LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. => Discussione aperta da: Admin - Luglio 12, 2007, 12:48:41 pm



Titolo: ROSY BINDI... -
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2007, 12:48:41 pm
12/7/2007 (7:52) - PERSONE

"Il pericolo? Che il partito nasca contro il governo"
 
La pasionaria si candida: "Offro un'altra possibilità rispetto a Walter"

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Prima di tutto si deve riconoscere che è una persona onesta, una di quelle - insomma - dalla quale compreresti la famosa auto usata perché è onesto il suo modo di ragionare, visto che ti accoglie avvisandoti che «guardi non è mica che noi siamo dei pionieri, non ci stiamo mica avventurando coraggiosamente alla scoperta di terre sconosciute: noi siamo, a voler dire la verità, piuttosto i gestori di un ritardo, perché l’Ulivo è nato più di dieci anni fa e stiamo ancora qui a discutere di come farne un partito». Ed è onesta anche la trasparenza con la quale Rosy Bindi parla del suo dissenso rispetto ad alcuni dei primi movimenti del nascente Pd. Non le piace l’idea che le liste per l’elezione della Costituente debbano essere necessariamente collegate alla candidatura del segretario (e ieri è tornata a proporre, senza fortuna, al «Comitato dei 45» la doppia scheda e il voto disgiunto); non le piace la possibile rotta di collisione - che già molti intravedono - tra il nuovo partito (e il suo leader) e il governo di Romano Prodi; e non le piacciono, soprattutto, le motivazioni ex post utilizzate per coprire esigenze e giochini di Ds e Margherita, «che naturalmente capisco, perché non è che abbia cominciato a far politica ieri, ma allora se ne parli con schiettezza, insomma si passi a metodi nuovi e si cominci con lo spiegare, per esempio, quando, perché e in quale sede è stato deciso che in ticket con Veltroni ci sia Dario Franceschini, che è mio amico e che stimo: ma mi chiedo perché serva un ticket oggi, visto che l’avevamo abbandonato già nel 2001 con la candidatura di Rutelli e poi di nuovo l’anno scorso, con quella di Prodi».

Non vorremmo che da tutto questo si traesse un’impressione sbagliata dello stato d’animo di Rosy Bindi, che continua a ragionare (ma il più è deciso) alla sua candidatura per le primarie del 14 ottobre: è una entusiasta del Partito democratico, considera «l’elezione diretta del segretario una delle più importanti innovazioni politiche degli ultimi anni», ammira Veltroni «che è il leader giusto per fare ciò di cui questo Paese ha bisogno: unirlo con serenità». Ma non ci sta - per carattere e formazione - a farsi menare per il naso. Ed essendo nota come «Sorella coraggio», ed avendo cominciato a rompere le scatole a chi predica bene e razzola male già un bel po’ d’anni fa, nella sua Dc, quando segretario era un certo De Mita (e la Dc, certo, non quella di Piccoli o Forlani), insomma, essendo tutto questo, figurarsi quanto può tremare di fronte all’idea di dissentire da Rutelli e Fassino: o di fronte alla malizia che la sua candidatura possa essere fatta passare come quella di una «pasionaria» (altro suo soprannome) che parte, sventatamente, lancia in resta contro il quartier generale e il leader designato.

«Non è questo il senso, ovviamente. E del resto non mi pare che sia avvertita così - spiega accoccolata su un divano del suo ministero (un appartamento a un quarto piano, moderno, lindo, chiaro, che sembra d’essere sbarcati in Svezia) -. Ancora più contenta mi rende il fatto che la mia candidatura non sia intesa come quella “della donna” oppure come la candidatura “cattolica” di cui il Partito democratico avrebbe bisogno: per quello, cioè per la corrente cattolica del Pd, c’è Fioroni che lavora, e basta e avanza... Vede, uno studio condotto tra i potenziali elettori alle primarie rileva che la caratteristica che mi distinguerebbe sarebbe il mio impegno nel sociale, per le questioni che riguardano - insomma - direttamente la vita della gente: bene, è un giudizio nel quale mi riconosco in pieno». E proprio «la gente» - o meglio: il rapporto tra il nascente Pd e la gente - è il suo rovello di queste ore. In fondo, dietro la sua candidatura sembra esserci fondamentalmente questo: offrire un’altra opportunità, una possibilità di scelta a chi il 14 ottobre andrà a iscriversi al Pd ma non vorrebbe votare Veltroni. «Io ho chiesto solo regole che non scoraggiassero altre candidature e quindi più partecipazione da parte della gente. Gliel’ho detto all’inizio: capisco tutto e c’è poco da fare i finti ingenui - spiega- . Ds e Margherita hanno equilibri e organigrammi da far quadrare a Roma e rappresentanze locali da garantire. Però c’è modo e modo. E questo sistema delle liste nazionali legate necessariamente a un candidato segretario - e viceversa, naturalmente - non mi convince. Io sono per la doppia scheda: perché potrebbe essere, per esempio, che voglio votare per Veltroni segretario ma non anche, per dire, per Bettini. Inoltre, questo sistema di più liste collegate allo stesso candidato leader, garantisce certo a Ds e Margherita la possibilità di eleggere nell’Assemblea costituente tutti i dirigenti regionali e nazionali che devono sistemare, ma scoraggia altre candidature e ostacola la partecipazione di gruppi ed esperienze». Ieri, «Sorella coraggio» ha riproposto queste obiezioni al Comitato dei 45: respinta con perdite, si direbbe in gergo militare.

«Peccato - dice Rosy Bindi -. Ma sa che le dico? Che più ostative saranno le regole, più ho voglia di candidarmi. E se sarà così, farò una campagna per segnalare il pericolo maggiore che aleggia sopra di noi: che il Partito democratico nasca - come qualcuno forse vorrebbe - contro il governo, e che Veltroni finisca per diventare il nemico numero uno di Prodi». Questo dirà nella sua «campagna» per le primarie. Questo e altro, chiaro. Per esempio, l’ennesima fine di un’illusione. Raccontano i suoi collaboratori che Rosy Bindi avesse assai apprezzato - e ci avesse creduto - la prima pagina con la quale La Stampa salutò con grandi foto, il 22 aprile, il giganteggiare sulla scena di tre donne: Ségolène Royal, Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Grande titolo: «Democratici, l’ora delle donne». Non era vero. «Promesse, auspici. In fondo è di questo che abbiamo dovuto accontentarci. Ma che vuole, magari sarà vera l’ultima, quella di Giuliano Amato: il prossimo capo della Polizia sarà donna...». Lo dice sorridendo, Rosy la candidata. Come chi, insomma, alle belle favole è tempo che non crede più.

da lastampa.it


Titolo: Prodi sul Pd: «Non tutto è già stato scritto»
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2007, 06:50:57 pm
Il premier: «C'è spazio per candidati, programmi, liste e progetti»

Prodi sul Pd: «Non tutto è già stato scritto»

«Guai a immaginare questa come una corsa 'contro'.

Si tratta di una sfida 'per', alla quale tutti siamo chiamati con responsabilità» 
 
 
ROMA - «Sbaglia chi pensa che tutto sia già scritto e preordinato. C'è spazio per candidati, programmi, liste e progetti. Ma guai a voler immaginare questa corsa come una corsa 'contro'. Si tratta di una sfida 'per', alla quale tutti siamo chiamati con le stesse responsabilità».

È quanto scrive Romano Prodi in una lettera pubblicata sul suo sito internet, parlando del Partito democratico. «Mi aspetto che i 475 collegi elettorali che il 14 ottobre accoglieranno nelle nostre città il voto dei cittadini siano fin da oggi virtualmente aperti.

Per discutere, confrontarsi, aprirsi al dialogo. E per raccogliere un consenso non di facciata, ma una partecipazione convinta». Parlando delle candidature alla segreteria, il presidente del Consiglio spiega: «C'è chi ha già dato la propria disponibilità a giocare in prima persona questa partita e chi deve ancora decidere i modi e le forme del proprio impegno. A loro va il mio grazie sincero per il coraggio e la giusta ambizione che un partito come il Pd deve avere. Un partito che in futuro potrà rappresentare non solo una parte ma, ne sono convinto, la maggioranza delle italiane e degli italiani».

12 luglio 2007
 


Titolo: Dalla parte di zia Gina
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2007, 07:03:32 pm
Dalla parte di zia Gina
Beatrice Magnolfi


Ho avuto una prozia che si chiamava Gina, come la signora evocata dalla ministra Bonino per giustificare l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. La «mia» Gina era nata negli anni 20, rimpiangeva di aver dovuto lasciare la scuola dopo la IV elementare per andare a lavorare nei campi e poi, a soli 14 anni, alla fornace dei mattoni, perché in tempo di guerra servivano le braccia dei ragazzini. Poi è arrivato il momento della pensione.

Dopo aver fatto tanti mestieri e aver curato, al contempo, un nutrito drappello di familiari e congiunti, non sarebbe riuscito a convincerla a rimanere al lavoro nemmeno domineddio, col quale era molto in confidenza. Altri tempi, lo so bene; il paese è completamente cambiato, per fortuna.

Le «ragazze» degli anni 50, di cui si parla in questi giorni a proposito di pensioni, sono lontanissime dalla storia di mia zia. Magari sono tutte sessantenni che si sentono più pimpanti di prima e non chiedono di meglio che continuare a lavorare.

Eppure, forse perché Bonino mi ha fatto pensare alla Gina, continuo a domandarmi se far pagare alle donne la nostra difficoltà a far quadrare i conti pubblici sia proprio la cosa più riformista da fare. La più innovativa, la più europea, la più rispettosa delle pari opportunità.

Si parla molto di andamento demografico e di aspettativa di vita. Ma i dati statistici vanno letti nella loro interezza, ivi compresi quelli che riguardano i tempi di lavoro e le retribuzioni. Secondo l’Istat, le donne lavorano il 30% in più e guadagnano il 30% in meno, a parità di qualifica. All’orario di lavoro, le donne occupate sommano 5 ore al giorno di impegni di cura (bambini, anziani, cura della casa, ecc...), mentre i loro compagni raggiungono a mala pena 1 ora e mezzo. Sono dati che non hanno nulla a che fare con l’Europa.

Si parla molto di denatalità, ma non si ricorda che chi è nata negli anni 50 - sono sempre le statistiche a dirlo - ha cresciuto, mentre lavorava, due figli a testa, con una media di presenza del padre al fianco dei bambini che era perfino inferiore ai 20 minuti al giorno odierni. Anche questo non è affatto uno standard europeo.

Occorre anche considerare il tipo di lavoro, che per la maggior parte delle donne vicine alla pensione non è certo un impiego direttivo, da manager, da ricercatrice o docente universitaria; i grandi numeri si concentrano nella piccola impresa, nella pubblica amministrazione e nell’insegnamento: stipendi bassi e cartellini da timbrare, studenti sempre più sbruffoni, ruolo sociale zero.

Sono state delle pioniere in tutto, le ragazze degli anni 50: in bilico fra due modelli contrapposti, esperte di contraddizioni e sensi di colpa, sono state le prime a lottare per l’emancipazione senza trascurare la famiglia, le prime ad accedere in massa all’istruzione, le prime per le quali il lavoro è stato uno sbocco normale. Ma anche le prime a convivere con figli ormai adulti che non possono permettersi una vita autonoma e continuano a farsi accudire, e contemporaneamente, le prime ad avere, non più giovani, ancora una generazione davanti, quella dei vecchi-vecchi da accompagnare nella decadenza fisica e nelle malattie. Sono le prime nel consumo di detersivi e prodotti per la casa rispetto agli altri paesi europei. E sono anche le prime, sempre loro, nei consumi culturali, libri, cinema e teatro, in un continuo slalom per tenere insieme tutto.

E se il nostro governo spiega con onestà e chiarezza (comunicare con i cittadini non è un optional) che devono essere le prime anche a lavorare più a lungo, potrebbero, chissà, perfino trovare l’orgoglio di prestare un ulteriore ennesimo «servizio civile», naturalmente per scelta e non per obbligo.

L’importante è non prenderle in giro. Non parlare di modernità mentre si sta chiedendo un ennesimo sacrificio. Non citare le pari opportunità quando si stanno trattando in modo uguale situazioni differenti. Non evocare l’Europa che ha tassi di occupazione femminile, di distribuzione del carico familiare e di efficienza del welfare che sono lontanissimi dai nostri. E soprattutto garantire che le risorse aggiuntive non servano per compensare l’attenuazione dello scalone, perché far pagare alle donne la libertà degli uomini è una prassi, questa sì, anacronistica, anzi vecchia come il mondo.

Piuttosto, mettiamo sul tavolo strumenti concreti per costruire un domani meno incerto e precario ai figli, per aiutare le più giovani a tenersi il lavoro e a far carriera dopo aver fatto un bambino, per investire sui servizi agli anziani non autosufficienti, che sono la nuova emergenza sociale delle famiglie. Senza tabù ideologici (le donne ne hanno sempre avuti pochi), ma partendo dal dato di realtà, che è l’essenza del riformismo. Solo così possiamo avere le carte in regola per chiedere qualcosa a tutte le Gina d’Italia.


*Sottosegretario
Riforme e Innovazione


Pubblicato il: 12.07.07
Modificato il: 12.07.07 alle ore 8.48   
© l'Unità.


Titolo: Con lei in corsa Veltroni e Colombo
Inserito da: Admin - Luglio 16, 2007, 07:08:32 pm
Con lei in corsa Veltroni e Colombo

Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd

L'annuncio affidato a un comunicato: «Anche io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona»   
 

ROMA - Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd alle primarie del 14 ottobre. Lo ha annunciato lo stesso ministro della Famiglia attraverso una nota: «L'appuntamento del 14 ottobre ha risvegliato nel popolo dell'Ulivo nuove attese e una grande speranza nel Partito democratico - è scritto nel comunicato -. Queste attese e queste speranze non possono andare deluse. Anch'io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona. Ho riflettuto a lungo sul contributo che avrei potuto dare a questa straordinaria opportunità per la politica e il paese. Sono ormai convinta che la scelta più giusta e più utile sia quella di presentare la mia autonoma candidatura alla segreteria del nuovo partito». Al momento, oltre alla Bindi, i candidati sono Walter Veltroni e Furio Colombo. Il ministro Bersani aveva al contrario annunciato la propria rinuncia alla segreteria del Pd pochi giorni fa.

CONTRO IL REGOLAMENTO - Il ministro Bindi ha poi spiegato: «Il Comitato dei 45 ha approvato un regolamento elettorale che favorisce chi può contare su una forte organizzazione. Ds e Margherita, attraverso i loro più autorevoli esponenti, hanno già dichiarato di appoggiare la candidatura di Walter Veltroni». «Nonostante questi limiti - ha continuato - sono convinta che in tantissimi, donne e uomini e soprattutto giovani e giovanissimi, che già si sentono democratici pur non militando nei partiti esistenti o sentendosi estranei ai loro apparati organizzativi, si aspettano e vogliono essere protagonisti di questa nuova stagione».

«LASCERO' ALTRI INCARICHI» - La scelta delle segreteria del Pd obbligherebbe ovviamente il ministro della Famiglia a rinunciare agli altri incarichi. Onere che la Bindi accetta senza problemi: «Se sarò eletta rinuncerò a qualunque altro incarico. Consapevole del rilievo di questo impegno per la nostra democrazia e il futuro del Paese, mi dedicherò esclusivamente a questo compito entusiasmante che corrisponde ad una grande domanda di cambiamento della politica»

16 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: Rosy Bindi La pasionaria si candida: "Offro un'altra possibilità rispetto a ...
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2007, 10:42:26 pm
Rosy Bindi si candida, e Rutelli si arrabbia con Parisi


Grazie a donne, giovani e militanti. «Rigrazio tutti coloro, in particolare i tanti come me, i cittadini comuni e i militanti dei Ds e della Margherita che in queste ore, attraverso tante mail e tanti messaggi apprezzano la mia scelta». A dichiararlo è la candidata alla leadership del Partito democratico Rosy Bindi che, in una nota, rivela che «ci stiamo organizzando e tutti saranno coinvolti in questo cammino. E ringrazio tutte le colleghe e i colleghi che hanno dichiarato il loro apprezzamento».
Ma, prosegue il ministro della Famiglia, «soprattutto Arturo Parisi, che tanti anni fa ci ha consegnato l'intuizione politica dell'Ulivo e da allora prosegue con tenace fedeltà la prospettiva del Partito democratico». «Non mi candido e appoggio la Bindi», ha fatto sapere Arturo Parisi, annunciando che con la candidatura alla segreteria del Pd di Rosy Bindi vengono meno le ragioni di una sua discesa in campo e ha annunciato anzi il suo sostegno alla leadership del ministro della Famiglia. «Al momento scelgo indiscutibilmente lei».

Perché? «La Bindi ha alzato la mano indipendentemente dall'indicazione dei partiti anzi contro l'indicazione dei partiti stessi - continua Parisi - superando i limiti di un regolamento che è stato pensato sulla base e con il presupposto che ci fosse il controllo dei partiti».

«Brava Rosy» lo dice anche il ministro delle Telecomunicazioni Paolo Gentiloni, che nel suo blog nel web però scrive: «Io tifo Walter, ma oggi penso che Rosy abbia tutte le carte in regola per non essere una "sparring partner" e per presentarsi come candidata segretaria».

La decisione di Rosy Bindi di candidarsi alla Segreteria del Pd? «Benone! Sono contenta perché è una bella candidatura», dice Anna Finocchiaro. «Plauso a Bindi candidata - afferma invece la "teodem" Paola Binetti - ma scelgo il manifesto di Rutelli». Alla Bindi arrivano poi gli auguri di una collega del governo, Livia Turco: «Ad una cara carissima amica non si può che augurare in bocca al lupo». E il capogruppo dell'Ulivo alla Camera, Dario Franceschini, afferma: «Il fatto che ci siano altri candidati come Rosy Bindi e Furio Colombo arricchisce il confronto sul nuovo partito».

Da Trieste, laconico il commento di Francesco Rutelli al sostegno di Parisi alla candidatura di Bindi: «Ognuno dice e fa, come si vede, quello che vuole». Intanto, resta ancora il punto interrogativo su cosa deciderà il sottosegretario Enrico Letta, anche se in molti danno quasi per scontata la sua candidatura.


Pubblicato il: 17.07.07
Modificato il: 17.07.07 alle ore 17.49   
© l'Unità.


Titolo: Pd, Letta rompe gli indugi: «Mi candido per le primarie»
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2007, 10:05:46 pm
Pd, Letta rompe gli indugi: «Mi candido per le primarie»

Il 25 luglio il debutto a Piacenza?


Enrico Letta rompe gli indugi e si candida: correrà per la segreteria del Partito democratico.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a quanto si è appreso, in queste ore ha sciolto la riserva e confidato ai suoi collaboratori più stretti la decisione di competere alle primarie del prossimo 14 ottobre.

Letta - 41 anni il 20 agosto, pisano - aspetterà la prossima settimana per ufficializzare la candidatura perché, ha spiegato al suo entourage, «non voglio rubare la scena a Rosy Bindi». L'appuntamento, quindi, dovrebbe essere a Piacenza mercoledì 25 luglio, nel cuore di quel nord che il Partito democratico si propone di riconquistare.

A Piacenza, poi, c'è il sindaco dielle Roberto Reggi già al lavoro affinché la città emiliana sia la "Torino" di Enrico Letta che, inoltre, sta mettendo a punto un documento programmatico di sostegno alla sua candidatura.


Pubblicato il: 18.07.07
Modificato il: 18.07.07 alle ore 16.21   

© l'Unità.


Titolo: Emma Bonino ... Danze romane
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2007, 10:12:43 pm
18/7/2007
 
Danze romane
 

FEDERICO GEREMICCA
 
Emma Bonino rimette il proprio incarico di ministro nelle mani di Romano Prodi e Romano Prodi, tempo un’oretta, la rimette al suo posto di ministro senza «neppure prendere in considerazione» l’ipotesi di sue dimissioni. Nel brevissimo intervallo si scatena la solita guerriglia nella coalizione di governo, durante la quale Rifondazione ha modo di dare dell’irresponsabile e della ricattatrice al ministro para-dimissionario, il partito di Mastella di dire che a questo punto meglio un governo istituzionale che porti alle elezioni e l’opposizione - naturalmente - di fregarsi le mani e di ripetere: «Lo vedete che il governo è morto? Si agita ancora, ma in realtà è morto».

Se invece di scrivere al premier una lettera, Emma Bonino avesse alzato il telefono per dirgli «bada che se sulle pensioni cedi alla sinistra radicale io mi dimetto», avrebbe almeno risparmiato al governo (e dunque, si presume, anche a se stessa) la quotidiana slavina mediatica. Ma tant’è. Il clima da campagna elettorale mai conclusa non rende deprimenti e dannosi solo i rapporti tra maggioranza e opposizione: è ormai stabilmente attecchito anche all’interno della coalizione di governo, dove da tempo è tutto un fiorire (e combattere) di presunti pavidi contro presunti coraggiosi, custodi del maggioritario e vestali del proporzionale, radicali e riformisti, leader di oggi e leader di domani. Che in queste condizioni il solito sondaggio mensile segnali un ulteriore calo di fiducia verso il governo (35% rispetto al 39% di giugno: cioè ben al di sotto dei consensi ottenuti dall’Unione appena 15 mesi fa) non può sorprendere.

Anzi, verrebbe da dire che sfiora il miracolo il fatto che un italiano su tre esprima ancora gradimento nei confronti dell’esecutivo. Naturalmente, se Emma Bonino avesse usato il telefono invece che carta e penna, nulla sarebbe cambiato per quanto riguarda il merito della nuova «curva pericolosa» che è di fronte a Romano Prodi. E il merito è quello che è: tentare di dare un’aggiustata in corsa all’ennesimo lavoro a metà (stavolta lo scalone in materia di pensioni) lasciato in eredità al centrosinistra dal governo di Silvio Berlusconi. L’impresa si presentava come già difficile in partenza, considerate le contrapposte aspettative che pesano sul riordino del sistema previdenziale e la quantità di osservatori (nazionali ed esteri) già lì col dito alzato pronti a giudicare quel che verrà fatto. Va onestamente riconosciuto, però, che le difficoltà sono state moltiplicate per dieci dalla dinamica messasi in moto nella coalizione di governo un minuto dopo (o forse addirittura prima...) il giuramento dei ministri al Quirinale: e cioè quella sorta di gara, di sfida, a chi la spunta e a chi è più inflessibile tra la componente radicale e quella riformista dell’Unione.

Secondo molti - e non si fa fatica a crederci - questa dinamica, al di là delle note e antiche convinzioni personali in materia, avrebbe pesato anche sulla mossa di Emma Bonino. Con una ulteriore aggravante: che oltre a dover dimostrare che le «posizioni conservatrici o reazionarie della sinistra comunista e sindacale» non passeranno (così nella sua lettera a Prodi), la leader radicale ha dovuto battere un colpo anche perché insidiata nella sua torretta liberista dalle posizioni assunte da alleati (si fa per dire) di centro - e il riferimento è a Rutelli e al suo manipolo di «coraggiosi» - nonché addirittura da ex compagni di partito come Capezzone, che ormai alla deriva tra centrodestra e centrosinistra vagheggia addirittura una nuova «marcia dei 40 mila» giusto sulla riforma delle pensioni. Si tratta, come per altro i risultati dovrebbero aver dimostrato agli stessi protagonisti, di atteggiamenti incomprensibili: o meglio, comprensibili alla vigilia di elezioni, quando si è a caccia di voti, non certo quando il mandato ricevuto è a operare e costruire, piuttosto che propagandare. Il perseverare - nonostante sondaggi, risultati elettorali amministrativi e disaffezione dei cittadini suggeriscano di darci un taglio - ormai non pare definibile con una parola diversa da suicida.

Comunque sia, il governo dovrebbe aver guadagnato un altro titolo di apertura dei giornali. Dopo quello di ieri sul monito di Draghi (appunto in materia di pensioni e fisco) e quelli dei giorni scorsi per l’ennesimo «lascia o raddoppia» al Senato sulla riforma della giustizia, quelli di oggi saranno a metà tra «lo strappo della Bonino» e l’annuncio di Palazzo Chigi che venerdì il Consiglio dei ministri varerà la riforma delle pensioni. Prodi, naturalmente, è stato subito parzialmente smentito dal ministro Damiano, che, alla domanda se il governo ce la farà a chiudere la partita-previdenza entro la settimana, ha prima fatto una smorfia e poi risposto «dobbiamo provarci»: ma stavolta, almeno, non vi sono stati aggiunti diktat, minacce e annunci di crisi. Può sembrar poco, è vero: purtroppo non lo è.
 
da lastampa.it


Titolo: Critiche alla coppia tra il sindaco di Roma e Franceschini: "Io faccio da sola".
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2007, 04:14:23 pm
POLITICA

Il ministro Bindi ha presentato il suo programma "di partito e non di governo"

"Non mi candido contro Veltroni. Certo tra noi molte differenze"

Il manifesto di Rosy: partecipazione "Non ho bisogno di ticket" e "no ai tatticismi"

Critiche alla coppia tra il sindaco di Roma e Franceschini: "Io faccio da sola".

Un po' "Davide contro Golia senza neppure la fionda", la candidata chiede aiuto logistico all'Ulivo.

Intanto si affida a internet

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - "Io non mi candido contro Veltroni, semmai do un contributo al nuovo partito". Comincia mettendo i puntini sulle "i" e spiegando perchè la sua, quella di Rosy Bindi, è una candidatura "diversa". "Tanto per cominciare - arringa i presenti il ministro della Famiglia che, sorridente, sfoggia tailleur nero e filo di perle con un taglio di capelli sempre corto ma più sbarazzino - io sono una donna e lui è un uomo e questo è il momento delle donne; ho una forte attenzione aio temi del sociale e poi non mi candido con un programma di governo - perchè un governo c'è già - ma con un programma per il partito nuovo".

Residence di Ripetta, cuore di Roma, a due passi da piazza del Popolo, mezzogiorno. Rosy Bindi parla di sé, del partito che immagina e che vorrebbe e spiega perché ha deciso di candidarsi nonostante l'ingombrante e stravincente ticket Veltroni-Franceschini. Perchè ha deciso di andare anche contro il diktat del suo partito - la Margherita - che aveva già selezionato il suo candidato forte, Dario Franceschini.

Servono motivazioni molto forti per fare una scelta così di rottura, di passione. Il ministro della Famiglia cerca di spiegarli tutti, questi motivi. E comincia da quella che è la sua idea di partito "che dovrà ridare dignità e autorevolezza alla politica, perchè la politica si assuma la responsabilità di risolvere i problemi del nostro paese".

Passione, partecipazione, risposte concrete. "Il mio - promette - sarà il partito degli italiani, tutti, senza differenze, senza nomi importanti". Un partito "senza ambiguità nè tatticismi", delle persone normali "e non degli apparati" tanto che "il primo firmatario della mia lista è uno studente, poi c'è una casalinga". Lei cattolica, dovrà e vorrà "rappresentare tante culture".

Per scaramanzia la Rosy aveva prenotato una stanza piccola, cento persone, chissà. Un disastro, nel senso che per il battesimo della sua candidatura sono arrivate moltissime persone, pigia pigia, posti in piedi, caldo, mescolarsi. C'è Gad Lerner ("Sto con Rosy, è una popolare con la P maiuscola"), c'è Franca Chiaromonte, deputata dell'Ulivo, femminista storica, che fa pubblico endorsement, la dichiarazione di voto: "Appoggiare la candidatura di Rosy è una scelta dettata da trent'anni della mia storia politica e femminista. Mi spiace per Anna Finocchiaro, Giovanna Melandri, Livia Turco, la mia non è una cesura col mio passato (e che avrebbe preteso il rispetto della disciplina di partito e l'appoggio a Veltroni, ndr) sono sicura che lavoreremo insieme". In sala anche il parisiano Antonio La Forgia, Marina Magistrelli, Franca Bimbi, la regista Liliana Cavani, Giovanni Bachelet, il figlio di colui che fu il suo professore, un fuoco di artificio di battute e lodi al coraggio di Rosy: "Chi non risica non... Rosyca".

Il ministro-candidato non vuole un ticket, non cerca un secondo, "non serve, non ha senso: Veltroni ha le carte in regola per rappresentare tutte le componenti del futuro partito, come io, se diventerò segretaria, saprò interpretare tutte le componenti, pur provenendo da una storia diversa, senza bisogno di un'altra persona accanto a me". A chi dice che sia sostenuta da Prodi, risponde: "E a chi non piacerebbe?". A Enrico Letta, se vorrà candidarsi, fa i migliori auguri.

Ma la parola d'ordine del suo manifesto è partecipazione. "C'è chi pensa - ha proseguito il ministro - che le tante diseguaglianze che oggi l'Italia sta vivendo debbano essere risolte con l'antipolitica mentre noi sappiamo che questo si può fare solo con una grande partecipazione politica. Per questo facciamo appello ai giovani, alle donne, perchè si assumano questa responsabilità, cioè quella di interpretare questo paese e di dare delle risposte insieme. Per mettere insieme il Sud e il Nord, i giovani e gli anziani per ridare speranza ad un paese che ha subito troppe ferite in questi anni". La ricetta dell'antipolitica è una sola: "Più partecipazione". Coinvolgere, mescolarsi, rompere con i vecchi metodi.

Lei è perfettamente consapevole di aver "rotto" con i vecchi metodi, di aver sparigliato regole già scritte, anche per questo dice ai candidati e ai rispettivi apparati: "Facciamo un patto d'onore tra candidati e dopo le primarie, chiunque sia il vincitore, non vengano chieste verifiche nelle istituzioni locali", quella vecchia pratica per cui venivano sostituiti gli amministratori che avevano appoggiato il candidato perdente.

Applausi, emozioni e sorrisi per il candidato-donna, il primo e - parrebbe - anche l'unico del nuovo partito che pure ha preteso il 50 per cento dei candidati donne. Nell'ingresso dell'albergo c'è il tavolo per la raccolta delle firme: dovranno essere tremila entro il 30 luglio, di cui 500 raccolte in cinque regioni diverse. Volontari e messo comunale sono al lavoro dalle undici della mattina. Certo, la Rosy si sente un po' come "Davide contro Golia (Veltroni ndr) senza però avere neppure la fionda". Al di fuori delle metafora biblica, il problema è che la Bindi non ha nè un partito nè una struttura per la sua campagna da segretario. "Chiedo all'Ulivo che mi dia almeno una stanza in SS.Apostoli..." dice. Eh, già: i concorrenti hanno tutto, a cominciare dalle strutture di partito che organizzano incontri, raccolta firme e soldi. E lei?

Di certo non si perde d'animo. "C'è internet, e poi ci sono gli amici, non siamo un partito ma una famiglia molto professionale". I supporter di Rosy devono tenere d'occhio due web indirizzi: su rosybindi.it ci sono già adesso le informazioni per capire dove andare a firmare e il programma del candidato; nella prossime ore, entro il fine settimana, sarà attivo un altro sito "scelgorosy.it" dedicato alle primarie. I collaboratori giurano che alla web candidata, che non dimentica di organizzare anche il porta a porta, "arriva un mail di sostegno ogni cinque minuti, una valanga di simpatia".

(19 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Adinolfi e l'idea di una "grande coalizione" del Web (!?)
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2007, 07:14:44 pm
21/7/2007 - E-POLITICA E DEMOCRAZIA ELETTRONICA
 
Adinolfi e l'idea di una "grande coalizione" del Web
 
 
"Mario, fai sognare anche noi": l'augurio dei blog di destra a un blogger di sinistra 
 
Mario Adinolfi, blogger di centrosinistra, mi ha inoltrato questo documento scritto da 5 blogger di centrodestra, che ha ricevuto dopo la sua candidatura per il Partito Democratico:  un'iniziativa "in nome del bene comune, per una volta sganciata, per quanto è possibile, da differenze politiche e culturali".

Bloggare è di sinistra, di destra, o è la volta di una "grande coalizione" del Web?

Abbiamo una rovente estate per discuterne...


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"MARIO, FAI SOGNARE ANCHE NOI"
Siamo un gruppo di blogger che si collocano all'interno dell'attuale schieramento politico di centrodestra. Crediamo da sempre nello strumento blog quale possibile mezzo di influenza culturale e politica, quale evoluzione del modo di informare e di essere informati. Negli ultimi anni abbiamo condiviso molte battaglie "virtuali", contribuendo con passione e impegno alla realizzazione di progetti ambiziosi. Abbiamo sempre cercato di usare i nostri blog senza partigianerie, sforzandoci di non seguire ciecamente gli ordini di scuderia ma discutendo, confrontandoci, creando un canale di comunicazione anche con chi non la pensa come noi. Tutto questo, sia chiaro, rimanendo saldamente ancorati alle nostre convinzioni politiche e culturali. Avevamo riposto molte speranze nella crescente diffusione dei blog di centrodestra, sperando che prima o poi alle parole sarebbero seguiti i fatti concreti, l'impegno sul campo, la raccolta di quanto si era seminato in precedenza. Oggi, a malincuore, dobbiamo ammettere che poco o nulla è successo in questo senso. Si tratta di una riflessione che facciamo convintamente da mesi ma che particolarmente in questi giorni diventa tremendamente attuale.

La candidatura a segretario del Partito Democratico di Mario Adinolfi, giornalista e blogger di centrosinistra, ha messo in evidenza ancora una volta la differenza di impostazione che separa i blog che si riconoscono nell'attuale maggioranza di governo e quelli di centrodestra. Da anni ci siamo autoconvinti che noi siamo i "blog del fare" contrapposto ai "blog del dire"; noi azione, loro sterile, continuo e cervellotico dibattito; noi liberi e liberali, loro indottrinati e statalisti. Forse avevamo ragione, forse no. Fatto sta che oggi, mentre gli ideologi della rivoluzione dei ragazzi in pigiama hanno perso molto del loro appeal e del loro slancio originario, dall'altra parte qualcosa si muove: Adinolfi parte dal blog e tenta di intraprendere la sua "rivoluzione in bermuda". Una scelta coraggiosa, quasi suicida politicamente ma di sicuro impatto mediatico.

