Titolo: MARCHIONNE - LE STRATEGIE Il suo metodo caso di studio ad Harvard Inserito da: Admin - Giugno 03, 2008, 12:02:45 am 2/6/2008 (7:46) - L'AD DELLA FIAT AL FESTIVAL DELL'ECONOMIA DI TRENTO ACCUSA CHI FRENA LE IMPRESE
"In Italia troppi ostacoli all'industria" «Se non fossi diventato manager avrei studiato fisica teorica» Marchionne: la finanza internazionale ha assunto un ruolo totalmente sproporzionato FRANCESCO MANACORDA INVIATO A TRENTO «Quattro settimane fa abbiamo concluso un accordo con il presidente serbo. Le discussioni erano cominciate ad aprile e inizieremo a lavorare nello stabilimento in Serbia nel terzo trimestre di quest’anno. Invece un accordo simile per portare lo stabilimento siciliano di Termini Imerese da 90 a 200 mila vetture non siamo riusciti a farlo. Quando il sistema istituzionale comincia a creare ostacoli per ragioni di potere una multinazionale come la Fiat si sposta perché il mercato non può aspettare che qualcuno prenda il tempo per condividere degli obiettivi. In Italia non si creano le condizioni per lo sviluppo dell’industria: e se non ci riesce la più grande azienda italiana, figuriamoci se può farcela una società straniera». Sergio Marchionne affronta di petto i nodi del sistema Italia. Sul palco del Teatro sociale di Trento l’amministratore delegato del gruppo Fiat - che proprio ieri ha compiuto i suoi quattro anni alla guida del gruppo - risponde alle domande del direttore del Sole 24 Ore Ferruccio de Bortoli di fronte al grande pubblico del Festival dell’Economia. «È molto difficile fare qualcosa in Italia, dai permessi agli accordi sindacali», afferma Marchionne. Una stasi che dipende dal sindacato? Ha un ruolo positivo o negativo? «Il ruolo del sindacato - è la risposta - è utile, ma il problema è che la dialettica tra azienda e sindacato non è quello che ci vuole. Io parlo di un’azienda che deve diventare la più competitiva al mondo, dall’altra parte si parla di un accordo del ’93 quando il mercato dell’auto era completamente protetto». Sul quadro internazionale, Marchionne vede "possibile" il petrolio a 200 dollari e non esclude nemmeno un ulteriore ribasso del dollaro: «Stiamo arrivando ai limiti del possibile. Questo non significa che il dollaro non possa raggiungere valori più bassi perché quella americana negli ultimi sette-otto anni è stata una politica non da testo di economia pura, ma criminale». Nel mirino del Marchionne uomo d’industria c’è però soprattutto una finanza internazionale che «ha assunto un ruolo nella società totalmente sproporzionato». «Il sistema finanziario - dice, parlando della crisi dei subprime - ha creato pezzi di carta e costruito un’iper-realtà cercando di distribuire il rischio». Ora che la gran parte dei subprime «è stata smaltita attraverso le svalutazioni delle grandi istituzioni finanziarie», Marchionne condivide «con il professor Guido Rossi l’opinione che la realtà americana è molto più complessa dei subprime». «C’è un’attività globale - dice ancora l’ad del gruppo Fiat - e un sistema di vigilanza e di amministrazione delle leggi che è del tutto locale. Finché esiste questa situazione il rischio è enorme per tutti, può venir contagiato tutto il sistema finanziario». Scenario apocalittico? «Non voglio terrorizzare nessuno. Penso solo che ci servano delle regole ben chiare sui livelli di rischio che si possono prendere nei bilanci delle banche e ci voglia un livello di trasparenza ben maggiore». Ma a Trento non è solo tempo di scenari, c’è anche spazio per qualche divertissment. L’auto dei sogni? «Una Jaguar XKE. Da studente spesi tutto per comprarne una. Era un catorcio di dieci anni, non partì mai». Se non fosse stato un supermanager? «Avrei studiato fisica teorica. In Inghilterra. Mi piace la pioggia». da lastampa.it Titolo: Firmato accordo Fiat-Chrysler Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2009, 04:56:42 pm le due aziende sfrutteranno le rispettive reti di distribuzione
Firmato accordo Fiat-Chrysler Marchionne: intesa pietra miliare Alla casa automobilistica torinese il 35% di quella americana. John Elkann: potremo anche salire MILANO - È stato firmato il preliminare d'accordo fra la Fiat e la Chrysler. Fiat, Chrysler e Cerberus capital management (che detiene l'80,1% del capitale di Chrysler) hanno annunciato infatti la firma di un accordo preliminare non vincolante per stabilire un'alleanza strategica globale. L'alleanza prevede anche, tra l'altro, che i due gruppi sfruttino le rispettive reti di distribuzione. Fiat riceverà una quota iniziale in Chrysler del 35% in base all'alleanza con la casa americana, che non contempla per Torino alcun investimento in contante in Chrysler nè un impegno a finanziare Detroit in futuro. Lo si legge sempre nella nota congiunta delle due società. Il vicepresidente della Fiat John Elkann ha poi chiarito che Fiat potrebbe però salire successivamente oltre la quota del 35%. L'accordo con Chrysler «è buono, ci sono tante cose in divenire e possiamo salire» ha detto Elkann. L'amministratore delegato della ita Sergio Marchionne ha invece dichiarato: «L'iniziativa rappresenta una pietra miliare nello scenario in rapido cambiamento del settore e conferma l'impegno e la determinazione di Fiat e Chrysler nel continuare a giocare un ruolo significativo nel processo globale» CHRYSLER - La Chrysler ovviamente conferma la presenza di un accordo preliminare non vincolante con Fiat che sarà completato, dopo essere stato sottoposto alle previste approvazioni, entro il mese di aprile. L'accordo preliminare fra Chrysler e Fiat prevede che il gruppo torinese abbia accesso alle piattaforme di prodotto e alle fabbriche della Chrysler in Nord America e che la casa Usa assisterà Fiat nello sbarco della 500 e del marchio Alfa Romeo sul mercato americano. Con questo accordo - fanno sapere fonti interne a Chrysler - la casa americana avrà inoltre accesso alle piattaforme di prodotto Fiat e sarà supportata dalla casa torinese nella distribuzione in importanti mercati dove Fiat è presente. Inoltre, Fiat darà il proprio supporto a Chrysler nell'ambito del Viability Plan con il ministero del Tesoro americano. TITOLO - Il titolo Fiat è stato temporaneamente sospeso dagli scambi in Piazza Affari. Attualmente Fiat segna un rialzo teorico in Piazza Affari del 4%, nell'asta di pre-apertura. LA STRATEGIA - Secondo le stime del Wall Street Journal i risparmi derivanti dall'alleanza sarebbero compresi in una forchetta fra i 3 e i 4 miliardi di dollari. Chrysler ha in nord America 14 impianti di assemblaggio. L'accordo migliorerà - sempre per il Wall Street Journal - l'immagine della Chrysler agli occhi del Governo americano, che ha acconsentito a un prestito da 4 miliardi di dollari per il costruttore in difficoltà. Sia per Fiat sia per Chrysler l'allenza è «una mossa difensiva per la sopravvivenza di lungo termine», prosegue il quotidiano, sottolineando come «Chrysler e Fiat sono simili e, in qualche modo, complementari. Chrysler opera prevalentemente in nord America e i tre quarti delle sue vendite sono legati a camion, minivan e sport utility-vehicle. Fiat è specializzata in auto piccole e medie. Ambedue le società beneficerebbero di un maggiore volume di vendite globale». I CONTI - Nonostante l'ultimo periodo dell'anno molto negativo Fiat - secondo un consensus di analisti finanziari - tiene: l'esercizio dovrebbe chiudersi con un risultato della gestione ordinaria di 3,27 miliardi (3,23 nel 2007) e un utile netto di 1,76 miliardi a fronte di 2,05 dell'anno precedente. Per Fiat Group Automobiles gli analisti stimano un risultato della gestione ordinaria di 680 milioni nel 2008 (803 nel 2007) e di 40 milioni nel quarto trimestre (233). Per il 2009 gli analisti stimano un risultato della gestione ordinaria del gruppo di 1,37 miliardi, l'utile ante imposte a 590 milioni e l'utile netto a 490 milioni. Dovrebbe crescere l'indebitamento netto industriale, negativo per 4,07 miliardi. Per l'Auto la previsione è di un risultato della gestione ordinaria 2009 in rosso per 30 milioni, stimato positivo invece sia per Cnh sia per Iveco rispettivamente a 830 e 350 milioni. Nel 2010, infine, gli analisti prevedono per il gruppo Fiat un risultato della gestione ordinaria pari a 1,98 miliardi, un risultato ante imposte di 1,43 miliardi, un utile netto di 890 milioni e un indebitamento netto industriale in miglioramento anche se negativo per 3,76 miliardi. Per l'Auto il 2010 riporterà in nero il risultato della gestione ordinaria, atteso a 180 milioni. «Se si ritornerà alla normalità entro fine 2009, il gruppo Fiat confermerà gli obiettivi 2010», ha detto l'amministratore delegato Sergio Marchionne a un seminario in Svizzera, dove ha anche parlato del ruolo fondamentale della produzione di auto low cost e della necessità di accelerare nuove alleanze. Nel progetto di lanciare entro il 2010 un nuovo marchio globale low cost potrebbe giocare un ruolo chiave l'India, ha dichiarato a un giornale locale Silverio Bonfiglioli, chief operating officer di Fiat Group Automobiles International. BORSA - Per quanto riguarda le Borse da segnalare un'apertura al ribasso per le principali piazze europee. L'indice Ftse 100 di Londra perde lo 0,40% a 4.091,99 punti, il Dax di Francoforte cede lo 0,43% a 4.297,42 punti, mentre Parigi lascia sul terreno lo 0,18% a 2.984,19. A Milano invece il Mibtel guadagna lo 0,16%. La borsa di Tokyo ha invece chiuso cedendo il 2,31% dopo essere scivolata di oltre il 3% durante la seduta a causa delle rinnovate preoccupazioni per il settore finanziario e l'economia mondiale. 20 gennaio 2009 da corriere.it Titolo: Il piano Marchionne Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2009, 12:50:21 pm 21/1/2009
Il piano Marchionne TEODORO CHIARELLI Una pietra miliare nel settore dell’auto, in uno scenario in rapido cambiamento e nel bel mezzo di una crisi epocale per l’intero comparto. Sergio Marchionne usa parole «pesanti» per commentare l’accordo preliminare tra Fiat e Chrysler che prevede l’ingresso della casa torinese al 35% nel gruppo Usa senza esborsi. In effetti l’iniziativa delle due aziende ha interessanti potenzialità per entrambe. Se l’intesa andrà in porto (e per la verità le incognite sono di non poco conto) Chrysler potrà assistere gli italiani nel lancio della 500 e del marchio Alfa Romeo negli Stati Uniti, mettendo probabilmente a disposizione gli stabilimenti produttivi. Fiat fornirà la sua rete di distribuzione in Europa, Brasile e Argentina e metterà a disposizione piattaforme produttive e motori nei segmenti delle vetture di piccola e media cilindrata dove il costruttore americano è praticamente assente. Inoltre ci sarà la condivisione di tecnologie, soprattutto per quanto riguarda i motori ecologici e a basso consumo nei quali il Lingotto è fra i leader mondiali. Ma soprattutto, e questo sarebbe un risultato eccezionale per Sergio Marchionne e la sua squadra che in pochi anni hanno rivoltato la Fiat come un calzino rilanciandola fra i competitori a livello mondiale, il gruppo italiano offrirà a Chrysler servizi di management per realizzare negli Usa la stessa opera di risanamento e ristrutturazione realizzata in casa propria. Fiat aveva la reputazione di una qualità approssimativa, ora ha ricostruito l’immagine del proprio marchio tanto da far dire al Financial Times che è vicino agli standard di Volkswagen. Giustamente proprio Ft nell’edizione on line di ieri ricordava che l’amministratore delegato del Lingotto aveva affermato che il mercato dell’auto assisterà a manovre di consolidamento e che a sopravvivere saranno solo alcuni grandi gruppi, chiosando alla fine che «ora Marchionne si sta adoperando affinché Fiat sia uno dei sopravvissuti». Proprio questo è il punto nodale: l’accordo con Chrysler, se andrà a buon fine, è una grande opportunità per Fiat: è a costo zero e riapre al Lingotto il mercato Usa. Non solo, se Fiat vincesse la scommessa del risanamento della casa americana, cosa che non è riuscita alla blasonata Daimler, sarebbe un risultato clamoroso e si tradurrebbe in un affare colossale. Ma ciò nonostante non sarebbe sufficiente a risolvere gli attuali gravi problemi che affliggono il gruppo torinese. La crisi che attanaglia l’economia italiana e mondiale fa sì che le vendite di auto calino più velocemente dei costi, che il sistema finanziario sia in tilt e che l’azienda abbia un crescente fabbisogno di cassa. Sono problemi «a breve» che necessitano di soluzioni urgenti, quasi immediate. In poche parole: mezzi finanziari freschi. Per carità: è un discorso che vale per l’intero settore industriale e non solo per l’auto e la Fiat. Ma qui sono in ballo grandi numeri e, soprattutto, una concorrenza che non va tanto per il sottile. In America l’amministrazione Bush ha già stanziato cifre imponenti per sostenere il settore. La Germania dopo aver foraggiato le banche è pronta a farsi carico dei problemi di Opel, Bmw, Daimler e Volkswagen. La Francia proprio ieri ha annunciato 6-7 miliardi di euro per Peugeot Citroën e Renault. Giusto o sbagliato che sia, è chiaro che in questa maniera si generano distorsioni alla concorrenza. Bisognerebbe veramente trovare il modo di coordinare un piano di interventi di sostegno a livello per lo meno europeo. Non fare nulla, però, sarebbe la cosa peggiore. Ma purtroppo è esattamente quanto sta avvenendo in Italia. Nessuno chiede interventi a pioggia o, peggio, regalie alle imprese private. Sta al governo e al Parlamento mettere i paletti regolamentari e chiedere le lecite contropartite. Sarkozy, ad esempio, ha detto che darà gli aiuti all’auto ma che non si devono chiudere stabilimenti in Francia. Se non altro, una linea politica chiara. da lastampa.it Titolo: Primo passo giusto. Il prossimo sarà verso l'auto low cost Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2009, 12:40:02 am Primo passo giusto. Il prossimo sarà verso l'auto low cost
di Oreste Pivetta Quanto vale la Fiat americana? Lo chiediamo al professor Giuseppe Berta, docente alla Bocconi, storico dell’economia, studioso dell’industria dell’auto e della Fiat in particolare. Professor Berta, come giudicare lo sbarco di Fiat in America? «Lo considero un tentativo positivo, sulla strada già indicata da Marchionne con Bmw, per costruire un rapporto con un mercato che sarà tra i più importanti. La crisi non durerà in eterno. Marchionne sa che la Fiat per avere una parte negli Usa deve risolvere due problemi: quello di poter contare su una rete commerciale estesa e quello di produrre là, costruttore insider e non al di qua dell’oceano. Chrysler mette a disposizione la struttura commerciale e le sue fabbriche sottoutilizzate». D’altra parte Fiat dovrebbe garantire l’innovazione che il governo americano pretende in cambio dei quattrini che sborsa? «Certo. Chrysler è un ex corpaccione con l’acqua alla gola. Per garantirsi i contributi pubblici deve rinnovarsi e deve rinnovare il prodotto. Fiat il prodotto nuovo può garantirlo e rappresenta quindi una mano tesa verso chi sta per affogare. Lo stato della Chrysler è testimoniato dalla scelta del fondo Cerberus che ne possiede l’80 per cento, la scelta di cedere un terzo delle azioni senza contropartita. Fiat non paga nulla, ma avrà anche considerato che prima o poi si troverà nella condizione di dover investire, per implementare nuove linee di produzione in fabbriche che sono ormai vecchiotte». Il sindacato Usa ha accolto con soddisfazione le notizie dell’intesa... «Altra testimonianza delle difficoltà i corso. La Chrysler è tra le aziende più sindacalizzate negli Usa. Questo significherà qualcosa dal punto di vista dei costi...». Si fidano più del marchio italiano o di Marchionne? «Marchionne è un manager internazionale e gode di una fama di risanatore. È uno degli asset dell’accordo che Chrysler potrà mettere sul tavolo con il governo». Sommando i due milioni di auto della Chrysler ai due della Fiat, si arriva a quattro. Marchionne va ripetendo che per rimanere in piedi bisognerà superare la soglia critica di cinque o sei milioni di vetture all’anno. I conti non tornano. «L’accordo con Chrysler va considerato come un passaggio verso un altro accordo. Marchionne dice che tutti devono parlare con tutti. Prima si dovrà vedere come cammina il nuovo patto. Ricordiamo che l’accordo decorre da aprile e, come dice il poeta, aprile è un mese crudele». Si diceva di Peugeot... «Vedo parecchie difficoltà. La prima: i francesi vogliono comandare. La seconda: Sarkozy ci mette i quattrini a condizione però che non si chiudano le fabbriche francesi. Insomma se Peugeot incassa gli aiuti non può ridimensionare la sua capacità produttiva. Ed allora, se l’accordo fosse con la Fiat, dovrebbe tagliare la Fiat. È vero che Marchionne va dove può trovare il sostegno pubblico, come in America, ma l’alleanza con Chrysler non impone tagli in Italia». Perché il governo non aiuta l’auto? «Perché è evidente la distanza culturale tra questo governo e la manifattura. E poi perchè questo governo non ha soldi». E il futuro? «Il futuro è l’auto low cost. Che la Fiat non potrà produrre negli Usa o in Italia. La Fiat può far valere il suo insediamento brasiliano. Ma dovrà andare oltre e quindi decisivo diventa il rapporto con i paesi emergenti. Passata la bufesa, l’auto riprenderà a correre e i conti si dovranno fare con quei mercati». opivetta@unita.it 21 gennaio 2009 da unita.it Titolo: GIUSEPPE BERTA Auto, le due ricette Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2009, 03:32:36 pm 22/1/2009
Auto, le due ricette GIUSEPPE BERTA L’indicatore più visibile e drammatico degli effetti che questa prima crisi globale del Ventunesimo secolo produce sull’economia reale è costituito dall’industria dell’automobile, assoggettata a un rivolgimento continuo che ne modifica ogni giorno gli assetti. A dicembre gli aiuti in extremis alle case di Detroit e ora, a un mese di distanza, l’accordo stipulato tra Fiat e Chrysler, seguito dall’annuncio del governo francese di voler muovere al soccorso dei propri produttori, sono la testimonianza della velocità e anche dell’imprevedibilità del settore che rappresenta la parte più esposta del mondo industriale. Intanto, l’inizio del 2009 ci ha portato la conferma della gravità della caduta della domanda nel mercato dell’auto. Proprio quando la Toyota dimostra di aver scalzato il lungo, quasi secolare primato mondiale della General Motors (per 77 anni di fila davanti a tutti). Potrà apparire un paradosso che la Toyota conquisti la posizione d’avanguardia fra i produttori, proprio mentre deve prendere atto che i suoi conti stanno andando in rosso per la prima volta nella sua storia (allorché il gruppo giapponese si accinge a compiere settant’anni). Ma è una prova che la crisi non risparmia nulla e nessuno, né le imprese più grandi né quelle più di nicchia (l’Economist ha ricordato che il marchio di lusso per antonomasia, Rolls-Royce, che aveva venduto in Usa 29 vetture nel dicembre 2007, un anno dopo ne ha venduto soltanto una). Cambiano le imprese e i loro confini, si ridisegna la struttura del settore, si profilano alleanze e fusioni che sembravano impensabili o che erano già state scartate in passato. Quello dell’auto, come ha detto ripetutamente Sergio Marchionne, è diventato un sistema in cui «tutti parlano con tutti», dove l’esplorazione di nuove possibilità di collaborazione e di aree di business è incessante, dove nessuna ipotesi può essere accantonata o smentita in via di principio. Uno scenario così tumultuoso ha bisogno di un quadro istituzionale che non ne aumenti le incertezze. È già così difficile, oggi, il mestiere di fabbricare automobili, che le politiche dei governi devono far di tutto pur di non aumentare gli elementi problematici di un settore industriale di per sé soggetto a una varietà impressionante di spinte economiche. Chi volesse un esempio da manuale dei pericoli che possono indurre le tentazioni interventistiche dei governi, non ha che da guardare al caso francese. Il presidente del Consiglio Fillon ha appena espresso il proposito di sostenere le case francesi con un piano di aiuti che potrebbe arrivare fino alla considerevole cifra di 6 miliardi di euro. Tutto bene, dunque? Non sembrerebbe, a giudicare dalle prime reazioni degli interessati. Infatti, i contributi sarebbero vincolati al mantenimento della capacità produttiva e dell’occupazione esistenti all’interno del territorio francese. Subito Carlos Ghosn - che, oltre a essere alla testa di Renault, guida in questo momento l’associazione dei produttori d’auto europei - ha fatto presente che costruire una vettura in Francia costa al suo gruppo 1400 euro in più di quanto non costi invece realizzarla nei Paesi dell’Europa dell’Est. Ancor più freddo l’atteggiamento di Psa (Peugeot), che esclude che lo Stato possa entrare nel capitale del gruppo. L’interventismo di Sarkozy non è la cura adatta per i problemi dell’auto. Non basta prendersela con le lentezze dell’Unione Europea per giustificare un dirigismo che rischia di causare guai peggiori di quelli che vorrebbe sanare. Aiuti come quelli francesi avrebbero la conseguenza di ridurre lo spazio per le alleanze che le case francesi potrebbero voler sviluppare. Le inevitabili misure di concentrazione e di razionalizzazione degli impianti finirebbero per ricadere sugli alleati, che probabilmente le considererebbero troppo onerose, non essendo equamente condivise. Per di più, limiterebbero parecchio la libertà di movimento su una scacchiera internazionale che ormai coinvolge tutti i continenti. Al contrario, gli aiuti americani hanno posto la condizione a Detroit di aprirsi a misure radicali di rinnovamento. È ciò che ha sollecitato la Chrysler a gettarsi sull’offerta di alleanza con la Fiat come su una scialuppa di salvataggio. Se davvero si vuol soccorrere l’industria dell’auto, la scala non può che essere quella europea, con politiche comunitarie che fissino degli obiettivi di innovazione. Perché difendere la struttura dell’occupazione così com’è può essere una tentazione di breve o brevissimo periodo, ma è destinata a procurare amare delusioni nel lungo. Non ci sono alternative alla ricerca di nuove strategie di sviluppo. da lastampa.it Titolo: Fiat annuncia altra cassa Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2009, 04:56:02 pm 24/1/2009 (7:16) - AUTO - CRISI E CONTROMISURE
Fiat annuncia altra cassa In arrivo aiuti a basso costo Berlusconi: sosterremo l'auto. Ma il titolo del Lingotto tocca i minimi VANNI CORNERO TORINO La crisi morde e il Lingotto ieri ha annunciato altra cassa integrazione per i lavoratori del Gruppo. Tra fine febbraio e inizio marzo si fermeranno per tre settimane i 5.000 addetti degli stabilimenti a Mirafiori (in aggiunta alla prima settimana di febbraio, già programmata). Le prime due settimane di marzo sarà la volta di quelli di Cassino e per una settimana toccherà alle tute blu di Melfi. Intanto il ricorso alla cassa prosegue anche a Termini Imerese e Pomigliano D’arco, dove si lavora per una settimana al mese sino a marzo. «Il governo deve varare urgentemente provvedimenti per il settore auto, servono soldi e subito. E gli interventi devono essere commisurabili a quanto fatto negli altri Paesi europei», ha sottolineato Roberto Di Maulo, segretario generale della Fismic, ricordando che «durante il 2008 nel solo stabilimento Fiat di Tichy, in Polonia, sono state prodotte 460.000 vetture, mentre, complessivamente, a Mirafiori, Cassino, Melfi, Temini Imerese e Pomigliano, appena 635.000». In Borsa Fiat ieri ha lasciato sul terreno il 4,08% (a 3,64 euro), dopo essere scesa sino all’11,64% (3,35 euro), con alcune sospensioni. Insomma il venerdì è stato in linea con il resto della settimana, decisamente nera, in cui il gruppo automobilistico ha bruciato oltre un miliardo di capitalizzazione (ora a quota 3,97 miliardi). Il punto è che gli analisti, pur dando un giudizio positivo sui conti 2008, guardano al 2009 preoccupati dal debito e valutano cautamente l’alleanza con Chysler. Ing ha ridotto il target price da 6 a 4,4 euro, mantenendo il rating «hold». Giudizio «hold» anche per Deutsche bank, con obiettivo di prezzo tagliato da 12 a 6 euro. Idem per Kepler, con target price a 6 euro, e Equita sim, con prezzo tagliato da 6,5 euro a 4,4 euro. Per Bernstein, il titolo è «market perform», ma l’obiettivo scende da 9 a 5 euro. Il giudizio più severo arriva da Sal Oppenheim, con «reduce» e il prezzo obiettivo da 4,5 euro a 2 euro, mentre il più favorevole è di Rbs, che consiglia «buy» e pone il target price a 8 euro. Alla fine della giornata è arrivata la notizia che Fitch Ratings ha spostato in negativo (BBB-/F3) il rating a lungo e breve termine di Fiat nel timore che il gruppo possa subire un sostenuto deterioramento finanziario per il continuo rallentamento produttivo di auto, camion e veicoli per le costruzioni. Ora tutti gli occhi sono puntati su quel che il governo farà in difesa del settore. Per l’Anfia, che raggruppa i costruttori italiani, il presidente Eugenio Razelli pochi giorni fa ha indicato come necessaria una linea comprendente «incentivi ecologici al rinnovo del parco circolante, ammortamenti accelerati, facilitazione dell’accesso al credito e un fondo di garanzia per l’intero comparto». «Serve - dice da parte sua Giamprimo Quagliano, direttore del Centro studi Promotor - un bonus sui 2000 euro per chi acquista un’auto nuova o rottama una vettura da “Euro zero” a “Euro 2”, oltre ad una riduzione dell’Iva dal 20 al 15%». Sirio Tardella, direttore dell’Ufficio statistico dell’Unrae, associazione a cui fanno capo i produttori stranieri in Italia inisiste sulla necessità di una strategia di sostegno europea «per non correre il rischio di creare una rete di mercatini paralleli». Intanto ieri sera il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha confermato che «Per il settore dell’auto c’è l’intenzione di intervenire, anche se non c’è ancora un progetto preciso». La cornice per gli aiuti, comunque, è stata tracciata venerdì scorso a Bruxelles, dove si è concordato di favorire il rinnovo del parco macchine attraverso incentivi alla rottamazione, misure fiscali e appalti pubblici. Si tratta di interventi che non presentano un conto troppo salato per le casse degli Stati, perchè in gran parte vengono compensati dal maggiore introito per l’erario dovuto all’incremento delle vendite. da lastampa.it Titolo: Debenedetti: Fiat-Chrysler, operazione coi fiocchi. Ma a quale costo? Inserito da: Admin - Maggio 01, 2009, 11:49:14 pm 29 aprile 2009
Debenedetti: Fiat-Chrysler, operazione coi fiocchi. Ma a quale costo? di Franco Debenedetti Secondo il Washington Post è stato raggiunto anche l’accordo tra i creditori della casa di Detroit e il Tesoro Usa: 6,9 mld di dollari svalutati a 2 mld. Dopo la ratifica da parte dei sindacati, dovrebbe essere la volta dell’ultimo atto, cioè l’accordo con Torino, che non dovrebbe però arrivare prima di giovedì. «La Fiat - commenta Franco Debenedetti - che prima sembrava destinata ad essere preda, ha ribaltato i giochi. Grande mossa strategica. Marchionne é stato l’uomo giusto nel posto giusto, al momento giusto con il prodotto giusto. Poi, come sempre, una cosa sono le strategie, un’altra la loro implementazione». In mezzo? I costi. Senatore Debenedetti, l’accordo con i sindacati è stato raggiunto, manca solo quello con le banche. L’alleanza Fiat-Chrysler è in dirittura d’arrivo. Sì, a questo punto é probabile che l’operazione vada in porto. Come fanno le banche a dire no, quando il governo di Obama è favorevole, i sindacati hanno raggiunto l’accordo e c’è una soluzione industriale che entrambi ritengono credibile? C’è chi fa notare come lo stato di salute di Fiat non sia ottimale: ha chiuso il primo trimestre in rosso, 411 milioni la perdita del periodo e 48 milioni la gestione ordinaria. Un’azienda che qualche anno fa era a rischio default ora compra Chrysler. Non le viene da pensare che la strategia sia così “perfetta” che Fiat compie l’operazione per salvarsi? Dipende cosa si intende per salvarsi. Marchionne lo ha detto chiaramente: ci sono troppi costruttori, o l’industria si ristruttura con aggregazioni, oppure non c’è salvezza. E ha indicato la taglia minima: secondo lui si salva solo chi produce almeno 6 milioni di vetture. I conti in rosso, in quest’ottica, non sono ciò che conta: anche perché, chi più chi meno, li hanno tutti. Perfino Audi, un player più piccolo che per la sua tipologia si poteva teoricamente considerare “schermato” rispetto alla congiuntura negativa, denuncia un forte cale degli utili. Con la sua offerta, Marchionne é stato l’uomo giusto nel posto giusto, al momento giusto con il prodotto giusto. E si é guadagnato un testimonial di eccezione: il presidente degli Stati Uniti. La Fiat che prima sembrava destinata ad essere preda, ha ribaltato i giochi. Grande mossa strategica. Poi, come sempre, una cosa sono le strategie, un’altra la loro implementazione. Vede quindi delle possibili incognite? I costi per metterla in atto. Costa soldi chiudere stabilimenti, costa soldi trasformarli, adattare prodotti esistenti a regolamentazioni diverse, lanciare prodotti su un nuovo mercato… costa trasferire la tecnologia: quando la Fiat fece Togliattigrad, nell’ex Urss, per trasferire la tecnologia ai russi dovette distogliere risorse che potevano essere dedicate invece a sviluppare nuovi prodotti. E poi costa costituire il capitale circolante per le nuove produzioni. Chi li mette questi soldi? Il matrimonio con Chrysler invece a Fiat non costerà un dollaro. Così ha detto Marchionne, che non é uomo da fare marcia indietro. Meno male. Sarà tanto se riuscirà a farsi pagare le fotocopie dei disegni. Quindi non potranno che essere soldi che il governo Usa darà a Chrysler. Ad un certo punto della trattativa si è affacciata anche l’ipotesi Opel. Se Fiat riuscisse a prendersi anche la casa tedesca, a quel punto i volumi richiesti a Fiat per essere competitiva sul mercato mondiale sarebbero assicurati. Lei come valuta quello che si dice in questi giorni? Fiat e Chrysler insieme possono fare quattro milioni di vetture. Non è l’obiettivo dichiarato da Marchionne ma intanto fa metà della strada. Mi sembra che la strada Chrysler sia spianata, mentre su quella Opel ci sono ostacoli, quindi viene per seconda. Ma anche Opel, da sola, non ce la fa. Con l’operazione doppia, si raggiungono prima le economie di scala: quella è una somma. Ma bisogna anche trasferire tecnologie, unificare componenti, mettere insieme le logistiche. E per quello fare un’operazione a tre non costa il doppio di farla a due, ma molto di più. Tra i punti strategici dell’accordo ci sarebbero i nuovi mercati: quello europeo per Chrysler e quello statunitense per Fiat. Entrambi, in poche parole, avrebbero senz’altro da guadagnare. Già perché le macchine non basta farle, bisogna venderle. Chi le vende è la rete dei dealer, decine di migliaia di persone. E chi le compra sono i clienti americani. Se si fanno macchine più piccole, dovranno essere meno costose, e quindi anche il margine di guadagno é minore. I dealer dovranno cambiare le loro strategie di vendita, ridurre le loro spese. E vendere le 500 e le Punto a chi fino a ieri ha comperato suv e pickup. Non proprio una cosa semplice. In altre parole, sta dicendo, saranno le preferenze e la convenienza dei consumatori a sancire la bontà dell’accordo. Certo. Che la Fiat venda un po’ di macchine in Usa, è utile alla Fiat, ma non risolve i problemi della rete di vendita Chrysler. E viceversa per la Chrysler in Italia, dove tra l’altro già vende le sue vetture. Ma entrambe sono nicchie nei rispettivi mercati. Il problema è vendere in Usa milioni di vetture Chrysler diverse da quelle attuali. Invece delle macchine grosse che consumano molto, macchine più piccole che consumano meno. È un cambiamento radicale, che riguarda lo stile di vita del consumatore americano. Vetture più piccole ed ecologiche già ci sono sul mercato americano: perché il grosso degli americani non le comprano? Su questo il governo Usa potrà fare molto: agire con la leva fiscale sui consumi, per esempio, in modo da agevolare l’acquisto di motori a basso consumo. In ogni caso ci vorrà tempo, e Chrysler non ne ha molto. Una trasformazione innescata dalla grande crisi nella quale ci troviamo… In effetti può darsi che lo shock tremendo di questa crisi si riveli la discontinuità che modifica in modo rapido le preferenze dei consumatori americani. D’altra parte, è la crisi che ha portato la Fiat a Detroit. Può darsi che sia la crisi a portare i consumatori americani alle vetture con tecnologia Fiat. da francodebenedetti.it Titolo: Fiat, un piano da 30 miliardi ... se son rose fioriranno. Inserito da: Admin - Maggio 04, 2009, 04:55:27 pm Lo ha riferito il portavoce della Merkel.
