi), ancora oggi regolarmente stampato e venduto, specie nei Paesi islamici. La storia è piena di falsi, ma il tragico è che alcuni di questi falsi non producono solo letteratura alla Dan Brown; producono attentati, stragi, guerre ideologiche. Proprio per questo, sia da Fazio che da Lerner mi sarei aspettato questa domanda: Eco è il più importante e stimato autore della Bompiani, com’è possibile che questa casa editrice pubblichi i diari di Mussolini ritrovati da Marcello Dell’Utri ma ritenuti falsi da molti storici?

di Aldo Grasso

03 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/10_novembre_03/grasso_eco_domanda_d18c8d30-e702-11df-a903-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Opportunismo in scena per cavalcare l'occasione
Inserito da: Admin - Novembre 13, 2010, 10:21:43 pm
Il commento

Opportunismo in scena per cavalcare l'occasione

Il ceto medio riflessivo ha il suo nuovo Michele Santoro. Si chiama Fabio Fazio. Confortato dal successo della prima puntata, rincuorato dalla reale difficoltà in cui si trova il premier, incoraggiato da Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre responsabile del programma (è capace di pensare la tv solo in termini ideologici, esattamente come Antonio Marano e Mauro Masi), Fazio ha deciso di invitare Gianfranco Fini e Pier Luigi Bersani alla prossima puntata di Vieni via con me. Staremo a vedere, ma il rischio che il programma prenda una connotazione tutta politica, tale da stravolgerne la natura, almeno così come ci era stato presentata, è forte. In un'atmosfera da martirio mediatico, ricordiamo ancora le parole di Roberto Saviano a proposito del suo desiderio di sfidare il mezzo televisivo, di confrontarsi con una nuova scrittura dove gli ospiti avrebbero dovuto funzionare da punteggiatura e i movimenti di scena da predicati verbali. Tutto finito, tutto sacrificato sull'altare dell'audience e sull'opportunità di cavalcare l'occasione. Forse insperata.

Basta confrontare i commenti del giorno dopo la messa in onda del programma: erano tutti di carattere squisitamente politico, a ben pochi interessava la riuscita del programma. Saviano è stato efficace, si è davvero confrontato con una nuova scrittura? Benigni ha dato il meglio di sé? Certi duetti erano già andati in onda? Ma a chi importano queste bazzecole? Gli interventi di Saviano e di Benigni sono stati giudicati da un solo punto di vista: straordinari per i militanti di sinistra, penosi per quelli di destra. Quell'idea che, a caldo, avevamo avuto sulla prefigurazione del primo programma tv di un possibile governo di unità nazionale (ripresa poi da altri) non era dunque del tutto peregrina. Adesso, per aggirare l'ipocrita legge della Rai che vieta la presenza dei politici in certi programmi si risponde con un'altra ipocrisia: Vieni via con me è un programma di approfondimento culturale e non un varietà, esattamente come Che tempo che fa. A parte il fatto che ci sarebbe molto da discutere tra la promozione culturale (ogni opera presentata da Fazio è un capolavoro, mai sentita una qualsiasi obiezione) e cultura, resta il fatto che è imbarazzante vedere Don Abbondio vestire i panni di Don Rodrigo.

Nessuno vuole censurare nessuno: vadano Fini, Bersani e tutti quelli che gli autori decideranno di invitare; del resto abbiamo una Rai così politicizzata e così pesantemente squilibrata che è difficile scorgere le pagliuzze negli occhi degli altri. Un solo favore: risparmiateci la manfrina del programma culturale e ripensate alla promessa del «nuovo» che Roberto Saviano avrebbe dovuto mostrarci.

ALDO GRASSO

13 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_novembre_13/grasso_oppotunismo_dacd7cfc-eef4-11df-979e-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Fini e Bersani da Fazio quell'Elenco dei Valori in Tv
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2010, 05:36:30 pm
Fini e Bersani da Fazio quell'Elenco dei Valori in Tv

Tanti (forse Troppi)


Dopo Sarkozy, la Gran Bretagna di Cameron: in Europa si diffonde la ricerca di nuovi indici per calcolare la felicità dei cittadini, parametri alternativi al Pil per misurare il grado di sviluppo e di soddisfacimento dei bisogni di una società. Non succede spesso di vedere il presidente della Camera e il segretario del Pd nell’insolita veste di portavalori. Eppure, nella vertigine della lista in cui li ha precipitati il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano, i due hanno accettato di andare in tv proprio nel giorno in cui i futuristi finiani hanno preso congedo dal governo. Ma prima dei valori c’è il disprezzo dei valori.

Saviano ha messo in scena, con l'aiuto di Antonio Albanese, la leggenda delle tre organizzazioni criminali (mafia, 'ndrangheta, camorra), ha parlato dei loro irremovibili codici d'onore. Per descrivere l'oggi è risalito al racconto di Osso, Mastrosso e Carcagnosso i «padri fondatori» della mafia che ordinavano vendette sanguinose salutandosi nel nome dei santi. Ieri sera era molto didascalico, quasi da powerpoint, sembrava Alberto Angela che spiega le catacombe. Gli è sfuggita persino l'espressione «il mio pubblico». Ha radiografato la mafia del Nord (immaginiamo con quanta gioia Roberto Formigoni e il ministro leghista Maroni abbiano ascoltato l'orazione), l'ha descritta come un centro internazionale del narcotraffico, ha citato un po' a sproposito Gianfranco Miglio, ha fatto un appello alla «parte sana» dei calabresi. Saviano meglio dell'esordio, ma l'inchiesta che Roberto Iacona aveva fatto a settembre sullo stesso argomento era parsa più efficace. Questione di codici. Linguistici.

Ma il clou della serata sono stati gli elenchi di Pier Luigi Bersani e di Gianfranco Fini, definiti rispettivamente «valori della sinistra» e «valori della destra». Senza un briciolo di espressività, Bersani ha fatto la lista dei classici luogocomunismi: lavoro, giustizia sociale, energia pulita. Un po' più vivace Fini: la destra è aver fiducia negli italiani, essere solidali e generosi, la destra è avere istituzioni politiche autorevoli, rispettate. La cosa che lascia perplessi è che ormai «destra» e «sinistra» sono vecchie e agonizzanti categorie storiche, da tempo inutilizzabili come categorie del pensiero. Parlare ancora di «valori di destra» o di «valori di sinistra» è una sorta di coazione karmica o, come direbbe Daria Bignardi, di pesantezza karmica. Ha ancora senso andare avanti con queste etichette? Siamo ancora al chi è lento e chi è rock?

Il gusto della lista non deriva solo dal libro di Umberto Eco. Già ai tempi di Anima mia, Fazio lo ricercava con ardore. Solo che allora si trattava di cianfrusaglie nostalgiche, di oggettistica del cuore, di arredo sentimentale.

Qui, signore e signori, si parla di valori.

Nell'era rischiosa della convergenza.

Aldo Grasso

16 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_novembre_16/grasso-elenco-dei-valori_0aefc484-f14e-11df-8c4b-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Quella vita parallela costruita a tavolino
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2011, 05:49:15 pm
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Quella vita parallela costruita a tavolino

Temo che Alfonso Signorini si sia imbarcato in un gioco più grande di lui. In questi anni ha dimostrato di essere un gossipparo intelligente, un pungente osservatore di costume, un campione della tv gay oriented. Da un po' di tempo, ha deciso di lasciare la leggerezza per una pesantezza che è fuori dal suo registro: alla sventatezza ha preferito la militanza. Non rischia un clamoroso scivolone?

Credo che la sua intervista a Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori, sarà a lungo studiata da chi è interessato al funzionamento dei media. Intanto perché era un corpo totalmente estraneo ai canoni di «Kalispéra» (viene annunciata nel corso del programma, con Teo Teocoli che si abbandona allo stupore, e dopo si vede che è una registrazione) e poi perché appartiene ai quei generi neotelevisivi - i people show, i talk, i reality - dove verità e finzione si mescolano statutariamente (Canale 5, mercoledì, ore 23).

Senza entrare nel merito della vicenda processuale, l'intervista ha una sua struttura narrativa che dà la sensazione di un lavoro a tavolino per creare alla ragazza una nuova personalità, a cominciare dal cambio del nome: non più Ruby Rubacuori ma Karima, con la piena approvazione dell'intervistatore.

E poi il dialogo si snoda secondo un tracciato narrativo, da sceneggiatura: l'idea della costruzione di una vita parallela (concetto molto moderno, forse al di sopra del bagaglio culturale di Ruby), l'infanzia tragica con la violenza degli zii («per sfuggire al tuo dolore hai cominciato a costruirti una vita parallela», ribadisce Signorini), il padre che la considera una «porta iella», il catechismo studiato di nascosto, la fuga da casa a soli 12 anni («Eri vecchia dentro», chiosa Signorini), i furti per necessità, l'insegnamento della madre, quella che aveva coperto la violenza familiare («puttane si nasce, non si diventa») e, come da copione, il nuovo amore, tal Luca Risso. Insomma, Signorini passa da Elena Santarelli a Karima Santarellina.

Aldo Grasso

21 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/spettacoli/11_gennaio_21/grasso-signorini-ruby-karima_6d593cc6-2525-11e0-9e30-00144f02aabc.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Le verità sgradevoli dell'«Infedele»
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2011, 11:01:39 am
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Le verità sgradevoli dell'«Infedele»

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, la Karl Popper de noantri.

«Berlusconi dimettiti, l'Italia è un bordello chiede una piazza sempre più indignata. Sono i giudici che tentano il golpe ma il popolo mi segue risponde lui; spalleggiato da una Lega turbata ma leale. Ha ragione l'Italia che si vergogna o è solo moralismo a senso unico? Qual è il vero scandalo?». Prometteva bene la puntata dell'Infedele: gli ospiti di Gad Lerner erano Adriano Prosperi, Vittorio Messori, Sabrina Nobile, Francesca Izzo, Maria Teresa Meli, Igor Iezzi, Umberto Brindani, Giorgio Stracquadanio. C'era persino un'intervista a Iva Zanicchi (La7, lunedì, ore 21.15).

Per fortuna non era presente Lorella Zanardo, la castigamatti della tv. Se no avrebbe potuto accusare la trasmissione di furbizia: la puntata sul «bunga bunga» era andata benissimo e, seguendo le perfide leggi dell'Auditel, Lerner era ancora lì a parlare del bordello Italia, delle notti di Arcore, di Ruby e di altre minorenni. E invece, a parte le fastidiose interruzioni di Stracquadanio (ormai i talk di approfondimento sono a livello del Processo del lunedì di Aldo Biscardi), tutto è filato liscio (il «bunga bunga» alza l'audience). Del resto, come ha sostenuto un ospite in studio, «L'infedele serve anche a dire le verità sgradevoli».

Quando Berlusconi telefonò a Lerner

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, la Karl Popper de noantri. Altrimenti, ne sono sicuro, avrebbe tirato fuori la storia dei minorenni in tv. Sì certo, Ruby, Iris, tutta colpa di quella tv che mette in mostra i bambini, e quanto male fanno quelle trasmissioni come Ti lascio una canzone o Io canto dove si esibiscono bambini che imitano gli adulti nelle movenze sensuali, negli ammiccamenti, negli sguardi complici; bambini che si riempiono la bocca di «questo nostro amore», di «quello che le donne non dicono», di «quando nasce un amore»; bambini offerti come caricature di adulti.

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, se no l'avremmo sentita inveire contro il conduttore: «Scusa Gad, ma non dici niente del tredicenne che si è esibito al PalaSharp?».

Aldo Grasso

09 febbraio 2011 © RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/spettacoli/11_febbraio_09


Titolo: ALDO GRASSO. Masi chiama l'Isola logorrea da incubo
Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2011, 12:22:10 pm
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Masi chiama l'Isola logorrea da incubo

Improvvida telefonata a Simona Ventura, ridicola sia per inopportunità che per insipienza


Non c'è mai fine al peggio e c'è da presumere che il prossimo anno, terminato l'incarico a Viale Mazzini, Mauro Masi si presenti come candidato all'«Isola dei famosi». Intanto, l'altra sera, ha fatto le prove, con un'improvvida telefonata a Simona Ventura, ridicola sia per inopportunità che per insipienza (è di quelli che si credono spiritosi). Se il reality, da lunedì ufficialmente sdoganato dalla direzione generale della Rai, gli parrà troppo impervio potrà pur sempre fare l'opinionista del trash, accanto a Vladimir Luxuria e Alba Parietti (Raidue, lunedì, ore 21,03).


Tutta l'attenzione di questa nuova edizione era concentrata su Raffaella Fico che, secondo quando emerge dalle intercettazioni dello scandalo, avrebbe partecipato alle cene di Arcore. Così nella scheda di presentazione si è sottolineato il fatto che la ragazza è cresciuta senza aver mai dimenticato i valori fondamentali: «Sono molto cattolica», ha dichiarato la Fico, nota per «aver perso la verginità solo dopo essere uscita dal Grande Fratello» (l'aveva messa all'asta per un milione di euro).
Il tono della trasmissione che tanto piace a Masi è questo. Dialogo fra la Ventura e la Parietti: «Briatore ce l'ha più grande... intendo la barca, il resto non lo conosco». Simona al concorrente Thyago: «Ti piacciono le donne oppure sei molto democratico?», giusto per capire cosa si intenda per democrazia in tv.


Daniel McVicar ha perso un figlio in un incidente stradale un mese fa e Luxuria sermoneggia sulla libertà di elaborazione del lutto. Per non essere da meno la Parietti, cha da poco ha perso la mamma, vuol far sapere al mondo intero che anche a 50 anni si può restare orfanelli. Simona continua a urlare, l'inviato Daniele Battaglia ha il dinamismo di un bradipo abbarbicato al suo albero, Eleonora Brigliadori stordisce l'intera compagnia per la sua incontinenza verbale. Ma il problema è Masi: al telefono è un incubo, più logorroico della Brigliadori.

Aldo Grasso
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it/spettacoli


Titolo: Mauro Masi (direttore generale Rai) La mia telefonata all'«Isola» ...
Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2011, 12:23:16 pm

La lettera

Masi: La mia telefonata all'«Isola»

Il direttore generale Rai replica alle critiche rivoltegli da Aldo Grasso nella sua rubrica


Ho già espresso in più occasioni la stima e il rispetto che nutro nei confronti di Aldo Grasso, ma questa volta sono in totale disaccordo con il suo commento sull'Isola dei famosi. Non perché mi riguarda personalmente, ma perché - a mio avviso - è ingiustificatamente miope.
La telefonata che ho fatto in diretta a Simona Ventura, peraltro durata meno di un minuto, è stata dettata da due motivi:

1) da una ovvia cortesia aziendale sollecitata in questo caso, nella mia visione, da una serie di attacchi ingiusti e faziosi ricevuti a priori dalla conduttrice del programma per le scelte fatte,

2) per evidenziare le procedure della Rai in tema di trasparenza del televoto; tema particolarmente delicato, in quanto al centro di polemiche anche per quanto riguarda il Festival di Sanremo; il mio intervento si era reso infatti obbligatorio - e sottolineo obbligatorio - da un provvedimento dell'Autorità Antitrust comunicatoci formalmente pochi minuti prima dell'inizio della trasmissione e chiaramente evidenziato dalle agenzie di stampa nella stessa serata e il giorno successivo.

Mi consenta poi due considerazioni finali. La prima è che non credo che l'episodio in sé meriti particolare attenzione, ma se lo si fa forse sarebbe stato meglio vedere la questione nella sua interezza. La seconda è che le mie letture giovanili (cito solo per esempio e per pura passione personale il Conrad di «Lord Jim», il Mishima di «Confessioni di una maschera» e un pò tutto Dostoevskij) mi hanno insegnato, quando si è convinti e in buona fede, a metterci la faccia anche per sostenere qualcosa molto lontano dalle proprie radici culturali e professionali. Anzi forse proprio per questo. So che non è molto politically correct ma tant'è...


Mauro Masi (direttore generale Rai)



La risposta di Aldo Grasso
Gentile dottor Masi, spero che lei si renda conto che, grazie alla sua telefonata, L'isola dei famosi è la prima trasmissione a ricevere in diretta la benedizione della direzione generale. Il servizio pubblico non aveva altri programmi da indicare come modello virtuoso? (a.g.)


da - corriere.it/spettacoli


Titolo: ALDO GRASSO. L'inno di Roberto al Festival
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2011, 05:00:41 pm

LA GIORNATA PIU' SIMBOLICA

L'inno di Roberto al Festival

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta.
Dal torpore sanremese, dal suo torpore di questi giorni convulsi e insieme tragicomici. Tocca a Roberto Benigni, a cavallo di un caval, dare un senso a questa serata di canzoni «storiche», celebrare la messa della giornata più simbolica del Festival, «nata per unire». Ci mancava la sua esegesi dell’inno di Mameli (unico inno al mondo che porta il nome del paroliere e non del musicista), in cui, tra tante citazioni colte e forbiti riferimenti, riesce a infilare Ruby Rubacuori e «Le mie prigioni» di Silvio (pausa) Pellico; ci mancava il suo inno all’Italia per ritrovare un po’ di orgoglio, un po’ di identità nazionale. E allora viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer,
l’Italia del caffè… Van De Sfroos, sfidando persino le ire leghiste, ha cantato De Gregori perché c’è una sola cosa che unisce indistintamente tutti gli italiani, ed è la canzone, la nostra sola «religione civile».

Non la bandiera, non il made in Italy, non la moda, non le forze armate, non la Nazionale. Forse Sanremo, in quanto rito, auto-rappresentazione collettiva, festa civile finalmente affrancata dai suoi contenuti specifici (questo spiegherebbe, ogni anno, il costante successo di pubblico nonostante la modestia dello show). Per la serata dedicata all’Unità d’Italia—finora la più divertente e la più ispirata di questo Festival— c’era tutto lo stato maggiore della Rai, più vari politici, felici di farsi un po’ sbeffeggiare da Luca & Paolo e poi da Benigni, più il piccolo olimpo dei presenzialisti, pieno di Tinti e Rifatte, il pubblico ideale cui offrire il simpatico kitsch del «Va, pensiero» interpretato da Al Bano (un sudista per la hit della Lega!).

Che la serata sanremese ci serva da lezione: le celebrazioni non sono polverose feste della nostalgia o della retorica. Sono invenzione, gioia, canto e incanto, amor proprio e amor di nazione. Se la canzone ci unisce, l’Inno di Mameli, al più presto, ci desti!

Aldo Grasso

18 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/spettacoli/speciali


Titolo: ALDO GRASSO. La brutta immagine della Rai sull'Unità
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2011, 06:47:41 pm
A FIL DI RETE

La brutta immagine della Rai sull'Unità

Ha chiuso mestamente in anticipo Centocinquanta, il varietà nato per celebrare l’anniversario dell’Unità d’Italia, condotto da Pippo Baudo e Bruno Vespa. Nell’ultima puntata si sono esibiti alcuni ballerini, reduci da Ballando con le stelle (Fiona May, Barbara De Rossi e Hoara Borselli, la collaboratrice del ministro La Russa), sono intervenuti Massimo Ranieri (ormai una presenza fissa sulla rete), Massimo Ghini, grandissimo interprete di cinepanettoni ma ormai modesto attore drammatico (Raiuno, mercoledì, ore, 21.15). Con Centocinquanta però, la Rai ha fallito il suo appuntamento con la Storia, la nostra storia. Per una serie di grossolani errori. Per rafforzare la festa dell’Unità d’Italia del 17 marzo, il programma avrebbe dovuto precedere quella ricorrenza e contribuire non poco a crearla (è uno dei doveri del Servizio pubblico, ovviamente su Raiuno e in prima serata).

Invece è successo il contrario: per impreparazione e per altri motivi che non conosciamo il programma è partito la sera del 17 marzo (e vogliamo ricordare le interviste di Manuela Arcuri?). I temi della memoria e dell’identità sono delle grandi narrazioni collettive e la tv generalista gioca un ruolo fondamentale nel promuovere l’unità nazionale a livello simbolico, collegando gli individui e le loro famiglie al cuore della vita nazionale, offrendo al pubblico una immagine di sé e del Paese come una comunità consapevole, generando un più ampio spazio pubblico, oltre le routine dell’esistenza quotidiana. Centocinquanta era un programma di rievocazioni, più sull’onda della nostalgia che su quella della ricostruzione storica. Per questo genere di ricordi bastava Pippo Baudo, che in passato più volte ha dimostrato di saperci fare; del tutto sbagliata l’ibridazione con le interviste e i dibattiti di Bruno Vespa.

Che brutta immagine la Rai ha fornito di sé e dell’anniversario dell’unità d’Italia!

Aldo Grasso

07 aprile 2011(ultima modifica: 08 aprile 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - corriere.it/spettacoli/11_aprile_07/


Titolo: ALDO GRASSO. ECCESSI, PROMESSE, OMISSIONI. Al mercato delle grida
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2011, 10:48:03 pm
ECCESSI, PROMESSE, OMISSIONI

Al mercato delle grida

Le elezioni si vincono anche con le campagne elettorali, è ovvio. Le quali, per loro natura, sono illusorie e menzognere: conservano insomma il peccato originale della politica senza preoccuparsi di doverlo giustificare. Dal dopoguerra a oggi è quasi sempre stato così: un anno sono state vinte per lo sgomento del «salto nel buio », un altro per il timore della «dispersione dei voti», un altro ancora per la «legge truffa»: già, basta agitare lo spettro della paura e il più è fatto.

Ma cosa succede quando la propaganda si sostituisce del tutto al confronto politico? Alla vigilia dei ballottaggi in città importanti come Milano e Napoli ci troviamo in questa situazione: il peso dell’enfasi elettorale è cresciuto così a dismisura da farci smarrire ogni contatto con la realtà. Si critica molto il Grande Fratello televisivo, ma mai come ora abbiamo avuto la sensazione di vivere in un reality, dove l’insulto è libero, la carognata metodo e il voltafaccia prassi quotidiana.

Sono elezioni amministrative, si dovrebbe discutere di cose concrete e invece assistiamo alla più feroce, alla più astratta, alla più miracolistica forma di proselitismo finora mai attuata: in premio persino due ministeri a Milano! Come se l’intesa fra amministratori e amministrati fosse un brutto format, come se il rapporto fra ribalta e retroscena fosse del tutto arbitrario (non a caso, le parole più sincere di questa campagna sono quelle rubate a un «fuori onda», quando Formigoni se l’è presa con la Moratti e la Santanchè).

Di questa competizione elettorale, nei tanto invocati «faccia a faccia» di Sky, ci sono rimasti in mente due episodi: Letizia Moratti che accusa Giuliano Pisapia di essere un ladro, Luigi de Magistris che accusa Gianni Lettieri di mettere Napoli «nelle braccia della camorra». Così l’insulto fa presto a tracimare dalla tv ai giornali, dai giornali al Web, dal Web al passaparola. Ecco, i due poli di questa campagna sono proprio questi e vanno ben oltre le tradizionali «sparate elettorali»: da una parte, l’«offesa dell’ultimo minuto », anche la più feroce, affrancata ormai dall’idea che ogni accusa vada provata, che ogni menzogna vada risarcita; dall’altra la «promessa dell’ultimominuto», un tipo di impegno che non ha bisogno di essere giustificato con la sua sostenibilità, ma che è lanciato apposta per stupire, secondo il metodo delle televendite. Ha importanza se l’Ici ha messo in crisi i Comuni, se l’Ecopass è stato voluto proprio dalla Moratti? E Pisapia non dovrebbe spiegare con chiarezza se il suo programma prevede o no una maggiore tassazione per i cittadini? Da questo punto di vista si spiega molto bene l’offensiva mediatica di Silvio Berlusconi, l’occupazione selvaggia dei telegiornali, la sua crociata contro il «pericolo comunista », la demonizzazione dell’avversario. Si spiega bene, ma altrettanto bene non si giustifica, aggiunge solo distorsione a distorsione. Se al primo turno la Moratti non è riuscita a ottenere la vittoria, la colpa non è di chi le ha organizzato la campagna elettorale, amministrando lei la città dal 2006.

Le previsioni fosche delle agenzie di rating sullo stato di salute dell’economia italiana si basano sulle cifre non sulle promesse. Per riconquistarci un futuro dobbiamo tornare ad affrontare i problemi concreti, a fare i conti della serva, a guardare in faccia gli uomini che ci devono guidare, a considerare i cittadini come cittadini. Non sempre chi vuole il nostro bene viene votato: e il motivo è lo stesso per cui la correttezza viene spesso scambiata per viltà.

Aldo Grasso

22 maggio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_maggio_22/


Titolo: ALDO GRASSO. La tv di Stato ha scelto il suicidio
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 02:06:57 pm
Autolesionista rinunciare a 5/6 milioni di spettatori a puntata

La tv di Stato ha scelto il suicidio

Nessun network licenzierebbe uno così

Dalla Rai segnale di sudditanza psicologica e ideologica: Santoro andava contrastato con trasmissioni migliori


MILANO - Michele Santoro e la Rai si sono lasciati, questa volta hanno fatto sul serio. Dopo trent'anni di tumultuosa convivenza, dopo un breve «tradimento» con Italia 1, dopo un estenuante braccio di ferro con l'ex direttore Mauro Masi, è venuto il momento del clamoroso addio. «Hanno inteso definire transattivamente il complesso contenzioso», si legge in una nota diffusa dalla Rai, con un linguaggio che richiama più i divorzi fra star che le cause di lavoro.

L'OSSESSIONE - Inutile girarci intorno: per Silvio Berlusconi Annozero era diventato un'ossessione. Qualcuno gli avrà pure spiegato che la trasmissione spostava pochi voti e che un servizio pubblico non è a totale disposizione del governo. Non c'è stato verso: Berlusconi voleva la sua testa e il nuovo dg di Viale Mazzini, Lorenza Lei, gliel'ha consegnata con una risoluzione consensuale. Nonostante la condizione di martire lo esaltasse, non dev'essere stato facile per Santoro, specie negli ultimi tempi, lavorare «coattivamente» al programma, tutelato dal pretore del lavoro e non più dalla Rai. È stato più volte osservato come Santoro abbia sempre dato il meglio di sé (almeno in termini di ascolti) quando viene provocato, quando, drammaturgicamente, riesce a trasformare il suo personale patimento in un sacrificio. Però, a ogni puntata, c'era una grana, uno di quegli intoppi che ti impediscono di lavorare con serenità.

IL PARADOSSO - La situazione ha comunque del paradossale, dell'inverosimile: qualunque network, in qualunque parte del mondo, non licenzierebbe mai uno come Santoro. Bisogna essere autolesionisti per liquidare un programma che veleggia sui 5 o 6 milioni a puntata, con picchi che superano i 7 milioni e uno share che va oltre il 20%. Tutte le volte che si atteggia a Masaniello, Santoro è insopportabile, ma nessuno può negare che sappia fare bene il suo mestiere. Lo sa fare, eccome! Nel tempo si è atteggiato a ideologo unico delle nostre coscienze, si è comportato come un televenditore di libertà, ha sviluppato il suo ego in maniera ipertrofica, si è circondato del peggior giustizialismo, si è convinto di «essere la perla del Servizio pubblico», ha agito spesso con disinvoltura intellettuale, ma ha sempre garantito all'azienda profitti e ascolti: avere una trasmissione che rende all'azienda il doppio di incasso rispetto ai costi e chiuderla è una follia.

LA NOVITA' - Il divorzio sarà anche stato consensuale, ma la Rai lancia un segnale di debolezza, di insicurezza, di sudditanza psicologica e ideologica. Lo abbiamo scritto mille volte: sul piano della comunicazione c'era un solo modo per combattere Santoro, fare una trasmissione più interessante della sua. Tentativi ne sono stati fatti, gli esiti li conosciamo: fallimentari. Cosa farà ora Santoro? Si parla di un suo passaggio a La7. Se così fosse, potremmo assistere a una mezza rivoluzione in campo televisivo. Per la rete di Telecom, maggio è stato il mese dell'exploit: gli ascolti medi sono quasi raddoppiati, facendo registrare un 4,5% in prime time che, negli ultimi quindici giorni, è diventato un 5,3%. Artefice primo del risultato è stato Enrico Mentana, che ha saputo occupare gli enormi spazi lasciati liberi da un'informazione sospesa tra partigianeria e pressapochismo. Con un telegiornale delle 20 che viaggia, attualmente, su una media di 2.500.000 spettatori (11,6% di share), e un'edizione delle 13.30 che supera il 1.100.000 spettatori, il direttore ha «illuminato» l'intera rete ed è stato sapiente nel «fare squadra». Se arrivasse anche il pubblico di Santoro ci sarebbe da ridere. E sarebbe un chiaro segnale che Berlusconi non fa più paura.

ALDO GRASSO

07 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_giugno_07/


Titolo: ALDO GRASSO. Senza Gabanelli la Rai può chiudere
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 02:08:33 pm
A fil di rete

Senza Gabanelli la Rai può chiudere

«Report» vale il canone perchè è l'unica trasmissione che ha conservato la missione del servizio pubblico


MILANO - Fra le trasmissioni di successo, «Report» è l'unica che conserva la missione di servizio pubblico nella sua accezione più alta, di indagine e di senso civico. Se la Rai si lascia sfuggire Milena Gabanelli può chiudere bottega, diventerebbe un'azienda televisiva fra le altre, faticherebbe non poco a giustificare la richiesta di un canone.

LE INCHIESTE - Non basta fare le inchieste, bisogna anche chiedersi che esito hanno avuto, come sono andate a finire. In queste puntate di fine stagione, «Report» fa il punto sul suo lavoro, a cominciare dalla «puntata riparatrice» chiesta dall'Agcom (una vera assurdità che mette a nudo il carattere essenzialmente politico delle nostre Autorità di garanzia) a compensazione di un'inchiesta del 24 ottobre sulla manovra economica. In assenza di un intervento diretto del ministro Giulio Tremonti, Stefania Rimini ha intervistato Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis chiedendo loro un giudizio positivo sull'operato del governo: una vera assurdità targata Agcom.

EXPO 2015 - Il servizio che più mi ha colpito è stato quello sull'Expo 2015: la questione dei terreni, la speculazione edilizia, il ruolo di Lucio Stanca che spavaldamente rivendicava il doppio stipendio di parlamentare e di a.d. di Expo 2015 (non è che la Moratti ha perso le elezioni anche per queste arroganti storture?), il fallimento dell'affascinante progetto Boeri-Petrini sugli orti planetari che pure aveva affascinato il Bureau International des Expositions: «Questo progetto - conclude la Gabanelli - è troppo rivoluzionario. Si preferisce il supermarket del cibo e i tradizionali padiglioni e quando la fiera finisce si smobilita e si edifica. A meno che il nuovo sindaco, che dovrà correre perché fra 4 anni si inaugura e c'è ancora tutto da fare, non abbia il coraggio del nuovo. Una domanda: ma la Moratti rimane commissario straordinario?».