Sia chiaro: nessuno di noi si sente vicino alle posizioni politiche di Mario Adinolfi, tantomeno a quelle del nascente Partito Democratico . Le nostre considerazioni riguardano solo ed esclusivamente lo strumento blog e i suoi possibili utilizzi anche nella vita reale. La "second life" creata ad hoc dai blogger di centrodestra ci appare a volte come qualcosa di sterile e fine a se stesso, un esercizio narcisistico e onanistico che somiglia tanto ad un'élite (o presunta tale) che ad un movimento di ampio respiro. Si discute, ci si fanno i complimenti a vicenda o si litiga, ma tutto rigorosamente all'interno dello stesso "branco" di appartenenza. E' proprio la mancanza di visione ad ampio spettro che imputiamo a chi fino ad oggi ha "gestito" il movimento dei blogger di centrodestra presenti in rete. L'idea che, vittime di una sorta di nuovo complesso dei migliori data dalla oggettiva incapacità dell'attuale governo di centrosinistra, quelli che avrebbero dovuto fare la "rivoluzione culturale" siano finiti in un limitante tifo di squadra che perde quel minimo di capacità critica necessario, se non a costruire, quantomeno a proporre il domani.

L'immobilismo colpevole del centrodestra virtuale si scontra oggi con il movimentismo dell'altro versante politico. Adinolfi è lì; dove sono i guru dei blog liberalconservatori? Per questo, dunque, pur non condividendo il progetto politico alla base dell'impegno di Adinolfi e sentendoci distanti anni-luce dal Partito Democratico, ci troviamo quasi costretti ad appoggiare l'impegno di Mario che rappresenta, anche per noi, un momento di avanguardia nel mondo dei blog. Dal virtuale si passa al reale; dai post alle dichiarazioni rogrammatiche; dall'onanismo salottiero e sonnacchioso all'impegno politico concreto.

E' quello che vorremmo accadesse anche sul nostro versante. Ma visto che questo sembra per adesso un obiettivo lontano, esprimiamo i nostri migliori auguri a Mario Adinolfi e gli offriamo, nei limiti delle sacrosante differenze politiche e culturali, il nostro supporto in questa difficile ma entusiasmante battaglia.

Firmato:
Domenico Naso –http://www.ilmegafono.net
David Moser –http://daverik.wordpress.com
Roberto Nicolai –http://www.robinik.net
Diego Destro –http://daw.ilcannocchiale.it
Fabrizia Cioffi –http://inyqua.iobloggo.com
Cantor –http://www.cantorblog.net


da lastampa.it


Titolo: Rosy Bindi: Vi spiego le mie idee
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2007, 05:55:28 pm
Vi spiego le mie idee

Rosy Bindi


La fase costituente del PD entra nel vivo grazie ad una competizione vera tra più candidati, ciascuno con le sue idee e il suo programma. Ho riflettuto a lungo su come dare il contributo migliore e la scelta di candidarmi mi è parsa la più utile e impegnativa.

Il sostegno che ho ricevuto in questi primi giorni, mi conferma nella decisione. Risponde alle attese di tanti militanti nella Margherita e nei Ds ma anche di tantissimi - giovani, donne, uomini - che guardano da tempo e con speranza a questo progetto.

La nostra ambizione era ed è quella di restituire autorevolezza alla politica, scommettendo proprio su un’idea nuova di partito e di politica. Un’idea che insieme abbiamo coltivato e perseguito, tra fatiche e lacerazioni, con tenacia e con grande passione comune. Un partito plurale e aperto, capace di unire le culture politiche del Novecento ma anche le nuove istanze dei movimenti per la pace, lo sviluppo sostenibile, i nuovi diritti di cittadinanza.

Il Pd non sarà, lo abbiamo ripetuto anche nei nostri congressi, una fusione a freddo tra due gruppi dirigenti ma una grande forza popolare, democratica, radicata nel territorio. Dobbiamo invece avere il coraggio di mescolarci tra di noi, senza quote e senza bilanciamenti di appartenenza, di spalancare a tutti le porte del nuovo partito. Dobbiamo avere a cuore l’unità futura del partito, la capacità di sintesi della sua leadership. Anche a questo giova il confronto sul programma, le alleanze, le riforme istituzionali e il rapporto con il governo Prodi.

In questo confronto porto la convinzione che il Pd si colloca al centro del centrosinistra per portare tutto il centrosinistra al governo. Un partito che concepisce il bipolarismo come democrazia governante e non allude tatticamente ad alleanze di «nuovo conio», al contrario, lavora per rafforzare la scelta di governo di tutto il centrosinistra. Il Pd che potenzialmente supera il 35% deve avere un dialogo inteso con la sinistra stimata al 15%.

Il Pd mette alla prova se stesso nel sostegno al Governo e nelle scelte impegnative di questo tempo. È necessario cambiare la legge elettorale per mettere in sicurezza il bipolarismo italiano, ma il consenso in Parlamento va cercato a partire da un accordo nel centrosinistra. Assi preferenziali tra una parte del centrosinistra e una parte del centrodestra hanno più il sapore di sospettosi accordi politici che di chiari e doverosi dialoghi istituzionali.

Sul piano delle riforme sociali abbiamo corretto l’iniquità dello scalone. Il governo ha dimostrato di saper fare riforme impegnative pensando anche al futuro delle nuove generazioni, una prova di riformismo maturo e della capacità del Pd di tenere unita tutta la coalizione. Noi, infatti, dobbiamo avere a cuore la sfida di superare vecchie e nuove disuguaglianze sociali: tra Nord e Sud dell’Italia, tra donne e uomini, tra giovani e anziani. Il sostegno al Governo Prodi è il sostegno a un programma di crescita e di sviluppo che coniuga equità e solidarietà, che ripensa il welfare in una chiave più moderna e più giusta. Un partito che guida il cambiamento, riconosce i meriti e promuove l’innovazione. Ma non si accontenta delle pari opportunità di partenza e ha l’ambizione di non lasciare indietro nessuno e sostenere le qualità di ciascuno.

Un partito infine che riconosce il momento delle donne, e investe su di loro per una nuova qualità della democrazia. Le donne conoscono dissensi di partenza, ma non se ne fanno paralizzare e sono le prime ad avvertire il bisogno di una nuova laicità. La mia candidatura vuole anche incoraggiare il protagonismo femminile, la voglia di assumere, in tante, nuove e maggiori responsabilità anche in politica.

Ciascuno di noi in questi anni ha lavorato sodo per arrivare all’appuntamento del 14 ottobre. Ognuno sa quanta strada è stata fatta nei Ds e nella Margherita e quanto il simbolo dell’Ulivo sia stato immagine ma anche sostanza di una nuova casa comune.

Per questo le primarie sono una straordinaria occasione di mettere alla prova la nostra capacità di innovazione. Per questo tutte le candidature possono dare un contributo e tutte sono degne di essere prese in considerazione.

La mia è al servizio di una mobilitazione più larga, oltre gli iscritti ai due partiti. Sono a disposizione di tutti: per valorizzare le energie migliori, motivare all’impegno politico quanti già si sentono democratici e vogliono essere protagonisti a pieno titolo di questa nuova stagione. Non mi nascondo le difficoltà, politiche e organizzative.

Il regolamento favorisce chi può contare su forti strutture organizzate centralmente, premia le vecchie appartenenze e non prevede la possibilità di votare direttamente il nuovo segretario. I Ds e la Margherita hanno già espresso, attraverso i loro più autorevoli esponenti, appoggio a Walter Veltroni. Presentare liste e candidati alternativi in tutti i collegi non sarà una passeggiata.

Occorre evitare che il legittimo sostegno al ticket con Franceschini provochi più o meno esplicite «conventio ad escludendum» nei confronti di altri candidati. E non vorrei che i dirigenti locali di Ds e Margherita si mettessero a disposizione solo di una parte e non di tutti gli altri candidati che ugualmente sono impegnati nella costruzione del partito nuovo.

La responsabilità che hanno oggi i due partiti è quella di animare il confronto con tutti e per tutti, così da garantire una reale fase costituente.

Resto convinta che il progetto del Pd sia più forte degli accordi tra i vertici. Resto convinta che la libertà delle persone sia più forte delle regole. La scommessa della mia candidatura è anche questa: realizzare il massimo di apertura a tutti i livelli e incoraggiare l’incontro vero e leale tra tutte le diverse sensibilità del Pd.

Sarebbe imperdonabile sciupare questa occasione per il timore di perdere ciascuno qualcosa: certezze e garanzie del passato, ruoli e collocazioni del presente.

Sarebbe imperdonabile mortificare la domanda di nuova politica che viene dal Paese, ma anche la domanda di democrazia e libertà che viene dai militanti e dagli iscritti di Ds e Margherita.

Chi sarà eletto il 14 ottobre è chiamato ad un’impresa impegnativa ed esaltante, cui mi dedicherò a tempo pieno dimettendomi dal Governo in caso di vittoria, dare forza e anima ad un soggetto politico nuovo. Un Partito democratico, davvero.

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.53   
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Titolo: Bindi: «Corro per tutti e per arrivare prima»
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2007, 05:49:03 pm
Bindi: «Corro per tutti e per arrivare prima»

Alessia Grossi


«La sfida della mia candidatura non è quella di rappresentare tutte le donne, ma tutti, donne e uomini». La ministra della famiglia Rosy Bindi, unica candidata donna alla guida del nascente partito democratico risponde alle domande dei navigatori durante la videochat di mercoledì su l'Unità.it. «Le donne possono rappresentare tutti. È il momento in cui questo può avvenire, chiedo il voto anche degli uomini». E, aggiunge la Bindi, «corro per arrivare prima, non per arrivare seconda. Sono di Siena, il palio si corre per vincerlo».

«Ma che ne pensa la candidata Bindi del "Manifesto dei coraggiosi" di Rutelli e come vede la possibilità di alleanze di "nuovo conio" cui il testo fa riferimento in caso di crescenti difficoltà in seno alla attuale maggioranza?» domanda il direttore, Antonio Padellaro. «Non capisco che cosa ci sia di coraggioso in quel manifesto e anche l'espressione "nuovo conio" mi preoccupa», dice Rosy Bindi. «Ma aspetto di conoscere l'opinione di Veltroni» dice un po' provocatoriamente. «Veltroni deve dire cosa pensa del Manifesto di Rutelli che tra l'altro lo sostiene. Non è concepibile che in merito si sia espresso solo Franceschini» - continua «e anche a Letta rivolgo la stessa domanda». Rosy Bindi ammette che una coalizione, specialmente se difficile come quella dell'attuale maggioranza «debba avere l'ambizione di allargare le proprie prospettive ma non a tutti i costi. Non sempre guardare al centro significa garanzia di moralità ed eticità. Puntiamo casomai a stare con il Pd accanto alla sinistra democratica e alla sinistra europea, che oggi rappresentano il 15 per cento dell'elettorato» spiega la ministra. «Che ne pensa Rosy Bindi della "disavventura" del deputato dell'Udc Mele» - chiede Cosetta Pellegrini- «come pensa che la gente prenderà questa questione in un momento in cui l'idea dei privilegi della casta ha già allontanato i cittadini dalla politica?» «Il Pd deve raccogliere anche la sfida di restituire una rispettabilità alla politica e motivare i cittadini» - dichiara la Bindi. «Ma non dobbiamo confondere l'antipolitica con questa miseria». «In Senato in questo momento si stanno facendo i test per gli stupefacenti perché l'Udc vuole dimostrare che Mele è solo una mela marcia». «Oltretutto - aggiunge la ministra «Ci vuole un gran coraggio per proporre, come ha fatto Cesa un indennità per il ricongiungimento dei deputati che hanno la famiglia fuori Roma». «L'atto di Mele se fosse stato compiuto da un qualsiasi cittadino sarebbe stato condannato senza riserve»- spiega la Bindi -«mi auguro che l'Udc la smetta e che chieda scusa ai cittadini».

Ma la sfida della ministra della famiglia è anche e soprattutto quella sulla laicità e molte sono le domande che i lettori le rivolgono a riguardo. Gaia chiede quali sarà il suo impegno per la laicità del nuovo partito, Luigi cosa pensa del testamento biologico, Giovan Sergio cosa ne pensa della ricerca sulle staminali. A tutti la candidata alla segreteria del Pd, da cattolica che crede fermamente nella laicità dello Stato, ribadisce: «Chi come me entra nel partito democratico da credente deve sentire come un impegno quello di una sana e fertile laicità per costruire una vera pluralità». «Legiferare su testamento biologico e ricerca è necessario» aggiunge, «tenendo presente il bene dell'umanità e la dignità della persona». «Da cattolica sono contraria all'eutanasia ma il Senato sta lavorando e credo che debba farlo nel rispetto della pluralità e delle diverse sensibilità» conclude la Bindi.

«E i Dico? Non crede che siano stati sacrificati sul tavolo del governo» chiede Antonietta. La ministra della famiglia è chiara: «Le difficoltà non sono venute dal governo. Quella della famiglia è diventato un argomento politico con cui la destra ha creduto di prendere i voti delle piazze che si sono riempite in sua difesa».«Il nuovo disegno di legge di Salvi incontrerà probabilmente più difficoltà di quello sui Dico» aggiunge la Bindi. «Non è coerente con il programma dell'Unione. Si batte per il riconoscimento di tutti i tipi di convivenze e credo» -continua il ministro- «che in molti solleveranno il dubbio di incostituzionalità». «Chi difendeva la famiglia si sentirà ancora più minacciato dalla proposta di Salvi. Io stessa non la condivido».

Al di là delle beghe politiche, degli scandali della cocaina, della corsa al Pd, ci sono le difficoltà delle persone. Ed è Bianca a proporle concretamente alla ministra: «Sono una mamma lavoratrice, praticamente due lavori a tempo pieno senza riconoscimento. Dopo il primo figlio sono stata emarginata in azienda e costretta a chiedere il part-time per stare dietro a tutto», una chiara sintesi delle difficoltà che incontrano le donne in Italia. E la domanda riguarda il futuro delle sue figlie, «almeno». «Io cerco già di sostenere le donne: come ministro della famiglia mi batto perché si possa conciliare la vita del lavoro con quella della famiglia», rassicura la Bindi. «Domani ci sarà una conferenza stampa per il piano degli asili nido e dei consultori». «Ma il governo potrà fare ancora poco rispetto al cammino che si dovrebbe fare». «Il Pd si darà da fare per questo, Bianca».


Pubblicato il: 01.08.07
Modificato il: 01.08.07 alle ore 16.12   
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Titolo: Bindi: "Sfido Veltroni in tv"
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2007, 10:12:45 am
4/8/2007 (7:24) - INTERVISTA

Bindi: "Sfido Veltroni in tv"

Rosy all'attacco: "Serve un faccia a faccia, altrimenti è tutto deciso dalle segreterie"

UGO MAGRI


Rosy Bindi maneggia la fionda che le hanno appena regalato alcune fan in vista della sfida contro Veltroni-Golia. «La sapevo usare da ragazzina», confessa, «ora non so più nemmeno come si tiene...».

Alle primarie sarà duello all’ultimo sangue, come in America?
«Non è in ballo la presidenza degli Stati Uniti. La gara è per dare al Partito democratico il segretario migliore. Anzi... la migliore. Ma chiunque verrà eletto, continueremo a lavorare insieme. Io mi sento in competizione con tutti, e contro nessuno».

Anche lei contagiata dal «buonismo» veltroniano?
«No, anzi, una cosa “cattiva” la dico subito. Questa corsa mi sembra un po’ viziata».

Da quando?
«Dall’inizio. E’ cominciata con un concorrente unico, che si è presentato come il candidato di tutti. Chi ricorda il discorso di Veltroni al Lingotto, era un po’ come se dicesse: “Io sono il tutto. Se poi qualcuno proprio vuole entrare in gioco lo faccia, ma insomma...”. Non era affatto previsto che ci fossero competitori. Solo dopo s’è addirittura invocata una pluralità di candidati».

E questo cosa comporta?
«Comporta un rischio. Che l’onere di giustificare la propria scelta cada solo su quanti si sono candidati dopo Veltroni, mentre la sua, di candidature, venga data per acquisita. Tutti debbono spiegare, motivare, prendere posizione ma non lui».

Perché lui no?
«Perché viene considerato il segretario “in pectore”. Questo condanna in partenza gli altri, me, Letta, a una condizione minoritaria».

Cosa si augura?
«Spero che arriverà un momento di confronto, quantomeno tra i principali candidati».

In tivù?
«Magari, perché no. Oppure alle feste dei due partiti. Dove allo stato attuale i confronti tra candidati non sono previsti».

Una dimenticanza?
«Secondo me è sbagliato. Capisco che i vertici Ds e della Margherita abbiano già deciso su chi puntare. Ma perlomeno dovrebbero sentirsi in dovere di giustificare queste scelte attraverso un democratico confronto».

Qualcun altro s’è fatto avanti per ospitare dibattiti?
«Gli unici di cui ho notizia sono due associazioni, Emily e Libertà e Giustizia. Io ci vado. Se ci saranno altri, tanto meglio».

Mettiamo che si arrivi a un faccia-a-faccia. Su cosa farà leva?
«Anzitutto sulla mia coerenza rispetto al progetto di Partito democratico. Ne sono stata un po’ pioniera dai tempi dell’Ulivo, credo di avere le carte in regola per interpretare la natura di questo nuovo partito».

Pure Veltroni pensa di averle.
«Anche lui, certo. Ma c’è un altro aspetto. Io ritengo che davvero per una donna sia giunto il momento di candidarsi».

Chiede di essere sostenuta in quanto donna?
«Non in quanto donna. Ma chi andrà a votare, e valuterà i candidati, mi auguro che non ignori la portata politica di questa novità. Chiedo apertamente che venga considerata. Il Pd lo facciamo anche per rispondere alla crisi della democrazia. E uno degli aspetti più evidenti di questa crisi è l’esclusione delle donne dai luoghi decisionali. Metafora a sua volta di tante altre esclusioni che paralizzano le decisioni stesse».

Veltroni insiste su una democrazia capace di decidere. Lei no?
«C’è quest’idea che la democrazia rappresentativa sia già nelle cose, acquisita, scontata. Per cui ora si chiedono le decisioni... Io dico invece che la democrazia non decide abbastanza perché è escludente. Le donne, insisto, sono le prime escluse. Ignorarlo significa rinunciare a rendere il Pd davvero democratico».

Claudia Mancina, che pure l’aveva apprezzata, dice: in tema di laicità mi fido più di Veltroni...
«Legittimo. Noto solo che pure la teodem Binetti dice di fidarsi più di Veltroni che di me. Allora rispondo a Claudia: tu all’opera mi hai già vista, prove di laicità ne ho date. Ma un Veltroni all’opera col sostegno della Binetti lo devi ancora vedere...».

Obietta il suo avversario: le candidature Bindi e Letta puntano a organizzare una componente più che alla leadership.
«Se avessi voluto organizzare una componente, avrei fatto come Fioroni una lista in appoggio a lui. Invece io mi candido proprio perché ho un’idea di partito e non di componente. E mi candido, sia chiaro, per il primo posto, non per il secondo».

Quale bisogno c’era di una candidatura cattolica, visto che nel ticket c’è già Franceschini?
«Io credo che i cattolici debbano giocare un ruolo da protagonisti. Mica stiamo facendo la Cosa Tre... (ennesimo tentativo della Quercia di rifondarsi, ndr)».

Cosa intende per protagonisti?
«Non animati da spirito identitario, buono per la riserva indiana. Ma impegnati a fondare una nuova laicità sulle questioni vere di oggi, quelle capaci di accendere gli animi, di riempire le piazze, di scatenare conflitti: la convivenza tra le fedi, la difesa della famiglia, l’orientamento sessuale, la fecondazione assistita, il testamento biologico, il modello di sviluppo... Il Pd non se la può sbrigare con l’indifferenza, la tolleranza o la rinuncia. Serve una nuova sintesi. Penso di poter contribuire a realizzarla».

Ne dia una prova.
«I Dico. Lì l’abbiamo trovata pur partendo da punti molto diversi. Il processo deve continuare, perché il marchio della laicità non ce l’ha la sinistra, come il marchio etico non ce l’hanno i cattolici. Che lo facciamo a fare, altrimenti, un partito plurale? A sistemare un po’ di persone? Al Pd serve andare nel profondo delle questioni, senza fermarsi all’unanimismo di superficie. Altrimenti perdiamo una grande occasione. E non so quante altre ce ne capiteranno ancora».

da lastampa.it


Titolo: ROSY BINDI... -
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2007, 09:52:03 pm
Rosy Bindi: non si può lasciar fuori un partito del 15%


In un'intervista a Repubblica, Rosy Bindi ribadisce le proprie perplessità di fronte all'ipotesi avanzata da Walter Veltroni che in futuro il Pd possa correre da solo pur di evitare alleanze disomogenee: «Una posizione più che legittima», ma «in astratto», perchè il «punto cruciale» è il sistema elettorale, sottolinea l'esponente della Margherita. Sì, perchè «se ci presentiamo da soli e poi si lavora per il modello elettorale tedesco dietro l'angolo c'è la Grosse Koalition». Da qui la proposta: «Mettiamo in sicurezza il bipolarismo e diciamo agli elettori che in caso sconfitta si va all'opposizione».

Il ministro poi risponde anche a chi, come Rutelli, ritorna a parlare di nuovo conio per le alleanze: «Non si può lasciare a sinistra del Pd e fuori dalle responsabilità di governo un partito del 15%. Certo Rifondazione e la sinistra radicale non devono tirare la corda ma bisogna evitare di provocarli. Io non sono Rutelli che considera il programma carta straccia e ogni giorno dà segnali di voler fare un'altra cosa».



Pubblicato il: 26.08.07
Modificato il: 26.08.07 alle ore 11.57   
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Titolo: Re: ROSY BINDI... - (sui lavavetri sbaglia)
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2007, 12:00:44 am
Lavavetri, Rosy Bindi: sorpresa dal centrosinistra

I lavavetri sono il nemico numero uno a destra come a sinistra.

Mezza Italia ha applaudito l�assessore alla sicurezza di Firenze Cioni quando, per un vetro di troppo, ha firmato un'ordinanza contro i lavavetri e Calderoli ha proposto al diessino la tessera onoraria della Lega. L'altra mezza è molto perplessa, in un paese dove magari il carcere lo meriterebbero mafiosi, camorristi, omicidi, ladri, spacciatori e qualche politico che ancora si proclama innocente.

La più esplicita è Rosy Bindi. «Sono sorpresa e anche un po indignata non tanto dall'ordinanza del sindaco Domenici quanto dalle prese di posizione, dalle reazioni a catena cui abbiamo assistito in questi giorni», ha detto il ministro della Politiche per la famiglia. Dalle molte dichiarazioni «non è emersa con chiarezza la differenza fra la cultura del centrodestra e quella del centrosinistra in merito ai temi della sicurezza, dell'ordine e della pulizia nelle nostre città». Eppure la sinistra una cultura su questi temi l'ha sempre avuta.

«Credo che dobbiamo liberare le nostre città dai lavavetri, dagli abusivi - ha detto la candidata alla guida del Partito Democratico - ma dobbiamo liberare anche gli abusivi e i lavavetri dal racket e soprattutto dobbiamo interrogarci su dove vanno e cosa fanno queste persone quando non sono più nelle nostre strade». «Una ordinanza che viene assunta dopo tanti anni - ha aggiunto - senza che sia stata svolta un'opera umanitaria nei confronti di queste persone, insospettisce sulla cultura della sicurezza e della solidarietà del centrosinistra». «Credo che il sindaco di centrosinistra e del Partito Democratico debba innanzitutto chiedere a chi lava i vetri come si chiama, da dove viene, dove abita, cosa fa dei soldi che raccoglie, perché noi potremo anche toglierlo dalla nostra vista ma non l'avremo liberato e non gli avremo restituito la dignità».

Amato pensa al modello Giuliani
Mentre il ministro dell'Interno Giuliano Amato sogna il modello �Rudolph Giuliani�, il sindaco di New York famoso per la �tolleranza zero�, e anche il sindaco di Trieste, di centrodestra, sale sul carrozzone degli sceriffi e firma un'ordinanza fotocopia a quella di Firenze contro i lavavetri, sono in molti che si indignano. «Penalizzare le figure più deboli con un cieco ricorso alla repressione non è affatto un modo per iniziare a risolvere i problemi � dice Giovanni Russo Spena -. È solo un modo per nasconderli, esattamente com�è successo in alcune città americane». Il capogruppo del Prc al Senato blocca subito Amato: «Contrariamente a quel che afferma il ministro Amato, Guliani non ha affatto risolto il dramma della microcriminalità e della povertà diffusa. Si è limitato a �ripulire� Manhattan (che non è New York), cacciando via quanti apparivano inadeguati alla sua concezione di decoro urbano e di sicurezza, costringendoli a spostarsi altrove».

Il modello Giuliani non va giù nemmeno a Paolo Cento. «Giuliani non è il nostro modello di sindaco - ha detto il sottosegretario all'Economia - stiamo importando un modello di sicurezza che discrimina gli ultimi, il centrosinistra non può approdare a delle politiche sociali come quelle del sindaco di New York». L�esponente dei Verdi scende in piazza San Giovanni a Roma, insieme al presidente della commissione regionale Lavoro Giuseppe Mariani, per pulire i vetri degli automobilisti fermi al semaforo. «Parlare di arresto, un'iniziativa peraltro incostituzionale, è lanciare un messaggio devastante ai cittadini», ha concluso Cento. «L'iniziativa di oggi - ha proseguito Cento - vuole dire al centrosinistra che le politiche per la sicurezza si attuano non con la demagogia ma con l'accoglienza, i servizi ed il mettere in rapporto le iniziative delle cooperative sociali.

Il biltz contro i lavavetri a Roma
Visto che il tema è caldo, a Roma è scattata un�operazione per contrastare alcuni fenomeni di �degrado urbano�, come spiegano in Questura: circa 40 i fermati. Lavavetri, parcheggiatori abusivi e minori mendicanti sono stati accompagnati dai vigili urbani presso la questura per procedere alla fotosegnalamento. «Al momento nelle zone di San Giovanni, Esquilino, Colle Oppio e Santa Maria Maggiore non sono più presenti lavavetri o mendicanti», afferma perentorio il comandante dell'unità organizzativa. «Quindici di loro li abbiamo multati per �intralcio della strada�», aggiunge fiero un dirigente della Ospol, l�unità che ha seguito l�operazione. E poi spiega i dettagli della brillante operazione: «Erano tutti stranieri, alcuni pure con un permesso di soggiorno. Abbiamo sequestrato la merce che vendevano ai semafori: Arbre Magic, fazzolettini, accendini. Abbiamo anche sequestrato i secchielli ai lavavetri».

«Così avete colpito solo i poveracci», ribatte Alessandro Marchetti, segretario romano del Sulpm. «Per quale motivo, prima di colpire i lavavetri e i mendicanti- aggiunge Marchetti- in modo così plateale e solo sull'onda della decisione del sindaco di Firenze, non sono stati prima pedinati gli stessi, che spesso vengono addirittura accompagnati sui �posti di lavoro� da furgoni bianchi, per scoprire chi c'è realmente a gestire questo racket? Questa retata, buona solo per gli occhi dei romani, di fatto mette in guardia i veri delinquenti e li terrà ben nascosti mentre a finire nei guai saranno come al solito i poveracci del terzo mondo».

Pubblicato il: 30.08.07
Modificato il: 30.08.07 alle ore 19.46   
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Titolo: Re: ROSY BINDI... -
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2007, 12:10:40 am
Viaggio nel disagio con Rossi-Doria, poi incontro con la senatrice Ds

La sfidante di Veltroni in visita a Forcella e a Scampia da padre Valletti

Patto tra Bindi e Carloni

"Qui la politica è debole"

Conchita Sannino


Il ministro: De Mita non si candidi alla guida del Pd  «Chi sostiene me, non può che sostenere il cambiamento». Poi ci ripensa, e raddoppia lo slogan: «Ecco, se io fossi come quei vescovi che hanno un motto nel loro stemma, farei incidere: "Dire ciò che si pensa, e fare ciò che si dice"». Perciò Rosy Bindi, nel corso di una intensa ed eterogenea giornata napoletana, lancia il suo deciso stop a Ciriaco De Mita. «Non credo sia una buona idea, francamente, che egli si proponga come segretario regionale del Pd. Penso che lui sia una delle poche teste politiche del Paese. Proprio per questo potrebbe dare un grande contributo... rinunciando a candidarsi».

Eccola la pasionaria ulivista. In corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico, il ministro della Famiglia Rosy Bindi continua il suo tour italiano facendo tre significative tappe partenopee, e spacca in due la sua giornata. Di mattina tra operatori sociali e militanza attiva di chi le chiede «un nuovo centrosinistra soprattutto a Napoli e in Campania», di pomeriggio al fianco della senatrice ds Annamaria Carloni (e signora Bassolino) che le conferma impegno, mobilitazione, sostegno. E inaugura per lei la sede del comitato pro-Bindi al civico 23 di corso Umberto. «Dobbiamo essere presenti con quante più liste possiamo. Mi candido anche io, certo. Dobbiamo dare una mano a Rosy che è simbolo di coraggio e rinnovamento», firmato Carloni. Ed è ancora la senatrice a puntare il dito contro «le offensive dietrologie di tanti uomini del partito: è inammissibile definire Rosy un ventriloquo. Lei parla per sé, e rappresenta il sentire di tante di noi».

Tailleur pantaloni in lino chiaro, il ministro Bindi affronta i 40 gradi senza condizionatori di Forcella o Scampia, intorno zero scorta visto che gira non in quanto ministro alla Famiglia ma come sfidante di Veltroni e Letta. La corsa per le primarie del 14 ottobre la riporta in città dopo un mese: la Bindi conferma il valore dell´»alternativa» anche nella Campania governata da quasi tre lustri dal centrosinistra, e per prima cosa si lascia accompagnare dal suo sostenitore Marco Rossi-Doria, nella città disillusa ma che non ha ancora mollato: incontra gli educatori della scuola-esempio "Ristori" a ridosso di Forcella; poi ascolta a lungo i formatori, i volontari, gli operatori della sanità o del sociale che fanno capo alla comunità di gesuiti di don Fabrizio Valletti, nel cuore della deserta Scampia. Interlocutori preparati e durissimi, che le consegnano fiducia e attese. «Siamo la città in cui due ragazzi 25enne, per pagarsi il "lusso" di fare gli operatori sociali, devono lavare i piatti nelle cucine dei ristoranti, perché vengono sottopagati e dopo anni», denuncia Caroline Peyron della "Ristori". «Ci sentiamo isolati», racconta Fernanda Tuccillo. E a Scampia don Fabrizio Valletti chiosa: «Il ceto politico non si è dimostrato all´altezza della sfida. C´è bisogno di una svolta, e a questo punto anche di persone nuove». E Rossi-Doria chiede esplicitamente: «Ci si attende da te un gesto significativo: un candidato proprio alla segreteria regionale Pd, per testimoniare una discontinuità propositiva». Replica la Bindi: «Su questo vedremo, perché no. Ma sia chiaro. Non butterò la croce addosso a Iervolino o a Bassolino per tutte le sofferenze di Napoli. La politica è inefficiente e debole. A Napoli saranno poi i cittadini a decidere». Ma ammette: «Dobbiamo rompere: però dialogando, ricostruendo».

Il ministro lascia trapelare quindi l´ipotesi di «un nostro candidato o candidata alla segreteria regionale, ma solo se non ci sarà un riferimento unitario». L´unica vera bocciatura è per il leader regionale del suo partito, Ciriaco De Mita, intenzionato a scendere in campo come segretario campano del Pd: «È talmente intelligente, capirà che è meglio partecipare in altro modo». Sembra sarcasmo, ma la pasionaria argomenta: «Sono felice che De Mita abbia scelto di stare dentro questo processo importante, gli riconosco una grande capacità: proprio per questo dovrebbe orientarsi verso la rinuncia. D´altro canto io non mi ero mai candidata e ho deciso che stavolta bisognava dare un segnale; lui che, al contrario di me, ha ricoperto tanti ruoli importanti, stavolta desista».

Il resto è preparazione di un consenso verso le liste da presentare entro il 22 settembre. La Bindi lancia da Napoli la battaglia per il «cambiamento di una politica debole, o di apparati. A cominciare dai metodi di selezione, che in una fase come questa non sono formalismi ma contenuti. Battetevi come me contro il "prezzo" di 5 euro che vogliono fissare per chi voterà alle primarie». Dalla platea di Emily si alza la voce di Tina Femiano, attrice: «Uno scandalo: è con noi su questo tema?». E la Bindi: «Sfondate una porta aperta. Questa cosa dei 5 euro rischia di drogare la competizione. Siete napoletani e donne: vi devo dare io lezioni di fantasia? Inventatevi una protesta che faccia notizia». Poi affida agli interlocutori la sincera preoccupazione: «Oh, non è che tutti quelli a cui piaccio e che dicono di stimarmi, non vanno a votare? Diamoci da fare, non so se avremo un´altra occasione, dopo il 14 ottobre».

(29 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: La Bindi: in Puglia uniti si può...
Inserito da: Admin - Settembre 01, 2007, 11:49:38 pm
Il ministro della Famiglia, rivale di Veltroni per la guida nazionale del Pd, ieri a Bari ha lanciato l´idea di un dialogo

La Bindi: in Puglia uniti si può

(p. r.)


"Gaglione è il nostro candidato ma siamo pronti al passo indietro"  La saletta, al primo piano del palazzo del Consiglio regionale, è la stessa dove la direzione dei Ds pugliesi, ha deciso di ricompattare l´asse coi "popolari" della Margherita per consolidare la candidatura di Michele Emiliano alla guida del partito democratico. Rosy Bindi, il ministro della Famiglia che sfida Veltroni per la leadership nazionale del nuovo partito, incontra qui i suoi supporter. E sono tanti: la saletta è strapiena di gente, tutti possibili candidati alla costituente pugliese. Una compagine allegra, in movimento, quella della Bindi che in Puglia ha un suo riferimento, un suo candidato, il sottosegretario alla Salute, Antonio Gaglione.