MARCHIONNE: «lA PARTITA INIZIA ORA» La Germania apre alla Fiat sulla Opel Il governo tedesco «accoglie favorevolmente ogni possibile investitore senza decisioni predefinite» MILANO - La Fiat rilancia su Opel e la Borsa ha accolto bene il tentativo. Il titolo infatti vola a Piazza Affari (+ 6% a metà seduta) con più del 2% del capitale scambiato in un’ora di trattative. «La Fiat stima di aver bisogno circa di 5-7 miliardi di euro di prestiti-ponte» per concludere l'affare Gm Europa, proprietaria dei marchi Opel e Saab, ha detto il ministro tedesco dell'Economia, Karl-Theodor zu Guttenberg al termine del suo incontro con l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. Secondo il ministro, Marchionne ha assicurato che le perdite di posti di lavoro alla Opel non saranno drammatiche, ma senza quantificare gli esuberi necessari. IL GOVERNO TEDESCO: «PIANO INTERESSANTE» - E intanto si è saputo che il governo tedesco «accoglie favorevolmente ogni possibile» investitore interessato alla Opel, «senza decisioni predefinite». Lo ha detto Ulrich Wilhelm, portavoce della cancelliera Angela Merkel. Lo stesso concetto è stato poi espresso anche dal ministro dell'Economia, zu Guttenberg, che ha detto di essere «molto aperto a qualsiasi potenziale investitore» e di essere alla ricerca di una strategia di lungo termine per Opel, anche se non si attendono decisioni imminenti . Il ministro - in un incontro con i giornalisti - ha poi riferito che Marchionne ha detto che Fiat vuole comprare Opel senza indebitamento. «Il piano presentato - ha concluso Guttenberg - è interessante». Un avvertimento preciso è stato avanzato dal ministro degli Esteri e vice cancelliere, Frank-Walter Steinmeier: «Tutti gli impianti Opel in Germania devono essere mantenuti e chi punta ad acquistare l'azienda deve anche specificare il luogo della sede della nuova società». Per il ministro degli Esteri, inoltre, il nuovo proprietario di Opel dovrà anche assicurare il futuro dei fornitori di componenti della società, riferisce l'agenzia Bloomberg. MARCHIONNE - Durante il consiglio di amministrazione di domenica, la Fiat aveva reso noto che prenderà in considerazione lo scorporo dell’auto e una successiva fusione con Opel e il resto delle attività europee della General Motors, cioè l’inglese Vauxhall e la svedese Saab. Il mercato, che giovedì aveva penalizzato il Lingotto (-5,94%) dopo che nell'ambito dell'accordo con Fiat, Chrysler era stata posta in amministrazione controllata, apprezza quindi il piano di scorporo del settore auto ipotizzato da Fiat. La partita per l'acquisizione della Opel «comincia adesso» ha detto Marchionne, al suo arrivo al ministero dell'Economia a Berlino. SINDACATO: «OFFERTA INSUFFICIENTE» - L’offerta della Fiat su Opel è aumentata a un miliardo di euro. Lo hanno riferito i sindacati tedeschi di Opel alla France Presse. «La Fiat - ha detto Reineker Einenkel responsabile del comitato d’impresa dello stabilimento Opel di Bochum - ha aumentato la sua offerta a un miliardo di euro». Un altro esponente sindacale, Armin Schild, aveva affermato in precedenza che l’offerta ammontava a meno di 750 milioni. Secondo Einekel, l’offerta resta "insufficiente" perché ha ricordato come Opel abbia bisogno per proseguire la sua attività di circa 3,3 miliardi. Inoltre, ha aggiunto, Fiat "non ha ancora presentato un piano industriale e finanziario" per l’eventuale acquisizione. 04 maggio 2009 da corriere.it Titolo: FIAT, CHRYSLER E OPEL. L’euforia (troppa) e i conti Inserito da: Admin - Maggio 04, 2009, 04:56:18 pm FIAT, CHRYSLER E OPEL
L’euforia (troppa) e i conti di Massimo Mucchetti Non si è spenta ancora l’eco dell’operazione Chrysler che è subito Opel. Sergio Marchionne sta cercando di trasformare la Fiat da multinazionale con il cuore in Italia in una multinazionale radicata anche negli Stati Uniti e in Germania. E lo sta facendo a tappe forzate perché la crisi offre l’opportunità, irrepetibile nel breve termine, di fare acquisizioni con esborsi di cassa nulli o infimi, almeno all’inizio. In cambio non si portano a casa gioielli, ma problemi che altri, più forti, preferiscono non affrontare. In attesa delle informazioni indispensabili per farsi un’idea documentata sulla grande scommessa, la storia e i bilanci possono darci qualche chiave di lettura. Per cominciare, la Fiat oggi. La Fiat è messa certamente meglio delle Big Three di Detroit. Ma non ha soldi in cassa. La crisi ha comportato un rapido rialzo del debito che, al 31 marzo, era salito a 7,4 miliardi per le attività industriali e a 16 miliardi per le attività finanziarie legate alle vendite. Prudentemente, Marchionne aveva anche accumulato 5,1 miliardi di liquidità. Che però, da soli, non bastano a far fronte ai rimborsi, 6 miliardi, previsti nei prossimi 12 mesi. L’amministratore delegato della Fiat ha spiegato che soccorrerà il cash flow di nuovo positivo nella seconda metà dell’anno, specialmente nelle macchine agricole che si gioveranno degli aiuti del governo Usa alle banche che ne finanziano le vendite. Poi, l’antefatto. Nelle prime settimane del 2009, i Peugeot avevano studiato, con l’aiuto di Mediobanca, come integrare Fiat in Psa Peugeot Citroën. Nel 2002, quando la Fiat era sull’orlo del fallimento, la casa francese andava a gonfie vele. Adesso, invece, capitalizza metà del gruppo di Torino. Ma Psa è solo auto; la Fiat è tante cose, e l’auto, di per sé, vale meno, anche perché Fiat produce 2,2 milioni di vetture e i francesi 3,3 milioni. Questo ipotetico supergruppo dell’auto avrebbe avuto il quartier generale a Parigi e francese sarebbe stata anche la maggioranza relativa. L’ipotesi non è stata coltivata da Torino che, in questa fase, ritiene di avere un vantaggio tecnologico e un primato manageriale. Ora c’è Chrysler. E lo scenario comincia a cambiare. Ma il ritorno della Fiat negli States non sarà una passeggiata. Si tratta di travasare la cultura manifatturiera italiana in quella americana, di adattare i concessionari yankee a vendere e assistere le «piccole», di conquistare il consumatore del Midwest al risparmio energetico quando i carburanti, rispetto all’Italia, costano sempre poco. Dei 10,5 miliardi che i governi americano e canadese presteranno a Chrysler, non più della metà sarà utilizzabile dalla nuova società, essendo il resto destinato alla procedura fallimentare. È vero che i sindacati hanno accettato importanti rinunce che abbassano il costo del lavoro orario. Ma non sappiamo di quanto e dunque è difficile ragionare sulle reazioni, per esempio, della Toyota che negli Usa ha già mercato e reputazione. Le domande, quindi, sono due: fino a quando la nuova Chrysler produrrà in perdita? Basteranno i prestiti federali a raggiungere il punto di svolta? La prima risposta delle fonti ufficiose è: due anni e mezzo, tre. La seconda: questa è la scommessa imprenditoriale. I tedeschi ricordano che la grande Daimler ha tentato per 11 anni di integrarsi con Chrysler e alla fine ha gettato la spugna azzerando un investimento enorme: 77 miliardi di dollari, dato il costo medio del suo capitale. Ma quella era una Chrysler che si credeva vincente. La nuova dovrebbe essere più modesta. E domani arriverà l’Opel? La più piccola delle case tedesche appartiene al gruppo Gm sull’orlo del crac, ma di per sé non è fallita. Se per Chrysler la Fiat ha avuto il vantaggio di trattare in solitudine, in Germania c’è un altro pretendente: l’austriaca Magna, forte nei componenti e nell’assemblaggio di vetture per conto terzi, soprattutto tedeschi. Magna offre 5 miliardi, la Fiat, si dice, 750 milioni. Magna sembra sopravvalutare il suo obiettivo. Psa, per dire, capitalizza 4,5 miliardi e vende quasi il triplo della Opel. Starà a Marchionne scoprire se, dietro a Magna, c’è qualche produttore, ma le carte le darà il governo di Berlino al quale Opel ha già chiesto 3 miliardi di aiuti. Certo, questa è tutta un’altra storia. Con la casa americana, la Fiat aggiunge un mercato e un apparato produttivo che non sono in conflitto con i suoi. Con quella tedesca le sovrapposizioni sono forti. Questo può far felici gli analisti perché il taglio dei costi aumenta i margini, ma preoccupa i sindacati perché lo stesso taglio significa meno occupati e meno salari e non tanto risparmi sugli acquisti, visto che questi già c’erano in seno al gruppo Gm, o sulle tecnologie, visto che Opel ha già il Multijet della Fiat. E in Germania, dove il costo del lavoro è più alto e i sindacati partecipano al consiglio di sorveglianza, è logico attendersi le resistenze più forti. Fiat, Chrysler, Opel, tutto per arrivare ai 6 milioni di auto, la soglia che Marchionne reputa minima per reggere nel futuro. Ma è vera questa teoria o serve a giustificare come inevitabili le trasformazioni che il progetto di Marchionne sta proponendo agli stakeholder della Fiat, azionisti e dipendenti in primo luogo? La teoria dei 6 milioni di automobili era già stata prospettata da Giovanni Agnelli tanti anni fa, e alla fine il numero dei costruttori è aumentato. La Fiat si è risanata riducendo la produzione e condividendo con i concorrenti parte di quanto c’è sotto la carrozzeria così da abbassare radicalmente il punto di pareggio per ogni modello. Lo stesso cerca ora di fare Gm. Detto questo, Marchionne ci ha stupiti una volta. Potrebbe farlo ancora, anche perché nell’anno di crisi (o di grazia?) 2009 avrebbe come partner finanziari i governi per traghettare la Fiat verso quella che Chandler chiamava l’impresa manageriale. 04 maggio 2009 da corriere.it Titolo: Caccia all'alleanza anti-Marchionne Inserito da: Admin - Maggio 06, 2009, 06:02:53 pm 6/5/2009 (7:27) - RETROSCENA
Caccia all'alleanza anti-Marchionne Occhi puntati su Psa, decisiva la corsa a Cina e India PIERO BIANCO TORINO All’improvviso tutto è cambiato. Gli scenari, i programmi, le certezze sul futuro. I colossi mondiali dell’auto adesso si interrogano preoccupati sugli effetti dello tsunami industriale ed economico che le nuove alleanze possono scatenare. Da grande giocatore di scopone, Sergio Marchionne ha «sparigliato» le carte. Prima con Chrysler, ora con la determinatissima caccia alle quote di Opel. Se la campagna tedesca (benedetta dagli americani della Gm) andrà in porto, nascerà sotto il controllo della Fiat un gruppone a tre da podio globale e da oltre 6 milioni di vetture. In grado di competere per la medaglia d’argento, dando per scontato che nessuno quest’anno toglierà il secondo oro consecutivo alla Toyota. Il primato dei giapponesi non è in discussione, tuttavia anche i ricchi piangono. Allo storico sorpasso che ha spodestato dopo 77 anni la General Motors nel 2008 (8,972 milioni di veicoli venduti contro 8,355), è seguita una débacle preoccupante. Inimmaginabile per chi era sempre salito. Toyota continua a soffrire in Usa e sul mercato domestico, per la prima volta ha chiuso il bilancio in rosso e per la prima volta si è rifugiata nella cassa integrazione. La minaccia incombente si chiama Volkswagen, che è leader in Europa e 6,2 milioni li ha già raggiunti globalmente lo scorso anno. Volkswagen ha giocato d’anticipo, accaparrandosi in tempi non sospetti marchi prestigiosi come Audi (e Lamborghini), altri da volumi importanti e strategici come Seat e Skoda. Inoltre gode di consolidate joint-venture in Sudamerica e Cina. Marchionne ha gettato un sasso nello stagno sonnecchiante del risiko automobilistico. Scatenando un putiferio. Quali saranno le contromosse? Fioriranno nuove alleanze? Possibile, anzi probabile. E chi sta già muovendosi per controbattere? Non Ford, che ha scelto di correre da sola, partendo dal suo patrimonio di 5,4 milioni di vetture. Ha il «peso» di una Volvo in difficoltà, ma anche i mezzi per difendersi in autonomia. General Motors, se fosse privata di Opel e soprattutto se riuscirà a sopravvivere, subirà un fatale ridimensionamento: proprio per questo diventerebbe una preda ambita, anche perché è ben posizionata in Cina. La prossima mossa potrebbe arrivare ancora dall’Europa, sul filone franco-tedesco. Il gruppo PSA (Peugeot/Citroen) ha flirtato a lungo con il Lingotto covando l’ipotesi di un gemellaggio. Poteva nascere un trio diverso, con Bmw. Quest’ultima ipotesi è tuttora percorribile, insieme sfiorerebbero i 3,5 milioni di auto, anche se un marchio Premium come quello di Monaco (1,435 milioni di consegne nel 2008, Mini compresa) non ha necessità assoluta di partner perché cavalca esclusivamente il mercato del lusso. Di sicuro PSA è in cerca di un compagno di viaggio che garantisca quella crescita fisiologica dei volumi importante. Renault-Nissan sono alleate da tempo e, pur con qualche difficoltà, tengono la quota anche in Europa, mentre il gruppo Kia-Hyundai ha raggiunto il sesto posto tra i grandi. Daimler, che controlla Mercedes e riceve una spinta non indifferente da Smart, non ha manifestato finora mire espansionistiche, ancora scottata dal fallimento della precedente avventura con Chrysler. Ma potrebbe entrare con un peso decisivo nel futuro risiko. Le grandi variabili sono soprattutto due: Cina e India. Cioè le uniche realtà con concrete prospettive di espansione. Quello cinese già quest’anno diventerà il primo mercato mondiale (superando gli Stati Uniti), non è calato: è solo cresciuto di meno e la differenza è fondamentale. Great Wall si candida per diventare entro 5 anni uno dei tre costruttori leader, l’unico vero problema per la Cina sono gli oltre 30 produttori locali che disperdono energie. Per loro sì, sarà davvero determinante fissare alleanze. Tata in India è finora cresciuta meno di quanto si prevedesse, nonostante le acquisizioni di Jaguar e Land Rover. Chi, dall’Europa o dall’America, riuscirà a trovare joint-venture solide con i marchi asiatici potrebbe di nuovo «sparigliare» le carte. da lastampa.it Titolo: SERGIO MARCHIONNE Inserito da: Admin - Giugno 19, 2009, 06:04:05 pm 19/6/2009
E' in gioco il futuro del Paese SERGIO MARCHIONNE Vorrei essere chiaro su un punto. La Fiat non intende nascondersi dietro il paravento della crisi. La stiamo affrontando con tutte le nostre forze. Stiamo facendo il possibile per superarla. Siamo pronti a sfruttare tutte le opportunità che si possono creare, anche nei momenti più difficili. Ma adesso è arrivato il momento, per tutti, di prendere coscienza che i grandi traguardi non si raggiungono da soli. Specialmente quando si tratta di gestire situazioni delicate, che hanno effetti diretti sulla società, è necessario il coinvolgimento di tutte le parti interessate. Sono convinto, non solo sulla base della mia esperienza in Fiat ma anche in altre realtà europee, che si possa e si debba cercare il dialogo costruttivo. E che le soluzioni si possano trovare. Ho già avuto modo di dirlo alcuni anni fa, dopo che la Fiat era uscita dalla peggiore crisi della sua storia, e lo voglio ribadire oggi. Se una società liberale deve durare nel tempo, è nel suo interesse sostenere coloro che sono colpiti dalle conseguenze causate dai movimenti del mercato. È necessario dare sostegno a queste persone, in modo da permettere loro di trovare un nuovo lavoro e mantenerle integrate nella società. Un’intera gamma di misure è potenzialmente disponibile, e tutte sono perfettamente compatibili con una società aperta, libera e in libero mercato. Credo che il primo compito di una società che voglia definirsi giusta sia quello di garantire una base di sicurezza - materiale e percepita - per liberare le possibilità degli individui. Non è un lavoro di un giorno. Ma non è un compito che possiamo delegare ad altri. Tutti quanti dobbiamo concentrarci su questo obiettivo ed assumerne la responsabilità in prima persona. È esattamente questo che intendo quando penso ai compiti di una società liberale. La stessa logica ha mosso il nostro progetto per la Opel. Il piano che avevamo in mente prevedeva di coinvolgere più soggetti e più Paesi in Europa per contenere le conseguenze sociali. La Opel è un’azienda che ha bisogno di essere risanata e ristrutturata. Ci sono tanti modi per farlo. Quello che noi abbiamo proposto avrebbe permesso di distribuire equamente, tra i vari Paesi europei, il peso di questa operazione. Avrebbe permesso di non scaricare tutto l’onere su un singolo Stato. Soprattutto, avrebbe permesso di gestire gli effetti più dolorosi in maniera progressiva e senza traumi. Resto convinto che l’Europa possa e debba distinguersi nella creazione e nella gestione di mercati liberi, ma che al contempo debba trattare in modo efficace le conseguenze che ne possono derivare agli individui. E deve farlo in maniera onesta e giusta. Questo impegno esiste e non può essere ignorato. Quello che intendo dire, in estrema sintesi, è che più sono i soggetti coinvolti nella soluzione di un problema, minori diventano i sacrifici da sopportare. Mantenere gli equilibri occupazionali, di fronte all’emergenza che stiamo vivendo nei mercati, non è un compito facile. Le iniziative produttive della Fiat di cui vi ho parlato possono garantire in parte questo obiettivo, ma devono anche essere sostenibili dal punto di vista finanziario. Allo stesso modo, per quanto riguarda i nostri settori industriali, ci sono altri elementi di pari importanza. Penso al fatto di poter contare su eco-incentivi in Europa che abbiano una reale efficacia di stimolo della domanda. Penso al riconoscimento della cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, che diventa indispensabile per gestire senza traumi le temporanee fermate produttive e i necessari processi di riorganizzazione, ai quali l’andamento della domanda ci costringe. Penso anche al rigoroso contenimento dei costi di struttura e alla possibilità di rispondere con tempestività alle richieste del mercato. Questo non richiede solo il rispetto della normativa sulla flessibilità del lavoro. Significa anche essere consapevoli che azioni di conflitto immotivate portano solo danni perché non fanno altro che regalare occasioni d’oro alla concorrenza. Vorrei concludere con una convinzione che è insieme un invito. Non si può immaginare una Fiat senza forti radici in Italia. Lo diciamo da anni: Fiat fa parte di questo Paese, è un pezzo importante della sua storia e vogliamo che resti un pezzo importante del suo futuro. Se questo è un obiettivo condiviso, è il momento di unire gli sforzi di tutti: governo, parti sociali e azienda. Se faremo tutti un passo avanti anziché uno indietro, se ognuno di noi sarà disposto ad assumere la propria parte di responsabilità e di impegno, allora tutto questo sarà possibile. Potremo evitare conseguenze dolorose e potremo costruire qualcosa di più solido e duraturo. Personalmente, sono convinto che si tratti di una sfida alla nostra portata. Dall’intervento dell’amministratore delegato del Gruppo Fiat durante l’incontro di ieri a Palazzo Chigi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali da lastampa.it Titolo: SERGIO MARCHIONNE ORA IL MERCATO HA MENO PAURA Inserito da: Admin - Giugno 28, 2009, 05:19:57 pm CRISI: MARCHIONNE, ORA IL MERCATO HA MENO PAURA
(AGI) - Venezia, 27 giu. - La situazione finanziaria va verso la normalita', soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra credito e aziende. E' questa l'opinione dell'amministratore delegato del Gruppo Fiat e di Chrysler, Sergio Marchionne, che prende spunto dal successo del bond Eni per affermare che il quadro "andra' a migliorare nei prossimi mesi" e che "il mercato si e' sgonfiato della paura che aveva". Secondo Marchionne, "si cominciano a vedere i risultati delle ristrutturazioni che gli industriali hanno fatto in questi mesi". Marchionne non ha invece voluto commentare le parole del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sui catastrofisti. "Non mi si parli di politica, io", ha osservato l'ad del Lingotto, "faccio il metalmeccanico, cerco di finanziare il lavoro che facciamo. A livello internazionale", ha aggiunto, "siamo tornati alla normalita' per il corporate finance che dara' accesso ai mercati per tutti quanti. La pressione che c'era fra il credito e l'azienda si sta alleggerendo". Il manager ha poi detto che, nel caso le indiscrezioni sul bond Fiat da un miliardo si rivelassero fondate, l'azienda e' "disposta a fare tutti e due (sia mercato istituzionale che retail), o un misto. Poi con i tassi d'interesse che ci sono in giro questi giorni", ha aggiunto, "sarebbe un affarone per tutti". Marchionne si e' quindi soffermato sulle indiscrezioni presenti sui quotidiani oggi che parlano di una convergenza fra la piattaforma della Phedra e quella del Voyager che metterebbe in difficolta' la collaborazione con Psa. "Non ne parliamo", ha detto, "e' un momento delicato, c'e' tantissimo lavoro da fare. La piattaforma del Voyager continuera' a essere americana perche' e' nata da li'. E' totalmente prematuro parlare di una convergenza con i francesi finche' non risolviamo quel nodo dello stabilimento che abbiamo a Valenciennes e cosa fara' quello stabilimento". Il presidente dell'Eni, Roberto Poli, ha "fiducia in prospettiva, perche' bisogna avere fiducia quando si guarda al futuro. I problemi ci sono, ma c'erano anche prima". Commentando l'opinione dell'Ad di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, per il quale la ripresa negli Usa dovrebbe partire dalla seconda meta' dell'anno, mentre arriverebbe leggermente piu' tardi in Europa, Poli ha osservato che "nessuno ha la sfera di cristallo. Di ipotesi", ha rilevato, "ce ne sono molte, quella e' una di quelle plausibili considerando che l'economia dell'Unione Europea e' un'economia di esportazione". da agi.it ------------------ 28/6/2009 (8:7) - WEEKEND DECISIVO A BALOCCO PER IL LANCIO DELLE AUTO IN USA Il piano Fiat-Chrysler per la 500 in America L'amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne Marchionne: «Con questi tassi i bond delle società sono un affarone» LUCA FORNOVO L’alleanza Fiat-Chrysler si concentra sul piano-prodotti e già nel weekend potrebbe essere deciso dove verrà realizzata in America l’auto simbolo dello sbarco degli italiani negli Usa, la Fiat 500. Lasciata Venezia, dove è stato nominato presidente della sezione italiana del Consiglio per le relazioni Italia-Usa, l’ad di Fiat Sergio Marchionne è volato a Vercelli. Qui il manager si è chiuso nelle stanze della sede di Balocco per una 2 giorni di full immersion con lo staff tecnico che segue il progetto Usa. Chiuso negli uffici di Balocco, dove ha sede la pista sperimentale della Fiat, Marchionne si è confrontato unicamente con gli uomini di produzione e di marketing del gruppo di lavoro italo-americano. Oltre allo sbarco della 500 ci sono da studiare i prodotti Chrysler, con motori e tecnologia Fiat, da promuovere sul mercato americano. Dove, ha ripetuto ieri l’ad del Lingotto, c’è la concorrenza di Honda e Toyota sul segmento medio da tenere a bada. Marchionne è convinto di poter «portare piattaforme e motori che gli servono per far tornare Chrysler competitiva in questo segmento», riducendo il tempo che sarebbe servito loro per produrre nuove piattaforme. Con l’ambizione di essere competitivi anche sui prezzi. Secondo indiscrezioni della stampa straniera, Chrysler sarebbe, infatti, al lavoro per installare in 7 suoi impianti tutti i meccanismi di produzione Fiat, prima dell’avvio delle operazioni, previsto in settimana. Della possibilità che come Eni anche Fiat intenda ricorrere a un prestito obbligazionario - secondo rumors da un miliardo - Marchionne si limita a osservare che «con questi tassi» questo tipo di operazioni «sono un affarone». E annuncia che nel caso di un’emissione Fiat, sarebbe sia sul mercato istituzionale sia quello retail, «oppure un misto». Intanto secondo il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), le trattative per la vendita della Opel sarebbero alle battute finali: a inizio settimana i contendenti dovrebbero presentare nuove offerte e la firma di un accordo preliminare vincolante è attesa per il 15 luglio. Proprio ieri Marchionne ha detto che il Lingotto è ancora interessato alla Opel, ma non presenterà una nuova offerta. Mentre oltre a Magna, favorita nell’acquisto di Opel, dovrebbero presentare offerte la cinese Baic e la belga Rhj (Ripplewood). A Termini Imerese, intanto, sale la tensione attorno a Fiat. Il leader della Fiom, Gianni Rinaldini, ha definito «inaccettabili» le parole di Marchionne, sulla chiusura dello stabilimento siciliano e della Cnh di Imola, «annunciate prima ancora che si apra il confronto con le istituzioni, come previsto nel precedente incontro di Palazzo Chigi». da lastampa.it Titolo: Come tenere insieme Detroit e Mezzogiorno Inserito da: Admin - Giugno 29, 2009, 06:02:13 pm L'analisi
Sotto il maglione un po’ di guai Come tenere insieme Detroit e Mezzogiorno Sergio Marchionne è diventato un personaggio di culto. Marco Gregoretti firma un instant book ai limiti dell’ossimoro ( L’Uomo dal maglione nero , biografia non autorizzata del più coraggioso manager del mondo , Class Editori, giugno 2009) e il vicedirettore del Riformista , Marco Ferrante, una biografia piena di ammirazione ( Marchionne. L’uomo che comprò la Chrysler , Mondadori, 2009). Pochi giorni dopo, il quotidiano Finanza e Mercati dà notizia che la Fiat si prepara a emettere un miliardo di obbligazioni a 3 anni al 10%. L'Eni ne ha appena chiuso un’emissione al 4% per una durata doppia. I credit default swaps Fiat, ovvero le assicurazioni sul debito del gruppo di Torino, viaggiano su livelli doppi e tripli rispetto a quelli delle altre case automobilistiche europee. Le obbligazioni Fiat restano junk bonds . Il culto che circonda la sua personalità non è dovuto all'iniziativa del venerato. Il top manager della Fiat non commenta la politica. Non racconta chi sia il suo barbiere, quale orologio porti o dove compri le scarpe. Non appare su barche lussuose al fianco di belle signore. Di Marchionne si dice solo che lavora sodo. La sua immagine è il contrario di quella regale di Giovanni Agnelli e dei suoi imitatori. E tuttavia il suo maglione è diventato un mito pop delle cronache finanziarie perché, invece di fallire, la Fiat è arrivata a valere in Borsa più della General Motors e della Ford messe assieme. Di più, Marchionne è riuscito nell'impresa senza particolari aiuti pubblici. Un successo che gli ha guadagnato una reputazione tale da invogliare gli hedge funds a scommettere sulla Fiat e da convincere, poi, il presidente Obama ad affidargli il salvataggio della Chrysler. Ma la stessa reputazione sembra al momento non bastare al governo tedesco e, questa volta, allo stesso governo americano per consegnare alla Fiat anche l’Opel e le altre attività europee e sudamericane di General Motors. Marchionne è stato bravissimo a concentrare l'attenzione del mercato con storie viva via diverse. Prima storia, la provvista finanziaria per mettere in sicurezza i conti, attraverso il divorzio con Gm e la conversione in azioni dei crediti bancari. Finale felice. Poi, la rifocalizzazione industriale su auto e non auto (camion, trattori, componenti). In questo secondo settore i risultati sono stati forti non solo nei bilanci ma ancor più nel posizionamento in mercati già ripuliti da eccessi concorrenziali. Seconda storia a lieto fine, boom del titolo. Ma poi la recessione ha fatto riemergere la debolezza di Fiat Auto. Ancora il 25 gennaio 2008, conversando con un economista di Ca' Foscari, Marchionne confidava: «Nel nostro accordo con la General Motors c'erano cose che funzionavano. Ma ad esempio c'era anche il fatto che molti manager americani consideravano i nostri manager più brillanti come mezze cartucce … L'arroganza, che anche la Fiat aveva in passato, appartiene a tutte le case automobilistiche. Per far progredire le intese finanziarie fra pari occorrerebbero doti di management a tutti i livelli, dagli executive agli operativi, che io non ho mai avuto occasione di trovare. Molto meglio allora puntare su accordi industriali specifici» (Giuseppe Volpato, Fiat Group Automobiles. Un' Araba fenice nell'industria automobilistica internazionale , il Mulino, 2008). Ma la crisi generale ha aumentato l'eccesso di capacità produttiva nell'industria dell'auto europea, azzerandone i già modesti margini. Secondo BernsteinResearch, nel 1990 il margine medio continentale era al 5,5% del fatturato e il tasso di utilizzazione degli impianti poco sopra l'80%. Nel disastroso 1993, gli impianti giravano al 65% e il margine diventò negativo. Poi la risalita di entrambi gli indici un po' sotto i livelli del 1990 e adesso la nuova, clamorosa caduta. Bisognerebbe tagliare fabbriche per 2,5 milioni di pezzi: due volte l’Opel. E così Marchionne racconta la sua nuova, brillante storia: gli accordi industriali specifici - la piattaforma comune per Fiat Panda, 500 e Ford Ka, i motori per Grande Punto e Opel Corsa - non bastano più, bisogna fare acquisizioni e fusioni per costruire un nuovo supergruppo da 6 milioni di auto e ripulire il mercato. In realtà, il mercato si ripulirebbe meglio e più rapidamente attraverso il fallimento dei peggiori. Lo pensano Toyota, Honda, Volkswagen, Bmw, Mercedes. Ma per tante ragioni i governi non credono al darwinismo applicato all'auto. E così aprono lo spazio per la Fiat Auto, forte nel management ma senza soldi, di proporsi come salvatrice delle patrie automobilistiche. Secondo un economista triestino che ha studiato i rapporti della Fiat con lo Stato, il gruppo di Torino da campione nazionale protetto è diventato un global player (Luca Germano, Governo e grandi imprese , il Mulino, 2009). L’ultima svolta di Marchionne consiste nel far diventare la Fiat Auto un campione plurinazionale con capitali forniti dagli Stati che verranno rimborsati se tutto va bene o saranno convertiti in azioni (è già capitato con le banche) se servirà. Il manager più distante dalla politica sta tentando l'operazione più politica di tutte. Ma chi paga, ovvero i governi, serve interessi che non sono quelli della Fiat e dell'Italia. E se per Opel preferisce Magna diventa difficile contestarlo come politicante quando Chrysler arriva perché la Casa Bianca colpisce i creditori per salvare i posti di lavoro. Ma se non viene ripescata in extremis l’Opel, l'ultima storia di Marchionne resterà un'incompiuta transatlantica con pochissime sinergie. Forse, come lui stesso confida, la Fiat costruirà e venderà pure un milione di Alfa negli Usa. Ma che cosa resterà in Italia se già ora la produzione va a pieno regime in Polonia e a scartamento ridotto da noi? I 300 milioni del governo per Termini e Pomigliano non fanno ben sperare sulla tenuta autonoma della base produttiva Fiat in Italia. Massimo Mucchetti 29 giugno 2009 da corriere.it Titolo: Marchionne alla prova delle fabbriche italiane Inserito da: Admin - Giugno 29, 2009, 06:08:56 pm Le strategie di Torino Le ricadute dell’operazione Chrysler.
