Titolo: Nicola Tranfaglia. La vicenda Alitalia e la nascita dell’Iri Inserito da: Admin - Settembre 16, 2008, 03:56:44 pm La vicenda Alitalia e la nascita dell’Iri
Nicola Tranfaglia La storia si ripete ma ogni volta con modalità peggiori e quasi sempre, come scriveva Marx già due secoli fa, con modalità di farsa piuttosto che di tragedia? Sembrerebbe proprio di sì, a seguire le manovre politiche ed economiche dell’attuale governo Berlusconi-Bossi-Tremonti. In particolare, il gigantesco pasticcio dell’Alitalia, perseguito dall’esecutivo dopo aver fatto fallire le trattative con Air France, assomiglia in maniera impressionante (ma con un peggioramento di fondo) alla manovra economica compiuta tra il 1931 e il 1934 dal governo di Benito Mussolini . Questi aveva salvato con una discutibile acquisizione le tre grandi banche nazionali (Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma), per rispondere alla grande crisi scoppiata nel 1929 negli Stati Uniti e diffusa in tutta l’Europa, a cominciare dalla Germania di Weimar. La somiglianza, a distanza di più di settant’anni, appare impressionante. L’obbiettivo del governo fascista era quello di salvare le banche, il capitalismo finanziario degli oligopoli (Fiat, Pirelli, Ansaldo e altri minori) presente in maniera prevalente nei tre grandi istituti di credito e di addossare allo Stato le perdite ingenti annidate nelle partecipazioni industriali delle società legate alle banche (la Sofindit della Commerciale, la SFI e l’Elettrofinanziaria del Credito). L’operazione fu chiara ed esemplare perché tutti i debiti di quelle società finanziarie vennero scorporati dalle banche e andarono a costituire l’aggregato industriale-finanziario che nacque allora e venne denominato Istituto per la Ricostruzione Industriale, più brevemente IRI, e alla sua presidenza era stato insediato un tecnico politico di notevoli qualità Alberto Beneduce, transitato negli anni precedenti da Nitti a Mussolini. Le perdite accumulate dagli istituti di credito, attraverso le loro società industriali satelliti, erano ingenti: più di diecimila miliardi di lire addebitati alla Banca d’Italia e rimborsabili, da parte dell’IRI, in obbligazioni entro il 31 dicembre 1953, circa vent’anni dopo attraverso titoli di stato o garantiti dallo Stato. Altri "salvataggi ", minori rispetto a quelli maggiori, si ebbero nei mesi ed anni successivi da parte dell’IRI attraverso la Banca d’Italia a cominciare dalla SIP piemontese e dalle compagnie telefoniche di gran parte della penisola che si riferivano ai medesimi interessi presenti nei grandi istituti di credito. Si trattò - su questo non c’è dubbio - per usare una felice espressione di Ernesto Rossi, l’indimenticato economista allievo di Luigi Einaudi, di una sorta di "socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti" anche perché le tre banche, salvate dalla Iri, sarebbero ritornate, dopo alcuni decenni, a una felice privatizzazione. Ma l’elemento positivo, seppur discutibile, della nuova "economia mista" che era nata in Italia con quella operazione e che proprio nel 1934 fece parlare a torto Mussolini di "socialismo di stato", subito contraddetto da Alberto Pirelli che lo richiamava piuttosto all’iniziativa privata propria del regime fascista, era costituita dalla nascita di un’"economia pubblica" accanto a quella "privata". Ma questo non è affatto previsto nel nuovo progetto Alitalia che conferisce a una compagnia di quindici privati vicini al governo che sborsano poco più che spiccioli per acquisire la "polpa" della compagnia, lasciando ai contribuenti italiani il peso dei debiti pesanti accumulati negli ultimi trent’anni. Senza costituire nulla di nuovo o che assomigli al castello industriale-finanziario che nacque, negli anni trenta, intorno all’Istituto per la ricostruzione industriale. Ma, limitandosi a scaricare semplicemente sulle casse dello Stato e promuovendo, nello stesso tempo, una serie di nuovi contratti per i lavoratori della compagnia che prevedono una pesante penalizzazione dei salari e delle condizioni normative, come se il destino della società già tecnicamente fallita potesse addebitarsi interamente al personale interno piuttosto che al management dell’Alitalia, in molti decenni scelto in base a criteri politico-clientelari da parte degli esecutivi piuttosto che secondo regole di efficienza economica e manageriale. Il tutto con una totale incertezza sulle dimensioni dei licenziamenti e delle mobilità e con un piano industriale che pone la nuova compagnia completamente nelle mani dei soci stranieri assai di più di quanto sarebbe avvenuto con l’unico interlocutore della Air France, nei mesi appena trascorsi. Qualcuno dirà che, negli Stati Uniti, la decisione del governo Bush di "salvare" i due grandi istituti finanziari, Fannie Me e Freddie Mac, protagonisti della fallimentare operazione dei crediti e dei mutui sulle case, assomiglia alla manovra di Berlusconi e, a prima vista sembrerebbe proprio di sì, ma c’è un aspetto fondamentale nella manovra americana di cui, nel nostro paese, non abbiamo notizia ed è l’intervento giudiziario che, negli Stati Uniti, ha condotto all’incarcerazione e ai processi rapidi ed efficaci contro i manager che hanno condotto al fallimento quelle società. Purtroppo nel nostro paese non sono stati assicurati alla giusta punizione tutti gli autori dei Bond argentini e Cirio né si è incominciato a provvedere al necessario risarcimento di quegli italiani che hanno perduto tutto o gran parte per l’irresponsabilità dei funzionari delle banche in quelle vicende. E questo elemento purtroppo sembra caratterizzare sempre le vicende nazionali. Come se la storia non avesse dimostrato a sufficienza che, in un paese in crisi quale è il nostro, ci vogliono personalità di rilievo, formate in un itinerario faticoso, per risolvere problemi complessi che hanno bisogno di soluzioni innovative ed efficaci e non ripetano, peggiorandoli, gli errori di un infausto passato. Pubblicato il: 16.09.08 Modificato il: 16.09.08 alle ore 9.24 © l'Unità. |