«Sono qui soprattutto per promuovere la mia candidatura», afferma sorridendo Bindi, quando gli chiedono cosa pensa di quella di Gaglione in Puglia. In apparenza sembra che lo voglia affossare. La sua filosofia, invece è più sottile. E diventa uno spot per Gaglione: «La sua - dice il ministro della Famiglia - è stata un´autocandidatura». Insomma non l´ha imposta lei dall´alto, nessuno può accusarla di "verticismo". Ed è come se dicesse che Veltroni ha fatto diversamente con Michele Emiliano. «Sul sottosegretario Gaglione - ha aggiunto la pasionaria della Margherita - c´è una convergenza molto forte tra chi mi sostiene». E chi la sostiene qui a Bari, era presente. Gaetano Piepoli, soprattutto che è il referente pugliese della sua lista. E poi Rosina Basso. A stringere la mano al ministro, ieri, c´era anche Michele Amoruso, uno dei dieci consiglieri comunali di Bari, che hanno firmato l´appello a Emiliano perché continui a fare solo il sindaco di Bari. «Noi andiamo a fare un partito nuovo e in questo partito non andiamo ad incontrarci tra persone uguali ma tra persone differenti che hanno la gioia di andare d´accordo anche con quelli che la pensano diversamente. Quindi, che ci siano delle scomposizioni è una cosa assolutamente positiva, spiega Bindi. «Non è strano - aggiunge - che chi viene dalla Margherita possa votare per Veltroni e chi viene dai Ds possa farlo per Rosy Bindi. Noi vorremmo - insiste - che questo fosse soprattutto il partito degli italiani, che fossero loro a decidere davvero chi farà il segretario regionale, chi quello nazionale, chi entrerà nell´assemblea nazionale e regionale. In Puglia, ad esempio - prosegue - c´è un folto gruppo di sostenitori e di sostenitrici e saranno loro a decidere chi votare per la segreteria regionale, non sarò io ad indicarlo. Questo è un metodo che ci differenzia da tutti gli altri».

E come se non bastasse, il ministro si spinge anche oltre: «Provo molta stima per il sottosegretario Gaglione e sono onorata del suo appoggio in occasione delle primarie nazionali. Ci siamo però detti che proprio perché noi vogliamo un partito unito, mettiamo a disposizione questa candidatura proprio per la ricerca di una soluzione unitaria. La soluzione, per quanto ci riguarda, può costituirsi attorno al nome di Gaglione, o anche attorno ad altre candidature se riusciamo a mettere insieme una operazione politica davvero democratica. In questa nostra posizione - conclude - c´è già una differenza politica chiara e netta rispetto a tutte le altre». E Gaglione? «A me basta che non sia un partito di correnti, l´unica corrente devono essere i cittadini».
Per ora Gaglione continua a correre. E per dimostrare di essere pronto a sfidare i suoi diretti concorrenti, ieri sera ha incontrato nel convento dei saveriani, a Taranto, dove poco prima aveva parlato Rosy Bindi, sia Emiliano sia Fabiano Amati in quello che, per quanto nessuno ufficialmente candidato, è stato il primo incontro a tre di questa singolare campagna elettorale.

(31 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Bindi: non fanno bene a Prodi i continui contrappunti di Veltroni
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 07:19:30 pm
Il ministro ospite della Videochat del Corriere.

Aborto? Non toccare la legge Bindi: non fanno bene a Prodi i continui contrappunti di Veltroni «Sulle tasse d'accordo col premier e Padoa-Schioppa.

Ma il clima di contrapposizione nuoce al governo e ai candidati segretari» 


MILANO - I «contrappunti» continui di Walter Veltroni a Romano Prodi? «Non fanno bene, né al governo né al candidato alla segreteria del Partito democratico». Rosy Bindi, ospite della Videochat del Corriere.it, lunedì pomeriggio, ha risposto così a una domanda di un lettore sulla sua posizione rispetto alla polemica nata tra il premier e il sindaco sul taglio dell'imposizione fiscale. «Sulle tasse sono d'accordo con Prodi e Padoa-Schioppa - ha detto Rosy Bindi, candidata alla poltrona di segretario del Pd - La riduzione di spesa e debito pubblico deve essere le priorità del governo. Compatibilmente con questo obiettivo, poi, si potrà restituire ai contribuenti una parte delle entrate eccedenti. Ma devo dire che non fa bene al governo né al nascente Partito Democratico, né ai candidati segretari, il conflitto giornaliero tra partito e governo così come questo contrappunto giornaliero di Veltroni a ogni azione di Prodi»

TASSE - Un lettore chiede: Prodi aveva detto che non le avrebbe mai alzate. Bugia o ripensamento? «Ma noi non abbiamo aumentato le tasse - risponde la Bindi - C’è qualcuno che lo dice perché combattiamo elusione ed evasione fiscale». Quanto all'utilizzo del maggior gettito fiscale, «noi - ha aggiunto la candidata alla guida del Pd - non possiamo permetterci di arretare di un centimetro sulla riduzione del deficit. Sono d'accordo con Prodi e Padoa Schioppa su questo punto. Non si può aumentare la spesa pubblica, si può investire per riqualificarla e una parte delle maggiori entrate possono essere restituite a chi ha pagato di più, che sono le famiglie», intervenendo quindi con un aumento degli assegni familiari e delle detrazioni. «Anziché aprire ancora una volta questo tormentone prima che la Finanziaria venga varata, sarebbe cosa buona - ha concluso - che si lasciasse lavorare il governo e lo si accompagnasse con una coerente azione politica».

CHIESA E FISCO - I lettori vogliono risposte sulla chiesa e le esenzioni fiscali, per esempio sull'Ici ma non solo, accordate dallo Stato al Vaticano. Un altro tema delicato per un politico di estrazione cattolica come Rosy Bindi: «Ma sono davvero privilegi fiscali? Molto laicamente dobbiamo partire da questo punto. Per me non lo sono. La Ue - ha spiegato la Bindi - ci ha fatti una domanda seria alla quale dobbiamo rispondere e capire se sono vantaggi impropri. Se lo fossero dobbiamo sopprimerli. Ai cattolici dico di non sentirsi perseguitati. E ai laici di non fare una crociata all'incontrario».

ABORTO - La polemica sulla revisione della legge 194 sull'interruzione gravidanza: «Non vale la pena cambiare la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, se è il caso bisogna farla applicare correttamente. Io credo che quando una legge è stata approvata dal Parlamento e confermata da un referendum che diede, ancorché molti anni fa, una maggioranza aschiacciante. Non credo che valga la pena riaprire al questione. Quella legge ha per titolo tutela delal maternità e interruzione di gravidanza, applichiamola anche nelle altre parti. I consultori per esempio,.

PD - Riguardo al Partito democratico e alla corsa per la leadership, Rosy Bindi, imbeccata da un lettore, sostiene di «non sentersi affatto un braccio armato del professore». Prima di tutto, ha risposto, «non mi sento un’arma... Prodi mi sembra anche una persona mite. Ho tanto difetti ma non sono eterodiretta. Io mi sono autocandidata alla guida del Pd perché ritengo sia un appuntamento importante della vita politica italiana. E perciò ho ritenuto di dover fare un sacrificio in più.

PUNTI DI FORZA - L’ambizione - spiega il ministo per le Politiche della famiglia - è quella di creare un partito «plurale», che possa semplificare il bipolarismo italiano, così travagliato. E dove «non c'è una cultura dominante rispetto alle altre ma una sintesi. Questo dovrebbe servire a comprendere la complessità della società attuale. E cercare di realizzare una sintesi politica che possa aiutare governo e Parlamento a decidere».

ALLEATI - Il Pd, spiega Rosy Bindi, «sarà un grande partito nazionale, che necessariamente dovrà governare in coalizione. E che non potrà permettersi di lasciare il 15% della sinistra "radicale" all’opposizione. Così come non potrà fare a meno di dialogare con il centro». Per questo alla sinistra radicale verrà chiesta «coerenza con gli impegni assunti. Io credo - ha detto la Bindi - che all’interno della sinistra radicale stia maturando un'anima governativa». Rutelli e le alleanze di nuovo conio? Veltroni e il Pd in grado di correre da solo? «Chi provoca continuamente la sinistra radicale - taglia corto il miistro - non fa un bel regalo al governo».

MANIFESTAZIONI E GOVERNO - «Il 20 ottobre? La libertà manifestazione nel Paese non verrà meno», dice Rosy Bindi, rispondendo agli interventi dei lettori del Corriere.it che avevano chiesto la sua posizione rispetto ai ministri della sinistra radicale che vogliono scendere in piazza contestando l'accordo sul welfare. «Importante è che non sia manifestazione contro governo e contro accordo sul welfare del 23 luglio. Semmai dovrebbe essere un lugo in cui maturano nuove risposte. Io consiglierei di non farla, ma se proprio ci deve essere una manifestazione che sia un momento di riflessione, magari senza i ministri che ascolteranno le richieste che emergeranno dai loro uffici di governo».

IL CENTRO - Il Pd - chiedono i lettori - vuole allargarsi al centro: in cosa si differenzia allora dal centrodestra? «Vogliamo costruire un progetto chiaramente alternativo al centrodestra. Che dimostri al tempo stesso di non essere subalterno alla sinistra radicale. Vogliamo restituire agli italiani un Paese in cui credere, che si sviluppa secondo un modello in grado di superare le tante e profonde disuguaglianze che negli ultimi anni sono drammaticamente aumentate. Il Paese del Pd è più libero, con regole giuste, che combatte l’illegalità, che vuole riscoprire le comunità. Un Paese più ricco, ma non solo di prodotto interno lordo, ma di cultura, arte. In cui c’è più giustizia. E che vuole recuperare chi è rimasto indietro e affiancare chi vuole andare più forte. Il Sud vuole riscattarsi, ma il Settentrione vuole correre ancora di più. Ecco, noi vogliamo liberare tutte le energie positive».

PROSTITUZIONE E LAVAVETRI - I lettroi toccano altri due temi del momento: la possibile isituzione di cooperative per le prostitute, di cui ha parlato il ministro Damiano, e le ordinanze dei sindaci che mettono fuorilegge i lavavetri. «Sono contraria a qualsiasi forma di legalizzazione della prostituzione - taglia corto la Bindi - Sul caso dei lavavetri voglio dire che c'è una grossa differenza tra noi e il centrodestra: noi vorremmo che non ci fossero lavavetri, abusivi che vendono prodotti contraffatti. Ma sappiamo che ci liberemo del fastidio se libereremo lavavetri e abusivi dalla loro condizione. Noi ci chiediamo chi c’è dietro: il racket? Bene, allora combattiamo il racket. Le mafie che fanno soldi sulla pelle dei disperati? Bene, allora sia tolleranza zero anche nei confronti delle organizzazioni malavitose. E poi mettiamo in atto politiche di solidarietà, percorsi di integrazione per chi si trova in situazione disumana. Così libereremo noi e loro. Facendo un atto di legalità, carità e solidarietà».

SCOMMESSA - Un lettore chiede: scommetterebbe sulla vittoria della Bindi alle primarie? «Ci devo scommettere al 100%. Perché ci crediamo davvero. E lavoriamo sodo».

03 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: BINDI IN VENETO: BISOGNA TORNARE A VINCERE QUI, IN LOMBARDIA E IN SICILIA
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2007, 11:14:21 pm
6 Settembre 2007 - 18:20

BINDI IN VENETO: BISOGNA TORNARE A VINCERE QUI, IN LOMBARDIA E IN SICILIA




- Venezia, 6 set - ''Il Partito democratico deve avere tra i suoi obiettivi la riconquista al centrosinistra di Lombardia, Veneto e Sicilia''. Lo ha detto Rosy Bindi a Mestre, dove ha incontrato i militanti che sostengono che la sua candidatura alla segreteria nazionale del Pd.

''Se posso fare una critica ai partiti fondatori del Pd è che ho visto un atteggiamento troppo rinunciatario - ha detto il ministro della famiglia riferendosi alle tre regioni - Ho dubitato della loro volontà di vincere perché la premessa della vittoria è come si fa opposizione a chi governa e ho visto troppa acquiescenza. Il Pd deve invece avere la voglia di tornare a vincere''.

Per Rosy Bindi, esiste una ''questione settentrionale'' che il Pd dovrà fare propria: ''Su grandi questioni come la qualità dello sviluppo, le infrastrutture e il welfare il Pd dovrà riuscire a dire una parola capace di interpretare i sentimenti veri di questa parte del Paese - ha affermato - Il centrodestra è capace di lisciare ma non di interpretare profondamente questi sentimenti. Bisogna tornare a credere nell'anima profonda di queste terre, parlando al cuore e alla mente e non alla pancia, come fa il centrodestra. Questa è la sfida e credo che ci riusciremo''.

da ulivo.it


In collaborazione con 9colonne.it


Titolo: ROSY BINDI... - Insieme per cambiare
Inserito da: Admin - Ottobre 12, 2007, 10:02:36 pm
Insieme per cambiare

Rosy Bindi


Domenica, insieme, cambieremo la politica italiana. Il Partito democratico nasce con un voto libero e popolare, con una scelta di grande innovazione che segna una vera discontinuità con il passato ma anche con il presente dei partiti che conosciamo. Nasce nell’interesse del Paese. Con passione in questi mesi ho sottolineato il valore di questa novità, la portata di un’impresa collettiva in cui tutti, a cominciare dai 35mila candidati all’Assemblea nazionale e alle assemblee regionali, hanno messo passione, fatica, disponibilità riscoprendo il gusto di fare politica in mezzo alla gente.

Dobbiamo essere orgogliosi della nostra impresa, contenti di questa fatica e di questa passione ritrovata. È uno straordinario patrimonio di energie di cui c’è bisogno per rispondere alla domanda di nuova politica e arginare la crescente sfiducia verso il ruolo e la funzione dei partiti, che rischia di travolgere le basi della nostra democrazia.

Sono convinta che la competizione tra più candidati alla segreteria del partito abbia contribuito a rendere più vere le nostre primarie. Abbiamo scongiurato il rischio dell’elezione plebiscitaria di un unico candidato che avrebbe depotenziato la svolta che il Pd deve realizzare nella vita politica del Paese. Non abbiamo avuto paura di nascondere le nostre differenze, differenze che in questi anni, grazie all’Ulivo, si sono dimostrate preziose per tutti. Ora però si tratta di fare il passo decisivo, e questo passo richiede un di più di chiarezza. A chi mi rimprovera di aver alzato i toni nel corso della campagna elettorale rispondo con molta serenità che la franchezza delle posizioni aiuta i cittadini ad una scelta consapevole e che la buona politica è prima di tutto assunzione di responsabilità: è dire dei sì e dei no.

Ho fiducia nella maturità dei nostri elettori, nella loro capacità di cogliere, al di là dei toni, la sostanza e l’onestà delle argomentazioni.

Mi sono candidata perché fin dalla nascita dell’Ulivo, come anche Walter Veltroni a cui mi legano stima e amicizia, credo nella prospettiva di un soggetto politico nuovo che riunisca il meglio delle culture politiche e riformatrici del Paese.

Su questo il terreno ho scelto di caratterizzare la mia proposta di candidatura, segnalando fin dall’inizio la necessità di distinguere tra funzione del partito e azione di governo.

In queste primarie, infatti, non si tratta di scegliere né il futuro presidente del consiglio, nè un programma di governo. Il governo c’è, ancorato ad un programma e ad un’alleanza legittimati dal voto popolare, e il risultato del referendum sul Protocollo del Welfare dimostra, tra l’altro, che ha imboccato la strada giusta e sta lavorando bene. E farà ancora meglio, dopo il 14 ottobre, quando Romano Prodi potrà contare sul sostegno del Pd, chiamato fin d’ora a rafforzare l’azione dell’esecutivo e l’unità del centrosinistra.

Ma con queste primarie, facciamo una scelta per certi versi, ben più coraggiosa ed esaltante: per dar vita ad un partito nuovo, capace di raccogliere le sfide del nuovo secolo, scegliamo di mescolare le nostre biografie e le nostre storie. Non faccio fatica a riconoscere che per i democratici di sinistra questa scelta è particolarmente impegnativa ed è anche, e soprattutto, grazie a loro se il 14 ottobre sarà una grande festa della democrazia.

La festa di popolo e di partecipazione per un partito vero, non personale e oligarchico; che supera le appartenenze ideologiche, partitiche e di corrente ereditate dal passato. Un partito nitidamente di centrosinistra e non moderato centrista, alternativo a centrodestra e al berlusconismo. Un partito laico e non laicista, con il culto della distinzione tra fede e politica. Un partito democratico davvero, cioè restituito al protagonismo dei cittadini anche grazie all’estensione delle primarie. Un partito che faccia i conti sul serio con i problemi di legalità e di etica pubblica che affliggono la politica e la società.

Vinceremo, la scommessa del Pd se nella vita del nostro partito, anticiperemo e praticheremo in modo esemplare quelle regole democratiche e quel costume sobrio e trasparente che proponiamo alla società. Solo così si restituisce dignità e credibilità alla politica.

Chi vincerà le primarie avrà il compito di rappresentare tutti e di assicurare che l’Assemblea costituente non si divida tra vincitori e vinti. E il nuovo segretario potrà contare sul contributo leale e appassionato della vasta rete di candidati e sostenitori, in gran parte provenienti dalla società civile, che si sono raccolti intorno alla mia lista. Vale davvero la pena di mobilitare una grande partecipazione, di chiamare al voto milioni di cittadini, per cambiare insieme l’Italia.

Pubblicato il: 12.10.07
Modificato il: 12.10.07 alle ore 9.22   
© l'Unità.


Titolo: Marco Damilano - La mia alternativa democratica
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2007, 05:41:05 pm
La mia alternativa democratica

di Marco Damilano

Il governo. Le riforme. Il tema della sicurezza. I rapporti con l'opposizione. E sul Pd, no al partito del leader e a quello delle tessere. Sì a un partito aperto.

Colloquio con Rosy Bindi. 

Un anno per fare le riforme istituzionali con il governo Prodi in carica, "in grado di concludere la sua azione politica". Il ministro della Famglia Rosy Bindi, solitamente in grande sintonia con i pensieri e gli umori del premier, polemizza con Fausto Bertinotti: "Mi insospettisce molto la diagnosi sul governo malato che arriva da un medico non molto esperto nelle terapie". E prova a tracciare il percorso della seconda metà della legislatura: "Dopo l'approvazione della Finanziaria ci sono tutte le condizioni perché si torni a parlare di riforme, con il governo Prodi. Bisogna prendere atto che difficilmente questa legislatura arriverà fino al 2011. Serve un tempo più breve, più intenso, più deciso". Con il Pd di Veltroni che, spiega la pasionaria, deve mantenere l'Ulivo nel simbolo e smettere di inseguire la destra sulla sicurezza.

Sul decreto espulsioni c'è la possibilità di dialogare con il centrodestra: lei è disponibile?
"Non mi pare che le offerte di dialogo siano veramente tali. E comunque le loro condizioni vanno respinte al mittente. Il centrodestra ha governato cinque anni, con la legge Bossi-Fini sono aumentati i clandestini e la micro-criminalità: è grave che cerchino di strumentalizzare una questione così delicata, non ci vengano a chiedere di uscire dall'Europa".

Anche nella maggioranza ci sono divisioni su un tema centrale per la vita dei cittadini. Sulla sicurezza si gioca la prima partita del Pd di Veltroni?
"Dobbiamo distinguere l'adozione del decreto da una discussione più generale tra di noi su immigrazione e sicurezza. Non è una contraddizione: il decreto non era evitabile, c'era un'emergenza molto grave. Anche se mi convince sempre poco il ricorso a uno strumento come il decreto per regolare materie di diritti e di libertà. Adesso il decreto c'è, sarebbe buono e corretto per la maggioranza di centrosinistra procedere rapidamente alla conversione in legge e subito dopo aprire una seria riflessione sulla sicurezza".

In che direzione?
"Non si possono mettere in conflitto i diritti dei cittadini più deboli, donne, bambini, anziani che sentono drammaticamente un problema che esiste, con il rispetto dei diritti di tutte le persone immigrate che bisogna saper integrare. In questo paese nei decenni passati abbiamo vinto contro il terrorismo senza sospendere le garanzie costituzionali, lo stesso dobbiamo saper fare ora. È una sfida su cui si misurerà anche la cultura del Partito democratico: di fronte al montare di posizioni xenofobe e violente, la nostra risposta non può essere banalmente dire che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. La nostra impostazione deve sapere realizzare legalità e solidarietà. Altrimenti finiamo per legittimare le ronde di chi vuol farsi giustizia da solo".

Teme che il Pd rincorra la destra?
"Il Pd deve essere il partito della legalità. Ci sono poteri criminali, occulti, che sembrano interessare poche persone e invece determinano le grandi scelte del paese e poi una sensazione di insicurezza quotidiana che riguarda soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Serve all'Italia un bel bagno di legalità, il Pd è nato anche per questo".

Sulla sicurezza si misura la salute del governo Prodi: per Bertinotti è malaticcio. E per lei?
"Non so quali strumenti diagnostici ha deciso di usare il presidente della Camera. Mi insospettisce molto questa diagnosi che arriva da un medico non molto esperto nelle terapie. Il governo deve conquistarsi ogni giorno lo stato di salute che gli consente di vivere. È un corpo che va tenuto sotto controllo: appunto per questo, però, dovrebbe esserci maggiore impegno nelle cure preventive e maggiore sostegno soprattutto dal presidente della Camera, per il ruolo istituzionale che ricopre e per la funzione politica che continua a svolgere".

Anche lei, però, dopo la Costituente di Milano si è preoccupata per le parole di Veltroni sul Pd che deve puntare all'autosufficienza: andare da solo alle elezioni, senza alleanze con Rifondazione.
"Non è realistico pensare che il Pd possa essere autosufficiente. E chi sa di non esserlo si prende cura degli alleati, si prende cura della coalizione. Soprattutto ora il Pd deve farsi carico della maggioranza. Mi chiedo altrimenti che tipo di collaborazione si può trovare con gli altri partiti per fare una legge elettorale nel momento in cui si è pronti a scaricare gli alleati. Non è tatticamente corretto, lo si potrebbe capire solo se fossimo alla vigilia delle elezioni".

da espresso.repubblica.it


Titolo: Bindi e Damiano contro Bertinotti
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 07:24:36 pm
Dal Pd dure critiche all'intervista del presidente della Camera sul governo Prodi

Mastella ironizza: "Possiamo anche finirla prima". L'Idv: "Ma così non è più super partes"

Bindi e Damiano contro Bertinotti

"Fallimento? Se ne assuma le responsabilità"

 
ROMA - Se nell'intervista a Repubblica era stato fin troppo chiaro, quasi brutale, oggi Fausto Bertinotti preferisce tornare nei suoi giudizi sul fallimento dell'Unione usando toni ermetici. "Prodi non è un poeta..." e comunque "è solo una citazione. Il poeta morente era Cardarelli", risponde il presidente della Camera ai giornalisti che gli chiedono di chiarire il suo riferimento a una citazione di Flaiano su "Cardarelli, il più grande poeta morente". Replicando ancora all'osservazione di essere stato forse troppo forte nel suo giudizio sul governo, Bertinotti ha aggiunto: "Ma io sono un uomo forte...naturalmente è ironico".

Di certo diverse forze alleate di Rifondazione all'interno dell'Unione hanno ritenuto fuori luogo le parole del presidente di Montecitorio sul "fallimento" del gabinetto Prodi. Secondo il ministro del Lavoro Cesare Damiano, chiamato in causa da Bertinotti per le eccessive concessioni ai centristi nel pacchetto sul Welfare, l'esperienza politica dell'Unione non è stata fallimentare e "il centrosinistra sta attuando il programma dell'unione". "Se la logica è 'tutto e subito' - avverte l'esponente del Pd - nessun governo lo potrà fare". "Soprattutto sui temi sociali - prosegue Damiano - il governo ha portato avanti interventi positivi e importanti" e Rifondazione "dovrebbe andare orgogliosa di questi risultati".

Considerazioni simili a quelle espresse da Rosi Bindi. "E' un'affermazione molto forte - dice il ministro per la Famiglia - della quale, penso, il presidente della Camera si assumerà tutte le responsabilità". "Penso - aggiunge la Bindi - che il centrosinistra, anche con l'apporto di Rifondazione, abbia compiuto scelte molto importanti per la vita del Paese. Questo non è un fallimento, ma sono risultati importanti".

Critico con Bertinotti anche Clemente Mastella. Ma il leader dell'Udeur non contesta tanto la valutazione sui risultati del governo, quanto l'idea del Prc di chiamare i suoi elettori ad esprimersi con un referendum sulla validità del programma di governo. "Che modo di ragionare è questo? - commenta Mastella - Ora vedo che si va al referendum sul programma di governo. Per me l'esperienza di governo può anche finire prima. E poi per quanto mi riguarda io il referendum con i miei elettori lo faccio anche prima perchè il partito è più piccolo".

L'intervista del presidente della Camera non è piaciuta neppure all'Italia dei Valori. "Si potrebbe ragionare a lungo sulle considerazioni espresse da Fausto Bertinotti, e potremmo anche ritrovarci d'accordo con lui su alcuni passaggi - afferma il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi - ma la sua più che un'analisi è un'entrata a gamba tesa nei rapporti tra maggioranza e governo che non si addice a colui che riveste il ruolo di presidente della Camera che per definizione è superpartes".

Sottoscrivono invece le affermazioni di Bertinotti le forze dell'opposizione, che le leggono come la conferma della crisi della maggioranza. "Piu' che fallito, potrebbe dirsi a ragione che questo governo è nato morto, travolto in grembo dalle sue contraddizioni politiche d'origine", ironizza il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli.

Usa l'arma dell'ironia anche Pier Ferdinando Casini. "Con tutto il rispetto per Bertinotti, che il governo Prodi avesse fallito noi lo abbiamo detto da un pezzo - afferma il leader dell'Udc - Lo dicono tutti gli italiani: non c'è un governo così distante dai problemi della gente come quello di Prodi". In vena di sarcasmo, Casini non risparmia però neppure Silvio Berlusconi e i suoi proclami sulle adesioni al nuovo partito. "Il bello delle cifre è che ognuno dà le sue...", commenta l'ex presidente della Camera.

(4 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: BINDI: VELTRONI DEVE FARE LE GIUSTE ALLEANZE
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2008, 03:11:03 pm
BINDI: VELTRONI DEVE FARE LE GIUSTE ALLEANZE

17 Gennaio 2008




Intervista di Alessandro Calvi – Il Riformista

«Veltroni deve fare le alleanze giuste. E con ciò voglio ricordargli come dovrebbe essere e non come è costretto ad essere dalle alleanze che ha scelto». Si riferisce alla legge elettorale Rosy Bindi ma guarda anche ad altro. Alle scelte fatte dal Partito democratico sulla sicurezza, ad esempio, e alle polemiche sulla 194 e, dunque, al rapporto tra laici e cattolici in un momento non facile non soltanto per la rinuncia di Benedetto XVI a intervenire alla Sapienza.

Ad ogni buon conto, a proposito di legge elettorale, Bindi a un richiamo non rinuncia: «con la bozza Bianco stiamo riproponendo il proporzionale della prima repubblica dopo che Berlusconi ha inventato quello della seconda repubblica». Invece, il Pd, secondo il ministro della Famiglia, deve recuperare le ragioni originarie della propria nascita, fermare chi si avvia a tradirle, e da qui far discendere il resto perché, dalla legge elettorale ai diritti civili passando per la sicurezza o la politica fiscale, tutto si tiene insieme. Chi lo guida, dunque, deve scegliere da che parte stare.

E questo vale soprattutto guardando dentro il partito che la Bindi si diverte a smontare e rimontare, con un giochino che fa emergere strane coppie e fatali attrazioni tra opposti. Fatali, si intende, per il partito. «Sono convinta che esista un problema di rapporti tra laici e cattolici - dice la Bindi - anche perché ci sono varie anime sia tra i primi che tra i secondi». «Tra i cattolici - prosegue - c’è una componente, quella dei teodem, che assume posizioni intransigenti e che parla di valori non negoziabili. C’è poi una componente tentata di ripercorrere una via identitaria che strumentalizza la provenienza cattolica per organizzare una corrente in politica. E basta pensare al seminario di Assisi e a Fioroni. Ce ne è infine una terza che ritiene che il Pd sia una grande occasione di laicità per tutti. Non è un paradosso, anche se a un cattolico può sembrarlo: ritengo che la negoziabilità dei valori sia la garanzia della loro fecondità nella storia». Se la sentisse, la Binetti inorridirebbe.

«Alla intransigenza - risponde - io preferisco la capacità di coniugare la coerenza dei valori con la fatica di inverarli nel contesto storico. La politica non è il luogo della evangelizzazione, non si fa politica per proclamare valori ma per rispondere, partendo da quei valori, ai problemi delle persone. I valori non negoziabili non possono rimanere appesi sopra la realtà che scorre e che da questi, senza il dialogo e l’incontro, non viene toccata». Il ministro esclude che questa terza anima possa organizzarsi in corrente come invece ritiene che stiano facendo le altre. «Non c’è nessuna disponibilità - dice chiaramente - Io un partito identitario ce lo avevo, il Ppi. Poi abbiamo deciso di superarlo con la Margherita e con il Pd: non intendo tornare indietro. Chi pensa ad organizzare correnti cattoliche tradisce il Pd ma anche la natura stessa del fare politica da cattolici. Non si può mettere vino vecchio in otri nuovi. Se vogliono riorganizzarsi come correnti, buona fortuna. Io preferisco trafficare i miei talenti con i talenti degli altri. E tutto ciò mi conferma come buona la scelta di entrare nel Pd come candidata dando vita a una esperienza plurale». Allora è dal frazionamento della componente cattolica, che occorre ripartire per spiegare le difficoltà di un Pd che non riesce a fare scelte chiare sui grandi temi.

Così, dunque, si spiegano anche le difficoltà tra laici e cattolici. «Proprio no», risponde rotondamente la Bindi che aggiunge: «anche di là sono divisi. E anche di là si trovano tre componenti diverse. Una laicista a oltranza della quale abbiamo visto qualche prova in questi giorni. Per fortuna il Pd è stato indenne da questo oscurantismo laicista. Poi, anche tra i laici c’è una componente strumentale che dice: “in Italia non possiamo metterci contro la Chiesa ed i cattolici” e però poi mostra insofferenza verso l’atteggiamento “laico” di certi cattolici. Potrei definirla l’anima togliattiana del Pd. Infine, c’è una componente curiosa che accetta la sfida del dialogo».

A veder così smontato il Pd, verrebbe voglia di fare un giochino e provare a ricostruirlo, magari dando un nome a correnti e protagonisti. Facile trovare i capofila delle due ali oltranziste: Binetti e Odifreddi. La Bindi annuisce divertita. Più complicato trovare i capofila delle due componenti che secondo la Bindi si potrebbero definire “negozianti dei valori”. Un nome la Bindi lo ha già fatto, quello di Fioroni. Sull’altro fronte la scelta appare ampia. «Faccia lei un nome», capovolge il gioco. L’identikit potrebbe corrispondere a un Latorre. Il nuovo sorriso della Bindi fa capire che quel nome va bene. Infine, ci sarebbero i “curiosi”. Naturalmente tra questi c’è la stessa Bindi. «Naturalmente». E poi? «Giuliano Amato», ribatte, «ma anche Franca Chiaromonte». Trasferito sulla carta, il giochino spiega molto del Pd. Quello che si muove sull’asse Fioroni-Latorre «è oggi - secondo la Bindi - il corpo del partito. Ma se è così - attacca - non si va da nessuna parte. È questo il vero ostacolo alla contaminazione tra le diverse culture. Sono quelli che dicono di voler fare i Dico e poi li abbandonano in Parlamento». Invece, osserva, bisognerebbe aprirsi a un dialogo permanente: «i laici non devono sentirsi portatori di un pensiero autosufficiente, i cattolici devono accettare di non avere il monopolio dei valori: la verità si cerca insieme». Insomma, tutti dovrebbero fare un passo indietro? «No - è la risposta - Un passo avanti». Se il Pd è così spezzettato, forse è anche mancata una guida forte, netta, in grado di prendere posizione su temi difficili e di scontentare qualcuno. Il caso delle unioni civili in Campidoglio - con il Pd che ha votato “no” insieme alla destra e con Veltroni in Vaticano - forse è rappresentativo di queste difficoltà.

«Lì - osserva - ha sbagliato la sinistra radicale a porre il problema in quel modo e in una città come Roma nella quale già si fa molto su questo tema. Certo, il Pd ha perso una occasione per dialogare con la sinistra e ha preferito la scorciatoia del voto con la destra. D’altra parte, se manca consistenza politica, poi si fa fatica a rimanere sul percorso indicato dagli elettori. E Veltroni a Roma non avrebbe vinto senza i voti di Rifondazione». Le stesse difficoltà il centrosinistra e il Pd le hanno mostrate anche su altri terreni: la sicurezza, il fisco, la bioetica. «Sui grandi temi - afferma il ministro - il Pd ha due possibilità: o diventa garanzia della maturità di cultura e di governo del centrosinistra, e come tale non vive la coalizione come frutto di un bipolarismo coatto, oppure sceglie di diventare il buon amministratore di idee in qualche modo mutuate dalla cultura avversaria». E cosa la Bindi intenda lo chiarisce con un esempio: «anche io sono convinta che gli imprenditori siano lavoratori, peccato che non si possa dire il contrario. Basta pensare ai metalmeccanici in attesa del contratto collettivo».


Titolo: ROSY BINDI Andare al voto da soli è un lusso che la situazione non ci consente.
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2008, 11:25:22 am
ROMA — Andare al voto da soli è un lusso che la situazione del Paese non ci consente.