Il confronto con l’impianto in Polonia Marchionne alla prova delle fabbriche italiane Il manager del gruppo Fiat è stretto tra il calo della produzione e la protesta dei sindacati. Da Melfi a Termini Imerese: i piani per gli stabilimenti nazionali Nessuna fabbrica chiusa, ma ricorso pesante agli ammortizzatori sociali. E, per quanto riguarda lo stabilimento siciliano di Termini Imerese, che con quello di Pomigliano d’Arco in Campania era considerato tra quelli maggiormente a rischio, si andrà verso una riconversione produttiva. Non più auto, ma (forse) componentistica. La Fiat non vuole aggiungere altri dettagli a quanto l’amministratore delegato Sergio Marchionne aveva detto giovedì 18 giugno nel corso del vertice a Palazzo Chigi con il Governo, i sindacati e i rappresentanti delle Regioni dove hanno sede i siti produttivi. Chiudere a Imola Nel frattempo, però, è stata presa un’altra decisione importante, che in realtà non riguarda l’auto ma Cnh, la consociata attiva nelle macchine per le costruzioni e per l’agricoltura. Ai sindacati è stato comunicato che lo stabilimento di Imola, nel quale sono occupati 500 lavoratori, sarà chiuso entro due anni. Una misura imposta dal crollo dei mercati. Quello delle macchine movimento terra, ha detto Marchionne, è letteralmente «colato a picco» nel primo trimestre di quest’anno, mentre «la domanda di trattori e mietitrebbia è scesa rispettivamente del 10 e del 23%». E pochi giorni fa il segretario nazionale della Fiom-Cgil Giorgio Cremaschi ha detto di aspettarsi in prospettiva un sacrificio di 8-10 mila lavoratori complessivamente, comprendendo anche quelli a tempo indeterminato (ai quali non è stato rinnovato il contratto) e quelli dell’indotto. Si tratta sostanzialmente della stessa cifra di esuberi che era emersa nel corso della trattativa con Opel. Con la differenza che, in caso di aggregazione con la casa tedesca, i tagli sarebbero avvenuti parte in Italia e parte in Germania. La situazione, insomma, non lascia spazio all’ottimismo. «La verità è — sono sempre parole di Marchionne — che diventa quanto mai necessaria una seria ristrutturazione dell’industria dell’auto, se vogliamo portarla a un livello di sostenibilità economica». Una ristrutturazione non soltanto aziendale, ma globale. Di cui le alleanze sostenute dall’amministratore delegato della Fiat rappresentano un passaggio obbligato. «Un messaggio hard» «Dentro un discorso soft, un messaggio hard». La metafora informatica, riferita all’intervento di Marchionne, usata da un sindacalista dopo l'incontro di Palazzo Chigi, riassume abbastanza bene il carattere dell'amministratore delegato della Fiat, abituato ad affrontare i problemi senza alzare la voce ma con determinazione. E anche a mantenere gli impegni. Ebbene, le fabbriche italiane, stando al piano Marchionne (che scade però il prossimo anno) non dovrebbero per ora correre rischi. Pur ridimensionate, sopravviveranno. Salvo, appunto, Termini Imerese, dove oggi si produce la Lancia Ypsilon, destinata ad un altro sito. Con la sfida americana che si è conclusa positivamente, almeno nelle premesse; quella tedesca (la conquista del marchio Opel) per il momento sembra persa, anche se i giochi potrebbero riaprirsi, adesso, per Sergio Marchionne, la scommessa è tutta italiana. E potrebbe trasformarsi nell'esame più difficile per il manager italo-canadese che fino a questo momento ha collezionato più vittorie che sconfitte, conquistando addirittura la fiducia del presidente Usa Barack Obama. La sovracapacità produttiva dell'industria automobilistica di cui ha parlato la scorsa settimana John Elkann al convegno Aspen riguarda però anche la stessa Fiat e in particolare i suoi cinque stabilimenti italiani. Insieme, infatti, le catene di montaggio di Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi e Termini Imerese possono sfornare circa 940 mila vetture all'anno. Ma nel 2008 la produzione totale non è andata oltre le 630 mila unità, poco più di due terzi del potenziale. In percentuale, l’utilizzo degli impianti rispetto all’anno precedente (vedere grafico) è migliorato nel 2008 soltanto a Cassino e Mirafiori, dove si concentrano i modelli di maggiore successo, dalla Grande Punto alla Bravo, dalla Croma alla Delta, mentre è calato considerevolmente a Melfi (dal 77 al 65%), a Pomigliano (dal 78 al 64%) e a Termini Imerese (dall’82 al 71%). In fondo al tunnel Si va dunque verso un inevitabile ridimensionamento. Anche se i segnali positivi, per quanto riguarda Fiat, non mancano. In Germania e in Francia, per esempio, i risultati sono stati sorprendenti. Sul mercato tedesco nei primi cinque mesi dell’anno le vendite sono più che raddoppiate, permettendo alla casa italiana di collocarsi al primo posto fra gli importatori che operano nel Paese, mentre in Francia sono cresciute del 12,8%. E anche in Italia il Lingotto sta facendo meglio del mercato. Tra gennaio e maggio, ha detto ancora Marchionne, «mentre la domanda è scesa del 14,7%, il gruppo è riuscito a limitare il calo all’11% e ad aumentare la quota di penetrazione al 33,3%, un punto e mezzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». Tutto questo grazie anche alla «svolta ecologica»: le vetture a metano e gpl «hanno raggiunto livelli record». da corriere.it Titolo: Marchionne dà la pagella ai manager Inserito da: Admin - Gennaio 15, 2012, 11:24:20 am Economia
14/01/2012 - Il caso Marchionne dà la pagella ai manager Lezione a 500 studenti: così si diventa leader TEODORO CHIARELLI inviato a Detroit Metti un pomeriggio cinquecento studenti universitari a lezione di leadership e un top manager nelle vesti di docente. Un professore non convenzionale, che arriva qui sulle sponde del lago Michigan e invece del solito sermone di circostanza spiega agli studenti lo schema con il quale lui seleziona il suo gruppo dirigente. Giovedì 12 gennaio, Università del Michigan, Ross School of Business: Sergio Marchionne, presidente di Chrysler e amministratore delegato di Fiat, si presenta fra gli applausi degli studenti. E’ sempre la stessa storia: criticato aspramente e spesso avversato in Italia, qui a Detroit il manager italo-canadese che ha trascinato la Chrysler fuori dall’inferno è visto come un eroe. Sale sul palco, «Serghìo», come lo chiamano da queste parti, e ripercorre la storia recente della casa di Auburn Hills, da quando nel 2009 iniziò l’avventura della Fiat - la società era fallita e perdeva un miliardo di dollari al mese - fino al clamoroso risanamento e all’utile operativo di 2 miliardi di dollari del 2011. La riapertura degli stabilimenti, il terzo turno a Jefferson, il successo della Jeep, il lancio della Dodge Dart. Ma agli studenti Marchionne porta soprattutto due slide, due documenti interni, che rappresentano il modello di selezione dei quadri dirigenti (lui preferisce chiamarli «leader») adottato in Fiat e Chrysler. Uno strumento utilizzato in ogni azienda del gruppo almeno due volte l’anno. «Io personalmente sono coinvolto nella valutazione di circa mille leader e nell’impostazione della loro carriera». Marchionne illustra il documento proiettato alle sue spalle. «Sono le caratteristiche richieste a un leader, secondo due dimensioni: la capacità di guidare il cambiamento e di guidare le persone. Un elenco costruito nel corso degli anni, che raccoglie la mia esperienza personale e quella dei miei collaboratori su ciò che è davvero importante nell’esercizio della leadership». Marchionne li definisce come i princìpi che sono parte integrante della sua filosofia aziendale: spirito competitivo, affidabilità, integrità, velocità di decisione, passione ed energia nel raggiungere i risultati. Un elenco che racchiude anche i valori che, secondo il top manager, sono essenziali nella gestione delle persone: trasparenza, senso di responsabilità, condivisione delle informazioni e dei meriti, impegno a far crescere gli altri e a trattare tutti con dignità ed equità. «Solo l’insieme di queste qualità - sentenzia Marchionne - può definire un leader». Alle sue spalle compare quindi un secondo documento, più matematico: una matrice suddivisa in nove quadranti (di colore verde, giallo, arancione e rosso), in base alla quale vengono periodicamente valutati i manager Chrysler e Fiat. Una valutazione che è il frutto dell’incrocio tra le performance nel business e le qualità di leadership espresse. Nei quadranti verdi si collocano le risorse migliori, su cui puntare per il futuro. Quelli gialli richiedono un’ulteriore analisi nel giro di 6-12 mesi. Per quelli arancione va presa una decisione tempestiva, entro 3 mesi. «Chi è nel quadrante rosso non può trovare spazio nelle nostre aziende». Il risultato, spiega con orgoglio Marchionne, sono manager «capacidi pensare e lavorare oltre gli schemi, persone con una mente libera». Gli stessi che hanno stupito l’America affidando lo spot del rilancio a un rapper molto discusso per il linguaggio crudo e diretto delle sue canzoni come Eminem. Lo spot più visto e premiato del 2011. da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/438192/ Titolo: Fiat, un piano da 30 miliardi ... se son rose fioriranno. Inserito da: Admin - Marzo 13, 2012, 05:33:27 pm Il 2011 anno d’oro per le auto tedesche: “Qui investiamo nei prodotti, l’Italia non lo fa”
Ferdinand Dudenhöffer, professore all'Università di Duisburg-Essen e direttore del Car - Center automotive research, spiega il motivo per cui mentre in Germania Volkswagen annuncia l'ennesimo record, Audi festeggia il miglior anno della sua storia e Bmw si prepara ad assumere altri 4.000 dipendenti, mentre nel nostro Paese Fiat fa fatica a tirare avanti. "Marchionne? Un errore cercare lo scontro" Il gruppo Volkswagen annuncia l’ennesimo record, con un giro d’affari cresciuto lo scorso anno del 25,6% a quasi 160 miliardi di euro, Audi festeggia il miglior anno della sua storia, con 1,3 milioni di auto vendute, mentre Bmw si prepara ad assumere altri 4.000 dipendenti. L’industria automobilistica tedesca macina un successo dietro l’altro. Come fa? E dove si differenzia da quella italiana? Lo abbiamo chiesto al “Papa dell’auto” Ferdinand Dudenhöffer, professore all’Università di Duisburg-Essen e direttore del Car – Center automotive research. Professor Dudenhöffer, cosa si nasconde dietro gli ultimi successi di Volkswagen? L’industria automobilistica tedesca è posizionata globalmente. Gli utili di VW non vengono dall’Europa, bensì per la maggior parte dalla Cina, nonché, in parte, dall’America Latina, dagli Stati Uniti e dall’Europa settentrionale. Nell’Europa meridionale, invece, Volkswagen continua ad avere problemi e lo si vede da Seat (marchio del gruppo Volkswagen, ndr), che resta in rosso, per cui non è tutto oro quel che luccica. Anche il gruppo Fiat, dopo l’acquisizione di Chrysler, è posizionato globalmente. Certo, anche se in questo caso Chrysler guadagna soldi, mentre Fiat no. Il punto decisivo è che i tedeschi investono molto nei prodotti, mentre Marchionne no, perché non ha abbastanza soldi per farlo: i margini di guadagno di Fiat sono stati molto scarsi negli ultimi anni, Chrysler ha avuto il Chapter 11. Quali sono gli altri punti di forza del sistema tedesco? Il sistema tedesco è plasmato dall’engineering, dal prodotto: i tedeschi hanno un grosso interesse a investire nella tecnica, un po’ come Toyota, e investono effettivamente tantissimo sul prodotto. Nel lungo periodo tali investimenti rendono. Credo che sia proprio questo l’aspetto decisivo: puntare sul prodotto, perché alla lunga si vince solo con esso. VW ha puntato per vent’anni soltanto sul prodotto, BMW lo fa da oltre vent’anni e Mercedes ha ricominciato a farlo in modo più sostenuto da circa dieci anni. Nell’industria automobilistica le operazioni finanziarie possono contribuire temporaneamente a una certa ripresa, ma il “core” sono gli investimenti nei nuovi prodotti, nella qualità e negli stabilimenti. Che ruolo giocano le relazioni tra aziende e lavoratori nel mondo automobilistico tedesco? I dipendenti di VW incasseranno un bonus-record di 7.500 euro lordi. Bene, ma in questo caso è perché gli utili di Volkswagen sono molto elevati. In linea di principio in Germania i dipendenti hanno imparato a moderare le loro richieste in tempi difficili, mentre in tempi in cui gli utili sono buoni le aziende versano extra-bonus. Ciò porta alla comprensione reciproca tra aziende e lavoratori e non allo scontro, come fa a volte Marchionne. La sua strategia è un errore? Credo di sì: si può entrare in rotta di collisione con qualcuno per affrontare problemi davvero gravi, ma Marchionne è già da 3-4 anni in permanente rotta di collisione, questo è un errore. Cosa potrebbe imparare dal numero uno di Volkswagen Martin Winterkorn? In primo luogo potrebbe imparare a dare maggior peso all’engineering invece che ai dati finanziari, cioè ad ascoltare di più gli ingegneri. In secondo luogo che la strada da fare è molto lunga: non è una corsa dei 100 metri, bensì una maratona. E in terzo luogo Marchionne parla molto di “mergers”, ma in realtà non si trova poi nessun costruttore – tranne Chrsysler, che era insolvente – che voglia intraprendere la strada di una fusione con lui. E questo credo dipenda un po’ anche da lui: forse non è molto prevedibile per gli altri costruttori. Winterkorn guadagna più di tutti gli altri manager tedeschi: 17,4 milioni di euro. Un compenso giustificato? Difficile da dire: ha fatto un ottimo lavoro, ma è una cifra veramente molto alta, secondo me sarebbe meglio limitare tali compensi. da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/13/spiego-perche-lindustria-dellauto-italia/196832/ Titolo: FIAT, Marchionne intervistato da Mauro: "Pieno impiego, non chiudo stabilimenti" Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2013, 12:44:42 am Fiat, Marchionne intervistato da Mauro: "Pieno impiego, non chiudo stabilimenti"
L'ad della casa automobilistica sul palco della Repubblica delle idee dedicata al Lavoro annuncia: fusione con Chrysler entro il 2014, in Italia produzione auto di lusso. Polemica con i costruttori tedeschi: "Non sopporto l'arroganza". Protesta Fiom fuori dal teatro, il manager a Landini: "Io con i sindacati discuto sempre, se lui non è a quel tavolo faccia pace con gli altri sindacati" di PAOLO GRISERI TORINO - Piena occupazione negli stabilimenti italiani entro i prossimi anni e fusione con Chrysler entro il 2014. Sergio Marchionne lo annuncia intervistato dal direttore di Repubblica Ezio Mauro a conclusione della due giorni di dibattiti a Torino dedicati al lavoro. Nella prima intervista pubblica fatta a Torino, l'ad del Lingotto conferma le ragioni del suo dissenso profondo con la Fiom. A Maurizio Landini che intervistato ieri da Massimo Giannini sullo stesso palco, aveva proposto "un tavolo di confronto sul futuro dell'azienda", ha risposto che "si tratta di un atteggiamento presuntuoso. Io con i sindacati ci discuto sempre. Se Landini non è a quel tavolo e vuole tornarci, faccia pace con gli altri sindacati". Fuori dal teatro un gruppo di iscritti Fiom di Mirafiori protestava distribuendo una lettera in cui si chiede a Marchionne garanzie sul futuro dello stabilimento. Il manager del Lingotto ha risposto che ritiene di "arrivare alla piena occupazione negli stabilimenti italiani anche prima dei tre quattro anni previsti". La strategia è quella, annunciata a fine ottobre di puntare sulle auto di lusso: "producendo in Italia Maserati, Alfa e Jeep, riusciremo a garantire l'occupazione". Marchionne non ha escluso di realizzare un modello low cost "da produrre fuori dall'Italia". Quanto alle prossime strategie in America ha annunciato di voler realizzare la fusione con Chrysler "entro il 2014" chiudendo così il contenzioso con il fondo pensione dei sindacati Usa sul prezzo del 40 per cento di azioni non ancora in mano al Lingotto. Oltre che alla Fiom - anzi a Landini ("Con la Fiom io facevo gli accordi prima che arrivasse lui") - gli strali di Marchionne sono diretti anche ai costruttori tedeschi, specialmente alla Volkswagen: "Lo confesso, faccio fatica a pronunciare quel nome, devo allenarmi tutte le mattine. Li ammiro per il grande lavoro tecnico che hanno fatto negli ultimi trent'anni ma non sopporto l'arroganza". Quanto all'ipotesi di vendere l'Alfa al gruppo di Volksburg, la riposta è netta: "L'Alfa sarà uno dei marchi premium su cui puntiamo. Non la vendiamo certo. Men che meno alla Volkswagen". La politica è rimasta sullo sfondo per la delicatezza che impone in periodo elettorale. Rispondendo a una spefica domanda di Ezio Mauro sul rapporto con Mario Monti, Marchionne ha diviso le fasi: "Abbiamo condiviso il suo sforzo quando ha preso in mano un paese che era sull'orlo del baratro. Oggi che c'è la campagna elettorale la parola passa agli elettori". A margine dell'intervista pubblica, a chi gli chiedeva l'identikit del nuovo presidente del Consiglio ha risposto: "una persona seria che prenda gli impegni e li rispetti. Non basta che faccia fare i sacrifici ma è necessario che dica anche a che cosa servono". La replica di Landini. "Marchionne attacca tutto quello che non può comprare, la Volkswagen e la Fiom. Le sue parole confermano che qualche problema con la democrazia ce l'ha". Così il segretario generale della Fiom, Landini, replica a Marchionne. "E' inutile che cerchi di creare capri espiatori. Il punto vero è che sta riducendo l'occupazione e gli stabilimenti. Ha chiuso Termini Imerese, Irisbus e la Cnh di Imola, quei lavoratori non sono figli di nessuno". "E' stato Marchionne e non la Fiom - aggiunge - a cambiare linea uscendo dal contratto nazionale. E' lui che sta violando la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori e sta negando la libertà dei lavoratori di scegliersi il sindacato. E' lui che ha rifiutato di sottoporre al voto degli 80.000 lavoratori del gruppo l'uscita dal contratto. Il rischio - conclude - è un depotenziamento industriale. Per questo sarebbe utile che anzichè nascondersi accettasse il confronto". (03 febbraio 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/anteprima-torino2013/2013/02/03/news/intervista_mauro_a_marchionne-51858314/?ref=HRER3-1 Titolo: Marchionne rilancia: “Pieno impiego Non chiuderemo stabilimenti in Italia” Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2013, 12:45:48 am Economia
03/02/2013 Marchionne rilancia: “Pieno impiego Non chiuderemo stabilimenti in Italia” L’ad: a Torino faremo auto di lusso Torino Fusione con Chryler nel 2014, nessuna intenzione di chiudere stabilimenti in Italia, piena occupazione nel più breve tempo possibile. Sono gli impegni assunti da Sergio Marchionne nell’intervista durata novanta minuti del direttore di Repubblica Ezio Mauro a conclusione della ”Repubblica delle idee” dedicata al Lavoro. In un teatro blindato, nel cuore di Torino, l’amministratore delegato della Fiat ribadisce che a Mirafiori si produrranno auto di lusso, ringrazia la famiglia Agnelli «che non ha mai mollato», contesta «l’arroganza» dei tedeschi e «la presunzione» di Maurizio Landini. «Chiedo all’Europa di trovare un modo equo per ridurre la capacità produttiva - spiega Marchionne - ma Fiat si chiama fuori dal discorso: grazie alla strategia che abbiamo scelto, non chiuderemo stabilimenti. La nostra forza internazionale aiuta la Fiat italiana». E aggiunge: «riporteremo a casa tutti i lavoratori, ho preso questo impegno. Lo faremo anche prima dei tre-quattro anni previsti». Al segretario generale della Fiom che ieri dallo stesso palco lo aveva invitato ad aprire un tavolo di confronto, Marchionne replica: «Io con i sindacati ci discuto sempre. Se Landini non è a quel tavolo e vuole tornarci, faccia pace con gli altri sindacati. Gli consiglierei di trovare un metodo per collaborare con gli altri e di presentarsi in maniera compatta, conviene a tutti». «Buon consiglio, peccato che non lo seguirà», commenta il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. A Marchionne replica Landini: «Attacca tutto quello che non può comprare, la Volkswagen e la Fiom. Le sue parole confermano che qualche problema con la democrazia ce l’ha». Uno scambio di battute che non lascia ben sperare sull’ipotesi di uno scongelamento delle relazioni, apparso plausibile dopo lo scioglimento della newco di Pomigliano e la connessa soluzione al nodo delle procedure di mobilità minacciate dopo le sentenze dei giudici sulle discriminazioni degli iscritti Fiom. Il sindaco di Torino Piero Fassino auspica che le parola di Marchionne «possano favorire il superamento di pregiudizi e contrapposizioni a favore di un dialogo che coinvolga tutte le parti sociali». In piazza Carignano manifestano i sindacati di base e gli iscritti alla Fiom di Mirafiori che distribuiscono una lettera in cui chiedono a Marchionne «risposte certe» sullo stabilimento di Torino, che per l’ex segretario nazionale Giorgio Airaudo, oggi candidato con Sel alla Camera «resta la cenerentola», mentre aspetta che «alle parole seguano i fatti» il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. Nulla di deciso sulla futura sede del gruppo («dipenderà dall’accesso ai mercati finanziari e dalle scelte della famiglia Agnelli»), dice il manager del Lingotto che ribadisce la strategia, annunciata a fine ottobre, che punta sulle auto di lusso, ma non esclude neppure la produzione di un modello low cost «fuori dall’Italia». Nessuna intenzione di vendere Alfa Romeo, in particolare ai tedeschi che da sempre le fanno la corte. Marchionne dice che la Punto continuerà ad essere prodotta a Melfi («stamattina ho controllato, la facciamo sempre lì») e definisce «l’errore più grande» della sua carriera in Fiat avere annunciato Fabbrica Italia, «un’imbecillaggine eccezionale». Strappa l’applauso dei torinesi, non il solo, quando parla di Torino come «una città bellissima» e aggiunge «con tutto il bene che voglio a Detroit, non è Torino». Marchionne evita di farsi «trascinare in politica», ma chiede al nuovo governo «tranquillità per fare ripartire i consumi». L’identikit del futuro premier? «Una persona seria che prenda impegni e li rispetti». Niente a che vedere, comunque, con i progetti del Lingotto che «non sono vincolati a chi vincerà le elezioni». da - http://lastampa.it/2013/02/03/economia/marchionne-confermo-pieno-impiego-alfa-romeo-non-e-in-vendita-KYphlS8vrTOUJ9lhd7cfJJ/pagina.html Titolo: Marchionne: "Se l'Italia esce da euro Fiat fermerà tutti gli investimenti" Inserito da: Admin - Marzo 05, 2013, 05:13:40 pm Marchionne: "Se l'Italia esce da euro Fiat fermerà tutti gli investimenti"
L'amministratore delegato del Lingotto chiede stabilità politica: "L'incertezza non aiuta chi vende macchine". Il gruppo cerca un accordo con Veba per rilevare le ultime quote di Chrysler ed evitare la quotazione. Nel 2013 "gli Usa faranno da traino al mercato. Venderemo 4,4 milioni di auto" MILANO - "L'incertezza politica crea incertezza nei mercati e questo non aiuta chi come noi deve vendere auto". L'amministatore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, dal Salone dell'auto di Givevra, punta il dito contro l'instabilità politica del Paese: "La certezza di governabilità dell'Italia è necessaria e ora non l'abbiamo". Di più. Il manager minaccia lo stop a qualunque investimento se il Paese decidesse di lasciare l'euro: "L'ingovernabilità non porterà al rinvio degli investimenti a meno che non ci sia una decisione drastica come l'uscita dall'euro". "L'importante è avere le idee chiare entro il 2013". "Mi preoccupa la situazione economica degli italiani, la loro condizione generale. E' un problema che non si può ignorare"., sostiene Marchionne. "C'è un grandissimo disagio, una realtà quotidiana che va gestita e risolta. Basta guardare al grande numero di cassintegrati e disoccupati", ha aggiunto. "Il problema non sono i prodotti, non confondiamo le cose. Agli italiani manca la disponibilità economica, è la cosa più preoccupante". Il manager del Lingotto si è quindi concentrato sulle sfide finanziarie del gruppo a cominciare dai titoli Chrysler ancora in mano a Veba: "Dobbiamo stabilire una valutazione chiara delle quote Chrysler e vedere se è possibile che Fiat rimpiazzi l'Ipo e dia la liquidità al trust Veba". Marchionne ha aggiunto che è iniziato il processo di analisi e valutazione degli intermediari finanziari: "Stiamo analizzando con Veba una serie di potenziali candidati". Di certo Fiat non procederà a un aumento di capitale per l'operazione: "Abbiamo abbastanza liquidità. Ci sono risorse nel gruppo". In sostanza, quindi, il Lingotto proverà a evitare la quotazione della società americana se venisse raggiunto un accordo con il fondo pensione dei sindacati statunitensi. Tuttavia se i sindacati insistessero, "nel terzo trimestre le carte sono in regola per l'Ipo". Quanto al mercato, "il 2013 per noi sarà più o meno come il 2012, sempre al traino degli Stati Uniti" con l'obiettivo di migliorare i risultati nonostante il cambio penalizzante dell'euro sul dollaro. Per Marchionne "l'euro sta beneficiando di una valutazione che non si merita e un valore esagerato specialmente in un momento simile". Marchionne ha quindi parlato della vertenza per il rinnovo del contratto del gruppo: "Si farà perché le difficoltà non sono insormontabili". 'Miglioreremo il risultato nel 2013 grazie in particolare alle vendite in Usa, come abbiamo fatto nel 2012. L'obiettivo è vendere 4,3-4,4 milioni di vetture a fronte dei 4,2 mln del 2012". (05 marzo 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/economia/2013/03/05/news/marchionne_fiat_crisi-53902036/ Titolo: Marchionne, piano Marshall per l'Italia. Di Francesca Gerosa Inserito da: Admin - Giugno 15, 2013, 11:15:50 am Marchionne, piano Marshall per l'Italia. Con Veba si tratta Di Francesca Gerosa Il ritmo del cambiamento che Fiat ha seguito è stato così veloce che in qualche modo ha contribuito ad ampliare la distanza col Paese. "E noi non siamo stati in grado di trasmettere agli italiani il senso del cambiamento". Di questo si incolpa l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, nel corso dell'assemblea di Confindustria Firenze, non del fatto che per molti questa è rimasta mamma Fiat, vecchiotta, fuori moda, un po' ingombrante, di cui nei discorsi al bar si parla come fosse un peso. "Se Fiat si è trasformata ed è cresciuta nel mondo, è stato solo per porre fine a un isolamento che ne avrebbe pregiudicato il futuro. Lo abbiamo fatto per diventare più forti, più capaci, più consapevoli delle nostre possibilità. E questa non può essere una colpa. Se oggi ci fosse ancora la Fiat di una volta, avremmo già portato i libri in tribunale da un pezzo". Marchionne non nasconde che l'Italia sta vivendo una fase di emergenza, un periodo di crisi che richiede interventi rapidi e incisivi. Proprio per questo "non ci si può più sottrarre alla ricerca di una soluzione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere la democrazia e la società italiana". Per lo Steve Jobs nazionale c'è dunque bisogno di un grande sforzo collettivo per condividere responsabilità e sacrifici e per dare all'Italia la possibilità di andare avanti, una specie di patto sociale che cancelli opposizioni e distinzioni ideologiche. "Chiamatelo il piano Marshall italiano, o come volete", così lo ha battezzato, chiedendo al governo di scegliere cinque cose più importanti, cinque cose che si possono fare ora. "Datevi 90 giorni di tempo per realizzarle e poi passate alle cinque successive". Dal punto di vista delle imprese, invece, le priorità del piano Marshall italiano sono, tra le altre, la semplificazione e la riforma di un sistema giudiziario lento e inefficiente, "con tendenze a volte anti industriali". Alle imprese, inoltre, piacerebbe vedere comportamenti per limitare le spese e gli sprechi, della politica e della pubblica amministrazione. Il punto è che bisogna varare un piano di coesione nazionale per la ripresa economica. Tutti devono partecipare, dalla politica ai sindacati, alle associazioni di categoria alle università, "senza indicare la Germania come causa dei nostri mali". I tedeschi hanno solo trovato la strada per essere più competitivi, secondo Marchionne, che ha lanciato un appello anche per rafforzare le istituzioni europee. "L'Europa", ha detto, "deve compiere un salto di qualità per rafforzare la propria unione". Per farlo, ha spiegato, è necessario che gli Stati cedano parti di sovranità per condividere le scelte, soprattutto in materia di strategie economica e per arrivare a costruire "gli Stati uniti d'Europa". Per Marchionne un'altra occasione non colta appieno è l'euro: "non abbiamo sfruttato completamente i vantaggi offerti dalla moneta unica", tanto che, per esempio, la spesa pubblica è rimasta elevata, nessuna riforma di sostanza è stata approvata, a parte le pensioni, e adesso ci ritroviamo con un Paese "obsoleto". Marchionne ha quindi ribadito che non ci saranno chiusure di impianti produttivi in Italia, anche se analisti e gli opinionisti consigliano che, chiudendo uno o due stabilimenti in Italia, il gruppo Fiat potrebbe risolvere il problema della sua sovracapacità produttiva. Nulla di tutto ciò. Fiat punta sull'Italia anche come piattaforma di produzione per i mercati di tutto il mondo e a questo proposito l'ad ha ricordato gli investimenti fin qui già effettuati. A Pomigliano la società ha investito 800 milioni senza neanche un euro di investimento e lo ha trasformato in uno stabilimento, a suo dire, "modello". A Grugliasco, invece, è stato speso 1 miliardo di euro, mentre a Melfi sono in programma investimenti per 4 miliardi che permetteranno di produrre dal 2014 due nuovi modelli. E a proposito del negoziato in corso per acquistare il 41,5% di Chrysler detenuto da Veba, il fondo che fa capo al sindacato Uaw, la trattativa continua "ancora altrimenti ci saremmo già alzati dal tavolo", ha assicurato il top manager. Fiat sta trattando l'acquisto della partecipazione di Chrysler in mano a Veba che la porterebbe al 100% della controllata statunitense e aprirebbe la strada alla fusione tra i due gruppi. Nel frattempo Chrysler starebbe rifinanziando 3 miliardi di dollari del suo debito. Su questo punto Marchionne ha voluto chiarire che il rifinanziamento del debito della casa Usa "non si è ancora concluso". A Piazza affari il titolo Fiat accenna un sorriso (+0,36% a 5,595 euro) a dispetto dei nuovi blocchi produttivi negli stabilimenti del gruppo legati alla mancanza di forniture di componenti da parte di Selmat (il problema avrebbe provocato il blocco di circa 5.500 vetture che attendono di essere completate) e delle analisi di mercato che indicano, in caso di aumento dell'Iva dal 21% al 22% a partire da luglio, un calo delle vendite di auto in Italia quest'anno del 12% a 1,2 milioni (gli analisti di Intermonte stimano -7% su base annua a 1,3 milioni). da - http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201306131357254745&chkAgenzie=TMFI&titolo=Marchionne,%20piano%20Marshall%20per%20l%27Italia.%20Con%20Veba%20si%20tratta Titolo: Fiat-Chrysler dopo la fusione. - di Fabiano Schivardi Inserito da: Admin - Giugno 18, 2013, 05:50:36 pm In evidenza >
