Titolo: Immigrati, non solo lavoro. Anche tempo libero Inserito da: Admin - Agosto 04, 2008, 07:35:47 pm Immigrati, non solo lavoro. Anche tempo libero
Tullia Fabiani Di loro si parla quando arrivano, quando sono al centro di polemiche politiche, quando fanno notizia. In genere. Ma per gli immigrati la vita scorre, giorno dopo giorno, come per gli indigeni. Casa, lavoro, tempo libero. Spesso a condizioni diverse certo; ma i ritmi, le scansioni del tempo e dello spazio, sono elementi comuni. Anche loro come i milanesi, i romani, i napoletani la domenica fanno un giro al parco o ai centri commerciali; anche a loro piace passeggiare in riva al lago, o andare al mare. Uscire e svagarsi. Necessità e voluttà da esseri umani. E' un'altra immagine, insolita, quella presentata da un lavoro di ricerca pubblicato da Utet su «Immigrati e tempo libero». Il libro, curato dalla professoressa Mariangela Giusti, docente di Pedagogia interculturale all'Università di Milano Bicocca, racconta attraverso un'indagine usi e costumi delle persone immigrate di prima e seconda generazione durante il tempo libero. E riflette quelle che sono complessivamente le condizioni di vita quotidiana di queste persone, arrivate da tempo nel nostro Paese. Origini e condizioni. Le persone intervistate sono soprattutto donne di età compresa fra i 40 e i 60 anni, arrivate in Italia nel corso degli anni Ottanta e Novanta, prime stagioni delle ondate migratorie. E partite dai paesi del Sud -Est asiatico e del Sud America. Sono persone che all'inizio e per diverso tempo hanno accettato situazioni e condizioni di lavoro e vita difficilmente accettabili per gli italiani; condizioni progressivamente migliorate nel corso del tempo. Tanto da consentire il ricongiungimento in Italia con figli e mariti. E l'organizzazione di una vita "normale". Ad esempio la possibilità di uscire molto frequentemente (61%) nella giornata libera dal lavoro. Trascorrere qualche ora (40) in un parco o in un giardino pubblico; o recarsi, nel caso della Lombardi, nelle località di lago (33), di mare (28) e di montagna (17). Non c'è dubbio che la modalità preferita è quella di recarsi in aree libere, dove non si paga per accedere, dove non ci sono attrezzature da prendere a noleggio. Indipendentemente dall'età, la maggior parte degli intervistati (66%) afferma di recarsi in aree con accesso libero: spiagge, parchi fluviali, parchi urbani. E di scegliere zone panoramiche, e piacevoli dove organizzare grigliate e pic-nic, raccogliere immagini e fotografie delle giornate trascorse nei posti nuovi che, col tempo, diventano sempre più familiari. «Questi grandi parchi fluviali costituiscono spazi che consentono esperienze di paesamento 'cocooning' (rifarsi il bozzolo) di massa, impossibile in città». - spiega Mariangela Giusti - Che significa ‘paesarsi'? Significa portare con sé parte del proprio paese, trapiantare i segni, le usanze, i valori e i sogni in uno spazio vuoto o considerato come tale. Queste famiglie a gruppi che frequentano i parchi trapiantano un modello di società semplificata, alleggerita dalle costrizioni e dagli obblighi materiali e morali quotidiani. Gli spazi verdi dei parchi e quelli ancora più isolati dei parchi fluviali sono come una casa di tutti, come collocata al confine, sulla costa del Mondo e riservata quasi a dei riti che non sono di scoperta ma di regressione sociale e affettiva». Il discorso vale sia per la vacanza sulla spiaggia marina sia sulle rive ghiaiose del fiume dove le famiglie si riuniscono e fanno le grigliate. Momenti in cui, anche attraverso il consumo di cibi tradizionali, secondo la ricerca, «si può veramente parlare di felicità come forza sociale, nel senso che è una felicità individuale ottenuta nel quadro di una felicità collettiva».Dai luoghi all'aperto si passa ai centri commerciali: anch'essi spazi dove trascorrere una giornata di tempo libero. La scelta infatti non viene esclusa dagli immigrati, anzi. Mentre meno numerose sono le persone che indicano come meta delle loro uscite le città d'arte. O i luoghi della fede: citata da molti testimoni è Caravaggio, dove si trova il Santuario miracoloso dedicato al culto della Vergine, e così pure le zona del Sacro Monte del Calvario (fra Varese e Domodossola); meta di viaggi è Assisi per i luoghi di San Francesco; Placanica, piccolo centro sulla costa Ionica della Calabria; poi i luoghi della fede di Roma; Loreto (nelle Marche). Insieme alle famiglie di provenienza sudamericana e asiatica, l'indagine ha coinvolto anche ragazze e donne sole provenienti dall'Europa dell'Est, di immigrazione recente: in Italia da pochi mesi a cinque anni. Si tratta di persone in gran parte giovani che in molti casi hanno meno di 30 anni o si collocano nella fascia 30/40. Nuove e vecchie abitudini. In ogni caso, le indicazioni raccolte mostrano un fitto reticolo di movimenti, spostamenti, esplorazioni che si sono andati costruendo nel corso degli anni: di fatto, sono flussi turistici quasi invisibili, paralleli a quelli ben più noti delle popolazioni locali, che si spostano nei fine settimana o la domenica o per periodi più lunghi durante l’estate, e paralleli anche a quelli che si connotano più esplicitamente come flussi di turismo organizzato. La metà degli intervistati ha conservato l’abitudine di uscire nel giorno di non lavoro, che aveva già prima della migrazione. E in tal caso l’uscita domenicale rappresenta una sorta di «ponte di memoria con abitudini antiche molto consolidate, anche se l’uscita è limitata a un parco o a una zona verde nelle vicinanze dell’abitazione». La maggior parte di loro sono sposate e hanno figli e marito nel paese d'origine: Ucraina, Albania, Polonia, Romania, Moldavia. Tutte hanno figli e quasi tutte possono contare sulla madre, sul padre, sui nonni e su famiglie estese con zie, zii, nipoti, cugini. Eppure, dato significativo per l'autrice della ricerca, nonostante tale situazione alla richiesta di specificare il proprio ruolo all'interno della famiglia, nella grande maggioranza affermano di essere "figlia". «Evidentemente la famiglia estesa, con la presenza di figure anziane (le nonne, le zie, le mamme) consente di mantenere a lungo una percezione di se stesse come giovani e dunque come figlie». Per ciò che riguarda invece i luoghi in cui abitano nella maggior parte dei casi coincidono con l'abitazione della famiglia per cui lavorano, come colf o badanti. E da questa realtà emergono aspetti interessanti: «Le donne parlano della loro vita all'interno di queste case e di come si sentano invisibili come persone - racconta Giusti - e si dicono sorprese dalla scarsa educazione dei ragazzi e dallo stile di vita delle famiglie, che vivono nel benessere ma non hanno rispetto né tra loro, né per gli altri». Una realtà che spinge al confronto: a ripensare al passato, gli anni precedenti la migrazione, e a cercare di resistere al presente per costruire un futuro. Tra abitudini e cambiamenti, nel tempo libero e in quello occupato; tra il tratto identitario dell'infanzia e dell'adolescenza e la loro "nuova vita". Pubblicato il: 04.08.08 Modificato il: 04.08.08 alle ore 12.37 © l'Unità. |