Rosy Bindi, lei non crede nella sconfitta come purificazione?
«Ne abbiamo avute abbastanza, di sconfitte. E non ci hanno purificato per niente. Gli effetti buoni li anneghiamo nei nostri limiti, nei nostri vizi e anche in qualche peccatuccio. Preferisco purificarmi con le vittorie, io. Ma sia chiaro che noi siamo determinati a costruire un governo istituzionale per fare la legge elettorale».
Le urne però si avvicinano e Veltroni dice «io faccio il programma e chi mi ama mi segua».
«Il Pd deve presentarsi con la forza e l'autonomia della sua proposta, ma in una coalizione i programmi si fanno insieme».
Coalizione? Al loft è parola tabù.
«La pazienza esercitata da Prodi non può essere richiesta mai più né a lui né a nessun altro e solo per questo la coalizione che ha sostenuto Romano non potrà ripetersi. La forza dell'Ulivo è la vocazione a governare, ma non da soli».
Quindi pensate a una lista dei prodiani doc, magari con dentro i Verdi e Di Pietro.
«Fantasie, in questi giorni se ne sentono tante. Qualcuno può davvero pensare che Prodi, come ha detto Rovati, voglia Gianni Letta alla guida di un governo per le riforme?».
Ferrara ha sfidato Veltroni a farsi avanti.
«Non è elegante offrire un boccone avvelenato a un leader che è stato un tuo interlocutore».
Non è vero che nel Pd c'è aria di scissione?
«Non esiste, nessuno verrà privato della fatica di costruire una unità vera. Il discorso è un altro, il Pd deve andare da solo o in coalizione?».
Lo dica lei.
«Posso dirle con chi non ci potremo alleare mai più. Mastella, Dini, Scalera, Fisichella, Turigliatto...».
Radicali, socialisti e dipietristi possono entrare?
«Per me vocazione maggioritaria vuol dire vocazione a governare con un programma coerente e condiviso, quel che si deve fare è dire subito con chi ci si allea».
Con Rifondazione, sì o no?
«Dipende da loro. La vocazione maggioritaria intesa come solitudine può piacere a qualche partito che chiede il sistema tedesco per riprendersi la sua libertà».
Insisto, il Prc dentro o fuori?
«Il Pd deve avere un dialogo con la sinistra democratica. Lo stato dell'Italia non ci consente di tirarci fuori, tutti dobbiamo fare uno forzo. La coalizione deve restare unita».
D'Alema ha dichiarato chiusa la stagione di Prodi.
«Sarebbe un suicidio politico dal quale prenderei le distanze.
Io mi chiamo Rosy Bindi, ho fatto una corsa per la segreteria autonoma da Veltroni e, mi par di capire, anche da D'Alema. L'ultima cosa che ci possiamo permettere è creare discontinuità col governo Prodi, entreremmo in contraddizione con noi stessi».
Si arrenda, la stagione dell'Ulivo è finita.
«Il passato non torna, ma questo non significa perdere la forza e l'impronta di un progetto politico. Lo spirito dell'Ulivo non è morto e sepolto e il Pd in campagna elettorale non può che rivendicare i grandi risultati di questi venti mesi, dei quali purtroppo gli italiani non hanno avuto il tempo di accorgersi».
Infatti. La popolarità di Prodi è molto bassa.
«Ha fatto un giro sui blog? La sua chiarezza per come ha gestito la crisi è stata apprezzata».
Non al vertice del Pd.
«Ma dagli italiani, sì. Non ce lo dimentichiamo, Romano è l'uomo che per due volte ha battuto Berlusconi, lui è l'unico che ci è riuscito. Rutelli avrà pure fatto la rimonta nel 2001, ma fu sconfitto».
Prodi pensa di riprovarci?
«Avere Prodi come fondatore e presidente del Pd fa la differenza rispetto ad altre storie politiche. Nessun partito può vantare di avere come presidente una persona che ha il percorso politico e istituzionale di Prodi. Romano non può non essere protagonista della gestione di questa fase, come dell'apertura della campagna elettorale. E noi dobbiamo andarci a testa alta, convinti che la partita è aperta».
Veltroni è il vostro candidato premier?
«Non è scontato, non c'è un automatismo. Dobbiamo mettere in campo una sintesi intelligente di novità e tradizione. Il Pd ha grandi risorse e una si chiama Veltroni, ma c'è anche Prodi e ci sono altri leader. Chi sarà il candidato premier è una scelta che noi faremo insieme».
Lo statuto dice che il segretario corre per Palazzo Chigi.
«Stiamo ancora discutendo. Fare lo statuto oggi non è come farlo quando le elezioni sono lontane...».

Monica Guerzoni
28 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Rosy Bindi: "Mossa obbligata per vincere ma il progetto deve restare l´Ulivo"
Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2008, 04:19:42 pm
8 Febbraio 2008

Rosy Bindi: "Mossa obbligata per vincere ma il progetto deve restare l´Ulivo"

di Alessandra Longo - da LA REPUBBLICA





Rosy Bindi allora andare da soli non è affatto un suicidio politico come qualcuno, a sinistra, ipotizza?
«Non abbiamo nessuna vocazione al suicidio, glielo assicuro. Sono arrivata a questa scelta attraverso un processo personale non scontato. Non è affatto un arroccamento, un´affermazione di autosufficienza e solitudine. La nostra priorità è vincere le elezioni con un partito, il suo leader e il suo programma».

All´epoca delle primarie, lei era preoccupata della personalizzazione, del rischio di un "partito del leader"...
«E invece adesso abbiamo deciso che nel simbolo ci sarà scritto "Veltroni presidente". Le mie riserve riguardavano allora la forma partito non la candidatura di Walter alla presidenza del consiglio. E poi è nella logica delle cose se ci presentiamo da soli. Se fossimo stati in una coalizione, certo avremmo dovuto fare le primarie ma oggi non è così».

L´esperienza dell´Unione è fallita.
«Dobbiamo riconoscerlo ma ci rimane la dote di un ottimo lavoro, che è quello del governo Prodi. Riusciremo a spiegarlo agli italiani quando la nebbia dei contrasti, dei conflitti che ci sono stati tra le varie parti della coalizione, si diraderà».

E gli alleati che fine fanno?
«Il Pd non si chiude, non è un capriccio quello che abbiamo deciso, è la nostra migliore carta. Serve a fare chiarezza, a sottolineare la differenza con il centrodestra dove la coalizione è frastagliata, vecchia. Poi arriveremo al passo successivo, al programma, e qui apriremo un confronto con i nostri eventuali possibili alleati».

Che cosa rimarrà alla fine dell´esperienza ulivista?
«E´ proprio questo il punto. Non nascondo che dentro il Pd ci sono sfumature politiche diverse. Follini, per esempio, parla di «un partito di centro», in competizione con la sinistra e con il centrodestra. Io invece vedo il Pd come il compimento dell´Ulivo, come il consolidamento di un soggetto politico, capace, partendo dalla sua autonomia, di tenere unito un nuovo centrosinistra. Questo deve essere il progetto di lungo periodo».

L´Unione ha fallito, l´Ulivo deve vivere.
«Sì, e la sfida è anche per i partiti della cosiddetta sinistra radicale. Bertinotti pare averla colta in pieno, anzi mi sembra che l´abbia cercata. Quella con il Pd ha l´aria di una separazione consensuale».

Altri soci della Cosa Rossa invece non hanno preso per niente bene l´iniziativa solitaria del Pd.
«La Cosa Rossa deve interrogarsi sulla scelta di fondo, quella fra cultura di governo e cultura antagonista».

Che fate dei radicali? Li scansate?
«E´ il programma, solo il programma che farà da base al dialogo. Non siamo disponibili ad anteporre le alleanze. Abbiamo già dato».

Come se lo immagina questo programma?
«Dovrà essere capace di rispondere a problemi complessi, di coniugare la crescita all´equità sociale. Il Pd sarà in grado di sfondare nell´elettorato di centrodestra, di recuperare i moderati ma non potrà permettersi di lasciare scoperto il fianco sinistro. Dovrà avere una visione globale e arrivare ad una sintesi rigorosamente di centrosinistra».

Un´impostazione squisitamente ulivista...
«Farò di tutto perché quella stagione non muoia».


8 febbraio 2008

da scelgorosy.it


Titolo: La Bonino: «Di lei ho la massima stima, le chiedo di restare come ministro, ...
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2008, 12:07:59 pm
25/2/2008 (7:11) - INTERVISTA A ROSY BINDI

"I radicali? Se fossero coerenti dovrebbero star fuori dal Pd"
 
La Bonino: «Di lei ho la massima stima, le chiedo di restare come ministro, non come radicale»

BEPPE MINELLO


Orgogliosa Rosy, gentile con chi è gentile, dura con chi fa il duro: «Cappato stia attento a non provocare perché il patto con i radicali non è ancora stato firmato» replica al deputato europeo che ha rivendicato il diritto della futura pattuglia radicale nel Pd a «rompere i coglioni», a «discutere prima del voto, o no?».

Il ministro della Famiglia parla dal palco del Teatro Colosseo, scelto dai democratici torinesi per avviare la campagna elettorale con Fassino, Damiano, Turco, Vernetti, il segretario regionale Morgando e l’ormai onnipresente Antonio Boccuzzi, l’operaio-simbolo, il sopravvissuto al rogo della Thyssen.

Prima di affrontare il caso-radicali è tornata sulla vicenda dei Dico quale esempio «di legge sulla quale era stato raggiunto un punto di equilibrio per creare famiglie senza discriminazioni di sesso ed ha sbagliato chi avrebbe voluto fare di più». E per chi ha qualche dubbio su ciò che, per la pasionaria di Sinalunga, si deve intendere per cattolico impegnato in politica, ribadisce che «la nostra carta costituzionale riconosce la famiglia, ma non è contro il diritto delle persone, non è contro le loro scelte».

Fatta questa doverosa premessa, cosa dice a candidati radicali come Umberto Veronesi, l’uomo del testamento biologico, e a Silvio Viale, il ginecologo sostenitore della pillola abortiva?
«Candidati? E’ a loro che dovete chiedere se firmano il programma del Partito democratico e se rinunciano alle loro idee. Se sono coerenti non dovrebbero firmare e non dovrebbero candidarsi. Nel programma del Pd, a proposito di testamento biologico, sui diritti dei conviventi, sulla 194, sono scritte alcune cose e sono stati messi punti e virgole pesanti. Non è che se uno si candida con noi può permettersi di firmare quel documento e il giorno dopo in Parlamento presenta robe che non hanno niente a che fare con quanto stabilito o ricomincia a porre il veto su punti del programma quando vengono attuati».

Ha la stessa opinione di Emma Bonino capolista?
«Lo dico da componente cattolica di questo partito: ho una grande stima di Emma Bonino e a lei chiedo di stare nelle nostre liste da ministro e non da radicale. Così come chiedo a Paola Binetti di stare nel Pd da democratica e non da cattolica. Penso che ci dovremo limitare un po’ tutti».

Cosa che invece non sta avvenendo, o no?
«E’ sbagliato giocare a chi mette più bandierine, a dire “Se c’è un loro candidato allora ne metto uno mio”. Le estreme si autoalimentano e la forza del Pd dev’essere la logica opposta a quella dell’Unione dove uno compensava l’altro alzando la voce in una confusione generale che era la sola cosa percepita dagli italiani. La fatica sta nel trovare la sintesi, riscopriamo questa dimensione etica della politica, non creiamo divaricazioni strumentali ma lavoriamo per arrivare a una mediazione. Insieme».

Ha letto la difesa della 194 fatta dalla Federazione degli Ordini dei medici, cosa ne pensa?
«Che il Pd rispetta l’autonomia dei professionisti della medicina, della scienza e della ricerca. Detto ciò, credo che questa presa di posizione sia l’ulteriore dimostrazione che sarebbe cosa buona accettare il consiglio di chi chiede di tenere fuori dalla campagna elettorale temi così delicati e importanti per la vita delle persone».

Intanto mercoledì i cattolici del Pd terranno un convegno-convention, e dai teodem ai cristiano-sociali senza dimenticare i popolari e i cattolici ex-Ds tutti saranno uniti nel chiedere garanzie per i loro parlamentari uscenti e ipotizzano nomi pesanti per le liste da contrapporre ai vari Veronesi e Viale. Lei ci sarà?
«Si, ci andrò, ma a patto che non facciano una corrente dei cattolici democratici nel Pd; pretendo piena cittadinanza nel partito ma non voglio una corrente per ottenerla»

A chi sostiene che l’aver imbarcato i radicali può essere una sottile strategia per favorire la Rosa Bianca e danneggiare il Pdl al Senato cosa replica?
«Che verso la Rosa Bianca vanno i cattolici del centrodestra e che i nostri cattolici è meglio tenerceli».

da lastampa.it


Titolo: ROSY BINDI - "L'Italia dovrebbe scusarsi con Moro..."
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2008, 12:33:34 am
Rosy Bindi: "L'Italia dovrebbe scusarsi con Moro..."

Andrea Carugati


«L’assassinio di moro condiziona ancora la vita italiana: dobbiamo ancora recuperare il ritardo che il paese ha cominciato ad accumulare quando fummo privati del costruttore del progetto di una democrazia compiuta, dell’alternanza». Rosy Bindi, ministro della Famiglia, riflette sui 30 anni dal rapimento dello statista democristiano. «Sono 30 anni che ne stiamo pagando le conseguenze: una democrazia fragile nei suoi assetti istituzionali, la lunga transizione incompiuta, tutto ha origine con la morte di Moro. Su di noi pesa la responsabilità di colmare questo ritardo: stiamo facendo dei passi avanti importanti, dopo anni di contraddizioni e di passi indietro. Ma il Paese ancora ne deve uscire». «Sono convinta - aggiunge Bindi- che le Br siano stati gli esecutori di quel disegno criminale, ma non certamente i soli responsabili. E questo perché il progetto di Moro era talmente grande e lungimirante che qualcuno lo ha fermato».



Se è così, la strategia della fermezza era l’unica strada percorribile?



«Ero molto giovane, non facevo politica in prima persona, ma fui d’accordo con quella impostazione, forse perché non avevo capito fino in fondo cosa stava succedendo. Sono molti anni che dubito di quella scelta: e oggi sono convinta che c’era il dovere di liberare Aldo Moro. Non c’è ragion di stato che tenga di fronte a una vita umana, al valore della persona: e in particolare di quella persona, per il ruolo che aveva nella vita del Paese. Tutti noi abbiamo dubitato di quelle lettere, pensato che non fosse lui. Di questo dobbiamo chiedere profondamente scusa a lui e alla sua famiglia. Non ci fu neppure la consapevolezza che senza di lui quel progetto si sarebbe fermato. Quello che è seguito è sotto gli occhi di tutti, compreso il destino della Dc».



Con Moro la Dc avrebbe salvato anche se stessa?



«La Dc e il Pci avrebbero dovuto salvare il progetto moroteo, e gli stessi partiti. Non si sarebbe costretto il sistema politico italiano a 30 anni di ritardo. Quelli che dovevano essere i due attori principali del sistema dell’alternanza oggi hanno costruito un unico partito: questo dimostra che nel frattempo è successo quello che Moro annunciava nelle sue lettere. È stata la fine della Dc che ha provocato questo terremoto, e la fine della Dc non ci sarebbe stata se si fosse realizzato il progetto di Moro. Mi riferisco alla capacità di un grande partito riformista di tenere legato un elettorato moderato: questo è il grande merito della Dc. Non è un caso se per 50 anni in Italia non c’è stata la destra, non c’è stata la tentazione populista. Questa oggi è sfida del Pd: recuperare alle ragioni del riformismo la maggioranza degli italiani».



Qual è l’eredità di Moro che il Pd può e deve fare sua?



«La democrazia dell’alternanza tra due forze che si legittimano reciprocamente. Moro aveva in testa questo disegno, non il governo con i comunisti. Ma anche la visione strategica di una politica che sapeva guardare lontano e portare lontano un Paese, la grande capacità di leggere e interpretare i mutamenti culturali e alimentare di questo l’azione politica: penso alle sue riflessioni sul 68, il divorzio, al primo centrosinistra. C’era in Moro l’idea di una democrazia in cui i partiti condividono più di quanto non li divida. È questo che manca ancora al bipolarismo italiano: un comune sentire sulle cose fondamentali, a partire dal senso delle istituzioni».



Per la politica oggi è prioritario concentrarsi sull’eredità politica di Moro o scavare ancora sulle zone grigie, su chi si avvantaggiò di quel disegno criminale?



«È prioritario concentrarsi sull’eredità politica di Moro, e tuttavia le ferite si chiudono solo se c’è verità. Per questo sono sempre stata contraria a un colpo di spugna, ad un provvedimento di carattere generale verso i brigatisti: prima la verità».



Vede analogie con l’omicidio Kennedy, ferita che non trova una verità storica chiara?



«La vicenda italiana è più dolorosa e profonda, per le conseguenze che ha avuto: lo sconquasso del sistema politico, Tangentopoli, il rischio della bancarotta. Senza quella cesura avremmo avuto due grandi partiti europei, lo stesso fenomeno Berlusconi in politica non ci sarebbe stato. Negli Usa ci sono stati effetti sistemici meno pesanti. Anche per questo ritengo indispensabile che il Paese abbia tutte le risposte che attende. Sono convinta che almeno qualcuno di quei brigatisti sappia tutta la verità».



Che effetto le fa rileggere la lettera di Moro alla moglie Eleonora del 5 maggio 78 così intrisa di fede, di amore?



«Credo che siano tra le pagine più alte tra quelle scritte da un condannato a morte. Mi colpisce la forza della fede, e anche la dimensione umana, degli affetti, che non è di tutti i politici. Moro era uno statista, un politico professionista, e tuttavia la politica non ha mai avuto il sopravvento sulle cose essenziali. È un altro grande insegnamento: Moro vedeva la politica al servizio della vita, e non il contrario».



Secondo D’Alema Berlusconi è il contrario di Moro: una «somma di istanze particolaristiche» che non diventano un progetto per il Paese. È d’accordo?



«Come si può non essere d’accordo? E tuttavia è troppo facile. Forse davanti alla testimonianza di Moro è più importante interrogarci sulla nostra distanza. Siamo noi a doverci misurare con Moro, perché noi siamo gli eredi e a noi tocca la grande responsabilità di non far morire il suo insegnamento».

Pubblicato il: 17.03.08
Modificato il: 17.03.08 alle ore 8.56   
© l'Unità.


Titolo: Rosy Bindi Non basta dire casi isolati. Ma Veltroni va sostenuto»
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 10:35:07 am
9 Giugno 2008

Bindi: con le vecchie logiche "balcanizziamo" il partito

di Ninni Andriolo - da L'UNITA'





Onorevole Bindi, lei chiede al Pd di respingere le dimissioni di Prodi dalla presidenza, ma il Professore non torna indietro...
«Non ho chiesto a Prodi di ritornare sulla sua decisione. Io rispetto le sue scelte personali, Ma il Partito democratico non può considerarle tali e, quindi, deve respingere le dimissioni del presidente. Noi non possiamo non individuare il rischio di una rottura tra il Pd e il percorso politico dell’Ulivo. Senza Prodi questo pericolo sarebbe ancora più evidente. La presenza di Romano, da questo punto di vista, costituisce una garanzia».

La cesura con l’Ulivo è già avvenuta. Molti leader del Pd hanno tagliato i ponti anche simbolicamente...
«Non ho mai condiviso questo atteggiamento. Anzi, ho sempre chiesto a Veltroni di spiegare la sua presa di distanze dagli ultimi 15 anni. Da un periodo nel quale, per la verità, si è anche consumato qualche tradimento nei confronti dell’Ulivo».

Lei ritiene che il taglio delle radici uliviste abbia pesato sul risultato del Pd?
«Le motivazioni del voto non vanno ricercate all’interno di un riflessione strettamente politica. Per qualcuno si è perso per colpa del governo Prodi, per qualcun altro perché siamo andati al voto da soli. Queste spiegazioni, però, sono assolutamente inadeguate per capire un risultato da studiare con umiltà. Dobbiamo ammettere che non conosciamo più questo Paese o che  abbiamo negato a noi stessi il cambiamento che stava avvenendo nella società italiana».

Si è notata una certa riluttanza a parlare di sconfitta...
«La sconfitta è stata seria. Nei confronti della destra, ma anche in  rapporto alla percentuale del partito. Il Pd non ha superato quel 35% che tutti ci aspettavamo, e che poteva darci la possibilità di perdere diventando tuttavia la prima formazione politica, perché il poco tempo a disposizione ha impedito che il partito ci fosse davvero. L’idea è talmente giusta che dobbiamo ancora realizzarla in tutta la sua pienezza. Per me la fase costituente non è finita. Il Pd non lo abbiamo ancora fatto».

La riflessione sul voto va a singhiozzo, è d’accordo?
«Non ho dubbi che siamo dentro un percorso comune e che dobbiamo assumerci insieme le nostre responsabilità. Non intendo fare né polemiche, né attacchi. Sono stata a Catania per sostenere il candidato sindaco del Pd, Giovanni Burtone. Come spiegare che il centrodestra lascia il quartiere popolare di Librino da due anni senza luce e miete ugualmente una messe di voti?».

Anche con il fatto che la destra ha saldato un rapporto forte con territori abbandonati del tutto dal centrosinistra...
«Ecco, cos’è che non capiamo più? Io sono convinta che il problema non sia quello di cambiare le nostre idee. Continuo a ritenerle giuste e a considerare sbagliate quelle del centrodestra. Evidentemente non riusciamo a convincere, a creare consenso. E questo non è colpa di nessuno. Potremo dividerci su alcuni aspetti della campagna elettorale. In questo modo, però, potremo spiegarci l’uno o due per cento della sconfitta, non una differenza di tutti quei punti».

Il dopo voto sta provocando spinte centrifughe. Come ha accolto la lettera di Rutelli agli ex Dl?
«Quella lettera l’ho ricevuta e non l’ho letta. Di più, la considero irricevibile. Non mi interessa una missiva scritta dal segretario del mio ex partito, in quanto appartenente ancora a quel partito. Io non sto nel Pd come ex Margherita. Ci sto come Rosy Bindi che, tra l’altro, si è candidata per la segreteria nazionale. Ecco, se c’è in questo momento una mia specificità è quella della lista con la quale mi sono presentata alle primarie».

Quella lettera evoca la riorganizzazione delle vecchie famiglie politiche?
«Se evocasse un ritorno al passato forse qualche rischio per il Partito democratico ci sarebbe. Da più parti si avverte la preoccupazione del futuro, della costruzione di un partito plurale. E sarebbe una regressione ritornare alle appartenenze precedenti. Io, anzi, questa regressione la avverto nella spartizione che contraddistingue la composizione delle liste e la distribuzione degli incarichi. Dove si avvertono ancora le logiche delle vecchie appartenenze. Pluralismo non può significare ritorno al passato. Io non lo intendo così».

Significa fondazioni e associazioni, invece?
«No, così ci balcanizziamo. Deve essere il partito il luogo in cui esprimere e portare a sintesi sensibilità diverse».

Se mancano i luoghi della discussione è ovvio che si imbocchino strade  parallele. Non crede?
«Organizzare un partito plurale significa possibilità che ciascuno venga considerato. Che il dissenso venga giudicato una ricchezza e non un impaccio. Anche il Governo ombra, strumento prezioso che condivido, deve  assumere idee dal partito. Non deve essere il partito a plasmarsi sulle dichiarazioni di questo o quel ministro. Sulla sicurezza, ad esempio, siamo proprio sicuri che la collegialità ci sia stata? A me non pare. Sembra che riduciamo tutto a un fatto di galateo politico. I problemi non sono né di destra né di sinistra. Ma le soluzioni no. O sono di destra o sono di sinistra».

Il Pd «mai nel Pse». Lei è d’accordo?
«La lettera di Rutelli è irricevibile anche perché rischia di depistare. Se mi chiedi di fare la battaglia per non entrare nel Pse, in nome della mia appartenenza alla Margherita, automaticamente la mia scelta si carica di sospetti. Già nel 1997 dissi che bisognava fare l’Ulivo in Europa. Io sono convinta davvero che in Italia abbiamo una storia politica originale. Non c’è stato in nessun’altra parte del Continente l’incontro - tra un partito ex comunista, con tutte le sue evoluzioni, e una presenza organizzata di  cattolici - dirompente come quello che ha portato al Pd. Se sosteniamo la sfida di un partito plurale, non possiamo pensare di collegarci a una sola delle famiglie europee».

Il Pse cambierà nome. Un fatto di sostanza, non solo di etichette...
«Noi siamo europeisti veri, gli euroscettici sono dall’altra parte. Partendo da questo è chiaro che il nostro interlocutore principale non  potrà non essere il Partito socialista. Ma dovremo fare di tutto, prima delle europee, per riuscire a creare un gruppo autonomo, che sia davvero  dei democratici, che stabilisca un rapporto di gemellaggio e di coordinamento con il Pse».

Lei ha ipotizzato il gruppo misto, un contenitore un po’ indistinto per la verità...
«Se non riusciamo a costruire un gruppo nostro o dei democratici europei io non escludo che per un periodo di tempo si possa aderire al gruppo misto. Può darsi, infatti, che il cambiamento del nome del Pse non sia sufficiente per non apparire noi coloro che, comunque, vengono automaticamente annessi».

La casa dei riformisti che ipotizzava anche Prodi, quindi, dovrebbe sorgere sulle fondamenta di un gruppo misto, piuttosto che su quelle dei democratici e dei socialisti?
«L’alleanza con il Pse e la costruzione di un polo riformista in Europa è assolutamente indispensabile, credo però che una cosa è avere una nostra identità e lavorare in gemellaggio con i socialisti, altra cosa sia entrare nel Pse. Questo non ci impedisce di lavorare perché in futuro si possa  diventare un’unica realtà plurale. Sono i socialisti che devono diventare democratici e non i democratici socialisti».

da www.scelgorosy.it


Titolo: Franceschini ha deciso per tutti noi (a proposito di partecipazione della base)
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 10:39:41 am
POLITICA

Franceschini: "Sono passati 70 giorni dal voto, un po' presto per chiedere svolte"

"Avremo il congresso nazionale, sarei un pazzo a dire che non si tocca niente"

"Basta con la corsa al logoramento E' Walter, anche al prossimo giro"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - Il vicesegretario del Pd Dario Franceschini dice di aver ben presenti i problemi: "Un clima di demoralizzazione fisiologico ma profondo, la necessità di una riflessione seria e non consolatoria sulla sconfitta per capirne le ragioni". Ma vede anche altro: "È ricominciato lo sport nazionale dei gruppi dirigenti del centrosinistra: logorare il leader. Questa disciplina va abolita. Veltroni ha ricevuto il mandato per costruire un partito e prepararsi a vincere le elezioni politiche come candidato premier. Solo un disonesto può pensare che il suo compito fosse invece quello di fare il Pd e conquistare Palazzo Chigi in appena tre mesi".

Lei pronostica lunga vita al segretario, altri invece si chiedono quanto possa durare un uomo così accerchiato.
"Penso, innanzitutto, che dobbiamo riflettere senza spiegazioni autoassolutorie sul voto del 13 aprile. La sconfitta è stata temperata da un nostro ottimo risultato in termini percentuali ed è positivo che un partito appena nato abbia superato, in tutta Italia, la somma dei partiti sciolti per dargli vita. Ma il dato più profondo è che i consensi raccolti da tutto il vecchio centrodestra e tutto il vecchio centrosinistra confermano che dal '94 in poi Berlusconi è sostanzialmente maggioranza nel Paese. Oggi, però, il divario è aumentato a loro favore. Quindi serve quello che abbiamo appena iniziato a fare: un ragionamento sui limiti del Pd, una registrata al nostro modo di stare all'opposizione per radicare il partito, per parlare a quel pezzo di Italia che ha apprezzato la novità del Pd ma questa volta non ci ha votato. Per realizzare questi obiettivi, lo capisce anche un bambino, non bastano i due mesi e dieci giorni trascorsi dal 13 aprile. Mi pare un po' presto per fare bilanci e chiedere svolte".

Quando si subisce una sconfitta pesante può succedere di passare la mano. Tornando a bomba: quanto dura Veltroni?
"Questa domanda riflette la storia dell'Ulivo da quando è nato, più di dieci anni fa. Lo sport principale di gran parte dei gruppi dirigenti è stato quello di logorare il leader. Prodi vince nel '96 e subito si comincia a dire che non è adeguato, va a Palazzo Chigi D'Alema e un minuto dopo si pensa che è impossibile andare con lui alle successive elezioni, viene sostituito da Amato ma ci si mette a cercare un candidato alternativo, si candida Rutelli, che gestisce un'altra faticosa rimonta, ma dopo la sconfitta bisogna rimpiazzarlo, torna Prodi e si ricomincia daccapo".

È il turno di Veltroni.
"Veltroni conduce tra gli applausi di tutti una campagna elettorale difficilissima, ma dopo il voto comincia il logoramento. Con una differenza profonda. Negli altri casi i leader erano i candidati di una coalizione alle politiche, in questo caso logorare Veltroni significa indebolire il partito che sta ancora nascendo. Mi chiedo: è davvero inevitabile questa specie di sport nazionale, non possiamo da questo punto di vista diventare più europei?".

Ma non è nei "paesi normali" che gli sconfitti si dimettono?
"In Europa si lascia al leader il tempo di costruire il partito e di gestire il cammino per vincere le successive elezioni. Cameron in Gran Bretagna è da quattro anni a capo dei conservatori e li guida in vista del prossimo voto. Aznar è diventato numero uno del Pp spagnolo nel '89, ha perso nel '93 e ha vinto nel '96. La Merkel è stata eletta segretario della Cdu nel 2000 e ha conquistato la vittoria nel 2005. Zapatero è capo del Psoe dal 2000, ma è andato al governo nel 2004. Blair è diventato il leader laburista nel '94 e ha vinto nel '97. Questi dirigenti politici hanno chiesto e avuto degli anni per fare un lavoro profondo di cambiamento dei loro partiti senza perdere le giornate nelle tensioni e nelle beghe interne. Possiamo fare così anche noi? Anche perché è del tutto chiaro che il giorno in cui al posto di Veltroni ci fosse un altro, il gioco del logoramento ricomincerebbe daccapo".

Stupisce che il 30 per cento di italiani abbia votato un partito guidato da dirigenti tanto ingenerosi e rissosi.
"Abbiamo fatto il Pd proprio per cambiare questa cultura. E in questo cambiamento si sono riconosciuti gli elettori delle primarie, quelli che hanno riempito le piazze durante la campagna elettorale e oggi ci chiedono di andare avanti. Certo, se aprono i giornali e vedono un partito avvitato su se stesso, hanno ragione a scoraggiarsi. Siamo a un bivio. Da una parte, si consolida una gestione collegiale del partito e si cerca di realizzare un dibattito aperto e franco, ma che concorre al rafforzamento della leadership e al radicamento del Pd. La strada opposta è quella di aspettare le Europee magari immaginando che con il 29,9 si perde e con il 30,1 si vince. Insomma, un percorso di guerra in cui tenere in costante litigiosa precarietà il partito e la leadership".

Ma davvero Veltroni può ricandidarsi alle prossime elezioni?
"Penso che questo sia il mandato che ha ricevuto. A meno che qualcuno, in modo disonesto, pensi che il suo compito fosse costruire il Pd e vincere contro il centrodestra in tre mesi e in quelle condizioni".

Il suo appello rischia di cadere nel vuoto. Non sarebbe il caso invece di prendere l'iniziativa, magari anticipando il congresso?
"Per carità, nessuno vuole sottrarsi. Avremo il congresso nazionale. Sarei un pazzo a dire che non si tocca niente per cinque anni. Anzi. Ma per mutare le cose serve profondità di analisi e tempo. Prendiamo il tema dell'opposizione. Cosa dovevamo fare: metterci a sbraitare subito contro il mostro Berlusconi? Sapevamo che sarebbero arrivate puntuali le occasioni per opporci. E vedrete che non ci manca né la forza né la voce per contrastare il Cavaliere".

Parisi è netto. Dice che bisogna cambiare subito il leader, altrimenti la crisi trascinerà nel baratro l'intero Pd.
"E dov'è la notizia? Parisi fa così da 15 anni. Pensa che ogni momento positivo sia merito suo e ogni difficoltà sia figlia invece della tragica colpa di non aver seguito i suoi preziosi consigli. Parisi approva, Parisi collabora: quella sarebbe stata la novità da titolo".

(23 giugno 2008)
 
da repubblica.it


Titolo: Bindi non sta con Di Pietro, ma dice: "Svegliamoci"
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2008, 02:35:16 pm
POLITICA

Assemblea dei parlamentari democratici

Bindi non sta con Di Pietro, ma dice: "Svegliamoci"

E il Pd si divide sulla piazza

I cattolici: "Siamo troppo morbidi"

Furio Colombo: "Il partito spieghi cos'è l'opposizione"

 
dal nostro inviato GIOVANNA CASADIO



BOSE (Biella) - "Svegliamoci, ragazzi. Occhio, non abbiamo più anticorpi, neppure quello dei girotondini e non possiamo affidare a una manifestazione minoritaria di Beppe Grillo la reazione a quello che sta succedendo...". Cattolici del Pd chiamati alla mobilitazione da Rosy Bindi.

In un luogo di meditazione, com'è il monastero di Bose, immerso nel verde e nel tempo scandito dalla preghiera, i cattolici riuniti da "Argomenti 2000" per un seminario sulla laicità, sono arrabbiati. Parlano del partito, di come si fa l'opposizione ora nel momento in cui "Berlusconi fa carta straccia delle regole democratiche" e Di Pietro che "dallo scontro passa all'insulto". Bindi e gli altri non vogliano andare in piazza con Di Pietro ma pensano a un'opposizione più dura e a forme di mobilitazione che potrebbero arrivare fino alla disobbedienza civile e che "testimonino l'indignazione" per le impronte digitali prese ai bimbi rom, per il "blocca processi"del premier, per il conflitto d'interessi.

Una discussione che non potrebbe avere maggiore tempismo. Domani c'è un'assemblea dei parlamentari del Pd. Appuntamento pomeridiano alla Camera. Furio Colombo - tra i promotori della manifestazione dipietrista e grillina dell'8 luglio - solleverà la questione dell'opposizione in piazza subito e con Di Pietro. "Il capogruppo, Antonello Soro ha detto che il Pd non deve fare un'opposizione urlata e girotondina - sottolinea Colombo - spieghi allora cosa intende. Ciascun parlamentare, lì in assemblea, si assuma la propria responsabilità, dica la sua". Insomma, una resa dei conti su "piazza subito sì, piazza con Di Pietro no".
E anche, continua Colombo, sulla qualità dell'opposizione che il Pd mette in campo: "Io mi domando cosa è opposizione, a questo punto. E all'assemblea del Pd voglio chiedere: quando Obama va all'attacco di Bush, fa un'opposizione urlata o semplicemente parlata?".

Veltroni - che ieri doveva essere a Bose e poi a Ivrea per la conclusione del seminario sulla laicità ma dà forfait "per problemi familiari" - ha dato appuntamento alla piazza riformista in autunno. Troppo tardi? Soft non reagire a sprone battuto? Da Bose, alcuni dei parlamentari "in ritiro" come Paolo Corsini, Paolo Giaretta, Daniela Mazzucconi, chiedono un'opposizione con più mordente e meno attendismo. Corsini, l'ex sindaco di Brescia, uno abituato a confrontarsi con i problemi concreti, invita ad assumere posizioni nette, "che non significano confondersi con Di Pietro, tutt'altro".