Fiat-Chrysler dopo la fusione 18.06.13 Fabiano Schivardi La fusione fra Fiat e Chrysler dovrebbe arrivare entro l’anno. Servono molti soldi per l’acquisizione definitiva e il riposizionamento del marchio. Rimanendo comunque ancora lontano dalla soglia dei 6 milioni di auto prodotti. Mentre la famiglia Agnelli vuole mantenere il controllo dell’azienda. FUSIONE IN VISTA La fusione fra Fiat e Chrysler è nel mirino di Sergio Marchionne e potrebbe avvenire entro l’anno. Con ogni probabilità, la nuova società sarà quotata sul mercato americano, che offre un migliore accesso al mercato dei capitali rispetto alla nostra asfittica borsa. L’ultimo, difficile ostacolo da superare è l’acquisto della quota del 41,5 per cento di Chrysler, ancora nelle mani del sindacato americano Veba. Fiat e Veba stanno trattando sul prezzo, con una forchetta compresa fra i 3 e i 5 miliardi di dollari. A breve un giudice del tribunale del Delaware dovrebbe esprimersi sul valore di una quota del 3,3 per cento del capitale, fissando un valore di riferimento per tutto il pacchetto. Stando ad alcune indiscrezioni, il giudice propenderebbe per una valutazione più vicina a quella del sindacato. È quindi probabile che il costo dell’operazione si collochi nella parte alta della forchetta. I soldi necessari per l’acquisizione della quota Chrysler sono solo l’inizio. Servirà una ristrutturazione del debito contratto durante la fase di salvataggio della casa americana. In aggiunta, sul fronte industriale il piano di riposizionamento nella fascia medio alta di mercato non può avvenire gratis. Saranno necessari molti investimenti in progettazione, marketing, riqualificazione degli impianti. Come Marchionne stesso ha detto, non è un progetto per deboli di cuore. E quindi non si può fare con i fichi secchi. Last but not least, anche con la fusione con Chrysler siamo ancora ben lontani dalla “soglia Marchionne” di 6 milioni di autoveicoli l’anno per essere competitivi nel mercato automobilistico. Se Marchionne è ancora di questa idea, si profilano nel medio periodo altre operazioni di acquisizione-fusione. È difficile che si arrivi in tempi ragionevoli a 6 milioni di veicoli per crescita interna, dato che al momento siamo sotto i 4 milioni. STRATEGIE DI FAMIGLIA All’inizio dell’operazione Chrysler, John Elkann dichiarò che la famiglia Agnelli era pronta a diluire la propria quota di controllo se fosse stato utile per perseguire le strategie di espansione esterna. Dal recente vertice di famiglia, è invece emerso un cambio di rotta. Gli Agnelli sono intenzionati a mantenere una quota di controllo. Elkann ha dichiarato “Se la torta è più grande non vedo perché io debba accontentarmi di una fetta più piccola”. Anche Marchionne ha escluso qualunque ipotesi di aumento di capitale. La strategia finanziaria sia di Fiat sia di Exor – la società finanziaria attraverso cui gli Agnelli detengono il pacchetto di controllo di Fiat – è conseguente a questa posizione. Fiat siede su una montagna di liquidità, a detta di Marchionne più di venti miliardi di euro. Questi fondi permettono a Fiat di essere estremamente flessibile nel momento in cui si presenterà la necessità di mettere mano al portafogli. Ma la cosa non è senza costi: secondo Antonella Olivieri del Sole-24Ore, il debito finanziario di Fiat costa quasi il 6 per cento, mentre la liquidità frutta circa il 2 per cento. Un dimezzamento della liquidità per riacquistare debito potrebbe quindi far risparmiare 400 milioni di euro di oneri finanziari. In aggiunta, sia Fiat che Exor si sono dette pronte a dismettere partecipazioni non strategiche per raccogliere ulteriori fondi per far fronte agli ingenti bisogni finanziari per lo sviluppo di Fiat-Chrysler. E rimane sempre l’opzione di emettere altro debito. Il solito pool di banche d’affari si è già fatto avanti. Quindi ci sono margini per finanziare l’operazione senza allargare la compagine azionaria. Ma è la scelta migliore? La volontà di mantenere il controllo da parte del duo Elkann-Marchionne è legittima. Gli Agnelli hanno scommesso sul rilancio di Fiat quando la possibilità di fallimento era tutt’altro che remota. Per far ciò, hanno venduto varie partecipazioni, riducendo la diversificazione del portafoglio e quindi assumendosi parecchio rischio. Marchionne è stato l’ideatore dell’acquisizione di Chrysler, che al picco della crisi del settore automobilistico americano presentava molte incognite. L’operazione è riuscita ed è comprensibile che chi l’ha portata avanti ora voglia mangiare la torta. Ma bisogna essere sicuri che la fetta non sia troppo grossa. Anche se è probabile che i bisogni finanziari immediati possano essere affrontati senza ricorre ad aumenti di capitale, o limitandoli in modo che Exor sia in grado di non diluire la propria quota, la struttura finanziaria dell’impresa risultato dalla fusione potrebbe essere troppo fragile, con poca liquidità e alto debito. Ciò è tanto più vero in vista di altre potenziali aggregazioni, per le quali la differenza fra una struttura finanziaria solida e una fragile potrebbe voler dire la differenza fra essere preda o predatore. Subordinare le difficili sfide che Fiat dovrà affrontare al mantenimento del controllo è una strategia pericolosa. La coppia Elkann-Marchionne ha funzionato bene e non si vedono nubi all’orizzonte. Marchionne ha goduto dell’appoggio incondizionato dell’azionista di controllo e ha potuto quindi mettere a punto strategie di medio/lungo periodo senza la pressione del mercato azionario. Ma per cogliere le opportunità che si apriranno quando arriverà la ripresa è importante lasciare la porta aperta a nuove risorse manageriali e finanziarie. Un’impresa che vuol essere uno dei giocatori mondiali al ristretto tavolo dei produttori automobilistici non può dipendere troppo da singole individualità. --- controllo azionario, Fiat, liquidità, mercato auto Bio dell'autore Fabiano Schivardi: È professore straordinario di Economia Politica presso l'Università di Cagliari. Si interessa di economia industriale e del lavoro, focalizzandosi in particolare su produttività e demografia d’impresa. I suoi lavori recenti considerano gli effetti della struttura dimensionale e proprietaria sulla performance delle imprese. Ha lavorato al Servizio Studi della Banca d’Italia dal 1998 al 2006, dove è stato responsabile dell’Ufficio Analisi Settoriali e Territoriali dal 2004. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la Stanford University e la laurea e il dottorato presso l’Università Bocconi. È fellow dell’Einaudi Institute of Economics and Finance (EIEF), del CEPR, del Centro Ricerche Economiche Nord Sud (CRENoS) e del BRIK. Fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulle piccole e medie imprese. I suoi saggi sono stati pubblicati su riviste internazionali e nazionali. da - http://www.lavoce.info/la-fiat-alle-prese-con-il-dopo-fusione/ Titolo: FIAT, Marchionne: “Con ok Veba fusione con Chrysler entro l’anno” Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2014, 02:58:17 pm Economia
06/03/2013 Fiat, Marchionne: “Con ok Veba fusione con Chrysler entro l’anno” “Puntiamo a vendere più di 800 mila jeep, la grande forza del gruppo” Sulla strada della fusione tra Fiat e Chrysler l’unico ostacolo è l’accordo con il fondo Veba, per acquisire il 41,5% della casa di Detroit e controllarla così al 100%: «se sarà raggiunta un’intesa l’operazione potrebbe essere tecnicamente varata già entro quest’anno», spiega Sergio Marchionne al Salone dell’Auto di Ginevra, dove più volte visita lo stand della casa di Maranello in cui debutta il nuovo modello LaFerrari. L’amministratore delegato della Fiat, che presiede l’associazione dei costruttori auto europei, ribadisce il suo no agli incentivi dei governi e auspica che «l’Europa si metta d’accordo su come risolvere il problema della crisi e abbandoni questa fissazione, ormai diventata un incubo, sull’austerità». Il manager italocanadese non ha mai nascosto che la fusione con Chrysler sia l’obiettivo a cui punta, preferibile per lui alla quotazione in Borsa della società Usa, ma il negoziato con il Veba si è rivelato più complesso del previsto. Le due parti non hanno per ora raggiunto un accordo sul prezzo delle quote su cui Fiat ha un’opzione e sulla vicenda si aspetta la decisione del tribunale del Delaware. Nel frattempo il Veba ha chiesto di avviare la registrazione della quota che detiene in Chrysler in vista di una eventuale Ipo, l’offerta di azioni in Borsa. Marchionne esclude invece che la trattativa possa risolversi con un accordo analogo a quello per la fusione tra Fiat Industrial e Cnh, pagando cioè il Veba in azioni Fiat: «Non credo che accetterebbero azioni di un’azienda quotata in Europa», afferma. L’ad della Fiat non fa previsioni sull’uscita dalla crisi del mercato europeo dell’auto, ma la strada «non è quella degli incentivi»: «Sono sempre stato dell’opinione che drogare il mercato non è una buona cosa. In Italia abbiamo pagato per anni il prezzo di aver accelerato le vendite nel 2007 e nel 2008». Per ora continuerà ad essere il mercato americano quello che traina il gruppo: «le ultime previsioni che abbiamo per quest’anno - dice Marchionne - sono di oltre 15 milioni di vetture, dovrebbe andare bene. C’è tantissimo lavoro da fare. I risultati si vedranno nei prossimi nove mesi». L’inizio dell’anno infatti «è difficile perché per tre stabilimenti americani del gruppo è una fase di transizione. Il gran Cherokee è andato finalmente in produzione un paio di settimane fa, il Cherokee a maggio. Ci mancano delle vetture rispetto al primo trimestre 2012». Tra i marchi su cui il gruppo punta c’è la Jeep: la stima di Marchionne è di venderne quest’anno più di 800.000 a fronte delle 700.000 del 2012, grazie anche all’ingresso con il nuovo Cherokee nel segmento più grande del mercato americano». Continua ad andare bene anche l’America Latina, «abbastanza bene, il mercato cinese», mentre in Russia Marchionne è ancora alla ricerca di un’opzione e non si sbilancia sui tempi. Con l’indiano Ratan Tata, che ha incontrato al Salone, «i rapporti sono ottimi, ma la relazione è rimasta puramente industriale», mentre il gruppo Fiat gestisce da solo la rete commerciale. Da - http://www.lastampa.it/2013/03/06/economia/fiat-marchionne-con-ok-veba-fusione-con-crysler-entro-l-anno-285xxpXRhUITiB5qbAfctK/pagina.html Titolo: Andrea Malan. - Successo del sistema Italia Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2014, 03:00:55 pm Successo del sistema Italia
di Andrea Malan 2 gennaio 2013 Appena spenta l'eco dei botti di capodanno, da Torino ne arriva uno di portata epocale: la Fiat conquista il 100% della Chrysler con un accordo che porta tutti i segni dell'abilità di Sergio Marchionne ma permette anche al fondo Veba - azionista al 41,5% di Chrysler - di uscire a testa alta. Un'operazione win-win, insomma, che rende inutile l'Ipo di Chrysler, cancella la causa al tribunale del Delaware e permette al management di concentrarsi sulla fusione delle due aziende e sul completamento della loro integrazione industriale. Fiat spenderà al closing dell'operazione 1,75 miliardi di dollari, ma al Veba ne andranno 4,35 (di cui 525 milioni in tre rate annuali posticipate). Come è possibile il miracolo? Semplice: il grosso dei pagamenti a Veba uscirà dalle casse della stessa Chrysler: 1,9 miliardi di dollari come dividendo straordinario (il massimo attualmente possibile) e 700 milioni in base a un accordo con la Uaw, il sindacato Usa dei lavoratori dell'auto che gestisce il fondo Veba. Quest'ultima contribuzione di Chrysler al fondo garantisce l'appoggio del sindacato nelle successive mosse di integrazione, compresa l'applicazione a Chrysler del sistema di World Class Manufacturing. Contando anche i pagamenti degli anni scorsi, Fiat ha conquistato il 100% di Chrysler spendendo in tutto 3,7 miliardi di dollari (2,7 miliardi di euro), ovvero un decimo di quanto speso dai tedeschi di Daimler nel 1999 e meno della metà di quanto investito nel 2007 dal fondo Cerberus. Chi avesse ancora dei dubbi sull'abilità di dealmaker di Sergio Marchionne, è servito. Torino potrà fare a meno dell'aumento di capitale che molti analisti paventavano, poiché come detto il grosso dei fondi verrà dalla Chrysler stessa. Poiché però questi fondi usciranno comunque dal perimetro del nuovo gruppo, sarà la futura Fiat-Chrysler a dover ricapitalizzare - come lo stesso Marchionne aveva fatto balenare in una delle ultime conference call con gli analisti. Ciò avverrà, con ogni probabilità, in occasione della quotazione in Borsa di Fiat-Chrysler dopo la fusione. Perché è proprio la fusione tra Fiat e la controllata - che dovrebbe arrivare entro il 2014 - il prossimo passo nel cammino verso la creazione di un gruppo transatlantico intrapreso da John Elkann e Sergio Marchionne nella primavera del 2009, quando Chrysler uscì dal Chapter 11 con l'aiuto di Fiat. Restano sul tavolo due questioni fondamentali: quella sulla sede, legale e fisica, del futuro gruppo (Cnh Industrial, anch'essa nata da una fusione, ha fatto rotta sull'estero); e quella sulla strategia industriale, in particolare su quanti saranno e dove si dirigeranno gli investimenti indispensabili per fra fronte a una concorrenza sempre più agguerrita. Su entrambi i temi il sistema-Italia ha ancora carte da giocare, ma deve giocarle bene. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-01-02/successo-sistema-italia-073117.shtml?uuid=ABxewBn Titolo: FIAT - Vince l'abilità negoziale del manager Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2014, 03:02:40 pm Vince l'abilità negoziale del manager
dal nostro corrispondente Mario Platero 02 gennaio 2014 NEW YORK - L'accordo di ieri tra Fiat e Veba è storico, non c'è dubbio: il primo gennaio del 2014 si è chiuso un percorso industriale che si apre il 10 giugno del 2009, quando Fiat entrò con un 20% in Chrysler con due obiettivi: ristrutturarla ed entrare in possesso del 100% del capitale della terza casa automobilistica americana. Ci sono voluti 4 anni e mezzo, ma da ieri è nato il settimo gruppo automobilistico più grande del mondo e l'Italia resta protagonista in una partita globale. Un cammino difficile, guidato da una visione strategica dal punto di vista finanziario oltre che da quello produttivo straordinariamente lucida. Veba chiedeva 5 miliardi di dollari per il suo pacchetto del 41,5%, gli analisti stimavano un compromesso attorno a 4,2 miliardi di dollari, il prezzo finale, dopo litigi in tribunale e prospettive di quotare Chrysler in borsa da sola per determinare un prezzo congruo è stato di 3,7 miliardi di dollari. I termini dell'accordo di ieri dovrebbero dunque rassicurare gli analisti finanziari che temevano un drenaggio eccessivo di risorse da Fiat e Chrysler per chiudere l'operazione. «Stupendo e a sorpresa» è stato il commento spontaneo di uno dei pochi analisti che abbiamo trovato il primo gennaio a New York. Di certo questa operazione consacra l'abilità negoziale di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e presidente e ad di Chrysler. Non dimentichiamo che nel febbraio del 2005 Marchionne era riuscito a strappare 2 miliardi di dollari alla General Motors per rinunciare a una call option. Un altro confronto finanziario: nel 1998 Daimler pagò per Chrysler 36 miliardi di dollari. Nel 2007 il fondo Cerberus pagò per l'80% di Chrysler 7,4 miliardi di dollari. Nel negoziato con Veba l'ad di Chrysler Fiat ha di nuovo tenuto duro e ha vinto. Fonti a Wall Street ci fanno capire che uno degli assi nella manica di Marchionne era anche la debolezza finanziaria di Veba, i conti da pagare sono enormi, il fondo medico era in difficoltà e non poteva permettersi di aspettare troppo a lungo. Quanto a lungo lo abbiamo saputo ieri. Ora che si chiude un capitolo, se ne apre un altro, ci sarà a un certo punto di quest'anno una fusione formale fra Chrysler e Fiat e quasi certamente un nuovo collocamento in borsa di un titolo unificato entro il 2014. Ci sarà una riorganizzazione e ci saranno naturalmente discussioni soprattutto in Italia sui nuovi quartieri generali. Discussione inutile perché le sedi oggi sono formali. Il quartiere generale di Fiat Chrsyler è già oggi e continuerà ad essere su un aereo dove si muovono i membri del Gac, Group Executive Council, formato da una ventina di persone e guidato da Marchionne. Certo parlare l'inglese sarà d'aiuto, ma questo è già obbligatorio da qualche decennio per ogni manager internazionale. Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-01-02/vince-abilita-negoziale-manager-064632.shtml?uuid=AB7JcBn Titolo: FIAT: Cari Colleghi, l’emozione con cui vi scriviamo questa lettera è quella... Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2014, 03:09:34 pm Cari Colleghi,
l’emozione con cui vi scriviamo questa lettera è quella di chi negli ultimi quattro anni e mezzo ha lavorato per coltivare un grande sogno di integrazione industriale e culturale e oggi lo vede realizzato. E’ la stessa emozione che accomuna trecentomila persone nel mondo, protagoniste di questa giornata storica per la Fiat e per la Chrysler. Dopo una lunga trattativa, abbiamo raggiunto un accordo con Veba che ci permette, attraverso l’acquisizione della totalità delle azioni Chrysler da parte di Fiat, di realizzare, anche dal punto di vista finanziario e tecnico, l’unione tra le due società. Si tratta di un’unione che nei fatti è già una realtà straordinaria. In questi anni, le nostre due aziende hanno imparato a conoscersi e a fidarsi l’una dell’altra; hanno imparato a stimolarsi a vicenda e a scambiarsi esperienze e conoscenze; hanno intrapreso un cammino insieme. Fiat e Chrysler, ognuna con la propria identità, hanno iniziato a condividere tutto: competenze industriali e risorse, progetti e traguardi, sfide e ambizioni. La cosa più importante è che hanno condiviso fin dall’inizio lo spirito e i valori di un gruppo che vuole distinguersi non solo per l’eccellenza dei suoi prodotti, ma anche per integrità, serietà e trasparenza. Il passaggio che abbiamo compiuto oggi rappresenta senza dubbio un momento epocale nella storia di Fiat e di Chrysler, ma non è che il coronamento di tutto il lavoro fatto in questi anni, per integrare le rispettive tradizioni, per trasformare le differenze in punti di forza e per abbattere, insieme alle barriere geografiche, anche quelle culturali. In questo modo siamo riusciti a dare vita ad un costruttore di auto mondiale, tra i leader del settore. Quello che abbiamo creato insieme uno straordinario gruppo di persone che lavorano fianco a fianco con umiltà, che si ascoltano e si confrontano, che uniscono le loro culture da ogni parte del mondo è il valore più grande di cui disponiamo ed è anche la migliore garanzia del nostro successo. Di fronte abbiamo un nuovo capitolo di storia comune da scrivere. A voi chiediamo di restare uniti, in quel patto di lealtà e fiducia che ci ha permesso di arrivare fino a questo punto. Da parte nostra vi assicuriamo l’impegno a sviluppare Fiat Chrysler ovunque nel mondo, a renderla un modello di velocità e di efficienza. Vi garantiamo anche l’impegno a offrirvi un futuro sicuro e stimolante, in un ambiente dove lo scambio di esperienze e culture sarà fonte di crescita professionale e personale. A tutti voi, e alle vostre famiglie, i più calorosi auguri per un 2014 all’altezza delle vostre aspettative e degli ottimi auspici con cui si apre. John Elkann Chairman di Fiat S.p.A. Sergio Marchionne Chairman & CEO di Chrysler Group LLC CEO di Fiat S.p.A Da - http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2014/01/comunicato-fiat.pdf Titolo: Fiat conquista il 100% di Chrysler Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2014, 04:21:11 pm Fiat conquista il 100% di Chrysler
di Marco Ferrando con analisi di Mario Platero e Andrea Malan 02 gennaio 2014 Accordo fatto tra Fiat e Uaw per acquistare il 41,46% di Chrysler in mano al sindacato americano: a quest'ultimo, secondo l'intesa raggiunta nei giorni scorsi e annunciata ieri sera dal Lingotto, andranno subito 3,650 miliardi di dollari, più altri 700 milioni spalmati in quattro rate di qui ai prossimi tre anni. Come anticipato da Il Sole 24 Ore di sabato scorso, il round negoziale avviato prima di Natale si è rivelato dunque quello decisivo per chiudere una partita che ora consente a Fiat di salire al 100% di Chrysler, evitare la disputa in Tribunale con il Veba e le lungaggini connesse a un'Ipo della sua sola quota, ma al tempo stesso di gettare le basi per la tanto auspicata fusione, che consentirà – a quel punto sì – di portare sul mercato tutto il gruppo. I dettagli del deal Dal punto di vista del Veba, il fondo gestito dall'Uaw, la somma che potrà incassare alla fine dell'operazione è di 4,350 miliardi di dollari, una cifra inferiore ma comunque vicina ai 4,5 miliardi di cui si parlava nei giorni scorsi. Tuttavia, sono interessanti le modalità individuate dalle due parti per chiudere l'intesa, con il closing fissato al 20 gennaio prossimo: il primo step sarà l'erogazione di un dividendo straordinario da 1,9 miliardi di dollari da parte di Chrysler, che sarà interamente incassato dal Veba (che si vedrà girata anche la quota spettante a Fiat); successivamente, Fiat verserà agli americani un altro assegno da 1,750 miliardi di dollari, che fissa così il prezzo della vendita a 3,650 miliardi. Sucessivamente, in base a un memorandum firmato da Chrsyler e Uaw, al sindacato americano andranno altri 700 milioni in quattro rate paritetiche da 175 milioni di dollari, la prima delle quali sarà pagata al closing e le altre allo scadere dei tre anniversari. Una somma, questa, a fronte della quale «la Uaw assumerà alcuni impegni finalizzati a sostenere le attività industriali di Chrysler e l'ulteriore implementazione dell'alleanza Fiat-Chrysler – si legge nella nota – tra cui l'impegno ad adoperarsi e collaborare affinché prosegua l'implementazione dei programmi di world class manufacturing e a contribuire attivamente al raggiungimento del piano industriale di lungo termine del gruppo». L'esborso di Fiat Grande soddisfazione da parte del Lingotto. Per il traguardo in sé, ovviamente, ma anche per le condizioni spuntate al tavolo della trattativa: in particolare, a Torino si plaude ai "soli" 1.750 miliardi che dovrà sborsare Fiat (il resto, di fatto, sarà pagato da Chrysler), una somma decisamente inferiore alle attese e che soprattutto scongiura un aumento di capitale da parte del gruppo, come sottolineato nella nota di ieri. I commenti «Aspetto questo giorno sin dal primo momento, sin da quando nel 2009 siamo stati scelti per contribuire alla ricostruzione di Chrysler», ha commentato John Elkann, Presidente di Fiat. «Il lavoro, l'impegno e i risultati raggiunti da Chrysler negli ultimi quattro anni e mezzo sono qualcosa di eccezionale e colgo questa opportunità per dare formalmente il benvenuto a tutte le persone di Chrysler nella nuova realtà frutto dell'integrazione di Fiat e Chrysler», ha aggiunto. «Nella vita di ogni grande organizzazione e delle sue persone ci sono momenti importanti, che finiscono nei libri di storia. L'accordo appena raggiunto è senza dubbio uno di questi momenti per Fiat e per Chrysler – ha commentato invece Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ma anche presidente e ad Chrysler». «Sarò per sempre grato al team di leadership per il sostegno e per il loro incessante impegno nel realizzare il progetto di integrazione che oggi assume la sua forma definitiva – ha aggiunto –: questa struttura unitaria ci permetterà di realizzare pienamente la nostra visione di creare un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze, punti di vista e competenze unico al mondo, un gruppo solido e aperto che garantirà alle sue persone un ambiente di lavoro stimolante e gratificante». Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-01-02/fiat-conquista-100percento-chrysler-064617.shtml?uuid=AB7FcBn&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com Titolo: Le scommesse dietro all’accordo che ha portato la Fiat ad acquisire Chrysler Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2014, 04:31:02 pm Detroit parla all’Italia
Le scommesse dietro all’accordo che ha portato la Fiat ad acquisire Chrysler Ce ne sono tante di scommesse dietro l’accordo che ha portato la Fiat ad acquisire il pieno controllo della Chrysler. Ha fatto bene Sergio Marchionne a parlare di intesa che entra nei libri di storia, come pure John Elkann a ricordare l’emozione che accomuna i 300 mila dipendenti del gruppo. I numeri sono importanti in un accordo che torna a proiettare la nostra industria nazionale in una dimensione globale che sembravamo, tranne rarissime eccezioni, avere smarrita. Ma le cifre spiegano solo parzialmente gli impegni, il nuovo percorso, impensabile sino a qualche settimana fa, che si sta aprendo per la Fiat, per il nostro Paese e per i numerosi attori: a cominciare dal governo. La Borsa ha già giudicato positivamente l’accordo, le azioni del Lingotto hanno segnato un rialzo del 16,4%. La Fiat sale al 100% della casa automobilistica di Detroit, creando il settimo gruppo del settore al mondo secondo la classifica di Global Insight, con una spesa di poco più di 1,2 miliardi di euro. E questo significa che la società di Torino non avrà bisogno di un aumento di capitale, cosa che tranquillizza i mercati. Gli analisti finanziari si sono già esercitati a considerare l’indebitamento che salirà, nel gruppo combinato, a oltre 14 miliardi di euro. Debiti che si confrontano con gli 88 miliardi di ricavi previsti a fine 2013 e con un utile di 1,2 miliardi sempre di euro. La modalità di pagamento dell’intesa prevede il versamento al fondo sanitario del sindacato dell’auto, Veba, di altri 700 milioni di dollari (dei circa 4,3 miliardi complessivi che riceverà per il 41,5% che possedeva nella Chrysler) in tre tranche diluite nel tempo. E questo dà un’indicazione precisa sul fatto che al di là dell’Atlantico si stia puntando decisamente sul futuro del gruppo. Il sindacato automobilistico Uaw si è impegnato inoltre a «sostenere le attività industriali di Chrysler e l’ulteriore sviluppo dell’alleanza con Fiat». Si comprende così come dagli Stati Uniti giunga ancora una volta una lezione di pragmatismo che spesso in Italia si ha la sensazione di non aver ben capito. Si può trattare anche duramente ma con un obiettivo comune: crescere e svilupparsi . Un atteggiamento che non tutti i sindacati italiani hanno avuto, a partire dalla Fiom che ne paga ora le conseguenze anche in termini di presa sui lavoratori del Lingotto. Ad aprile i vertici della Fiat presenteranno il nuovo piano industriale. Gli investimenti in Italia sono stati confermati ancora una volta. Ma dovranno essere tradotti in azioni. Si potrà verificare concretamente quanto il gruppo è pronto a puntare sull’Italia e su quello sarà misurato. I prossimi mesi saranno importanti per comprendere anche quanto il nostro Paese e il governo siano decisi a fare sì che l’accordo del primo gennaio abbia le maggiori ricadute positive possibili per l’Italia. A pochi è sfuggito quanto abbia influito sulla ripresa spagnola il fatto che l’industria dell’auto iberica sia tornata a essere competitiva in termini di costi e contratti e abbia drenato investimenti delle case tedesche. Si potrà anche discutere, e sicuramente accadrà, su dove avrà sede il prossimo nascente gruppo Fiat-Chrysler. Ma è evidente che assisteremo probabilmente a una distribuzione di più centri decisionali, alla luce di un mercato che è sempre più globale e che fa della diversificazione geografica uno dei punti di forza. È grazie alla sua presenza in Cina che la stessa sofferente Peugeot può ancora giocare la sua partita, sebbene affidandosi a un socio orientale. La scelta di puntare sulla Chrysler e sul mercato americano, oltre alla presenza consolidata in Brasile, rende oggi la Fiat un temibile competitor globale. L’occasione per il nostro Paese è confermare di potere essere un centro di stile, tecnologico e produttivo, importante e, visti i volumi di consumo interni sempre più ridotti, orientato anche all’export. Avere una forte industria manifatturiera significa anche sviluppare una altrettanto solida struttura di servizi. Una complementarietà che finalmente potrà contribuire alla crescita. Ma non bastano buoni accordi, imprese e sindacati, serve un Paese che comprenda la strategicità della combinazione. Tre numeri indicano che di strada da fare ne abbiamo parecchia: paghiamo l’energia il 30% in più rispetto al resto d’Europa, la burocrazia costa alle imprese 31 miliardi di oneri aggiuntivi e siamo al quarto posto tra i Paesi sviluppati in quanto a pressione fiscale ormai a quota 44,4% rispetto al Pil (Prodotto interno lordo). Non possiamo più permettercelo. 03 gennaio 2014 © RIPRODUZIONE RISERVATA DANIELE MANCA Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_gennaio_03/detroit-parla-all-italia-b7e203f8-743d-11e3-90f3-f58f41d83fbf.shtml Titolo: Marchionne: "Ecco il futuro della Fiat" Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2014, 05:24:28 pm Marchionne: "Ecco il futuro della Fiat"