Aldo Grasso

07 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/spettacoli/11_giugno_07/


Titolo: ALDO GRASSO. Rai, il silenzio dei garanti
Inserito da: Admin - Giugno 08, 2011, 04:00:42 pm
SANTORO, GARIMBERTI E ZAVOLI

Rai, il silenzio dei garanti

La vicenda del divorzio di Michele Santoro da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda

   
Ma in tutta questa vicenda di Santoro qual è il ruolo di Paolo Garimberti?
Un presidente di garanzia della Rai può accontentarsi di fare il pesce in barile limitandosi a dichiarare il suo «profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino»? È indispettito per non essere stato coinvolto nella trattativa?

Da qualunque parte la si legga, la vicenda del divorzio di Michele Santoro da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda. Sì, è vero ci sono rilevanti questioni politiche e partitiche (come sempre, quando si parla di Rai), ma un presidente di garanzia deve innanzitutto tutelare il servizio pubblico che idealmente gli è stato affidato. Se non ci riesce, se viene messo da parte, se viene trattato alla stregua di un notaio, beh forse è il caso di inviare un segnale forte, dare persino le dimissioni, come in passato ha fatto Lucia Annunziata. Santoro faceva un programma fazioso, «anti-sistema», paradiso degli indignati, a volte con il gusto di irridere l'avversario, lo abbiamo detto più volte, però era anche uno dei pochi programmi che teneva in piedi e «illuminava» Raidue (insieme a X Factor, già cancellato, e a Simona Ventura, dal futuro incerto). In una democrazia matura, in un servizio pubblico, ad Annozero si contrappone un altro talk di segno opposto. Ci hanno provato ed è andata male. Così, la rottura appare non solo come una vendetta personale di Berlusconi, che attribuisce a Santoro la sconfitta nei ballottaggi e come il capitano Achab insegue ossessivamente il suo leviatano, ma anche un danno oggettivo per la Rai. Nel primo round Santoro aveva sconfitto il direttore generale Mauro Masi, costringendolo ad andarsene, nel secondo, ai punti, con guanto felpato, Lorenza Lei ha piegato Santoro, indebolendo però l'azienda.

Se il sistema tv italiano non fosse così anomalo, il cambio di guardia di un conduttore o di un giornalista non dovrebbe suscitare tanto scalpore, esattamente come succede nella carta stampata: ciascuno è artefice del proprio destino. Ma con Viale Mazzini, da tempo bottino di guerra dei vincitori, e con Mediaset, di proprietà del presidente del Consiglio, le cose non stanno così. Se, come probabile, Raidue rischierà il tracollo, di chi sarà la colpa? Il presidente Garimberti sarà in grado di chiedere la testa della Lei nel caso in cui La7 «rubi» una consistente fetta di audience alla Rai?

Di fronte alle proteste dei direttori di rete - Mauro Mazza, Massimo Liofredi e Paolo Ruffini - che hanno abbandonato la sala consiliare per contestare le proposte di palinsesto decise dalla Lei, il presidente di garanzia si limita a prenderne atto? Saltato il consiglio di amministrazione previsto per domani, forse è il caso che, nel frattempo, Garimberti si faccia sentire, forte e chiaro, per tutelare un bene che è di tutti.

Un segnale ce lo aspettiamo anche da Sergio Zavoli, presidente della commissione di Vigilanza Rai, soprattutto per la grande stima professionale e istituzionale che proviamo per lui. Non si può andare avanti trattando la Rai come spoglie di guerra (per di più di una guerra di bande cui non è estranea la Lega, fino a ieri corifea del «Roma ladrona»). Dei morti si parla sempre bene e quando, giorni fa, è mancato Biagio Agnes tutti a dire che aveva tenacemente difeso l'azienda e garantito il pluralismo. Forse è il caso che Garimberti e Zavoli si facciano lodare anche da vivi.

Aldo Grasso

08 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_giugno_08/


Titolo: ALDO GRASSO. Se Lavitola impallina i cronisti
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2011, 05:25:22 pm
A fil di rete

Se Lavitola impallina i cronisti

L'uomo è apparso furbissimo, scaltro, a suo modo abile

Potrò anche sbagliarmi, ma ho avuto la netta impressione che Valter Lavitola, nella ormai famosa partecipazione alla nuova trasmissione di Enrico Mentana, «Bersaglio mobile», non si sia fatto impallinare dalla pur nutrita schiera di cacciatori (Carlo Bonini, Corrado Formigli, Marco Travaglio e Marco Lillo), ma che anzi li abbia in qualche modo usati per mandare messaggi a chi di dovere.

È un'impressione nata più dall'osservazione dei tratti fisiognomici del latitante, del tono delle sue risposte, dell'ostentata, immobile sicurezza e, non ultimo, dalla strana decisione di darsi in pasto a «feroci» cronisti giudiziari.

La domanda che tutti gli facevano era «Ma lei che mestiere fa?» (giornalista, imprenditore ittico, brasseur d'affaires, filantropo, consigliere del Principe, manutengolo? Non si è capito); la domanda che oggi, a due giorni di distanza, dobbiamo invece porci è un'altra: a chi si rivolgeva veramente Lavitola, da quel luogo sicuro e misterioso del Mar dei Carabi? L'uomo è apparso furbissimo, scaltro, a suo modo abile. Interrogato sulla sua presunta appartenenza alla massoneria, dopo una breve digressione biografica, risponde perentorio: «La massoneria insegna a stare zitti». Appunto: così zitti che uno va in tv per più di due ore, da latitante, a raccontare i fatti suoi: «Sono stato definito uomo nero, spregiudicato, o faccendiere, anche se non ne conosco il significato. Io sono determinato e non soffro di timori reverenziali verso nessuno. Sono inviso a buona parte dei collaboratori del Presidente. Alcuni di loro mi sono cordialmente antipatici». Faccendiere? Proviamo ad aiutare Lavitola a comprenderne il significato.

Mercante, trafficante per conto terzi, chi si affaccenda (dal latino «facere», fare) per compiere intrighi, più o meno leciti, o svolgere nell'ombra attività di mediazione con la pubblica amministrazione. È la faccia losca del lobbista.

Aldo Grasso

30 settembre 2011 07:41© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/spettacoli/11_settembre_30/lavitola-grasso_73a498b2-eb24-11e0-bc18-715180cde0f0.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il mistero del San Raffaele avvolto nei troppi «si sapeva»
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2011, 04:26:26 pm
Padiglione Italia

Il mistero del San Raffaele avvolto nei troppi «si sapeva»

Da Berlusconi alla Regione Lombardia: quanti erano a conoscenza della situazione dell'ospedale di Don Verzè?


«Ma si sapeva». Ogni volta che cerco di commentare con qualcuno le sconcertanti rivelazioni sul caso don Verzé ricevo sempre la stessa risposta: «Ma si sapeva». Dunque, dagli anni 80 si sapeva che il San Raffaele era pesantemente indebitato. Si sapeva che i vertici dell'ospedale ricevevano dai fornitori, in contante, una mazzetta compresa tra il 3 e il 5% che il prete imponeva come condizione per lavorare.

Si sapeva che Cal, quel Mario Cal morto suicida e secondo gli inquirenti il vero dominus dell'associazione a delinquere, «non faceva nulla di importante che Verzé ignorasse». Si sapeva che c'era un losco traffico con il Brasile (da un'inchiesta di Report si è appreso anche che alcuni dirigenti del San Raffaele vi «andavano a ragazzine»). Si sapeva delle spese faraoniche di don Verzé, dal jet privato alla costosissima cupola su cui è issato l'arcangelo Raffaele, dagli hotel di lusso alle numerose ville. Pare si sapesse tutto.

Già, ma chi sapeva? Probabilmente Silvio Berlusconi, grande amico e protettore di don Verzé. Probabilmente la Regione Lombardia, che ha sempre ritenuto il San Raffaele l'ospedale di punta «dell'eccellente sanità lombarda» e non ha mai avuto problemi nel concedere importanti finanziamenti per la ricerca e per le cure assistenziali. Probabilmente Nichi Vendola che nel 2010 (l'altro ieri) ha sottoscritto un accordo con don Verzé per la nascita in Puglia della Fondazione San Raffaele del Mediterraneo. Certamente le banche che hanno coperto il buco economico stimato dalla società di consulenza Deloitte intorno ai 1.476 miliardi. Forse anche la Curia qualcosa sapeva, visto che nel 1973 l'allora cardinale Giovanni Colombo sospese don Verzé a divinis. Forse anche i professori dell'università Vita-Salute San Raffaele. Forse anche la Lega: il San Raffaele non si trova nella fiabesca e incontaminata Padania?

Tutti sapevano, tutti erano a conoscenza dei traffici del prete maneggione. Hanno taciuto. Magari perché la Fondazione Monte Tabor non ha l'obbligo di pubblicazione dei bilanci. Magari perché il San Raffaele è comunque un ottimo ospedale, pieno di ottimi medici. Magari per convenienza. Abbiamo taciuto perché la missione giustifica i mezzi. Crediamo così di avere la coscienza pulita per il solo fatto di non averla usata.

Aldo Grasso

18 dicembre 2011 | 9:52© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_dicembre_18/san-raffaele-mistero-di-chi-sapeva_5e7561c6-2952-11e1-b27e-96a5b74e19a5.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il premier «strano» ha spezzato l'identità totale tra politica e tv
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2012, 10:52:09 pm
A «Che tempo che fa» il presidente del Consiglio seguito da 6 milioni di telespettatori

Il premier «strano» ha spezzato l'identità totale tra politica e tv

Si esprime come un preside in consiglio di facoltà ma non dimentichiamo che è il luminare al capezzale del moribondo


Domenica sera, mentre il presidente del consiglio Mario Monti rispondeva alle domande di Fabio Fazio, su Twitter c'era già qualcuno che l'accusava di non avere verve. Come se la verve fosse la qualità prima per tirarci fuori dalle secche, come se la verve fosse una polverina magica che ci aiuta a passare dalla tragedia al malessere e, magari, dal malessere a un lieve imbarazzo. Niente verve, dunque. E poi la severa grisaglia, la cravatta non firmata, il sarcastico epiteto di «rigor Monti». Altre accuse al Monti comunicatore: usa un linguaggio accademico, è soporifero, fa battute che capiscono solo in pochi, gesuitico, risulta evasivo. Viene accusato persino di essere un esibizionista, attratto irresistibilmente dalle telecamere. Qualcuno, nel Pdl, vorrebbe persino impedirgli di fare battute, visto che il referente del sottotesto è inevitabilmente Silvio Berlusconi. Eppure, a proposito di evasività, Monti ha detto una cosa che dovrebbe essere la regola d'oro della comunicazione politica: «La politica seria impone risposte più meditate». Meditate non mediatiche. E, comunque, Monti è un così cattivo comunicatore che, senza verve, è partito con cinque milioni di pubblico ed è arrivato, a fine intervista, a circa otto.

La prima impressione, già verificata nel salotto di Bruno Vespa e nella lunga conferenza stampa di fine anno, è che, nella liturgia del rapporto fra tv e politica, ci troviamo di fronte a un corpo estraneo che, come una pietra d'inciampo, ci pone ancora domande sulla tv e sulla politica. In questi ultimi anni, qualcosa di indistinto e temibile aveva fatto passi da gigante: l'identità totale fra tv e politica. La quale, per vocazione demagogica, da sempre sa scendere a patti con il medium egemone.
Arriva al punto di assumerne le sembianze, di farsi programma fra i programmi. In questo senso, la storia della rappresentazione della politica sembrava arrivata al suo compimento, con la scomparsa della politica medesima. La politica, infatti, rischiava di diventare un sistema autoreferenziale, non più speculazione sulla realtà ma realtà essa stessa, dove i segni vivono di mobilità perpetua, disancorati da ogni referente, prigionieri dei sondaggi.

Il fatto nuovo è che con il governo tecnico o «governo strano» la politica in tv ha cambiato genere, ha abbandonato l'infotainment, quella strana mescolanza in cui informazione e intrattenimento, comico e serio, reale e surreale si fondevano in una nuova forma espressiva. L'avvento dell' infotainment , con la sua manifesta strategia di conferire appeal alle notizie, aveva affrancato il politico dal dire la verità. La sua «verità» consisteva solo nel lusingare gli umori della «gente».

È vero, il presidente Monti si esprime come un preside in un consiglio di Facoltà, ha come universo di riferimento il costume anglosassone dell'understatement, si abbandona a un umorismo molto sofisticato (a Fazio dice «lei è preparatissimo», sapendo bene che non lo è, in materia). Ma non dimentichiamo che lui è il luminare chiamato al capezzale del moribondo cui si chiede competenza, chiarezza, determinazione, non altro. La stranezza consiste nel fatto che Monti parla di cose concrete («È un governo che di fronte ad un Parlamento così responsabile è riuscito a fare cose importanti, come cambiare il sistema pensionistico»), di consapevolezze («Nella vita politica degli ultimi mesi abbiamo visto che un certo disarmo bilanciato tra forze politiche che in passato si confrontavano molto aspramente ha consentito di prendere decisioni in modo pacato e condiviso»), persino di stati d'animo («Sento un po' di pena per i politici che sono così trattati male dall'opinione pubblica»). E pazienza se il suo umorismo richiama più Karl Kraus di Bombolo! La stranezza di Monti spariglia la recita, «la videizzazione della prostituzione politica»; la stranezza produce straniamento, diversità di osservazione.
L'unico appunto è che Fazio si è comportato da sparring partner. Il nostro sogno è di assistere su Raiuno, in prima serata, a un confronto fra Mario Monti e Giuliano Ferrara: al più alto e raffinato livello di comunicazione. Poi basta, poi solo fatti.

Aldo Grasso

10 gennaio 2012 | 10:13© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_gennaio_10/grasso-monti-dafazio_15f37d28-3b56-11e1-bd31-7de06b9c283b.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Grazie, Capitano
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2012, 12:18:59 pm
Grazie, Capitano

Quando ci vuole ci vuole. Ci sono espressioni che, pur usurate dalla quotidianità, conservano una loro volgarità di fondo.
Ma in circostanze come queste, quando l’intontito comandante della Concordia sembra non rendersi conto del disastro che ha combinato, assumono persino un che di nobile, quasi fossero l’ultima risorsa della disperazione.

La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il capitano di fregata Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno è forse il documento che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da una parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante codardo e fellone che rifugge alle sue responsabilità, di uomo e di ufficiale, e che si sta macchiando di un’onta incancellabile.

Dall’altra un uomo energico che capisce immediatamente la portata della tragedia e cerca di richiamare con voce alterata il vile ai suoi obblighi. In mezzo un mondo che affonda, con una forza metaforica persino insolente, con una ferita più grande di quello squarcio sulla fiancata.

Il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe sceso per ultimo, come vuole l’etica del mare. Al telefono non può che appellarsi al bene più prezioso ed esigente che possediamo: la responsabilità personale. Ogni volta che succede un dramma la colpa è sempre di un altro, persona o entità astratta non importa. Eppure la responsabilità personale — quell’insieme di competenza e di senso del dovere, di cura e di coscienza civica — dovrebbe essere condizione necessaria per ogni forma di comando, in terra come in mare.
E invece le nostre miserie e le nostre fragilità ci indicano sempre una via di fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi anche i vizi e la viltà rende negative le virtù.

Quella frase «Vada a bordo, cazzo!» («Get on Board, Damn it!» così tradotta nei tg americani) è qualcosa di più di un grido di dolore, di un inno motivazionale, di un segnale di riscossa. Il naufragio è uno degli archetipi di ogni letteratura perché illustra i rischi dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Esso rinvia agli atteggiamenti fondamentali che si assumono nei confronti del mondo: in favore della sicurezza o del rischio, dell’estraneità o del coinvolgimento negli eventi, del ruolo di chi sprofonda e di chi sta a guardare dalla terraferma.

Ma ci vuole un grido che scuota e ci infonda coraggio, che, ancora una volta, ci richiami alle nostre responsabilità. Ecco perché ieri su Twitter era l’hashtag più utilizzato, una sorta di mantra collettivo. Ecco perché vorremmo, in ogni occasione, per chi guida il Paese o per chi fa semplicemente il suo mestiere, ci fosse qualcuno come il capitano De Falco che ci richiamasse perentoriamente all’ordine. (Intanto, su Internet, c’è già chi vende la t-shirt con la frase. E qui torniamo all’Italia degli Schettino).

Vada a bordo, e quello non ci è andato (ora è a casa agli arresti domiciliari in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza gli ridesti il senso dell’onore). Due uomini, casualmente due marinai campani, due storie: l’una che ci umilia, l’altra che tenta di riscattarci. Grazie capitano De Falco, il nostro Paese ha estremo bisogno di gente come lei.

Aldo Grasso

18 gennaio 2012 | 9:55© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_gennaio_18/grasso-grazie-capitano_5e27d752-419a-11e1-9408-1d8705f8e70e.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L'euforia fuori luogo di Milly Carlucci
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2012, 10:08:20 pm
A fil di rete

L'euforia fuori luogo di Milly Carlucci

L'allegra spensieratezza in contrasto con la tragedia della Costa Concordia


Era in corso la tragedia della Costa Concordia e ogni immagine che non riguardasse l'isola del Giglio pareva inopportuna, quasi stridente. Per questo La7, dopo che Enrico Mentana, prontamente, aveva organizzato uno speciale, ha fatto molto bene a sospendere la prevista prima puntata dello show di Serena Dandini.

Così si comporta un vero Servizio pubblico e mi piacerebbe ne prendesse nota chi, nel governo Monti, si sta occupando della ristrutturazione della Rai. Sarà questa la ragione principale per cui l'allegra spensieratezza di «Ballando con le stelle» mi è parsa così fuori luogo, con tutta quell'euforia che esondava dal viso troppo levigato di Milly Carlucci (Rai1, sabato, ore, 21.20). Ma non è la sola ragione di imbarazzo. Non riesco a rassegnarmi alla partecipazione di Gianni Rivera. Quando ha iniziato la performance personale, «Test di attitudine al ballo», sembrava una manichino sperduto in qualche anfratto di un grande magazzino.

Ma come può un grande calciatore come Rivera distruggere in un attimo la sua leggenda, accettare penosamente di farsi dare i voti da un certo Guillermo Mariotto, subire le spiritosaggini di Ivan Zazzaroni, sottoporsi alle opinioni di Sandro Mayer? Chi ha amato il calciatore Rivera (per come giocava, per come si comportava in campo, per come è stato sbattuto fuori dal Milan) prova non poco disagio a seguire le sue esibizioni in questo circo. Tra l'altro, attualmente è presidente del settore scolastico della Federcalcio. La prima puntata è stata pubblicamente elogiata dal direttore generale Lorenza Lei (si vede che il suo sangue emiliano non è insensibile alle balere): «"Ballando" ha vinto due volte. La prima con gli ascolti: sfiorare il tetto di 6 milioni di telespettatori il sabato sera è un risultato importante per Rai1 e per l'azienda. La seconda dimostrando che la professionalità supera ogni polemica». Forse, in nome di quella decantata professionalità, la seconda puntata non sarebbe dovuta andare in onda. Anche sul Titanic si ballava.

Aldo Grasso

17 gennaio 2012 | 17:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_gennaio_17/grasso-milly-carlucci_868e00ec-40d5-11e1-b71c-2a80ccba9858.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il tempo della politica senza gossip
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2012, 11:42:29 pm
Padiglione Italia

Il tempo della politica senza gossip

Siamo passati dal lato B all'analisi dello spread


Chi ha visto le Olgettine? Si pratica ancora il «bunga bunga»? Dov'è finito il corpo delle donne? Sembra un'epoca remota quella in cui, ogni giorno, si discuteva della profana Triade «sesso-danaro-potere» , il terribile virus che aveva inquinato le massime istituzioni della vita pubblica.

Ogni giorno, tra compiacenza voyeuristica e sdegno moralistico, si raccontava delle imprese del Capo, del lettone di Putin, del favoloso harem di Sputtanopoli. Per ogni atto politico bisognava «cherchez la femme». Poi basta: solo morigeratezza e continenza. Dal colore al bianco e nero, da Forza Gnocca al Corpo docente, dal cabaret al convento.

In un attimo siamo passati dai cicalecci sulle ministre sexy, sulle hot line scrupolosamente intercettate, sulle battute da caserma sul lato B della Merkel all'analisi dello spread, alle incertezze della crescita, ai bollettini delle agenzie di rating. «La torsione etica e politica delle ultime settimane - ha scritto Aldo Nove - farebbe pensare a una bonifica ormonale di salubre disintossicazione dopo un'overdose nazionale». Con i soldi pareva possibile comprare tutto, regalare farfalline d'oro alle accompagnatrici, concedersi notti esotiche e anche erotiche, ma ora i soldi mancano e i sogni di potenza svaniscono.

Il mestiere di retroscenista è stato deprivato della sua sostanza gossipara: non c'è più nulla da scoprire, in senso figurato e in senso reale e Vallettopoli finirà per essere rubricata come la versione senza freni inibitori di Tangentopoli: alla mazzetta è succeduta la mezzana, al lotto il letto.

Insomma, la rinascita impone rigore, sobrietà e un infuso quaresimale. Ed Eros e Priapo che fine hanno fatto? Con tutto il tempo libero a disposizione hanno disarmato i remi? Hanno chiuso i conti con la suburra? Difficile crederlo, solo che le relazioni pericolose, le foto compromettenti, le notti brave non interessano più, rientrano nella sfera del privato. Un velo di ipocrisia si stende ora sulle alcove.

Lele Mora è in prigione, Fitch ci declassa, la redenzione del Paese è anche un atto di contrizione.

Aldo Grasso

29 gennaio 2012 | 8:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_gennaio_29/grasso-padiglione-italia-politica-senza-gossip_57f8a372-4a49-11e1-bc89-1929970e79ce.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. - ... due profeti sono troppi: o Monti o Celentano.
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2012, 11:02:00 am
SANREMO

Il predicatore decadente

Joan Lui è convinto di predicare meglio dei preti.

Ma nel ruolo di profeta salva Italia ne vogliamo solo uno, due sono troppi: o Monti o Celentano.

Dopo ieri sera ho scelto definitivamente. Ogni anno il Festival di Sanremo ci mette di fronte a un tragico dilemma: ma davvero questo baraccone è la misura dello stato di salute della nazione? E se così fosse, non dovremmo preoccuparci seriamente? C'è stato un tempo in cui effettivamente il Festival è stato specchio del costume nazionale, con le sue novità, le sue piccole trasgressioni, persino le sue tragedie. Ma tutto ha un tempo e questo (troppo iellato) non è più il tempo di Sanremo o di Celentano, se vogliamo rinascere. Monti o Celentano? Se davvero il nostro premier vuole compiere il titanico sforzo di cambiare gli italiani («l'Italia è sfatta», con quel che segue), forse, simbolicamente, dovrebbe partire proprio dal Festival, da uno dei più brutti Festival della storia. Via l'Olimpiade del 2020, ma via, con altrettanta saggezza, anche Sanremo, usiamo meglio i soldi del canone. O Monti o Celentano. O le prediche del Preside o quelle del Re degli Ignoranti contro Avvenire e Famiglia Cristiana.

Non mi preoccupa Adriano, mi preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio. E temo non siano pochi. Ah, il viscoso narcisismo dei salvatori della patria! Ah, il trash dell'apocalissi bellica! Cita il Vangelo e bastona la Chiesa, parla di politica per celebrare l'antipolitica: dalla fine del mondo si salva solo Joan Lui. Parla di un Paradiso in cui c'è posto solo per cristiani e musulmani. E gli ebrei? Il trio Celentano-Morandi-Pupo assomiglia a un imbarazzante delirio. A bene vedere il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all'interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1.157 giornalisti (compresi gli inviati della tv bulgara, di quella croata, di quella slovena, di quella spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come d'improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca (assurdo: durante il Festival il periodo di garanzia vale solo per la Rai), come ogni spettatore venga convertito in un postulante di qualcosa che non esiste più. Sanremo è il Festival dello sguardo all'indietro (anni 70?), dove «il figlio del ciabattino di Monghidoro» si trasforma in presentatore, è il Festival delle vecchie zie dove tutti ci troviamo un po' più stupidi proprio nel momento in cui crediamo di avere uno sguardo più furbo e intelligente di Sanremo (più spiritosi di Luca e Paolo quando cantano il de profundis della satira di sinistra), è il Festival della consolazione dove Celentano concelebra la resistenza al nuovo. Per restituire un futuro all'Italia possiamo ancora dare spazio a un campionario di polemiche, incidenti, freak show, casi umani, amenità, pessime canzoni e varia umanità con l'alibi che sono cose che fanno discutere e parlare? Penso proprio di no.

P.S. Mentre scrivevo questo pezzo mi sono arrivati gli insulti in diretta da Sanremo.

Ma non ho altro da aggiungere.

Aldo Grasso

15 febbraio 2012 | 9:37© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/spettacoli/speciali/2012/celentano-predicatore-decadente-grasso_96ccf2b2-5799-11e1-8cd8-b2fbc2e45f9f.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L'eterno ritorno di Diliberto. Dal tritolo al cimitero
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2012, 11:54:43 am
Padiglione Italia

Dal tritolo al cimitero

L'eterno ritorno di Diliberto

Sarà difficile dimenticare l'immagine dell'ex ministro che posa sorridente con una manifestante della maglietta anti-Fornero

Avesse almeno chiesto scusa. Pubblicamente. Invece le scuse le ha cercate: non ho visto, non mi ero accorto della scritta. Che pena! Sarà difficile dimenticare l'immagine dell'On. Prof. Oliviero Diliberto, segretario nazionale dei Comunisti italiani, ex ministro di Grazia e giustizia, che posa sorridente con una manifestante davanti a palazzo Chigi. La signora indossa una maglietta con la scritta «La Fornero al cimitero». Prima di essere sbugiardato da un video, Diliberto ci aveva provato ai microfoni della «Zanzara» su Radio24: «La Fornero mi sembra un po' nervosa. Il fatto che la Cgil non abbia firmato l'accordo sul lavoro la innervosisce e alza il tiro su argomenti come quello della maglietta per non parlare delle misure del governo. Dovrebbe essere lei a chiedermi scusa per le parole che ha usato su di me». Offende, ma non trascura di mostrarsi offeso.

Avesse chiesto scusa, da gentiluomo. No, il tutto è avvenuto a sua insaputa, e pazienza se ha dato voce a un linguaggio cimiteriale che credevamo scomparso, se ha rimesso in circolo parole di piombo, se ha dato visibilità a una signora, moglie di un bancario, che prima indossa ferali t-shirt e poi piange pentita. Del resto, la metafora lugubre e crudele è nel repertorio di Diliberto. A Daria Bignardi, che gli chiede di scegliere un posto dove trascorrere una bella serata, risponde: «Al Billionaire, ma imbottito di tritolo!». Nel 2006 partecipa a un corteo dove si bruciano bandiere israeliane e si grida, senza nessun rispetto per i nostri militari morti, «Dieci, cento, mille Nassiriya». Sul presidente Bush sentenzia che «ha le mani che grondano sangue» ma, intanto, si vanta di aver visitato tutti quei Paesi che l'amministrazione Bush considerava «Stati canaglia»: Siria, Cuba, Corea del Nord. Evvai! Avesse chiesto scusa, e basta. Dice che scriverà a Fornero, in privato.

Ma in pubblico gli anni dell'intolleranza non passano mai. La voglia di rubricare l'episodio come buffonata sarebbe forte se non dessimo retta a un vecchio monito di Nietzsche: «Lasciare accadere un male che si può impedire vuol dire praticamente commetterlo».

Aldo Grasso

25 marzo 2012 | 10:09© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_marzo_25/grasso-diliberto_4a4fdb5c-764d-11e1-a3d3-9215de971286.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il progetto mistico di quelli come Augias
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2012, 11:58:25 am
A fil di rete

Il progetto mistico di quelli come Augias


Corrado Augias ha raddoppiato: «Le storie. Diario italiano» va in onda tutti i giorni alle 12.45 e il meglio viene replicato alle 20.10, prima di «Un posto al sole». Così Rai3, con un certo trionfalismo, può dire di «portare la cultura all'ora di cena». Pranzo e cena.

E meno male che «il popolare giornalista e scrittore» se ne doveva andare. Si era fatto ospitare dalla collega «giornalista e scrittrice» Daria Bignardi (29 gennaio 2011) per lamentare la scarsa attenzione che la Rai mostrava nei suoi confronti e annunciare l'addio: l'età, i libri da scrivere, gli affetti da coltivare: «Basta televisione, vorrei dedicare questa ultima parte della mia vita ad altre cose». Come mai è rimasto? Ha ceduto all'insistenza, vecchia formula con cui un tempo si giustificava la pubblicazione di un libro modesto.

Dovremmo dunque essere contenti del doppio incarico e di avere, pranzo e cena, una fetta di cultura. C'è un piccolo però, quasi insignificante.

Gli Augias non fanno cultura, gli Augias sono «devoti della cultura», categoria cui Marc Fumaroli ha dedicato un libro decisivo, «Lo stato culturale». Per dire: Philippe Daverio fa cultura (mette brillantemente la sua competenza al servizio del mezzo), gli Augias (ce ne sono tanti) usano la parola cultura come schermo, la impregnano di un significato volontaristico e missionario (ah, quel pubblico da redimere composto materialmente e idealmente di professoresse!), la fanno diventare qualcosa di simile a un progetto mistico, a una pianificazione, a un catechismo sociale, a un gadget da servizio pubblico.

Gli Augias sono gli idoli del ceto medio riflessivo, soddisfatti di apparire credendosi un'apparizione. E, sempre cedendo all'insistenza di qualche principio superiore, usano la «cultura» con un certo dirigismo che, per altro, influenza il mercato dei libri. Vorrebbero dedicare una parte della loro vita ad altre cose, ma per fortuna poi si mettono al nostro servizio in quella vasta e sorprendente vanity fair che è la tv.

Aldo Grasso

24 marzo 2012 | 8:19© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_24/a-fil-di-rete-il-progetto-mistico-di-quelli-come-augias-aldo-grasso_90923b82-7580-11e1-88c1-0f83f37f268b.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Fo a «Quelli che..» un'occasione persa
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2012, 07:17:32 pm
A fil di rete

Fo a «Quelli che..» un'occasione persa


Com'è strana la tv! Domenica pomeriggio, su Rai2, Dario Fo era ospite di «Quelli che il calcio» per presentare la mostra «Lazzi, sberleffi, dipinti», una raccolta di oltre 400 dipinti del premio Nobel inaugurata a Palazzo Reale e aperta fino al 3 giugno: arazzi, maschere, pupazzi, burattini e uomini dipinti, dalle pitture dei primi anni ai collage, ai monumentali acrilici degli ultimi anni. Ha festeggiato anche l'86° compleanno e si è stupito che ogni tanto in studio ci fossero strani boati (si festeggiavano i gol). Victoria Cabello ha fatto il possibile per rendere omaggio al multiforme ingegno di Fo, ma i suoi autori non l'hanno aiutata.