A Roma, l'ala sinistra del Pd teme che si finisca nel "conflitto" tra opposizioni: "Perché contrapporre le diverse manifestazioni contro il governo? - avverte Vincenzo Vita - È utile che vi siano manifestazioni anche prima dell'autunno, come quella lanciata da Italia dei valori e da Micromega per l'otto luglio. Tuttavia è opportuno che i promotori chiariscano se è una manifestazione in cui prevale una polemica con il Pd". Ci sono poi, gli assolutamente contrari alla deriva dipietrista come Giorgio Merlo (che ieri è a Ivrea, in prima fila ad ascoltare Bindi, Savino Pezzotta, Stefano Ceccanti e Pierpaolo Baretta) e oggi lo dirà all'assemblea dei parlamentari. Da Bose inoltre, la sveglia della Bindi al partito di Veltroni suona sollecitando a "mettere l'orecchio come gli indiani per terra" per capire davvero quello che è accaduto nel paese non limitandosi a analisi superficiali.

(29 giugno 2008)

da repubblica.it


Titolo: Veltroni: l'opposizione torni nelle piazze
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2008, 02:36:04 pm
Veltroni: l'opposizione torni nelle piazze


Tutti a parlare della svolta di Walter Veltroni. L'argomento appassiona soprattutto il centrodestra. Dopo l'intervista di domenica a Repubblica in cui segnalava la fine del dialogo con Berlusconi, il leader del Pd chiarisce lunedì con una lettera al direttore de l'Unità Antonio Padellasro cosa intende per rilanciare la mobilitazione e la discussione da settembre, tornando nelle piazze d'Italia «senza fare sconti al governo». Su l'Unità in edicola Veltroni accusa «le iniziative di governo e presidente del Consiglio» di aver dimenticato l'interesse generale, «dando di nuovo priorità a vicende legate ad interessi particolari e personali e assestando un colpo mortale a quel bisogno di confronto alto tra diversi schieramenti sulle riforme e la modernizzazione delle istituzioni e della politica».
Nel frattempo nel centrodestra la certificazione della fine del dialogo viene valutata con disappunto e finta sorpresa. Si dice che Veltroni si è fatto ostaggio di Di Pietro, che l'antiberlusconismo è una specie di malattia endemica del centrosinistra. Insomma, nessuna risposta nel merito.

Solo Umberto Bossi nella sua nuova veste di ministro delle Riforme manifesta su La Stampa un minimo di preoccupazione per il clima avvelenato che , dice, « non serve a nessuno, nemmeno a Veltroni» e si accoda al «giusto richiamo» fatto dal presidente Napolitano a ristabilire una dialettica più serena tra le forze politiche. Visto che così le riforme condivise non arriveranno, il Senatùr si propone di parlare con il Cavaliere. «Gli dirò di darsi una calmata». Dice Bossi che è disposto a ricoprire l'insolito ruolo di paciere. «Non sono più tranquillo, se voglio ho dieci milioni di persone con me che posso muovere... - gli scappa ma poi si riprende - Ma sulla magistratura cerco di fermare Silvio Berlusconi. Anche se capisco che fa così, perché i giudici lo stanno legnando inutilmente. Ma è anche vero che adesso, nelle condizioni in cui si trova il Paese, bisogna essere più calmi, ragionare a freddo per il bene dei cittadini».

Del resto se il ministro della Giustizia Angelino Alfano intervistato due giorni fa da l'Avvenire si è detto pronto ad andare a testa bassa a colpi di fiducia ad approvare il suo lodo salvaBerlusconi, sfidando l'infrazione della Costituzione e le intemperie dell'ostruzionismo, un altro che tenta a parole di fare il paciere è ilò ministro dei beni culturali Sandro Bondi. Anche lui dispiaciuto per la svolta di Veltroni che spera di recuperare circoscrivendo il «nuovo incendio scoppiato sulla Giustizia» proprio, però, «sulla base del provvedimento proposto dall'ottimo ministro Angelino Alfano».

Insomma il Pd - dalla Finocchiaro a Veltroni - dice: togliete di mezzo il lodo Schifani bis e parliamo. E il centrodestra fa orecchi da mercante in fiera: il lodo va bene, ma discutiamo lo stesso.

Così, Ignazio La Russa, ministro della Difesa e reggente di An, a Il Giornale spiega che è «a causa della complessa situazione in cui versa il centrosinistra» - per lui Veltroni è «ondivago» - non ci sarebbe «alcuna disponibilità a un confronto serio». Ma del resto sul lodo Schifani, La Russa vede come unico errore del governo l'averlo presentato tardi, perchè «se fosse stato il primo provvedimento», quando non c'era «questo clima di scontro», il problema «sarebbe già risolto». Sull'immunità per le alte cariche comunque, l'opposizione, per La Russa, «mettendo da parte le convenienze elettorali, non può non pensare che sia sacrosanta». Il lodo, per lui potrebbe addirittura «essere un passo per svelenire il clima e ridare dignità e prestigio alla magistratura». E se finora Veltroni appare recalcitrante è solo «perché è debole».

Occhi puntati su Pierferdinando Casini che rilascia una intervista al Corriere della Sera nella quale invita il Partito Democratico a «dissociarsi profondamente» dalla linea dell'ex pm Antonio Di Pietro- la sua opposizione dura è per Casini una assicurazione sulla vita per Berlusconi - , perché «così come siamo, noi opposizioni non siamo una alternativa credibile».


Pubblicato il: 30.06.08
Modificato il: 30.06.08 alle ore 11.52   
© l'Unità.


Titolo: Se torna lo spirito delle Primarie
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2008, 09:30:58 pm
Se torna lo spirito delle Primarie

Michele Ciliberto


È molto positivo, a mio giudizio, che si stia accendendo una vivace discussione sul senso e sul destino del Partito Democratico; e lo è non soltanto per questo Partito ma per la società italiana nel suo complesso. In Italia si stanno, infatti, affermando nuove forme di dispotismo che tendono a trasformarsi addirittura in nuovi sensi comuni fino al punto da fare apparire normali cose che solo qualche anno fa ci sarebbero apparse addirittura inconcepibili (dall’attacco sistematico alla divisione dei poteri, fino alla scelta - veramente repellente - di schedare i bambini Rom).

Ma questo nuovo dispotismo con cui siamo costretti a misurarci quotidianamente - e su questo bisognerebbe interrogarsi - è direttamente connesso alla crisi dei partiti di massa che hanno connotato la politica del Novecento, e al fatto che non si sia ancora riusciti ad organizzare partiti di tipo nuovo, che contribuiscano ad evitare la deriva dispotica di un potere esecutivo che vuole sfuggire, tenacemente, ad ogni forma di bilanciamento e di controllo.

Verso i vecchi partiti non bisogna avere, lo so bene, alcun atteggiamento di tipo nostalgico: occorre sapere, senza farsi illusioni, che l’epoca della politicizzazione di massa è tramontata e che i problemi con cui dobbiamo fare i conti a tutti i livelli - sociale, politico, persino antropologico - sono completamente nuovi e vanno dunque affrontati e risolti con strumenti e programmi all’altezza del nuovo millennio che si è aperto. Ma questa persuasione non toglie la consapevolezza che il ruolo dei partiti resta essenziale e che senza di essi non c’è, né può esserci, democrazia organizzata. Nel migliore dei casi, si precipita in forme di ribellismo e di astrattismo velleitario oppure in forme nuove di dispotismo che di fatto svuotano la vita democratica di qualunque consistenza e concretezza. Porre il problema del Partito Democratico e della sua consistenza significa, dunque, porre una questione di carattere propriamente nazionale; così come è interesse di tutti una riorganizzazione positiva, su nuove basi, anche delle forze della sinistra cosiddetta radicale. Una rapida riorganizzazione del sistema politico nella sua complessità - spazzando via la nebbia ideologica che ci ha sommerso in questi mesi - è interesse di tutti coloro che hanno a cuore la democrazia nel nostro paese.

Ci vuole perciò molto senso di responsabilità quando si affronta, in questo momento, il problema del Partito Democratico sapendo bene qual è la posta in gioco. Bisogna evitare affermazioni intempestive e anche giudizi ingenerosi facendo affidamento su un generale principio di etica della responsabilità. Ma, detto questo, occorre pur guardare la realtà quale è, misurando anche il rischio reale che il Partito Democratico possa fallire e si dissolva con conseguenze gravissime per l’intera democrazia italiana. Certo, la sconfitta elettorale, per il modo in cui si è prodotta, ha accentuato questo rischio; ma essa ha ragioni più profonde che si potrebbero concentrare in un punto specifico: il Partito Democratico non è riuscito fino ad ora ad essere all’altezza della sfida democratica che esso stesso ha innescato con la sua nascita producendo invece - quasi per contrasto - una situazione di disillusione, di disincanto, di distacco dalla vita politica - oltre che da se stesso - che rafforza e potenzia le inclinazioni dispotiche esplose con chiarezza in queste settimane.

Il Partito Democratico è nato dalla consapevole volontà di stabilire nuovi rapporti fra «governanti» e «governati», fra «dirigenti» e «diretti», stabilendo un nuovo nesso fra rappresentanza e partecipazione e riaprendo in questo modo il problema delle basi e del consenso democratici nel nostro paese. In altre parole, e per dirlo sinteticamente, il Partito Democratico si è proposto di intrecciare riforma del sistema politico e riforma della democrazia italiana nello sforzo di superare la crisi di sovranità apertasi con la fine della prima repubblica. Se si valuta quello che è accaduto in questo mesi non si può non riconoscere che il bilancio è nel complesso negativo. Non c’è stata maggiore partecipazione, non c’è stato maggiore coinvolgimento nelle decisioni, non c’è stata, in una parola, maggiore democrazia. Invece di stabilire nuove forme di comunicazione tra gli uni e l’altra, si è acuita la separazione tra cerchi sociali e dimensione politica (per usare termini classici che non danno misura della complessità e della novità della situazione).

In questo esito negativo c’è stata sicuramente una grave responsabilità da parte di tutti: della «società» - compreso i cosiddetti intellettuali - che ha teso nuovamente a rinchiudersi in se stessa e nei suoi interessi immediati; della politica, ridottasi in modi sempre più chiusi e compatti ad un ceto che si riproduce secondo logiche autistiche senza contatto con il «mondo grande e terribile».

Se si considera l’ultima fase della vita politica italiana, appare chiaro che in questo processo una funzione di vero e proprio spartiacque è stata costituita dall’esperienza delle primarie; ed altrettanto evidente appare che l’indebolimento del progetto del Partito Democratico è strettamente intrecciato al venir meno e all’esaurirsi, nel disincanto e nella disillusione, delle energie che proprio attraverso quella esperienza avevano manifestato, quasi rivelandola a se stesse, una nuova e rinnovata aspirazione al cambiamento e alla trasformazione di assetti di potere apparsi, fino ad allora, quasi immodificabili. È a questa esperienza che bisogna perciò, a mio giudizio, fare riferimento e alle esigenze di nuova partecipazione che in essa si sono espresse con l’obiettivo di definire in termini nuovi il rapporto tra partecipazione e rappresentanza - se si vuole riprendere il cammino del Partito Democratico -. Ed è a questa stregua, a mio parere, che vanno valutate anche le varie iniziative che vengono prese in questi giorni, comprese le «correnti» di cui oggi si parla in modo quasi ossessivo. Occorre chiedersi se vanno in questa direzione oppure no, e su questa base esse vanno giudicate.

Naturalmente per risolvere un problema bisogna porlo in modo corretto: se le «correnti» esprimono solo assetti di potere, devono essere duramente combattute perché vanno in direzione precisamente contraria a quella che serve. Se invece rappresentano tendenze culturali e politiche significative esse vanno riconosciute senza complessi, perché in un partito strutturalmente plurale come il Partito Democratico esse possono essere un’effettiva sorgente di vita democratica e di arricchimento della vita stessa del partito. Allo stesso modo deve essere valutato l’ipotesi del Congresso, il quale a mio giudizio può essere particolarmente utile se riesce a portare alla luce la molteplicità di istanze che si intravedono nel Partito Democratico e che rischiano di rimanere sospese come in un vuoto pneumatico e quindi di decadere, se non vengono comprese e valorizzate, e quando sia necessario criticate. Sarà naturalmente compito del Congresso riuscire a trovare un «punto dell’unione» fra queste varie istanze; e dovrà farlo sul terreno schiettamente politico - e non ideologico, voglio sottolinearlo -, corrispondendo alle esigenze della situazione e ritrovando nuove forme di comunicazione con gli uomini e le donne che hanno aderito al Partito Democratico.

Tanto più questo obiettivo potrà essere raggiunto se il Congresso sarà organizzato in modo tale da soddisfare quelle esigenze di nuovi rapporti fra rappresentanza e partecipazione che si sono espresse nelle primarie e che sono alla base della crisi di legittimità del sistema dei partiti in Italia e anche, ora, del Partito Democratico. Altre soluzioni non ci sono.

Pubblicato il: 30.06.08
Modificato il: 30.06.08 alle ore 9.04   
© l'Unità


Titolo: Rosy Bindi. Un governo forte che scheda i bambini su base etnica ...
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2008, 06:52:44 pm
2 Luglio 2008

Opposizione in Parlamento e nel Paese

Un governo forte che scheda i bambini su base etnica come presunti criminali ma che pretende immunità per i potenti, a cominciare dallo stesso Presidente del Consiglio.


di Rosy Bindi

Un governo forte che scheda i bambini su base etnica come presunti criminali ma che pretende immunità per i potenti, a cominciare dallo stesso Presidente del Consiglio. Berlusconi riprende la marcia interrotta nel 2006 e assesta colpi micidiali ai principi della democrazia e della Costituzione repubblicana.
Il problema non sono solo il ritorno delle leggi ad personam, con le norme blocca processi, il nuovo lodo Alfano, il linguaggio intimidatorio verso la magistratura, i tentativi di zittire il CSM, la previsione di un decreto legge sulle intercettazioni, anche se tutto questo rappresenta un gravissimo vulnus alla legalità. Il nostro problema è l’idea stessa di democrazia, politica, economica e sociale, che Berlusconi sta praticando, o meglio imponendo, con la forza dei numeri parlamentari e con l’arroganza di chi pensa che il voto popolare gli abbia consegnato una delega in bianco.

La nostra opposizione, come si conviene ad un grande partito, popolare e radicato come vuole essere il Pd, non si limiterà a restituire dignità al Parlamento umiliato dai decreti legge. Su come fare l’opposizione non accettiamo lezioni da nessuno, né da Di Pietro né da Flores D’Arcais, e respingiamo gli intollerabili attacchi al Presidente Napolitano.

Ma possiamo e vogliamo fare la nostra parte anche nel paese. Non costruendo una piazza contro un’altra ma mobilitando in modo democratico e fermo nelle nostre feste e in ogni città gli italiani che, nel centrosinistra ma anche nel centrodestra, non vogliono che la nostra democrazia, con i suoi pesi e contrappesi si trasformi, de facto, in un regime personale. Possiamo costruire un’opposizione più corale, più incisiva e più larga.


da www.scelgorosy.it


Titolo: ROSY BINDI. Un macigno sulla strada del dialogo
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2008, 10:27:24 pm
10 Luglio 2008

Un macigno sulla strada del dialogo


Sotto l’urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l’approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.


di Rosy Bindi

Sotto l’urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l’approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.
Un provvedimento che per sospendere un processo a carico di Silvio Berlusconi prefigura un sistema abnorme di impunità, in modo peraltro pasticciato, per le più alte cariche dello Stato. Si dice che occorre mettere fine all’emergenza giustizia e chiudere una presunta anomalia italiana nel rapporto tra magistratura e politica.

Il salva processi e il Lodo Alfano, che sono indissolubilmente legati, non avrebbero alcuna attinenza con il processo in corso a Milano, perché, afferma l’on. Ghedini, l’on. Berlusconi non se ne avvarrà, perchè si risolverà con l’assoluzione del premier. Ma allora a che serve? 

La risposta dell’avvocato difensore del premier è a dir poco inquietante: “I processi si devono sospendere per il bene del paese e non di Berlusconi”. Il lodo serve insomma a “governare con serenità” e, ha ripetuto l’on. Pecorella, assicurare la stabilità politica che da troppo tempo manca all’Italia.

Ma si può fare il bene dell’Italia se la giustizia non è al servizio di tutti, se la legge non è uguale per tutti, se la serenità di chi governa è affidata ai suoi privilegi e alla sua immunità anziché alla sua retta coscienza? E’ come dire che la legittimazione del popolo sospende il valore della legalità e solleva chi detiene il potere dal rispetto della legge.

Il nostro presidente del Consiglio ci ha detto oggi: la legge la faccio io. C’è chi ha parlato di “sultanato”. A me è venuto in mente il Leviatano di Hobbes in cui si dice che il sovrano per essere libero di governare  non può essere sottoposto neppure alla legge. Ma quello era il tempo dell’assolutismo non era il tempo dello Stato di diritto e delle liberaldemocrazie.

E mi è tornato alla mente anche un dialogo pubblico, a Monaco di Baviera, tra il filosofo Habermas e l’allora cardinale Ratzinger su “I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale”. In quel dialogo il futuro pontefice affermava: “E’ compito della politica sottomettere il potere al criterio del diritto e in tal modo ordinarne l’uso sensato”. E aggiungeva che se il diritto non appare come “espressione di una giustizia che sia al servizio di tutti ma come prodotto di un arbitrio, di una pretesa di essere nel diritto solo perchè si detiene il potere su di esso” è inevitabile alimentare nei cittadini “il sospetto verso il diritto e la legalità” e minare l’autorevolezza e la dignità della politica.

Si è ripetuto più volte, che la dignità della politica sarebbe compromessa da un cattivo rapporto tra politica e magistratura. Anch’io vorrei affrontare questo rapporto. Ma vorrei che fosse la politica a fare il primo passo. Solo una politica capace di essere trasparente, libera e autorevole è in grado di porre seriamente questo problema.

La moralità, pubblica e privata, di chi fa politica non può essere sfiorata dai dubbi o dai sospetti. E’ uno dei requisiti essenziali per l’esercizio di ogni responsabilità istituzionale. E la politica che pretende autonomia dalla magistratura deve dimostrare di essere autonoma e libera da tutti gli altri poteri, soprattutto da quello economico-finanziario e da quello degli affari.

La norma salva processi e questo provvedimento dimostrano invece che la politica anziché riformare se stessa altera gli equilibri delle istituzioni, travolge il diritto e piega il principio di legalità agli interessi personali del presidente del Consiglio.

Tutti, avete affermato, saremmo stati vittima di un cattivo rapporto tra magistratura e politica. E’ vero, il governo Prodi è caduto per l’intervento di un pubblico ministero. Ma il ministro Mastella si è dimesso e non abbiamo fatto una legge per salvare quel governo da quel pubblico ministero.

E anche se volessimo andare indietro nel tempo, potremmo ricordare l’articolo 68 della Costituzione, che è stato tolto da un Parlamento di cui non facevo parte. Di quel parlamento faceva parte una classe politica da cui ho preso più volte le distanze. Ma quella classe politica ha pagato duramente e non è giusto che sia stata sostituita da chi dopo 15 anni continua a tenere ingombrato il Paese dai suoi interessi personali.

In questi giorni, abbiamo preso tutti le distanze dalla piazza. Ma io non sono solo preoccupata dall’uso smodato delle piazze, sono anche preoccupata dall’indifferenza. Sono preoccupata da un Paese che ha tanti problemi che il governo si ostina a non risolvere e che per questo non ha neppure la libertà di comprendere che vulnus viene portato alla democrazia italiana. 

Nessuno scambi il nostro senso di responsabilità, la nostra disponibilità al dialogo, perché questa ha un alto prezzo e non è gratuita. Ed io mi chiedo se può esserci dialogo con chi è gravato da un gigantesco conflitto di interesse e ha preteso e ottenuto di dettare leggi su misura e garantirsi immunità. Non so se questo macigno potrà essere tolto dalla strada del dialogo.

da scelgorosy.it


Titolo: Rosy Bindi. I cattolici al tempo del Pd
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2008, 05:06:39 pm
I cattolici al tempo del Pd

Rosy Bindi


Il ruolo della religione nella società contemporanea è tornato con forza al centro del dibattito culturale e politico. I recenti interventi di Benedetto XVI, sulla laicità nel viaggio apostolico in Francia e sui rapporti tra Stato e Chiesa hanno rilanciato la riflessione sul rapporto tra fede e politica. Un discorso che va ben oltre la «questione cattolica», intesa come un capitolo della storia d’Italia che si dipana da Porta Pia fino alla Dc e oltre, e rinvia piuttosto al tema più profondo - tutt’altro che estraneo allo sconquasso a cui stiamo assistendo della finanza mondiale - del deficit etico delle nostre democrazie. Un deficit che il fattore religioso può contribuire a colmare a patto di superare la tentazione, in cui cadono credenti e non credenti, di usare la religione come un surrogato, un riempitivo del vuoto creato dal tramonto delle ideologie del Novecento.

Sono invece convinta che una nuova laicità possa restituire chiarezza e nuovo senso al rapporto tra fede e politica. Anche per questo non credo si possa archiviare o deviare il compito del cattolicesimo democratico, quel movimento che ha permesso di riconciliare i cattolici italiani - e in qualche modo anche la Chiesa - con la modernità e la democrazia. Grazie ai cattolici democratici la laicità si afferma come metodo della politica, e nella Costituzione il rapporto tra verità e libertà, valori e consenso permette di superare lo iato tra democrazia formale e democrazia sostanziale. La storia di questo movimento non coincide con quella della Dc, anche se ne ha incarnato le fasi più avanzate, le personalità più scomode e creative. E non è un caso se l’esperienza dell’Ulivo affonda le proprie radici nell’orizzonte culturale del cattolicesimo democratico. Oggi si tratta di capire come spendere questa eredità nel Pd per riconciliare i cattolici italiani con il bipolarismo e rendere nuovamente feconda la loro presenza per il futuro della democrazia.

Molte analisi sul risultato elettorale si sono concentrate sul voto cattolico. I cattolici, è stato detto, questa volta non hanno scelto in base all’appartenenza, hanno votato per tutti i partiti anche se in maniera predominante si sono riconosciuti nell’offerta di Berlusconi. Dobbiamo ancora capire le ragioni profonde di un voto che ha premiato la paura invece della speranza, l’apparenza invece della coerenza e che mai prima d’ora ha contribuito a spingere a destra l’asse politico del Paese.

Non mi convince chi, come Tremonti e D’Alema cerca spiegazioni nel risveglio di uno spirito integralista che avrebbe fatto da collante intorno ai valori di Dio, Patria e Famiglia. Nel dialogo sul peso delle religioni, insieme ad una non scontata ammissione che la fede non è confinabile alla dimensione privata, si avverte ancora la persistente difficoltà di una certa cultura laica a superare un’idea di religione come espressione di una sorta di “preistoria dell’umanità”, in conflitto con la libertà, la ragione, la scienza. E la Chiesa sembra apparire ancora come un potere che attenta alla modernità e alla laicità dello Stato.

È visibile in questa impostazione l’eco di una politica che tende a stabilire con le gerarchie un rapporto pattizio e guarda all’elettorato cattolico in modo opportunistico. Ma sbaglia anche chi, come Rutelli, immagina di agganciare quello stesso elettorato presentandosi come unico interlocutore affidabile delle gerarchie. Dopo la breve esperienza dei teodem, con cui ha separato i cattolici dai cattolici innestando nella Margherita un’enclave integralista, ora rilancia la vecchia tesi della trasversalità cattolica e sotto le insegne di una nuova associazione mette insieme Bobba, Casini e Lupi. La “moderna laicità” di Rutelli ha in realtà un volto vecchio, quello gentiloniano della strumentalità con cui spesso sono stati utilizzati i cattolici in operazioni politiche di stampo moderato.

Per il Pd, la ricerca di nuove alleanze politiche, necessaria a costruire l’alternativa al governo Berlusconi, esige di rafforzare e non snaturare il profilo ideale e programmatico del partito. Così, invece, si minano le ragioni fondative del Pd: dar vita a un partito nuovo, laico e plurale, capace di tenere insieme credenti e non credenti in un unico progetto di innovazione della politica e della democrazia.

Il cantiere democratico è ancora aperto. E i cattolici che hanno scommesso fin dal ‘95 nell’Ulivo non possono farsi né da parte, coltivando formule alternative, né da un lato, dando vita all’ennesima corrente.

A cosa serve il richiamo all’identità su cui fanno leva gli ex popolari riuniti ad Assisi? Anche questa mi pare una scelta strumentale. Il richiamo alla cultura cattolico democratica, accreditando per giunta l’idea di averne il monopolio, diventa la credenziale per formare una corrente. Col risultato di farlo guardando al passato, a come eravamo, e non a come dobbiamo essere oggi, democratici e mescolati agli altri eventualmente in una corrente, ma in nome del progetto politico e non delle appartenenze. Di separatezza in separatezza il passo verso l’irrilevanza culturale, anche se mascherata dalla possibilità di contrattazione politica, è davvero breve.

La scelta non può che essere quella di tornare al progetto e alla proposta. Nel dna dei cattolici democratici ci sono la laicità dello Stato e la lotta alle ingiustizie e i temi su cui offrire il nostro contributo non mancano. Penso alla necessità di regolare il mercato e riaffermare il primato del lavoro umiliato dall’economia delle transazioni finanziarie. Alla qualità della democrazia, alla difesa della Costituzione e della legalità. La nostra laicità è la garanzia di una corretta distinzione dei poteri, contro gli strappi alle regole e la prevaricazione del Parlamento. Penso ad una nuova cittadinanza, aperta e accogliente anche verso gli stranieri. L’intolleranza che la Lega e la destra alimentano, utilizzando in modo blasfemo il cristianesimo come un baluardo a difesa dell’identità italiana o più semplicemente veneta o lombarda, è un veleno che produce violenza e razzismo e non possiamo neutralizzarlo affidando le nostre ragioni solo agli editoriali dell’Osservatore romano e Famiglia cristiana. E penso alle sfide della bioetica, che ormai coinvolgono con mille contraddizioni e interrogativi la vita quotidiana di ognuno di noi. Non ha alcun senso contestare il diritto della Chiesa ad esprimersi, è invece molto più utile che credenti e non credenti imparino a confrontarsi, senza reciproche scomuniche, nella ricerca nel bene possibile, nella difesa della dignità e libertà della persona umana.

Basterebbe insomma riprendere con coraggio e speranza la lezione dei nostri maestri. Ricordo, tra tutti, gli ultimi che ci hanno lasciato, Pietro Scoppola e Leopoldo Elia. Una lezione di dialogo, contaminazione culturale, libertà intellettuale. Una lezione di nuova laicità.

Pubblicato il: 13.10.08
Modificato il: 13.10.08 alle ore 13.17   
© l'Unità


Titolo: Marco Damilano. Colloquio con Rosy Bindi
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2008, 11:48:31 pm
Ora serve una nuova opposizione

di Marco Damilano


Azioni coordinate in Parlamento. E intese per le amministrative.

La ricetta della vicepresidente della Camera dopo la manifestazione al Circo Massimo.

Colloquio con Rosy Bindi 

A giorni di distanza dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo, Rosy Bindi è ancora entusiasta: "È stata bella per tanti motivi: la dimostrazione che il tempo dell'assopimento è finito, la capacità di indignarsi per il governo Berlusconi c'è ancora". Attenzione, però, avverte la vicepresidente della Camera, la piazza non basta: serve un coordinamento delle opposizioni e riprendere il filo delle alleanze partendo dalle elezioni amministrative, per fermare "una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere mascherata da decisionismo".

Cosa insegna la piazza al palco, a voi dirigenti? Spazzerà via le correnti, i personalismi?
"La piazza ci dice che il Pd c'è, in mezzo a tante difficoltà. Ma la bacchetta magica non ce l'ha neppure quella piazza. Ma quel popolo ci insegna che dalla scelta del Pd non si torna indietro. Tutti quelli che più o meno palesemente in questi mesi si sono assicurati fughe in avanti, nostalgie, strade parallele, devono capire che non ci sarà un ritorno al passato. Al tempo stesso, la manifestazione del 25 ha cancellato un'idea ristretta del partito. Ha spazzato via i complotti, ma anche l'idea di un partito che non valorizza la sua pluralità. Entrambe sono un tradimento di quella gente, e tutti noi dirigenti abbiamo la responsabilità di non tradirla. E soprattutto la forza di quella piazza non è il suo palco, ma la sua capacità di guardare al futuro".

Basta un bagno di folla per risalire nei consensi? Anche prima delle elezioni il pullman era accolto dalle piazze piene e invece...
"È vero: il dato elettorale è lì, i sondaggi dicono che la luna di miele del governo Berlusconi è finita, però noi dobbiamo ancora riconquistare il Paese alle nostre ragioni. Le elezioni di Bolzano dimostrano che il Pd recupera voti, ma quello che perde la destra finisce all'estrema destra. Siamo tutti in attesa delle elezioni americane che potrebbero segnare un cambiamento in caso di vittoria di Obama, ma dobbiamo sapere che ci stiamo confrontando con una naturale tendenza delle società europee che premia le forze della paura e della disperazione. E noi dobbiamo organizzare un'alternativa culturale e politica. Riprendere il nostro rapporto con l'Italia, il mondo economico, la scuola, le famiglie. Interpretarne i bisogni, superare insieme le difficoltà economiche e sociali. E rinsaldarci attorno alla nostra diversità dalla destra che governa".

Diversità è parola che appartiene alla storia del Pci. Marco Follini ha messo in guardia: attenzione, così si teorizza la superiorità morale degli elettori del Pd su quelli del Pdl...
"Non vedo nessuna presunzione di superiorità. Vedo la consapevolezza orgogliosa della nostra diversità. Dobbiamo essere fermi oppositori di questo governo. E al tempo stesso dobbiamo essere forti nelle proposte per il Paese".

Il primo effetto del Circo Massimo è che in Abruzzo Pd e Idv andranno alle elezioni insieme. State rimettendo insieme il fronte anti-berlusconiano?
"Non torneremo indietro, le alleanze vanno costruite sul programma, non basta essere contro Berlusconi, anche se questa è una condizione necessaria. Dobbiamo ricostruire l'opposizione sulla base di due punti fermi: il Pd è il partito che fa da perno alla coalizione. Ma il Pd deve allearsi con altre forze politiche: con il 33 per cento non mandiamo a casa Berlusconi e non costruiamo una forte alternativa politica. Le elezioni delle prossime settimane ci vedono alleati con l'Udc in Trentino e con Di Pietro in Abruzzo. Questa è la strada da seguire: in Parlamento un coordinamento tra le opposizioni e la costruzione di nuove alleanze nei laboratori delle elezioni amministrative. Senza dimenticare che il congresso di Rifondazione non è finito con l'elezione di Ferrero".

Il coordinamento tra le opposizioni farà il suo esordio nella battaglia parlamentare sulla nuova legge per le elezioni europee?
"Sulla legge europea dobbiamo fare una battaglia forte per le preferenze e per abbassare la soglia di sbarramento. Dobbiamo evitare due tentazioni. La prima è quella che ci offre il Pdl quando dice che lo sbarramento del 5 per cento serve a rafforzare in Italia un sistema fondato su due partiti. A noi del Pd dicono: 'Conviene anche a voi'. Ma noi non abbiamo mai mirato al prosciugamento dei nostri alleati. La seconda tentazione è quella rappresentata dall'Udc. Facciamo con loro la battaglia sulle preferenze, ma deve essere chiaro che noi continueremo a batterci per un sistema maggioritario e bipolare".

Sembrano materie molto lontane dai cittadini...
"E invece non lo sono. Arrivare alla fine del mese è più importante delle preferenze. Ma oggi battersi sulla legge elettorale per restituire ai cittadini il potere di scelta dei loro rappresentanti e per evitare che il Parlamento sia un luogo di pura ratifica delle decisioni del governo significa battersi per la democrazia. In questi mesi il Parlamento è stato svuotato e umiliato, ma siamo ancora una democrazia parlamentare e non si può cambiare surrettiziamente sistema. Siamo di fronte a una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere presentata come capacità di decidere. La velocità con cui il governo Berlusconi decide maschera scelte che vanno contro il Paese".

Sulla scuola è nato un movimento che ha colto di sorpresa anche il Pd.
"È una protesta serena e matura. Questi ragazzi non sono politicizzati, nel '68 i giovani volevano gestire il futuro e esserne protagonisti, oggi temono che il futuro venga loro negato. Questo movimento impegna noi del Pd a capire e il governo a non provocare. Su YouTube circola il video con la lettura dell'intervista in cui il presidente Francesco Cossiga invitava a inserire gli infiltrati tra i ragazzi delle scuole. Una cosa di una gravità assoluta che non ha avuto le reazioni che meritava. Non vorrei che, come in passato, ci sia la tentazione di inquinare questo movimento. Ancora una volta a noi è richiesto di essere vigilanti, sentinelle della democrazia".

Sono parole pesanti, onorevole Bindi. Di questa vigilanza democratica fa parte il referendum sul lodo Alfano? Veltroni non firma, ma alla manifestazione del 25 ottobre ai banchetti di Di Pietro e di Parisi c'erano le file...
"Non lo metto in dubbio. Ma io vorrei una firma in meno e dieci voti in più. Il referendum è come un formaggio in una trappola per topi: raccogliere le firme è facile, superare il quorum e vincere il referendum è difficilissimo, capita di restare intrappolati. Spero comunque che la Corte costituzionale dichiari il lodo incostituzionale, rendendo il referendum inutile".

Intanto torneremo ad assistere al tradizionale derby Veltroni-D'Alema?
"Nel Pd non c'è nessun conflitto nuovo, sono tutti conflitti che abbiamo ereditato dai vecchi partiti. In tanti, dopo essersi bruciati la nave dei vecchi partiti alle spalle, hanno poi conservato una scialuppetta. Non si può pensare di risolvere il problema con i rinnovamenti generazionali che pure sono necessari, sono il problema del Paese e dunque della politica. No, il problema del Pd è stare tutti insieme ed essere aperti, non autoreferenziali, non burocratici. I cittadini che sono venuti al Circo Massimo, come quelli che hanno votato alle primarie, non sempre in questo partito si sono sentiti utili. Ora dobbiamo farli contare"

(30 ottobre 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Rosy Bindi Ora serve una nuova opposizione
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2008, 12:29:18 am
Ora serve una nuova opposizione

di Marco Damilano


Azioni coordinate in Parlamento. E intese per le amministrative. La ricetta della vicepresidente della Camera dopo la manifestazione al Circo Massimo. Colloquio con Rosy Bindi  A giorni di distanza dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo, Rosy Bindi è ancora entusiasta: "È stata bella per tanti motivi: la dimostrazione che il tempo dell'assopimento è finito, la capacità di indignarsi per il governo Berlusconi c'è ancora". Attenzione, però, avverte la vicepresidente della Camera, la piazza non basta: serve un coordinamento delle opposizioni e riprendere il filo delle alleanze partendo dalle elezioni amministrative, per fermare "una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere mascherata da decisionismo".