Intervista dell'ad della Fiat su Repubblica: "L'America ci dà valore. Ora rilanciamo l'Alfa, e tutti gli operai rientreranno. Basta cassa integrazione" di EZIO MAURO DOTTOR MARCHIONNE, la settimana scorsa la Fiat si è comprata tutta la Chrysler, ha cambiato dimensione e identità e lei non ha ancora detto una parola. Cosa succede? "Quel che dovevo dire l'ho scritto il giorno dopo la firma ai 300 mila dipendenti del gruppo, insieme con John Elkann. Adesso dobbiamo soltanto lavorare perché questo sogno che abbiamo realizzato, e che io inseguivo dal 2009, si metta a camminare, anzi a correre, e produca i suoi effetti". Si ricorda come è incominciato tutto? "Sì. Avevamo un accordo tecnologico con Chrysler, un'intesa di minima, e mi sono accorto che non serviva a niente, perché non produceva risultati di qualche rilievo né per Fiat né per gli americani. È stato allora che l'idea ha cominciato a ronzarmi per la testa. Un'idea, non un progetto. Diceva così: o tutto o niente. O posso entrare nella gestione e prendermi la responsabilità delle due aziende, oppure perdiamo tempo". E poi? "Poi è arrivato il piano. La chiami fortuna, istinto, visione, quel che vuole. Resta il fatto che in quel momento di crisi spaventosa abbiamo visto nei rottami dell'industria automobilistica americana la possibilità di far rinascere una grande azienda in forma completamente diversa. E l'America ha creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte". Vuol dire che soltanto in America sarebbe stata possibile un'operazione di questo tipo? "Dico che per tante ragioni storiche e culturali noi europei siamo condizionati dal passato, l'idea di chiuderlo per far nascere una cosa nuova ci spaventa. Da loro no: c'è una disponibilità quasi naturale verso il cambiamento, la voglia di ripartire". Meno vincoli e meno dubbi? "Se porti un'idea nuova, in Italia trovi subito dieci obiezioni. In America nello stesso tempo trovi dieci soluzioni a possibili problemi. E poi è arrivato Obama". Che ha creduto subito al suo progetto? "Aveva l'obiettivo di salvare quelle aziende. La nostra fortuna è stata di poter trattare direttamente con il Tesoro, con la task force del Presidente, non con i creditori di Chrysler, come voleva la vecchia logica. Se no, oggi non saremmo qui". L'amministrazione vi ha sempre sostenuti? "Abbiamo scoperto che il nostro piano era più prudente del loro. Ma la seconda fortuna è stata che il mercato è ripartito prima del previsto, gli Usa oggi sono tornati a produrre 15 milioni di veicoli, la cura che abbiamo fatto a Chrysler funziona, noi ci siamo, tanto che la Jeep non ha mai venduto tante macchine come nel 2013, cioè 730 mila". Questo basta per mettere Chrysler al riparo? "Guardi che in America il mercato c'è ma è difficile, la competizione è durissima. Ma nelle vendite retail lo scorso anno Chrysler è cresciuta negli Usa più degli altri due big, Ford e Gm. Siamo il quarto produttore americano, perché in mezzo si è infilata Toyota. Quindi c'è molta strada ancora da fare, ma siamo in cammino. E meno male che l'istinto aveva visto giusto nel 2009, perché un'occasione così si presenta una volta sola nella vita: non accadrà mai più". Un piccolo non potrà mai più comprare un grande grazie alla crisi? "Abbiamo sfruttato condizioni irripetibili. È vero che normalmente il sistema americano è capace a digerire la bancarotta e a assicurarti le condizioni finanziarie per ripartire, perché il Chapter 11 negli Usa ti lava la macchia del fallimento. Ma quando siamo arrivati noi il sistema digestivo delle banche si era bloccato, ed ecco che abbiamo potuto negoziare direttamente con il governo, cosa mai accaduta prima". Un negoziatore più facile perché politicamente interessato al risanamento aziendale? "Mica tanto facile. Continuavano a dirmi che la Fiat doveva metterci la pelle, cioè i soldi. Ho avuto la faccia tosta all'inizio di dire no. Avevamo studiato bene le ceneri dell'automobile americana, sapevamo che il rischio era altissimo. Se vuoi, rispondevo, metto in gioco la mia pelle, vale a dire reputazione e carriera, ma la Fiat no. Nemmeno un euro". Perché hanno accettato? "Tenga conto che stiamo parlando della tragedia del 2009, quando i manager uscivano per strada con gli scatoloni perché le aziende chiudevano, quando la quota di mercato di Chrysler era precipitata al 6 per cento, non so se mi spiego. Certo, ogni tanto mi arrivava un messaggio dal mio partner al Tesoro: secondo te, questa rotta si sta invertendo? Bene, si è invertita. Abbiamo restituito al governo Usa tutti i soldi che aveva messo in Chrysler, 7 miliardi e mezzo di dollari, abbiamo ripagato tutti e dopo l'accordo con Veba non dobbiamo più niente a nessuno. A questo punto, ci siamo comprati il resto dell'azienda. Chrysler ha trovato un partner". Direi un padrone, no? "Direbbe male. La nostra non è una conquista, è la costruzione di un insieme. Ho scritto una lettera riservata al Gec, il Group Executive Council, cioè gli uomini che gestiscono il Gruppo, e ho detto che quello di Fiat-Chrysler è per me un sogno di cooperazione industriale a livello mondiale, ma soprattutto un sogno di integrazione culturale tra due mondi". Non vi sentite padroni di Chrysler, dunque? "Qualcosa di più, di meglio. Abbiamo creato una cosa nuova. E da oggi il ragazzo americano che lavora in Chrysler quando vede una Ferrari per strada può dire: è nostra. Poi, certo, se quando sono arrivato qui mi avessero detto che saremmo diventati il settimo costruttore del mondo, mi sarei messo a ridere. Capisco anche che in questi anni qualcuno ci abbia preso per pazzi. Per fortuna gli azionisti hanno creduto nel progetto e lo hanno appoggiato. John è venuto subito a Detroit, ha capito il potenziale dell'operazione e l'ha sostenuta fino in fondo". Lei sa che su questo successo americano c'è il sospetto che sia stato costruito a danno dell'Italia, delle sue fabbriche e dei suoi operai. Cosa risponde? "Che è vero il contrario. Questa operazione ha riparato Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea, che non è affatto finita. Non solo: ha dato la possibilità di sopravvivere all'industria automobilistica italiana in un mercato dimezzato. Altrimenti non ce l'avremmo più. E invece potrà ripartire con basi, dimensioni e reti più forti". Lei dopo la firma è ottimista, ma proprio oggi il Financial Times le fa notare che 4,4 milioni di vetture prodotte da Fiat- Chrysler sono appena la metà di Toyota, e l'accusa di essere un abile negoziatore ma non un costruttore, un uomo d'automobili. Come si difende? "Se adesso che ho Chrysler valgo mezza Toyota, quale sarebbe il mio valore senza l'America? Quanto alle automobili, al salone di Detroit 2011 abbiamo presentato 16 nuovi modelli tutti insieme. E aspettiamo il nuovo piano Alfa Romeo, per favore, prima di parlare". Però Moody's non ha aspettato, e ha già minacciato il downgrade Fiat per i troppi debiti e la poca liquidità dopo l'acquisto di Chrysler. Chi ha ragione? "Capisco il loro ragionamento, ma ricordo che nel 2007 arrivammo a zero debiti, prima che scoppiasse quel bordello nei mercati. Bisognerà vedere con il piano di aprile dei nuovi modelli dove si posizionerà il debito. Io non sono preoccupato, proprio no". Ma la strada maestra nelle vostre condizioni non sarebbe un aumento di capitale? "Sarebbe una distruzione di valore. Ci sono metodi, modelli diversi e innovativi per finanziare gli investimenti". Come il convertendo da un miliardo e mezzo di cui si parla? "Lasci stare le cifre. Ma il convertendo potrebbe essere una misura adatta". In un passato recente con il convertendo i banchieri italiani si sentivano già padroni della Fiat, non ricorda? "Ricordo, anche perché quando venivano al Lingotto mancava solo che prendessero la misura delle sedie. Invece la verità è che siamo qui, pronti a ripartire, ma abbiamo bisogno di soldi per finanziare la ripartenza. Le sembra un discorso troppo esplicito, troppo poco italiano?" No, se lei però mi dice dove quoterete la nuova società. "Fiat è quotata a Milano. Poi, andremo dove ci sono i soldi. Mi spiego: dove c'è un accesso più facile ai capitali. Non c'è dubbio che il mercato più fluido è quello americano, quello di New York, ma deciderà il Consiglio di amministrazione. Io sono pronto anche ad andare a Honk Kong per finanziare lo sforzo di Fiat-Chrysler". Come si chiamerà la nuova società? "Avrà un nome nuovo". Quando avverrà la fusione? "Spero subito, con l'approvazione del Consiglio al dividendo Chrysler di 1,9 miliardi. A quel punto il processo è chiuso, si può partire". E dove sarà la sede della nuova società? "Lo decideremo, anche in base alla scelta di Borsa, ma mi lasci dire che è una questione che ha un valore puramente simbolico, emotivo. La sede di Cnh Industrial si è spostata in Olanda, ma la produzione che era qui è rimasta qui". Lei dovrebbe capire dove nascono certe preoccupazioni. Quando è arrivato in Fiat si producevano un milione di auto in Italia, due milioni dieci anni prima, oggi appena 370 mila su un totale di 1,5 milioni di auto vostre. Come si può aver fiducia nel futuro dell'auto italiana in queste condizioni? "Se ritorniamo al punto in cui Fiat doveva investire in controtendenza in questi anni di mercato calante, io non ci sto, perché se posso scegliere preferisco evitare la bancarotta. Peugeot ha investito, e oggi si vede che i soldi sono usciti, ma il mercato non c'è. In più bisogna tener conto che le auto invecchiano, e un modello lanciato (e non comprato) durante la crisi sarà vecchio a crisi finita, quando i consumi possono ripartire. No, la strada è un'altra". Quale, dopo le promesse mancate di Fabbrica Italia? "Ecco un'altra differenza tra Italia e America. Là quando cambiano le carte si cambia gioco, tutti d'accordo, qui avrei dovuto mantenere gli investimenti anche quando il mercato è sparito. No, la nostra strategia è uscire dal mass market, dove i clienti sono pochi, i concorrenti sono tanti, i margini sono bassi e il futuro è complicato". Uscire dal mercato tradizionale Fiat per andare dove? "Nella fascia Premium, prodotti di alta qualità, con concorrenza ridotta, clienti più attenti, margini più larghi. In fondo abbiamo marchi fantastici e per definizione Premium, come l'Alfa Romeo e la Maserati. Perché non reinventarli?". E perché non lo avete fatto? "E lei, mi scusi, che ne sa? Sa della Maserati a Grugliasco, dove lavora gente in guanti bianchi a scegliere le rifiniture in pelle per andare sui mercati del mondo. Ma non sa che in capannoni-fantasma, mimetizzati in giro per l'Italia, squadre di uomini nostri stanno preparando i nuovi modelli Alfa Romeo che annunceremo ad aprile e cambieranno l'immagine del marchio, riportandolo all'eccellenza assoluta". Allora perché non lo avete fatto prima? "Mi servivano due cose: la capacità finanziaria, e oggi finalmente Chrysler come utili e come cassa mi copre le spalle, e un accesso al mercato mondiale. Oggi se mi presento con l'Alfa negli Usa ho una rete mia di 2.300 concessionari capaci di portare quelle auto dovunque in America, rispettandone il dna italiano". Dunque mi pare di capire che non venderà l'Alfa Romeo ai tedeschi, è così? "Se la possono sognare. E credo che la sognino, infatti. L'Alfa è centrale nella nostra nuova strategia. Ma come la Jeep è venduta in tutto il mondo ma è americana fino al midollo, così il dna dell'Alfa dev'essere autenticamente tutto italiano, sempre, non potrà mai diventare americano. Basta anche coi motori Fiat nell'Alfa Romeo. Così come sarebbe stato un errore produrre il suv Maserati a Detroit: e infatti resterà a casa". E cosa sarà degli altri marchi? "Fiat andrà nella parte alta del mass market, con le famiglie Panda e Cinquecento, e uscirà dal segmento basso e intermedio. Lancia diventerà un marchio soltanto per il mercato italiano, nella linea Y. Come vede la vera scommessa è utilizzare tutta la rete industriale per produrre il nuovo sviluppo dell'Alfa, rilanciandola come eccellenza italiana". Lei parla di modelli, parliamo di lavoro. Questa strategia come si calerà negli impianti che oggi sono fermi, o girano con la cassa integrazione, aumentando l'incertezza italiana nel futuro? "Senza una rete di vendita nei mercati che tirano, far la Maserati ad esempio non servirebbe a nulla. Adesso Chrysler ci ha completato gran parte del puzzle, soprattutto nell'area cruciale Usa-Canada-Messico, dove oggi possiamo entrare con gli stivali mentre ieri dovevamo presentarci con le scarpe da ballerina". Non è che nell'acquisto Chrysler c'è per caso una clausola di protezione dell'occupazione e della produzione americana? "Neanche per sogno, sarebbe una cosa tipicamente italiana, che là non è venuta in mente a nessuno". Parliamo allora delle fabbriche italiane. Quando e come ripartiranno? "Ecco il quadro. Nel polo Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati, compreso un nuovo suv e qualcos'altro che non le dico. A Melfi la 500 X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda vettura. Rimane Cassino, che strutturalmente e per capacità produttiva è lo stabilimento più adatto al rilancio Alfa Romeo. Mi impegno: quando il piano sarà a regime la rete industriale italiana sarà piena, naturalmente mercato permettendo". Sta dicendo che finirà la cassa integrazione eterna per i lavoratori Fiat? "Sì, dico che col tempo - se non crolla un'altra volta il mercato - rientreranno tutti". Scommettendo sull'Alfa e sulle auto Premium lei scommette sul dna italiano dell'auto: ma ha ancora corso nel mondo, con la crisi del nostro Paese? "La capacità italiana di produrre sostanza e qualità, di inventare, di costruire è enormemente più apprezzata all'estero che da noi. Il carattere dell'automobile italiana esiste, eccome. Tutto ciò è una ricchezza da cui ripartire. Noi siamo pronti. Ma se continuiamo a martellarci i piedi, invece di puntare al meglio, finirà anche questa storia". Ma cos'è il meglio, in un Paese che perdendo il lavoro sta perdendo anche la coscienza delle sue potenzialità, dei doveri e dei diritti? "È aprirsi al mondo, trovarsi spazio nel mondo, non chiudersi in casa, soprattutto quando intorno c'è tempesta. Fiat ci prova. Ho scritto ai miei che possiamo concorrere a dare forma e significato alla società del futuro. Anche per me arriverà il giorno di lasciare. Ma intanto, dieci anni dopo, è una bella partita". (09 gennaio 2014) © Riproduzione riservata Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/01/09/news/intervista_a_marchionne-75530856/?ref=HRER2-1 Titolo: Fiat-Veba, c’è la firma definitiva Al Lingotto il 100% di Chrysler Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2014, 05:56:14 pm Economia
21/01/2014 - motori Fiat-Veba, c’è la firma definitiva Al Lingotto il 100% di Chrysler Completata l’acquisizione. Per l’operazione pagati 3,6 miliardi di dollari Fiat ha completato oggi l’annunciata acquisizione dell’intera partecipazione detenuta dal Veba Trust in Chrysler, società che è ora interamente controllata dal Lingotto. Per l’operazione sono stati complessivamente pagati 3,6 miliardi di dollari: 1,7 da Fiat e 1,9 da Chrysler, in entrambi i casi attraverso l’utilizzo della liquidità disponibile. Come annunciato in precedenza, in contemporanea con le suddette operazioni, Chrysler Group e la International Union, United Automobile, Aerospace and Agricultural Implement Workers of America hanno sottoscritto un Memorandum d’Intesa ad integrazione del vigente contratto collettivo di Chrysler Group ai sensi del quale sono previste ulteriori contribuzioni da parte di Chrysler Group al Veba Trust per un importo complessivo pari a 700 milioni di dollari in quattro quote paritetiche pagabili su base annua. La prima quota è stata versata in concomitanza con il closing dell’operazione con Fiat. Fiat e Veba - si legge nella nota - ritireranno in via definitiva, nei tempi tecnici necessari, l’azione legale dinanzi al Court of Chancery del Delaware relativa all’interpretazione del contratto di call option. Da - http://lastampa.it/2014/01/21/economia/fiatveba-c-la-firma-definitiva-al-lingotto-il-di-chrysler-K3DbRs4DvOvj8kmqzFc6GM/pagina.html Titolo: Chrysler. - Completata l’acquisizione. Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2014, 06:59:05 pm Economia
21/01/2014 - motori Fiat-Veba, c’è la firma definitiva Al Lingotto il 100% di Chrysler Completata l’acquisizione. Per l’operazione pagati 3,6 miliardi di dollari Fiat ha completato oggi l’annunciata acquisizione dell’intera partecipazione detenuta dal Veba Trust in Chrysler, società che è ora interamente controllata dal Lingotto. Per l’operazione sono stati complessivamente pagati 3,6 miliardi di dollari: 1,7 da Fiat e 1,9 da Chrysler, in entrambi i casi attraverso l’utilizzo della liquidità disponibile. Come annunciato in precedenza, in contemporanea con le suddette operazioni, Chrysler Group e la International Union, United Automobile, Aerospace and Agricultural Implement Workers of America hanno sottoscritto un Memorandum d’Intesa ad integrazione del vigente contratto collettivo di Chrysler Group ai sensi del quale sono previste ulteriori contribuzioni da parte di Chrysler Group al Veba Trust per un importo complessivo pari a 700 milioni di dollari in quattro quote paritetiche pagabili su base annua. La prima quota è stata versata in concomitanza con il closing dell’operazione con Fiat. Fiat e Veba - si legge nella nota - ritireranno in via definitiva, nei tempi tecnici necessari, l’azione legale dinanzi al Court of Chancery del Delaware relativa all’interpretazione del contratto di call option. Da - http://lastampa.it/2014/01/21/economia/fiatveba-c-la-firma-definitiva-al-lingotto-il-di-chrysler-K3DbRs4DvOvj8kmqzFc6GM/pagina.html Titolo: Elkann: “Per l’auto futuro più solido Io resto qui, al Lingotto” (FiCA RIDICOLO) Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2014, 04:26:59 pm Economia
30/01/2014 - la nuova Fiat intervista Elkann: “Per l’auto futuro più solido Io resto qui, al Lingotto” Il presidente: “Con Fca prospettive che non potevamo nemmeno immaginare”. “Nell’ultimo ventennio abbiamo rischiato di fallire più volte per scelte sbagliate” Stampa Tv: Fiat-Chrysler nasce un gruppo globale Mario Calabresi Torino Il mio ufficio è questo, quello in cui mio nonno ha passato gli ultimi 5 anni della sua vita, e non si sposterà, resta qui, al Lingotto. Non ci sono scatoloni in giro perché nessuno ha mai pensato di traslocare. Vivo a Torino, i miei figli sono nati qui, qui vanno a scuola e qui hanno gli amici». John Elkann allarga le braccia di fronte alle profezie che lo volevano in fuga, insieme alla Fiat, dall’Italia: «È successo il contrario e questa è davvero una bella giornata perché il futuro dell’auto nel nostro Paese ora è molto più solido e ha prospettive che non avremmo mai potuto immaginare solo qualche anno fa». E’ tornato alla sua scrivania, dopo il consiglio che ha varato la nuova Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e dopo un pranzo con i rappresentanti di tutte le componenti della famiglia Agnelli. Nel suo atteggiamento non ci sono tracce delle difficoltà, degli scontri e delle polemiche degli ultimi anni. E’ sereno, sollevato e convinto che la scommessa era quella giusta: «Basti pensare a quello che abbiamo fatto con Maserati, che ha addirittura raddoppiato le vendite. Il progetto Premium, la scelta di puntare sui segmenti alti del mercato mondiale, sta funzionando molto bene e ha rimesso in gioco l’Italia. E all’interno di questa strategia è arrivata l’ora del rilancio di Alfa Romeo: c’è un enorme impegno su questo, il progetto è in stato avanzato e il nostro Paese ne sarà protagonista». John Elkann è presidente di Fiat da quattro anni ma siede nel Consiglio da ben diciassette: ha fatto in tempo a soffrire tutto il declino di quella che era la più grande azienda italiana e ora, che sente che la rotta è invertita, che «una squadra che ormai lottava solo per la salvezza è risalita nella parte alta della classifica», ha voglia di fare un bilancio. Di rifare il percorso degli ultimi vent’anni, di individuare gli errori che hanno portato la Fiat a un passo dalla scomparsa, di raccontare il giorno, anzi la sera, in cui le cose cominciarono a cambiare e di mettere a fuoco la ricetta della salvezza: «Non chiudersi mai nei propri confini, stare agganciati al mondo e concentrarsi solo su quello che si è capaci di fare davvero bene». Solitamente Elkann non è persona che ama mostrarsi troppo, non sarà un caso che gli industriali italiani che stima di più per quello che hanno costruito nella vita, Leonardo Del Vecchio e Michele Ferrero, siano famosi per non rilasciare mai interviste. Ma le domande che oggi circondano il gruppo e la sua famiglia hanno bisogno di risposte chiare. Appoggio sulla scrivania un foglio che ne elenca 26, alla fine avrà risposto a tutte tranne che a una, l’unica fuori tema, quella in cui gli chiedevo se Paul Pogba resterà alla Juventus. «E’ un grande... ma non ci casco: se no domani si parlerebbe solo di questo e non del futuro delle fabbriche». Partiamo proprio dai lavoratori: ci saranno produzioni sufficienti per tenere aperti tutti gli stabilimenti italiani? «L’obiettivo che abbiamo, se il mercato non ci tradisce, è di tornare ad avere tutte le persone al lavoro nelle nostre fabbriche». Facciamo chiarezza, quale sarà la sede di Fca, il suo quartier generale? «Non esisterà “una” sede, già oggi ce ne sono quattro: Detroit per il Nord America, Belo Horizonte per il Sud America, Shanghai per l’Asia e Torino per l’Europa». Ma quale sarà il ruolo del Lingotto? «Torino sarà il centro di un mercato immenso che copre Europa, Medio Oriente e Africa, ma non solo: è qui il cuore del progetto Premium su cui abbiamo scommesso una parte importante del nostro futuro». Per la sede legale di Fca però avete scelto l’Olanda. «È il domicilio ideale, prima di tutto perché è un luogo terzo rispetto a Italia e Stati Uniti e poi perché la forza di questo piccolo Paese è favorire dal punto di vista normativo le multinazionali». Quante tasse risparmierete da questa scelta? «Assolutamente niente: continueremo a pagare le tasse in tutti i Paesi in cui facciamo utili, Italia inclusa». Però dal consiglio che ha varato la nascita di Fca è venuta conferma che per la sede fiscale si punta alla Gran Bretagna. È forse questo il modo per pagare meno tasse? «No, lo ripeto: le tasse noi le paghiamo dove produciamo e vendiamo i nostri prodotti facendo utili. Il vantaggio di Londra è legato a un regime più favorevole per gli investitori americani che speriamo di attrarre con questa fusione». Lei ha appena incontrato a colazione gli altri membri della famiglia. Cosa pensano di questa fusione, soprattutto i più anziani? «La famiglia è convinta e compatta, da mia zia Maria Sole ai cugini più giovani. In tutti questi anni hanno sostenuto la Fiat con forza. L’entusiasmo e il senso di orgoglio che ho sentito sono lo stimolo migliore per andare avanti». C’è però chi sostiene che non volete mettere mano al portafoglio nonostante Fca nasca molto indebitata e mentre continuate a ricevere i dividendi. «Non è assolutamente vero: Fca presenterà il suo piano a maggio e noi di Exor, davanti ad un progetto in cui crediamo e alle buone prospettive che già si vedono, vogliamo esserci. Quanto ai dividendi, proprio per lavorare sull’abbattimento del debito e favorire gli investimenti, anche quest’anno non verranno distribuiti agli azionisti». Ma facciamo un passo indietro, a Detroit poche settimane fa ha detto che negli ultimi venti anni non c’è stato giorno in cui non sia stato preoccupato per la Fiat. «Da quando sono entrato in Consiglio ho sempre sentito che la situazione era estremamente precaria e ogni anno avevo la sensazione che la nostra squadra giocasse solo per la salvezza». Eppure vent’anni fa era appena stata lanciata la Punto e basta fare un piccolo passo indietro per vedere una Fiat che teneva testa alla Volkswagen, che veniva dal decennio della Uno, della Croma, della Thema… «Ma alcune volte, nell’ultimo ventennio, abbiamo rischiato di fallire». Cos’è successo in questi vent’anni che ha deteriorato così la situazione e vi ha fatto sprofondare in classifica? «Abbiamo sbagliato a non aprirci a sufficienza al mondo e l’errore più grande è stato di voler fare troppi mestieri, dalle assicurazioni ai motori aerei, dalla grande distribuzione ai treni, invece di concentrarci su quello che sapevamo fare. Abbiamo imparato molto da quegli errori e negli ultimi dieci anni ci siamo concentrati solo su due cose: fare automobili e svilupparci globalmente». Non tutti la pensano così: si dice che Marchionne sia prima di tutto un bravo finanziere mentre di modelli non ne avete poi fatti molti. «È stata una nostra scelta precisa non lanciare nuovi modelli in un mercato negativo ormai da anni e Marchionne di auto ne capisce eccome. Guardiamo ai fatti: solo nell’ultimo anno la 500L è stata eletta novità dell’anno in Italia, la Jeep Gran Cherokee è risultata il Suv più premiato di sempre, per la seconda volta di fila il Ram 1500 è stato nominato truck dell’anno negli Usa e proprio ieri anche in Francia, come già in Spagna e Gran Bretagna l’Alfa Romeo 4C ha vinto il premio di auto più bella del 2013. Il nostro twin air 0.9 turbo bi-fuel a metano è stato premiato in Germania come miglior motore dell’anno e le nostre fabbriche oggi sono tra le più all’avanguardia nel mondo». Prima di arrivare a questo traguardo però ci sono stati i giorni dello sconforto, della paura che partissero i titoli di coda di una storia centenaria. Ci racconta il giorno peggiore di questi anni? I ricordi non devono essere dei migliori perché istintivamente si allenta la cravatta e poi se la toglie. «Purtroppo i giorni dello sconforto sono stati tanti, vivevamo con l’acqua alla gola, se penso al 2004 e al 2005 quando dovevamo affrontare contemporaneamente troppe partite complicate: la trattativa con General Motors, i problemi con le banche e il fatto che dipendevamo da pochi prodotti e sostanzialmente da due soli mercati, Italia e Brasile. Era tutto precario, eravamo gli ultimi in classifica e lottavamo per la sopravvivenza». Cosa le rimane di quella primavera del 2004 in cui non solo la Fiat, ma anche la famiglia Agnelli perse i suoi punti di riferimento? «Ricordo come mi sentivo e non è un bel ricordo, dopo la morte del nonno e dello zio Umberto sentivo il peso della responsabilità. Responsabilità di essere all’altezza della storia familiare ma soprattutto delle tante persone che lavoravano per la Fiat». Quale era il clima che la circondava? «Fuori c’era molta sfiducia nei nostri confronti, ma nonostante tutto sembrasse segnato bisognava cercare di andare avanti, bisognava cercare una soluzione che assicurasse un futuro che non fosse di corto respiro». Quale è stato il momento cruciale? «È stata una cena, nella sera terribile in cui sarebbe morto Umberto, il 27 maggio del 2004. Andai a Ginevra all’Hotel D’Angleterre per parlare con Sergio Marchionne. Dal 2002 al 2004 erano cambiati cinque amministratori delegati, poi era scomparso il nonno e ora era in fin di vita lo zio, la situazione era disperata. Chiesi a Sergio se era disponibile a prendere la guida della Fiat e per me fu un momento di svolta perché sentii che per la prima volta avevo trovato un uomo che ispirava fiducia. Dopo che lo convinsi a pensarci seriamente fumammo ancora una sigaretta, per me sarebbe stata l’ultima, la mia vita cambiava e non ne avrei più accesa una». Su cosa vi siete trovati in sintonia? «Nella convinzione che Fiat fosse troppo piccola, che non si poteva più continuare a lottare solo per non retrocedere e nel sapere che di lì a poco non ce l’avremmo più fatta a salvarci. E poi nel rifiutare la logica di soluzioni precarie che si basassero su aiuti governativi, fatte con il denaro pubblico. Queste soluzioni non funzionano e non sono durature come dimostra il caso di Alitalia, ma potrei citarne tanti altri». E’ a quel punto che avete guardato fuori dai confini nazionali, cercando qualcuno disponibile a un matrimonio, da Peugeot a Opel? «Abbiamo percorso tante ipotesi e aperto un sacco di trattative con molti dei nostri concorrenti, per vedere come affrontare il problema insieme, ma l’intervento ogni volta dei vari governi nazionali non lo ha permesso, ha impedito soluzioni di mercato sostenibili». Nel frattempo però sembrava esserci qualche spiraglio? «Ho pensato che la luce potesse essere il lancio della 500, nell’estate del 2007, ma non abbiamo fatto in tempo a godercela che siamo precipitati nella crisi mondiale». Che avete trasformato nella più grossa delle opportunità. «Visto che in Europa non c’era spazio abbiamo guardato dall’altra parte dell’Oceano dove abbiamo trovato l’amministrazione Obama che si è fortemente impegnata per creare le condizioni per far rinascere un’industria automobilistica sana, forte e con un futuro». E lì vi siete fidanzati con Chrysler. «In quel momento ci voleva molto coraggio a fidanzarsi con Chrysler, che aveva un aspetto terribile. Ma questa è la dote di Marchionne, di non farsi spaventare dalle difficoltà e di saper vedere oltre le apparenze». Quando ha capito invece che era tempo di cominciare a pensare anche al matrimonio? «In due momenti, il primo è stato la presentazione del piano di rilancio della Chrysler, era l’autunno del 2009 e in quel momento mi si è aperto davanti agli occhi un mondo nuovo e ho sentito che poteva essere la fine di una condizione di precarietà. Il secondo quando abbiamo finito di pagare il debito con il governo americano: quel giorno il fidanzamento è diventato una cosa seria e, per stare nella metafora, è il momento in cui con Chrysler ci siamo scambiati gli anelli». Adesso siete il settimo gruppo nel mondo, diciamo che avete raggiunto la metà classifica, ma quanto è importante essere nei primi cinque, provare ad entrare nel gruppo di testa? «Non c’è dubbio che nella posizione in cui siamo saliti si sta molto meglio e più al sicuro e poi oggi Fca ha una gamma completa, presente su tutti i mercati e questo significa che siamo una realtà competitiva che può giocarsi la partita». Ma sono pensabili nuove operazioni di alleanza per aumentare i volumi? «I volumi come tali non sono da soli sufficienti, tanto che General Motors, pur essendo il più grande produttore di auto al mondo, è poi fallita nel 2009. Ma è anche vero che, se la cosa è ben gestita, avere più volumi è un indubbio vantaggio». Martedì siete stati a Palazzo Chigi per anticipare a Enrico Letta le decisioni del Consiglio che ha sancito la nascita di Fca, che reazione avete avuto? «E’ andata molto bene, il presidente del Consiglio ha apprezzato il fatto che ora le prospettive dell’auto in Italia sono destinate a crescere e saranno durature. Non poteva non fargli piacere ricevere buone notizie nel momento in cui ce ne sono troppe negative ogni giorno». Mentre si sta parlando del governo entra Sergio Marchionne: «Se venite da me vorrei farvi vedere una cosa, i nostri spot per la notte del Superbowl» la finale del football americano che si giocherà domenica prossima. Dopo Eminem e Clint Eastwood, protagonisti di due spot lunghissimi di Chrysler che hanno cambiato il modo di fare pubblicità in America, un altro nome che farà molto rumore. «Oggi la nostra comunicazione e la nostra creatività sono le più innovative al mondo» commenta Elkann, mentre usciamo dall’ufficio di Marchionne. Anche lui non ha previsto traslochi? «Continuerà ad avere il suo ufficio qui, di fronte al mio, insieme ai tanti altri che ha. La verità è che non ha un ufficio, la sua casa è l’aereo». Da - http://lastampa.it/2014/01/30/economia/elkann-per-lauto-futuro-pi-solido-io-resto-qui-al-lingotto-71JW468miwjDOuhTepvm3N/pagina.html Titolo: Il trasferimento all'estero di Fiat, indebolisce l'immagine d'Italia nel mondo.. Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2014, 04:30:03 pm Venerdì 31 Gennaio 2014 16:30