Che ci faceva Dario Fo a «Quelli che il calcio»? La domanda parrà oziosa se alla base non ci fosse un piccolo aneddoto. Nel suo libro Senza rete (Rizzoli), l'ex direttore di Rai3 Angelo Guglielmi racconta che quando discusse con Marino Bartoletti la proposta di «Quelli che il calcio» (anno di esordio 1993) gli venne in mente un'idea balzana: offrire la conduzione proprio a Dario Fo. Il quale invece non accettò e il programma fu successivamente affidato a Fabio Fazio.

È vero che non esiste ancora una storia ucronica della tv (una storia fatta con i se e con i ma), ma proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se Dario Fo avesse accettato. Questo dovevano fare gli autori di Cabello per rendere l'incontro un po' più vivo e interessante; purtroppo non leggono libri.

Già, i libri, le carriere, i successi. Chissà il calcio come sarebbe oggi se al timone di quella trasmissione ci fosse stato Dario Fo. E chissà che mestiere farebbe oggi Fabio Fazio. E chissà quante altre cose sarebbero successe se invece di prendere una strada Dario Fo ne avesse imboccata un'altra, secondo l'insegnamento di «Sliding Doors». Ma è andata così perché il merito è sempre più fragile del destino.

Aldo Grasso

27 marzo 2012 | 9:07© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_27/grasso-fo_9f8e4dee-77d1-11e1-978e-bf07217c4d25.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Calearo, il primatista del peggio che potrebbe riscrivere Cuore
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2012, 12:14:18 pm
Padiglione Italia

Calearo, il primatista del peggio che potrebbe riscrivere «Cuore»

Dal Pd a «Popolo e territorio»: la storia esemplare dell'onorevole


Nuovi primati italiani. Non riuscendo a far correre i neutrini più in fretta della luce, abbiamo virato sull'evasione: nel 2010 più di 20 milioni di contribuenti hanno dichiarato meno di 15 mila euro l'anno. Da un po' di tempo inseguiamo primati all'incontrario, ammissioni di irresponsabilità, vanterie catastrofiche. Se ci fosse ancora a disposizione un de Amicis, si potrebbe riscrivere Cuore, riadattando i racconti mensili al pedagogismo negativo che ci pervade.

Il «piccolo patriota padovano» (il ragazzo povero che rifiuta gli aiuti internazionali perché accompagnati da aspre critiche nei riguardi del popolo italiano) potrebbe trasformarsi nel «piccolo patriota vicentino».

Il nome del protagonista ce l'abbiamo: Massimo Calearo. È l'edificante racconto di un imprenditore che voleva darsi alla politica per complottare contro l'Italia. Come riferiscono le cronache, l'onorevole Calearo da alcuni mesi non frequenta più la Camera perché lo considera un lavoro usurante. Preferisce occuparsi degli affari di famiglia. Dimettersi? Solo un politico retrò potrebbe pensare a una soluzione sciocca come questa. «Con lo stipendio da parlamentare - spiega il patriota vicentino - pago il mutuo della casa che ho comprato, 12.000 euro al mese di mutuo. È una casa molto grande...». E poi c'è l'auto: «La mia Porsche ha una targa slovacca, l'ho comprata lì perché ho un'attività in quel Paese... È tutto perfettamente in regola. E poi in Slovacchia si possono scaricare tutte le spese per la vettura. In Italia no». Viva la Slovacchia, abbasso l'Italia! Qui, il nostro immaginario de Amicis saprebbe come far vibrare le corde più intime della commozione. Calearo era quell'imprenditore che nel 2008 scese in politica col Pd e finì a votare contro la sfiducia a Berlusconi insieme con Scilipoti, non prima di essere passato a far rifornimento all'Api di Rutelli e dichiararsi ora esponente di «Popolo e territorio». Si sa, il serpente che non può cambiare pelle muore.

Ecco una bella storia esemplare, per noi, disabituati al meglio, fortemente vocati a primeggiare nel peggio.

Aldo Grasso

1 aprile 2012 | 9:40© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_01/calearo-primatista-del-peggio-riscrive-cuore-padiglione-italia-grasso_4a365932-7bc2-11e1-95a2-17cafbbd8350.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Kessler, gemelle anti-tasse che tradiscono l'Italia
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2012, 11:38:46 am
Padiglione Italia

Kessler, gemelle anti-tasse che tradiscono l'Italia

Le gemelle da noi hanno avuto tutto: amore e denaro


E meno male che si sentono «mezze italiane»! Invitate nel salotto di Daria Bignardi le gemelle Kessler, le mitiche Kessler (38 anni per gamba), non sono state tenere con il nostro Paese. Da cui, per altro, hanno avuto tutto: fama, soldi, amore e amori. Se non ci fosse stato quel folletto di Guido Sacerdote, un farmacista di Alba stufo di aspirine e voglioso di spettacolo, che le notò al Lido di Parigi; se non ci fosse stato quel genio di Antonello Falqui che rese sexy due statue (come ebbe a ribadire Burt Lancaster incontrando Ellen sotto le coltri), forse le due sarebbero rimaste ballerine di fila e nulla più, devono tutto all'Italia.

Eppure, del nostro Paese, coltivano i luoghi comuni di certa stampa teutonica. Cosa dovremmo imparare dai tedeschi? Pronta e all'unisono la risposta: la disciplina e l'organizzazione. Mancava il passo dell'oca, sia pure fatto con la grazia di due ballerine, ed eravamo a posto.

Le gemelle ragioniere hanno fatto i loro conti e hanno deciso di tenere la residenza in Germania, vicino a Monaco. In Italia c'è troppa burocrazia (è vero) e poi ci sarebbe un misterioso libro di ben 80 pagine per sapere come si pagano le tasse. Certo, vedere ora le ex Bluebell Girls fare questi conti della serva fa una certa impressione.

Per molti italiani, le Kessler hanno rappresentato la scoperta del «proibito», del corpo, del censurabile (molto si è favoleggiato sui mutandoni che coprivano le loro gambe) a partire da due celebri sigle: «Pollo e Champagne» (Oh mon cheri, non vedo l'ora di tornare a Paris, e camminare sotto braccio con te...) e «Dadaumpa». Era il 1961, era il tempo di «Giardino d'Inverno» e di «Studio uno». In un suo libro, l'ex direttore generale della Rai, Ettore Bernabei, sostiene persino che le Kessler furono complici nel «delitto dei mutandoni» che sconvolse allora la dirigenza Rai e vide complice involontario nientemeno che Papa Pacelli. Ma è solo uno scherzo della memoria: il Papa era già morto nel 1958.

Questo per dire come la gratitudine invecchi molto prima di noi e come con due «mezze italiane» sia impossibile farne almeno una.

Aldo Grasso

15 aprile 2012 | 9:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_15/kessler-gemelle-anti-tasse-che-tradiscono-italia-aldo-grasso_c8f12c74-86c7-11e1-9381-31bd76a34bd1.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Bignardi, ape regina per niente barbarica
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2012, 11:39:36 am
A fil di rete

Bignardi, ape regina per niente barbarica


«Ti interrompo perché c'è questa cosa che noi chiamiamo pubblicità». Era dai tempi di Totò Tarzan di Mario Mattioli che non sentivo una battuta del genere sulla nozione di civiltà. A pronunciarla è stata Daria Bignardi, rivolgendosi, come solo una Jane sa fare, a Paolo Bosusco, la guida turistica catturata in India dai guerriglieri maoisti («Le invasioni barbariche», La7, venerdì, ore 21,20). Ora che tutto è finito, ora che i due italiani sono stati liberati (con uno scambio di prigionieri, tra cui c'era la moglie del leader maoista), ora che l'ingegnere Claudio Colangelo e la guida turistica Paolo Bosusco di Condove (provincia di Torino) sono stati liberati, posso dire che questi eroi del tempo libero non mi entusiasmano affatto?

A sentirlo parlare, poi, questo Bosusco (versione naif di Mauro Corona) pare una di quelle persone senza arte né parte che cercano nell'esotico una sorta di riscatto esistenziale, incerti fra l'ideologia (una propizia interruzione pubblicitaria ha permesso al «liberato» di modificare un po' il giudizio sui maoisti che rischiava di apparire fervido) e il kitsch più languoroso (il condovese tende al bucolico). Adesso è tornato in Italia, non può più mettere piede in India e cerca lavoro, grazie alla tv.

Era l'ultima puntata di un programma che di barbarico non ha più nulla. Anzi, è molto establishment: Michele Serra (troppo intelligente per non mostrare disagio a infierire su Bossi in un salotto radical chic), Alessandro Baricco, perfino la coinquilina Geppi Cucciari. La scelta di Bignardi è stata quella di trasformare il programma in un clan dalle varie derivazioni mediatiche, di cui lei si sente ape regina.

Così non deve più inventare nulla ma solo gestire la distribuzione di provvidenze. Per il gran finale, Daria di «Tempi moderni» avrebbe invitato uno come Massimiliano Parente, non Bosusco.

Aldo Grasso

15 aprile 2012 | 9:54© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_15/a-fil-di-rete-bignardi-ape-regina-per-niente-barbarica-aldo-grasso_9bcc39d4-86cf-11e1-9381-31bd76a34bd1.shtml?fr=box_primopiano


Titolo: ALDO GRASSO. Grillo è più attore adesso di quando girava i film
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2012, 11:36:35 pm
Padiglione Italia

Grillo è più attore adesso di quando girava i film

Critica le tasse, ma fornisce un alibi agli evasori

Prima della famosa battuta sui socialisti ladri patentati («Fantastico 7», 1986), prima di essere allontanato dalla Rai, Beppe Grillo era solo una scoperta di Pippo Baudo, una delle tante. Sì, è vero, si era distinto con due programmi poco convenzionali, «Te la do io l'America» (1981) e «Te lo do io il Brasile» (1984), diario di viaggio di un provinciale nei luoghi comuni di quei Paesi: comicità bonaria, racconto moderatamente dissacrante, niente di più.

Fuori dalla tv, Grillo ha cominciato a intraprendere un lungo viaggio nei teatri, nelle piazze, nei siti, una sorta di «Te la do io l'Italia», mantenendo intatto il meccanismo di fondo (la perlustrazione dei luoghi comuni), ma acuminando lo sguardo. Come ebbe a dire il grande Dino Risi, «Grillo è più attore adesso che non quando girava film».

Nel frattempo, il commediante è diventato lo spauracchio della politica italiana, il capofila di quell'antipolitica che sta facendo perdere le staffe a molti leader (che lui battezza come «dementi, dilettanti allo sbaraglio»). In un mondo in cui tutti necessariamente recitano, secondo le regole della politica pop, il suo successo deriva dal fatto che lui è il più bravo a recitare. Con un repertorio ormai collaudato («La Gasparri permette a un iPod Nano di possedere tre televisioni e venti giornali», «Le banche ti chiedono soldi e fiducia, però legano la biro a una catenella», «D'Alema è uno che si è finto di sinistra essendo di destra», «L'Udc è l'Unione dei carcerati», «Rigor Montis»...) irride la concorrenza con intolleranza. Lisciando il pelo al populismo, incanaglisce contro le tasse («se tutti pagassero le tasse si ruberebbe il doppio», «i controlli della Finanza sono un modo per istillare l'odio sociale») e finisce per offrire un insperato alibi agli evasori. Sono i rischi della demagogia, il paradosso del Buffone che volle farsi Re.

«Te la do io l'Italia» è uno spettacolo triste dove un buffone dice di farsi beffe di altri buffoni, dove il malumore e la rabbia si travestono da ultima risata, dove il «vaffa» esprime l'inconfessabile esultanza del proselitista, felice di incatenare gli altri nel nome della libertà.

Aldo Grasso

29 aprile 2012 | 8:50© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_29/grillo-piu-attore-adesso-padiglione-italia-grasso_8a2581f0-91c3-11e1-af61-83f104d3d381.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il manager, la gaffe su Waterloo e la vendetta di Napoleone
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2012, 10:41:43 pm
Padiglione Italia

Il manager, la gaffe su Waterloo e la vendetta di Napoleone

Le indagini sulle sim card e l'addio di Luciani a Tim Brasil


La vendetta di Napoleone.
Luca Luciani ha lasciato la guida di Tim Brasil, la controllata carioca di Telecom Italia. Se ne va dopo aver risollevato la società con una serie di risultati record.

Com'è possibile che una vittoria si tramuti in sconfitta? Succede, se si cambia il corso della storia, dicendo che a Waterloo Napoleone, lo sconfitto, ha sbaragliato le truppe di Wellington.

Luciani è coinvolto negli scandali legati all'inchiesta sulle sim card truccate: tra il 2005 e il 2007 avrebbe organizzato con Riccardo Ruggiero e Massimo Castelli un meccanismo per gonfiare in modo fittizio il volume della clientela. E siccome qui ci troviamo fra gente colta, le sim card venivano intestate a nomi di fantasia tratti dalla grande letteratura, tipo Pippo, Pluto, Paperino, l'Uomo Ragno, ecc.

La gaffe
Ma Napo, cosa c'entra Napo? Qual è la procellosa e trepida gioia del gran disegno di Luciani? Nell'aprile 2008 Luciani si era reso protagonista di una memorabile gaffe, cliccatissima su YouTube. Ripreso a sua insaputa durante una convention romana, non prima di essersi dichiarato «incazzato», incitava i venditori Telecom a seguire l'esempio del Grande Corso: «Napoleone fece a Waterloo il suo capolavoro», quando «tutti lo davano per fatto, cotto». «Piangersi addosso non serve, correte di più, stringete i denti, e allora dagli spalti vi applaudiranno perché voi andrete e segnerete. Le facce scettiche non servono a un caz... Andate e segnate, come fece Napoletone a Waterloo». Nel frattempo, Napoleone aveva anche preso la cittadinanza napoletana. Quando si dice «cervelli in fuga».

È un attimo precipitare dall'altare alla polvere, un andirivieni continuo. Come in quella filastrocca di Gianni Rodari: «Napoleone era fatto così. Quando andava di là, non veniva di qua. Se saliva lassù, non scendeva quaggiù. Se correva in landò, non faceva il caffè. Se mangiava un bigné, non contava per tre. Se faceva pipì, non faceva popò. Anche lui come te, anche lui come me. Se diceva di no, non diceva di sì».

Aldo Grasso

6 maggio 2012 | 10:18© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_maggio_06/manager-gaffe-napoleone-grasso_0957b36c-9741-11e1-9a56-d67dd7427f23.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Mentana e il talk, sfida da peso medio.
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2012, 11:27:03 am
A fil di rete| «Bersaglio Mobile» dedicato a Borsellino è servizio pubblico

Mentana e il talk, sfida da peso medio

Tra il peso massimo (Santoro) e il leggero (Formigli), il direttore del tg La7 impara un altro ruolo quello di conduttore di talk

Servizio pubblico è chi lo fa non chi lo è. Speriamo che la nuova dirigenza Rai capisca questa fondamentale differenza. A noi serve solo per sottolineare come a Viale Mazzini manchi uno come Enrico Mentana. A «Bersaglio Mobile» (dibattito più film, un format che rovescia la vecchia formula di «Film dossier» di Enzo Biagi) si discuteva degli strascichi ancora legati, vent'anni dopo, alla morte di Paolo Borsellino e delle sue guardie di scorta in Via D'Amelio, il 19 luglio del 1992 (La7, ore 21,20).

In studio erano presenti Calogero Mannino («sono stupito della slabbratura della memoria di Nicola Mancino»), Marco Lillo e Pierluigi Battista, invitati a discutere, inutile girarci attorno, sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia. C'è stata, non c'è stata? Borsellino sarebbe la vittima sacrificale di questo patto segreto? Non è nostro compito intervenire in merito (non si può però vivere in un Paese dove le stragi non hanno mai un mandante preciso), ma è bastato riproporre l'intervista che Lamberto Sposini fece a Borsellino e quella della tv francese per provare uno strano senso di vergogna e di impotenza («convinciamoci che siamo cadaveri che camminano»), come se non fossimo degni delle persone migliori: Borsellino era un magistrato che ci credeva, alla legge degli uomini e soprattutto a quella morale.

Dopo la morte del suo amico Falcone sapeva di essere nel mirino della mafia e, quasi due mesi dopo la strage di Capaci, fu fatto saltare in aria da un'esplosione.

Era un uomo delle istituzioni, era un uomo che ha ritenuto possibile sconfiggere la mafia: pur sapendo di avere le ore contate, è rimasto al suo posto di lavoro. Questo è forse il lavoro cui si accenna nella nostra Costituzione. In termini più propriamente televisivi, Mentana comincia a imparare un mestiere nuovo (cui, in passato era negato): il talk. E se tra il peso leggero Formigli e quello massimo Santoro, il migliore fosse il peso medio?

Aldo Grasso

21 luglio 2012 | 8:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Titolo: ALDO GRASSO. Padiglione Italia «Sogna con il Rottamatore»
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2012, 04:37:03 pm
Padiglione Italia «Sogna con il Rottamatore»

E il candidato si fece format

La discesa in campo di Matteo Renzi e lo stile mutuato dalla tv: il sindaco di Firenze rinnova il palinsesto del centrosinistra


Più odiato che amato. Può uno che gode di così tanto discredito presso la nomenklatura del suo partito vincere le elezioni? Matteo Renzi è partito in camper per un tour promozionale per la premiership del centrosinistra. È partito da Verona («la città della bellezza»; ma fosse anche partito da Savona avrebbe detto qualcosa di simile), dal Nordest, ultima illusione leghista. Prima di partire lo hanno sbeffeggiato: Casini si sbellica dalle risa pensando a un futuro incontro con la Merkel dove al posto di Monti c’è Renzi; D’Alema ritiene sia inadeguato a governare; Vendola, Rosy Bindi, Fioroni, persino Beppe Grillo pensano sia un incapace. Sbeffeggiato, anzi delegittimato, che è la forma più democratica per mettere uno al bando: Renzi sfrontato, Renzi irrispettoso, Renzi arrogante, Renzi qualunquista, Renzi berlusconiano, Renzi senza identità, Renzi becchino della gloriosa generazione del ’68.

Può darsi che Renzi non sconfigga il pensiero dominante del suo partito e si accontenti di spaccarlo (come da tradizione), che si vada avanti con D’Alema che recensisce i libri di Veltroni (il più classico «Gift-gift», il dono avvelenato secondo la teoria dell’antropologo Marcel Mauss), ma per la prima volta alle elezioni politiche un candidato non presenta un’ideologia bensì un format. Sì, un progetto secondo i rigidi canoni del format «Sogna con il Rottamatore». I legami di Renzi con la tv sono molteplici: la partecipazione al quiz di Mike, gli anni dell’apprendistato, il camper (più simile a quelli di Castagna e Baudo che non al pullman di Prodi o alla nave di Berlusconi), il disincanto della post-storia, il superamento della distinzione destra-sinistra, il marketing, i video, gli slogan secchi come «Adesso» e così via.

Ma non basta: un format contiene la struttura base del programma (politico) e una serie di suggerimenti relativi alla sua perfetta realizzazione (allestimento scenico, caratteristiche del conduttore, fascia ottimale di audience, ecc). A questo ci pensa Giorgio Gori, uno dei più bravi dirigenti Mediaset, poi fondatore di Magnolia. Il format non serve per innovare, ma per massimizzare gli ascolti (i voti). E il reality è solo alle prime puntate.

Aldo Grasso

16 settembre 2012 | 8:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Titolo: ALDO GRASSO. Briatore, una lettura in chiave ironica
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2012, 02:38:01 pm
A fil di rete

Briatore, una lettura in chiave ironica

Uno studio tutta la vita per finire al Billionaire, coraggio ragazzi!

Se «The Apprentice» targato Donald Trump, il più costoso parrucchino d'America, il più ricco imprenditore immobiliare di New York, era una versione giocosa dell'American Dream, «The Apprentice», l'apprendista imprenditore, targato Briatore è pura parodia. «Questo non è uno show - tuona mister Billionaire - e io non faccio sconti a nessuno. Chi lavora con me deve avere due palle così».

Per lavorare con lui servirebbe piuttosto uno stomaco così, ma questi ragazzi in cerca di un'opportunità non vanno troppo per il sottile. Del resto anche loro sono una parodia: del bocconiano, del rampante, del post-paninaro, dello stile preppy, della Ivy League sottocasa (Cielo, martedì, ore 21.15).

«Siete dieci caproni», avverte Flavio Briatore da Verzuolo, provincia di Cuneo (il paesino non è nelle Langhe). «Siete dieci capre, ma non voglio offendere le capre» insiste il Boss. I ragazzi lo chiamano proprio così, Boss, come il sindaco della contea di Hazzard, quello che in «The Dukes of Hazzard» cerca sempre di incastrare i due cugini.

Ci sono ormai molti programmi che si parano dietro una seconda lettura, quella ironica. Che ci sia infatti uno spettatore che segua con serietà questo gioco di strategie aziendali sembra improbabile, visto anche il grado di antipatia dei concorrenti. È più probabile invece che si segua «The Apprentice» perché si ride delle spacconate di Briatore, della caricatura del piccolo imprenditore o del futuro capitalista. Il momento più esilarante è stato quando Briatore ha incontrato Enrico Preziosi (Briatore e Preziosi, il gatto e la volpe) per proporre ai ragazzi la realizzazione del giocattolo del futuro.

Chi vincerà la gara sarà assunto per un anno dal Billionaire, «il maggior punto di ritrovo del jet set internazionale», secondo uno slogan della casa. Uno studia tutta la vita per finire al Billionaire, coraggio ragazzi! Il grattacielo della Regione Lombardia viene usato come location: ecco a cosa servono i soldi pubblici!

Aldo Grasso

27 settembre 2012 | 10:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Titolo: ALDO GRASSO. La gravità evanescente dello scienziato siciliano
Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2012, 05:40:18 pm
Padiglione Italia

La gravità evanescente dello scienziato siciliano

Zichichi diventa assessore ai Beni culturali e lo guiderà da Ginevra: «Giudicateci dalle cose che saranno fatte, non dalla presenza»


Lo scienziato Antonino Zichichi è stato nominato assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia con il compito specifico di cercare il centro di gravità permanente di Franco Battiato, assessore al Turismo e allo Spettacolo. La squadra di governo di Rosario Crocetta sarà così non solo la giunta più creativa e poetica mai apparsa nella terra delle Sicelides Musae ma anche la più sincretica e politeista: il pantheon del creazionismo e dei dervisci rotanti, della critica al darwinismo e delle meccaniche celesti. Ci sarà da divertirsi.

Zichichi guiderà il suo assessorato da Ginevra, Battiato se ne occuperà fra un concerto e l'altro: «Giudicateci dalle cose che saranno fatte e non dalla presenza giornaliera a Palermo». Nel frattempo, l'eminente fisico ci tiene a precisare alcune cose: «Con immensa immodestia devo dire che non ho vincoli che non siano rigorosamente scientifici. Crocetta non lo conoscevo. Mi ha chiamato. Sapeva tutto di me. Parlava di me come se fossi io. Non potevo dirgli no».

Del resto, non è difficile conoscere Zichichi, a cominciare dalla sua proverbiale immodestia: «Quando io parlo, gli altri stanno zitti». Per dire, è uno che va in giro a raccontare che un suo convegno organizzato a Erice ha fatto crollare il Muro di Berlino due anni prima del previsto. La comunità scientifica ogni tanto storce il naso di fronte alle sue «scoperte», quella televisiva, invece, fa festa. Basta ricordare il professor Zichichirichì di Ezio Greggio a Drive in o l'imitazione di Maurizio Crozza: «La discoteca è uno spazio chiuso pieno di isotope. Per la legge di Newton, due corpi nel vuoto si attraggono. Figurati in discoteca». Quando frequentava il salotto di Roberta Capua si accaniva contro le bestie dello Zodiaco con aria di supponenza, frammista a uno sdegno storico per non aver ancora ricevuto il premio Nobel.

La sua nomina è stata contestata per via di un contenzioso di suo figlio Lorenzo con la Regione stessa, ma per uno che vive a stretto contatto con il Disegno Intelligente queste sono solo piccole miserie umane. L'ottantatreenne fisico ama dire: «Il modello matematico non mente». Speriamo.

Aldo Grasso

2 dicembre 2012 | 9:42© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_dicembre_02/la-gravita-evanescente-dello-scienziato-siciliano-grasso_f3d82694-3c53-11e2-bc71-193664141fb2.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. I fratelli coltelli dell'intrattenimento
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2013, 05:18:13 pm
Il commento

I fratelli coltelli dell'intrattenimento

Quello fra Santoro e Berlusconi è sembrato lo scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar

di  ALDO GRASSO


C'era molta attesa per la puntata di «Servizio pubblico» che vedeva come ospite unico l'ex premier Silvio Berlusconi. In realtà è sembrato lo scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar, due tecnici del populismo, fratelli coltelli un po' guitti.

La stretta di mano tra Santoro e BerlusconiLa stretta di mano tra Santoro e Berlusconi
Claudio Villa? «Granada»? Il torero e l'arena? Inizia così l'incontro dell'anno, il «The Rumble in the Jungle» della tv italiana, la corrida tra Santoro Vs Berlusconi. L'ex premier ricordava l'Aldo Fabrizi di «Vita da cani», il capocomico sempre alle prese con la vita difficile di una compagnia teatrale, o «Gastone», interpretato da Alberto Sordi, il danseur mondain che non si rassegna. Santoro aveva l'aria da rodomonte collodiano di Monsieur Loyal nei «Clowns» di Fellini. Roba d'altri tempi, insomma. Come Claudio Villa o il Corrado della «Corrida». Tocca alle vestali di Michele, Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, porre le prime domande «cattive», con grazia mista a spietatezza. Berlusconi fatica a conquistare la sua solita sicurezza (è solo in mezzo allo studio su una sedia evidentemente scomoda, senza cuscini a rialzarlo stavolta) e Santoro il ritmo.

La serata rivela presto la sua vera natura: una «cottura a fuoco lento», all'insegna del fact checking. Berlusconi è messo a confronto con le sue affermazioni puntuali, con le sue idee, con l'operato dei suoi governi, cercando di smentirne la retorica pezzo dopo pezzo. La conversazione diventa esperimento maieutico, quasi il contrario delle domande e risposte mai verificate e smentite nelle altre interviste.

Poi arriva Travaglio: imputato alzatevi! La trasmissione che fin qui aveva conosciuto anche momenti di amenità (Silvio assesta la battuta sulle scuole serali di Santoro, Michele abbozza e rilancia), assume il tono della reprimenda. Travaglio si mette in cattedra, sogghigna nei lunghi monologhi del suo perenne bersaglio polemico, poi parte con la lezione «con ditino alzato». Anche lui con calma olimpica, anche lui a voce bassa, nonostante le interruzioni di Berlusconi.

L'ex premier è un disco rotto, ripete per l'ennesima volta i concetti chiave del Silvio Election Tour 2013 (dagli ospedali da costruire in Africa all'Imu, all'ideologia comunista): la ripetizione anestetizza persino Travaglio. Santoro preannuncia colpi di scena, ma l'unico coup de théâtre è la lite con Travaglio sulle condanne per diffamazione. L'atmosfera si surriscalda, Santoro interrompe l'atto d'accusa e il tutto finisce con la gag di Berlusconi che pulisce la sedia su cui era seduto Travaglio. That's Entertainment! È solo intrattenimento. Speriamo che fra due mesi qualcuno si occupi seriamente dei guai dell'Italia.

11 gennaio 2013 | 11:03

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_11/20130111NAZ48_NAZ01_44_19946074-5bb6-11e2-b348-07f13d8a1ca0.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. I tre errori (gravi) del Santoro show
Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2013, 10:37:22 am
A fil di rete

I tre errori (gravi) del Santoro show


Nel tanto atteso incontro con Silvio Berlusconi, Michele Santoro ha commesso almeno tre errori (gravi per uno che conosce il mezzo come lui) all'interno di un programma più attento alle schermaglie retoriche che ai contenuti: «Servizio Pubblico» (La7, giovedì, ore 21.15).

1) È partito con il piede sbagliato. E il piede è quello di Giulia Innocenzi, il cui tono così saccente predispone al peggio lo spettatore. Quell'aria di supponenza da dove le deriva? Si crede la più autorevole del reame? Se Santoro avesse fatto parlare per primo Gianni Dragoni sugli introiti finanziari delle aziende del Cavaliere, forse avrebbe dato un'altra piega alla serata.

2) Il modello proposto da Santoro era quello classico del processo, dunque uno sperimentato modello teatrale. Il fatto è che Santoro, quando costruisce la serata, ha una concezione molto classica della messa in scena: scaletta rigida, tempi preordinati, «attori» che hanno studiato la parte. Berlusconi, invece, recita a soggetto, segue un canovaccio (che più volte abbiamo definito «disco rotto»), ma ha ancora la capacità di improvvisare. Da guitto, da commedia all'italiana, ma in grado di spiazzare.

3) Il vero coup de théâtre di Berlusconi è stata la lettera a Travaglio, una trovata scenica di grande effetto. La controlettera aveva essenzialmente un effetto parodistico (costruita nello stile travagliesco, a metà tra il cabaret e i mattinali di polizia) e Santoro non l'ha capito. Non cogliendo lo spirito è andato fuori dai gangheri, ha fatto una scenataccia. Che era esattamente quello che Berlusconi desiderava: fargli perdere le staffe, dimostrare di non aver paura di scendere nella fossa dei leoni. Così, vittima del narcisismo (invitare in studio la sua ossessione), Santoro ha finito per portare acqua al mulino di Berlusconi.

Aldo Grasso

12 gennaio 2013 | 9:27© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_gennaio_12/a-fil-di-rete-i-tre-errori-gravi-santoro-grasso_ae34b042-5c80-11e2-bd70-6c313080309b.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La primavera dei giovani turchi
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2013, 11:29:06 pm
Padiglione Italia

La primavera dei giovani turchi

Il Grande fratello in Parlamento

La «nuova linfa» di Bersani, si richiama in realtà a un sogno infranto: sembra dalemiana.

E la gente vuole il reality


Se la legislatura non durerà a lungo, Bersani dovrà chiedere ragione ai suoi «giovani turchi», gli Orfini, gli Orlando, i Fassina e i loro affiliati. Dovevano dare al segretario un tocco di modernità nella tradizione e portare dentro al Pd un nuovo significato «a parole come rappresentanza, cittadinanza, mobilità sociale». Dovevano essere la nuova linfa del trionfo bersaniano, ma sembrano solo la caricatura dei «Lothar dalemiani», il pensatoio del Baffino composto da teste lucide (per via della rasatura).

Si sono chiamati «giovani turchi», forse in onore del movimento politico nato nell'Impero ottomano all'inizio del '900 (un sogno infranto miseramente) o più probabilmente per richiamare i giovani turchi sardi di Cossiga alla conquista della Dc. Per chi ha amato «les jeunes turcs» della Nouvelle Vague (Truffaut, Godard, Chabrol...), la corrente di Matteo Orfini è solo fonte di scoramento.