Cosa insegna la piazza al palco, a voi dirigenti? Spazzerà via le correnti, i personalismi?
"La piazza ci dice che il Pd c'è, in mezzo a tante difficoltà. Ma la bacchetta magica non ce l'ha neppure quella piazza. Ma quel popolo ci insegna che dalla scelta del Pd non si torna indietro. Tutti quelli che più o meno palesemente in questi mesi si sono assicurati fughe in avanti, nostalgie, strade parallele, devono capire che non ci sarà un ritorno al passato. Al tempo stesso, la manifestazione del 25 ha cancellato un'idea ristretta del partito. Ha spazzato via i complotti, ma anche l'idea di un partito che non valorizza la sua pluralità. Entrambe sono un tradimento di quella gente, e tutti noi dirigenti abbiamo la responsabilità di non tradirla. E soprattutto la forza di quella piazza non è il suo palco, ma la sua capacità di guardare al futuro".

Basta un bagno di folla per risalire nei consensi? Anche prima delle elezioni il pullman era accolto dalle piazze piene e invece...
"È vero: il dato elettorale è lì, i sondaggi dicono che la luna di miele del governo Berlusconi è finita, però noi dobbiamo ancora riconquistare il Paese alle nostre ragioni. Le elezioni di Bolzano dimostrano che il Pd recupera voti, ma quello che perde la destra finisce all'estrema destra. Siamo tutti in attesa delle elezioni americane che potrebbero segnare un cambiamento in caso di vittoria di Obama, ma dobbiamo sapere che ci stiamo confrontando con una naturale tendenza delle società europee che premia le forze della paura e della disperazione. E noi dobbiamo organizzare un'alternativa culturale e politica. Riprendere il nostro rapporto con l'Italia, il mondo economico, la scuola, le famiglie. Interpretarne i bisogni, superare insieme le difficoltà economiche e sociali. E rinsaldarci attorno alla nostra diversità dalla destra che governa".

Diversità è parola che appartiene alla storia del Pci. Marco Follini ha messo in guardia: attenzione, così si teorizza la superiorità morale degli elettori del Pd su quelli del Pdl...
"Non vedo nessuna presunzione di superiorità. Vedo la consapevolezza orgogliosa della nostra diversità. Dobbiamo essere fermi oppositori di questo governo. E al tempo stesso dobbiamo essere forti nelle proposte per il Paese".

Il primo effetto del Circo Massimo è che in Abruzzo Pd e Idv andranno alle elezioni insieme. State rimettendo insieme il fronte anti-berlusconiano?
"Non torneremo indietro, le alleanze vanno costruite sul programma, non basta essere contro Berlusconi, anche se questa è una condizione necessaria. Dobbiamo ricostruire l'opposizione sulla base di due punti fermi: il Pd è il partito che fa da perno alla coalizione. Ma il Pd deve allearsi con altre forze politiche: con il 33 per cento non mandiamo a casa Berlusconi e non costruiamo una forte alternativa politica. Le elezioni delle prossime settimane ci vedono alleati con l'Udc in Trentino e con Di Pietro in Abruzzo. Questa è la strada da seguire: in Parlamento un coordinamento tra le opposizioni e la costruzione di nuove alleanze nei laboratori delle elezioni amministrative. Senza dimenticare che il congresso di Rifondazione non è finito con l'elezione di Ferrero".

Il coordinamento tra le opposizioni farà il suo esordio nella battaglia parlamentare sulla nuova legge per le elezioni europee?
"Sulla legge europea dobbiamo fare una battaglia forte per le preferenze e per abbassare la soglia di sbarramento. Dobbiamo evitare due tentazioni. La prima è quella che ci offre il Pdl quando dice che lo sbarramento del 5 per cento serve a rafforzare in Italia un sistema fondato su due partiti. A noi del Pd dicono: 'Conviene anche a voi'. Ma noi non abbiamo mai mirato al prosciugamento dei nostri alleati. La seconda tentazione è quella rappresentata dall'Udc. Facciamo con loro la battaglia sulle preferenze, ma deve essere chiaro che noi continueremo a batterci per un sistema maggioritario e bipolare".

Sembrano materie molto lontane dai cittadini...
"E invece non lo sono. Arrivare alla fine del mese è più importante delle preferenze. Ma oggi battersi sulla legge elettorale per restituire ai cittadini il potere di scelta dei loro rappresentanti e per evitare che il Parlamento sia un luogo di pura ratifica delle decisioni del governo significa battersi per la democrazia. In questi mesi il Parlamento è stato svuotato e umiliato, ma siamo ancora una democrazia parlamentare e non si può cambiare surrettiziamente sistema. Siamo di fronte a una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere presentata come capacità di decidere. La velocità con cui il governo Berlusconi decide maschera scelte che vanno contro il Paese".

Sulla scuola è nato un movimento che ha colto di sorpresa anche il Pd.
"È una protesta serena e matura. Questi ragazzi non sono politicizzati, nel '68 i giovani volevano gestire il futuro e esserne protagonisti, oggi temono che il futuro venga loro negato. Questo movimento impegna noi del Pd a capire e il governo a non provocare. Su YouTube circola il video con la lettura dell'intervista in cui il presidente Francesco Cossiga invitava a inserire gli infiltrati tra i ragazzi delle scuole. Una cosa di una gravità assoluta che non ha avuto le reazioni che meritava. Non vorrei che, come in passato, ci sia la tentazione di inquinare questo movimento. Ancora una volta a noi è richiesto di essere vigilanti, sentinelle della democrazia".

Sono parole pesanti, onorevole Bindi. Di questa vigilanza democratica fa parte il referendum sul lodo Alfano? Veltroni non firma, ma alla manifestazione del 25 ottobre ai banchetti di Di Pietro e di Parisi c'erano le file...
"Non lo metto in dubbio. Ma io vorrei una firma in meno e dieci voti in più. Il referendum è come un formaggio in una trappola per topi: raccogliere le firme è facile, superare il quorum e vincere il referendum è difficilissimo, capita di restare intrappolati. Spero comunque che la Corte costituzionale dichiari il lodo incostituzionale, rendendo il referendum inutile".

Intanto torneremo ad assistere al tradizionale derby Veltroni-D'Alema?
"Nel Pd non c'è nessun conflitto nuovo, sono tutti conflitti che abbiamo ereditato dai vecchi partiti. In tanti, dopo essersi bruciati la nave dei vecchi partiti alle spalle, hanno poi conservato una scialuppetta. Non si può pensare di risolvere il problema con i rinnovamenti generazionali che pure sono necessari, sono il problema del Paese e dunque della politica. No, il problema del Pd è stare tutti insieme ed essere aperti, non autoreferenziali, non burocratici. I cittadini che sono venuti al Circo Massimo, come quelli che hanno votato alle primarie, non sempre in questo partito si sono sentiti utili. Ora dobbiamo farli contare"


(30 ottobre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Rosy Bindi Non basta dire casi isolati. Ma Veltroni va sostenuto»
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2008, 10:41:20 am
Non basta dire casi isolati. Ma Veltroni va sostenuto»

di Maria Zegarelli


Cammina nervosamente su e giù per la stanza. Umor nero, forte il contrasto con i toni morbidi e caldi - panna e giallo - della sua stanza a Montecitorio. «Mi dispiacerebbe aver assistito alla fine della Dc con Tangentopoli e trovarmi oggi, con il Pd, esattamente nella stessa posizione. Non posso pensare che vada bene adesso quello che non andò bene per la Dc allora: il Pd deve allontanare da sé ogni ombra, non possiamo dare la patente di moralizzatore ad Antonio Di Pietro».

Rosy Bindi, Abruzzo e questione morale sembrano essere strettamente legati da quello che raccontano le urne. Bettini dice che non esiste, che sono casi isolati. Secondo lei?
Non ci sono dubbi: la tempesta giudiziaria che ha colpito i nostri amministratori ha portato a questo risultato. L’astensionismo è un’indicazione chiara: i nostri elettori non sono quelli del Pdl. Se queste cose accadono a destra Berlusconi ne guadagna. Fa il ganzo, si scaglia contro i giudici e i suoi lo votano. Sembra un paradosso ma va avanti così dai tempi di Tangentopoli. La nostra gente, invece, o non va a votare o ci vota contro. È vero, sono casi isolati, ma la questione morale va oltre.

Del Turco ha gioito per la sconfitta del Pd e sta pensando di candidarsi con il Pdl. Vuole fare un commento?
Del Turco è la principale causa della nostra sconfitta e adesso con Berlusconi diventa una risorsa. Ma noi siamo il Pd: non possiamo che assumere una posizione chiara sulla questione morale, non possiamo permettere che siano i giudici e la piazza a processare di nuovo la politica. Velardi, in Campania ci sfida a fare la lista dei cacicchi. La faccia, ma senza di noi. Noi non ci lasceremo stritolare tra il giustizialismo di Di Pietro e la trappola berlusconiana di una intesa sulla giustizia che stravolge la Costituzione.

Bassolino, però, non intende mollare.
Bassolino è libero di fare quello che vuole, è stato eletto dai cittadini. Si assuma le sue responsabilità per governare questo scampolo di legislatura, noi pensiamo al futuro.

Venerdì ci sarà la direzione. C’è chi parla di resa dei conti. Lei come ci arriva?
Ponendo sul tavolo della discussione la qualità della nostra politica e del nostro profilo etico. Sono convinta che per ripartire abbiamo bisogno di fermarci a discutere del rapporto tra partito e istituzioni. Il rinnovamento sta in un modo diverso di gestire il potere, non nel nuovismo
.
Dopo questa sconfitta c’è chi vorrebbe la testa del segretario. Bindi, cosa auspica?
Questa non è la risposta ai nostri problemi. Che c’entra Veltroni con l’Abruzzo o Firenze? Si discute della linea politica, non di altro. Se il segretario vuole aprire una fase di rinnovamento andrà sostenuto e mi aspetto segnali a partire da Firenze, dove la candidatura di Cioni alle primarie è imbarazzante. .

Lei che sostiene il segretario è una notizia...
C’è chi mi prende in giro per questo. Mi dicono che quando tutti erano con Walter io competevo con lui, ora che sono tutti contro lo sostengo.

Quali sono stati gli errori del segretario, se ce ne sono stati?
Di aver accettato il sostegno dei partiti alle primarie senza discutere della linea politica; di aver faticato ad accettare l’idea di un confronto reale... Ma questo appartiene al passato, ora è chiaro a tutti che non possono esserci unanimismi, le cose si condividono, soprattutto con chi non la pensa come noi.

Guardiamo al futuro: con l’Udc, con Di Pietro, con la Sinistra. Con chi deve allearsi il Pd?
Avere la vocazione maggioritaria non vuole dire precludere alleanze. Ma devono essere il frutto di una interlocuzione programmatica e non di una sommatoria percentuale e ci si arriva quando un partito ha sua identità forte, un suo profilo politico definito e da questo punto di vista mi sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare. Non penso faccia bene al Pd sciogliere l’alleanza l’alleanza con Di Pietro, passata al vaglio dei nostri elettori. Vale la pena verificare la possibilità di fare insieme un percorso, continuando a guardare con attenzione anche a quanto sta accadendo a sinistra.

mzegarelli@unita.it


17 dicembre 2008     
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Titolo: ROSY BINDI. Laicità, valore non negoziabile
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2009, 08:50:16 am
Etica e politica

Laicità, valore non negoziabile

di Rosy Bindi


Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Rosy Bindi, vicepresidente della Camera, al convegno “Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico”, promosso dall’Associazione Italiana di Filosofia e Teologia a Torino il 2-3 aprile 2009



Etica, pluralismo, politica: sono termini alla ricerca di se stessi. Sono caduti grandi riferimenti. I credenti hanno perso sicurezze. Una doppia fatica: condividere l’incertezza del tempo; non credere di dover dare certezze.

La politica del bene comune è già di per sé etica. Ma oggi c’è una debolezza della politica, incapace di portare dal dominio alla liberazione.
Le teorie della giustizia sono minimali. Inoltre, c’è una deficienza etica della politica praticata, mera amministrazione dell’esistente, fino all’immoralità.
Quindi, in nome della morale, sorge l’antipolitica.

Il ricupero della funzione della politica passa dal riscoprirne il limite e dall’accettare il pluralismo etico della società. Da qui si può ricostruire un’etica condivisa sulla base della laicità. Né relativismo, né conflitto, né solo tolleranza, ma ascoltarsi.

L’Italia non è abituata al pluralismo, ha una reazione di paura. O cogliamo l’opportunità del pluralismo, oppure soccombiamo al pensiero unico più forte, un potere senza regole.

La laicità è l’unico valore davvero non negoziabile nella nostra società (come dice Rusconi). Irrompe qui con forza il pensiero religioso, le religioni. La Chiesa si offre con buone intenzioni per il bene della società, a rischio di ridursi a religione civile, ma rompe il pluralismo quando si impone come dominante, come interprete della natura. Ciò si complica nell’Islam.

Nella difficoltà di fare ius comune, si fa lex comunque, d’autorità. Tutto dipende dal senso del limite della maggioranza.

C’è rischio in Italia di bipolarismo etico: la maggioranza si impone su tutto. Vorremmo un diritto mite. Le istituzioni decidano sapendo interpretare un’etica condivisa, nel pluralismo etico. La politica ritrovi questo compito. È compito particolare dei credenti: la mancanza di laicità è responsabilità dei credenti, è tradimento di Dio e della propria responsabilità politica.

L’uso strumentale dei valori cristiani viene più da chi non è credente, da chi non ne conosce il prezioso valore. I cattolici si mettano al servizio della laicità.

Il pluralismo è incontro di parola e di pace, nella convivenza. Valore e limite della politica di fronte al mistero e alla coscienza della persona.

Noi (formati negli anni ’60-’70) siamo una generazione fortunata, più dei giovani di oggi. Abbiamo una responsabilità. Avevamo un quadro di riferimento, sulla cui base potevamo rilanciare fatti nuovi. Oggi la gente ha solo da difendersi nel particolare, da chiudersi, proteggersi. Bisogna ripartire dalla Costituzione: pluralismo, etica condivisa, che sia un bene per tutti. Ma questa cultura è solo di una parte del paese. Il referendum costituzionale ha scelto bene. Ma la politica della menzogna ha tutta un’altra etica, tutto un altro metodo. Si organizza il paese intorno alla menzogna, comunicata come una verità, legittimata dalla Chiesa e dalla tv.

Ci vuole una resistenza culturale. Ci dicono che non dobbiamo parlare male di Berlusconi se no va anche peggio. Vorrei scrivere un libro: “La colpa dei cattolici”.
Chi deve essere resistente se non un credente? La maggioranza dei cattolici ha votato per l’attuale maggioranza parlamentare!
Di fronte al decreto governativo sul caso Englaro, la Chiesa che non rispetta la Costituzione non rispetta nessun valore, nessun diritto.
Da cristiani laici abbiamo da reimparare che non si chiede alla legge la difesa dei valori.

Sturzo fu licenziato dai clerico-moderati e dalla Chiesa, non dai fascisti!

Il Pd è un partito plurale, è l’incontro con chi e tra chi pensa diversamente. Plurali e non divisi. La pluralità è un valore.
Così il Pd si presenta in Europa, né socialdemocratico né democristiano.


Titolo: ROSY BINDI, «Sostengo Bersani ma niente ticket .Non promuovo il segretario»
Inserito da: Admin - Giugno 28, 2009, 05:15:38 pm
L’intervista: «.Lui il più adatto a guidare un partito alternativo alla destra»

Bindi: «Sostengo Bersani ma niente ticket .Non promuovo il segretario»

L’ex ministro: «Basta con la storia che noi sappiamo governare e il Pdl no, non è più vero»
 

Rosy Bindi, come le sembra il risul­tato elettorale?
«Sconfitta con onore a Milano. Perdi­ta dolorosa di Prato. Recupero del Pd rispetto al primo turno delle ammini­strative. Forse è iniziata la fine dell’era Berlusconi; ma la destra è radicata nel paese, l’assioma per cui noi siamo ca­paci di governare mentre loro non han­no classe dirigente non è più sostenibi­le. Il Pd è vivo. Ma i toni trionfalistici mi sembrano davvero fuori luogo».

Che giudizio dà della segreteria Franceschini?
«La sua linea di competizione all’in­terno dell’opposizione era giusta. Non mi pento di averlo sostenuto. Ma sareb­be troppo generoso dire che il bilancio è positivo. Abbiamo perso quattro mi­lioni di voti e molte amministrazioni locali. Non me la sento di bocciare Franceschini, ma neppure di promuo­verlo ».

Giuliano Amato vi chiede di evitare divisioni, e di rinviare le primarie.
«E perché mai? Noi non ci stiamo di­videndo. Ci sarà una sana competizio­ne. Dopo due anni di prova, e dopo tre tornate elettorali concluse con una sconfitta, è tempo di decidere sul ruo­lo del partito, sulla sua identità, sul suo progetto di società. Per questo il Pd ha bisogno di un congresso vero e di primarie vere, non come quelle del­­l’altra volta».

L’altra volta lei si candidò. Perché dice che non erano vere?
«Per il motivo che indicai già allora: Veltroni era sostenuto da tutto e dal contrario di tutto. Infatti tentò di segui­re più di una linea politica, la propria e quelle degli altri. Abbiamo usato le pri­marie da apprendisti stregoni, rischian­do di buttarle via. Ora dobbiamo con­solidarle ad ogni livello e usarle bene. Io non mi candiderò, ma concorrerò con le mie idee a far emergere un nuo­vo segretario».

Lei quindi sosterrà Bersani?
«Sì. È un sostegno non improvvisa­to, bensì costruito e preparato nel tem­po; anche perché mi è stato richiesto. Sosterrò Bersani con un gruppo di per­sone che due anni fa appoggiò la mia corsa alle primarie, insieme abbiamo scritto un documento con le proposte che qualificano la nostra scelta».

Proprio lei, prodiana e ulivista, si schiera con l’uomo di D’Alema?
«A parte il fatto che sono un’estima­trice di D’Alema, anche se talvolta non ne condivido idee e fatti, Bersani è di Bersani. Sono testimone dell’autono­mia della sua candidatura e a Bersani chiedo proprio di fare la sintesi tra lo spirito dell’Ulivo e l’idea di partito radi­cata nella cultura politica italiana. Il Pd come lo intendo io è un partito davve­ro plurale».

Ma perché non va bene il segreta­rio che c’è già? Perché non France­schini?
«Perché Bersani mi pare più adatto a costruire un partito che si presenti co­me alternativo a questa destra, a rico­struire il centrosinistra, e a restituirgli la credibilità di una forza di governo. Non possiamo permetterci un partito che stia anni a bagnomaria. I voti si prendono se ci si presenta come un partito capace di aggregare e di gover­nare. E anche di porre con forza, nel momento più cupo del berlusconi­smo, la questione morale: sapendo che il conflitto di interessi l’abbiamo an­che dentro casa nostra».

A cosa si riferisce?
«Il voto ci ha rivelato più di un caso in cui il nostro modello di governo ne­gli enti locali è stato rifiutato dagli elet­tori. A cominciare dalla Campania».

Franceschini propone un rinnova­mento del gruppo dirigente. E molti giovani, dalla Serracchiani in giù, gli sono vicini.
«Non c’è dubbio che il nuovo segre­tario dovrà costruire il Pd con i giova­ni e per i giovani. Non dobbiamo avere timore di mettere al centro i grandi te­mi della sinistra: la dignità del lavoro, la mobilità sociale, l’uguaglianza, le nuove generazioni, e anche le donne, così umiliate dal comportamento del presidente del Consiglio. Ma dico no al nuovismo. Non si può dire 'tutti a ca­sa, tranne me'. Le novità non si inven­tano, né si costruiscono ad arte. Le no­vità emergono dalla battaglia politica, dall’esperienza, anche dagli errori e dalle sconfitte, non dalla scelta di volti accattivanti che vengono bene in tv; che poi così nuovi alla politica non so­no. Né mettendo in lista gente simpati­ca che passa per caso, come si è fatto alle elezioni del 2008. Franceschini è stato il vice di Veltroni; non può chia­marsi fuori da quella stagione».

Lei è molto severa con Veltroni, che ora sta per rientrare in campo a due anni dal Lingotto.
«Il suo ritorno non mi convince per­ché al Lingotto si è sbagliato tutto. Vel­troni di fatto si candidò a presidente del Consiglio, quando c’era già un pre­sidente del Consiglio del suo partito. E la 'vocazione maggioritaria' si è tra­sformata in vocazione alla solitudine».

Bersani le ha chiesto anche di farle da vice?
«No. Un altro errore di Veltroni fu il ticket. Non è in questa fase che si deci­dono queste cose».

Anche Letta appoggia Bersani, a condizione che mandi in archivio la socialdemocrazia.
«La socialdemocrazia è già stata ar­chiviata dalle elezioni europee. In Ita­lia poi un vero partito socialdemocrati­co non c’è mai stato, e da certi punti di vista è una fortuna. Piuttosto, nessuno pensi ora di fare la Cosa 4, cioè l’ennesi­ma evoluzione del partito storico della sinistra italiana».

Però lei, cattolica, sostiene un uo­mo che viene da quella storia.
«Proprio perché vengo dal cattolice­simo democratico, scommetto sulla contaminazione delle culture; come avevo fatto già due anni fa, quando la mia candidatura fu sostenuta da un gruppo che andava da Franca Chiaro­monte a Giovanni Bachelet. Voglio un partito che non si limiti a innestare il liberalismo sulla socialdemocrazia, ma sia il compimento dell’Ulivo. La diffe­renza la fa proprio la presenza dei cat­tolici ».

L’accordo con l’Udc è indispensabi­le? Che farà Casini secondo lei?
«Indispensabile è ricostruire un nuovo centrosinistra. Il Pd ha vinto con l’Udc, come a Bari e Torino, senza l’Udc, come a Bologna, e con l’Udc schierata dall’altra parte, come a Pado­va. Il Pd si deve porre il problema del centro e della sinistra; ma anche l’Udc si deve porre il problema del proprio futuro, fin dalle prossime regionali. Credo che Casini coltivi ancora il so­gno di essere protagonista di un cen­trodestra di tipo europeo, senza Berlu­sconi. Ma credo pure si stia rendendo conto che la fine di Berlusconi passa attraverso una sconfitta politica, che Casini può infliggergli solo alleandosi con noi. A quel punto vedremo se ri­nuncerà al suo antico sogno e se, accet­tando il bipolarismo, la presenza del­l’Udc nel centrosinistra sarà duratu­ra ».

Per Berlusconi è davvero l’inizio della fine?
«Il declino è cominciato, e credo lo sappia anche lui. Di sicuro lo sa il suo partito».

E Prodi? Anche lui sosterrà Bersa­ni?
«Il padre fondatore è una risorsa e un patrimonio per tutti. Da Prodi ci si attende un grande contributo di idee e di passione»

Aldo Cazzullo
27 giugno 2009
da corriere.it


Titolo: ROSY BINDI... Il principio di realtà che manca a Franceschini
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2009, 06:49:05 pm
23 Luglio 2009

Il principio di realtà che manca a Franceschini


di Rosy Bindi




Le mozioni sono state depositate e non sarà difficile cogliere le differenze e le affinità. Né le une né le altre mi spaventano: siamo tutti democratici e tutti impegnati a fare un congresso vero. E congresso vero significa che la sana e robusta discussione, di cui c'è bisogno, non deve scadere in un ‘parlarsi addosso'.

La prima regola dovrebbe essere quella di attenersi al principio di realtà.  Quello che purtroppo manca a Franceschini, quando attribuisce alla mozione Bersani insofferenza per il bipolarismo. Nulla di più falso: nessuno ha nostalgia per maggioranza variabili, nessuno rimpiange pratiche e  vizi del trasformismo. Siamo invece sostenitori convinti della democrazia dell'alternanza, che vogliamo rafforzare con una legge elettorale che garantisca ai cittadini la scelta degli eletti e del governo.

Ma uno schema bipolare non coincide necessariamente con il bipartitismo: non è questa la vocazione maggioritaria del Pd, che Veltroni e Franceschini hanno interpretato con quel ‘corriamo da soli' che archiviò l'esperienza dell'Ulivo, accelerando la crisi del governo Prodi. Non si va a Palazzo Chigi né con il 33% men che meno il 26 e visto che il Pd vuole tornare a governare l'Italia il compito prioritario è quello di ricostruire un campo omogeneo di forze alternative alla destra.

La vocazione ulivista del Pd è questa: diventare il motore di una nuova alleanza riformatrice e di governo chiaramente alternativa a Berlusconi. Per questo può essere utile anche il dialogo e l'intesa con l'Udc. Ma nella chiarezza d'intenti, sapendo che Casini si sente a casa propria nel centrodestra ed è lì che vuole tornare. E come lui stesso ha affermato è disponibile ad un'alleanza con noi solo per mandare a casa Berlusconi. Anche questo è un principio di realtà.

A Franceschini e Fassino vorrei dire che la differenza non è tra chi vuole andare avanti e chi vuole tornare indietro. Ma tra chi pensa di andare avanti ripercorrendo gli errori di questi due anni, che ci hanno portato al 26%; e chi -  come noi - è convinto che per andare avanti bisogna riconoscere gli errori di questi due anni e cambiare strada.

da lastampa.it


Titolo: Rosy Bindi: «Se risponde, il premier va in crisi con Bossi»
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2009, 11:53:27 pm
20/8/2009


Rosy Bindi: «Se risponde, il premier va in crisi con Bossi»


di Francesca Schianchi - da La Stampa



Rosy Bindi, vicepresidente della Camera del Pd, il presidente della Repubblica è ancora in attesa di chiarimenti dal governo sulle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia...

«Questo governo è latitante su molte cose, e alcune inadempienze sono dettate dalle divisioni dentro la maggioranza e dalla forza della Lega di imporre il suo punto di vista. Il tema dell'Unità d'Italia provoca le reazioni leghiste, anche scomposte e pericolose come quelle viste in questi giorni: in un Paese in cui ogni giorno si indebolisce il tessuto civile, abbiamo passato l'estate a discutere di inni e dialetti. Il governo non può dare una risposta al presidente Napolitano perché, se lo fa, la Lega fa le bizze».

In effetti i leghisti non fanno che dire: non si spenda una lira per le celebrazioni...
«Celebrare i 150 anni dell'Unità significa ricordare cosa vuole dire tenere unito il Paese: non è un fatto formale, ma sostanziale. Se si ricorda come l'Italia è diventata una sola nazione si fa un'operazione culturale e politica esattamente opposta a quello che vuole la Lega. Lo dice Bossi stesso, "Noi non vogliamo cambiare l'inno, vogliamo le gabbie salariali"; vogliono dividere il Paese davvero. E questo governo è sotto ricatto: non può rinunciare alla Lega, altrimenti crolla tutto. Il presidente del Consiglio ha bisogno della riforma della giustizia, della legge sulle intercettazioni, di mantenere il suo conflitto d'interessi: la Lega lo sa e alza continuamente il prezzo».

Ma non c'è solo il Carroccio: a Sud c'è chi, come il presidente della Sicilia, Raffaele Lombardo, dice che non c'è nulla da festeggiare...
«Lega chiama Lega: il senso di essere una sola nazione non è scontato, ha sempre bisogno di essere sostenuto e motivato. La politica ha due strade: unire o disgregare. Questo governo ha scelto di disgregare: e allora, se c'è una Lega al Nord, perché no una Lega al Sud?».

Sulle celebrazioni, però, quando Ernesto Galli Della Loggia sollevò il problema non risparmiò le critiche nemmeno al centrosinistra e al governo Prodi, in cui lei era ministro della Famiglia...
«Noi avevamo avviato un comitato e stanziato risorse: prova di noi l'avremmo poi dovuta dare in questo momento. E comunque, a noi il merito di aver insediato un comitato apposito, agli altri il demerito di averlo vuotato di contenuti».

Ma ora il premier dice che il programma era costoso e con la crisi non ci sono più soldi...
«Sta sempre a dire che la crisi sta finendo, l'Italia è in ripresa, ora la crisi c'è? No, guardi, per altre cose le risorse le trovano: basti pensare ai milioni di euro dati all'Alitalia o ai regali fatti agli evasori con lo scudo fiscale».

Voi come opposizione cosa fate per aiutare a unire anziché disgregare, a recuperare il senso dello stato?
«Noi siamo culturalmente alternativi: quando siamo stati al governo non abbiamo mai compiuto atti che dividessero il Paese, ma che lo unissero. Basti pensare alle risorse stanziate per il Mezzogiorno. La cultura dell'unità del Paese è nel nostro dna».

Come saranno, alla fine, questi festeggiamenti?
«Temo che saranno celebrati sottotono, con un livello culturale bassissimo e in assenza di contenuti. Senza coinvolgere i giovani e senza che siano un'occasione per unire e aprire il Paese».

da democraticidavvero.it




Titolo: Colloquio con Rosy Bindi.
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2009, 05:25:55 pm
Pd, zero progetti

di Marco Damilano


Scarse ricette politiche. Cattolici trascurati.

L'analisi dell'ex ministro schierata con Bersani.

E su Rutelli: 'Mi viene in mente Giuda'.

Colloquio con Rosy Bindi
 

SPECIALE PRIMARIE I candidati a confronto

La sinistra? Ne facciamo parte anche noi.... La cattolica Rosy Bindi si sente a casa nella mozione di Pierluigi Bersani. È in uscita il suo libro 'Quel che è di Cesare' (a cura di Giovanna Casadio, editore Laterza) sulla laicità, il manifesto dei nuovi cattolici democratici. "Siamo sempre stati una minoranza. Ma la politica non è affermazione della propria identità, è servizio a un progetto che si ritiene utile".

Sulla laicità il Pd si è lacerato per mesi. Perché dedicare un libro a questo tema?
"La laicità non è solo la questione bioetica. È la frontiera delle democrazie moderne. La sfida di costruire un partito plurale in cui le diverse identità concorrono a una nuova sintesi. Questo non capiscono Ignazio Marino da una parte e Dorina Bianchi dall'altra: la laicità non è un pensiero da contrappore a altri. Un partito plurale lo puoi fare solo se hai una cultura forte, un pensiero rivolto al mondo e non solo al tuo orticello".

Per Massimo D'Alema al Pd non basta l'anti-berlusconismo. È d'accordo?
"Non serve l'anti-berlusconismo da strapazzo. Serve un grande partito di opposizione. In Italia c'è una mutazione genetica: un paese che applaude i respingimenti, che consente l'abbassamento dell'offerta formativa della Gelmini, un consenso spontaneo verso Berlusconi. È responsabilità della destra, ma anche nostra: non siamo riusciti a mettere in campo un progetto culturale e politico che gli italiani potessero incontrare. E ritroveremo il consenso solo se li convinceremo che siamo più capaci della destra. Come ha fatto Prodi, due volte".

Tra loro ci sono i cattolici. Dopo il caso Boffo si riapre la partita per il loro voto?
"I cattolici sono stati determinanti per la vittoria di Berlusconi non solo sul piano elettorale, ma perché hanno dato alla destra un'identità, i valori. Ora una rottura c'è. Basta? No, perché c'è il rischio che i cattolici riscoprino la fuga dalla politica, il rifugio nella dimensione spirituale e nel volontariato. Ma anche qui ci sono le nostre colpe. Siamo stati troppo timidi nel rivendicare la nostra coerenza tra impegno politico e ispirazione religiosa. E c'è stata un'assenza del Pd. Rutelli, Fioroni e la Binetti parlano con singoli prelati, ma il partito non ha sviluppato un rapporto serie e franco con il mondo cattolico. Ma il Pd che aspira a essere il partito degli italiani può ignorare l'esistenza del Vaticano? O della Cei?".

Perché l'ex Pci Bersani dovrebbe essere capace di dialogare con questi e altri mondi?
"E perché dovrebbe essere in grado di farlo Franceschini? L'ambizione del Pd è parlare al mondo cattolico, ai ceti produttivi, ai moderati. Bersani è un uomo di sinistra, e non mi dispiace, ma ha saputo governare con le liberalizzazioni, vince non solo nel Nord e al Sud, dialoga con gli imprenditori e con i sindacati. Franceschini è più capace di lui? È tutto da dimostrare".

Franceschini avverte: se vince Bersani il progetto del Pd è in pericolo.
"Dal Pd non si torna indietro e Dario non può attribuire ad altri intenzioni non dichiarate. Mentre è doveroso fare un bilancio dei primi mesi del partito. Se si va avanti così si dissipa un patrimonio di 15 anni. Abbiamo perso 4 milioni di voti per i nostri errori, non per la litigiosità dell'Unione. Bisogna cambiare strada".

Altro attacco: Bersani cerca l'alleanza con l'Udc, mette in crisi il bipolarismo.
"Ricordo che Piero Fassino, sponsor di Franceschini, ha chiesto l'alleanza in Veneto con Galan e nessuno lo ha accusato di tradire il bipolarismo. Il bipolarismo è messo a rischio se il Pd resta al 26 per cento e non ha nessuna possibilità di tornare al governo. Penso che Casini voglia correre per la leadership del centrodestra, ma per raggiungere l'obiettivo prima deve sconfiggere Berlusconi. Per questo in alcune regioni farà un'alleanza con noi, tattica. E io sono d'accordo con lui".

E Rutelli? Accusa: "Il Pd a sinistra tradisce le sue ragioni fondative". Uscirà dal Pd?
"Mi viene in mente quello che Gesù dice a Giuda nel Vangelo prima del tradimento: 'quello che devi fare fallo subito'. Se qualcuno ha già deciso di lasciare il partito non cerchi un pretesto nella vittoria di Bersani. Che democratici sono quelli che non riconoscono l'esito del congresso e delle primarie? La responsabilità di una rottura sarà solo di chi esce".