I maggiori valori economici delle partecipazioni di controllo da essa detenute concorrono alla formazione del reddito, ma la quota imponibile è limitata al 5 per cento dell'ammontare di questi valori. Anche l'onere delle imposte dovute per la exit tax potrebbe essere molto modesto. di Yoda Non è solo una questione di tasse. Il trasferimento all'estero di Fiat, uno dei brand italiani più noti, indebolisce l'immagine dell'Italia nel mondo e il suo intero sistema industriale. La notizia: la nuova Fiat Chrysler N.V (FCA) ha spostato la sua sede legale nei Paesi Bassi, la sua residenza fiscale nel Regno Unito e la quotazione principale a Wall Street. Lo ha deciso il consiglio di amministrazione di Fiat il 29 gennaio. A stupire è il fatto che, di fronte a problematiche di tale complessità, le autorità competenti non abbiano nemmeno cercato di capire, per tempo, le ragioni dell'abbandono né abbiano cercato di valutare le possibili alternative di un'operazione 'annunciata' da almeno tre anni. La vicenda esprime in modo efficace quel rovesciamento dei rapporti di forza tra imprese multinazionali e Stati nazionali che molti interpreti hanno di recente raccontato come il frutto maturo della globalizzazione; con i grandi gruppi collocati a cavallo dei continenti in posizione dominante rispetto agli Stati la cui sovranità non può superare i confini nazionali. Lo sdoppiamento tra sede legale e residenza fiscale è reso possibile dalle particolari regole previste in Olanda e Regno Unito, che consentono ad una società costituita secondo il diritto societario di uno dei due Stati di trasferire nell'altro Stato la sede di direzione effettiva (e quindi la residenza ai fini fiscali), pur continuando ad essere soggetta al diritto nazionale del Paese di costituzione. Questa configurazione, che in Italia non sarebbe stata possibile, consentirà a FCA di prendere il meglio degli ordinamenti, societario e fiscale, dei due Stati. In Olanda, la newco potrà emettere azioni ordinarie e speciali che garantiscono il voto plurimo in assemblea ordinaria ai soci 'stabili', in tal modo consolidando il controllo dell'azionista di riferimento, Exor, sul gruppo. Nel Regno Unito, la società beneficerà di un'aliquota della corporate tax al 21 per cento, ridotta al 10 per cento sulla quota di reddito societario attribuibile ai grandi marchi del gruppo, ai brevetti ed agli altri assets immateriali, così come prevede il nuovo regime agevolato c.d. patent box, in vigore da aprile 2013. In tal modo, il Regno Unito si candida a diventare un Paese altamente attrattivo per le società di gestione di tecnologia e beni immateriali e, nel contesto di una profonda riforma della tassazione delle imprese multinazionali, ha introdotto anche regimi di favore per il rimpatrio dei dividendi e per le controlled foreign companies (CFC): discipline che, nella versione italiana, limitano non poco l'operatività estera delle nostre grandi imprese , soprattutto dopo le modifiche apportate nel 2009. Infine, la quotazione ad Wall Street per collocarsi in una piazza finanziaria particolarmente appetibile per la raccolta di capitali. Un vero e proprio cherry picking che, fior da fiore, coglie il meglio da ogni ordinamento nazionale. L'Italia, evidentemente, non aveva niente da offrire. In ogni caso, l'annunciata integrazione giuridica di Fiat SpA - che detiene, tra le altre, le partecipazioni di controllo di Maserati, Ferrari, Fiat Group Automobiles, Magneli Marelli etc. - nella società olandese FCA è solo l'ultimo dei tre differenti livelli in cui si è articolato negli anni il lungo e complesso processo di riorganizzazione del gruppo che ha portato alla costituzione di un unico soggetto globale sovranazionale. Il primo livello ha investito direttamente gli stabilimenti industriali delle quattro macro-aree (Usa, Europa, America Latina, Oriente) in cui si articola la produzione del gruppo nel mondo e ha portato alla integrazione e al reciproco 'travaso' delle 'conoscenze' proprie del sistema industriale. Ad un secondo livello, è stata promossa l'integrazione delle conoscenze manageriali e del potere di indirizzo strategico, il quale è stato attribuito al GEC (Group Executive Council) che raccoglie, sotto la presidenza di Marchionne, i principali top managers di differenti nazionalità. E' il GEC che assume le decisioni più importanti per le strategie e gli investimenti del gruppo; e sarà probabilmente il GEC - "una banda di nomadi in viaggio tra tutte le regioni", secondo la definizione di Marchionne - che, ancor più del CdA di Fiat S.p.A, dovrà stabilire il proprio quartier generale nel Regno Unito, a conferma che lì è effettivamente situata la sede di direzione effettiva. E con essa la residenza fiscale. Fisco Equo ha già diffusamente parlato, in un articolo del 9 ottobre 2011, di questo processo che coinvolge molteplici e differenti piani di policy. Volendo inoltre trascurare le questioni di prospettiva (ad esempio, i migliori o peggiori utili futuri), le implicazioni fiscali del trasferimento di sede appaiono relativamente semplici solo se ci limitiamo a prendere in considerazione l'ultimo livello di integrazione, quella giuridica della holding Fiat S.p.A in FCA nell'ambito di una probabile operazione di fusione intracomunitaria. In conseguenza del trasferimento all'estero della holding italiana, in effetti, i maggiori valori economici delle partecipazioni di controllo da essa detenute (e non attribuite ad una stabile organizzazione nel territorio nazionale) concorrono alla formazione del reddito; la quota imponibile, tuttavia, è limitata al 5 per cento dell'ammontare dei suddetti maggiori valori (rispetto al costo), tenuto conto che essi sono riferibili a partecipazioni che, come è probabile, godono del regime di participation exemption. Non solo. Tale quota potrebbe risultare compensata (in tutto o in parte) con le perdite conseguite in passato da Fiat S.p.A. e non ancora utilizzate. In definitiva, l'onere delle imposte dovute per la c.d. exit tax potrebbe essere anche molto modesto. Altre e ben più complesse sono le problematiche fiscali connesse ai due precedenti livelli di integrazione e interscambio di processi industriali, tecnologia, competenze e leadership, perché richiedono di valutare, alla luce dei principi OCSE, ciò che il gruppo ha dato alla Casa madre italiana e ciò che da essa ha ricevuto: le opportunità che ha acquisito o perduto. Da - http://www.fiscoequo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=852:fiat-crysler-nuova-sede-legale-e-residenza-fiscale-allestero-un-danno-per-litalia&catid=52:attualita&Itemid=110 Titolo: Elkann: “Il nostro impegno per l’Italia contro lo scetticismo” Inserito da: Admin - Aprile 11, 2014, 11:51:31 pm Economia
09/04/2014 Elkann: “Il nostro impegno per l’Italia contro lo scetticismo” Gran balzo dell’utile di Exor a 2 miliardi grazie alla vendita ella quota in Sgs Il presidente della holding del gruppo Agnelli nella lettera agli azionisti annuncia che l’assemblea sarà il 22 maggio nello stabilimento di Grugliasco Un gran balzo dell’utile a 2 miliardi di euro (rispetto ai precedenti 298,3 milioni) grazie alla vendita della partecipazione in Sgs; 1,28 miliardi di euro in cassa (a fine 2012 la posizione finanziaria netta era negativa per 525,9 milioni); un dividendo invariato di 0,335 euro per azione. Questi i risultati principali approvati oggi dal consiglio di amministrazione di Exor, la finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli e presieduta da John Elkann. Al 31 dicembre 2013 il valore netto degli attivi, Net Asset Value (Nav), è pari a 8,8 miliardi, con un incremento di 1,2 miliardi rispetto al 31 dicembre 2012. Il patrimonio netto consolidato ammonta a 6,9 miliardi, con un incremento netto di 778,6 milioni rispetto al dato di fine 2012. La variazione positiva riflette anche i dividendi incassati dalle partecipate (146,3 milioni), i rimborsi di riserve da partecipate (4,6 milioni), le cessioni e i rimborsi di capitale (2,07 miliardi), che sono stati parzialmente compensati dagli acquisti di azioni proprie (-105,1 milioni), dagli investimenti effettuati nel corso dell’esercizio (-182,8 milioni), dai dividendi distribuiti da Exor (-78,5 milioni) e da altre variazioni nette (-48,1 milioni). I risultati verranno sottoposti all’assemblea degli azionisti che si terrà il 22 maggio a Grugliasco, vicino a Torino, presso lo stabilimento ex Bertone rivitalizzato dal gruppo Fiat Chrysler con la costruzione dei nuovi modelli Maserati. Buone le previsioni per quest’anno. A livello consolidato l’esercizio 2014, evidenzia la relazione del presidente Elkann, «dovrebbe evidenziare risultati economici positivi che, peraltro, dipenderanno in larga misura dall’andamento delle principali società partecipate». Nella sua lettera agli Azionisti Elkann ribadisce l’impegno di Fiat in Italia e parla di «segnali molto incoraggianti per ciò che era stato accolto da molti con parecchio scetticismo». Non solo, si dice convinto che Exor sia ormai incamminata sulla strada giusta. «Siamo fiduciosi nelle prospettive dei nostri investimenti. Se dovessero richiedere nuovi capitali per crescere ancora ed essere redditizi, saremmo più che felici di assicurarglieli». Note positive anche dalla controllata Juventus. «La buona notizia per gli azionisti - racconta Elkann - è la correlazione tra risultati sportivi e ricavi, cresciuti del 33% a 284 milioni di euro. Ancor più incoraggiante è il fatto che i ricavi siano cresciuti in misura maggiore dei costi operativi, che sono aumentati del 10%». Da - http://lastampa.it/2014/04/09/economia/elkann-il-nostro-impegno-per-litalia-contro-lo-scetticismo-Wv30GX3OBrfVjqCH2Ry3IL/pagina.html Titolo: Fiat, un piano da 30 miliardi ... se son rose fioriranno. Inserito da: Admin - Maggio 06, 2014, 04:49:48 pm Fiat, un piano da 30 miliardi
Manterrà il controllo su Alfa Romeo, Ferrari e Maserati Dal nostro inviato PAOLO GRISERI DETROIT. È il giorno della verità per Sergio Marchionne. Di fronte a centinaia di analisti dovrà convincere gli investitori americani a scommettere sull’azienda più globale del mondo dell’auto. Per questo l’investor day si svolge a Detroit e non in Europa, perché è a Wall Street che Fca si giocherà le sue carte con la quotazione prevista per fine anno. Così per conoscere i nuovi modelli che si costruiranno a Mirafiori, Cassino e Pomigliano è necessario raggiungere l’anfiteatro in mezzo al parco dei cervi che circonda la sede Chrysler di Auburn Hills, Usa: è qui che batte il business. I calcoli riservati delle ore che precedono la convention dicono che Marchionne dovrebbe annunciare un piano che supera i 30 miliardi di euro da investire da oggi al 2018. Di questi, circa un terzo verrebbe speso in Europa per finanziare soprattutto la ripresa dell’Alfa Romeo e un terzo andrebbe nelle Americhe dove è necessario far fronte alla concorrenza non solo nel Nord ma anche nel Sud (nei prossimi mesi sarà inaugurato il nuovo stabilimento brasiliano di Pernambuco). L’ultimo terzo degli investimenti andrà in Asia, in particolare in Cina per il lancio della Jeep. Il classico marchio Usa e la nuova Alfa Romeo sono i due punti di forza del piano. Nelle previsioni degli analisti (Automotive news) il Lingotto prevede di raddoppiare le vendite di Jeep arrivando a 1,5 milioni di venduto puntando sulla Renegade, il piccolo Suv prodotto a Melfi e in un prossimo futuro, insieme a Gac, anche in Cina. Per quanto riguarda l’Alfa Romeo si prevedono ben sei nuovi modelli prodotti in Italia (due a Mirafiori, due o tre a Cassino e uno a Modena) realizzati partendo da una nuova piattaforma che i tecnici hanno chiamato «Giorgio». Gli annunci che riguardano l’Italia dovrebbero concludersi con il nuovo modello della gamma Panda, da affiancare all’attuale, per Pomigliano. Il resto degli stabilimenti italiani conosce da tempo le sue mission: Melfi con Renegade e la nuova 500X, Grugliasco e Modena con i modelli Maserati. A questi va aggiunto il nuovo Suv del tridente già annunciato alla fine del 2013. Ma Marchionne avrà i soldi per far fronte a questo imponente piano senza ricorrere ad aumenti di capitale? Finora l’ad del Lingotto ha sempre risposto che un aumento non è necessario o comunque non indispensabile. Evidentemente l’ad spera nell’arrivo di denaro fresco legato allo sbarco in Borsa a Wall Street. Oggi certamente gli analisti presenti alla convention di Detroit si aspettano una risposta chiara. In un report di Bernstein citato nei giorni scorsi da Bloomberg si sottolinea che, oltre a quelli per Jeep e Alfa Romeo, altri investimenti sono necessari a medio termine. Come quelli per il rinnovo della gamma Chrysler a partire dal modello-immagine, il Grand Cherokee e, in Brasile, per un modello che possa far fronte alla concorrenza del gruppo Renault con il marchio rumeno Dacia. Il report si conclude con l’ipotesi che Marchionne si decida a quotare Ferrari o addirittura, in futuro, a vendere Alfa. Questa seconda prospettiva appare meno attuale oggi di ieri perché pochi investirebbero miliardi in un bene che si apprestano a vendere domani. Molto si attendono dal piano i lavoratori italiani. Nell’anfiteatro di Auburn Hills è presente anche una delegazione dei sindacati firmatari degli accordi con il Lingotto. Non sarà facile per Marchionne far dimenticare l’esito del precedente piano Fabbrica Italia. C’è da augurarsi che il piano Fabbrica Mondo abbia miglior fortuna. (06 maggio 2014) © Riproduzione riservata Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/05/06/news/bloomberg_fiat_manterr_controllo_su_alfa_romeo_ferrari_e_maserati-85331471/?ref=HREC1-1 Titolo: Marchionne: «Jobs Act non ci influenza ma va sostenuto» Inserito da: Admin - Maggio 24, 2014, 06:00:55 pm Marchionne: «Jobs Act non ci influenza ma va sostenuto»
23 maggio 2014 Sergio Marchionne, a Ginevra per il Salone dell'Auto, interviene a margine della conferenza stampa anche sul nuovo governo Renzi: «Non abbiamo mai espresso opinioni personali o aziendali su chi ci governa. Noi appoggiamo il sistema in termini di stabilità». «Il Jobs Act di Renzi non avrà su di noi un impatto immediato - puntualizza l'amministratore delegato di Fca - nel senso che il nostro piano industriale andrà avanti comunque con un impegno invariato. Il Jobs Act ha un altro obiettivo, quello di cercare di risolvere il problema del livello di disoccupazione in Italia e di attirare capitali esteri». Infine Marchionne insiste: «La Fiat non ha mai lasciato l'Italia, ci stiamo muovendo internazionalmente in un mondo che è diventato piuttosto piatto». (Rcd - Corriere Tv) Da - http://video.corriere.it/marchionne-jobs-act-renzi-non-ci-influenza-ma-va-sostenuto/39ff53d0-a39c-11e3-85bd-aff5c7c5e706 Titolo: EXOR - E’ la prima assemblea di azionisti convocata in una fabbrica. Inserito da: Admin - Maggio 24, 2014, 06:20:32 pm EXOR
E’ la prima assemblea di azionisti convocata in una fabbrica. I soci Exor riuniti da John Elkann alla Giovanni Agnelli Plant approvano il bilancio 2013 mentre, separati solo dal muro della grande sala, i dipendenti Maserati fanno girare a pieno ritmo le linee che sono ormai arrivate a produrre 150 supercar al giorno. Chiaro che l’ambientazione scelta dal presidente della holding di casa Agnelli, oltre che di Fiat Chrysler Automobiles, non è casuale. Lo stabilimento di Grugliasco era morto, fino all’intervento del Lingotto e alla decisione di puntare sulla sua rinascita per il rilancio del Tridente. E ora che l’operazione ha mantenuto le promesse – la «nuova» Maserati è davvero un successo internazionale – portare gli azionisti di controllo lì, accanto a operai e tecnici, significa «far vedere in maniera tangibile qual è il peso dell’Italia» nella strategia dell’intero gruppo. Oggi e ancor più domani, assicura Elkann: «Nel futuro di Fca la componente italiana ha prospettive molto più ampie e solide di quanto non sarebbe stato senza la fusione con Chrysler». Fiat si autofinanzierà Parla di tutto, Elkann, prima e dopo l’assemblea iniziata a Grugliasco martedì mattina. Delle prospettive e dei progetti di Exor, naturalmente. O di Rcs. Ma è chiaro che il faro più potente è sempre sull’auto. I mercati si sono mostrati scettici sul piano quinquennale da 55 miliardi di investimenti, presentato il 6 maggio scorso a Auburn Hills? Il presidente della holding di controllo è convinto che si ricrederanno. «Questo – ribadisce – è un piano ambizioso ma non velleitario, anzi: è assolutamente realizzabile. E senza bisogno di aumenti capitale. Sono i fatti a dire che può essere finanziato interamente con il debito, tra l’altro in un contesto in cui non vedo una risalita dei tassi». Poi certo, se la situazione dovesse cambiare, «come ho sempre detto e come ripeto adesso, qualora fossero necessarie per un’ulteriore crescita - anche attraverso acquisizioni - noi siamo pronti a fornire a tutte le nostre partecipate nuove risorse». Varrebbe dunque, «nel caso», anche per Fca. Sul cui conto però insiste: l’obiettivo di superare, a fine piano (2018), «i sei milioni di auto prodotte e il settimo posto tra i costruttori mondiali», come indicato dallo stesso Sergio Marchionne, è «totalmente autofinanziabile: e infatti non prevede, allo stato, aumenti di capitale». Una «quarta sorella nei servizi» I mezzi, in ogni caso, Exor li avrebbe. Ampiamente. In cassa ha, grazie soprattutto alla cessione di Sgs (un anno fa), poco più di 2,5 miliardi. Al momento sono investiti in liquidità, perché «l’ansia in questi casi non porta bene». Ma ci sono discussioni aperte e «siamo già stati molto chiari sul modo in cui vorremmo reimpiegarli: società importanti, globali, di cui avere il controllo, in un mestiere che richieda meno capitale fisso rispetto all’auto o ai capital goods». L’identikit, per quella che Elkann definisce «la quarta sorella» destinata ad affiancare i tre settori delle principali partecipazioni Exor (l’auto di Fca, le macchine agricole e i camion di Cnh Industrial, l’immobiliare di Cushman & Wakefield e Almacantar), porta a una società di servizi. Ma, di nuovo: «Senza fretta «. Nessuno in casa Agnelli ha intenzione di rovinare il ruolino di marcia che, negli ultimi cinque anni, ha visto il titolo rivalutarsi del 406%: dieci volte tanto l’indice Ftse-Mib. «Avanti con il piano Rcs» Elkann premette, ancora una volta: “Fiat è azionista storica di Rcs. L’anno scorso le condizioni erano disastrose, il gruppo stava per portare i libri in Tribunale. Se non fossimo intervenuti, per senso di responsabilità e perché convinti che si potesse ribaltare la situazione, sarebbe fallito». Ora però «non c’è bisogno di un altro aumento di capitale» e per la casa editrice del Corriere della Sera (di cui Fiat è il primo azionista con circa il 20%), il presidente Exor è ottimista. «Il piano di Pietro Scott Jovane non ha solo rispettato gli obiettivi, li ha superati. A giudicare dall’andamento del titolo, oggi sembra che tutti lo vogliano…». Le quotazioni, per la verità, ieri hanno aperto in ribasso nonostante le indiscrezioni su una possibile rinegoziazione del debito. Elkann però pensa al trend, e anche a quello si riferisce rispondendo alle domande sul duello con Diego Della Valle e sulle critiche (passate?) di Mr. Tod’s alla gestione: «Al di là del folklore, il dottor Della Valle in fondo è una persona che bada al sodo. Credo abbia visto che è più ricco del 30%, che le preoccupazioni dichiarate nell’assemblea dell’anno scorso non erano fondate». Insomma: «Che si sia ricreduto». Vi siete parlati? «No». E Urbano Cairo? Anche il patron de La 7, che ha da poco aumentato la propria quota, non aveva risparmiato critiche. Sorriso di Elkann, risposta non solo diplomatica: «Non penso investa in una società che ritiene mal gestita». 22 maggio 2014 | 13:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.corriere.it/economia/14_maggio_22/exor-assemblea-fabbrica-28ca7caa-e1a1-11e3-8be9-3eb4fd26c19b.shtml Titolo: Ritratto di Marchionne un AD all'americana Inserito da: Admin - Giugno 01, 2014, 04:54:41 pm Rivoluzione manageriale in pullover: ritratto di Marchionne un ad all'americana
Di Andrea Malan 1 giugno 2014 Il manager dal golfino nero arrivò a Torino in giacca e cravatta. Il girocollo informale è un'idea che gli è venuta dopo: Sergio Marchionne è attento alle apparenze come alla sostanza. Al di là dei simboli, che l'italiano venuto dal Canada non fosse un manager come gli altri si era capito "alla velocità della luce" (per usare un'espressione a lui cara): da come ha snellito in pochi mesi la struttura direzionale del gruppo, accantonando – oltre ai pachidermi annidati negli uffici – anche i manager che non si sarebbero integrati nel suo progetto; dalle mosse da manager americano, come l'andare a pranzo alla mensa di Mirafiori; dal modo di spiazzare i sindacati, che fino al 2007 lo applaudivano compatti e si sono poi divisi in feroci polemiche. Un personaggio, insomma, che il sistema Italia ha fatto fatica a classificare (il numero di libri scritti su di lui dimostra peraltro che i tentativi non sono mancati). L'immagine pubblica di Marchionne ha subìto gli alti e bassi abbastanza tipici in Italia: esaltato all'inizio per il risanamento dei conti e l'impegno a non chiudere le fabbriche, criticato per il blocco degli investimenti, per i compensi da record e più di recente per la decisione di spostare la sede del gruppo Fiat all'estero. Molto più positiva è l'immagine che il manager italo-canadese ha negli Stati Uniti, per il suo ruolo nel salvataggio e nel rilancio della Chrysler; un'operazione, quella con Chrysler, che rimane per ora il suo capolavoro e che ha portato a Fiat, oltre a un serbatoio di utili che si è rivelato essenziale negli ultimi tre anni, anche a un cambiamento epocale nell'organizzazione. Dal punto di vista manageriale, infatti, Fiat si è davvero e ormai definitivamente globalizzata. Marchionne guida Fiat Chrysler – in perfetta sintonia con il presidente e proprietario John Elkann – con una squadra di 19 manager che gli rispondono direttamente, ovvero i membri del Consiglio direttivo, il Gec: sono 5 italiani, 6 stranieri di origine Fiat e 8 "americani". Al centro c'è sempre lui che, dotato di capacità lavorative fuori dal comune, ha accentrato su di sé di volta in volta parecchi ruoli contemporaneamente: oltre che amministratore delegato è stato per lunghi periodi chief financial officer, capo del settore auto, poi presidente e amministratore delegato di Chrysler e – dopo lo scorporo di Fiat Industrial – presidente di quest'ultima. Il "Dottore" – come viene chiamato in Fiat - ha sempre concesso ai suoi manager un'autonomia limitata (anche dal punto di vista finanziario) e ha mantenuto un notevole controllo su tutti i dettagli. Un aneddoto per sintetizzarlo: nel 2009 la Fiat lanciò un restyling della Punto, chiamandola Punto Evo. L'evoluzione era rappresentata nello spot pubblicitario da una riga che si colorava progressivamente di blu, come quando un computer carica un programma. E proprio sulla tonalità di blu di quella riga, in occasione di un convegno sull'auto un marketing manager del Lingotto chiedeva ansiosamente al telefono: «L'ha vista il Dottore, gli va bene?». Il suo ruolo di deus ex machina dell'organizzazione Fiat provoca negli analisti finanziari periodici accessi di ansia alla domanda: «Che succederebbe se dovesse andarsene all'improvviso?». Marchionne, che compie 62 anni alla fine di questa settimana, resterà nei piani al volante del gruppo (almeno) fino al 2018; la durata del suo mandato avvicinerà così quella dei grandi manager Fiat del passato, da Valletta a Romiti. La sua impronta è già altrettanto significativa, anche se con un manager così forte e accentratore, il giudizio conclusivo potrà arrivare solo quando avrà passato il testimone. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-05-31/rivoluzione-manageriale-pullover-ritratto-marchionne-ad-americana-200727.shtml Titolo: Marchionne: «L’Italia ce la farà, ma non so quando» Inserito da: Admin - Settembre 16, 2014, 06:12:29 pm Il 13 ottobre lo sbarco del gruppo a Wall Street
Marchionne: «L’Italia ce la farà, ma non so quando» L’ad di Fiat Chrysler in vista della visita del premier Renzi a Detroit: «Gli mostrerò il nostro processo risanamento» Di Redazione online Sergio Marchionne non ha dubbi: l’Italia ce la farà. L’amministratore delegato di Fiat-Chrysler però aggiunge: «Quando non lo so, non vedo le cose migliorare nel breve termine». Dagli Usa, dove ha ritirato un premio, Marchionne parla poche ore dopo i deludenti dati sul Pil italiano diffusi dall’Osce sottolineando che «l’unica cosa per creare crescita sono gli investimenti. Non riusciamo ad attirare abbastanza capitali». Negli Stati Uniti la situazione è diversa: sono tornati a crescere dopo la crisi del 2008, continua. «A Renzi mostro realtà del nostro risanamento» A pochi giorni dalla visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi negli Usa, Marchionne dice: «Sono più che disposto a fargli vedere la realtà di Fiat Chrysler, descrivere il processo di risanamento dell’azienda. Sono disposto anche a presentargli i sindacati americani». Lo sbarco a Wall Street Marchionne ribadisce che Fiat sbarcherà in borsa a New York il 13 ottobre e con una battuta aggiunge che quel giorno arriverà a Wall Street «in Maserati, non in Ferrari» alludendo al fatto che proprio il 13 ottobre Marchionne assumerà la guida della casa di Maranello. Il fatto di assumere le redini del Cavallino, oltre a quelle di Fiat Chrysler, potrebbe tradursi in benefici per l’initial public offering: «può darsi» dice Marchionne. Non prevedendo alcun road show per gli investitori prima della quotazione, il cui processo «va avanti», Marchionne «benedice» la maxi initial public offering (con una raccolta superiore ai 21 miliardi di dollari) di Alibaba e afferma: «Noi dobbiamo ricordarci da dove siamo partiti». «Quando una Ferrari vincente in pista? Se lo sapessi» L’ad di Fiat parla anche di Ferrari assicurando che «non ci sarà cambiamento nell’esclusività del marchio». Marchionne poi aggiunge «Bisogna migliorare la performance sportiva» e a chi gli chiedeva quando Ferrari tornerà sul podio della Formula 1, Marchionne replica: «Se lo sapessi. Luca (Montezemolo, ndr) ha provato, ha fatto un gran lavoro. Dobbiamo riorganizzarci, chiediamo un po’ di tempo». «Alfa Romeo tutta da rifare» E tempo serve anche ad Alfa Romeo spiega ancora Marchionne. Se Fiat sta «ripartendo un po’ alla volta» in un mercato debole, Alfa Romeo «è tutta da rifare, lasciamo stare il prodotto» spiega l’ad. Marchionne ha aggiunto che il rilancio dell’Alfa Romeo è un tassello importante del piano industriale di Fiat Chrysler, che prevede miliardi di dollari di investimenti nei prossimi cinque anni, molti dei quali destinati proprio ad Alfa Romeo. 16 settembre 2014 | 07:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.corriere.it/economia/14_settembre_16/marchionne-l-italia-ce-fara-ma-non-so-quando-e59ece92-3d5b-11e4-8a05-562db8d64ccf.shtml Titolo: Marchionne: "Nessun colloquio con Psa". E apre all'Alfa in Formula Uno Inserito da: Arlecchino - Marzo 01, 2016, 06:14:34 pm Marchionne: "Nessun colloquio con Psa". E apre all'Alfa in Formula Uno
L'ad di Fca parla dal Salone dell'auto di Ginevra: "Non stiamo parlando di alleanze con nessuno". Poi promette il massimo sforzo per la piena occupazione degli stabilimenti in Italia e sul futuro del marchio dice: "Potrebbe entrare nel mondo delle corse, magari con i motori Ferrari" 01 marzo 2016 MILANO - Nessun colloquio con Peugeot. "Massimo impegno" per la piena occupazione negli stabilimenti italiani di Fca entro il 2018 e "perché no" all'Alfa Romeo in Formula Uno, "magari con i motori Ferrari". Da Ginevra, dove è in corso il Salone dell'auto, l'ad di Fca, Sergio Marchionne, risponde alle domande sul futuro del gruppo escludendo - prima di tutto - di aver avviato dei colloqui per una fusione i francesi di Psa, "ma in questo momento non stiamo parlando con nessuno". Quanto al tema della piena occupazione il manager italo-canadese spiega che "cercheremo di fare del nostro meglio, siamo in buone condizioni. Non ho cattivi annunci da dare, quindi preparatevi a una serie di lanci di modelli". A Ginevra, intanto, ne sono stati presentati dieci tra nuovi modelli e restiling: "Quello che vedete oggi è solo l'inizio", spiega Marchionne nella prima conferenza stampa dopo il lancio di Giulia e Maserati Levante: "Come avevamo promesso, avremmo investito quando il mercato avrebbe ripreso". Sul marchio Alfa l'amministratore delegato del Lingotto punta molte carte: "Abbiamo finalmente messo a punto la piattaforma. Il ritardo rispetto ai tempi era proprio legato alla necessità di avere un prodotto tecnologicamente all'altezza dei concorrenti in un segmento in cui noi eravamo usciti. Ora dovrete abituarvi a veder uscire i modelli a ritmo sostenuto". Insomma Marchionne ostenta fiducia è certo il ritardo sulla tabella di marcia per il rilancio di Alfa Romeo a togliergli il buon umore. D'altra parte per l'ad di Fca solo "due dei sei modelli previsti" arriveranno dopo il 2018: gli altri saranno nei concessionari entro due anni. Oltre alla Giulia ci sarà un SUV compatto che viene fatto a Cassino. La 4c è già in vendita: all'appello mancano l'ammiraglia, il grande SUV, l'erede della Giulietta e quella della Mito. A sostenere la tranquillità di Marchionne contribuiscono anche le vendite visto che "febbraio per noi è stato un mese decente sia in Canada sia in Usa, così come in Europa e in Italia. Non vedo elementi negativi ad eccezione dell'America Latina. Non ci sono motivi per essere pessimisti". Nel Vecchio continente il gruppo stima di aumentare le vendite nel 2016 del 3%. A stuzzicare la fantasia degli addetti ai lavori, così come degli appassionati, però è soprattutto la possibilità dell'ingresso dell'Alfa Romeo in Formula 1 che secondo Marchionne sarebbe "una grandissima cosa, sarebbe importante affermare il marchio commercialmente, credo che la Ferrari sia disposta a fargli da spalla per lo meno agli inizi. Potrebbe cominciare con i motori Ferrari comunque non è un discorso imminente. Quello che si può fare lo facciamo, vedo bene l'Alfa in F1 per ragioni storiche". A livello politico, prosegue la luna di miele con il governo Renzi con il manager che sottolinea l'efficacia dell'agenda delle riforme spiegando che "deve essere continuata, è essenziale per la credibilità del paese all'estero". Marchionne parla anche della gestione del debito pubblico perché "che sia alto è la scoperta dell'America, è in quelle condizioni da anni e la colpa non è mia, non è di Renzi. E' una cosa da gestire, ma l'unico modo per ripagare i debiti è guadagnare di più e avere introiti fiscali, tasse abbinate ai redditi delle persone e delle imprese, quindi cerchiamo di farle guadagnare di più. Poi naturalmente bisogna ridurre la spesa". © Riproduzione riservata 01 marzo 2016 Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/03/01/news/marchionne_auto_ginevra-134554429/?ref=HREC1-14 Titolo: Marchionne: La Panda non si farà più a Pomigliano. L’Italia costruirà auto più.. Inserito da: Admin - Marzo 09, 2017, 11:57:40 am Marchionne: “La Panda non si farà più a Pomigliano. L’Italia costruirà auto più complesse”