Per contrastare i «rottamatori» si sono persino dotati di un Manuale dei Giovani turchi, scritto da Francesco Cundari, al cui confronto il Manuale delle Giovani marmotte sembra un libro sapienziale. La mitologica Chiara Geloni, direttrice di Youdem, spiega che il libro «con dovizia di dati e rigore scientifico indica chiaramente ai lettori la strada da intraprendere..., schema di gioco e strategia, esercizi per tenersi in forma, manifesto ideologico e bozza per lo statuto del partito (dopo la presa del potere)». Sì, presa del potere: a ogni apparizione televisiva di Stefano Fassina, migliaia di voti s'involavano; Andrea Orlando si occupa del Forum giustizia del Pd e Orfini di cultura, settori nei quali la competenza sarebbe quantomeno necessaria.

Orfini dice che si può tornare alle urne, magari senza Bersani, magari con un Renzi più a sinistra, chi ci capisce è bravo. L'altra sera, ospite di Lerner, esponeva le sue strategie come un vecchio dalemiano: turchi fuori, ma tirchi dentro. Non c'è da stupirsi poi che il reality sia entrato in Parlamento: se i professionisti della politica sono questi, è giusto che la gente comune venga traghettata dall'anonimato ai banchi di Montecitorio secondo il format del Grande fratello.

Aldo Grasso

17 marzo 2013 | 15:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_17/primavera-giovani-turchi-pd-bersani-grasso_48c366f2-8ee1-11e2-95d7-5288341dcc81.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Roberta, la vertigine del potere di una «cittadina» maldestra
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2013, 07:26:49 pm
Padiglione Italia

Roberta, la vertigine del potere di una «cittadina» maldestra

La grillina Lombardi fa l'antipatica tra gaffe e svarioni


Non si pretende cortesia istituzionale, ma solo cortesia. Quando Roberta Lombardi, capogruppo M5S alla Camera, ha commentato con i giornalisti le ipotesi di un nuovo mandato a Giorgio Napolitano, invitandolo a fare il nonno, a godersi la vecchiaia, ha mancato di sensibilità. Napolitano le avrà anche confessato la fatica del Colle, ma la cosa doveva finire lì, non giocata come alibi.

Non passa giorno che i capigruppo dei grillini, Lombardi e Crimi, non inciampino in qualche gaffe, non sfiorino il ridicolo, non dimostrino di essere maldestri. Irretiti dalle loro certezze, intolleranti verso chi non vuole infeudarsi alle allucinazioni ideologiche.

Eterodiretti dalla Grillo & Casaleggio Associati, suppliscono alle scarse doti politiche con la supponenza e il disprezzo. I vecchi peones che hanno riscaldato gli scranni del Parlamento almeno non facevano danni, erano coscienti della loro nullità.

Questi sono pasticcioni e presuntuosi. Roberta Lombardi non si tira mai indietro: un giorno strologa di «fascismo buono», un altro si avventura, senza conoscere la materia, sull'articolo 18, un altro ancora definisce «una porcata di fine legislatura» la decisione del governo di stanziare 40 miliardi affinché la Pubblica amministrazione saldi i debiti con i fornitori. Se si rivolge a un giornalista avverte: «Casaleggio mi ha cazziata perché vi dico troppo». In diretta sul canale web La cosa annuncia che la sala riunioni assegnata al M5S (si chiama ora Sala Tatarella) verrà dedicata a Giancarlo Siani. Lei però lo chiama Angelo. Ieri le hanno rubato pure il portafoglio con gli scontrini delle spese, addio trasparenza!

La Rete - elevata dai grillini a entità metafisica, hacker compresi - si è riempita di parodie e di sberleffi nei suoi confronti.
Su Raitre, Andrea Sambucco e Brenda Lodigiani fanno la parodia di Lombardi e Crimi.

A lei tocca la parte dell'antipatica. «Noi non abbiamo bisogno di parlare con la società civile, noi siamo la società civile»: solo lo «smacchiatore» Bersani poteva farsi umiliare da questa coppia di comici tristi, Vito lo Smentito e la «cittadina» Roberta.

Però fanno paura gli sprovveduti che mirano al potere e lo raggiungono per l'effetto combinato di astuzia e naïveté.

Aldo Grasso

14 aprile 2013 | 9:10© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_aprile_14/roberta-la-vertigine-del-potere-grasso_06ae3f22-a4ca-11e2-9ee4-532c6d76e49d.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. E il M5S fa autogol con lo streaming
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2013, 10:53:02 pm
LA SORPRESA

E il M5S fa autogol con lo streaming

Letta sembra un giovane cattedratico e i grillini studenti fuoricorso: giornata nera per Grillo e Casaleggio associati

di  ALDO GRASSO


Una giornata nera per la Grillo & Casaleggio Associati. Enrico Letta, i grillini, se li è mangiati in un solo boccone. Sembrava il giovane cattedratico che interroga i fuori corso e usa l'esame per spiegare ancora una volta, con santa pazienza, il programma del corso. I ripetenti implorano il diciotto politico e il professore, per bontà, glielo concede, non prima di avergli chiarito per l'ennesima volta come funziona l'università: bisogna studiare.

La differenza con il precedente incontro in streaming con Pier Luigi Bersani è stata impressionante: Bersani sembrava intimorito e i portavoce del M5S se ne sono approfittati per umiliarlo. Letta, per quanto stanco e scoraggiato di incontrare un muro di gomma, ha mostrato subito di essere di un'altra pasta, di conoscere bene l'arte della mediazione, di essere assertivo quando occorre: «In questi sessanta giorni la forza che voi rappresentate, sia numerica che reale nel Paese, è entrata in Parlamento e non ha voluto partecipare alle decisioni assunte. Sarebbe frustrante se questa indisponibilità a mescolare idee e voti si protraesse». I portavoce del M5S (questa volta in formazione quattro più quattro, tipo Nora Orlandi) erano in seria difficoltà, non sapevano cosa rispondere, si rifugiavano nel politichese, s'impantanavano in formule astratte.

Certo che i grillini sembrano non avere alcuna strategia, alcun fiuto politico, tanto da consegnarsi alle stoccate del professore, come quando hanno tirato fuori la questione dell'elezione a presidente della Repubblica di Rodotà e prontamente Letta ha fatto loro notare che se avessero votato Prodi avrebbero cambiato lo scenario della politica italiana.
Si fa presto a parlare di streaming, di Web, di comunicazione globale, ma a un certo punto è saltata fuori la parola «incomunicabilità», che non si sentiva più dai tempi dei film di Michelangelo Antonioni. Letta ha accusato i grillini di incomunicabilità, temeva di vivere in diretta il dramma della frustrazione espressiva (la scena sembrava tratta da «Le sedie» di Ionesco, 1952), di essere di fronte a una sorta di nevrosi espressiva che corrode il linguaggio e le speranze, di vedere in Vito Crimi e in Roberta Lombardi il sigillo dell'incapacità di comunicare.

E invece, prese le misure, li ha sovrastati, ha mostrato la pochezza dei quattro più quattro (gli altri che hanno parlato facevano quasi tenerezza per impreparazione e incapacità di esprimersi). Tra l'altro, in termini puramente retorici, il peso delle metafore questa volta ha schiacciato i grillini e Letta è stato ben attento a pascolare nel concreto. Per i grillini senza streaming non c'è democrazia, tutto deve avvenire in diretta davanti a una telecamera. Lo streaming è l'unica garanzia contro i sotterfugi.

Diversamente dal passato, questa volta però lo streaming non ha funzionato come caricatura della democrazia e della comunicazione: limitarsi ad avvolgere ogni rapporto sociale, a mantenere vivo il contatto fra le parti, ad accorciare le distanze, senza preoccuparsi troppo dei messaggi. Questa volta lo streaming è servito per conoscere meglio il programma di Letta, senza le fantasie dei retroscenisti e senza complessi di inferiorità nei confronti della presunzione. La politica ha vinto sul velleitarismo.

Giovedì sera due case sono state assalite da dubbi e inquietudini. Nella casa della Grillo & Casaleggio Associati si sarà discusso a lungo sulla performance di Crimi e Lombardi (da abbiocco collettivo, «scongelatevi» ripeteva loro Letta) e la voglia di cambiare i portavoce sarà stata grande. Nella casa del Partito democratico le lodi a Letta saranno forse risuonate anche come rimprovero a Bersani. Par di capire che il 25 Aprile non è morto, come vuole Beppe Grillo.

26 aprile 2013 | 10:24

DA - http://www.corriere.it/politica/13_aprile_26/M5S-streaming-autogol-grasso_c85b8f9e-ae2a-11e2-b304-d44855913916.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La parabola del senatore Zanda
Inserito da: Admin - Maggio 27, 2013, 04:40:34 pm
Padiglione Italia

La parabola del senatore Zanda

Intransigente (non con se stesso)

Si scopre che anche lui aveva il suo raccomandato


A più di settant'anni, quando per tutta la vita hai corso come numero due, è difficile fare il numero uno. Luigi Zanda (Cagliari, 1942) figlio di Efisio Zanda Loy, capo della polizia di Stato dal 1973 al 1975, è sempre stato in seconda fila. Con compiti istituzionali di rilievo, con incarichi prestigiosi, ma sempre un passo indietro. Prima dietro a Cossiga, poi dietro a Rutelli, poi a Franceschini. Da non molto è presidente dei senatori pd, scelto direttamente da Bersani (un numero due diventato per poco uno).

Ha una faccia antica, da comprimario western, un taglio di capelli che un tempo si sarebbe detto «all'umberta». In pubblico non si conosceva la sua intransigenza, il suo radicalismo e molti ne sono rimasti stupiti. Sta di fatto che, appena varato un faticoso governo di «larghe intese» benedetto dal Colle, Zanda se ne esce con la storia della ineleggibilità di Berlusconi. In un'intervista all'Avvenire, Zanda tuona contro i pubblici vizi e le private virtù del Cavaliere: è ineleggibile. Applausi dai grillini. A tanta severità (come un Casson qualsiasi), segue una frettolosa marcia indietro, visto che il suo partito, per ragioni politiche, non vuol fare saltare le intese. Non contento, Zanda presenta un disegno di legge che vieterebbe al Movimento Cinque Stelle di partecipare alle elezioni. Ira dei grillini. Retromarcia: «Non volevo punire nessuno, ma se questa è l'interpretazione non ho alcun interesse a mantenere il provvedimento».

Tanto va l'intransigente al lardo che... Dopo aver tuonato contro il sindaco Alemanno per aver fatto assumere suoi protetti, si scopre che anche Zanda aveva raccomandato un tizio a Giovanni Hermanin, presidente dell'Ama di Roma. Zanda confessava anche di «non conoscere personalmente il dottor B., ma mi vengono garantite le sue capacità professionali e la sua correttezza istituzionale. Ti sarò molto grato se vorrai farmi avere notizie sulle fasi istruttorie attraverso le quali l'istanza verrà esaminata. Con viva cordialità...».
Con viva cordialità, Nietzsche sosteneva che per ridare etica alla politica bisognava impiccare i moralisti. Forse esagerava, però, da numero due, i costumi è più facile assecondarli che correggerli.

Aldo Grasso

26 maggio 2013 | 8:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_maggio_26/parabola-del-senatore-zanda-grasso_333a9bf2-c5cd-11e2-91df-63d1aefa93a2.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La lirica kitsch e la caramella Clerici
Inserito da: Admin - Giugno 12, 2013, 05:51:18 pm
A fil di rete

La lirica kitsch e la caramella Clerici


Si educa il pubblico con il kitsch? È giusto sopperire alla mancanza di valori etici di base con l'esaltazione di valori estetici facili e fittizi? Queste domande mi assalivano ogni volta che osservano Antonella Bon Bon Clerici, vestita con carta di caramella rosa. Leggeva il gobbo e parlava di musica lirica come fosse una prova del cuoco. Bassa cucina, insomma.
Dall'Arena di Verona, per festeggiare «cento anni d'opera», Rai1 ha mandato in onda uno spettacolo organizzato da Gianmarco Mazzi (ex direttore artistico di Sanremo): «Lo spettacolo sta per iniziare». Mai titolo fu più azzeccato. Perché chiamare Andrea Bocelli, José Carreras e Placido Domingo, mettere in fila i brani più celebri della lirica («una hit parade della lirica!»), costringere il pubblico alla pañolada, dedicare Casta diva a Franca Rame non significa costruire uno spettacolo, anzi (lunedì, ore 21,15).

Certo, il kitsch seduce («il bisogno di guardarsi allo specchio della menzogna che abbellisce e di riconoscervisi con commossa soddisfazione», M. Kundera): è sufficiente sentire gli highlights delle opere - da E lucean le stelle alla marcia dell'Aida, da Largo al factotum al brindisi della Traviata, da All'alba vincerò al Va' pensiero - per illudersi di frequentare gli anfratti dell'Arte.
«Lo spettacolo sta per iniziare». Mai titolo fu più azzeccato. Omaggio all'Arena, omaggio a Giuseppe Verdi, omaggio a Luciano Pavarotti (la seconda signora Pavarotti era ospite della serata), ma se la giustapposizione surroga lo spettacolo l'attesa diventa infinita. Venerdì prossimo, su Classica (Sky, canale 728), dall'Arena sarà trasmessa in chiaro l'Aida di Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Omer Meir Wellber. Ecco una buona occasione per confrontarsi con il concetto di cultura popolare, così com'era inteso alla fine dell'800. Ecco come si fa spettacolo. ©

Aldo Grasso

12 giugno 2013 | 8:00© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/spettacoli/13_giugno_12/grasso-la-lirica-kitsch-caramella-clerici_c689c170-d31b-11e2-b757-6b1a3e908365.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Renato Zampa frodatore e capo popolo quote latte...
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2013, 05:50:13 pm
Padiglione Italia

L'incredibile storia del latte avariato con tanti complimenti al frodatore

C'è sempre qualcuno che si crede più scaltro degli altri

Questa è una storia italiana, tutta italiana, troppo italiana. Renato Zampa, leader del Cospalat del Friuli Venezia Giulia, è stato arrestato.
L'accusa lo vede implicato nel commercio di latte tossico. L'indagine è stata condotta dai Nas di Udine. Oltre a Zampa, sono stati eseguiti altri arresti domiciliari.

L'ipotesi di reato è pesante: associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, adulterazione di sostanze alimentari e commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute. Secondo gli accertamenti degli investigatori, coordinati dalla Procura di Udine, sarebbe stato messo in commercio volutamente latte contaminato da aflatossine, una muffa cancerogena che può avere effetti gravi sulla crescita dei bambini. In alcuni casi è stata certificata anche la presenza di antibiotici.

Quelli della Cospalat erano consapevoli di praticare una frode commerciale in piena regola. In un'intercettazione telefonica, l'amministratore di un caseificio del napoletano fa i complimenti a Renato Zampa, per avere aggirato i controlli: «Me lo dicevano che sei un grande uagliò!».
Per il frodatore ci sono solo complimenti.

Renato Zampa era già salito agli onori delle cronache come uno dei leader della protesta contro gli accordi comunitari sulle «quote latte», un movimento che, alla pari di altre azioni sviluppatesi in diverse regioni italiane, aveva dato vita a clamorose rimostranze. Gli allevatori rivendicavano il diritto che il mercato del latte dovesse «appartenere a chi lavora e produce», lottavano per «poter controllare le future scelte in agricoltura», sbandieravano la «purezza» del latte italiano, trovando il forte appoggio della Lega Nord.

Oggi, quegli sforamenti ci costano una multa che si aggira sui quattro miliardi di euro, giusto i soldi che ci mancano per scongiurare l'aumento dell'Iva.

Una storia italiana: mentre tutto il mondo esalta il cibo made in Italy, da noi c'è sempre qualcuno che si crede più scaltro degli altri.

La regola d'oro è: promettere secondo la nostra furbizia, mantenere secondo i nostri inganni. Per dire: un esercizio commerciale su tre continua a non emettere scontrini o ricevute fiscali.

Aldo Grasso

23 giugno 2013 | 11:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_23/incredibile-storia-del-latte-avariato_bb7441ce-dbcd-11e2-b46d-07a6952a1aaf.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Trent'anni di Canale 5. Non basta il colore rosa
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2013, 07:02:24 am
A fil di rete

Trent'anni di Canale 5

Non basta il colore rosa

Aldo Grasso

In tv, il passato è sempre in bianco e nero, fatalmente. Il bianco e nero sono le radici della tv, il senso di profondità, la distanza che la storia esige. Canale 5 non conosce questa dimensione, perché il colore è un eterno presente, indifferenziato. Ci vorrebbero altri espedienti per dare ordine alla memoria, il colore rosa non basta, anzi.

Ma era il caso di celebrare i trent'anni di Canale 5 con un programma all'insegna della povertà? Due o tre quinte recuperate dal magazzino, Alfonso Signorini troneggiante in un salotto da tv locale, Belen Rodriguez spacciata come una «grande» artista. Canale 5 è stato ed è un canale fondamentale nella storia della tv italiana (rottura del monopolio, nuovi sistemi produttivi, costruzioni inedite del palinsesto, infrastrutture tecniche, mercati...), non può essere ridotto a un'illustrazione del settimanale Chi . Merita ben altro. Qui siamo fermi a «Ieri e oggi », trasmissione della Rai del 1967.

Per dire, l'altra sera Marco Columbro, nel raccontare la sua avventura a Mediaset, rimpiangeva i tempi eroici delle origini, quando il Capo (Silvio Berlusconi) non faceva mai mancare «grandi» mezzi a disposizione; nell'enfasi del ricordo «Studio 5» dava l'impressione di una vetrina di saldi (mercoledì, ore 21.24). Ragazzi, non c'è più un euro!

A sentire parlar Belen e il suo compagno Stefano de Martino (recitavano la loro «grande» storia d'amore), a rivedere Paola Barale si ha la sensazione che Canale 5 sia stato solo un «grande» (l'aggettivo preferito di Signorini) network di pettegolezzi, di gossip.

Inutile poi invitare Enrico Mentana (il 13 gennaio 1992 iniziava la «grande» avventura del Tg5) se poi la parte del leone la fanno Cesara Buonamici e Cristina Parodi e tutto stinge nel rosa. I rischi dei piani inclinati della memoria: si scivola sempre verso ciò che varrebbe la pena di dimenticare.

19 luglio 2013 | 8:30
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_luglio_19/a-fil-di-rete-trent-anni-di-canale-5-non-basta-il-colore-rosa-aldo-grasso_74eb8f0c-f02f-11e2-ac13-57f4c2398ffd.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L'abisso tra Francesco e i talk show sul Papa
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2013, 06:39:57 pm
A fil di rete

L'abisso tra Francesco e i talk show sul Papa

Le direttrici comunicative di Bergoglio mettono in crisi cerimonie liturgiche e format tv: il Papa richiede un linguaggio nuovo

Aldo Grasso


Succede che il messaggio sia più innovativo del mezzo. Rare volte, ma succede. Detta così, è un'affermazione un po' rozza, ma serve a capire. Detta così, smentisce un po' l'enfasi scolastica con cui padre Giulio Albanese, ospite in studio, citava Marshall McLuhan.

Bruno Vespa ha condotto uno speciale di Porta a porta sul Papa a Rio: «Francesco tra i giovani». Lo ha condotto a suo modo, in maniera molto istituzionale, si potrebbe dire con i soliti modi curiali, coma fa di solito, indipendentemente dal tema trattato. Ci fosse stato un altro Papa, lontano dallo stile inaugurato da Jorge Mario Bergoglio, avrebbe usato le stesse parole. Ma qui non interessa parlare delle persone: Vespa, Floris o altro conduttore di talk, il discorso non cambia (Rai1, giovedì, ore 21,21).

Papa Bergoglio ha inaugurato alcune direttrici comunicative che la tv da salotto fatica a comprendere e, soprattutto, a rappresentare. Non bastano gli ospiti in studio (alcuni dei quali sono opinionisti buoni per tutte le occasioni, Monti o Bergoglio non fa differenza), non bastano i servizi degli inviati alla Lorena Bianchetti. «Uscire per strada, farsi prossimo con i più umili»: l'aspetto che più colpisce del nuovo patto retorico instaurato dal Pontefice è quello della «prossimità», che è un modo nuovo e informale di rapportarsi con i fedeli, con la «gente comune». Ma che è anche un modo per mettere in crisi gli incontri ufficiali, persino le cerimonie liturgiche.

Ecco, ci vorrebbe un format diverso, un linguaggio nuovo per far risaltare questa potenza carismatica che ha spiazzato non poco i media tradizionali. Non basta la parola, non bastano le opinioni. Tra il fare di Bergoglio e la mediazione televisiva del talk per ora c'è un abisso.

«Uscire per strada, farsi prossimo con i più umili»: a Roma come a Copacabana è il Papa a cercare la gente. Scendere in strada, non frequentare i salotti.

27 luglio 2013 | 8:34
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da - corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. Dudù, l’aristocane perplesso ci spiega come va la politica
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2013, 11:42:21 am
Padiglione Italia

Dudù, l’aristocane perplesso ci spiega come va la politica


Forse, fra vent’anni, l’immagine che verrà tramandata di questi giorni convulsi non sarà quella delle macerie di un Paese trascinato nel buio istituzionale e in una crisi economica senza precedenti; c’è da sperare che le nostre risorse siano tali da eleggere invece un’immagine apparentemente insignificante, un cane che fissa smarrito l’obiettivo di una macchina fotografica, a simbolo di una vecchia e amara verifica: quanto più si conoscono gli uomini, tanto più si amano i cani.

Dudù, il suo nome è Dudù. Dietro un cancello, il cane di Francesca Pascale, la fidanzata-ombra di Silvio Berlusconi, è rimasto solo nel cortile di palazzo Grazioli nel famoso giorno della sentenza. È rimasto solo, osserva perplesso e abbaia ai cronisti che si assiepano all’esterno, anch’esso espressione attonita del «cerchio magico». Ah, lo sguardo dei cani! La solitudine di Dudù (aristocane, un nome che ricorda i fasti capresi, la meglio gioventù partenopea) si carica di metafore politiche: l’impossibilità di poter raddrizzare le gambe ai cani, le fazioni partitiche che si guardano come cani e gatti, la politica come esercizio di menare il can per l’aia.

C’era da prevederlo: il barboncino della Pascale, un batuffolo di pelo bianco, ha scatenato le solite ironie sul web: «Francesca ha già trovato con chi consolarsi», «Il Cavaliere è solo come un cane», «Dopo Empy (il cane di Monti ricevuto in dono alle «Invasioni barbariche ») ecco Dudù, mondo cane!»... Eppure Dudù nasconde altre profonde verità. La prima è la legge esplicitata in modo definitivo nella «Carica dei 101»: il cane è il ritratto spaccato del suo padrone; l’uomo è un cane che immagina di essere uomo, o viceversa. La seconda, esposta in «Vita da cani» (A Dog’s Life di Charlie Chaplin), dimostra che i cani sono i veri politici: osservano ogni cosa, non perdono una sola mossa di una persona, sanno come comportarsi, conoscono i nessi dei rapporti umani.

Se li voti (se li sfami) non tradiscono. Questo ci dice il cane Dudù, allegoria del nostro tempo: «Lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire» (Italo Calvino, Il barone rampante).

4 agosto 2013 | 8:25
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Aldo Grasso

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_04/dudu-aristocane-perplesso_bb250c1e-fccd-11e2-ac1e-dbc1aeb5a273.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L'audace sfida di Rotondi, «l'appassionato»
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2013, 04:14:08 pm
Padiglione Italia

L'audace sfida di Rotondi, «l'appassionato»

L'ex ministro pronto a scendere in campo contro Renzi


La cosa migliore per un politico è non avere il senso del ridicolo. Privato della bardatura (che un tempo uccideva ma oggi è condizione necessaria alla crescita della notorietà), il politico riesce a sacrificare la reputazione passata con la stessa audacia con cui rinuncia alla stima futura.
Ma sopravvive, si espande.

Giorni fa, l'ex ministro Gianfranco Rotondi ha annunciato via Twitter la sua candidatura a premier: «Ho scritto a Berlusconi che sono pronto a sfidare Renzi perché anche il centrodestra è capace di sfide appassionatamente politiche». È quell'avverbio, «appassionatamente», che colpisce e che avrà di sicuro colpito Silvio Berlusconi. Rotondi è un democristiano nato a Dc morta, un post-intellettuale della Magna Grecia, sponda Gerardo Bianco (è avellinese come Gigi Marzullo, post-intellettuale della Magna Grecia, sponda De Mita), un appassionato collezionista di sigle: Dc, Ppi, Cdu, Udc, Nuova Dc, Dc Autonomie, Nuovo Psi, Forza Italia e Pdl. Ha scritto vari libri, tra cui Il caso Buttiglione. I dieci anni dei democristiani senza la Dc.

Il suo è un pensiero appassionato e la passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca: «Il nostro testimone di nozze Berlusconi è un uomo semplice e pulito che negli anni ha conquistato la simpatia delle nostre tre bambine, che non può essere certo contestato per candore e onestà personale». Ancora: «Mussolini, De Gasperi e Berlusconi sono tre mondi opposti ma li unisce l'identica base sociale declinata diversamente. Se non capite il nesso tra Mussolini, De Gasperi e Berlusconi è colpa dei libri che avete letto». E poi ancora: «Lei crede che il parlamentare navighi nell'oro? Conosco colleghi costretti a fare il conto della serva. Siamo addirittura all'afflizione. 8 mila euro di indennità più 4 mila di portaborse. Fanno 12 mila. Forse c'è qualcos'altro, vabbé...».

Un suo ex sodale sostiene che da diversi anni Rotondi si dedica all'arte sicula dell'annaccarsi («il massimo di movimento con il minimo di spostamento») continuando a fingersi democristiano e a incensare il Cavaliere. Malignità, invidie. Non si può immaginare quanta determinazione sia necessaria per offrire il fianco al ridicolo. E Rotondi, se non altro, non difetta di determinazione.

8 settembre 2013 | 8:07
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Aldo Grasso

da - http://www.corriere.it/politica/13_settembre_08/rotondi-grasso_ab27d6f2-1848-11e3-9feb-01ac3cd71006.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Concita spezza il pane della cultura
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2013, 05:12:45 pm
A FIL DI RETE

Concita spezza il pane della cultura

Là dove c’era Augias ora c’è Concita. A spezzare il pane quotidiano della cultura, a spezzarlo per noi, lavagne non scritte in trepida attesa che qualcuno scriva su di noi, pungolati dall’infernale buona volontà di acculturarci per via televisiva («Pane quotidiano», Rai3, dal lunedì al venerdì, ore 12.45 e in replica ore 20.15).
Concita De Gregorio è la perfetta incarnazione della professoressa democratica, regina dolente del ceto medio riflessivo e della correttezza politica, Madame Bovary del progressismo finto sexy: «Sono nell’ambiente da anni, ho pubblicato con molte case editrici e la nostra linea guida sarà sempre e solo la qualità di ciò che si pubblica». Ambiente, linea guida, qualità sono parole che mettono qualche brivido e l’idea che la cultura possa nutrire («Le pain quotidien» è una catena internazionale di ristorazione, arredamento in legno grezzo e cibo un po’ fighetto) è solo un’idea da Bouvard e Pécuchet, i due oscuri copisti che cercano la Salvezza Eterna nei libri senza accorgersi di essere solo servi obbedienti dell’Opinione mainstream.
Concita invita ospiti portatori di libri «importanti», perché lei, alla Cultura, ci tiene: libri da Festival della letteratura, libri che «ti cambiano la vita», libri di amici. Spezzati ogni giorno davanti a un pubblico di liceali, universitari, apprendisti del Sapere: «Io non sono d’accordo con chi dice che con la cultura non si mangia, in un Paese come l’Italia che ha questo come risorsa, un giacimento di storia incommensurabile che è una straordinaria occasione di crescita». Per intanto, alla Risorsa, ci pensa lei. Ma quando si afferma che la cultura deve servire, si privilegia l’utilità nei confronti della cultura. Che, invece, è dubbio, effrazione, sprezzatura, quel rarissimo dono per cui essa non ostenta mai segni di riconoscimento, ma resta nascosta, creata quasi per gioco.
04 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Aldo Grasso

Da – corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. La polemica Brunetta-Fazio, la Rai e gli stipendi
Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2013, 05:08:12 pm
La polemica Brunetta-Fazio, la Rai e gli stipendi

Denunce giuste e moralismi sbagliati

La polemica Brunetta-Fazio, la Rai e gli stipendi
Denunce giuste e moralismi sbagliati

Decide il mercato, soldi ben spesi se il programma ha un buon ritorno pubblicitario. Calmierare i compensi è opportuno


Fino all’altro ieri, Fabio Fazio era l’uomo più corteggiato d’Italia: case editrici, case discografiche, case cinematografiche, politici, chiunque avesse qualcosa da promuovere sul mercato avrebbe fatto carte false per entrare in quel salotto. Adesso è diventato la vittima sacrificale. Per di più, non uno dei suoi famosi invitati è intervenuto in sua difesa.
L’on. prof. Renato Brunetta, invitato a «Che tempo che fa», si è divertito a sfregiare il galateo di quella trasmissione. Come ha scritto il Foglio , «Là, dove tutti mozartianamente si danno la mano, si danno di gomito, si baciano/abbracciano/complimentano, cenacolo e ritrovo e tavernetta casalinga dei mejo italiani, in tre inauditi minuti Renato Brunetta ha messo i piedi sul tavolo, il dito nell’occhio, le mani nel piatto. Insopportabile. Implacabile. Imperdibile».
L’on. prof. Brunetta, membro della Commissione di vigilanza Rai, ha pubblicamente rivelato i guadagni del conduttore e ha messo in discussione le modalità del rinnovo del suo contratto.
Senza fare il tifo né per l’uno né per l’altro, proviamo a ragionare su quanto è successo. Sui milioni che Fazio guadagna si è subito aperto il fuoco amico e nemico: Grillo, il solito Codacons, parte del «popolo del Web». I soldi sono tanti, ma, senza infingimenti e moralismi, la cosa più importante è che quei soldi siano un buon investimento. Se Fazio, con i suoi programmi, riesce ad avere un ritorno pubblicitario proficuo significa che quei soldi sono ben spesi. A Mediaset, a Sky, a La 7 fanno così.
Si dirà, ma la Rai è servizio pubblico. Veramente, come abbiamo scritto più volte, la Rai ha perso da tempo la sua identità ed è diventata una tv fra le tante. L’accesso al bene pubblico radiotelevisivo è ormai alla portata di tutti, la pluralità delle istanze politiche, sociali e culturali è assicurata dalla varietà e molteplicità dei canali, dei media, delle fonti. Ma c’è ancora una canone da pagare e bisogna tenerne conto. La Rai, in estrema sintesi, ha una doppia natura giuridica: è pubblica in quanto è partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze (99,56%) e il suo contratto di servizio è stipulato con il ministero dello Sviluppo economico; è privata in quanto è una spa. Nella sua storia, la Rai ha sempre giocato su questa duplice identità. Alla fine, però, chi è il vero editore di Viale Mazzini? Sono i partiti politici attraverso quel fenomeno triste e umiliante che si chiama lottizzazione (un condominio consociativo a cui partecipano tutti i partiti, con quote maggiori o minori; e lo chiamano pluralismo).
Teoricamente quindi se la Rai, come spesso viene dipinta, è un luogo dove si assumono, in mezzo a tanti bravi professionisti, anche parenti, amici, amici degli amici, fidanzate, fidanzati, amanti, incapaci la colpa dovrebbe ricadere sul vero editore. In questa prospettiva, anche la Commissione di vigilanza andrebbe intesa come un istituto che umilia le responsabilità dei dirigenti di Viale Mazzini e che serve solo a sancire il controllo dei partiti sulla Rai: una vera vergogna. È ridicolo poi che la presidenza sia in mano ai grillini: invece di abolirla la cavalcano.