(01 ottobre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: ROSY BINDI. "Dialogo e riforme? Così non si va da nessuna parte"
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2009, 05:15:38 pm
Bindi: "Dialogo e riforme? Così non si va da nessuna parte"

di Maria Zegarelli


"Così partono male, non si va da nessuna parte". Tormentata dal raffreddore Rosy Bindi risponde al telefono dalla sua casa di famiglia a Sinalunga e mette subito un freno a questa voglia di dialogo che avrebbe invaso il centrodestra, nuovo “partito dell’amore”.

Cicchitto dice che legittimo impedimento, processo breve, lodo Alfano e immunità parlamentare non sono «leggi ad personam» e dunque non possono essere un impedimento al dialogo. Ma quali sono le leggi ad personam, allora?
«Sono esattamente quelle elencate dall’onorevole Cicchitto, non si può utilizzare l’argomento che siccome hanno delle conseguenze, in alcuni casi devastanti, anche per altri cittadini, non siano pensate per tutelare Silvio Berlusconi. Pretendere di farci passare anche per sprovveduti mi sembra troppo».

Cicchitto sostiene che soltanto una volta sciolto questo nodo si può passare alle riforme istituzionali e a quella sulla giustizia. Il Pd che risponde?
«Che è l’opposto di quello che abbiamo chiesto noi. La nostra posizione è chiara: facciamo le riforme - anche quella della giustizia - e alla conclusione di questo percorso siano loro ad affrontare, se credono, quelle norme di sistema che possono servire anche a Silvio Berlusconi. Per quanto ci riguarda, sia chiaro, non ci troveranno mai disponibili. Ma forse a quel punto non servirebbero neanche a loro. Comunque mi sembra che stiano partendo proprio male, l’unica cosa positiva è che Cicchitto sta finalmente svelando le loro vere intenzioni».

Dialogo morto prima ancora di nascere?
«Non so se hanno traduttori sbagliati, ma noi abbiamo sempre detto che questo Paese ha bisogno di riforme e siamo disponibili al confronto per metterle finalmente in agenda, purché siano riforme per i cittadini».

Il Pdl ha tracciato il suo percorso, quale è quello del Pd?
«Abbiamo il bicameralismo perfetto e per una volta potrebbe tornare utile: in un ramo del Parlamento si può iniziare con una sessione economico-sociale, cominciando ad affrontare i temi della crisi e delle riforme economiche e sociali di cui c’è bisogno e di cui non si è ancora parlato perché si è proceduto a colpi di fiducia. Nell’altro ramo si potrebbe cominciare il percorso delle riforme istituzionali, compresa la riforma elettorale. Mi sembra di capire che loro ci chiedono il contrario: sospendere l’attività parlamentare nell’interesse degli italiani e tenere bloccate le Camere per una serie di leggi ad personam. Si tratta di leggi che si incrociano tra di loro e che hanno all’orizzonte il Lodo Alfano, attraverso una legge costituzionale, per creare il paracadute più grande. Il percorso è già iniziato: al Senato si lavora al processo breve, alla Camera al legittimo impedimento, mentre sembra che il Lodo Alfano sia già pronto...».

E Gasparri ritira fuori il presidenzialismo.
«È molto preoccupante, qui bisogna chiarirsi. Loro dicono “si parte dalla bozza Violante”, io rispondo “si arriva alla bozza Violante, non si fa un passo di più”, altrimenti si riproporrebbero i contenuti dell’altra riforma che gli italiani hanno già bocciato».

Ma c’è una legge su cui sareste disposti ad aprire uno spiraglio?
«Tutte queste leggi non sono scandalose in quanto tali. Mi spiego: il processo breve, come problema anche se con soluzioni diverse, lo ponemmo noi. Io, tra l’altro, non ero d’accordo, ma questo è un altro discorso. Quanto all’immunità parlamentare esiste in altri paesi ed è esistita anche da noi. Una legge che sospenda i procedimenti verso alte cariche dello Stato non è in assoluto scandalosa. Può essere non condivisibile, e infatti noi non la condividiamo. Lo scandalo è la connessione tra qualunque provvedimento e i problemi di un singolo cittadino, sia pure il premier. Credo che l’unico modo per passare dallo scandalo al dissenso sia questo: si faccia la riforma della giustizia e al suo interno, se credono, inseriscano queste misure. Naturalmente non parlo di una qualsiasi riforma che serve come pretesto. Parlo di una riforma seria. Insomma: la legge ad personam devono levarsela dalla testa».

Bindi, ma lei sta picconando il partito dell’amore...
«Nella nostra concezione della politica, che è autorevole e mite nello stesso tempo, non si usano certe parole. Noi non assegniamo alla politica la salvezza del mondo, tutte le ideologie che lo hanno fatto hanno provocato solo disastri. I nostri timori su degenerazioni populiste e autoritarismi sono sempre più forti. Ci sembra che lo stesso uso di questi termini sia un tentativo di impedire il confronto perché quando ci si confronta sui contenuti i toni possono anche essere aspri. Se si definisce “odio” il dissenso si vuole impedire lo stesso dissenso».

Le elezioni regionali e il dialogo sono compatibili?
«Le riforme di sistema sono un bisogno di questo paese e non c’è più tempo da perdere. Tra l’altro non credo proprio che prima delle regionali accada molto, la maggioranza ha l’interesse ad approvare prima tutte le leggi per il premier, poi penserà ad altro».

Che ne pensa dei sospetti di inciucio che aleggiano tra Pd, meglio tra D’Alema e Pdl?
"Chiariamo subito una cosa: nessuno di noi ha intenzione di barattare alcunché. Le nostre proposte sono state già presentate in parlamento, la nostra posizione è chiara. Ma nessuno può dire che è sbagliato provare a cercare il confronto: è la maggioranza che ci perderebbe perché sarebbe costretta a gettare la maschera, non noi».

Il Pd vuole essere “alternativa” propositiva. Partiamo dalla legge elettorale: al vostro interno ognuno la pensa in modo diverso. Come pensate di arrivare ad una vostra proposta?
«Abbiamo posizioni divergenti, non si può negare, ma su questo tema deve esserci una scelta chiara, netta. A questo punto credo sia necessario che il segretario si cimenti molto su questo e che Violante, responsabile delle riforme, trovi il punto di sintesi, elabori una proposta, la sottoponga al coordinamento politico e poi non escludo che sia l’Assemblea stessa del Pd ad occuparsene. Qui ne va dell’idea non soltanto del Paese e dei partiti, ma dello stesso sistema politico, della natura stessa del Pd".

D’Alema sostiene che c’è qualcuno che non ha digerito il risultato del congresso e che punta a spaccare il partito. Esagerazioni o sospetti fondati?
«Che ci sia qualche segnale di insofferenza mi sembra evidente, ogni tanto si riproducono antiche schermaglie, qualche volta in maniera esagerata. C’è qualcuno che accusa qualcun altro di tentare il dialogo dimenticando che ci hanno provato tutti a parlare con Berlusconi. Ha ragione D’Alema quando dice che Veltroni ha aperto la legislatura all’insegna del dialogo e delle riforme. Forse dovremmo smetterla di darci addosso l’un l’altro anche perché alla fine Berlusconi non dialoga con nessuna. Dovremmo calmarci e rimettere le cose al loro posto: ci si confronta in parlamento, si avanzano proposte, poi se la maggioranza non le accoglie si vota da sola le proprie riforme».

Cosa sa della presunta telefonata tra Bersani e Berlusconi?
«C’è una smentita ufficiale, quella telefonata non è mai avvenuta. C’è qualcuno che “gioca” e non mi piace».

28 dicembre 2009
da corriere.it


Titolo: ROSY BINDI. - «Non si può rompere con Vendola perchè lo chiede Casini»
Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2010, 11:17:16 am
9/1/2010 (8:2) - INTERVISTA

"Primarie in Puglia e Lazio altrimenti si snatura il Pd"
 
Parla Rosy Bindi: «Non si può rompere con Vendola perchè lo chiede Casini»

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Lei però mi deve concedere due brevissime premesse, altrimenti il rischio è che lo spirito di questa nostra intervista venga del tutto frainteso». Rosy Bindi è a casa sua, a Sinalunga: e visto che lo chiede, cominciamo appunto con le premesse. «La prima: il Pd sta molto meglio di quanto sembri leggendo i giornali, e anche le elezioni regionali andranno meglio di quel che qualcuno ipotizza. La seconda: io non sono una che brontola, sono il presidente dell’Assemblea nazionale del Pd e dunque quel che le dirò non è una critica ad alcuno quanto, piuttosto, un contributo a fare le scelte giuste e magari a correggerne qualcuna già compiuta. Bisogna sapere che non abbiamo molto tempo: e che dalle prossime 36 ore dipendono molte più cose di quel che si possa immaginare...».

Queste le premesse: che non bastano, però, ad addolcire l’impatto di un ragionamento rigoroso e severo. Del resto, il quadro è quello che è. La vicenda che sta dilaniando il Pd pugliese, quella della candidatura di Emma Bonino nel Lazio, le primarie mandate in soffitta quasi ovunque, un eccesso di accondiscendenza verso l’Udc, la rottura con Vendola e con la sinistra... Un arcipelago di scelte - o non scelte - che stanno facendo fibrillare i democratici e che spingono Rosy Bindi a lanciare il suo allarme: «Rischiamo di snaturare il Pd. Se ci sono degli equivoci, meglio chiarirli subito».

Cominciamo a chiarirli, allora.
«Per esempio: vedo che Casini, in queste ore concitate, si permette di entrare nel merito della nostra discussione per dire che c’è chi, utilizzando le elezioni regionali e i problemi ancora aperti su alleanze politiche e primarie, starebbe tentando di ribaltare il risultato congressuale. Mi permetto di obiettare: le cose non stanno così».

E come stanno?
«Noi in congresso abbiamo detto due cose molto chiare. La prima è che avremmo lavorato per allargare il centrosinistra. Ma appunto allargare il centrosinistra: e non limitarsi a tentare di fare intese con l’Udc scaricando, magari, chi non è gradito a Casini. Non a caso il compito che si è assunto Bersani è trovare una nuova sintesi tra i nostri alleati tradizionali e il centro».

Ci dica la seconda cosa chiara.
«Tra noi c’è stato un dibattito su come scegliere il segretario del partito, se con le primarie oppure no: ma non ci sono mai stati dubbi sul fatto che avremmo fatto elezioni primarie - e primarie di coalizione - per scegliere i nostri candidati alle cariche monocratiche. Questi sono due punti fermi del congresso. E io penso che la capacità di Bersani e del gruppo dirigente, cioè di tutti noi, debba essere appunto quella di tenere insieme queste due scelte».

Ammetterà però che quel che sta accadendo in Puglia - e in parte anche nel Lazio - va in direzione del tutto opposta.
«C’è assolutamente tempo per rimediare. Vendola ha le sue responsabilità, e lo dice una che è stata addirittura definita vendoliana. Ma non è pensabile immaginare di vincere in Puglia - o di considerarlo un laboratorio politico - rompendo con la sinistra di Vendola che ha fatto una scissione da Rifondazione comunista. Non ce lo possiamo permettere. E la strada per uscirne è una sola: sono le primarie».

Il Pd però ha scelto Boccia. Anche se, in verità, non si capisce nemmeno chi, dove e quando lo ha scelto...
«In una riunione a Roma è stato indicato Boccia? C’è un unico modo perché diventi il candidato anche di Vendola: che vinca le primarie contro di lui. Facciamole, e non per litigare: ma perché questa è la strada maestra. Quando non ci sono candidature unitarie il Pd fa le primarie e le fa di coalizione. E Boccia non può dire che così salta la coalizione...».

Può anche non dirlo, ma Casini davvero non ci sta a fare le primarie.
«Casini dimostrerà la sua forza facendo vincere Boccia alle primarie. Sia chiaro, occorre aprire all’Udc: ma va fatto con la lucidità di chi ha in testa una strategia politica per il futuro. Casini non può dirci, per esempio, che non farà mai il capo di un centrosinistra simile a quello che ha guidato Prodi, perché nessuno glielo ha chiesto e perché non accetto nemmeno da un possibile alleato che venga liquidata la nostra storia politica e il legame tra il Pd e Prodi. Comunque, ripeto: nessuno gli ha chiesto di fare il capo del centrosinistra».

Però magari qualcuno ci pensa, no?
«Io resto convinta che Casini sarà un ottimo capo del centrodestra liberato da Berlusconi: e vorrei che quel giorno, quando avremo di fronte un centrodestra migliore di quello che abbiamo oggi, il Pd sia così forte da batterlo».

Quindi, primarie.
«Non c’è altra strada. Casini è alleato fondamentale in questa fase, ma noi non possiamo permetterci di rompere con tutta la sinistra. E credo che nemmeno all’Udc convenga allearsi con noi per perdere».

E nel Lazio? La convince la candidatura di Emma Bonino?
«E’ inutile che stia a ridire della mia stima per Emma, ma alcune considerazioni vanno fatte. Quella, per esempio, che sostenere la Bonino nel Lazio, dunque a Roma, non è una scelta scontata per un partito come il nostro. La decisione è stata presa in modo frettoloso e con una motivazione poco convincente: o scende in campo un leader nazionale o si sostiene Emma, che all’inizio si era candidata contro il Pdl e il Pd. So che nel Lazio c’è una situazione difficile: ma so anche che vi sono autorevoli leader regionali capaci di competere, e che la Polverini non è imbattibile».

E dunque?
«Io propongo di andare a elezioni primarie, perché se il Pd dovrà sostenere Emma Bonino è giusto che la scelga in un confronto aperto: altrimenti tutto sembrerà un modo, perfino troppo evidente, per permettere a Casini di sostenere la Polverini. Del resto, sull’uso delle primarie - e sul progetto politico - la mozione Bersani era così chiara da aver ricevuto il voto di quasi tutti gli ulivisti: fare del Pd la forza centrale del centrosinistra. La forza centrale, appunto: e non un partito di sinistra ancora con la sindrome di esser figlio di un dio minore e alla perenne ricerca di qualche alleato moderato che lo legittimi a governare».

da lastampa.it


Titolo: ROSY BINDI. Le primarie della libertà
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2010, 09:47:40 pm
12/1/2010

Le primarie della libertà
   
ROSY BINDI*

Caro direttore,
trovo francamente un po’ ingeneroso il giudizio di La Spina sulla confusione che regnerebbe nel Pd. Ma rispetto e anzi apprezzo ogni stimolo a meglio definire il profilo e la linea di un partito che lo stesso La Spina giudica essenziale per la democrazia italiana. Sento però il dovere di offrire qualche chiarimento su due specifici punti, per dimostrare di non essere entrata in contraddizione nella mia intervista a Federico Geremicca. Il primo: la mozione congressuale di Bersani non proponeva un rapporto preferenziale o addirittura esclusivo con l’Udc ma l’impegno del Pd a costruire un nuovo centrosinistra per stabilizzare il bipolarismo italiano. Abbandonata ogni pretesa autosufficienza, si trattava e si tratta di mettere insieme un quadro di alleanze che, muovendo da un confronto aperto e senza pregiudiziali con le forze oggi all’opposizione, prefigurasse un’alternativa di governo al centrodestra.

Secondo chiarimento: io non auspico affatto che l’Udc rifluisca di nuovo nel campo del centrodestra. Con o dopo Berlusconi. Vorrei anzi potermi augurare il contrario. Registro solo, per il rispetto che porto ai propositi da loro stessi enunciati, che l’ipotesi di un futuro approdo dell’Udc a un nuovo centrodestra è tutt’altro che da escludere. Ricordo che Casini ha sempre parlato di alleanze con il centrosinistra in chiave di Cnl da Berlusconi e mai in prospettiva strategica, arrivando addirittura ad annunciare in tono minaccioso alleanze per la democrazia e la Costituzione.

Naturalmente ne consegue però che, come noi accettiamo che l’Udc si allei in alcune Regioni con il Pd pur coltivando dichiaratamente un diverso disegno di lunga lena, reciprocamente, al Pd non si possa chiedere di rinunciare alla propria prospettiva strategica. Prospettiva entro la quale il Pd svolga coerentemente la propria identità e la propria missione. Pena il proprio snaturamento. La nostra visione, ripeto, è quella di un nuovo, largo centrosinistra dentro un bipolarismo più maturo e finalmente consolidato.

In questa luce, le primarie di coalizione non sono solo uno istituto contemplato dal nostro statuto. Rappresentano anche, in concreto, uno strumento utile proprio al fine di dare modo agli alleati e ai loro elettori di partecipare alla designazione del candidato comune alle cariche monocratiche.

Come spesso ha osservato Bersani nel confronto congressuale, con i propri alleati il Pd deve essere umile e generoso e proprio il rispetto per gli alleati e la cura per le alleanze suggeriscono il ricorso alle primarie con le quali coinvolgerli nelle decisioni comuni.
Decisioni che non possiamo assumere da soli né confinare entro segrete stanze.

La libertà, per ciascun alleato, di non parteciparvi non può tradursi nella pretesa che il Pd vi rinunci.

*Presidente del Partito democratico

da la stampa.it


Titolo: L'analisi severa del presidente Pd Rosy Bindi
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 09:33:14 am
Cronaca di una Waterloo

di Marco Damilano

Mancanza di un progetto alternativo a Berlusconi e Bossi.

Incapacità di interpretare il rapporto con la società.

L'analisi severa del presidente Pd Rosy Bindi
 


Non c'è un dato economico e sociale del Paese che sia migliorato, dovrebbero perdere voti. E invece loro acquistano consensi e noi siamo lì, fermi. Non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti».

L'analisi delle regionali di Rosy Bindi, presidente del Pd, è preoccupata: il centrosinistra perde perché da tempo ha smarrito il contatto con la società italiana. Qualcosa di molto più profondo e radicale di una semplice défaillance del Pd, che non si risolve con un cambio al vertice: «Per favore, non ricominciamo con il tormentone. È dal 2007 che ogni anno mettiamo in discussione la leadership. Fermiamo questa corsa suicida. E torniamo a riflettere, con serietà, su cosa è successo in Italia negli ultimi vent'anni».

Lei conosce e combatte la Lega almeno dall'inizio degli anni Novanta, quando era segretaria della Dc veneta, ha assistito all'alba del fenomeno. Oggi cosa c'è nel voto del Nord per il partito di Bossi?
«La Lega resta un movimento di protesta capace come nessun altro di interpretare le inquietudini del suo elettorato, in un tempo segnato dalla paura. Lucra voti senza risolvere i problemi, senza portare a compimento nessuna riforma. Non c'è più sicurezza in questo Paese, e non c'è il federalismo. Eppure la gente continua a votarla. La stessa cosa che succede per Berlusconi: nonostante l'evidente declino della sua leadership, nonostante il fallimento del suo governo, nessun italiano oggi può dire di stare meglio di ieri, scopriamo che trasformare le elezioni regionali in un referendum sulla sua persona ancora una volta ha funzionato. Dobbiamo chiederci il motivo».

Forse perché voi dell'opposizione fate peggio di lui. In Francia l'astensionismo ha colpito il centrodestra al potere, qui colpisce anche la minoranza e il Pd.

«Non condivido un giudizio così netto. Rispetto alle elezioni europee siamo riusciti a evitare di farci chiudere nella trincea delle regioni centrali, non siamo la Lega appenninica come qualcuno ci rappresenta. Ma non sfuggo al problema: anzi, è proprio questo il punto fondamentale da cui deve partire la nostra riflessione. Perché se il Paese sta male, se non c'è un lavoratore o un imprenditore che possa sentirsi gratificato da questo governo, Berlusconi e la Lega continuano a vincere? E rendono marginali i politici più responsabili del centrodestra come Gianfranco Fini, che gode del mio apprezzamento ma è in posizione minoritaria nel suo partito».

Qual è il loro segreto? O la vostra colpa?
«Me lo vedo già il dibattito interno al mio partito. Coalizione sì coalizione no, andare con Di Pietro o con Casini, organizzati sul territorio o con Internet... Io spero invece che si abbia il coraggio finalmente di alzare il tiro. La partita è culturale, si gioca su un'idea dell'Italia. È qui che noi veniamo a mancare: finora noi non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti. Dobbiamo reinterpretare il rapporto tra politica e società».

Forse per trasmettere un'idea diversa dovreste partire da una diversa classe dirigente. Bersani sarà messo in discussione?
«Sarebbe un errore gravissimo. Guardi, è dal 2007 che perseguiamo questa strada. Quell'anno il centrosinistra perse un turno di elezioni amministrative, si disse che il governo Prodi era finito e si passò a eleggere Veltroni segretario del Pd con le primarie. Poi Veltroni ha perso in Sardegna e si è dimesso, e così via. Ogni anno cambiamo leader, ora non ricominciamo con il tormentone. Fermiamo questa corsa suicida. E andiamo in profondità: la nostra proposta, il progetto che non si vede. Una nuova classe dirigente non si inventa, non si improvvisa, nasce se si fanno partire progetti politici innovativi. Altrimenti restano i vecchi attori».

Lei parla di errori di lungo periodo. Ci sono stati sbagli in questa campagna elettorale? Candidature poco convincenti come la Bonino?
«Prima del voto ho detto apertamente che in una regione come il Lazio e in una città come Roma la candidatura di Emma Bonino non era la migliore che potessimo mettere in campo. È stata frutto di un caso e non di una scelta. Come dice il blogger Zoro, “c'avevamo solo quella”. Però devo rendere onore alla combattente. Siamo andati al fotofinish grazie alla battaglia della Bonino, nonostante i soliti pregiudizi su di lei agitati a poche ore dal voto in modo pretestuoso. E poi dobbiamo riflettere su come abbiamo governato il Sud, dati i risultati in alcune regioni come Campania e Calabria».

Vendola è tra i leader del futuro? Potrebbe entrare nel Pd?
«Vendola è già tra i leader, ed è apprezzato dal Pd, magari senza l'entusiasmo di qualche suo esponente. In questa campagna elettorale abbiamo ripreso i rapporti con la sinistra di governo, siamo un cantiere aperto. Ma attenzione a sciogliere partiti per poi rifondarli, è da anni che lo facciamo, dentro una logica tutta interna al sistema politico. Vendola vince in Puglia perché ha saputo comunicare ai suoi elettori una speranza, non un'organizzazione. È quello che dobbiamo fare in tutto il paese».

C'è un nuovo arrivato a sorpresa nel campo dell'opposizione, il movimento di Beppe Grillo: è possibile considerarlo un interlocutore?
«Noi dobbiamo parlare con tutto ciò che appare nella società. In Piemonte il movimento di Grillo ha preso il 4 per cento, incredibile è la sorpresa, un partito dovrebbe capire in anticipo quello che si muove nell'elettorato. E lo dico della regione che mi ha fatto soffrire di più, con Mercedes Bresso che ha governato con grande serietà. È un voto anti-sistema, come l'astensione. A pagare il prezzo più alto siamo noi che scommettiamo sulla politica e ha avvantaggiato la destra che ha un'anima anti-sistema. Però alcune istanze vanno ascoltate. E trovo positivo l'ingresso nelle istituzioni. Chi è in consiglio regionale non può più dire vaffa, deve trovare soluzioni».

In Parlamento si riapre il dibattito sulle riforme. Pdl e Lega chiedono al Pd di non tirarsi indetro. Raccoglierete l'invito?
«Inizia una stagione senza elezioni nazionali, c'è la possibilità di fare le riforme e io spero che si facciano. Ma con la schiena dritta. Nessun cedimento. Prendiamo il presidenzialismo: il Pd non è disponibile a costituzionalizzare la svolta populista e autoritaria di Berlusconi. Lo dico perché vedo anche in casa nostra qualche cedimento culturale: la simpatia rafforzata con i radicali e il presunto scambio con una legge elettorale complica le cose. Ma se qualcuno vuole percorrere questa strada lo farà senza di me».

E sulle alleanze? Riprenderà il cammino con l'Udc di Casini?
«Se l'Udc lavora a migliorare il bipolarismo siamo disponibili. Se pensano di togliere il potere di scelta ai cittadini e restituirlo ai partiti sarebbe una strada sbagliata. Le elezioni regionali confermano che i cittadini vogliono contare con il loro voto e apprezzano il bipolarismo: è un percorso segnato».

Nessuno nel Pd è antiberlusconiano quanto lei. Dopo queste elezioni è ancora sicura che l'anti-berlusconismo sia un'arma efficace?
«L'anti-berlusconismo è il presupposto dell'alternativa. Ma noi negli anni abbiamo comunicato soltanto il presupposto e non l'alternativa. È chiaro che se continuiamo a fare la foto a Berlusconi, gli italiani non smetteranno di rispecchiarsi in lui e nella sua foto. È tempo di scattare un'altra fotografia».

(31 marzo 2010)
da espresso.it


Titolo: ROSY BINDI. - Bindi: «Caimano, siamo pronti a fermarti»
Inserito da: Admin - Agosto 01, 2010, 07:15:16 pm
Bindi: «Caimano, siamo pronti a fermarti»

di G.M.Bellu


«Noi siamo pronti», dice Rosy Bindi, presidente del Partito democratico. Pronti alle elezioni, intende, o anche pronti a contribuire a un governo “di transizione” o meglio “di salute pubblica”. Lo dice prima di tutto ai militanti e agli elettori, ma lo dice anche ai commentatori politici che (ieri, sul <CF161>Corriere</CF>, Angelo Panebianco) vedono nella fine del Pdl la parallela fine delle ragioni del Pd: «Non siamo nati perché esisteva Berlusconi e non moriremo con lui. Non siamo nati su un predellino ma stiamo lavorando ormai da quindici anni su questo progetto le cui prime tracce si trovano nello spirito dei costituenti», dice Rosy Bindi.

Il richiamo alle radici non è retorico. Se, infatti, il tonfo del progetto berlusconiano provoca un certo comprensibile “godimento”, il timore che il Caimano ferito sia tentato di dare qualche micidiale colpo di coda alla nostra democrazia è alto. Ed è altissima la posta in gioco. Quel «siamo pronti», dunque, è anche un messaggio al presidente del Consiglio: «Berlusconi deve sapere che siamo pronti, in Parlamento, a isolarlo nella sua irresponsabilità. E, nell’elettorato, a sconfiggere la sua temerarietà».

Insomma, diamo per scontato che anche questa legislatura finirà in anticipo…
«Mi sembra molto improbabile che si arrivi alla scadenza naturale. Non dico che sia impossibile, ma occorrerebbe proprio quella capacità di guida politica che Berlusconi ha dimostrato di non possedere. Dovrebbe di colpo cambiare metodo: capire che non si governa a palazzo Grazioli, ma nel rapporto col Parlamento, con l’opposizione, con le parti sociali… Ma, a giudicare dalle ultime mosse, in testa la cacciata di Fini, il premier mi sembra molto poco lucido…».

E anche molto tentato dalle elezioni anticipate.
«Sì. Ma non è a lui che spetta il compito di sciogliere le Camere. E non credo che Fini e i suoi mentano quando dicono di non volere le elezioni e di essere intenzionati a sostenere il governo. Certo, per il premier sarà dura, ed è anche da questo che nasce il godimento. Se ripenso alla sicurezza che ostentava, al suo non venire mai in aula, a quell’arroganza… mentre ora lo vedo ora andare alla ricerca di voti…».

Ragioniamo sui due aspetti del suo «siamo pronti». A partire dall'ipotesi estrema delle elezioni a novembre. Il Pd è davvero “pronto”? Immagini di spiegarlo a un militante o a un elettore.
«Al militante o all'elettore dico che il Partito democratico ha un suo candidato che è il segretario Bersani, un leader che ha già come suo profilo dominante quello dell'uomo di governo. Se poi si andasse a individuare un candidato di coalizione ci sarebbero le primarie, un grande strumento che ci ha portato bene… Non dimentichiamoci che Berlusconi l’abbiamo già battuto due volte».

Le faccio due nomi che circolano, Vendola o Draghi?
«Vendola dovrà fare le primarie. E Draghi potrà essere uno dei nomi scelti dal presidente della Repubblica».

Altro scenario, più probabile: caduta “a medio termine” di Berlusconi…
«Penso che il capo dello Stato prima verificherà se la maggioranza uscita dalla urne può esprimere un governo. Ma qua si ripropone il problema della capacità di Berlusconi di fare politica e ribadisco il mio pessimismo sulla possibilità di un cambiamento così radicale…».

Governo di “salute pubblica” dunque…
«Sì, ma deve essere chiarissimo un punto. E lo dico a chi, con un riflesso automatico, appena si prospetta un’ eventualità del genere comincia a parlare di “inciuci”. L'obiettivo è l'alternativa, cioè chiudere definitivamente col berlusconismo. L’obiettivo è chiudere con questa cosiddetta Seconda Repubblica che, secondo me, non è altro che il proseguimento malato della Prima. Stiamo attraversando contemporaneamente una crisi di sistema e una crisi politica e sociale senza precedenti, non paragonabile con quella degli anni Novanta. Il caso Fiat sta dimostrando che la crisi porta via anche le sicurezze sociali. In più abbiamo una legge elettorale disastrosa che ha costretto prima noi, poi il centrodestra, ad alleanze disomogenee… È in questo quadro che vedo un governo dove le forze politiche che ci stanno, senza confusioni, senza annullare il passato né pregiudicare il futuro, si assumano un supplemento di responsabilità condivisa».

Ma quale legge elettorale? Anche nel Pd esistono molte visioni.
«Abbiamo già una nostra proposta e, lo dico da presidente, ci siamo espressi nell’assemblea nazionale. Bisogna approfondirla e giungere a una mediazione accettabile. Ma la sintesi è chiara ed è quella che ha illustrato Bersani. Ci vuole una legge che - in una sintesi equilibrata tra il sistema maggioritario e quello proporzionale - consenta agli elettori di scegliere chi va in Parlamento e qual è la coalizione che deve governare. Dire che questo bipolarismo è malato non significa voler tornare al parlamentarismo delle mani libere, ma arrivare un bipolarismo maturo, europeo. Anche i più critici verso il bipolarismo, Casini compreso, sanno bene che il centro o è uno dei poli, oppure si deve alleare con uno dei due poli. Non dimentichiamo che è nella nostra storia Roberto Ruffilli il quale, prima di essere assassinato dalla Brigate rosse, lavorava proprio a una riforma elettorale che aveva alla sua base l’idea di fare di ogni cittadino l’arbitro della scelta della maggioranza di governo».

A proposito di centro, quanto ritiene alto il rischio che la nuova fase politica spinga in quell'area i moderati del Partito democratico?
«Penso che in un momento come questo il Pd debba dedicare le sue energie per rafforzare la sua unità e dare voce a tutti, far sentire tutti a casa propria. A maggior ragione se in una fase di emergenza si va verso alleanze molto larghe. Perché ci si può stare a testa alta anche con alleati “innaturali”, ma a condizione che non ci siano fianchi scoperti. A chi avesse la tentazione di andare via dico che si può lavorare a un progetto politico in modo non subalterno se si sta dentro un grande partito. D’altra parte non mi pare che chi si è allontanato abbia ottenuto grandi risultati».

Parlava di “alleati innaturali”. Intende dire che così come può nascere un governo di salute pubblica, potrebbe nascere addirittura una “coalizione di salute pubblica”?
«Non lo escluderei affatto. È un’ipotesi della quale, al di là delle definizioni, hanno parlato Bersani, Di Pietro e Casini. Certo, dovremmo spiegarlo molto bene agli elettori. Dovremmo chiarire che ci sono forze politiche molto diverse tra loro che non intendono far passare un programma eversivo quale sarebbe quello che Berlusconi, non avendo nient’altro, porterebbe in campagna elettorale. Perché, se guardiamo ai risultati di questi due anni, vediamo un bilancio disastroso, un paese allo stremo. Non ho lanciato la proposta di una commissione d’inchiesta sulla P3 per divertimento ma per arrivare a capire quanto è ramificato l’uso scorretto del potere».

A proposito di “alleati innaturali”. Ritiene che la Lega, che ora tiene in ostaggio Berlusconi, potrebbe rientrare nella categoria?
«Se Berlusconi va a votare, il primo alleato sarà la Lega che non farà fatica ad assecondare le sue pulsioni eversive. In un’eventuale fase transitoria potrebbe essere l’interlocutore per una riforma sul federalismo fiscale solidale e davvero condivisa».

01 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/101964/bindi_caimano_siamo_pronti_a_fermarti


Titolo: ROSY BINDI. - Bindi: "Se si va alle urne, alleanza anche con Fini"
Inserito da: Admin - Agosto 06, 2010, 05:51:57 pm
6/8/2010 (7:15)  - INTERVISTA

Bindi: "Se si va alle urne, alleanza anche con Fini"

Il presidente del Pd: «Il partito sarà l'asse di ogni operazione politica futura»

CARLO BERTINI
ROMA

Presidente Bindi, se si va alle urne, il Pdl e la Lega spazzano via tutti, come dice Bossi?
«Ammesso che ci riesca, non tocca a lui sciogliere le Camere. Se Berlusconi con Bossi si assume la grave responsabilità di una prova di forza in autunno, pur avendo ancora una maggioranza e in un momento di grave crisi economica, con la necessità di un’altra manovra, con un bilancio fallimentare e un governo nel pieno di una bufera giudiziaria, non credo che possano fare il pieno dei voti. Nello sgretolamento del berlusconismo, anche la Lega potrebbe sfilarsi. Ma se la situazione precipita per colpa del premier, dobbiamo lavorare a un’alleanza molto larga, perché la priorità sarebbe salvare la democrazia».

Ma voi potreste mai presentarvi alleati con un terzo polo, se comprendesse anche Fini?
«Intanto dove è questo terzo polo? E poi in quel caso credo che il Paese capirebbe un’alleanza democratica e costituzionale e per quel che mi riguarda non avrei preclusioni verso nessuno, da Fini a Di Pietro, a Vendola. Quello di Berlusconi sarebbe un programma eversivo di snaturamento della Costituzione, all’insegna del “gli alleati mi hanno tradito, ora datemi tutto il potere”. E in un’emergenza del genere non bisognerebbe avere preclusioni di alcun tipo. Ma sia chiaro: non abbiamo alcuna paura del voto, perché come sempre daremo il meglio di noi in campagna elettorale. Ma stiamo parlando solo di uno dei vari scenari possibili».