L'amministratore delegato di Fca ha garantito sui livelli occupazionali in Italia e ha raccontato le strategie future del gruppo. Nella fabbrica campana "avremo Alfa, Maserati e Jeep che si possono produrre in Europa e sono marchi con ambizioni globali" ha detto il manager italo-canadese Di F. Q. | 7 marzo 2017 Parole sul futuro, prossimo e non: suo personale, del gruppo e dei lavoratori. Sergio Marchionne ha scelto il salone dell’auto di Ginevra per raccontare cosa succedere nei prossimi anni all’interno di Fca e nelle sue fabbriche, prima fra tutte quella di Pomigliano. “La Panda andrà altrove, ma non ora, intorno al 2019-2020. Lo stabilimento di Pomigliano ha la capacità di fare altre auto” ha annunciato l’amministratore delegato, parlando con i giornalisti. Nella fattispecie, per “altre auto” Marchionne intende i marchi premium di Fca. “Pomigliano – ha spiegato – ha la capacità di produrre auto superiori alla Panda”. E i lavoratori? Marchionne ha garantito sui livelli occupazionali del sito campano, come dell’Italia: “Ci abbiamo messo una vita intera a ripulire la produzione italiana per concentrarla sul segmento premium, in Italia avremo Alfa, Maserati e Jeep che si possono produrre in Europa e sono marchi con ambizioni globali”. Sullo spostamento della linea Panda all’estero, l’ad è stato chiaro: “Ci deve andare di natura, ma ci vorrà tempo quindi non chiedetemi quando arriverà, comunque non entro la fine del piano”. Il piano in questione ha scadenza al 2018, ergo il trasferimento coinciderà con la prossima versione della piccola di famiglia, ossia nel 2019-2020. Quando Marchionne non ci sarà più: al 2018. “Io non ci sarò, o ci sarò solo in parte” ha specificato, ricordando di aver annunciato che lascerà la guida del gruppo Fca con l’assemblea del 2019. Non poteva mancare un passaggio della conferenza stampa dedicato a quanto sta succedendo nel mondo dell’auto, tra fusioni, acquisizioni e strategie del gruppo. Che, al momento, non prevede nessuna vendita. “Non lo faremo. Quando me ne andrò farete quello che vorrete. Finché ci sono io no” ha risposto l’amministratore delegato alla domanda su un’ipotetica cessione di un brand di Fca. Molto più sibillini, invece, i riferimenti a possibili fusioni con altre case, sulla scia del matrimonio Psa-Opel. “Potrebbe avvenire, non so. GM? Io non chiudo alcuna porta” ha detto Marchionne, che poi ha aggiunto: “Io ho bussato a quella porta (GM, ndr), ma non ho avuto risposta. Potrei bussare di nuovo, potrei bussare a qualsiasi porta, se penso che è una cosa buona per il business”. Il quesito resta: è o non è una cosa buona? “La mia idea sulla fusione con Gm rimane la stessa – ha spiegato – anche se ora le sinergie sono un po’ cambiate e quindi è meno desiderabile. Abbiamo perso il 20% delle sinergie che potevano esistere con la fusione – ha detto Marchionne – Comunque non cambia niente. Le preoccupazioni geopolitiche se sono reali per loro, lo sono anche per noi”. Ma le fusioni, in generale, sono o meno una cosa buona? “Sono convinto, come dico da anni, che unire i business dell’auto è fondamentale” ha sottolineato il manager italo-canadese. “La Joint venture con Psa? Se dovessi avere problemi con Psa lo direi in conferenza stampa? – ha poi detto Marchionne – Sevel sta tranquillissima, lo stabilimento sta bene. Io non ho intenzione di fare niente fino al 2020, ma entro settembre di quest’anno call per riprenderci tutto”. A chi gli ha chiesto un parere sull’operazione Psa-Opel, l’ad Fca non ha avuto difficoltà nel sottolineare che “è un passo nella giusta direzione, capisco le ragioni che hanno portato a unire i due business. È un impegno a lungo termine per trovare benefici per entrambe. Un buon pacchetto, un buon accordo, anche se difficile da mettere insieme”. Marchionne, però, ha aggiunto anche un’altra considerazione, che potrebbe aprire scenari sinora inesplorati: “Non ho dubbi che al momento opportuno Volkswagen potrebbe presentarsi per fare una chiacchierata per un’eventuale fusione con Fca” ha detto l’a.d., che ha motivato questa sua previsione sul fatto che “l’integrazione tra Psa e Opel farà pressione sul gruppo Volkswagen per quanto riguarda il suo posizionamento sul mercato tedesco”. A proposito di brand, poi, Marchionne ha sottolineato che “Alfa Romeo ha un grande futuro, i primi risultati arriveranno nel 2018-2019, non li vedrò io. È stato un grande sforzo – ha aggiunto – non solo finanziario, siamo contenti di quanto fatto tecnicamente con la piattaforma con Giulia e Stelvio, ora bisogna completare la gamma”. Non è mancato un passaggio anche su Lancia: “Mi dà fastidio non poterla finanziare, ma non ho mai visto un progetto convincente per il rilancio del marchio – ha detto il presidente – Rischieremmo di fare pasticci, quindi preferisco concentrarmi su Alfa e lasciar perdere Lancia”. Il gioiello della casa, comunque, resta il marchio Ferrari. Su questo tema Marchionne ha preferito scherzare, ma fino a un certo punto: “Se voglio prendere l’ultima parte degli incentivi devo rimanere per forza. Siccome non mi pagano un tubo devo rimanere per forza. Il mio termine finale è il 2020-21″. Per quanto riguarda lo scandalo emissioni, invece, l’ad ha ricordato la linea difensiva: “Abbiamo dei consulenti legali, stiamo cercando di risolvere il problema con le agenzie e le autorità – ha detto – Continuiamo a offrire la nostra piena collaborazione, vorrei ottenere una certificazione per i modelli del 2017, poi dovremo trovare una via d’uscita per i modelli 2010-2014″. Marchionne ha precisato inoltre che il gruppo ha creato “le riserve” per trovare delle soluzioni con le autorità ambientali Epa e Carb, senza specificare se si tratti di risorse economiche o tecnologiche. Il manager, poi, ha raccontato alcuni particolari del suo rapporto con il presidente Usa Donald Trump: “Non mi voglio addentrare in discussioni politiche su Trump, cerco di essere obiettivo è di valutare in quale modo portare avanti le attività di Fca negli Usa” ha assicurato, aggiungendo che “riporteremo dal Messico alcune attività, questo lo otterrà, ma è una cosa che riguarda il mercato americano e l’occupazione americana”. “Da Trump si può imparare qualcosa – è stato il pensiero di Marchionne – magari con un tono diverso. Si può avere un rapporto più diretto con l’industria, più collaborazione “. FUTURO DI POMIGLIANO, IL PARERE DEI SINDACATI La notizia dello spostamento della produzione della Panda da Pomigliano ha provocato la reazione dei sindacati. “La nostra prima preoccupazione è la produzione in Italia” ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, secondo cui “che l’accordo Opel-Psa cambiasse lo scenario era evidente”. “Pensiamo sia giunto il momento di comunicarci quale sarà la produzione per lo stabilimento di Pomigliano” ha chiesto Crescenzo Auriemma, segretario regionale Uilm. “Siamo disponibilissimi a produrre vetture più complicate – ha aggiunto Auriemma – ma crediamo sia giunto il momento che Fca ci dica, in questi mesi, quali, quante e in che tempi saranno portate nello stabilimento automobilistico campano”. “Se spostare la Panda altrove significa elevare lo stabilimento di Pomigliano ad una produzione di gamma più elevata, siamo disponibilissimi a discuterne” è stato il parere del segretario generale campano della Fismic, Felice Mercogliano. ”In queste settimane incontreremo i vertici aziendali per discutere della proroga dei contratti di solidarietà per le maestranze di Pomigliano, in scadenza a fine marzo – ha aggiunto Mercogliano – Un incontro importante che servirà anche a conoscere il piano industriale per lo stabilimento automobilistico campano, così come stabilito in sede di accordo per il trasferimento temporaneo di 500 lavoratori del Vico a Cassino. Ma se spostare la Panda significa elevare lo stabilimento di Pomigliano ad una gamma che garantisca la piena saturazione degli impianti ed il rientro di tutto l’organico, siamo disponibilissimi a discuterne”. “Riteniamo positivo che l’amministratore delegato di Fca abbia ribadito per Pomigliano una prospettiva con modelli di fascia superiore alla Panda” ha detto invece il segretario generale della Fim di Napoli, Biagio Trapani. “Ovviamente – ha proseguito – per noi è fondamentale definire tempi certi e stretti in modo da poter mettere la parola fine agli ammortizzatori sociali così come è avvenuto per Melfi e Cassino. La dichiarazione di Marchionne – ha concluso – smentisce i gufi e coloro che remano contro lo stabilimento di Pomigliano”. Un giudizio positivo è stato espresso dal neo segretario generale della Uil Campania, Giovanni Sgambati, il quale si è detto “fiducioso che quanto prima il Ceo Fca presenti un’ipotesi di investimento che possa assorbire completamente la manodopera di Pomigliano entro il 2018”. “Per noi – ha detto Sgambati – l’annuncio fatto oggi fa fare un passo avanti su quanto Marchionne aveva anticipato nel posizionare negli stabilimenti italiani segmenti di autovetture medio-alti. La fuoriuscita della Panda a fine 2020 dallo stabilimento di Pomigliano, sarà ampiamente ricompensata, così come ha ripetuto oggi il Ceo Fca parlando di prodotti, al plurale, di qualità”. Sgambati, infine, ha sottolineato che la” sfida dei lavoratori e delle lavoratrici di Pomigliano – ha concluso – è stata mantenere l’affidabilità e la qualità, che consentiranno una prospettiva di lungo periodo”. di F. Q. | 7 marzo 2017 da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/07/marchionne-la-panda-non-si-fara-piu-a-pomigliano-litalia-costruira-auto-piu-complesse/3436218/ Titolo: FCA (FIAT) vicina al big deal? Ecco i possibili partner. Di Corrado Canali e .. Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2018, 11:58:23 am La conglomerata dell’auto al bivio
Fca vicina al big deal? Ecco i possibili partner Di Corrado Canali e Mario Cianflone 06 gennaio 2018 È stata una settimana di costante crescita del titolo Fca al punto che gli esperti di Jp Morgan hanno aggiornato la stima del prezzo obiettivo a oltre 21 euro. Uno dei risultati è stato che all’orizzonte arrivano nuovi rumors su un possibile accordo con la prospettiva di una fusione o anche una vera e propria scalata del gruppo italo-americano. Del resto i titoli di Fca hanno segnato un progresso del 2,37% portandosi stabilmente sopra il livello record di 17 euro a 17,25 euro. Da inizio anno le quotazioni della società sono lievitate di oltre il 15%, dopo i guadagni da incorniciare del 2017 quando, con il balzo del 73%, Fca ha vantato la performance migliore del listino milanese. Novità particolari in grado di giustificare la performance stellari delle ultime sedute non sono emerse. Anzi: i dati sulle immatricolazioni di dicembre, annunciati nei giorni scorsi, non riescono proprio a spiegare i rialzi delle azioni, dal momento che nei Paesi chiave di Italia e Stati Uniti la società ha fatto peggio del mercato, accusando un ribasso del 13,9% nel nostro Paese e dell’11% Oltreoceano. Il gruppo ha giustificato lo scivolone delle vendite negli States con la nuova strategia che punta a ridurre gli accordi con le società di noleggio, poco redditizi. D’altra parte gli investitori iniziano a supporre che l’ad Sergio Marchionne stia progettando qualche grande operazione nel suo ultimo anno di mandato. Qualche novità sulla strategia della casa auto potrebbe emergere la prossima settimana, quando aprirà i battenti il Salone dell’auto di Detroit. L’appuntamento più importante, comunque, sarà a giugno, quando Fca presenterà alla comunità finanziaria il progetto industriale fino al 2022. Nell’occasione verrà probabilmente indicato anche il successore di Marchionne che tuttavia rimarrà alla plancia di comando sia di Exor che (soprattutto) della Ferrari. Hyundai è un partner ideale Di un big deal tra Fca e Hyundai si è parlato più volte, con rumors iniziati questa estate di un possibile fidanzamento tra il gruppo italo-americano e quello coreano che controlla anche il marchio Kia. Le voci puntualmente smentite si sono poi rifatte sentire a dicembre, quando Marchionne, a margine della presentazione del team Alfa Romeo F1 Sauber, rispondendo a una domanda diretta del Sole 24 Ore, ha dichiarato che con il gruppo coreano è in atto una partnership tecnica relativa a trasmissioni e sistemi di illuminazione: «Abbiamo già una collaborazione tecnica con Hyundai. Compriamo dei componenti da loro, tra i quali delle trasmissioni che usiamo in America. Vediamo se riusciamo a trovare altri punti di accordo, specialmente sullo sviluppo delle trasmissioni e dell’idrogeno». Hyundai ha smentito che ci siano contatti per un’alleanza e Marchionne ha ribadito al Sole 24 Ore che non si prospetta una fusione. Tuttavia un’ipotetica integrazione tra Fca e Hyundai è stimolante, automobilisticamente parlando. Il gruppo Hyundai Motor, attualmente al quinto posto nella classifica mondiale dei costruttori, potrebbe diventare infatti il primo car maker del mondo fondendosi con quello guidato da Marchionne. La possibilità di un eventuale interesse del gigante di Seul era apparsa in estate su alcuni media specializzati nell automotive e non appare infatti priva di senso logico, al contrario della sola cessione di Jeep ai cinesi paventata nei rumors estivi. L’ipotesi di una fusione sul Pacifico (già ventilata durante l’estate) è intrigante per una serie di motivi. Hyundai Motor Company fa parte di un chaebol, cioè un mega gruppo multisettoriale che ha accesso facilitato non solo a grandi risorse finanziarie, ma anche a tecnologie di punta (robot industriali ed elettronica, per esempio) e persino (questo è un punto chiave) a materie prime come l’acciaio. Hyundai Steel, che è integrata in Hyundai Motors, è una vera major dell’acciaio. Avere la materia prima in casa è un grande asset per una casa automobilistica. Per quanto riguarda il prodotto, un patto tra Hyundai e Fca potrebbe fare del bene a entrambi. Da una parte i coreani dispongono di piattaforme moderne, più attuali e sofisticate di quelle di Fca, motori di concezione moderna, soluzioni green che spaziano dall’ibrido all’elettrico, dal gas fino all’idrogeno. Inoltre i coreani esibiscono una gamma di modelli di ultima generazione che coprono molti segmenti e in particolare quello, cruciale, dei Suv. Tuttavia i due marchi coreani, a dispetto della qualità dei prodotti cresciuta enormemente in pochi anni scontano un’immagine ancora poco appetibile in alcuni mercati. E per crescere in immagine ci vuole tempo e tanti soldi. Fca ha in portafoglio marchi di grande rilevanza: Jeep, Alfa Romeo e Maserati in primis. Hyundai vanta una copertura commerciale globale: Hyundai e Kia sono forti anche negli Usa, centri di ricerca e di design in tutto il mondo come quello tedesco di Rüsselsheim in Germania, nella cittadella di Opel, e fabbriche diffuse globalmente, anche in Europa a Žilina in Slovacchia e a Nošovice nella Repubblica Ceca. Sono questi gli ulteriori punti a favore di un’ipotetica alleanza tra le due case d’auto che riguarderebbe anche i veicoli commerciali. Insomma, i presupposti di sinergie tra i brand americani, italiani e coreani ci sono. E ora Marchionne rilancia sull’idrogeno. Finora il numero uno di Fca era stato tiepido e a tratti critico verso l’elettrificazione con ioni di litio. Adesso, invece, apre alle auto a celle a combustibile ed è un settore dove Hyundai è molto forte. Quello delle auto elettriche alimentate da fuel cell è un campo dove è attiva soprattutto Toyota: da anni fa sembrava essere promettente, ma finora gli sforzi delle case si sono scontrate con le difficoltà nel produrre e stoccare l’idrogeno. L’ipotesi Gm C’è sempre General Motors sull’orizzonte di Fca, anche se niente è stato deciso per un’eventuale aggregazione sull’asse Torino-Detroit. L’ad di Fca ha spiegato più volte che Gm è quella che dà più opportunità tra tutte quelle che ci sono e che si monitorizzano, segnatamente in un contesto - quello della produzione automobilistica mondiale - che è in continuo cambiamento, con riflessi forti sulle politiche dei diversi gruppi. Tuttavia su Gm decisioni e tempistica sarebbero tutte da decidere, non escludendo nulla. Si può fare tutto nel mondo ma Fca oggi ha un piano chiaro e dettagliato fino al 2018. Andarsi a creare un nuovo impegno richiederebbe mesi di lavoro. E comunque, alla domanda se sarà deciso qualcosa con Gm entro il 2018, Marchionne ha sempre risposto così: «Di sicuro se succede, a portarla a termine sarà qualcun altro, non certamente io». Da sottolineare, infine, che un eventuale accordo con Fca consentirebbe a Gm di rientrare sul mercato europeo, abbandonato dopo la vendita di Opel. La diffidenza di Volkswagen Su un eventuale accordo col gruppo Volkswagen, più volte interrogato, lo stesso Marchionne ha spiegato che tutto dipende dalla controparte. Secondo il Ceo, la crisi conseguente al dieselgate del gruppo Volkswagen non è destinata a modificare le posizioni. Lo scenario potrebbe cambiare se ai vertici del gruppo tedesco dovesse arrivare un manager che fosse meno interessato al prodotto come oggi è Matthias Müller, ex Porsche, e più invece alla finanze in senso lato, in stile Marchionne, insomma. Ma al momento un cambio al vertice non è per nessun motivo ipotizzato anche se non è da escludere a priori, soprattutto nel lungo periodo. Tuttavia a Vw interessano pochi marchi di Fca, Alfa Romeo in particolare lungamente corteggiata in passato oltre a Jeep per l’internazionalità del brand. Senza contare che le piattaforme del gruppo Vw sono più moderne e funzionali rispetto a quelle di Fca. L’ipotesi di fusione col gruppo Volkswagen sarebbe a dire poco affascinante, ma la naturale diffidenza dei tedeschi nei confronti degli italiani di sicuro non aiuta. Ai tedeschi però potrebbe servire per garantire una maggiore presenza, grazie al contributo di Chrysler, negli USA, dove continuano ad avere dei problemi. Psa non è da escludere Da diversi anni i due gruppi hanno avviato una collaborazione utile per entrambi, ma i rapporti di recente si sono raffreddati. Le tecnologie francesi, ora abbinate a quelle di Opel, sono fra le più avanzate in vari settori. Un esempio sono i Suv di Peugeot che sono la base dei nuovi «sport utility» di Opel. Inoltre Psa ha oggi un valido amministratore delegato, Carlos Tavares, che non solo è riuscito a superare i problemi del passato, ma ha anche centrato finalmente dei bilanci in ordine. Psa, inoltre, ha accordi produttivi con Bmw e Toyota, mentre ha allentato negli ultimi anni i legami con Fiat. Il gruppo francese ha al suo interno tre soci forti che detengono il 13,7% ciascuno: la famiglia Peugeot, lo Stato francese e i cinesi della Dongfeng Motor, ma soprattutto deve mettere a punto l’acquisizione di Opel, con l’ambizioso piano programmatico Pace, avviato, ma che entrerà nel vivo nei prossimi mesi; di conseguenza non ci sarebbero spazi e prospettive per un accordo con Fca. Da considerare, infine, l’evidente sovrapposizione delle gamme di prodotto che sconsigliano un matrimonio fra i due gruppi, ma a pesare sarà anche l’ambizione di Tavares, che punta ai vertici del mercato europeo. L’ipotesi Ford Di sicuro alla Ford sono interessati a valorizzare in chiave più internazionale i marchi premium, Alfa Romeo e Maserati, del gruppo Fca anche se in passato decisero di gettare la spugna con Jaguar e Land Rover e non solo, per l’evidente incapacità di gestire al meglio i due brand. Impresa, poi, riuscita agli indiani di Tata. Sarebbero, inoltre, possibili grandi sinergie fra le varie gamme e un’eventuale fusione costituirebbe una forte presenza in tutti i continenti. C’è già stato, in passato, un accordo per produrre insieme la 500 e Ka, in Polonia, che una volta esauritosi non ha più avuto un seguito. L’opzione della fusione con Ford non sembra per ora trovare sostenitori, soprattutto all’interno del gruppo americano, che negli ultimi anni ha preferito disfarsi di marchi satelliti per concentrarsi sul core business di Ford. Ma tutto potrebbe accadere. Da tenere conto che la Ford è controllata dalla famiglia che, pur non avendo molte azioni in mano, detiene circa il 40% dei diritti di voto: l’arrivo di un nuovo socio forte romperebbe gli attuali equilibri. Fra gli ostacoli a un possibile accordo le possibili sovrapposizioni, specie nell’area europea e in particolare coi modelli Fiat. L’opzione cinese Sono molti i costruttori emergenti in Asia, specie in Cina. I più noti sono Dongfeng, Geely e Great Wall: tutti hanno acquisito nel tempo grandi potenzialità produttive oltre a cominciare ad avere dei buoni livelli tecnologici. Le sinergie, insomma, potrebbero esserci e soprattutto non mancano le disponibilità economiche, ma la collaborazione con Fca al momento non sembra andare oltre accordi finanziari o produttivi, nonostante siano vari i gruppi automobilistici cinesi che potrebbero comprarsi l’intera Fca. L’impressione è che molti siano più interessati ai pezzi pregiati del gruppo italoamericano, come Jeep, ma anche il polo del lusso rappresentato da Alfa Romeo e Maserati, meno al resto, che finirebbe per sovrapporsi alla gamma, anche se consentirebbe un’immediata presenze sul mercato europeo, da sempre uno degli obiettivi perseguiti dalle case cinesi. © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/motori/2018-01-06/fca-vicina-big-deal-ecco-possibili-partner-125827.shtml?uuid=AEoEcHdD Titolo: FIAT, MARCHIONNE. Alfa e Maserati, i prossimi modelli saranno le crossover Inserito da: Arlecchino - Febbraio 05, 2018, 06:51:29 pm Sergio Marchionne
Alfa e Maserati, i prossimi modelli saranno le crossover Fabio Sciarra da Detroit, Fabio Sciarra Pubblicato il 15/01/2018 "Non sono preoccupato dal rally di FCA in Borsa (che oggi ha guadagnato il 2,14%, chiudendo a 19,54 euro, ndr): non credo ci siano movimenti sospetti sul titolo. È una questione di fiducia sul nostro piano industriale: confermiamo ulteriormente tutti gli obiettivi per il 2017 e il 2018. Considerando questo", dice Sergio Marchionne, "vedo soltanto un giudizio obiettivo sulle nostre azioni. C'è stato un adeguamento del valore del titolo che riflette il raggiungimento degli obiettivi che ci eravamo posti”. Al Salone di Detroit, l'ad del gruppo FCA parla a tutto campo. Tra i temi toccati nel corso della conferenza stampa al Cobo Center, ci sono le prospettive per il possibile ritiro degli Usa dall’accordo Nafta: “Siamo tornati a produrre i mezzi Ram da Saltillo al Michigan perché era un atto dovuto, e naturalmente per la riforma fiscale approvata da Trump. Un segno di fiducia nei confronti di un Paese che ci sta dando una grandissima opportunità a livello economico. Ho una grandissima fiducia nel futuro di questo Paese”, ha osservato Marchionne. Non abbiamo bisogno di partner. L’orientamento sul fronte di una possibile partnership, in quest’ultimo scorcio della presidenza Marchionne è invece profondamente cambiato rispetto al passato. “Siamo ancora convinti della necessità di consolidamento e condivisione, ma ora abbiamo capito che non ci sono partner con cui cambiare e allora procediamo da soli. Stiamo sviluppando le regioni e i singoli marchi per procedere da soli. Non ho più bisogno di nessuno”, ha chiuso l’ad. Alfa Romeo, lavoro incompiuto. Considerazioni anche sul futuro produttivo italiano: "Dobbiamo completare la ristrutturazione del sistema delle fabbriche italiane: l'impegno è finire questo ciclo di sviluppo di Alfa e Maserati, che non possiamo lasciare così incompiute: considero Alfa Romeo ancora un lavoro incompiuto perché due modelli, per quanto di successo, non bastano ancora. Priorità alle Suv. A una domanda di Quattroruote in merito, Marchionne ha sgombrato il campo da ogni dubbio, confermando le anticipazioni che a più riprese abbiamo dato nei mesi scorsi: “La sorella maggiore della Stelvio e la sorella minore della Levante avranno la priorità su tutto il resto. È naturale”, ha osservato l’ad, “la Giulia è una macchina eccezionale, ma non riesce a destare lo stesso interesse della Stelvio. Guardate cosa succede negli Usa, dove un colosso come la BMW fa fatica a vendere le proprie berline tradizionali: questo è un mercato che per due terzi è fatto di Suv e pick-up, e stiamo osservando lo stesso cambiamento repentino anche altrove, come in Europa”. Una scelta logica dunque, ma con una precisazione: “Non chiamatele Suv: quelle le facciamo con il marchio Jeep. Il resto sarà qualcosa di diverso, come lo sono Stelvio e Levante”. Capitolo spin-off. Qui in Michigan non poteva mancare un riferimento al possibile spin-off dei marchi Jeep e Ram: "Scorporare Jeep", ha affermato Marchionne “è un problema molto complesso: bisogna anche ragionare su cosa resta dentro. Quello di Jeep è un successo addirittura inaspettato: la Jeep che abbiamo trovato nel 2009 non sarebbe mai stata in grado di raggiungerlo. Comunque continuo a vedere un sistema integrato, con Jeep ancora dentro FCA". L'attenzione su Jeep, dunque, resta alta, anche se l'ad durante la conferenza stampa non ha confermato quanto anticipato ieri in un'intervista all'agenzia Bloomberg, nella quale aveva dichiarato che proprio grazie alla Jeep il gruppo potrebbe raggiungere il target dei 5 milioni di auto l'anno e raddoppiare gli utili entro il 2022. Confermato, invece, lo spin-off di Magneti Marelli: "Sarà entro il 2018", ha detto l'ad. Cautela sulle autonome. Il numero uno di FCA ha ribadito il suo scetticismo sulla guida autonoma. Citando il filosofo Ludwig Wittgenstein: “Noi non abbiamo fatto annunci in merito, perché io credo in una sua frase: non parlare di una cosa se non la conosci. E l’industria automobilistica sta creando l’illusione che quello della guida autonoma sia un orizzonte vicino: non è così, anzi. Lo stiamo osservando nelle alleanze con Waymo e BMW-Intel-Mobileye, in cui senza dubbio crediamo”. Niente brand elettrici. Marchionne, che nell'intervista a Bloomberg di ieri aveva dichiarato che entro il 2025 la metà delle auto prodotte nel mondo sarà elettrificata, non ha approfondito il tema delle auto a batteria. Si è limitati a escludere la creazione ex novo di un marchio dedicato alle elettriche: “Non ne vedo il guadagno: se poi affidi le macchine agli stessi concessionari degli altri marchi, non fai la differenza. Bisognerebbe creare una rete di vendita dedicata, perché le vendite dirette hanno dei limiti che Elon Musk sta sperimentando su Tesla, ma si tratta di un investimento enorme, di cui non sono certo che valga la pena”. Indizi sulla successione. La battuta di Marchionne sul suo successore è un primo indizio per cercare di tracciare un identikit di chi, nel 2019, prenderà il suo posto: “Non ci sono donne in lizza, semplicemente perché non abbiamo figure femminili candidate. Credo che dopo il mio successore, i tempi potrebbero essere maturi per una donna alla guida di FCA. Attese per la Formula 1 e freno sulla Formula E. Marchionne ha visitato la fabbrica di Maranello venerdì scorso: “Ho visto i ragazzi troppo tranquilli, per quanto mi riguarda. O abbiamo fatto una ciofeca, oppure un mostro. Vedremo la macchina il 22 febbraio”. E l'Alfa Romeo? “Quello con la Sauber è un work in progress: stiamo definendo tutti gli aspetti del nostro rapporto. E dobbiamo ancora capire se manterremo il marchio sulle Ferrari. È una questione di soldi: non possiamo restare sulla loro carrozzeria senza pagarli". Di sicuro, comunque, non entreranno altri marchi FCA come motoristi in Formula 1: "Non useremo né Alfa Romeo né Maserati, in questo senso: Alfa potrebbe, un giorno, essere utilizzato per l'IndyCar", ha aggiunto l'ad. Che apre la porta anche all'ipotesi di un'altra title sponsorship, quella della Maserati con la Haas: "Non si farà quest'anno, ma è un bel piano, e avrebbe costi ragionevoli", ha aggiunto. Raffreddato, invece, l'entusiasmo per il possibile sbarco del Tridente in Formula E, su cui negli scorsi mesi si era aperto uno spiraglio: "Non ne sono più così sicuro". © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - https://www.quattroruote.it/news/industria-finanza/2018/01/15/gruppo_fca_marchionne_piani_2022.html?wtk14=amc146418237624082 Titolo: MARCHIONNE - LE STRATEGIE Il suo metodo caso di studio ad Harvard Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 12:30:41 pm Fca, la tristezza di Elkann in una lettera ai dipendenti: "Sergio non tornerà più, è stato il migliore"