Se c’è da calmierare i compensi, la battaglia è più che giusta. Se c’è da promuovere una campagna di «pulizia etnica» per restituire verginità a Viale Mazzini bisognerebbe cominciare a denunciare tutte quelle persone che occupano indegnamente un posto, dirigenti compresi, tutti quei conduttori che sono stati messi lì grazie a una raccomandazione e fanno flop, tutti i «fornitori» che profittano di un intervento dall’alto. Ho più volte criticato «Che tempo che fa» ma dovessi stabilire un ordine nell’epurazione non mi sentirei certo di considerare la trasmissione una priorità.
C’è poi la questione della trasparenza, prevista dal contratto di servizio tra ministero e Rai. Certo, ma in questo modo la Rai dovrebbe vivere solo di canone. Nel momento in cui si mette sul mercato, e la Rai è sul mercato, invocare la trasparenza sui contratti delle cosiddette star o dei conduttori di primo piano significa solo fare un favore alla concorrenza. E ogni intervento per sbandierare i compensi può apparire strumentale.
Per affrontare questi temi sarebbe meglio tralasciare ogni ipocrisia, ogni risentimento, ogni spirito di vendetta e affrontarli nelle sedi opportune. I rancori fanno spettacolo, ma difficilmente risolvono i problemi.

16 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALDO GRASSO

http://www.corriere.it/politica/13_ottobre_16/polemica-brunetta-fazio-rai-stipendi-denunce-giuste-moralismi-sbagliati-e41db22a-3629-11e3-b4e4-e4dfbe302858.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La Rai non è più maestra per tutti Va rinnovata senza nostalgie
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2014, 04:15:01 pm
La Rai non è più maestra per tutti
Va rinnovata senza nostalgie

Dal dopoguerra all’era digitale: il rischio di guardare solo ai modelli vincenti del passato


 La Rai, Radiotelevisione italiana, compie oggi , venerdì 3 gennaio, 60 anni, avendo inaugurato ufficialmente le trasmissioni il 3 gennaio 1954. Sessanta sono tanti, tantissimi se rapportati al calendario della tecnologia. In poco meno di un decennio, grazie ai media digitali, a Internet, la tv ha subito un cambiamento radicale: il passaggio dal tradizionale segnale analogico a quello digitale, per esempio, ha generato nuove dinamiche di fruizione e l’emersione di nuovi immaginari sospesi, come sempre accade, tra l’euforia della scoperta «magica» e il terrore di possibili effetti negativi.
Ma per oltre mezzo secolo, la tv è stata il medium egemone del ‘900 e ha svolto un preciso ruolo sociale, alimentando un’esperienza tanto diffusa quanto condivisa per gli spettatori, riassumibile nella semplice espressione: «guardare la tv». Per molto tempo, dunque, guardare la tv è stato come guardare un nuovo mondo, una scoperta di inestimabile valore.


Lo scenario attuale di trasformazione e convergenza tecnologica comporta anche una mutazione nell’identità di chi guarda, lo coinvolge fisicamente, anche se l’immagine dello spettatore della «multitelevisione» appare ancora sfuggente perché il «nuovo» cerca di rendersi più accettabile assumendo alcune forme tipiche del «vecchio», e viceversa queste ultime reagiscono alla competizione, ricavandosi nicchie di sopravvivenza.
Se vogliamo capire cosa rappresentino 60 anni di tv, la prima cosa da fare è smetterla con il rimpianto. Basta con la nostalgia del monoscopio, del maestro Manzi, delle annunciatrici, di Calimero, degli sceneggiati in bianco e nero. Quel che è stato è stato. L’archeologia della tv deve solo farci capire le cose essenziali senza mai tramutarsi in uno stato d’animo malinconico.
Due sono le funzioni fondamentali ascrivibili alla tv delle origini: da una parte, costruire la «visibilità degli italiani», nella tradizionale funzione di rappresentazione e autorappresentazione già assolta precedentemente dal cinema (si pensi al Neorealismo); dall’altra, sincronizzare i ritmi di una comunità e renderla perciò più consapevole di se stessa, in grado di riconoscersi e immaginarsi come un insieme, come un «noi» che affronta un destino comune (quello della definitiva ricostruzione, del boom economico, dell’avvento della società dei consumi, opportunamente mediata dalla spettacolarità rassicurante di Carosello).
Nessuno storico può scrivere la storia degli ultimi 60 anni del nostro Paese senza l’aiuto della tv, del suo patrimonio simbolico, delle ritualità radicate in una «comunità immaginata»: da «Lascia o raddoppia?» al Festival di Sanremo, dallo sport a tutti i grandi eventi mediatici.
Proprio per questo, rispetto alla propria audience, si possono dividere i primi 60 anni della Rai, e più in generale della tv generalista, in tre grandi periodi: quello in cui la Rai era più avanti del suo pubblico (l’analfabetismo riguardava metà della popolazione italiana), quello in cui l’offerta televisiva era in sincronia con il «sapere» del pubblico, quello in cui, stiamo parlando dell’attuale, la tv generalista si rivolge principalmente a un pubblico ancora molto vasto ma «residuale» (per età, istruzione e censo) rispetto ai cambiamenti del Paese. Come in tutte le periodizzazioni, i rischi delle sintesi sono presenti anche qui. Non solo: i media hanno un andamento ciclico e i loro rapporti sono determinati dalle fasi del ciclo; ora, per esempio, l’egemonia sta passando a quel vasto sistema dei media convergenti di cui il computer è il terminale più rappresentativo.

3 gennaio 1954: la Rai inizia le trasmissioni tv

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    3 gennaio 1954: la Rai inizia le trasmissioni tv

Gli esordi e la borghesia
Quando in Italia è nata, la tv era in mano a una élite, prima di stampo liberale e poi cattolico. Era una tv che rispecchiava lo spirito di una borghesia medio-alta e si rivolgeva a quella stessa borghesia, la sola in grado di acquistare il costoso apparecchio (di lì a pochissimo, però, lo strepitoso successo di «Lascia o raddoppia?» negli spazi pubblici, nei bar, negli oratori, nei cinema avrebbe fatto capire come la tv fosse lo strumento principe della cultura popolare). Per intanto, la fascinazione del mezzo attirava le menti migliori e dava inizio a quella fase aurorale in cui il nuovo strumento è in grado di stimolare nuovi immaginari. Tre esempi per spiegare meglio la tesi. Nel 1957 Mario Soldati realizza una formidabile inchiesta, «Viaggio nella Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini»; l’aspetto curioso è che Soldati s’interroga sulla cultura enogastronomica dell’Italia in un momento in cui, per buona parte degli italiani, l’idea del cibo è legata ancora alla mera sopravvivenza, alla fame patita durante la guerra e nel primo dopoguerra. Più interessante ancora l’inchiesta del 1959 di Salvi e Zatterin «La donna che lavora», indagine sull’evoluzione del lavoro femminile in Italia: allora pareva rivoluzionaria ma era perfettamente in linea con le direttive ministeriali (come se oggi Milena Gabanelli facesse un’inchiesta delle sue, sponsorizzata però da qualche ministero). Nel 1961 Sacerdote e Falqui danno vita allo show «Studio Uno», di rara eleganza espressiva, quando il varietà era un genere pressoché sconosciuto alla quasi totalità degli spettatori. Altri esempi si potrebbero fare con i «romanzi sceneggiati» (il tentativo di portare i grandi libri nelle case degli italiani) o con «Il processo alla tappa». Servirebbero solo a rafforzare la tesi: la tv era più avanti del suo pubblico. I dirigenti dell’epoca vengono spesso ricordati circonfusi di un’aura di grande santità e professionalità. Santi non erano (basti ricordare come i telegiornali d’allora non avessero nulla da spartire con l’indipendenza dell’informazione), ma hanno avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, quando la tv stessa guidava chi voleva lasciarsi guidare e trascinava i nolenti.

La seconda fase
Il secondo periodo può partire simbolicamente dal 1967, anno di messa in onda dei «Promessi sposi» (la Rai, ormai pienamente consapevole del proprio ruolo centrale nell’universo cultural-spettacolare nazionale, celebra con Manzoni il senso della sua missione educativa) e finire con «Blob», un montaggio di citazioni prese a prestito da altri programmi, un espediente critico per analizzare la tv, il trionfo dell’autoreferenzialità (la tv che parla di tv). In mezzo ci sono programmi che tutti vedevano, di cui tutti parlavano, da cui tutti erano influenzati, compresi gli altri media: «90° minuto», «Canzonissima», «Bontà loro», «Portobello», «Quelli della notte», «Quark», «Domenica in», «Mixer», «Samarcanda», «La Piovra» (ma l’apporto viene anche dalle tv commerciali, come nel caso di «Drive in»). Si potrebbero citare tanti altri programmi, ma l’importante è ribadire il concetto: la Rai assorbiva e insieme dettava i tempi di una nazione.
La tv contava su vantaggi consistenti: sia per la sua capacità di articolare il pubblico nel privato, sia ovviamente per la sua accessibilità e popolarità, per quella sua caratteristica complementare, integrativa (contrapposta alla settorializzazione della cultura a stampa), sia, infine, per la sua specificità di «medium generalista di flusso» che tendeva a sincronizzare i ritmi di una comunità.

Il periodo che viviamo
Il terzo periodo (massì, facciamolo partire dal «Grande Fratello», anche se la Rai non c’entra) è quello che stiamo vivendo. Di fronte alle sfide lanciate dalle tecnologie digitali, il Servizio pubblico ha reagito come ha potuto, spesso prigioniero della politica. La Rai raggiunge una platea potenziale che copre l’intera popolazione, perché, molto banalmente, c’è almeno un televisore (e spesso più d’uno) per ogni famiglia. Il vero problema è che solo una parte - una minoranza, e non certo la maggioranza - della popolazione vive la tv come unica interfaccia col vasto mondo. Si tratta, in sostanza, di spicchi della popolazione doppiamente svantaggiati: per livelli d’istruzione (medio-bassi) e fasce d’età (avanzate, le più consistenti in Europa); ma soprattutto per il tenore dei consumi culturali, che non vanno al di là della tv generalista. Sta di fatto che i giovani non guardano più la tv (se non per frammenti, su YouTube) e chi può si abbona alla Pay-tv. A parte gli eventi mediatici (le partite della Nazionale, in primis), i grandi successi di audience sono rappresentati ormai da varietà e fiction fortemente nostalgici, come se la Rai avesse costantemente lo sguardo rivolto al passato. E i talk show hanno ridotto la politica a mera chiacchiera. Insomma, quella che pomposamente è stata definita «la più grande industria culturale» del paese rischia ora la marginalità.

La ricerca del nuovo
È vero che la Rai sta cercando di adeguarsi al nuovo, si è espansa al di fuori del proprio guscio (ha moltiplicato i suoi canali sul digitale terrestre), ha messo in atto un movimento di trasformazione, ma il suo «core business» e la sua missione restano ancora il modello generalista. La Rai è vittima di molti fattori: l’ingerenza della politica, soprattutto, il mancato ripensamento della nozione di Servizio pubblico, il condizionamento della concorrenza (è stata una scelta giusta quella del digitale terrestre? Non era meglio puntare al cavo o al satellite?), la mancanza di una rigida policy aziendale (ognuno fa quello che vuole, con la complicità dei giudici del lavoro), l’«entropia della dirigenza» (se alla guida di un sistema così complesso vengono preferite non le persone più capaci, come da curriculum, ma soltanto quelle che hanno giurato fedeltà a un partito, finisce che il numero di incapaci aumenta).
Il 60esimo compleanno della Rai dovrebbe perciò servire a riservare più spazio ai ripensamenti che alle celebrazioni, più attenzione ai prodotti che ai dibattiti, altrimenti il declino sarà inevitabile. E la perdita, purtroppo, irrimediabile.

03 gennaio 2014
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Aldo Grasso

Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_gennaio_03/rai-non-piu-maestra-tutti-va-rinnovata-senza-nostalgie-acae529c-743e-11e3-90f3-f58f41d83fbf.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Voci e testimonianze per non dimenticare
Inserito da: Admin - Gennaio 27, 2014, 04:27:13 pm
A fil di rete

Voci e testimonianze per non dimenticare

Vera Vigevani, protagonista della web serie «Il rumore della memoria» ospite di Fabio Fazio in «Che tempo che fa» con il direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli (Nicoloro)Vera Vigevani, protagonista della web serie «Il rumore della memoria» ospite di Fabio Fazio in «Che tempo che fa» con il direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli (Nicoloro)

Si ricorda perché la memoria non sia sorella del nulla. Quando sento Vera definirsi una «militante della memoria» capisco come rare volte la tela del tempo possa lacerarsi e il battito violento della vita coincidere con l’eternità, con ciò che non deve essere dimenticato. La web serie di Corriere Tv «Il rumore della memoria. Il viaggio di Vera dalla Shoah ai desaparecidos» di Marco Bechis, scritta dallo stesso Bechis, Caterina Giargia, Antonio Ferrari e Alessia Rastelli, racconta le due tragedie vissute da questa meravigliosa donna: il nonno materno, morto ad Auschwitz, e la figlia Franca, di diciotto anni, sequestrata, torturata e gettata viva in mare da un aereo della morte del dittatore Videla.

È che i conti non si chiudono mai, la ferita resta aperta, anche se il nostro desiderio è che la memoria liberi il passato dalle scorie. Il ricordo è soffrire ma è anche pensare.

Anche «Il viaggio più lungo: gli ebrei di Rodi» di Ruggero Gabbai (che Rai1 trasmette oggi alle 14.10 per il Giorno della Memoria) è un’epifania del tragico che irrompe a tradimento nella vita.

Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto ci riportano nella drammaticità di quei giorni insensati. A Rodi viveva felicemente una comunità di ebrei sefarditi. Perfettamente integrati in quell’isola che ai tempi era sotto l’amministrazione italiana, parlavano quattro o cinque lingue: spagnolo, francese, turco, greco e italiano. Anzi, l’arrivo degli italiani, dopo secoli di dominio turco, aveva rappresentato per loro una cesura della loro lunga storia: significava il passaggio a una nuova era, a una nuova e moderna civiltà. Poi le tenebre, l’occupazione dei tedeschi, la deportazione nei campi di concentramento. Tre sopravvissuti, Sami Modiano, Stella Levi e Alberto Israel, ci trascinano in un commovente piano inclinato, dove si scivola verso quello che non sappiamo o vogliamo dimenticare.
Non c’è speranza, senza memoria.

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27 gennaio 2014
Aldo Grasso
Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_gennaio_27/voci-testimonianze-non-dimenticare-4f1bee52-871a-11e3-b7c5-5c15c6838f80.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Santoro e Briatore due corpi, un’anima
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2014, 05:38:10 pm
A fil di rete

Santoro e Briatore due corpi, un’anima
Entrambi sono dei populisti di successo: uno opera nel mondo dell’ideologia, l’altro nel mercato del lusso

Forse altri se ne saranno accorti prima, arrivo sempre un po’ in ritardo, ma ora non ho più dubbi: Michele Santoro e Flavio Briatore sono della stessa pasta. Due populisti di successo: uno opera nel mondo dell’ideologia, l’altro nel mercato del lusso, ma il settore è lo stesso, quello dell’entertainement.

Si accompagnano a belle donne, a un soddisfatto accenno di pinguedine, tendenza cafonal (più evidente in Flavio), tendenza noia (più evidente in Michele). Se non sbaglio, entrambi sono amici di Lucio Presta e potrebbero con legittimo orgoglio indossare i colori della scuderia.

Potrebbero anche scambiarsi i ruoli e nessuno se ne accorgerebbe. Lo vedo bene Michele a «The Apprentice» mentre dice «Sei fuori» o «Io non sopporto gli arroganti, i presuntuosi, i cretini e i bugiardi» (i maligni sostengono che la scena sia stata provata davanti a uno specchio); così come vedo bene Flavio a duettare e ridere con Marco Travaglio (Briatore ride delle battute di Marcolino!). L’unico che si opporrebbe allo scambio è Vauro. Eh sì, il compagno Vauro è un problema.

L’altra sera, nel corso di «Servizio pubblico» (La7, giovedì, ore 21.15), appena si è accorto di questa osmosi, ha fatto una dura intemerata contro il buon Flavio, quasi una scenata di gelosia, rispolverando tutto l’armamentario operaista, accusandolo di essere al servizio dei ricchi. A quel punto si è svegliata anche la «dolente» Concita De Gregorio, ha alzato il ditino contro Mister Billionaire per spiegargli che la vita non è un talent! Flavio l’ha liquidata in due secondi: anche la «dolente», quando s’incorona di libri, sottostà a leggi televisive.

Insomma questa è la grande novità: Santoro ha definitivamente sdoganato Briatore e Briatore, con altrettanta cortesia, ha sdoganato Santoro. Due corpi che si fondono in una sola anima. Questo succede quando si esercitano tutti gli stili del decadimento, compreso il successo.

08 febbraio 2014
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Aldo Grasso

DA - http://www.corriere.it/spettacoli/14_febbraio_08/santoro-briatore-due-corpi-un-anima-14c7fb30-9087-11e3-85e8-2472e0e02aea.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Maurizio Landini e quella T-shirt bianca che fa capolino...
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2014, 05:33:24 pm
Padiglione Italia

La purezza del sindacato? Una maglietta bianca in tv
Lui dice che è per la salute: «Senza la maglietta sto mal».
Non è vero, è solo civetteria, un segno distintivo


La prima cosa che colpisce di Maurizio Landini è quella T-shirt bianca che fa capolino dalla camicia. Ormai un segno distintivo, come usava negli anni Sessanta nei film americani. Lui dice che è per la salute: «Senza la maglietta sto male. La porto da quando ero bambino e non ho mai smesso». Non è vero, è solo civetteria, un segno distintivo. Da quando va in tv, e ci va spesso, anche un sindacalista duro e puro, in fabbrica a 15 anni come saldatore, ha capito che l’immagine ha la sua importanza.

L’autodidatta Landini è più furbo di quello che appare: davanti ai cancelli delle fabbriche indossa dozzinali felpe rosse con la scritta Fiom, ma quando frequenta i salotti televisivi, e li frequenta spesso, non trascura il look: capelli scarmigliati, parlata emiliana, toni barricadieri senza mai cadere nel politichese. E poi maglietta bianca sotto la camicia, come James Dean in Gioventù bruciata. Il suo modello nostrano è Carlo Freccero.

Il successo televisivo nasce dal fatto che ormai la triade Camusso, Bonanni, Angeletti ha perso qualsiasi appeal, è puro apparato, con tanto di auto blu. Per questo Landini piace a Renzi e piace ai grillini. Piace ai lavoratori, ma soprattutto al pubblico televisivo che ha sempre bisogno di un Robin Hood che a Che tempo che fa dica che i soldi bisogna prenderli ai ricchi, alle transazioni finanziarie, ai capitali scudati. Se lo dice il figlio di un cantoniere (quarto di cinque figli), lo slogan fa ancora un certo effetto, anche se lui a 25 anni ha abbandonato la fabbrica per fare il sindacalista a tempo pieno (e prima o poi i soldi degli altri, si sa, finiscono).

S’intuisce che Landini vorrebbe conquistare maggiori spazi in Cgil: i rapporti con Susanna Camusso sono pessimi, la spaccatura sembra vicina. Da giorni si parla di un esposto della Cgil contro la Fiom: il casus belli starebbe nel rifiuto da parte del leader dei metalmeccanici di sottoscrivere un accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, che stabilisce le regole della rappresentanza in fabbrica e prevede sanzioni per chi non si adegua alle intese.

Forte del consenso televisivo, Landini tira dritto: tanto i veri problemi non trovano mai soluzione, servono solo ad alimentare discussioni in tv. Basta non dimenticare la maglietta della salute!

09 febbraio 2014
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Aldo Grasso

Da - http://www.corriere.it/cronache/14_febbraio_09/landini-grasso-maglietta-bianca-b2c06f52-9168-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. I linguaggi diversi di Sciarelli e Zoro
Inserito da: Admin - Aprile 04, 2014, 04:25:47 pm
I linguaggi diversi di Sciarelli e Zoro

di Aldo Grasso

Il mercoledì sera, su Rai3, si può misurare la distanza che esiste fra il linguaggio di «Chi l’ha visto?» (anno di nascita 1989) e quello di «Zoro», giusto per capire le molte anime della sinistra, i modi diversi con cui si esprime. La prima tentazione, nel seguire le vicende governate da Federica Sciarelli (la misteriosa scomparsa di Elena Ceste, la sparizione di Marisa Comessatti, la nonna di Laigueglia, il vuoto lasciato da Eleonora Gizzi, l’insegnante scomparsa da Vasto...) è di saldare la trasmissione al passato, irrimediabilmente al passato, al mondo di una cultura nazional-popolare cui appartengono anche Bersani, la Camusso, molti giovani dell’apparato pd e tutto quel ceto politico-intellettuale di sinistra cresciuto all’opposizione dell’eterna Dc e quindi convinto della sua superiorità culturale, a prescindere. «Gazebo» rappresenterebbe, invece, il rinnovamento che si agita a sinistra.

Nel presentare «Chi l’ha visto?» Angelo Guglielmi sosteneva che il programma «è la nuova forma di romanzo popolare che, se una volta traeva spunto dalle storie vere della gente comune e di esse forniva una copia abilmente manipolata, oggi, nella nuova versione televisiva, quelle storie offre in diretta al di là di ogni mediazione o manipolazione». Ecco, ma i Cuperlo, i Fassina, i Civati, i giovani turchi e i parrucconi recalcitranti sono la proiezione politica della stagnazione di Federica Sciarelli? E Diego Bianchi è il simulacro di Matteo Renzi, che lo voglia o no?

Le cose non sono così semplici, ovviamente. A differenza dei «signori della conservazione», «Chi l’ha visto?» a volte si prende carico di quella quotidianità che la politica di sinistra sembra aver escluso dai suoi interessi. E a Renzi manca molto l’ironia di Zoro (yes we can). Però... L’idea, però, che l’area del «dissenso democratico» abbia il volto dolente di «Chi l’ha visto?» è un’impressione da non sottovalutare.

4 aprile 2014 | 07:41
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_04/i-linguaggi-diversi-sciarelli-zoro-1c653400-bbb8-11e3-a4c0-ded3705759de.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La metamorfosi di La7 tra talk show e speciali
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2014, 11:30:52 pm
A fil di rete
La metamorfosi di La7 tra talk show e speciali
Di Aldo Grasso

A poco a poco, sotto l’impulso di Enrico Mentana, La7 si sta trasformando in una sorta di all news generalista, un ibrido curioso: rubriche, tg, talk show, speciali; persino Maurizio Crozza sta diventando uno dei più seguiti opinionisti politici. Ormai «Le strade di San Francisco», «Il commissario Cordier», «L’ispettore Barnaby», le repliche di «Sex and the City» vanno considerati come riempitivi: la linea editoriale della rete passa altrove.

Passa dal mattino, come mi è già capitato di sottolineare: la rassegna stampa di «Omnibus», il talk con Andrea Pancani e Alessandra Sardoni, «Coffee Break» con Tiziana Panella, «L’aria che tira» con Myrta Merlino. Il mattino, dal punto di vista mediatico, ha l’oro in bocca; è interessante perché dimostra come la tv abbia inglobato la radio, si è fatta radio. Negli anni 80, per esempio, andava in onda «Radiodue 3131», condotto da Corrado Guerzoni. Ebbene, quella rubrica è il modello della tv del mattino: la grande invenzione di Guerzoni fu quella di convocare politici in studio, prima di andare in Parlamento, per affrontare con loro alcuni temi di stretta attualità e soprattutto per dettare l’agenda giornaliera di discussione. I temi proposti dalla trasmissione diventavano poi centrali sia per la tv che per i giornali.

Di nuovo, oggi, c’è una curiosa inversione: quello che si discute in video spesso diventa centrale per il Parlamento. Come conferma il caso dei grillini (che ormai frequentano tranquillamente i vari programmi), la visibilità del politico, e dunque la sua importanza, dipende dalle sue partecipazioni televisive. Se Gianfranco Rotondi, tanto per citare un altro caso, non offrisse con generosità la sua disponibilità ai vari talk show, probabilmente sarebbe da tempo finito in un cono d’ombra a giocare all’ultimo dei democristiani.

E poi, caschi il mondo (anche meno), c’è sempre pronto uno speciale di Enrico Mentana.

17 aprile 2014 | 08:05
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_17/metamorfosi-la7-talk-show-speciali-754cc6d4-c5ed-11e3-8866-13a4dbf224b9.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Report e la Gabanelli mostrano le più radicate magagne italiche
Inserito da: Admin - Maggio 01, 2014, 07:46:07 pm
A fil di rete
Report e la Gabanelli mostrano le più radicate magagne italiche
L’inchiesta supera il talk politico.
Lunedì sera su Rai 3 è in onda Milena Gabanelli con Report: la puntata sulle tasse è stata seguita da oltre due milioni di persone

di Aldo Grasso

Bisogna essere grati a Milena Gabanelli e alla squadra di «Report». Non si ricorda, nella storia della nostra televisione, un altro programma che abbia saputo mettere all’indice con tanta potenza i peggiori vizi e le più radicate magagne italiche. Diciamo che, se a ogni puntata fosse seguito il necessario intervento per aggiustare il fattaccio denunciato, saremmo oggi un Paese migliore. Il problema è che raramente questo è successo, raramente la rubrica delle buone notizie si è riempita di qualche «lieto fine» seguito alle inchieste presentate.

Ma la forza del programma non sta solo nella scelta di temi che indignano e fanno riflettere su tutto quello che non funziona, sulle anomalie tipiche del nostro paese, è anche nella chiarezza con cui li espone per renderli comprensibili a tutti, nell’accuratezza con cui vengono svolte le ricerche, nel ritmo narrativo con cui le inchieste sono costruite, mai a rischio noia. E non era impresa facile.

L’altra sera si parlava di tasse, uno dei nervi più sensibili e scoperti della nostra società (Raitre, lunedì, ore 21.10). Oltre ad aver ricostruito il meccanismo (purtroppo a volte crudele) di funzionamento di Equitalia e Agenzia delle Entrate, Paolo Mondani è volato a Dubai per intervistare Diego Maradona, tornando sul suo contenzioso con il fisco dopo lo show con tanto di gestaccio a «Che tempo che fa». Per una volta, si è capita meglio l’intera questione: Diego non ha rinunciato alle solite provocazioni («Befera è più famoso di Tevez e Maradona, ma per che squadra gioca?», «Il signore lo faccio a Dubai»), ma è emersa con più chiarezza la storia di com’è nata la sua presunta evasione fiscale. Il problema con «Report» è che, arrivati alla fine, ti lascia sempre addosso un senso di scoramento sul nostro Paese, una sensazione amara di non saper più di chi fidarti.

30 aprile 2014 | 09:32
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DA - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_30/report-gabanelli-mostrano-piu-radicate-magagne-italiche-01a9ca22-d026-11e3-b822-86aab2feac59.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Se nel carrello della spesa non c’è il senso del ridicolo
Inserito da: Admin - Maggio 06, 2014, 12:00:11 am
Se nel carrello della spesa non c’è il senso del ridicolo
Lo scivolone di Pina Picierno del Pd che cerca visibilità a ogni costo, anche sfiorando il ridicolo

Di Aldo Grasso

Peggio di P.P. (Piero Pelù) c’è solo P. P. (Pina Picierno). Invece di rispondere con ironia alle accuse del rocker fintamente maledetto, ha pensato di vergare un trattatello sociale con sfumature celentanesche: «Quando la politica va veloce succede che il rock diventa lento... Probabilmente Pelù era impegnato in una registrazione di The voice e non si è accorto di quanto stava avvenendo nel nostro Paese. Forse non sa che gli 80 euro che il governo Renzi ha deciso di redistribuire a chi ha sempre pagato non sono un’elemosina come l’ha definita lui, ma il primo passo verso l’equità sociale».

Giuseppina Picierno, detta Pina, è la capolista del Pd alle Europee per la circoscrizione Sud e non perde occasione per avere un po’ di visibilità, spesso a costo del ridicolo. Come la storia dello scontrino da 80 euro. La scorsa settimana, il 23 aprile, nel corso di un’intervista al canale tv di Fanpage.it, a proposito del bonus Irpef da 80 euro per lavoratori dipendenti e assimilati in busta paga a fine maggio, aveva detto: «Chi dice che è troppo poco non conosce evidentemente le condizioni reali della vita delle persone, perché 80 euro al mese significa poter andare a mangiare due volte fuori, significa poter fare la spesa per due settimane».

Con la storia della spesa per due settimane è andata a Ballarò, è stata intervistata da tutti i giornali, si è fatta conoscere. E pazienza se è stata sbeffeggiata in lungo e in largo. Lei conosce come si fa politica dalle sue parti. Diplomata al Liceo Pedagogico e Sociale di Vairano Scalo, si è laureata con 110 e lode in Scienze della Comunicazione all’Università di Salerno con una tesi di laurea sul linguaggio politico di Ciriaco De Mita. È entrata in Parlamento nel 2008 grazie a Walter Veltroni (per accomodarsi poi con Franceschini, con Bersani, con Renzi...) e, soprattutto, alla defenestrazione di De Mita come capolista del Pd in Campania. Da brava massaia, non butta mai via niente.

Una volta in radio, parlando di un possibile accordo con l’Udc di Casini, ha teorizzato la politica del «dolce forno». Forse voleva dire «doppio forno», ma con 80 euro bisogna accontentarsi.
Intanto, la Pina rivolta lo scontrino e le idee come un abito, per servirsene più volte.

4 maggio 2014 | 08:23
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_04/se-carrello-spesa-non-c-senso-ridicolo-4eb00122-d352-11e3-a38d-e8752493b296.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Serviva più cautela nel rifare Berselli
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2014, 06:51:48 pm
A fil di rete

Serviva più cautela nel rifare Berselli
di Aldo Grasso

Al programma «Quel gran pezzo dell’Italia. Era già tutto scritto ma ci eravamo distratti» manca un elemento fondamentale. Manca Edmondo Berselli. Capisco l’intenzione degli autori (Marzia Barbieri Berselli, Riccardo Bocca, Romano Frassa, Andrea Quartarone), capisco il loro profondo amore, ma capisco anche che Edmondo è insostituibile. Proprio per questo sarei andato più cauto. Senza di lui è impossibile rifare l’operetta morale sugli intelligenti d’Italia, si rischia la parodia.