Un altro scenario è il governo tecnico: avrebbe qualche possibilità di nascere senza i voti della Lega e del Pdl e con il caos nelle piazze evocato da Bossi?
«È evidente che siamo alla fine del berlusconismo nel senso de “il partito sono io, il governo è mio”. Ma non è vero che non c’è una maggioranza, semplicemente ha bisogno di essere guidata da chi sa cosa sono la politica, il dialogo e la persuasione. Ma non si possono fare governi tecnici, di transizione o di salute pubblica senza un accordo chiaro con tutti i partiti, altrimenti avrebbero un solo nome: ribaltone. Per carità, i numeri ci potrebbero anche essere e in una democrazia parlamentare sono possibili, ma si tratterebbe di un percorso complicato. Insisto, la via maestra è che Berlusconi salga al Quirinale, per dire che non ha più una maggioranza e che il Capo dello Stato lo rinvii alle Camere, dove potrebbe riottenere una fiducia per andare avanti, cambiando stile e magari facendo le riforme nel confronto con l’opposizione».

E non c’è il rischio che di fronte a una crisi parlamentare Casini approfitti delle mutate condizioni per entrare nel governo?
«Anche questa è un’ipotesi. E infatti definisco il gruppo degli astensionisti un “ircocervo”, con una parte di maggioranza e una di opposizione, che ora è servito anche a tenere in vita il governo e ad aprire qualunque strada. Se si facesse questo passo, Casini smentirebbe la sua storia degli ultimi tre anni con una fine ingloriosa. Avrebbe infatti usato il tema della responsabilità nazionale solo per entrare nel governo».

Voi del Pd reggerete l’urto di questa crisi senza perdere altri pezzi e cioè gli ex Ppi che fanno capo a Fioroni?
«Non credo vi sia questo rischio. Chi potrebbe essere tentato di uscire sa che ora è il momento di stare ben saldo dentro il Pd che resterà l’asse di qualunque operazione futura. E se non si materializza un voto anticipato, diventerà più stringente la necessità di costruire un’alternativa politica e culturale omogenea, per dare un minimo di stabilità al Paese. E a quel punto si porrebbe il problema delle alleanze».

Ecco, a questo proposito, D’Alema ha bocciato la leadership di Vendola ed Enrico Letta l’alleanza con Di Pietro e la sinistra auspicando un’intesa col terzo polo. Hanno fatto bene?
«Sono opinioni personali, queste scelte le deve assumere il Pd collegialmente. Ora il partito deve lavorare a includere e non a escludere. Vendola può essere scelto o rifiutato solo con le primarie. Certo, questa volta ha sbagliato i tempi e i modi nel lanciare la sua leadership. Aggiungo che se il Pd non facesse le primarie, ha un solo candidato, Bersani. Se si andasse a votare in autunno, non ci impiccheremmo agli strumenti per scegliere il candidato premier, ma è chiaro che nessuno può pensare di paragonare l’Ulivo di Prodi con un’offerta di premiership a Casini. Viceversa, se passano diversi mesi, prima di un ricorso alle urne bisognerà capire se l’ircocervo che è nato ieri ha l’ambizione di cambiare la destra o se ci sono le possibilità di costruire un’alternativa programmaticamente omogenea nel centrosinistra col Pd».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57377girata.asp


Titolo: ROSY BINDI. - Spiegheremo agli italiani cosa sta veramente accadendo ...
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2010, 06:21:53 pm
Rosy Bindi: «Spiegheremo agli italiani cosa sta veramente accadendo nel nostro Paese»

di Maria Zegarelli

Giovedì un percorso di alta montagna, «una ferrata», su a Peralba, 900 metri di dislivello, ieri per riposarsi un giro in bicicletta, casco nuovo fiammante lungo la Cavalzo-Cortina, poi a casa per seguire la conferenza stampa del premier e le reazioni dei finiani. Rosy Bindi, presidente del Pd, legge la dichiarazione di Italo Bocchino, «si va avanti per altri tre anni» e sorride. «È evidente che la maggioranza non esiste più e se resteranno insieme questa ricucitura non sarà altro che un rattoppo, passeranno il tempo a patteggiare e trattare su ogni punto ai danni del Paese».

Ha sentito Berlusconi? Se c’è la fiducia avanti per altri tre anni. Altrimenti si vota.
«Bisognerà leggere attentamente il documento, ma non mi sembra che lasci molti margini di trattativa. Vedremo se il premier sarà in grado di rimettere insieme la maggioranza, io non ci credo, sarà un continuo patteggiamento, tutte le loro forze saranno impegnate per stare insieme e non certo per risolvere i problemi del paese. Gli stessi punti del programma dimostrano non c’è nessuna attenzione dei problemi reali del paese, non c’è cenno al lavoro o alle disuguaglianze».

Il premier è stato chiaro: nessuno pensi di non rispettare la volontà del popolo formando un governo di non eletti. Messaggio al Colle?
«Più che un messaggio mi è sembrato un avvertimento non rispettoso delle prerogative del Capo dello Stato e soprattutto ci leggo una volontà di modificare la Costituzione materiale attraverso la legge elettorale, una legge incostituzionale che va cambiata. Berlusconi ha praticamente affermato questo: una legge elettorale ha modificato la Costituzione. Dimentica che siamo ancora una Repubblica parlamentare e che c’è un Capo dello Stato».

Ha anche sostenuto che dal 1994 la magistratura vuole abbattere il governo legittimo.
«Da una parte vuole trasformare la nostra democrazia parlamentare in una democrazia plebiscitaria senza neanche modificare la Costituzione e dall’altra continua a non rispettare la divisione dei poteri. Lancia intimidazioni al Colle e continua nel suo obiettivo di legare le mani della magistratura. Del resto questo è il suo programma: processo breve, legittimo impedimento, esasperazione delle leggi ad personam...».

Su questo non ci saranno margini di trattativa. Secondo lei i finiani voteranno la fiducia al documento e tutto finisce qui?
«Se non sbaglio ha riproposto il processo breve anche se lo ha definito “processo ragionevole”, ha detto chiaramente che la legge sulle intercettazioni così come è stata emendata non va bene. È evidente che con la Lega è già d’accordo, dunque è tutto in mano ai finiani, vedremo quanto resisteranno o se siamo di fronte al ruggito del coniglio...».

Il premier si dice sicuro, in caso di elezioni, di una vittoria di larga misura.
«Questa sua previsione ritengo che sia un modo di mostrare i muscoli sapendo di mentire. Le elezioni per Berlusconi sarebbero un fallimento. Non abbiamo alcun problema ad andare al voto subito, non ci spaventa, Penso che il Pd e l’attuale opposizione avrebbero mille motivi per vincere, ma ritengo che la soluzione migliore per il Paese sarebbe quella di un governo di transizione per cambiare la legge elettorale».

Ma Berlusconi non la pensa così e a sentire Bossi neanche la Lega.
«Berlusconi in questo momento porterebbe il Paese ad elezioni contro il volere di tutti: soltanto Bossi le vuole, non il mondo cattolico e la Chiesa, non le parti sociali, non la gente. Il Paese non reggerebbe un’altra consultazione: sarebbe la terza in sei anni. Il suo obiettivo è chiaro: chiedere un mandato per costituzionalizzare la repubblica presidenziale. Per questo motivo il Pd deve puntare ad un’alleanza molto larga, in difesa della nostra Costituzione».

Bersani ha lanciato la campagna d’autunno. Il Pd si prepara?
«Quella campagna sarà la nostra grande forza, spiegheremo agli italiani cosa sta davvero accadendo al Paese».

A proposito di spiegazioni, crede che il popolo Pd approverebbe un governo di transizione?
«Ne sono certa perché da quando abbiamo iniziato a spiegare di cosa si tratta la risposta è positiva. La posta in gioco è alta: rischiamo di andare ad elezioni senza che il Paese trovi una stabilità politica perché con questa legge elettorale è così. Noi vinceremo le elezioni, ma se ci fosse un risultato incerto non permetteremo domani di mettere in atto quello che si vuole impedire oggi. Perché Berlusconi non è disponibile a fare un governo di responsabilità? A cosa punta? A nuove elezioni dall’esito che potrebbe essere incerto per tirare a campare ed arrivare alla presidenza della Repubblica?».

Facciamo una previsione: quanto durerà la tregua, se tregua è, con i finiani?
«Se Fini è coerente la maggioranza non c’è più e allora Berlusconi venga in Parlamento, ne prenda atto e la parola passi al Presidente della Repubblica».

21 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/102613/rosy_bindi_spiegheremo_agli_italiani_cosa_sta_veramente_accadendo_nel_nostro_paese


Titolo: Secondo Rosy Bindi (primarie e candidature)
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2010, 09:04:43 am
Secondo Rosy Bindi

FEDERICO GEREMICCA
ROMA

Ci sono dei momenti in cui la chiarezza, in politica, diventa quasi un obbligo. E secondo Rosy Bindi - presidente dell’Assemblea nazionale del Pd - su due questioni (primarie e candidatura di Bersani alla premiership) in questo momento c’è bisogno del massimo della chiarezza. A costo perfino di qualche rudezza. Si pensi, per esempio, all’ipotesi - nuovamente circolata dopo la lunga lettera scritta per il Corriere della Sera - di una candidatura alle primarie di Walter Veltroni. Rosy Bindi è netta: «E si candiderebbe in nome di che? Di una linea con la quale abbiamo già perso, in un sol colpo, governo, alleanze ed elezioni?».

L'ipotesi non la convince, insomma.
«No, e non è una questione che riguardi solo Veltroni, ammesso che Walter pensi davvero di candidarsi».

E chi altro riguarderebbe, scusi?
«Alle primarie, per quanto ci riguarda, il candidato del Pd è il segretario, cioè Bersani. Dopodiché, visto che si tratterà - credo - di primarie di coalizione, se ci sono candidati di altri partiti, si facciano avanti. E’ nel loro diritto, non c’è problema».

Con Veltroni, invece, il problema ci sarebbe, è così?
«A dirla francamente, io credo che sia venuto il momento di farsi candidare, piuttosto che candidarsi: farsi candidare da qualcuno in nome di qualcosa, insomma».

In campo, però, ci potrebbe essere anche Sergio Chiamparino, che ne dice?
«Che per ora ha annunciato solo una sua disponibilità. Vedremo. Ma quel che vorrei dire è che qualunque democratico - in presenza della candidatura di Bersani - dovrebbe pensare molto seriamente a se è il caso di scendere in pista. Personalmente la considererei una scelta discutibile».

Nessun problema, invece, su candidature di esponenti di altri partiti, giusto?
«Si riferisce a Vendola?».

A Nichi Vendola.
«E’ in campo. A mio giudizio con una scelta quanto meno intempestiva. Detto questo, Vendola è una ricchezza. Sta facendo un gran lavoro nell’area della sinistra ed è un bene, perché noi dobbiamo vincere le elezioni, e per farlo abbiamo bisogno di recuperare un dialogo con tutte le aree e le fasce di elettorato di centrosinistra».

Però?
«Però c’è bisogno di una riflessione seria da parte di tutti. Anche di Nichi. Di fronte alla prospettiva politica di un nuovo Ulivo, motore di una più ampia alleanza democratica, abbiamo bisogno di candidati-premier capaci della più larga interlocuzione possibile. Insomma, non mi pare il momento di rincorrere parzialità...».

A proposito di interlocuzione, com’è che Bersani e Veltroni adesso parlano al partito via lettera? Che impressione le hanno fatto le due missive?
«Diciamo che una è una lettera, e racconta di un’isola ideale che purtroppo non c’è, indicando una prospettiva che non esiste e in nome della quale abbiamo già pagato prezzi pesanti; l’altra è una proposta politica solida e, secondo me, convincente. Diciamola così: Bersani ha indicato quale deve essere la linea per un partito realmente e concretamente riformista».

Tanto che è piaciuta anche a autorevoli esponenti della minoranza interna al Pd, come Franceschini, Marini e Fassino.
«Quella di Veltroni è un’iniziativa molto personale, naturalmente del tutto legittima, ma fortemente minoritaria nel partito, come si è visto. Comunque la sua lettera un pregio lo ha avuto: ha fatto risaltare la solidità della proposta avanzata da Bersani...».

Il suo amico Fioroni dice, però, che su quella linea si rischia che i cattolici abbandonino il Pd: non ha questo timore?
«L’idea che di fronte alla proposta di un nuovo Ulivo i cattolici si allontanino da noi, è bizzarra. E Fioroni sarà il primo a lavorare a questo progetto, come ha fatto per il primo Ulivo. Anche perché, me lo lasci dire, non è più tempo di inseguire - e senza successo - prospettive personali: magari prendendo a pretesto il disagio dei cattolici o il fatto che il Pd sarebbe diventato un “partito di sinistra”...».

Si riferisce all’uscita di Rutelli dal Pd?
«Mi riferisco a un problema, ad uno stile... Sono ben altre le questioni che abbiamo di fronte».

La più seria?
«Evitare che l’agonia del governo Berlusconi provochi ulteriori danni al Paese».

E poi?
«Correggere l’idea che il Pd avesse - o abbia - paura delle elezioni».

Non è così? La sensazione è proprio questa...
«Non è così. Noi abbiamo solo proposto che prima di andare al voto si riformi la legge elettorale, ridando ai cittadini la possibilità di scegliere chi mandare in Parlamento. Per il resto, siamo pronti alla sfida, che credo non sia comunque lontana».

Prevede insomma elezioni anticipate in tempi brevi?
«I tempi non riesco a immaginarli: ma è evidente che la soluzione trovata nel vertice dell’altro giorno è un rattoppo. In tutta evidenza, Berlusconi non riesce più a tenere assieme la sua maggioranza. E’ un’intera fase politica che si chiude, nel bene e nel male. Vede, il berlusconismo è sempre stato fondato sul “qui comando io”. Adesso, visto che la rottura con Fini è seria e che nel rapporto con la Lega non è più il Cavaliere ad avere il pallino in mano, quel metodo non funziona più. Ed è per questo, insomma, che le elezioni anticipate mi sembrano vicine, sempre più vicine».

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58009girata.asp


Titolo: ROSY BINDI. Gheddafi, celebrazione imbarazza
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:20:12 pm
Bindi: Gheddafi, celebrazione imbarazza


«Solo nell'Italietta berlusconiana che si compiace di barzellette e battute misogine e che ha incoraggiato una nuova forma di mercificazione del corpo della donna, è possibile assistere alla celebrazione così imbarazzante e subalterna di un personaggio come Gheddafi»: lo afferma la vicepresidente della Camera Rosy Bindi.

«Purtroppo – aggiunge la parlamentare - non c'è da stupirsi per lo spettacolo offerto agli italiani con l'avallo del nostro governo. Invece di chiedere ragione delle condizioni di vita di migliaia di migranti, il governo Berlusconi si presta ad offrire un palcoscenico a chi per fare la sua propaganda pretende di circondarsi di belle ragazze. Ma così Berlusconi finisce per rendersi complice non solo della sorte dei tanti disperati ricacciati nel deserto libico ma di una nuova umiliante violazione della dignità delle donne italiane».

29 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/102898/bindi_gheddafi_celebrazione_imbarazza


Titolo: Bindi: «Ora il nuovo Ulivo» Vendola: «E' già vecchio»
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2010, 09:09:30 am
Bindi: «Ora il nuovo Ulivo» Vendola: «E' già vecchio»


di Maria Zegarelli


Sono arrivati un’ora prima per essere sicuri di trovare il posto. È l'appuntamento del giorno, il più atteso.
Tutti in piazza Castello per ascoltare Nichi Vendola, che già scalda i muscoli in vista delle elezioni e che, ha già fatto sapere dal mattino, proprio da questo palco lancerà la sfida a Rosy Bindi e al Pd: «Primarie subito, ora».

La sala scoppia, impossibile entrare già alle otto e mezzo di sera. C'è un cartello che campeggia. «Nichi e Rosy oggi sposi». Quando arrivano sul palco lo vedono e sorridono. Sposi proprio no, per ora ci si corteggia. Nichi la star, superacclamato, applaudito, un po’ poeta, un po’ visionario, come si definisce lui stesso, Rosy, concreta, gentile, ma ferma, che alla gara dell'applausometro forse arriva seconda, ma è una bella sfida. «Le primarie per fare il premier si fanno, non ci sono dubbi - risponde infatti quando Vendola rilancia -, abbiamo parlato di primarie di coalizione, lo scelgono i cittadini, gli iscritti. Ho qualche dubbio sulla tua proposta di farle subito: portasse un po’ male, aspettiamo che cada il governo. Noi sappiamo come farle, Nichi sa come vincere ma ogni volta è diverso».

Si rilanciano battute, accendono la platea, «è davvero una bella serata», ma potete starne certi non si risparmiano le critiche. Nichi resta sulle sue posizioni, quelle che qui a Torino va ripetendo dalla mattina, «Ieri era troppo presto per convocare le primarie, domani troppo tardi, allora le si convochi ora». Anzi, oggi è il tempo di metterci attorno al tavolo per definire il regolamento delle primarie e non sfuggire a quello che è percepito dal popolo del centrosinistra come un appuntamento fondamentale». Perché «la bella favola di Berlusconi, per metà Peron, per metà Vanna Marchi, è finita».

E il «grande animale politico», stavolta «ha paura del responso elettorale». Adesso davanti a migliaia di persone dice che non basta un atto di buona volontà per smontare il berlusconismo che è stato un mix di liberismo e populismo, che ci ha trasformato tutti da cittadini «a clienti, telespettatori», che ha cambiato antropologicamente il Paese.

Non basta perché «il centrosinistra si costruisce attorno ai precari, ad un nuovo modello di scuola, di società». E se al mattino smonta, con gentilezza, il ticket con il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, di cui ha una «grande stima» e di cui apprezza la sua voglia di mettere a disposizione l'esperienza torinese per trasferirla sul piano nazionale, di sera torna sul centrosinistra, popolato da «anime morte», temporeggia sul nuovo Ulivo, quando Bindi glielo chiede esplicitamente, lui risponde «In Puglia ci sono 60 milioni di ulivi».

Ma non ripete quando detto durante una video chat a La Stampa, il nuovo Ulivo «sarebbe un suicidio», inutile unire «i vecchi cocci» di quello vecchio "non avrebbe nessun appeal. Sarà perché Rosy Bindi dice che quel nuovo Ulivo è un cantiere a cui si deve lavorare tutti insieme, «non si fa senza di lui» sarà perché questo popolo di centrosinistra arrivato ad ascoltarlo chiede unità e non divisione, ma i toni sembrano più soft. «Per costruire l'alleanza, risponde, adesso, dobbiamo mettere insieme il lavoro e i diritti sociali». Ma per vincere non basta fare «un raduno, una sommatoria, bisogna ricostruire culturalmente l'orizzonte del cambiamento, occorre il coraggio del cambiamento».
E sulla riforma elettorale Bindi propone una riforma quale scopo unico del governo di transizione. Vendola è scettico: ho il calice pronto per brindare ma non credo che si trovi la maggioranza».

Ai Ferrero, i Diliberto, i Nencini e i Bonelli che non hanno apprezzato il suo giudizio sul progetto lanciato da Bersani, risponde che a lui non interessa «lo spazio per sventolare la mia bandierina», a lui interessa «che il centrosinistra diventi un nuovo racconto».

Bindi rilancia: scriviamolo il nuovo racconto, insieme, ritroviamo quello spiriuto che l'Ulivo diede al paese e ai cittadini, anche se sarà difficile oggi convincere le persone che pagare le tasse è giusto, che saranno necessari sacrifici.

Poi la chiusura. Se Vendola ribadisce che si candiderà alle primarie Bindi gli risponde: «Io ribadisco che voterò Bersani». Se ne vanno tra l’ovazione del pubblico.

08 settembre 2010
http://www.unita.it/news/italia/103266/bindi_ora_il_nuovo_ulivo_vendola_e_gi_vecchio


Titolo: ROSY BINDI dice no a Vendola
Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2011, 04:40:15 pm
Red. ,   18 febbraio 2011, 17:12

Bindi dice no a Vendola:

Politica

La presidente del Partito democratico parla alla conferenza delle donne democratiche. Afferma che "candidato alla presidenza del consiglio per il Pd è il segretario" ma Deve cominciare a cadere anche in Italia il tabù per cui una donna non può diventare presidente del Consiglio. Bisogna farci i conti". Punzecchiature a Vendola - "ha capito che deve fare un passo indietro" - e a Renzi: "Direbbe di sì solo a Renzi come candidato premier del Pd, ma non so se lo diremmo noi di sì"

 


"Il candidato alla presidenza del consiglio per il Pd è il segretario Pier Luigi Bersani ma i Democratici devono cominciare a pensare a una leader donna". Rosy Bindi parla alla conferenza delle donne democratiche e sgombera il campo dalle voci di attriti con il segretario sulla candidatura alla premiership. Bindi invita il leader del Pd a salire sul palco della conferenza, e al termine del suo discorso introduttivo riceve da Bersani un lungo abbraccio. Parlando alla platea femminile, Bindi spiega che la premiership del segretario "è una regola che sta scritta nel nostro statuto. Io la condivido molto e vorrei che lo facessero tutti. Mi sono permessa di ricordarlo anche in altre occasioni, ad esempio quando impazzava la discussione sul totoprimarie, o sul papa straniero". Indicare il leader del Partito come candidato premier "è una regola- osserva ancora la presidente del Pd- che rende il partito più forte. E Bersani è una persona che ha tutte le qualità per guidare il paese oltre Berlusconi".

Bindi precisa poi di condividere l'impostazione secondo cui in caso di alleanze larghe il leader andrà scelto d'intesa con gli alleati.
"Non lo diciamo perché siamo un partito che si affida agli alleati- spiega alle donne democratiche- ma perché l'Italia ha davvero bisogno di voltare pagina e ci dispiace che qualcuno non lo abbia ancora capito, magari perché preoccupato dall'esigenza di salvare una fetta dell'elettorato", dice Bindi riferendosi evidentemente alle dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini che ieri ha detto 'no' ad un'alleanza con il Pd. "Il candidato migliore - sottolinea ancora Bindi - sarà la persona in grado di tenere unita questa grande coalizione".

E' il momento in cui, mentre la platea la acclama ('Rosy, Rosy'), al leader di Sel Nichi Vendola la Bindi non risparmia una bacchettata, punzecchiandolo in relazione alla proposta di candidarla alla premiership: "Vendola ha capito che deve fare un passo indietro, ma quando si fanno passi così importanti bisogna farlo gratuitamente, evitando di trasferire i problemi in casa d'altri". Bindi dice no alle "strumentalizzazioni" e assicura: "Il Pd non si lascerà dividere". "Con Pier Luigi - aggiunge, guardando il segretario Bersani seduto al tavolo della presidenza - non abbiamo avuto bisogno di dirci molte parole. Non ci lasceremo dividere". Critiche al sindaco di Firenze Matteo Renzi, che aveva bocciata la ipotetica candidatura: "Lo abbiamo capito che Renzi direbbe di sì solo a Renzi come candidato premier del Pd, 'ma non so se lo diremmo noi di sì".

Vendola, però, ai passi indietro non ci passa minimamente. E a stretto giro dichiara: "Non ci penso neanche lontanamente di fare un passo indietro sulle primarie". Il governatore pugliese dichiara: "Le primarie sono l'unico strumento che io conosco, grezzo ma efficace, per far vivere il centrosinistra come un processo di partecipazione democratica, allargata, popolare", ha spiegato Vendola che ha imputato al suo schieramento di "avere una coalizione ma spesso non un'anima". Per questo, per Nichi Vendola, "le primarie possono essere l'anima che le manca".

Bacchettato Vendola, Rosy Bindi ci tiene però ad affermare una questione generale, una battaglia di principi: secondo la presidente del Pd bisogna distinguere la vicenda che la riguarda direttamente, per essere stata chiamata in causa da Nichi Vendola, da quella che attiene invece la possibilità che una donna diventi premier in Italia. Da questo punto di vista, osserva, il riferimento deve essere la manifestazione in 230 piazze del 'se non ora quando'. "Quelle parole- dice Bindi alle Democratiche e ai pochissimi uomini in platea- devono diventare un monito anche per noi. Deve cominciare a cadere anche in Italia il tabù per cui una donna non può diventare presidente del Consiglio. Bisogna farci i conti". Del resto, aggiunge la presidente del Pd, "in questi giorni, dopo la proposta di Vendola, mi ha sorpreso sentire in tanti dire 'magari, magari Bindi premier, magari una donna presidente del consiglio'. Ecco- conclude Bindi- io vorrei che lavorassimo perché la parola fosse 'finalmente'". Parole sottoscritte da un'altra donna illustre del Pd, la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro: "Sono iscritta al Pd e lo statuto del partito dice che il candidato premier è il segretario. Dopodichè ritengo che il Paese è comunque pronto per una leadership femminile".

da - paneacqua.eu/notizia


Titolo: ROSY BINDI - "La riforma? Non può farla Berlusconi"
Inserito da: Admin - Marzo 14, 2011, 12:28:50 pm
Politica

14/03/2011 - INTERVISTA

Rosy Bindi: "La riforma? Non può farla Berlusconi"

Il presidente del Pd: «L’apertura di Alfano è solo un prendere o lasciare»

CARLO BERTINI
ROMA

Su questa riforma nessuno è aperto o chiuso al dialogo, finora registro solo modi diversi di esporre una forte diffidenza: io mi chiedo se una riforma costituzionale la possa fare una maggioranza numerica e non politica, con un presidente del Consiglio imputato di prostituzione minorile, concussione, corruzione di testimoni, evasione fiscale»: alla richiesta che Casini fa al Pd di non salire sull’Aventino, Rosy Bindi ribatte ricordando il peso della «pregiudiziale Berlusconi», ostacolo insormontabile su un tema come la giustizia.

Quindi finché c’è lui a Palazzo Chigi non si discute più di nulla?
«Non è certo un dettaglio il fatto che abbia violato l’onorabilità delle istituzioni. E comunque noi non siamo sull’Aventino ma in Parlamento, dove sul tema della giustizia le nostre proposte sono depositate da inizio legislatura. Poi noto che il processo breve, così come la legge sulle intercettazioni, non sono state ritirate e che dunque il canale parallelo delle leggi ad personam non è interrotto. Vorrei inoltre capire che risposte si attendano da noi: non ci sottrarremo al dibattito parlamentare, ma lo faremo con le nostre proposte, perché questa cosiddetta disponibilità del Guardasigilli assomiglia tanto ad un prendere o lasciare».

Sta dicendo che dietro la facciata si cela un aut aut?
«Chiedo ad Alfano: è disposto lui a discutere le nostre proposte? La loro non è una riforma della giustizia, ma una riforma costituzionale sulla magistratura, che non porterà ai cittadini alcun vantaggio nel medio periodo: mancano interventi sull’organizzazione, sulle risorse, sulle procedure civili e penali. Un cambiamento profondo nei rapporti tra potere politico e giudiziario si può fare solo se si condividono i principi di autonomia e indipendenza della magistratura. Non dicendo di essere disposti a qualche piccolo cambiamento e basta».

Certo, un anno fa anche voi avanzavate proposte sulla distinzione dei ruoli tra giudici e pm o sulla obbligatorietà dell’azione penale, non così distanti da quelle del governo...
«Innanzitutto partivano dal capitolo sul buon funzionamento della giustizia e comunque non contemplavano una modifica della Costituzione. Che non si può attuare rinviando a leggi ordinarie e dando mandato al governo di turno di mettere le mani in un settore così delicato. E poi sull’azione penale noi indicavamo la strada della depenalizzazione di molti reati per non intasare il lavoro dei tribunali, lasciando intatta l’autonomia della magistratura. Viceversa, penso che un criterio di responsabilità civile dei giudici debba essere introdotto, ma non capisco perché debba essere inserito in Costituzione, dato che non è previsto per altri pubblici funzionari».

Le aperture di Fini-Casini allargano il solco tra voi e il Terzo Polo?
«Nel tempo che ci separa dalle elezioni dobbiamo preoccuparci di costruire il dopo-Berlusconi con un’alleanza di governo larga avendo a cuore tre o quattro questioni di programma. E non sarà possibile ricostruire il paese senza un’alleanza tra progressisti e moderati. A Casini, che sostiene “dopo il voto non daremmo gratis la vittoria a nessuno”, dunque chiedo: e se alla Camera vincesse Berlusconi? Se si riesce a fare un accordo tra progressisti e moderati, il paese sarà governabile, altrimenti i problemi sarebbero gli stessi di oggi. Dunque il Terzo Polo da solo alle urne rischia o di far vincere Berlusconi o di ostacolare dopo un cambiamento reale del paese».

da - lastampa.it/politica


Titolo: Bindi: “Attento Pd, rischiamo di apparire correi di Berlusconi”
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2013, 12:05:09 pm
Politica
10/05/2013

Bindi: “Attento Pd, rischiamo di apparire correi di Berlusconi”


L’ex presidente: “L’idea della pacificazione è irricevibile”

Federico Geremicca
Roma


Scandisce bene le parole, quasi che il farlo potesse servire a controllare il travaglio - perfino la rabbia - che la tormenta: «È l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, e io non accetto paragoni tra allora e oggi: nel ’76 si affrontò l’emergenza cercando di costruire il futuro, adesso tentiamo - malamente - di chiudere con il passato. È per questo che noi dobbiamo sostenere con lealtà il governo, ma sapendo che non è il governo del Partito democratico; io, personalmente, farò quanto possibile: ma avendo chiaro che il Pd che ho in testa - e non credo di esser la sola - è un partito alternativo alla destra. L’idea che è giunto il tempo di una “pacificazione” col berlusconismo, è irricevibile: venti anni di storia non si cancellano così».

Rosy Bindi e la sua inquietudine. E anche Rosy Bindi e la sua delusione: che la porta - a quattro anni dalla nascita del Pd - ad invocare un segretario pro-tempore «che crei le condizioni per un Congresso vero e, finalmente, per la fondazione del Partito democratico». Ma anche, in fondo, Rosy Bindi e il suo sgomento: che non è diversa da quella che attraversa il Pd, dalle Alpi alla Sicilia. Sembra incredibile, ma ad una manciata di ore da un’Assemblea nazionale che potrebbe rivelarsi perfino drammatica, non si sa chi sarà eletto segretario e non si è d’accordo nemmeno sul suo profilo e sul suo mandato. Tanto che Mario Monti può perfino ironizzare: «Scelta Civica partecipa a un governo che include il Pdl e un Pd a conduzione ignota...».

Siete davvero messi così male? 

«Benissimo non stiamo... ma ho fiducia nell’apertura di una fase congressuale che chiarisca e definisca profilo, ruolo e obiettivi del partito che vogliamo».

Quando farete il Congresso? 

«Rispetteremo la scadenza statutaria».

E quando eleggerete il segretario? 

«Nell’Assemblea di domani».

Lei ha un nome, un candidato? 

«Io ho dei criteri, credo semplici e comprensibili. Il primo: abbiamo bisogno di un segretario al quale non si possa attribuire la responsabilità della situazione nella quale ci troviamo, un uomo o una donna - insomma - che non venga dal gruppo dirigente che ha fatto tanti errori, altrimenti tanto vale chiedere a Bersani di restare fino al Congresso».

Il secondo criterio? 

«Vorrei un segretario che non venisse scelto perché di sinistra o perché del centro: vorrei, per esser chiari, un segretario semplicemente democratico. E che, uscendo eletto dall’Assemblea, non pensi di avere un futuro quanto - piuttosto - un compito: gestire il partito fino al Congresso con la collegialità».

Nomi ne circolano tanti, perfino troppi, segno che il Pd è del tutto diviso: lei non teme possibili scissioni?

«Non ho questo timore. Mi preoccupano, piuttosto, tentazioni che potrebbero farci dell’altro male».

Per esempio? 

«Stavolta la sconfitta è stata bruciante, tanto che non l’abbiamo ammessa, rifugiandoci in giochi di parole: non vorrei che quanto accaduto faccia rinascere nella componente ex Ds - che non ha mai vinto - la convinzione che, sfumata questa occasione, occorra rifare un partito di sinistra, che si rassegni e si accontenti, magari, di gestire una qualche forma di consociazione».

Altre «tentazioni pericolose»? 

«Insistere in una interpretazione sbagliata del cambiamento. Abbiamo ceduto alla tesi che innovare vuol dire” tutti a casa”, “tutti da rottamare”. Non è così, e aver imboccato quella strada può produrre danni. Leggo e sento che la condanna in secondo grado di Berlusconi non può avere ripercussioni sul governo; leggo della necessità di una “pacificazione” che, proposta oggi, somiglia piuttosto ad una chiamata di correità. Si innovi, e avanti i giovani: ma non si può riscrivere la storia così».

Però, avendo deciso di fare un governo con il Pdl, non potete certo attaccare un giorno sì e l’altro pure il leader di quel partito, no? 

«Siamo in una fase oltremodo delicata perché c’è un governo che non è il governo del Pd, ma è presieduto dal suo vicesegretario. Questo crea problemi, inutile negarlo: e a maggior ragione reclama la scelta di un segretario che sostenga il governo, ma tenendo unito il partito e rendendo chiara ai nostri iscritti ed elettori l’eccezionalità della scelta compiuta».

Crede che il Pd possa - o addirittura debba - rinunciare alle primarie per scegliere il suo segretario? 

«Possiamo discuterne, ma - per quanto mi riguarda - non sono disposta a rinunciare alle primarie. Con una avvertenza, naturalmente: che anche questa nostra ultima esperienza dimostra che non bastano per andare a Palazzo Chigi. Le primarie sono uno strumento, un metodo di selezione e di partecipazione: ma il problema che abbiamo di fronte oggi, il primo problema, è rivitalizzare il Pd, dargli una missione e riaprire i canali di dialogo con la società».

Insomma, dopo la sbornia nuovista il ritorno alla politica tradizionale... 

«Io non ho la stessa idea di alcuni circa la funzione quasi salvifica dei partiti, che pure sono importanti e vanno riformati: non credo, insomma, che la soluzione sia semplicemente nel ritorno al partito delle tessere e delle sezioni. Ma ora sappiamo che anche le primarie, da sole, non bastano. Quel che occorre è rimettere in piedi e dare un futuro al Pd: un partito, non dovremmo mai dimenticarlo, nato con vocazione maggioritaria e per essere chiaramente e decisamente alternativo alla destra». 


da - http://lastampa.it/2013/05/10/italia/politica/bindi-attento-pd-rischiamo-di-apparire-correi-di-berlusconi-kLhs8HGvEEdz840cSobbjK/pagina.html