«Venerati maestri», il libro su cui poggia la prima di sei puntate ispirate ai suoi scritti e alle sue memorabili intuizioni, era un testo venato da una tristezza malinconica (la tristezza di chi ha letto molto, di chi ha buon gusto, di chi è dotato di una prosa smagliante) che qui si stenta a ritrovare, resta solo il cabaret.
Il programma, condotto in studio da Riccardo Bocca, voce fuori campo di Gioele Dix e interventi in stile guru di Carlo Freccero, gioca sulla famosa trilogia di Alberto Arbasino, a proposito delle figurette e figuracce culturali in Italia: si inizia come «giovane promessa», ci si consolida nella condizione di «solito stronzo», ci si innalza infine alla stima del «venerato maestro» (Rai3, giovedì, ore 22.50).

Certo, il materiale di repertorio è sempre molto interessante (il giovane Benigni, il giovane Battiato, il giovane Moretti, il giovane Ferrara, il giovane Vasco Rossi, il giovane Baricco...), specie se accompagnato dai testi di Edmondo, ma appena si ritorna in studio si perde «il gesto eccentrico, il tocco marginale, lo scarto inatteso dell’ironia».

«Nei momenti di malumore, sempre più frequenti, io confesso che non mi piace nulla. Non mi piace un romanzo, non mi piace un film, la musica, la televisione, non mi piace praticamente niente di quanto vien prodotto in Italia». Questo l’incipit di «Venerati Maestri». Possiamo farlo nostro, chiedendo scusa per il malumore?

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10 maggio 2014 | 07:39

Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_10/serviva-piu-cautela-rifare-berselli-b9fa0792-d803-11e3-8ef6-8a4c34e6c0bb.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Se lo stipendio è una trincea La ribellione di Corradino
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2014, 11:28:41 am
Padiglione Italia

Se lo stipendio è una trincea
La ribellione di Corradino

di Aldo Grasso

Mineo di lotta e di governo. A passare per taccagno non ci sta. «Non sono un taccagno, è che io il pizzo non lo voglio pagare». Il nuovo caso nel Pd si chiama Corradino Mineo (14.000 euro al mese). Il senatore si è rifiutato di versare una quota al Pd siciliano, che si trova con i conti in rosso. «Da quando è iniziata la mia avventura, ho versato nelle casse del Pd 27.000 euro e ho sostenuto direttamente molte altre spese per le campagne elettorali». Come ha spiegato l’ex direttore di RaiNews24, «per accettare la candidatura ho lasciato la Rai e una retribuzione più alta».

Alla Rai, lo stipendio di Mineo, di lotta e di governo, era di oltre 300.000 euro (lordi) l’anno, uno dei più alti. Gli hanno ricordato che il contributo di solidarietà serviva «anche a pagare il personale che rischia il posto e non si trova nell’angosciante dilemma di poter scegliere fra un lavoro e una candidatura in Parlamento».

A passare per traditore non ci sta. In commissione al Senato, Corradino ha contribuito all’approvazione dell’ordine del giorno Calderoli (non partecipando alla votazione). Il ministro Maria Elena Boschi gli ha invano chiesto di rispettare «il senso di appartenenza a un gruppo». Mineo di lotta e di governo è stato sprezzante: «Non mi dimetto, ma devo in qualche modo esprimere il mio dissenso». Sta con Pippo Civati e alla riforma del Senato di Renzi preferisce la proposta Chiti.

A passare per lottizzato non ci sta. Corradino, ex manifesto, sostiene di non aver avuto alcun vantaggio dalla politica. A Fabrizio Rondolino che lo accusava di essere stato «aiutato» dal Pci-Pds-Ds («Non avresti mai fatto il direttore di RaiNews24. Sei stato nominato da un partito. Non avresti mai fatto nemmeno il redattore ordinario, se il partito non ti ci avesse messo»), ha dato appuntamento in un tribunale. Che caratterino!

Per sua stessa ammissione, però, la sua carriera si è svolta sotto il segno di Sandro Curzi, il mitico Telekabul, che da direttore lo ha assunto al Tg3 e da consigliere di amministrazione lo ha piazzato alla direzione di RaiNews24. Nel porgere le notizie, nel «purificare» le proprie passioni, Corradino non ha mai tradito il mentore.

Mineo di lotta e di governo: la sola cosa che non passa mai.

11 maggio 2014 | 09:23
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/14_maggio_11/se-stipendio-trincea-ribellione-corradino-6854eda6-d8d2-11e3-b8f7-5c1c0bbdabb2.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il dietrofront di grillo sulla tv Conversione di un leader
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2014, 10:43:19 am
Il dietrofront di grillo sulla tv
Conversione di un leader

Di Aldo Grasso

Beppe Grillo ospite del salotto di Bruno Vespa? Succede anche questo, nel nostro piccolo mondo alla rovescia. È come veder allenare la Juve da Clarence Seedorf o chiedere al ministro Franceschini di educare le masse con la tv.

Grillo si è deciso al gran passo, che sarà lunedì prossimo, perché ha scoperto che in campagna elettorale Internet non basta, serve anche la tv istituzionale. E chi meglio di Vespa, la «terza Camera dello Stato»? L’ultima volta che si sono visti è stata 31 anni fa. Era una serata elettorale, la Dc di De Mita crollata, Vespa faceva Vespa e Grillo il giullare, per alleggerire quel mare di chiacchiere.

La cosa che più stupisce è che fino a poco tempo fa la tv era per Grillo una ossessione: «Ho fatto la tv per 40 anni, fa male non per quello che viene detto ma per quello che si vede. Noi non andremo in tv, noi la occuperemo... La tv è morta da un pezzo, gli unici a non saperlo sono quelli che ci vanno». E ancora, i talk show li ha sempre descritti come luogo di massima perversione tra politica e tv perché «condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti». Per non parlare della fatwa lanciata nel 2012, quando ai candidati del Movimento impartì perentorio: «Chi partecipa ai talk show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo».

A cosa si deve questo cambio di strategia? Il M5S ha costruito la sua fortuna sulla Rete, sul web, sul blog. E in effetti molto della comunicazione del Movimento, ogni giorno, passa da lì. Ma fin dall’inizio questa è stata soprattutto la retorica tipica del «vaffa», perché la tv ha invece svolto un ruolo decisivo: la comunicazione di Grillo è passata anche attraverso i suoi palinsesti, con proclami, interviste, frammenti di comizi e di spettacoli, efficaci perché contrapposti ai politici «tradizionali» seduti a discutere in studio. Dopo le ultime Politiche, però, qualcosa è cambiato: sono emersi i primi personaggi tra le truppe parlamentari, qualcuno ha svelato un po’ di «presenza», e così gli spettatori dei talk hanno imparato a conoscere i vari Fico, Di Maio, Di Battista. Ora il cerchio si chiude con il grande ritorno del Capo, a ristabilire una leadership, a sottolineare una primogenitura, forse ad anticipare un nuovo cambiamento del suo ruolo, anche politico, nel Movimento.

La prova generale si è avuta a Bersaglio Mobile con Enrico Mentana: è andata bene. Abituati a sentire Grillo urlare nelle piazze, e cavalcare costantemente la linea sottile (e sempre più confusa) che sta tra il comizio e la gaglioffaggine, sarà interessante capire come questa carica comunicativa reagirà con il curiale salotto di Vespa.

Grillo presume molto di sé, si vive come uomo della Provvidenza (la sua sola presenza servirà a «salvare» la vituperata tv?); il fool turpiloquente si fa ora stratega comunicativo e politico.

Certo, gli arresti dell’Expo, gli scandali continui lo aiutano non poco a cavalcare il malcontento degli elettori, a uscire dalla sua immobilità prepolitica (attraversata da una vis letale), a fare nuovi adepti, a «purificare» gli scontri interni e le polemiche che si porta dietro. A meno che Vespa non lo anestetizzi e ci restituisca un Grillo d’antan, con differenti ruoli in commedia ma con lo stesso stile comunicativo.

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13 maggio 2014 | 07:37

Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_13/conversione-un-leader-9dc5dd16-da5c-11e3-87dc-12e8f7025c68.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il leader dei cinque stelle a porta a porta
Inserito da: Admin - Maggio 22, 2014, 05:32:56 pm
Il leader dei cinque stelle a porta a porta
Davanti a Vespa, Grillo abbassa i toni
Mai avremmo creduto di vederlo in quel salotto, ma la politica è l’arte dell’impossibile...

Di ALDO GRASSO

«La mia è una mossa politica, sono qui per combattere un pregiudizio...». Beppe Grillo si dice commosso di entrare nello studio di Porta a Porta ma svela subito che il pubblico è «la coreografia del Paese, pagato per non dire nulla». Perché Grillo è andato da Vespa? Perché ha scherzato sulle accuse rivolte in passato al conduttore? Per almeno tre motivi. Il primo è il più ovvio, teorizzato dallo stesso leader pentastellato: «Vado a Porta a Porta per rivolgermi a quella gente di una certa età che ha un pregiudizio su di me e per dirgli che non sono né un violento né un esagitato». Ha ripetuto che rappresenta una «rabbia buona». Il secondo motivo è per ribadire la sua leadership, come Casaleggio ha fatto andando ospite di Lucia Annunziata. Quando il gioco si fa duro, entra in azione il Capo: «La nostra sarà una marcia trionfale». Il terzo motivo, il meno esplicito. Grillo cerca uno sfondamento a destra, cerca di prendere voti anche dai moderati che non hanno più fiducia in Berlusconi ma sono interessati a certi temi su cui l’ex comico ha molto insistito. Come l’Expo: «L’Expo deve chiudere, certo c’è la mafia dappertutto in quel posto». Dopo gli arresti, la tangentopoli da larghe intese può veicolare verso il M5S i voti di strati di società che non ne possono più, ma che qualche settimana fa non l’avrebbero preso in considerazione.

Entomologia dei media: la vespizzazione di Grillo o la grillizzazione di Vespa? Mai e poi mai avremmo creduto di vedere Grillo nel salotto di Vespa ma la politica, com’è noto, è l’arte dell’impossibile. Grillo è costretto a fare un mini comizio, un po’ per volontà sua, un po’ per le domande incalzanti del conduttore. Se interrotto, è meno efficace. Del resto, il pubblico di Vespa, il «fossile», è tradizionalmente anziano, non è abituato ai toni esasperati, ad arringhe turpiloquenti. Si può dire che la classe politica è «una società a delinquere di stampo legale» che verrà cacciata, ma non in modo violento. L’abilità del comico, con la sua «pancia d’attore», è quella di cavalcare tutti i mal di pancia del Paese (per questo ha molto seguito), senza però mai indicare una soluzione che non sia l’avventura. Succeda quel che succeda, «non mi interessa».

20 maggio 2014 | 07:08
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_20/davanti-vespa-grillo-abbassa-toni-0c167fea-dfdb-11e3-a33f-94f3ff75232d.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Jay Leno da Fazio: grande lezione di tv
Inserito da: Admin - Maggio 22, 2014, 05:37:31 pm
A fil di rete
Jay Leno da Fazio: grande lezione di tv

di Aldo Grasso

Chissà cosa avrà pensato Jay Leno, uno dei più grandi conduttori della tv americana ospite domenica di Fabio Fazio a «Che tempo che fa», della tv italiana. La speranza è che i consigli che Fazio gli ha chiesto, parlando molto di sé lungo tutta l’intervista, abbiano lasciato il segno. Un’intervista che pareva la negazione del modo di fare tv di Leno, resa ancor più surreale dalla traduzione simultanea. Il 6 febbraio scorso Jay Leno ha lasciato dopo ventidue anni di messa in onda su NBC la conduzione del «Tonight Show», un pezzo della storia della tv ma anche di storia della cultura americana. Dal suo divano sono passati tutti quelli che valeva la pena di intervistare: politici, attori, musicisti, personaggi che stavano attraversando il loro quarto d’ora di celebrità.

Curiosamente, Leno si ritira nello stesso anno in cui anche David Letterman ha annunciato l’addio al suo show: due maestri che si sono dimostrati grandi anche nel cogliere il momento di fare un passo indietro senza aspettare che la brillantezza dei loro programmi si appannasse, lasciando spazio a una nuova interessante generazione di conduttori, da Stephen Colbert a Jimmy Fallon, che da Leno ha raccolto il testimone su NBC.

Lo stile di Leno è stato molto diverso da quello di Letterman, anche perché i loro show sono stati molto influenzati dall’umore della città da cui vanno in onda, Letterman da New York, Leno da Los Angeles: forse meno cinico, ma incredibilmente comunicativo e comico. Per dire, è uno che prima di ogni puntata s’intratteneva a lungo fuori onda con il pubblico in studio, improvvisando sketch a volte anche più brillanti di quelli nel programma. E proprio al pubblico ha dedicato con umiltà e commozione il discorso di chiusura del suo «Tonight Show». Una lezione da non dimenticare.

20 maggio 2014 | 08:49
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_20/jay-leno-fazio-grande-lezione-tv-75bd4cfe-dfdf-11e3-a33f-94f3ff75232d.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il catalogo elettorale dei luoghi comuni
Inserito da: Admin - Maggio 29, 2014, 10:56:58 pm
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Il catalogo elettorale dei luoghi comuni
di Aldo Grasso

Domenica sera, nell’attesa dei risultati elettorali, pensavo al solito teatrino di luoghi comuni che di lì a poco sarebbe iniziato. Che gli exit poll sono mendaci, che bisogna attendere, che in passato ci sono state brutte sorprese... È andata più o meno così, ho seguito Enrico Mentana, ma fortunatamente mi sono imbattuto nel blog «Cattiva maestra» di Emanuele Menietti (il Post) dove venivano elencate tutte le frasi fatte che si sentono dire in video prima dei risultati elettorali.

Si andava dai primi intervistati («Aspettiamo i dati reali», «È troppo presto per fare previsioni, sappiamo come è andata altre volte»...) agli inviati nelle sedi di partito («Qui c’è un clima di grande attesa»?, «Per ora ci sono poche persone, ma la sala si sta riempiendo»...?), senza tralasciare gli inviati del bicchiere mezzo pieno («Qui i dati arrivano molto lentamente», «Il dato delle proiezioni è diverso da quello reale parziale...») e con un particolare riguardo alle parole più ricorrenti («forchetta», «forbice», «dato reale»...).

L’elenco di Menietti è divertente e, fatalmente, lo si potrebbe estendere ad altri programmi. Di più: lo si potrebbe applicare anche ai varietà, a certe fiction (Christian Metz la chiamava «la grande sintagmatica»). Per una ragione molto semplice: la comunicazione mainstream può funzionare solo per stereotipi, rafforzati da quel motore primo che è la ripetizione.

Ogni catalogo di idées reçues si sviluppa tra due poli: il linguaggio e il costume. E poiché l’uno è il rispecchiamento dell’altro, l’ironia linguistica diventa parodia dei comportamenti e gli indugi sulle mode culturali si trasformano in scorci sulle irresponsabilità verbali. Come sostiene Nicolás Gómez Dávila, «quando un luogo comune ci colpisce crediamo di avere un’idea nostra». Ecco spiegato il segreto dello strepitoso successo dei luoghi comuni.

27 maggio 2014 | 08:45
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_27/catalogo-elettorale-luoghi-comuni-3f3abfa8-e55d-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il volto meno noto di papa Francesco
Inserito da: Admin - Giugno 01, 2014, 06:07:55 pm
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Il volto meno noto di papa Francesco
Nella puntata de «La Grande Storia» dedicata a papa Bergoglio, si raccontano i suoi anni argentini e la sua capacità di costruire un legame di prossimità con i fedeli
di Aldo Grasso

Poco dopo il recente viaggio apostolico di Papa Francesco in Terra Santa, «La Grande Storia» ha dedicato alla vita di Bergoglio una puntata curata da Maite Carpio (Rai3, giovedì, ore 21.05). La parte più interessante di «Papa Francesco - La storia di Jorge Bergoglio» è stata quella che ha raccontato le vicende che ancora sfuggono alla sovraesposizione mediatica di quest’ultimo periodo, cioè i suoi anni argentini, i passi mossi nella Compagnia di Gesù, le sue posizioni sulla «Teologia della Liberazione», il periodo dell’«esilio» a Cordoba, la sua pastorale sudamericana sempre al servizio dei più umili. Le immagini d’archivio sono state accompagnate da interviste a studiosi e persone che hanno attraversato con lui quel periodo. Da molte sequenze, riprese durante le sue omelie a Buenos Aires e Cordoba, è emersa con grande evidenza tutta la capacità comunicativa del Pontefice, la sua abilità nel costruire, proprio grazie alla comunicazione, un rapporto con i suoi fedeli basato sulla cifra della simpatia, intesa in senso etimologico come un «comune sentire».


Una delle grandi rivoluzioni inaugurate da Francesco è stata proprio la costruzione di un legame di prossimità con i fedeli, che Andrea Riccardi ha descritto così: «La sua alleanza con il popolo è la sua forza». Dalle immagini della sua vita da sacerdote a quelle dei suoi primi mesi da Pontefice, a Roma o durante il viaggio in Brasile, abbiamo capito che poco sembra essere cambiato nello stile espressivo di Bergoglio. Come ha spiegato nel documentario Padre Antonio Spadaro, il direttore di «Civiltà Cattolica», ricordando la notte della sua elezione al seggio di Pietro, Papa Francesco «crea eventi comunicativi»: trasforma cioè i suoi uditori da semplici ascoltatori a interlocutori attivi del messaggio che vuole trasmettere.

31 maggio 2014 | 10:40
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_31/volto-meno-noto-papa-francesco-3d61b6a0-e887-11e3-8609-4be902cb54ea.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Sventure esibite: il format Marcuzzi
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2014, 12:10:51 pm
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Sventure esibite: il format Marcuzzi
Extreme Makeover ha funzionato bene negli Usa, ma la versione italiana trasmette il senso di un «emotainment» deprimente

di Aldo Grasso

Dopo una prima stagione non esaltante, su Canale 5 è tornato «Extreme Makeover Home Edition», la versione italiana di un format internazionale che in America ha avuto molto successo ed è stato trasmesso per quasi dieci anni (lunedì, ore 21.20).

L’idea del programma è che una squadra composta da un architetto, un interior designer e addirittura da un garden designer intervenga per ristrutturare completamente, in una sola settimana di tempo, la casa di una famiglia bisognosa, anzi «meritevole», che si trova per svariate ragioni a vivere in una situazione di forte disagio in uno spazio non adatto alle proprie esigenze.

Il tutto capitanato da Alessia Marcuzzi, che ha il compito di raccontare la storia della famiglia, di raccogliere le confessioni e le lacrime a profusione dei suoi componenti, di accompagnarli nel momento finale di consegna della casa da sogno che la produzione ha realizzato.

Si passa da un appartamentino sacrificato a una villa su più piani comprensiva di mansarda con loft, da un bagno senza finestra alla sauna integrata. La tv realizza sogni ma è inevitabile chiedersi cosa succederà allo spegnersi delle telecamere. «Extreme Makeover» ha funzionato tanto bene negli Usa perché ha intercettato e rappresentato i miti della palingenesi, della possibilità di ripartire da zero e ricominciare, che sono molto connaturati alla cultura americana. Ci si affida alla tv per mutare il proprio destino e si accetta in cambio di offrire in sacrificio le proprie più intime sofferenze. La versione italiana ci costringe a fare i conti con sventure a noi più prossime e, con tutto il rispetto per i partecipanti, trasmette il senso di un emotainment deprimente: per arrivare al lieto fine è necessario passare da una lista di sventure che la tv in pieno spirito paternalistico riscatta non prima di averle esibite.

4 giugno 2014 | 08:27
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_04/sventure-esibite-format-marcuzzi-8b1a54ce-eba7-11e3-85b9-deaea8396e18.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Rai e Arena di Verona unite nel segno del kitsch
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2014, 12:20:14 pm
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Rai e Arena di Verona unite nel segno del kitsch

Di Aldo Grasso

Il chiaro segnale della smobilitazione estiva dei palinsesti Rai è apparso domenica sera su Raiuno, in diretta e in Eurovisione da un’Arena di Verona ricolma per l’occasione di un pubblico festante, munito di fazzolettini bianchi molto vintage da sventolare (a comando) nei momenti più emozionanti dello show (ore 21.20). «Lo spettacolo sta per iniziare», condotto da Antonella Clerici, è stato, a suo modo, un curioso esperimento pubblicitario: l’obiettivo era mettere in piedi una sorta di promozione incrociata tra i programmi Rai e gli spettacoli dell’Arena. Il pretesto, quello di costruire una piccola antologia delle arie e delle romanze più popolari della storia della lirica e anche del musical (tutto un calderone di cultura pop), interpretate dagli artisti e dall’orchestra in scena e precedute da un’introduzione, uno spiegone di Antonella fasciata in un abito blu di paillettes. Altro che sciopero!

Dalla Carmen a Jesus Christ Super Star, da Madama Butterfly al Gobbo di Notre Dame con la comparsata dell’immancabile Riccardo Cocciante: ogni performance era occasione per promuovere la stagione dell’Arena, uno «spottone» allo spettacolo dell’artista di turno, un promo a un programma in partenza a breve. All’iniziativa ha partecipato persino Dario Fo, in promozione del suo prossimo spettacolo su Raiuno, dedicato a Francesco, che non è solo il santo di Assisi ma anche papa Bergoglio, oggetto di un lungo monologo in cui il premio Nobel «ateo, marxista, leninista e seguace di Darwin» ha sentito il bisogno di difenderlo da presunti attacchi e innominati detrattori. Cosa non si fa per la gloria! La serata è scorsa via così, tra strizzate d’occhio al pubblico di Raiuno (c’era anche Massimo Ranieri) e al consolidamento di una collaborazione tra il kitsch della Rai e il kitsch dell’Arena. Speriamo almeno su basi vantaggiose per entrambi.

3 giugno 2014 | 07:50
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_03/rai-arena-verona-unite-segno-kitsch-701c620e-eadd-11e3-9008-a2f40d753542.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Le teorie di Dario Fo e l’elogio del Papa
Inserito da: Admin - Giugno 24, 2014, 05:37:11 pm
A fil di rete
Le teorie di Dario Fo e l’elogio del Papa
Un tentativo di riscrivere la storia del cristianesimo secondo i canoni del Premio Nobel

Di ALDO GRASSO

Beppe Grillo da Bruno Vespa, Dario Fo da Gianka Leone; poi dice che uno non muore democristiano. «Oggi, un Papa appena eletto ha voluto darsi il nome di Francesco, lo stesso del santo di Assisi. Nessuno prima di Bergoglio ha avuto la forza e il coraggio di assumere quel nome, perché San Francesco con quel suo inconsueto mondo di concepire il cristianesimo, non si era certo procurato una vita facile...». Inizia così la nuova fabulazione di Fo, un tentativo di riscrivere la storia del cristianesimo secondo i suoi canoni (Rai1, domenica, ore 21.25).

Prendendo spunto «da leggende popolari, testi canonici del Trecento e documenti riscoperti negli ultimi tre secoli», Fo attiva un doppio processo di identificazione. In quanto giullare si sente molto vicino al santo d’Assisi, «Lu santo jullàre Franzesco»: sottolineando il carisma e l’abilità istrionica di Francesco, Fo parla di se stesso (non è ancora santo ma è pur sempre un premio Nobel).

Ma l’operazione più ardita e arbitraria è un’altra: Fo vede in papa Bergoglio il nuovo «poverello d’Assisi». E giù allusioni, allegorie, attacchi diretti (Rai1 che si trasforma in un tribunale contro la Curia romana, cose d’altro mondo!). Avanti con la teoria del complotto (papa Luciani è stato fatto fuori perché voleva rivelare il marcio del Vaticano). Ecco finalmente la vera vita di Francesco, il sovversivo di Cristo! Fo è bravo a inventarsi una lingua (un italiano medievale in stile Brancaleone), bravissimo quando fa il lupo, ma l’impressione è che questo tipo di teatro funzioni poco in tv (troppo facile spacciarla poi per cultura televisiva!). Tant’è vero che a Fo è stato suggerito di fare un’introduzione pop con Mika per spiegare al pubblico la chiave di lettura: Francesco era un anarchico. Come Fo, aggiunge Mika. Il programma è prodotto da Gianmarco Mazzi e Jacopo Fo, politicamente agli antipodi. Miracoli di San Francesco o della Siae?

24 giugno 2014 | 08:45
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_24/teorie-dario-fo-l-elogio-papa-84224738-fb5d-11e3-9def-b77a0fc0e6da.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il pm si scusa, 30 anni dopo (Poteva soffrire in silenzio)
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2014, 06:59:21 pm
Padiglione Italia
Il pm si scusa, 30 anni dopo (Poteva soffrire in silenzio)

di Aldo Grasso


Poteva starsene zitto. Poteva portare ancora il peso del suo silenzio. Poteva vedersela con la sua coscienza, che non fa mai dichiarazioni pubbliche.
Giorni fa, Diego Marmo ha chiesto scusa alla famiglia di Enzo Tortora (scuse respinte) per le vicende giudiziarie che annientarono la carriera televisiva e la vita del famoso presentatore: «Ho richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent’anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede».

Tormento? Marmo è tornato all’attenzione della cronaca le scorse settimane, quando è stato nominato assessore alla legalità del Comune di Pompei. A molti, la nomina è sembrata un insulto alla memoria di Tortora e così sono scoppiate le polemiche. Trent’anni fa Diego Marmo era il pubblico ministero che formulò pesantissime accuse contro Tortora, poi assolto con formula piena perché il presentatore di Portobello non faceva parte della camorra. Ma di quelle accuse Tortora morì e nessun magistrato di quel processo aveva finora pubblicamente manifestato rincrescimento.

Una pagina nera per la giustizia italiana e non solo: il Tg2 d’allora si distinse subito per l’accanimento con cui seguì la vicenda dell’«insospettabile di lusso», la stampa preferì sposare, almeno all’inizio, la tesi colpevolista (con la sola eccezione di Enzo Biagi), molti mascherarono il suo arresto con una sorta di risibile rigenerazione da una tv che non piaceva.

Marmo, che durante la requisitoria, nel 1985, descrisse il giornalista come «un cinico mercante di morte», non era solo. I magistrati inquirenti erano Lucio Di Pietro (promosso poi procuratore generale a Salerno e alla Procura nazionale antimafia) e Felice Di Persia (giunto poi al Csm). Tortora fu rinviato a giudizio da Giorgio Fontana, allora giudice istruttore, e messo alla gogna «nel nome del popolo italiano».

Le nostre ingiustizie si vendicano sempre. Non ci rendiamo conto, spesso, che nel porre rimedio alle cose finiamo col cercare un sollievo che le aggrava ancora di più.

29 giugno 2014 | 08:44
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_29/pm-si-scusa-30-anni-poteva-soffrire-silenzio-a7b8fb8c-ff55-11e3-ae4d-7c1f18234268.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Tozzi è perfetto come «Fuori luogo»
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2014, 10:12:53 am
A fil di rete
Tozzi è perfetto come «Fuori luogo»

Di Aldo Grasso

La Rai caccia Licia Colò e si tiene l’irascibile Mario Tozzi! Misteri estivi. Misteri lessicali. La nuova trasmissione di Rai1 si chiama «Fuori luogo» ed è facile intuire chi sia l’unico fuori luogo (martedì, ore 23.15). Il viaggio inizia simbolicamente da Rieti, che è considerata il centro d’Italia, l’ombelicus Italiae, ma si poteva anche cominciare da Campobasso o da Como, che tanto era lo stesso. Anzi no, il viaggio prende le mosse da L’Aquila, dove, cinque anni dopo il terremoto del 6 aprile, la ricostruzione stenta ancora a prendere forma. Ci sarebbe da chiarire il perché di tanto ritardo, ma Tozzi vola alto, il suo scopo è quello di «spiegare come i cambiamenti del pianeta hanno determinato anche cambiamenti nel nostro modo di vivere». Per volare alto la Rai gli ha messo a disposizione un drone.

Il programma funziona così: per trovare una spiegazione scientifica a quel tragico terremoto bisogna salire fino a Campo Imperatore. Ma Campo Imperatore è famoso perché nel 1943 fu scelto come luogo sicuro e inaccessibile per rinchiudervi Benito Mussolini. Immagini di repertorio (viste e riviste) dell’operazione «Quercia»: il Duce, rinchiuso in un albero, viene liberato dai nazisti e portato via su un fragile apparecchio. Seguono spiegazioni sulla formazione degli Appennini e su come nascono i terremoti. Nulla su come nasce il fascismo.

Altre considerazioni sui giudici che hanno condannato i tecnici che non sono stati in grado di prevedere il terremoto (sei anni di reclusione per tutti gli imputati, scienziati di chiara fama, colpevoli di aver rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa sismica!), sulle «catene malavitose» che operano nella ricostruzione, sul mondo intero. Il programma è firmato da Cristoforo Gorno, Giovanna Ciorciolini, Riccardo Mazzon e dallo stesso Tozzi che ama dilettarsi a ridisegnare il paesaggio su un quadro trasparente.

31 luglio 2014 | 09:26
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_luglio_31/tozzi-perfetto-come-fuori-luogo-b01e341a-1871-11e4-a9c7-0cafd9bb784c.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Aurelio De Laurentiis battuto nel calcio, in cerca di novità nel...
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2014, 11:50:35 am
Padiglione Italia
Senza coppa e cinepanettoni: l’estate triste del Signor Napoli
Aurelio De Laurentiis battuto nel calcio, in cerca di novità nel cinema

di Aldo Grasso

L’estate amara di Aurelio De Laurentiis. Ogni volta che Fiorello lo imitava alla radio, a De Laurentiis («un cognome tronco, con tante “i”») dovevano girare le scatole, anche se il mondo della comunicazione non lo attrae: «Non fanno altro che dire cazzate». Fiorello lo descriveva come l’imperatore di Capri: uno che atterra in piazzetta con l’elicottero, con le pale taglia gli ombrelloni perché cafoni e risponde solo con insulti, anche se quelli della radio sono niente in confronto agli improperi della vita vera. La gag era godibilissima, e più amara non poteva essere.
La tremenda scoppola che il Napoli ha preso in Champions League dall’Athletic Bilbao ha lasciato il segno: per la società campana la ferita è anche economica, qualcosa come 30-35 milioni di euro. Soldi che incasseranno le odiate Roma e Juve. I rapporti con l’allenatore Rafa Benitez sono ai minimi storici: voleva un allenatore che vincesse in Europa e adesso si ritrova con una squadra senz’anima e senza gioco. L’attaccante Higuain, il pezzo più pregiato, vuol cambiare aria.

In passato, alle critiche, un Aurelio sempre abbronzato e impomatato reagiva con veemenza: «Ma che caz... avete vinto a Napoli? Perché io poi me ne posso pure anda’ perché poi uno si rompe i cog... e se ne va. Se io devo stare qui bisogna che tutti quanti armonizziamo... Stiamo con i piedi per terra, perché qui a Napoli non funziona un ca... A Napoli c’è solo il calcio. E allora ringraziatemi».
Tempo fa, Zamparini del Palermo (Aurelio considera i colleghi presidenti delle teste di...) gli aveva fatto un ritrattino niente male: «De Laurentiis deve fare i film, di calcio non capisce nulla, recita». Ma anche nel cinema le cose non vanno per il verso giusto. I suoi film di Natale con Christian De Sica, i «mitici» cinepanettoni, non ci saranno più. Dovrà accontentarsi di Lillo & Greg, da quando De Sica gli ha detto addio: «Avrei potuto non firmare tante esclusive con Aurelio. Non voglio dare la colpa a lui, la colpa ce l’ho io, anche di aver creduto alle sue promesse».
Armonizziamo. La sua massima preferita è la celebre battuta di Totò: «Ccà nisciuno è fesso». Nelle estati amare, però, non sempre funziona.

31 agosto 2014 | 09:42
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_agosto_31/senza-coppa-cinepanettoni-l-estate-triste-signor-napoli-df087c00-30d5-11e4-9629-425a3e33b602.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Salvini, la macumba scozzese di un vincente degli insuccessi
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2014, 06:09:08 pm
Salvini, la macumba scozzese di un vincente degli insuccessi
Il primo ministro Alex Salmond è convinto che la causa principale della sconfitta sia dovuta alla visita in Scozia del lumbard Matteo Salvini

Di Aldo Grasso

Salvini a Edimburgo nel giorno del referendum per l’indipendenza, in una foto postata sul suo profilo Facebook (Ansa) Salvini a Edimburgo nel giorno del referendum per l’indipendenza, in una foto postata sul suo profilo Facebook (Ansa)

Il primo ministro Alex Salmond era di pessimo umore. In Scozia il referendum sull’indipendenza è stato vinto dai No: il Paese continuerà quindi a fare parte del Regno Unito. Non è solo questo il motivo delle sue dimissioni. Si è convinto che la causa principale della sconfitta sia dovuta alla visita in Scozia di Matteo Salvini, uno che non ne ha mai azzeccata una.

La visita dei lumbard
Com’è noto, una delegazione di lumbard guidata da Salvini è andata in loco a tifare per la vittoria degli yes . Il consigliere regionale lombardo Angelo Ciocca ha fatto un po’ di confusione: prima ha indirizzato i suoi verso Amburgo, poi verso Strasburgo e solo al terzo tentativo ha capito che si trattava di Edimburgo. Quando il leader dello Scottish National Party ha visto Salvini indossare una maglietta che univa la croce di San Giorgio con la bandiera scozzese, ha fatto gli scongiuri. Non sono serviti.
Salmond sapeva che Salvini è un perdente di successo o, se volete, un vincente di insuccessi. Sapeva che Salvini è un po’ un parolaio.

La moneta unica
Adesso sostiene che l’euro è una moneta criminale, che continuare a dire che non si può uscire dall’euro è suicida, ma solo fino a poco tempo fa (2012) le sue idee erano altre: «La Lombardia e il Nord l’euro se lo possono permettere. Io a Milano lo voglio, perché qui siamo in Europa». Salmond era al corrente che la Lega non è nemmeno riuscita a formare, con Marine Le Pen, un gruppo euroscettico al Parlamento Europeo. Che la Padania, a differenza della Scozia, è solo un paese immaginario e che il federalismo, tanto sbandierato, finora è rimasto nel cassetto. Gli era noto persino che Salvini, che tanto tuona contro la casta e parentopoli, ha fatto assumere la sua compagna alla Regione Lombardia e quando era deputato a Bruxelles i suoi assistenti erano Franco e Riccardo Bossi, fratello e primogenito del Senatùr. E poi c’è quel viaggio imbarazzante in Corea del Nord in compagnia di Antonio Razzi: «In Corea tutti i ragazzini fanno sport». Wow! Oggi è San Matteo e in un momento in cui Matteo è un nome vincente in Italia (Renzi , Don Matteo, Trentin, Marzotto, Manassero, persino Orfini), l’unico a muoversi come un Trota è quel vincente di insuccessi che ha fatto la macumba anche alla Scozia.

21 settembre 2014 | 08:39
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_settembre_21/salvini-macumba-scozzese-un-vincente-insuccessi-5d82258a-4158-11e4-a55b-96aa9d987f34.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La sinistra radical chic e i dubbi sulla doppiezza ideologica
Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2014, 11:11:47 pm
A fil di rete
La sinistra radical chic e i dubbi sulla doppiezza ideologica

Di Aldo Grasso

RaiNews offre alcune rubriche interessanti, come «Il sabbatico» di Alberto Melloni (ce ne occuperemo presto) o «Central Park West» di Antonio Monda. Seduto nel salotto di casa sua (che s’affaccia su Central Park), Monda abbozza ritratti e domande senza frontiere. Per esempio, la sinistra si è resa conto, per dirla brutalmente, che la vecchia ipocrisia del cuore a sinistra e portafogli a destra non paga più? Monda non è così brutale, anzi. Lui smussa, leviga, alliscia con grande maestria, però di quello parla.

Per volare alto, parte dal famoso e lunghissimo articolo di Tom Wolfe, «Radical Chic»: That Party at Lenny’s, apparso nel giugno del 1970 sul New York Magazine. Lo scrittore prendeva in giro il compositore Leonard Bernstein che nel suo sontuoso attico su Park Avenue (tutto torna!) aveva organizzato un ricevimento, con raccolta di fondi, per dare aiuto legale alle Pantere Nere. Per la prima volta la Buona Coscienza Progressista veniva ridicolizzata.

La questione che Monda pone è questa. Gauche caviar, Limousine liberal, Smoked salmon socialist, Partito Fandango di lotta e di governo o qualunque altra espressione che designi questo kitsch ideologico e ossimorico, finora sono stati sarcasmi provenienti da destra (nel 1960 Indro Montanelli aveva scritto la pièce Viva la dinamite! ). Non è che ora, anche da sinistra, si comincia a stigmatizzare questo conformismo?

Monda sostiene che qualcosa è cambiato e che scrittori come Jonathan Franzen in «Libertà» o Chimamanda Ngozi Adichie in «Americanah» (una donna nigeriana viene a contatto con l’ipocrisia dei radical chic) mettono sotto accusa la doppiezza dell’atteggiamento. Nuova scappatoia della sinistra o passo avanti?
16 ottobre 2014 | 09:06
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_ottobre_16/sinistra-radical-chic-dubbi-doppiezza-ideologica-1f23c2fe-5502-11e4-af0d-1d33fddfa710.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La comoda incoerenza del «giudice» Fedez
Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2014, 11:24:38 pm
PADIGLIONE italia
La comoda incoerenza del «giudice» Fedez
Il rapper che ha composto l’inno per i pentastellati radunati al Circo Massimo va in tv e critica chi la guarda. Basta esserci per avere (la) ragione

Di Aldo Grasso

S i parla molto di Fedez (Federico Leonardo Lucia), il rapper giudice di X Factor. Nel comporre l’inno per i pentastellati radunati al Circo Massimo ha puntato al bersaglio grosso: «Caro Napolitano te lo dico con il cuore, o vai a testimoniare oppure passi il testimone». Un performer dalle rime facili: frasi fatte, metrica un tanto al chilo. Fa niente, dice Fedez: «L’artista nasce e muore incoerente, fatevene una ragione. I rapper sono come i politici, si fanno corrompere e cambiano idea ogni cinque minuti... L’ underground non ti odia quando ti vendi, ma quando ti iniziano a comprare».

Due deputati del Pd sono caduti nella trappola e hanno goffamente tirato in ballo Sky, l’editore del talent. Chiedere a un rapper di essere logico è come voler convertire Voltaire all’irrazionalismo. Anzi, l’incoerenza è la fede di Fedez. È diventato famoso con la canzone Alfonso Signorini (eroe nazionale): almeno sulla carta, una lettura sarcastica. Ma del videoclip è protagonista lo stesso Signorini, in carne, ossa e calzamaglia rosa, ed ecco che la corrosione si fa connivenza (più copertina su Chi).

Va in tv, ma critica chi la guarda. Nudo e tatuato, troneggia sul Rolling Stone italiano. L’incoerenza è la sua virtù. Puntare il dito sul marcio, ma starci del tutto dentro: comodi, distaccati, divertiti. Non è il solo: il populismo garantisce ai contenuti di poter cambiare mille volte verso e direzione. Ma intanto la scena è occupata. Basta esserci, per avere (la) ragione.

12 ottobre 2014 | 09:45
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_ottobre_12/comoda-incoerenza-giudice-fedez-f50dd226-51db-11e4-b208-19bd12be98c1.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Il tesoro del nostro Paese Se Sky Arte fa servizio pubblico
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2014, 11:36:50 am
A fil di rete
Il tesoro del nostro Paese
Se Sky Arte fa servizio pubblico

Di Aldo Grasso

Sky Arte ha compiuto due anni, ma 24 mesi sono stati sufficienti al canale per imporre la propria identità, per vincere la scommessa dell’investimento culturale, per ribadire, se ce ne fosse ancora bisogno, che cultura non è un contenuto ma un carattere delle cose che ci preserva dal dover distinguere l’alto dal basso o cose del genere.

Sky Arte, diretto da Roberto Pisoni, è riuscito a fare un’operazione importante. Non basta proporre l’arte nelle sue declinazioni: pittura, scultura, architettura, musica, letteratura, teatro, fotografia, design e tutte le forme di espressione artistica. Questo è solo il punto di partenza; il canale è stato favorito (rispetto, per esempio, a Rai5) dal poter contare su grandi produzioni internazionali, a cominciare dal gemello inglese di Sky Arts. Avere dei modelli internazionali con cui confrontarsi è importante perché permette anche alle produzioni italiane di trovare linguaggi per dare dignità televisiva a una materia che rischia sempre di accontentarsi di essere «contenuto» nobile.

Pochi giorni fa Sky Arte ha trasmesso in prima visione il documentario «Domus Aurea - Il sogno di Nerone» (prodotto con Ballandi/Arts): abbiamo così potuto vedere gli ambienti più spettacolari della reggia simbolo dell’epoca del primo Impero romano. E anche questa è una scommessa importante, forse uno dei caposaldi - è paradossale dirlo - del Servizio pubblico: valorizzare il patrimonio artistico nazionale. Non ho numeri sottomano per dare un quadro esatto, ma per quel che ho visto, Sky Arte ha dato molto spazio a quell’immenso e prezioso tesoro che malamente custodiamo nel nostro Paese.

Dal punto di vista puramente televisivo c’è un altro punto da sottolineare. Sky Arte è diventato un brand, mentre altre reti che pur trattano argomenti culturali non ci sono ancora riusciti. Brand significa riconoscibilità e condivisione: una firma che funziona da garanzia e promessa.

8 novembre 2014 | 09:02
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_novembre_08/tesoro-nostro-paese-se-sky-arte-fa-servizio-pubblico-da8dd77c-670f-11e4-afa4-2e9916723e38.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Le porte sempre girevoli di Cofferati
Inserito da: Admin - Novembre 11, 2014, 05:50:45 pm
Le porte sempre girevoli di Cofferati
Il ritorno dell’ex sindacalista, in corsa per la carica di governatore in Liguria

Di Aldo Grasso

Mettiamola così. Che la politica non chiude le porte a nessuno. Che la «politica è servizio». Che «in Liguria c’è una situazione d’emergenza». Che è bello ricordare un ex sindacalista della Cgil come persona moderata, amante di Tex Willer, del melodramma e delle canzoni di Mogol-Battisti. Ok, ma la pratica Cofferati non era già stata inventariata?

Pare di no. Sergio Cofferati correrà alla carica di governatore. O meglio, prima dovrà superare le primarie, visto che la sua sfidante, Raffaella Paita, non ha alcuna intenzione di farsi da parte.

L’ultima cosa per cui Cofferati viene ricordato nel bene (bene relativo, s’intende), è quando radunò tre milioni di persone al Circo Massimo, marzo 2002: gridavano contro Berlusconi: «Tu sì, tu no/articolo 18 non ci sto». Poi solo brutte figure. A Bologna fu catapultato come sindaco e da marziano si fece la fama di sceriffo; una festa per i bolognesi quando alzò i tacchi. Nell’abbandonare il campo, «il Cinese» versò melassa sulla decisione: si era invaghito di una giovane genovese, voleva vivere sotto la Lanterna per curare l’innamoramento e l’amore. Il tempo di comprare i mobili Ikea per la casa e già Cofferati si era candidato al Parlamento europeo: poche grane, ottimo stipendio di fine carriera. Ora torna, «derogando al principio che un impegno si porta a termine». Come dicono a Genova, no ghé bella reuza ch’a no divente ûn grattacû . Cofferati, rosa sfiorita, cinorrodo?
9 novembre 2014 | 09:28
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_09/porte-sempre-girevoli-cofferati-f1a5a0dc-67e8-11e4-b22b-88ac3d1bfff6.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Se Baldini riappare in tv per fare il giudice a «Domenica In»
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2014, 05:36:45 pm
Se Baldini riappare in tv per fare il giudice a «Domenica In»
Immaginavo, sbagliando, che volesse meditare un po’ di più sulla strada da intraprendere, che avesse bisogno di fare un po’ di silenzio attorno a sé.

Di Aldo Grasso

Dopo aver letto la lunga intervista che Marco Baldini ha rilasciato al Corriere della Sera , mai e poi mai mi sarei aspettato di vederlo fare il giudice a «Domenica In», il contenitore condotto da Pino Insegno e Paola Perego.

Avevo capito, apprezzandone il coraggio, che avesse bisogno non solo di soldi per pagare i debiti ma anche di un momento di riflessione. Com’è noto, Baldini ha lasciato il programma che conduceva con Fiorello su Radio1 perché non era più in grado di «sostenere un ruolo impegnativo» e aveva paura «di mettere a rischio le persone». Decisione sofferta, un gesto di riconoscenza nei confronti di chi l’ha sempre aiutato. Baldini dice che è uscito dal vizio del gioco già da tempo e attualmente sta solo continuando a pagare vecchi debiti di gioco. Immaginavo, sbagliando, che volesse meditare un po’ di più sulla strada da intraprendere, che avesse bisogno di fare un po’ di silenzio attorno a sé.

E invece appare subito in tv, a fare il giudice di una competizione canora e a farsi intervistare da Paola Perego in Presta: «Mi accusano di piangermi addosso, ma io sono solo venuto a chiarire. Anche se ho bisogno di soldi, ho rifiutato di recente una cosa molto bella, una fondazione per darmi una mano. Ma ho detto che non è giusto: perché se vogliono fare una cosa del genere, la facciano per gli esodati, per gli anziani, quelli che ho visto qui a Roma cercare gli avanzi dai fruttaroli».

A quel punto è intervenuta Jo Squillo proponendo una serata di beneficenza: «Salviamo Baldini». Ma Baldini chiedeva solo un’opportunità di lavoro, magari anche come autore. Soprattutto, fra le righe, chiedeva di uscire dallo smarrimento in cui si trova. È necessario andare in tv per chiarire i problemi? È necessario mettersi a nudo davanti alle telecamere per risolverli? Poi, a «Domenica In», arriva Fausto Bertinotti a raccontare favolisticamente il suo 1969 e si capisce come il vero problema di molti sia durare nell’effimero.
18 novembre 2014 | 14:17
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_novembre_18/se-baldini-riappare-tv-fare-giudice-domenica-in-c7fe6692-6f22-11e4-a038-d659db30b64c.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La scienza spiegata da Giusti Una papera che tira l’altra
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2014, 05:39:14 pm
A fil di rete
La scienza spiegata da Giusti Una papera che tira l’altra

Di Aldo Grasso

Rai2 porta la tv dei ragazzi in prima serata. Tv dei ragazzi per modo dire, un po’ come «Ti lascio una canzone» della Clerici. Qui c’è una copertura scientifica che spingerebbe all’educational, ma la fragilità del tutto ci convince ancora una volta che la scienza senza la sapienza è stiracchiamento cognitivo, divertimento imbarazzante.
Il programma si chiama «La papera non fa l’eco» è tratto dal format inglese «Duck Quacks Don’t Echo» ed è condotto da uno spento Max Giusti (malaugurato il giorno in cui qualcuno gli ha fatto creder di essere bravo e spiritoso come Fiorello): è un misto fra «Paperissima», «Kazzenger» e l’eterna rubrica «Strano ma vero» (lunedì, ore 21.22). Davanti a una platea che in prima fila esibisce bambini, vengono condotti alcuni esperimenti: l’oscillazione di un’incudine che rischia di colpire al volto una persona, la caduta di uno stuntman avvolto in una coltre di pluriball, la solidificazione della crema pasticcera grazie a un ballo scatenato.

Tre ospiti si offrono come cavie: la sciuretta Vladimir Luxuria (la sua vanità verrà giustamente punita, quando dovrà annusare le ascelle di sei baldi giovanotti), il povero Enzo Iacchetti e una certa Ariadna Romero.

A un certo punto appare anche il vicedirettore di Rai2 Roberto Giacobbo per promuovere il suo programma (la sera prima era da Fazio a promuovere il suo libro; ma il codice etico della Rai è solo carta straccia?). Per dare credibilità al tutto, sorvegliano due professori: Anna Moles, direttore scientifico di Genomnia, e Franco Meinardi, fisico della materia.

Ci sono anche le domande del pubblico, così spontanee da procurare, scientificamente, il latte alle ginocchia. Quanto ai filmati, provengono tutti dal format originale, tanto per risparmiare.

Insomma, tra una papera e un’altra, Max Giusti tratta i bambini da adulti per poter poi trattare gli adulti da bambini.
Esperimento riuscito!

19 novembre 2014 | 07:43
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_novembre_19/scienza-spiegata-giusti-2a1053d2-6fb3-11e4-921c-2aaad98d1bf7.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Lo stile LadyLike in politica e le teorie estetiche di Ale Moretti.
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2014, 05:43:16 pm
A fil di rete di Aldo Grasso

Lo stile «LadyLike» in politica e le teorie estetiche di Ale Moretti

Di Aldo Grasso

Cortocircuiti. Alessandra Moretti, eurodeputata del Pd e candidata alle primarie per la corsa alla presidenza della regione Veneto, parla di stile «LadyLike» in politica: «Dobbiamo e vogliamo essere belle, brave, intelligenti ed eleganti», dice al CorriereTv criticando «lo stile» di Rosy Bindi che, a suo dire, era «più austero», «mortificava la bellezza» e «la capacità di mostrare un volto piacente».
«Ma che caz... dice la Moretti? Poverina, non conosce la storia di questo Paese. Questa visione delle donne politiche di una volta è risibile». È il commento di Massimo Cacciari ai microfoni de La Zanzara, su Radio24.

Ma «i tempi sono cambiati», dice Ale, raccontando la sua giornata settimanale dall’estetista e infischiandosene delle critiche sul web. I tempi sono cambiati da quando si accorreva alle manifestazioni di «Se non ora, quando?», innalzando le bandiere delle «brave ragazze» contro le cosiddette Olgettine. «Per lei Rosy Bindi ha mortificato la bellezza? Ma dove? Tra le donne più belle e intelligenti che ho incontrato in vita mia vi erano delle appassionate politiche, come la Rossanda, la Castellina e tante altre», ribatte Cacciari.

Cortocircuiti. Nel frattempo, sul Foglio, Alfonso Berardinelli confessa di essere geloso di Cacciari: «Cacciari “fa superiorità”. Fa l’impressione di elevare il livello di cultura di qualunque talk show con il suo semplice e fisico manifestarsi». Con trattenuta ironia, Berardinelli ci fa sapere che raramente lo invitano in tv (lui non ci andrebbe perché «non vengo bene»).

Come uscire dal cortocircuito? Come assopire l’ira dei dabbene per la bellezza? Come aiutare questi retori vogliosi di colorare la loro vita pubblica di qualche ragione filosofica? Giletti, indicato come il boyfriend di Moretti, potrebbe invitare nel suo talk Ale, Massimo e Alfonso (che nel frattempo è andato dall’estetista di Ale). Tema? «LadyLike: da Minetti a Moretti, voti perfetti».

22 novembre 2014 | 08:21
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DA - http://www.corriere.it/spettacoli/14_novembre_22/stile-ladylike-politica-teorie-estetiche-ale-moretti-622a2562-7216-11e4-9b29-78c5c2ace584.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Gianni Morandi: c’era un ragazzo e poi c’era sempre Andreotti...
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2014, 04:14:23 pm
Padiglione Italia

Gianni Morandi: c’era un ragazzo e poi c’era sempre Andreotti...
La carriera parallela del cantante e del leader politico

Di Aldo Grasso

Puoi essere duro e puro quanto vuoi ma nella vita c’è sempre un Andreotti. Anche per Gianni Morandi, che sta per compiere 70 anni e ha in uscita un album di successi. Lo ha confessato lui stesso: «E poi, c’era sempre Andreotti... Lui era ministro e io cantavo a “Canzonissima”, lui era primo ministro e io continuavo a cantare».

Morandi è fra quelli che alle Regionali dell’Emilia-Romagna non sono andati a votare: «Non so se è Renzi che non ha portato la gente a votare, però in Emilia c’è uno zoccolo duro che sta un po’ più a sinistra di lui... Se ci fosse stato Renzi leader di un partito negli Anni 50, forse io e mio padre l’avremmo visto come un rivale politico». Lui e suo padre, a Monghidoro, duri e puri.

Però gli ultimi grandi trionfi di Gianni (due Sanremo e due concerti all’Arena di Verona) stanno, per così dire, un po’ più a destra di Renzi. A dargli una mano c’erano il direttore di Raiuno Mauro Mazza (ex redattore del Secolo d’Italia) e Gianmarco Mazzi, grande amico di Gasparri e La Russa. Il lavoro è sacro, non si scherza, anche per chi ha amato i Beatles e i Rolling Stones: «Nella mia vita ho fatto un excursus ben lungo. Da Togliatti, che mi fa sempre pensare a mio padre quand’ero bambino, a Berlinguer che è stata l’ultima grande figura del partito, uno veramente meraviglioso, serio, sobrio, da classe dirigente... E poi, c’era sempre Andreotti».
Per chi si astiene c’è sempre un ex voto, un Andreotti.

30 novembre 2014 | 09:56
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Da - http://www.corriere.it/cultura/14_novembre_30/gianni-morandi-c-era-ragazzo-poi-c-era-sempre-andreotti-fff8ac6e-7860-11e4-9707-4e704182e518.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L’impresa dei mille (riciclati) di Salvini
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2014, 05:37:06 pm
L’impresa dei mille (riciclati) di Salvini
Al Sud Tanti voltagabbana sotto il simbolo «Noi con Salvini» senza verde Lega

Di Aldo Grasso

«Senti che puzza scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani. Son colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati». Era l’estate del 2009, a Pontida. Un boccale di birra in mano, Matteo Salvini intonava a squarciagola l’oltraggioso ritornello. Cori da stadio, dirà dopo, ma intanto l’obiettivo era molto chiaro: la Padania, la secessione, Roma ladrona, Napolitano terun, l’epopea del Trota, il Nord indipendente. Contrordine, compagni. La Lega ritenta il colpo dei Mille: annettere il Mezzogiorno alla Padania.

Dopo l’exploit alle Regionali dell’Emilia-Romagna, il segretario si allarga. Di qui l’idea del simbolo camuffato: non c’è la parola Lega, ma c’è il nome di Salvini: «Noi con Salvini». Al «verde padano» i grafici hanno preferito una sobria scritta gialla in campo blu. Noi chi? Con la crescita del Carroccio nei sondaggi, la truppa dei fiancheggiatori, dei profittatori, dei voltagabbana si è infoltita. Sono molti gli ex di Alleanza nazionale (centralisti duri) a gridare «vengo anch’io». Da Silvano Moffa, ex presidente della Provincia di Roma, a Stefano Gaggioli, ex presidente di Sviluppo Italia. Per non parlare dei berlusconiani, degli alfaniani... La più convinta è Barbara Mannucci, quella che diceva: «Berlusconi è la luce, resterò con lui fino alla fine. Sarò la sua Claretta Petacci». Sì, ciao. Il nemico ora è più a Sud: «Senti che puzza scappano anche i cani, sono arrivati gli extracomunitari...».

21 dicembre 2014 | 09:24
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_21/impresa-mille-riciclati-salvini-52620910-88e1-11e4-87e1-ec26c60de2cb.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Se il veglione della Rai diventa uno spettacolo fantozziano
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2015, 04:06:41 pm
A fil di rete di Aldo Grasso
Se il veglione della Rai diventa uno spettacolo fantozziano

Di Aldo Grasso

Nella lunga omelia di fine d’anno Matteo Renzi ha fatto una promessa: «Questo che arriva sarà l’anno della Rai, che non ho lottizzato ma voglio migliorare». Facciamo così: per stima, abbuoniamogli il 31 dicembre 2014 e speriamo che spettacoli fantozziani come «L’anno che verrà» vengano esodati in fretta. Le persone che restano a casa per attendere il nuovo anno non avrebbero diritto di trarre dalle immagini un po’ di ottimismo, un po’ di eleganza, un po’ di luce che faccia dimenticare i lati oscuri del quotidiano? Il Servizio pubblico perché offre svaghi così malinconici, bolliti e dissipati? A condurre «L’anno che verrà», al posto di Carlo Conti, c’era Flavio Insinna, insieme con Nino Frassica. Ha ragione Tommaso Labranca: «Simili passaggi di consegne nell’ormai esiguo erbario di conduttori da Raiuno ricordano la sostituzione dell’Imu con la Tasi: nulla cambia, tutto peggiora».

Il grande veglione di Capodanno in diretta dal Forum Sport Center di Dolonne era in realtà un grande spot delle Funivie Monte Bianco, del Comune di Courmayeur, della Valle d’Aosta, regione autonoma, molto privilegiata (anche qui presidente faccia in fretta). Così le povere vecchiette e i poveri vecchietti - quorum ego - che hanno assistito al programma, hanno dovuto sorbirsi Al Bano (vive in Rai), Pino Daniele, Santa Esmeralda, Ritchie Family, Gibson Brothers, Audio 2, Simona Molinari, Moreno, Patty Pravo («Pazza idea di far l’amore con lui, pensando di stare ancora insieme a te...»). L’aspetto più ridicolo è che né Insinna né Frassica sapevano pronunciare il nome di Courmayeur (ci vuole tanto per un attore italiano?). Se la Rai va migliorata, bisogna iniziare anche dai programmi che manda in onda.

P.S. Il discorso d’addio del presidente Giorgio Napolitano è stato «snaturato» da una brutta regia e dai tagli di montaggio che ne hanno alterato il ritmo, levando evidentemente molte pause. E dire che a volte i silenzi parlano, e molto.

2 gennaio 2015 | 08:44
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/15_gennaio_02/se-veglione-rai-diventa-spettacolo-fantozziano-ebc1bbb4-9246-11e4-aaf8-f7f9176948ef.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Frequenti sospetti televisivi
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2015, 02:52:51 pm
Il video e la politica
Frequenti sospetti televisivi
Una norma sulle frequenze tv suscita una ridda di retropensieri su una materia che per sua natura dovrebbe essere trasparente

Di Aldo Grasso

In politica l’innocenza non esiste, ogni atto ha un suo perché. Così un emendamento rischia di trasformarsi in una ritorsione, così una norma sulle frequenze tv suscita una ridda di sospetti e retropensieri su una materia che per sua natura dovrebbe essere trasparente.

Com’è noto, a scatenare le polemiche dei componenti di Forza Italia è stato un emendamento del governo all’articolo 3 del decreto Milleproroghe sul canone delle frequenze tv. Il Mise (Ministero dello Sviluppo economico) ha rimodulato una norma che impone a Rai e Mediaset un canone di 50 milioni da redistribuire alle piccole emittenti. «Una conseguenza - affermano i deputati azzurri - della rottura del patto del Nazareno».

È giusto, non è giusto? C’era un patto e si è rotto? Il Nazareno è cenere al vento? In politica il più forte tende ad approfittarsene e il più debole grida alla congiura, da sempre. Il sottosegretario con delega alle Telecomunicazioni, Antonello Giacomelli (Pd) si è subito affrettato a gettare acqua sul fuoco suggerendo di stare lontano dagli stati d’animo: «L’emendamento in questione riporta alla piena titolarità del governo la riforma delle norme relative al canone frequenze che abbiamo annunciato già da agosto 2014». Saranno anche stati d’animo, ma intanto ieri il titolo Mediaset è stato penalizzato.

Senza addentrarci in un discorso tecnico (tutto si basa su un provvedimento dell’AgCom che molti ritengono pasticciato), appare evidente che il caso non può essere trattato come una soluzione puramente tecnica. Renzi è arrivato a Palazzo Chigi per fare le grandi riforme, e, dopo l’abolizione del bicameralismo, la prima grande riforma sarebbe quella di uscire da questo meschino gioco incrociato del conflitto d’interessi.

Per anni la sinistra ha giustamente criticato il governo Berlusconi per aver fatto coincidere gli interessi del suo partito con gli interessi delle sue aziende. Quando Berlusconi era presidente del Consiglio gli investimenti pubblicitari di Mediaset salivano, quando era all’opposizione calavano, e non certo a causa di emotività o stati d’animo. La stessa legge Gasparri si trascina dietro un’ombra di favoreggiamenti che pesa non poco sullo sviluppo tecnologico delle nostre tv. Ma proprio per questo Renzi non può permettersi di usare le stesse tecniche per tenere sotto scacco l’avversario politico.

Da anni, la televisione è il nodo gordiano della politica italiana. Se è impossibile scioglierlo, Renzi faccia come Alessandro Magno: lo tagli, una volta per tutte, ponga fine senza pregiudizi ideologici a questo eterno conflitto che spesso sconfina nel ricatto. Conviene a lui, conviene a Berlusconi. Conviene soprattutto alla tv italiana, sempre più triste, sempre più declinante.

7 febbraio 2015 | 09:26
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_febbraio_07/frequenti-sospetti-televisivi-7f91092c-aea2-11e4-99b7-9c6efa2c2dde.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Su Sanremo ho sbagliato tutto: la noia può fare ascolti
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2015, 08:00:15 am
IL COMMENTO
Su Sanremo ho sbagliato tutto: la noia può fare ascolti
Autocritica di un critico televisivo, vista l’audience del festival

Di Aldo Grasso
Lo ammetto, su Sanremo ho sbagliato tutto. Lo davo per morto e invece ha fatto il pieno d’ascolti. Alla vigilia, avevo fatto quello che dovrebbe fare un critico: analisi, comparazioni, stato della musica in tv, cose del genere. Mi aveva confortato un articolo sul Foglio di Stefano Pistolini, che di queste cose capisce: «“X-Factor” oggi comanda, impone, orienta i gusti del pubblico. Al confronto il Festival di Sanremo è un cadavere».

«Cadavre exquis», forse, come piaceva ai surrealisti. A essere sinceri la costruzione del Festival l’avevo prevista giusta: una conduzione rassicurante, impiegatizia, retrò. Lo conosco Conti: prende per mano lo spettatore (anche se gli spazi sono angusti), ha il tono della guida turistica, svelenisce ogni eccesso con battute innocue. Nessuna trovata, nessun colpo di scena, nessuna idea guida, solo 50 e più sfumature di grigio (spesso tendenti al nero dato l’alto numero di necrologi) a smussare ogni sregolatezza. La «medietà» avrebbe dovuto prevalere sulla creazione dell’evento. E così è stato. Persino le «vallette» sono state scelte per deprimere lo show. Persino la reunion di Al Bano e Romina è stata copiata dalla tv russa, ma gli autori non sono stati capaci di far ripetere alla coppia la memorabile interpretazione di «Sharazan». Poi, è vero, Sanremo tira fuori il sociologo che alberga in noi e le spiegazioni ex post fioriscono come i fiori della Riviera (quel tanto che basta per salire sul carro del vincitore). Era un Festival contro i radical chic (ma si possono scrivere fesserie simili?) e, aggiungo io, Conti ha portato a termine la missione con la freddezza di un personaggio dei fratelli Coen. Era un Festival che parlava a tutto il Paese, come ha dichiarato il direttore Gianka Leone «e non a quella frazione che sta su Twitter o viaggia in Frecciarossa» (me lo vedo Leone sul treno dei pendolari, dove non c’è connessione per il suo smartphone!). Che Sanremo è sempre Sanremo. Che il contenuto (immagino le canzoni) è più importante del format. Che i comici che piacciono ai bambini (tipo Pintus) non necessariamente devono piacere ai grandi, ma sanno come fare audience. Che Sanremo è pur sempre un rito collettivo invernale, tranquillizzante proprio nella sua ripetitività, nella sua prevedibilità, nella sua assenza di emozioni forti.

È anche probabile che i dati d’ascolto siano direttamente proporzionali ai dati Istat sulla disoccupazione. Tasso, tasse, tosse. Eppure, lo ribadisco con forza, dal punto di vista dello spettacolo è stato un brutto, noioso Festival, salvo qualche gradevole eccezione. Brutto ma premiato dal pubblico in maniera sbalorditiva. Questo non l’avevo previsto: fare il pieno di audience con il vuoto di idee. Un colpo gobbo o l’involontaria virtù della noia?

15 febbraio 2015 | 08:50
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/speciali/2015/festival-sanremo-2015/notizie/su-sanremo-ho-sbagliato-tutto-noia-puo-fare-ascolti-650519d2-b4e6-11e4-b826-6676214d98fd.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Bersani, un simpatico e (poco) sereno perdente
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2015, 04:05:25 pm
Padiglione Italia
Bersani, un simpatico e (poco) sereno perdente
Non ne ha mai imbroccata una, ma ora vorrebbe smacchiare il premier

Di Aldo Grasso

Parole di fuoco di Pier Luigi Bersani contro Matteo Renzi: «M’inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto». E così l’ex segretario del Pd ha disertato l’incontro dei parlamentari convocati nella sede del Nazareno, ottenendo il consenso di Civati, Cuperlo, Fassina, Rosy Bindi. Politicamente, Bersani è un sereno perdente; dopo le imitazioni di Maurizio Crozza è impossibile non volergli bene. Tempo fa, si è inchinato alle esigenze della comunicazione e, lontano dal bersanese d’antan, ha cercato una lingua colloquiale, legata a metafore popolari. Invece di accendere emozioni ha scatenato emulazioni: non siamo qui ad asciugare gli scogli, a smacchiare i giaguari, a cambiare gli infissi al Colosseo, a mettere i pannelli fotovoltaici alle lucciole, a pettinar le bambole…Come si fa a non amarlo? Eppure Bersani non ne ha imbroccata una che sia una, neppure a pagarla: da segretario del Pd non è riuscito a formare un nuovo governo, si è fatto prendere in giro dai grillini, si è dimesso per l’incapacità di candidare alla Presidenza della Repubblica prima Marini e poi Prodi, è finito a fare «il nemico interno», il sorcino verde evocato da Brunetta e, forzando la sua natura, il proto-Civati. Adesso però alza la voce e, forte della minoranza dem, vorrebbe smacchiare Renzi: «Oh, ragassi, porco boia… i figuranti non sono mica delle mezze figure!»

1 marzo 2015 | 08:38
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DA - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_01/bersani-simpatico-poco-sereno-perdente-9d268470-bfa6-11e4-911e-3d01b106f698.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. La baronessa Maggie in un avvincente intrigo internazionale
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2015, 04:06:36 pm
A fil di rete
La baronessa Maggie in un avvincente intrigo internazionale

di Aldo Grasso

Di chi ti puoi fidare? Bella domanda, cui tenta di dare una risposta un intrigo internazionale che vede coinvolti i servizi segreti di molti Paesi, sullo sfondo del conflitto israelo-palestinese.

Di chi ti puoi fidare? Della baronessa Nessa Stein (Maggie Gyllenhall), donna coraggiosa e determinata, nominata alla Camera dei Lord come parlamentare indipendente? Del fratello di Nessa, Ephra (Andrew Buchan)? Degli agenti dell’MI6, i servizi segreti inglesi?

A tratti, per seguire le vicende di The Honourable Woman, mini-serie in otto episodi creata da Hugo Blick e prodotta da Bbc e la Sundance Tv, ci vorrebbe a fianco un esperto di politica estera, in particolare di questioni medio-orientali. La serie ha ovviamente una sua struttura narrativa molto avvincente e articolata, ma i rimandi alle politiche di Gran Bretagna, Israele, Palestina e Stati Uniti sono continui ed essenziali (Sky Atlantic, canale 110).

Di chi ti puoi fidare? Dopo aver assistito in giovane età all’assassinio del padre, procacciatore di armi, Nessa eredita la sua azienda di armamenti insieme al fratello Ephra e, pur portando avanti in modo chiaro gli interessi israeliani, cerca di aprire al dialogo e alla convivenza con i palestinesi. Ma anche i rapporti fra i due fratelli sono poco chiari: a gestire l’azienda di famiglia è subentrata ora Nessa che cerca di diversificare i prodotti, in particolare vorrebbe produrre fibre ottiche per la Palestina. Però, proprio alla vigilia della chiusura di un importante progetto commerciale, si trova invischiata in una macchinazione che coinvolgerà anche la sua famiglia. Per questo la domanda che ricorre con più frequenza, quasi un’ossessione è: di chi ti puoi fidare?

Maggie Gyllenhall è molto brava. Dire che la serie si regge su di lei è forse troppo (e anche ingiusto) ma se avessimo delle attrici così, forse potremmo tentare di uscire dai provincialismi di gran parte delle nostre fiction.

25 febbraio 2015 | 08:31
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/15_febbraio_25/baronessa-maggie-un-avvincente-intrigo-internazionale-07200418-bcbf-11e4-ad0c-cca964a9a2a1.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Le strade interrotte dell’ultimo boiardo
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2015, 05:41:04 pm
Le strade interrotte dell’ultimo boiardo
Carriera e dimissioni di Ciucci, il presidente Anas che si pagò la buonuscita

Di Aldo Grasso

Ne ha fatta di strada Pietro Ciucci, il dimissionario presidente dell’Anas. Travolto dalle polemiche (ma lui nega) per l’interruzione dell’autostrada siciliana (un viadotto è miseramente sprofondato), per la chiusura di uno svincolo della Palermo-Agrigento, appena inaugurato, per le denunce di Report sulle gallerie in costruzione sulla statale Foligno-Civitanova, ha infine deciso di lasciare.

Ne ha fatta di strada, l’ultimo boiardo. A 19 anni è già nella società Autostrade, dove scala tutti i gradini. Il grande salto è quando Prodi, nel 1987, gli offre la direzione finanza dell’Iri.

Tempo fa, sul Corriere, Sergio Rizzo ha mirabilmente sgranato il rosario dei suoi incarichi: «I consigli di Alitalia, Rai, Stet, Finmeccanica, Comit, Credit, Banca di Roma, Sme, Autostrade, Aeroporti di Roma... La presidenza di Cofiri... Nel 2002 Berlusconi lo nomina al vertice della Stretto di Messina, la società controllata dall’Anas che dovrebbe realizzare il ponte fra Scilla e Cariddi...». Collauda persino il Mose di Venezia. Il suo capolavoro lo compie all’Anas quando, nel 2013, è insieme presidente, amministratore delegato e direttore generale. Il presidente Ciucci licenza senza preavviso il dg Ciucci e gli paga anche la buonuscita. Tra consulenze e incarichi, quasi tutti pubblici, accumula una discreta fortuna. Senza i rischi di un imprenditore.

Ne ha fatta di strada, Ciucci. E pazienza se le nostre strade minacciano di rovinare.

19 aprile 2015 | 08:54
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_aprile_19/strade-interrotte-dell-ultimo-boiardo-e4c24e4c-e65f-11e4-aaf9-ce581604be76.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Fazio celebra la Liberazione e trasforma la retorica in racconto
Inserito da: Admin - Maggio 01, 2015, 11:57:53 am
A fil di rete di Aldo Grasso
Fazio celebra la Liberazione e trasforma la retorica in racconto
Lo speciale della Rai per il 25 aprile ha seguito il format di «Che tempo che fa» ma ha saputo cambiare lo stile narrativo

Di Redazione Online

La tv italiana non è mai stata molto capace di fare celebrazioni. Per una volta, fa piacere segnalare un’eccezione. «Viva il 25 aprile!», il programma trasmesso sabato sera su Rai1 per onorare i 70 anni dalla Liberazione, ha trasformato la piazza del Quirinale nel cuore ideale del suo racconto. Sono state raccontate storie di partigiani e di alleati, alcune molto conosciute, altre dimenticate, attraverso le testimonianze di narratori, collegati in tutta Italia dai luoghi più simbolici di quel periodo.

Ne è venuta fuori una serata emozionante, ma soprattutto capace di parlare a tutti, alla ricerca di uno spirito unitario. Fabio Fazio era la persona giusta per realizzarla. Bisogna dare il merito a lui e alla squadra degli autori che hanno lavorato al programma (il rinnovamento fa bene, par di capire). Certo, il format è sempre quello di «Che tempo che fa», a intervenire c’era il solito gruppo di «amici», ma questa volta si capiva che il clima era diverso, più sentito.

La serata ha avuto momenti più o meno riusciti, ma complessivamente tutto teneva: c’erano idee, un buon ritmo che ha tenuto a bada la noia, un giusto connubio tra solennità della ricorrenza ed eleganza della confezione. Tra le cose migliori: il racconto di Christian De Sica sul finto film messo in piedi dal padre Vittorio per salvare molti ebrei dalla deportazione, il collegamento con Pif da Gela, il commovente intervento di Marco Paolini da Sant’Anna di Stazzema.

Non si può chiedere a un’occasione del genere di rinunciare alla retorica: la cosa importante è trasformarla in racconto, in una good story. Fa piacere anche segnalare l’investimento di Rai1, della Rai in generale, su un’occasione come questa: riservare al programma la prima serata del sabato, senza interruzioni pubblicitarie (di fronte alla concorrenza di una corazzata come «Amici»!), garantire uno standard di produzione elevato, non usare il Servizio pubblico come alibi dei fallimenti.

27 aprile 2015 | 08:55
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/15_aprile_27/fazio-celebra-liberazione-trasforma-retorica-racconto-682937fc-eca8-11e4-8e05-565b17b54795.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Le svolte misteriose del Molleggiato
Inserito da: Admin - Giugno 05, 2015, 11:02:03 pm
Padiglione Italia
Le svolte misteriose del Molleggiato
Celentano Il sostegno sorprendente al leghista Salvini dopo quello a Pisapia e Grillo

Di Aldo Grasso

«Sto cominciando a pensare a Salvini». L’idea che Celentano stia pensando, e stia pensando a Salvini, ha messo in agitazione alcuni suoi fans. Com’è possibile che dopo aver appoggiato Pisapia e Grillo, il Molleggiato offra ora il suo sostegno al nazionalismo lepenista del leader della Lega con il solito spreco di maiuscole?
Dopo la tragica vicenda dell’incidente stradale in cui ha perso la vita una donna e altri otto sono rimasti feriti (al volante c’era un rom), Celentano si è espresso sul suo blog: «Ciao GrillòRenzi! Mentre voi ve la battete sul tavolo dei “VOTI”, nel frattempo a Roma c’è un’auto che sfreccia a 180 km all’ora e travolge 9 passanti, trascinandosi per 50 metri una giovane donna che poi MUORE...». Il post prosegue con una «serrata analisi» su guida e certezza della pena, sull’incremento dei consumi legato al sorriso delle persone.

Il testo è così articolato da meritarsi, il giorno dopo, l’ESEGESI di Claudia Mori. Eppure non è passato molto tempo da quando Celentano tesseva l’elogio di Grillo: «Sta tracciando il percorso di un futuro politico. Chiunque abbia un minimo di buon senso non può non condividere il suo programma».
In Adriano il buon senso c’è, ma forse se ne sta nascosto, per paura del senso COMUNE. Infatti, il sillogismo che legherebbe il sorriso delle gente a Salvini è del tutto misterioso.
È vero, il contrasto tra il pensiero di un uomo e il posto che occupa rende bizzarra la STORIA.

31 maggio 2015 | 08:31
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Da – corriere.it


Titolo: ALDO GRASSO. «La posta del cuore» di Dalla Chiesa e Frizzi sembra una sitcom
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2015, 10:18:53 am
A fil di rete
«La posta del cuore» di Dalla Chiesa e Frizzi sembra una sitcom
L’idea della Rai di affidare la rubrica ai due ex coniugi. Una scelta che trasforma la vita reale in finizione

Di Aldo Grasso

La perfidia del funzionario Rai (o chi per lui) che ha deciso di affidare una rubrica di posta del cuore a Rita Dalla Chiesa e Fabrizio Frizzi è da manuale. È vero che si è puntato tutto sulla seconda reunion, dopo quella di Al Bano e Romina; è vero che il programma non ha molte pretese (ci sono stati tempi in cui sui giornali quella rubrica era affidata a firme come Luciana Peverelli, Irene Brin, Colette Rosselli, Brunella Gasperini, Giorgio Scerbanenco, che si firmava Adria, Camilla Cederna e quando a Donna Letizia le ragazze chiedevano se dovevano acconsentire alla famosa «prova d’amore» che il maschio richiedeva con insistenza, la risposta era sempre «Non ceda, non ceda»); è vero che siamo d’estate e ci troviamo di fronte a una sorta di «cazzeggio rosa». E pur tuttavia è inevitabile che di fronte a ogni caso, lo spettatore osservi come reagiscano i due: lei con due matrimoni falliti alle spalle, lui con una nuova compagna.

Casi di separazione, casi di incomprensione, casi di lite per i figli: ogni occasione è buona per seguire gli sguardi di Rita e Fabrizio, per cercare di cogliere un attimo di cedimento, o qualcosa di simile.

Per fortuna, grazie anche alla pleonastica presenza di altri ospiti in studio, «La posta del cuore» tende involontariamente alla sitcom, quasi una riedizione di Casa Vianello (dal lunedì al venerdì, ore 16.40). Le reazioni di Frizzi le conosciamo: ride. Qualunque cosa accada, ride. Rita ha piuttosto l’aria di chi ha qualcosa da rivendicare, e questi due atteggiamenti di fondo funzionano come un copione.

Un tempo era più facile gestire la posta del cuore: da una parte c’era una consolidata tradizione borghese capace ancora di dettare stili di vita, dall’altra la grossolanità e l’ingenuità di una nuova classe emergente. Adesso tutto è più confuso. Perché mai uno dovrebbe accettare consigli di vita e perle di saggezza da Fabrizio Frizzi? Che la vita copi la televisione?

18 giugno 2015 | 08:55
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Da -  http://www.corriere.it/spettacoli/15_giugno_18/posta-cuore-dalla-chiesa-frizzi-sembra-sitcom-5e0cc2b0-157b-11e5-8c76-9bc6489a309c.shtml


Titolo: Re: ALDO GRASSO. Augias e la tv «intelligente» Poi tutto finisce in parodia
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2015, 10:21:46 am
A fil di rete
Augias e la tv «intelligente»
Poi tutto finisce in parodia
La tv alta, la tv intelligente e la chiusa: «Spegnete la tv e accendete l’immaginazione» (ma per quanto tempo?)

Di Aldo Grasso
Leopardi, ah Leopardi! Ci sono serate in cui uno sconta tutta la sua inadeguatezza, la sua miseria intellettuale.

Nel notturno leopardiano di Rai3, i sensi fremono di metafisica trasvalutazione. Grazie Augias, grazie Corrado di esistere! Una piccola premessa. Qualche tempo fa, ospite del salotto della collega Daria Bignardi, in sofferenza per i numerosi impegni culturali e per i libri da scrivere, Augias si abbandonò al pessimismo cosmico: «Basta tv, vorrei dedicare questa ultima parte della mia vita ad altre cose». Stava leggendo Leopardi. Ma gli è bastato leggere Edward O. Wilson per cambiare idea: «Avevo detto di non voler fare più tv... Ma il direttore di Rai3 è stato così affettuoso e insistente da convincermi ad accettare questa nuova sfida. Può sembrare velleitario, ma vogliamo fare una tv alta» («Visionari», lunedì, ore 23.15).

La tv alta, la tv irraggiungibile, la tv intelligente. Per parlare di Leopardi, Augias invita una professoressa che è l’incarnazione perfetta delle professoresse democratiche, quelle che guardano solo Rai3. E poi invita Elio Germano, che per il solo fatto di aver interpretato il poeta al cinema si sente pensiero poetante. E così, sospesi fra un’intonazione barocca e una dilatazione assoluta, scopriamo che Giacomo ha abbandonato Recanati per «vedere cosa c’è dietro la siepe», che «aveva una madre anaffettiva», «che era gay», che «amava cibi saporosi» (Leo fritto misto e ajo, ojo e peperoncino!), che «era nichilista», che «amava gelati, sorbetti e cannellini di Sulmona».

Augias e la prof. sono puristi, passeri solitari, e trovano molto, molto provinciale lo spot della regione Marche con Dustin Hoffman che legge «L’infinito». Orrore!

Intanto, sul finale il regista infila di soppiatto un pezzo di Corrado Guzzanti nelle vesti dello studente Lorenzo. E tutto naufraga in parodia, com’è giusto che sia. «Spegnete la tv e accendete l’immaginazione», è l’ultimo invito del passero, dietro la siepe.

17 giugno 2015 | 12:05
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/15_giugno_17/augias-tv-intelligente-poi-tutto-finisce-parodia-a8b92290-14c2-11e5-9e87-27d8c82ea4f6.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L’allegra brigata Kalimera che Tsipras tradì
Inserito da: Admin - Agosto 24, 2015, 05:34:58 pm
L’allegra brigata Kalimera che Tsipras tradì
A sinistra Il premier greco si piega alle regole Ue: Fassina, Civati e Vendola ci restano male


Di Aldo Grasso

Dov’è finita l’allegra Brigata? Intendo la Brigata Kalimera, quel manipolo di irriducibili che da febbraio 2015 ha preso a frequentare Atene come ultimo baluardo della sinistra dura e pura. Prima per festeggiare il successo elettorale di Alexis Tsipras e, poi, la vittoria nel referendum. L’allegra Brigata Kalimera, intendo i Fassina, i Vendola, le Spinelli, i Maltese, i Civati, la minoranza dem, i fans di Syriza e Podemos e la «sinistra di popolo» in viaggio-studio ad Atene (Erasmus per fuori corso) per affermare che un’altra sinistra è non solo possibile ma può diventare forza di governo.

Pochi giorni fa, però, Tsipras ha «tradito» la Brigata Kalimera, ha chiesto le elezioni anticipate, si è comportato da statista responsabile e non più da leader populista. Sconfessando l’esito del referendum (non si può vivere sempre in campagna elettorale), si è convinto che per andare avanti deve accettare le regole che vengono imposte non dai debitori ma dai creditori. L’allegra Brigata oggi è triste: il suo destino, se continuerà a prendere lucciole per lanterne, sarà sempre la sconfitta, la perenne stasi nell’illusione demagogica. Il modello Tsipras come antidoto al renzismo è svanito e con esso l’occasione per un’altra politica della sinistra italiana. Dal buongiorno (Kalimera) alla buonasera (Kalispera) è questione di ore: «Ogni ilusion xe senza luse, quando fa sera» (Biagio Marin).

23 agosto 2015 (modifica il 23 agosto 2015 | 09:32)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_agosto_23/allegra-brigata-kalimera-che-tsipras-tradi-3ef8f3f4-495f-11e5-b566-99560c716b18.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Sparatoria in Virginia, le due telecamere e il tabù infranto
Inserito da: Admin - Agosto 28, 2015, 11:34:20 pm
I media LA FEROCIA SOCIAL
Sparatoria in Virginia, le due telecamere e il tabù infranto
Ovunque censurata e dissimulata, la morte sembra risorgere in tv nelle vesti dell’imprevisto o come offerta sull’altare delle emozioni

Di Aldo Grasso

Si fa presto a dire la morte in diretta, ma una scena così atroce non si era mai vista. Un killer uccide a colpi di pistola la giornalista televisiva Alison Parker, 24 anni, di una rete locale della Cbs e il cameraman Adam Ward, 27 anni, mentre stanno effettuando un’intervista. Sono immagini terrificanti: il volto della giornalista, che vede l’assassino avanzare e sparare, esprime l’orrore più grande che si possa immaginare. Seguiamo i suoi ultimi disperati tentativi di sfuggire la morte: la giovane si gira urlando, cerca di nascondersi, grida «oh mio Dio», prima che la telecamera del cameraman cada a terra. Cascando, la telecamera riesce a inquadrare per un attimo il volto dell’assassino. Dallo studio, la regia taglia la diretta: la conduttrice è sotto choc, senza parole. Riprende poi fiato: «Non siamo sicuri di cosa sia successo lì. Cercheremo di capire cosa fossero quei suoni». Poi arriva l’annuncio della morte della reporter e del collega.

Ma non basta: l’incubo più grande deve ancora arrivare. Vester Lee Flanigan, un afroamericano che aveva lavorato per quel network utilizzando il nome Bryce Williams, posta sui social il filmato del delitto visto dalla sua prospettiva, quella dell’omicida (come fanno i tagliagole dell’Isis). Nel video, girato con il telefonino, si vede spuntare una pistola in primo piano, prima che inizi l’assurda resa dei conti.

Per la prima volta la morte in diretta ha due punti di vista, quello delle vittime e quello dell’assassino. Come se un tetro gioco di specchi raddoppiasse la tragedia. Il nesso tra la morte e la sua rappresentazione in diretta è uno dei temi cruciali che attraversano le riflessioni sui media, uno di quei temi cui il cinema ha dedicato attenzione, a partire da L’asso nella manica di Billy Wilder a La morte in diretta di Bernard Tavernier, da Dentro la notizia di James L. Brooks ai cosiddetti «snuff movie», filmati amatoriali in cui vengono esibite torture con conseguente, inevitabile epilogo. Da tempo, per i media la morte non è più un tabù: dev’essere raccontata, mostrata, esibita quasi per la paura che una tragedia non vista resti invisibile, cioè inesistente. Ma i media siamo noi, sempre più pornograficamente addestrati a pedinare la morte in diretta. Inutile dare la colpa ai social network, alla mania narcisistica di dover certificare la nostra giornata con foto, video, messaggi.

Da tempo (per noi italiani, almeno dalla tragedia di Vermicino) qualcosa si è spezzato per sempre, la morte si è fatta spettacolo, il nostro occhio si è indurito. Il catalogo delle atrocità è così sterminato che le domande legittime rattrappiscono sul nascere: un «accrescimento senza progresso», diceva Musil, che si risolve nella tranquilla connivenza della tragedia e del suo contrario.

Il dramma di Moneta, in Virginia, ci dice soltanto che un nuovo tabù è stato abbattuto, che un nuovo limite è stato infranto. Ovunque censurata e dissimulata, la morte sembra risorgere in tv nelle vesti dell’imprevisto o come offerta sull’altare delle emozioni. Le immagini condivise sui social dall’assassino sono tanto più terribili quanto più svuotate di qualsiasi sostanza etica: le atrocità crescono, ma nessuno vuol rinunciare a fornire il proprio contributo al patrimonio della ferocia umana.

Non è lo spettacolo che «deve» andare avanti, è la vita. Da molti anni, molta parte della nostra vita si svolge con l’apporto attivo della tv e dei social network. I media sono i nostri nuovi ambienti di socializzazione, «luoghi» in cui impariamo a comportarci, a divertirci, a soffrire. Persino a filmare il duplice delitto che stiamo per commettere.

27 agosto 2015 (modifica il 27 agosto 2015 | 08:06)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_27/sparatoria-virginia-due-telecamere-tabu-infranto-cabeb83c-4c80-11e5-9b47-ed94dd84ed07.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L’astro nascente che divide i Cinquestelle
Inserito da: Arlecchino - Settembre 15, 2015, 05:01:43 pm
L’astro nascente che divide i Cinquestelle
Gelosia: il rude Roberto Fico ha bocciato l’investitura di Di Maio


Di Aldo Grasso

Che poi, gira e rigira, quando si tratta di presa di potere siamo tutti uguali, i grillini come noi. Succede questo: durante una conferenza stampa al Senato, Beppe Grillo si volta amorevolmente verso Luigi Di Maio, seduto al suo fianco, e lo gratifica di una spiccia investitura: «Maledetto, sei il leader».

Che Di Maio sia l’astro nascente dei Cinquestelle lo pensiamo tutti. Lasciamo perdere i sondaggi; basta vedere come veste, come si muove, come ha abbandonato i facili slogan populisti della ditta Grillo & Casaleggio per capire che è uno non insensibile alla leadership del M5S. Ma non aveva fatto i conti con la gelosia di Roberto Fico, il rude deputato napoletano, membro del direttorio e presidente della commissione di Vigilanza Rai. Fico di tv capisce poco (basta risentire le sue esternazioni sul caso Casamonica), ma gli piace comandare e tutta la mitologia della democrazia diretta, dell’uno vale uno, dei deputati come portavoce del popolo è già un lontano ricordo.

Quello che si ritiene il meglio Fico del bigoncio la prende male e precisa: «Il leader è il movimento, ogni persona all’interno del movimento fa la sua parte. Ognuno, in qualche modo, è leader degli argomenti che porta avanti e con la Rete riusciremo a prendere il governo del Paese». Traduzione: col cavolo che Di Maio è il leader! Grillo fa marcia indietro: sarà la Rete a decidere. Traduzione: maledetti, allora decideremo ancora io & Casaleggio.

13 settembre 2015 (modifica il 13 settembre 2015 | 09:19)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_settembre_13/astro-nascente-che-divide-cinquestelle-26ef1c8a-59df-11e5-b420-c9ba68e5c126.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. L’insulto come autogol, il vizio di Corradino Mineo
Inserito da: Arlecchino - Novembre 09, 2015, 05:14:03 pm
Padiglione Italia
L’insulto come autogol, il vizio di Corradino Mineo
L’allusione velenosa a Renzi («So quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa») è stato un errore di comunicazione imperdonabile.
E non è la prima volta

Di Aldo Grasso

«Spitting in the wind comes back at you twice as hard», cantava Lou Reed in Strawman: se sputi controvento ti torna indietro col doppio della forza. Qualcosa del genere è successo al senatore Corradino Mineo. Piccato da alcuni apprezzamenti che Matteo Renzi aveva confessato a Bruno Vespa per il suo consueto libro natalizio (ma Renzi non doveva rottamare?), Mineo se n’è uscito con allusioni velenose, avvertimenti di debilitante miseria morale: «Lui sa che io so... So quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa». La Cara di Mineo.

È la politica, signori, sangue e mer.., come sosteneva Rino Formica, e l’ultima cosa che ci interessa è sguazzare nell’umor nero delle insinuazioni. Certo, per un giornalista linguacciuto come Corradino (suo maestro e mentore è stato Sandro Curzi, gran navigatore) commettere simili errori di comunicazione è imperdonabile. Le giustificazioni del giorno dopo, poi, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. E non è la prima volta: tempo addietro aveva addebitato al premier comportamenti «autistici», suscitando un vespaio di proteste.

La politica è quello che è; la minoranza del Pd, quando perde posti di potere, sopravvive solo impugnando la bandiera rossa dello scissionismo; Corradino è una «povera e triste anima querula» (Giuliano Ferrara) e, tuttavia, gli odi insanabili sono sempre quelli di famiglia. Chissà perché. Non il miele, ma il fiele provoca lo sputazzu.

8 novembre 2015 (modifica il 8 novembre 2015 | 08:27)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_novembre_08/insulto-come-autogol-vizio-corradino-mineo-6597357c-85e9-11e5-af91-bb1507114fbb.shtml


Titolo: ALDO GRASSO. Fiorella Mannoia, il copione usurato della cantante radical
Inserito da: Arlecchino - Novembre 24, 2015, 06:52:12 pm
Fiorella Mannoia, il copione usurato della cantante radical
La musicista non crede alle notizie della «stampa ufficiale» su Parigi: la responsabilità degli attentati di Parigi è dell’Occidente, secondo l’usurato copione di certa sinistra radicale

Di Aldo Grasso

Di fronte agli avvenimenti drammatici che stiamo vivendo, meglio non cercare verità nascoste, ma, voltairianamente, dire verità palesi. E invece straparliamo, alla ricerca di alibi reconditi. È successo di recente a una cantante famosa, Fiorella Mannoia, intervistata da una radio di un’università telematica romana.
Per la Mannoia, che non crede alle notizie della «stampa ufficiale», la responsabilità degli attentati di Parigi è dell’Occidente, secondo l’usurato copione di certa sinistra radicale: è colpa dell’Occidente se in Medio Oriente ci sono islamisti che reagiscono con la guerra santa e sterminano i cristiani, è colpa dell’Occidente se in Europa alcuni estremisti uccidono nel nome del Profeta: «Non voglio difendere quei vigliacchi che fanno attentati, anzi. Io sono molto impaurita... Ma non sono vittime anche i civili morti durante i bombardamenti fatti dagli Usa o da altri Paesi occidentali?». Poi bordate contro Oriana Fallaci: «Esaltarla oggi è un mezzo per fare propaganda elettorale. Non è che siccome una sia stata una grande giornalista e una grande scrittrice avesse capito tutto». Chi ha capito tutto, invece, è Fiorella Mannoia: pochi dubbi, molte certezze.

È contro il Giubileo di papa Francesco, ritiene che i pentastellati siano l’unica vera forza di cambiamento. Resta di sinistra, «semmai si sono spostati gli altri».
Credere di parlare a nome delle vittime e dei poveri, solo perché si è vittima delle povere idee.

22 novembre 2015 (modifica il 22 novembre 2015 | 11:28)
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