Il presidente: "E' la lettera più difficile che abbia mai scritto" 22 Luglio 2018 Ecco il testo della lettera che John Elkann ha scritto ai dipendenti di Fca dopo la nomina di Mike Manley come nuovo ad della società. Care colleghe, cari colleghi, questa è senza dubbio la lettera più difficile che abbia mai scritto. È con profonda tristezza che vi devo dire che le condizioni del nostro Amministratore Delegato, Sergio Marchionne, che di recente si è sottoposto a un intervento chirurgico, sono purtroppo peggiorate nelle ultime ore e non gli permetteranno di rientrare in FCA. Negli ultimi 14 anni, prima in Fiat, poi in Chrysler e infine in FCA, Sergio è stato il miglior amministratore delegato che si potesse desiderare e, per me, un vero e proprio mentore, un collega e un caro amico. Ci siamo conosciuti in uno dei momenti più bui nella storia della Fiat ed è stato grazie al suo intelletto, alla sua perseveranza e alla sua leadership se siamo riusciti a salvare l’azienda. Sergio ha anche realizzato un incredibile turnaround in Chrysler e, grazie al suo coraggio nel lavorare all’integrazione culturale tra le due aziende, ha posto le basi per un futuro migliore e più sicuro per noi tutti. Saremo eternamente grati a Sergio per i risultati che è riuscito a raggiungere e per aver reso possibile ciò che pareva impossibile. Ma come lui stesso ha detto più volte: "Il vero valore di un leader non si misura da quello che ha ottenuto durante la carriera ma da quello che ha dato. Non si misura dai risultati che raggiunge, ma da ciò che è in grado di lasciare dopo di sé". Fin dal nostro primo incontro, quando parlammo della possibilità che prendesse le redini della Fiat, ciò che mi ha veramente colpito di lui, al di là delle capacità manageriali e di una intelligenza fuori dal comune, sono state le sue qualità umane. Qualità che gli ho visto negli occhi, nel modo di fare, nella capacità di capire le persone. Ci ha insegnato ad avere coraggio, a sfidare lo status quo, a rompere gli schemi e ad andare oltre a quello che già conosciamo. Ci ha sempre spinti ad imparare, a crescere e a puntare in alto – spesso andando oltre i nostri stessi limiti – ed è sempre stato il primo a mettersi in gioco. L’eredità che ci lascia parla di ciò che è stato davvero importante per lui: la ricerca dell’eccellenza, l’idea che esiste sempre la possibilità di migliorare. I suoi insegnamenti, l’esortazione a non accettare mai nulla passivamente, a non essere soddisfatto della mera sufficienza sono ormai parte integrante della nostra cultura in FCA: una cultura che ci spinge ad alzare sempre l’asticella e a non accontentarci mai della mediocrità. La definizione che Sergio ci ha dato della parola leader è valida oggi più che mai. Quello che conta davvero è il tipo di cultura che un leader lascia a chi viene dopo di lui. Il miglior modo per giudicarlo è attraverso ciò che l’organizzazione fa dopo di lui. Questo è solo uno dei tanti esempi di quanto Sergio fosse un leader vero e molto raro. Già anni fa, abbiamo iniziato a lavorare ad un piano di successione che avrebbe garantito continuità e preservato quella cultura unica che vive in FCA. Potendo contare su un piano già definito, stiamo ora anticipando il processo e oggi il Consiglio di Amministrazione ha nominato Mike Manley nuovo Amministratore Delegato di FCA. Mike è stato uno dei principali protagonisti del successo di FCA e ha già al suo attivo una lunga lista di successi e obiettivi raggiunti. Sotto la sua guida, il marchio Jeep ha vissuto un periodo di profonda trasformazione che ha portato a una crescita senza precedenti, da poche centinaia di migliaia di unità all’anno a diversi anni di vendite record, gli ultimi quattro dei quali superando il milione di veicoli venduti. Jeep è così diventato non solo uno dei marchi con il più alto tasso di crescita al mondo ma anche il più redditizio del Gruppo. Negli anni, Mike ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità e ha maturato una vasta esperienza gestionale in tutte le nostre regioni, raggiungendo risultati importanti in ognuna delle posizioni ricoperte e dimostrando sempre una grande determinazione nel conseguimento dei suoi obiettivi. Sono certo che tutti voi fornirete il massimo supporto a Mike, lavorando con lui e con il team di leadership al raggiungimento degli obiettivi del piano industriale 2018-2022 con lo stesso impegno e la stessa integrità che ci hanno guidato fino ad ora. Da - http://www.repubblica.it/economia/2018/07/22/news/fca_lettera_elkann_dipendenti-202402429/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr Titolo: IL RITRATTO DI MARCHIONNE ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 12:34:26 pm IL RITRATTO DI MARCHIONNE
Il manager globale dell’auto che ha ridefinito uno stile Paolo Bricco La Fiat del 2004 è semifallita. Sergio Marchionne viene scelto sul letto di morte da Umberto Agnelli, che lo indica a Gianluigi Gabetti. La Chrysler del 2009 è fallita. Lui convince Barack Obama ad affidargli le spoglie della più piccola delle Big Three, prospettandogli che le tecnologie pulite e a basso consumo dei motori italiani potrebbero essere coerenti con la sua politica industriale e ambientale verde. Dalla unione di Fiat e di Chrysler Marchionne – uno dei rari casi nel capitalismo internazionale di manager fattosi imprenditore con la creazione di qualcosa che prima non esisteva – ha generato la Fca. Non un corpo perfetto e autonomo. Ma un corpo unico e articolato, in cui il marchio globale di Jeep è il perno dell’intero edificio che, nel 2017, ha sviluppato ricavi per 111 miliardi di euro. Ci sono immagini e situazioni che incarnano più di altre quattordici anni di vita personale e di vita di impresa che hanno una dimensione industriale e finanziaria, umana e letteraria. Prima immagine: Pizzeria Cristina, Corso Palermo, la pizza con il cornicione alto, lui seduto a chiacchierare fitto con il sindaco Sergio Chiamparino e, quando non c’è lui, a mangiare con i ragazzi della scorta. In una città silenziosa e aristocratica, tendenzialmente ostile e naturalmente giudicatrice come Torino il «dottore» diventa subito uno del popolo. I torinesi, che sono abituati agli atteggiamenti regali e patrizi della dirigenza della Fiat vecchio stampo ormai drammaticamente in disarmo, hanno un sussulto di stima – prima ancora che di simpatia – quando si sparge la voce che Marchionne un sabato mattina si è presentato in incognito nella concessionaria di Corso Giulio Cesare, ha atteso a lungo l’impiegato, è stato trattato da questi con sufficienza, è tornato al Lingotto e lo ha fatto licenziare. È il periodo in cui la sinistra si innamora di lui, piacciono le sue aperture socialdemocratiche che, in realtà, sono più esperienza e natura personale del figlio della Toronto degli immigrati italiani che non pensiero e riflessione politica. Piacciono la passione con cui passa le ore nelle fabbriche italiane, semiabbandonate e male tenute. Nel tempo, questo amore non sarà più corrisposto. Seconda immagine: un giorno di primavera del 2010, poco tempo dopo l’acquisizione di Chrysler, stabilimento di Toledo, Ohio, la città e l’impianto della Jeep, una comunità così Midwest che ogni ultimo venerdì del mese, fin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, tutti gli operai indossano una maglietta bianca per salutare i compatrioti che, ogni ultimo venerdì del mese, tornano in licenza dalle guerre. Marchionne raduna tutti gli operai e i membri della Local 12 dello Uaw, lo United Auto Workers così essenziale nell’opera di risanamento e di rivitalizzazione delle pessime fabbriche statunitensi, ed elenca gli obiettivi di produzione da raggiungere. Tutti in silenzio. E, poi, l’esplosione da Super Bowl. L’applauso di tutti si fa tifo da stadio. Impressionante, nel racconto di chi c’era. È anche qui che nasce l’identificazione di Marchionne con le molte anime dell’America, gli All American Boys repubblicani del Michigan e dell’Ohio e i democratici di Chicago come Barack Obama, gli intellettuali delle università di Boston e di San Francisco che apprezzano la sua distanza dallo standard delle loro business school e gli outsider a metà fra il popolo e le élite come Donald Trump. Terza immagine: 22 giugno 2010, referendum sull’accordo aziendale a Pomigliano d’Arco. Il primo vero passaggio al conflitto in Italia. La convinzione che, ad un gruppo globale, serva una uniformità di contratto aziendale. L’abbrivio verso la disintermediazione dei corpi intermedi che porterà allo scontro con il sindacato – in particolare con la Fiom Cgil – ma che condurrà anche, nell’ottobre del 2011, all’uscita da Confindustria. La maggiore efficienza negli stabilimenti, secondo Marchionne, è essenziale per realizzare “Fabbrica Italia”, il progetto di investimenti presentato nell'aprile del 2010. “Fabbrica Italia” non si farà mai. Ma avrà nel 2014 una sua rimodulazione, con la presentazione del polo del lusso, l’idea che Maserati e Alfa Romeo possano diventare il perno della produzione italiana, con uno sviluppo in grado di trasformare il nostro paesaggio industriale. Un bel progetto, realizzato solo in parte. I volumi prospettati – soprattutto per Alfa Romeo – non vengono mai raggiunti. L’Italia pesa per non più di un decimo per addetti e fatturato sugli equilibri di un gruppo globale. Marchionne è un manager globale. Dunque, nelle scelte compiute nel giorno dopo giorno, si comporta come tale. Anche se è lui stesso a ricordare che gli analisti spesso gli chiedono perché, contro ogni convenienza economica, mantenga aperti cinque stabilimenti in Italia. Quarta immagine: 29 aprile 2015, New York, incontro con gli analisti, Marchionne presenta le slide intitolate “Confessions of a Capital Junkie”, le confessioni di un drogato di capitale. È il vero passaggio iniziale dell’ultima partita che non trova il suo esito finale pieno e compiuto. Il ragionamento è semplice: l’industria dell’auto brucia troppi capitali, le case automobilistiche duplicano gli investimenti. Marchionne propone il modello teorico – la tendenza all’astrazione in lui precede l’abilità nei negoziati e nella capacità di fare finanza di impresa e di realizzare finanza straordinaria – delle fusioni fra produttori. Marchionne progetta una fusione con General Motors. Sarebbe la chiusura del cerchio. Non gli riesce. Non ce la fa. Il management di GM è contrario. Wall Street non si fa convincere. L’establishment di Detroit è contrario. Quello di Washington anche. Il cerchio non si chiude. Quinta immagine: 1 giugno 2018, Balocco, Italia. Presentazione del nuovo piano industriale. Le fusioni non ci sono state. Marchionne ha lavorato sul debt free. Fca ha adesso una posizione finanziaria netta positiva. La stessa condizione dei concorrenti che, però, non hanno dovuto lottare con una genesi storica critica al limite del cimiteriale. Lui si è messo la cravatta, che però quasi non si vede. Si vede, invece, che ha l’aria stanca. I quattordici anni di Sergio Marchionne in Fiat. I nove in Chrysler. Anni di confronto costante e duro, vitale e feroce con la morte e con la vita. Essere o non essere. Questo il problema. Essere o non essere come impresa e come comunità. In Italia e negli Stati Uniti. Il 2004 del suo arrivo a Torino. Un’altra epoca. Un altro mondo. Il 2009 dell’acquisizione di Chrysler. Ancora un’altra epoca. Un altro mondo. Il 2018. Di nuovo un’altra epoca. Un altro mondo. La Fiat del 2004 è semifallita. Sergio Marchionne viene scelto sul letto di morte da Umberto Agnelli, che lo indica a Gianluigi Gabetti. La Chrysler del 2009 è fallita. Lui convince Barack Obama ad affidargli le spoglie della più piccola delle Big Three, prospettandogli che le tecnologie pulite e a basso consumo dei motori italiani potrebbero essere coerenti con la sua politica industriale e ambientale verde. Dalla unione di Fiat e di Chrysler Marchionne – uno dei rari casi nel capitalismo internazionale di manager fattosi imprenditore con la creazione di qualcosa che prima non esisteva – ha generato la Fca. Non un corpo perfetto e autonomo. Ma un corpo unico e articolato, in cui il marchio globale di Jeep è il perno dell’intero edificio che, nel 2017, ha sviluppato ricavi per 111 miliardi di euro. Ci sono immagini e situazioni che incarnano più di altre quattordici anni di vita personale e di vita di impresa che hanno una dimensione industriale e finanziaria, umana e letteraria. Prima immagine: Pizzeria Cristina, Corso Palermo, la pizza con il cornicione alto, lui seduto a chiacchierare fitto con il sindaco Sergio Chiamparino e, quando non c’è lui, a mangiare con i ragazzi della scorta. In una città silenziosa e aristocratica, tendenzialmente ostile e naturalmente giudicatrice come Torino il «dottore» diventa subito uno del popolo. I torinesi, che sono abituati agli atteggiamenti regali e patrizi della dirigenza della Fiat vecchio stampo ormai drammaticamente in disarmo, hanno un sussulto di stima – prima ancora che di simpatia – quando si sparge la voce che Marchionne un sabato mattina si è presentato in incognito nella concessionaria di Corso Giulio Cesare, ha atteso a lungo l’impiegato, è stato trattato da questi con sufficienza, è tornato al Lingotto e lo ha fatto licenziare. È il periodo in cui la sinistra si innamora di lui, piacciono le sue aperture socialdemocratiche che, in realtà, sono più esperienza e natura personale del figlio della Toronto degli immigrati italiani che non pensiero e riflessione politica. Piacciono la passione con cui passa le ore nelle fabbriche italiane, semiabbandonate e male tenute. Nel tempo, questo amore non sarà più corrisposto. Seconda immagine: un giorno di primavera del 2010, poco tempo dopo l’acquisizione di Chrysler, stabilimento di Toledo, Ohio, la città e l’impianto della Jeep, una comunità così Midwest che ogni ultimo venerdì del mese, fin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, tutti gli operai indossano una maglietta bianca per salutare i compatrioti che, ogni ultimo venerdì del mese, tornano in licenza dalle guerre. Marchionne raduna tutti gli operai e i membri della Local 12 dello Uaw, lo United Auto Workers così essenziale nell’opera di risanamento e di rivitalizzazione delle pessime fabbriche statunitensi, ed elenca gli obiettivi di produzione da raggiungere. Tutti in silenzio. E, poi, l’esplosione da Super Bowl. L’applauso di tutti si fa tifo da stadio. Impressionante, nel racconto di chi c’era. È anche qui che nasce l’identificazione di Marchionne con le molte anime dell’America, gli All American Boys repubblicani del Michigan e dell’Ohio e i democratici di Chicago come Barack Obama, gli intellettuali delle università di Boston e di San Francisco che apprezzano la sua distanza dallo standard delle loro business school e gli outsider a metà fra il popolo e le élite come Donald Trump. Terza immagine: 22 giugno 2010, referendum sull’accordo aziendale a Pomigliano d’Arco. Il primo vero passaggio al conflitto in Italia. La convinzione che, ad un gruppo globale, serva una uniformità di contratto aziendale. L’abbrivio verso la disintermediazione dei corpi intermedi che porterà allo scontro con il sindacato – in particolare con la Fiom Cgil – ma che condurrà anche, nell’ottobre del 2011, all’uscita da Confindustria. La maggiore efficienza negli stabilimenti, secondo Marchionne, è essenziale per realizzare “Fabbrica Italia”, il progetto di investimenti presentato nell'aprile del 2010. “Fabbrica Italia” non si farà mai. Ma avrà nel 2014 una sua rimodulazione, con la presentazione del polo del lusso, l’idea che Maserati e Alfa Romeo possano diventare il perno della produzione italiana, con uno sviluppo in grado di trasformare il nostro paesaggio industriale. Un bel progetto, realizzato solo in parte. I volumi prospettati – soprattutto per Alfa Romeo – non vengono mai raggiunti. L’Italia pesa per non più di un decimo per addetti e fatturato sugli equilibri di un gruppo globale. Marchionne è un manager globale. Dunque, nelle scelte compiute nel giorno dopo giorno, si comporta come tale. Anche se è lui stesso a ricordare che gli analisti spesso gli chiedono perché, contro ogni convenienza economica, mantenga aperti cinque stabilimenti in Italia. Quarta immagine: 29 aprile 2015, New York, incontro con gli analisti, Marchionne presenta le slide intitolate “Confessions of a Capital Junkie”, le confessioni di un drogato di capitale. È il vero passaggio iniziale dell’ultima partita che non trova il suo esito finale pieno e compiuto. Il ragionamento è semplice: l’industria dell’auto brucia troppi capitali, le case automobilistiche duplicano gli investimenti. Marchionne propone il modello teorico – la tendenza all’astrazione in lui precede l’abilità nei negoziati e nella capacità di fare finanza di impresa e di realizzare finanza straordinaria – delle fusioni fra produttori. Marchionne progetta una fusione con General Motors. Sarebbe la chiusura del cerchio. Non gli riesce. Non ce la fa. Il management di GM è contrario. Wall Street non si fa convincere. L’establishment di Detroit è contrario. Quello di Washington anche. Il cerchio non si chiude. Quinta immagine: 1 giugno 2018, Balocco, Italia. Presentazione del nuovo piano industriale. Le fusioni non ci sono state. Marchionne ha lavorato sul debt free. Fca ha adesso una posizione finanziaria netta positiva. La stessa condizione dei concorrenti che, però, non hanno dovuto lottare con una genesi storica critica al limite del cimiteriale. Lui si è messo la cravatta, che però quasi non si vede. Si vede, invece, che ha l’aria stanca. © RIPRODUZIONE RISERVATA @Paolo Bricco Paolo Bricco Da ilsole24ore.com Titolo: La grande sfida di John Elkann: dal nodo alleanze al piano Ferrari Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 12:36:02 pm La grande sfida di John Elkann: dal nodo alleanze al piano Ferrari
I dossier aperti. All’esame il piano di scorporo di Magneti Marelli, ma a pesare di più saranno le decisioni sul futuro assetto del settore auto Si era cercato di definire tutto nei minimi dettagli: successione, tempi di uscita e sfide industriali. Per non restare spiazzati, per gestire al meglio un passaggio di consegne fondamentale dopo un’epoca segnata da un uomo solo al comando, Sergio Marchionne. Ma come spesso accade nella storia della dinastia Agnelli, gli eventi tendono a stravolgere i programmi. Oggi, così come quattordici anni fa, quando Marchionne fu nominato amministratore delegato di Fiat a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli, o come quando la prematura scomparsa di Giovannino Agnelli portò a indicare nel giovanissimo John Elkann il nuovo erede, la famiglia si è ritrovata a gestire un’emergenza e a dover colmare con estrema rapidità un vuoto enorme. Perché è vero che Marchionne doveva uscire da Fca. Ma è altrettanto vero che il supermanager avrebbe continuato a occupare ruoli di spicco nell’universo della dinastia torinese, partendo dalla guida di Ferrari fino all’incarico di consulente degli Agnelli nel board di Exor. «Per tanti Sergio è stato un leader illuminato - ha scritto John Elkann - , un punto di riferimento ineguagliabile. Per me è stato una persona con cui confrontarsi e di cui fidarsi, un mentore e soprattutto un amico». La successione in Fca era scritta, certo, ma l’uscita del Ceo appariva più formale che sostanziale. Ecco perché le scelte fatte ieri con la nomina di Mike Manley in Fca, di Suzanne Heywood alla presidenza di Cnh e l’arrivo di Louis Carey Camilleri in Ferrari per gestire questo momento di incertezza sembrano rispondere più alla necessità di dover arginare, in tempi strettissimi, il precipitare degli eventi. Scegliendo figure capaci di garantire «alle aziende la massima continuità possibile» e di «preservare la cultura» introdotta da Marchionne. Ci sarà modo, con il tempo, di fare qualche aggiustamento se si renderà necessario. Ora la priorità era dare una risposta certa al mercato perché possa affrontare «una situazione impensabile fino a poche ore fa, che lascia a tutti quanti un senso di ingiustizia», come ha sottolineato Elkann. E proprio il presidente Fca è chiamato in questo momento a rivestire il ruolo chiave di trait d’union tra passato e futuro. Perché è stato l’uomo più vicino a Marchionne e perché, come ha ricordato lui stesso «negli ultimi 14 anni, abbiamo vissuto insieme successi e difficoltà, crisi interne ed esterne, ma anche momenti unici e irripetibili, sia dal punto di vista personale che professionale». Chi gli è vicino assicura che sia «molto focalizzato, che sia pronto» a diventare il nuovo perno della galassia. Lo era già per la famiglia, lo dovrà essere anche per il mercato, almeno fino a quando il nuovo assetto non riceverà l’avvallo di tutti gli stakeholder. John Elkann, in assenza di “libretti di istruzione”, giudicati inutili dal manager italo canadese che ha salvato la vecchia Fiat, ma con una rete di rapporti internazionali di altissimo livello che gli ha permesso di maturare una visione strategica di ampio respiro, si prepara a seguire ancor più da vicino Exor, Fca, Ferrari e Cnh. Con sfide molteplici e a più livelli. Ma con una forza finanziaria senza precedenti nella storia della dinastia sabauda, una forza che oggi vale in Borsa oltre 60 miliardi di capitalizzazione. Per Fca ci sono le urgenze da gestire nell’immediato: la presentazione dei dati trimestrali, in agenda mercoledì prossimo e primo banco di prova per il nuove ceo Manley. Subito dopo dovrà essere definito e predisposto in modo definitivo il piano di scorporo di Magneti Marelli, copione in parte già scritto. Più in generale, però, sulla scorta del business plan presentato a Balocco lo scorso giugno, bisognerà capire i progetti del giovane Elkann per il gruppo automobilistico. Dal palcoscenico del piano industriale, l’azionista aveva confermato insieme a Marchionne che la via del consolidamento è la strada maestra. Ieri come oggi. In che misura questo andrà a incidere sul ruolo della famiglia Agnelli come primo azionista di Fca è presto per dirlo. Certo è che l’improvvisa uscita di Marchionne potrebbe accelerare questo processo. Discorso diverso per Ferrari dove Marchionne, sulla carta, avrebbe dovuto mantenere la guida almeno fino al 2021 e il mercato guardava con estremo favore a questo scenario. Ora Elkann è chiamato a convincere tutti che il nuovo assetto non spegnerà il motore di tre macchine ben avviate, Fca, Ferrari, Cnh. La barra è dritta, la sfida è fare in modo che resti tale anche se alle spalle si è lasciato un manager unico e che «ha sempre fatto la differenza». © RIPRODUZIONE RISERVATA Laura Galvagni e Marigia Mangano Titolo: Sul marchio Jeep si fonda la scommessa del nuovo piano industriale Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 12:41:00 pm L’ANALISI
Sul marchio Jeep si fonda la scommessa del nuovo piano industriale La riunione del vertice di Fiat Chrysler si è trovata ieri di fronte a un compito impossibile, la sostituzione di Sergio Marchionne. Non si può pensare infatti a un successore che prenda il suo posto, perché Marchionne il suo ruolo se lo è disegnato e ritagliato prima al Lingotto e poi ad Auburn Hills. Prima di lui non esisteva e dopo di lui sarà qualcosa di diverso, con una missione differente dalla sua, che se l’è largamente inventata, soprattutto nei primi dieci di guida di Fiat e di Fca dopo, quando se lo è definito quasi giorno per giorno. Certo, resta il problema della sua eredità che è, insieme, cospicua e ingombrante. In primo luogo c’è da gestire un piano industriale 2018-2022, che Marchionne ha presentato lo scorso 1° giugno, ma che non sarà più lui a realizzare. È vero che era già nei programmi che fosse così, perché il suo mandato sarebbe dovuto scadere nella primavera del 2019, con la presentazione del bilancio. Ma ora le circostanze danno a questo passaggio un carattere più concitato, accentuandone i lati problematici. A questo cambio il consiglio Fca giunge un po' in ritardo, avendone forse sottovalutato le criticità e la congiuntura per alcuni versi drammatici che sta vivendo il sistema dell’auto a livello internazionale e che ne acuisce gli elementi di incertezza. Oggi l’industria dell’auto sta mutando di pelle e di assetto sotto la spinta involontariamente convergente della tecnologia, che sta prefigurando scenari imprevisti, e della politica economica della presidenza Trump, che sembra puntare a una svolta protezionistica generalizzata. Per quanto riguarda il primo profilo, comunque si risolva la sfida lanciata da Elon Musk con la sua Tesla, è vero che alcune delle sue profezie si stanno per avverare, magari ad opera di altri produttori. Piattaforme elettriche, auto a guida assistita e autonoma, vetture concepite come computer non sono più i progetti assurdi di un visionario, ma i programmi operativi di tutte le maggiori case produttrici e dei loro principali fornitori. D'altro lato, anche quella di Trump potrebbe generare una rivoluzione sul piano della riconfigurazione dei mercati internazionali, seppure a partire da un'ipotesi demenziale come il protezionismo. Giovedì scorso sono convenuti a Washington i rappresentanti di tutta l'industria per cercare di spiegare al governo tutte le buone ragioni per cui una tariffa protezionistica potrebbe fare un gran danno all'automotive Usa. Non a caso, sono state consegnate oltre duemila note con tutte le obiezioni possibili alla politica governativa. Si vedrà se riusciranno a far recedere il presidente dai suoi propositi. Mike Manley, che è un vero car gay di Detroit, dovrà misurarsi da subito con un simile scenario di trasformazione. Lo farà da una posizione di forza, perché è alla testa dei due marchi che oggi mietono i risultati migliori sui mercati, Jeep e Ram. Ma è su Jeep che si appuntano le attese più consistenti perché rappresenta la punta di lancia dell'offerta di prodotto di Fca. Oggi è questo il marchio su cui si fonda la scommessa del nuovo piano industriale. La performance di vendita è molto buona, non solo sul mercato nordamericano, ma anche in Europa e persino in Italia, dove le immatricolazioni delle vetture Jeep si è raddoppiata nel corso del primo semestre del 2018. Mantenere e incrementare questo ritmo di crescita è determinante per lo stabilimento di Melfi, dove si producono le Renegade (senza dimenticare che molte di esse hanno preso fino a oggi la strada dell'America). Più interrogativi desta la sorte degli altri due marchi al centro del piano industriale, Alfa Romeo e Maserati, quelli che in un futuro non remoto potrebbero confluire in una sola unità, il presidio del «polo del lusso». Qui la partita appare più delicata perché la crescita in Europa del marchio Alfa, nel primo semestre di quest'anno, c’è stata, sì, ma non travolgente, reggendosi fondamentalmente su due modelli, Stelvio e Alfa, di cui il primo sta andando bene, meno invece il secondo. Maserati sconta invece una battuta d'arresto. Ma i numeri attuali non bastano per fare una concorrenza efficace alle auto di Mercedes, Bmw, Audi, Toyota e così via, in Europa ma nemmeno in Italia. Occorrerà investire e molto per ampliare rapidamente la gamma d'offerta, se si vorranno davvero incalzare i concorrenti. Ma, nello specifico, il piano industriale è apparso reticente, perché non ha dato scadenze precise agli investimenti previsti. Questo nodo dovrà essere sciolto presto, se ci si vorrà avvicinare alla quota quasi temeraria delle 400 mila vetture indicata come obiettivo per il 2022. Mike Manley ha in definitiva davanti a sé un compito non solo arduo, ma un po' da inventare, un po' come ha fatto Marchionne in passato. Dovrà anche scegliere un proprio stile di gestione. E dovrà dimostrare di essere un bravo car Guy in generale, sensibile e capace di fronte alla realtà italiana come ha saputo esserlo a Detroit. © RIPRODUZIONE RISERVATA Giuseppe Berta ilsole24ore.it Titolo: La scommessa di Umberto Agnelli: in fabbrica un uomo della finanza Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 01:35:31 pm L’ANALISI
La scommessa di Umberto Agnelli: in fabbrica un uomo della finanza Alla fine dello scorso aprile, riepilogando i risultati del primo trimestre 2018, Sergio Marchionne aveva annunciato che la Fca era giunta, con oltre un miliardo di utili, a sorpassare la General Motors, il colosso americano sotto le cui insegne il gruppo torinese sembrava destinato a finire 15 anni prima, quando stava rischiando la bancarotta. Non solo. La Fca era anche in procinto di abbattere il debito, che si trascinava dietro dall’inizio del 2005, quando si dava pressoché scontato negli ambienti politici che la Fiat, l’ammiraglia del capitalismo italiano, sarebbe passata nelle mani delle banche creditrici. Essendo riuscito nell'impresa, a capo del tandem tra Fiat e Chrysler, che ben pochi, dopo la fusione tra le due firme dell’auto, ritenevano capace di una simile performance, Marchionne aveva lasciato capire chiaramente che intendeva concludere il suo mandato («La possibilità che resti nel gruppo dopo il 2019 - aveva detto - è tra zero e nessuna»). Non prima però di portare a termine un nuovo piano industriale per il futuro, una sorta di “rivoluzione” nelle fabbriche del gruppo, in quanto destinato, da un lato, alla realizzazione entro il 2021 di vetture elettriche e ibride a guida semi-autonoma, e dall’altro, a dare a addio negli stabilimenti di assemblaggio italiani alla Panda e alla Punto, per concentrare la produzione sui Suv, le Jeep e su modelli di alta gamma come Alfa Romeo e Maserati. Eppure ben pochi avevano immaginato nel 2004 quando Umberto Agnelli, dopo la scomparsa l’anno prima dell'Avvocato, aveva cooptato Marchionne nel Board della Fiat per via delle capacità di cui aveva dato prova nella SGS, che il nuovo arrivato, in dimestichezza più con il mondo della finanza che con quello industriale, avrebbe potuto eccellere nelle nuove vesti di un manager al massimo livello, altrettanto risoluto nelle sue decisioni che sagace nell’organizzazione aziendale, al punto da allestire un efficace gioco di squadra, e per di più dotato di un singolare fiuto nell’orientarsi con successo in un mercato così difficile e continuamente mutevole come quello delle quattro ruote. Di qui l'indirizzo (dalla trasformazione del gruppo italo-americano in un perenne cantiere all'avveduta distribuzione ai soci di pochi dividendi, da un’attenzione assidua alle innovazioni tecnologiche all’elezione di un veicolo come la Jeep a prestigioso brand globale della Casa, nonché a principale voce attiva del bilancio della Exor) che Marchionne ha impresso, di concerto con John Elkan, a un percorso ancorché arduo e in alcuni momenti particolarmente accidentato come quello della Fca. Di fatto sono stati questi i cardini della strategia vincente e, nel contempo, del «mito» che lungo la strada non solo i mass media hanno finito per creare intorno a questo personaggio pur schivo è riservato per indole e formazione, e incline per il resto a lavorare silenziosamente badando al sodo e mai pago dei risultati via via acquisiti. Del resto, le uniche sortite in pubblico che Marchionne si concedeva erano dovute alla sua passione per la Ferrari (di cui era divenuto presidente e amministratore delegato) che lo portava ogni volta che poteva, a presenziare ai box della “rossa” di Maranello in occasione delle gare della Formula Uno. © RIPRODUZIONE RISERVATA Valerio Castronovo Da ilsole24ore.com Titolo: FCA, L'era Marchionne è finita. Il nuovo ad di Fiat Chrysler è Mike Manley Inserito da: Arlecchino - Luglio 24, 2018, 12:34:12 pm L'era Marchionne è finita. Il nuovo ad di Fiat Chrysler è Mike Manley
Il responsabile del marchio Jeep assume la guida del gruppo dopo il cda straordinario convocato a causa del prolungarsi della degenza del manager italo-canadese, le cui condizioni stanno peggiorando. Elkann: "Scelta di continuità aziendale" 21 luglio 2018, 19:50 L'era Marchionne è finita. Il nuovo ad di Fiat Chrysler è Mike Manley Sergio Marchionne non è più l'amministratore delegato di Fiat Chrysler. Al suo posto è stato designato Mike Manley, responsabile del marchio Jeep e membro del Group executive council (Gec) dal primo settembre scorso. Secondo Automotive News, la guida della Ferrari andrà invece a Louis Camilleri, attuale numero uno di Philip Morris e già membro del cda della Rossa. Peggiorano le condizioni di Marchionne L'era Marchionne termina quindi con un anno di anticipo rispetto alle previsioni. Il manager italo-canadese è ricoverato, secondo le informazioni ufficiali, in una clinica svizzera per un intervento chirurgico e la sua degenza sembra protrarsi più delle previsioni. Dopo che in settimana "sono sopraggiunte " complicazioni inattese durante la convalescenza post - operatoria, "si sono ulteriormente aggravate nelle ultime ore" le condizioni del manager, comunica "con profonda tristezza" una nota di Fca in cui si dice che "il dottor Marchionne non potrà riprendere la sua attività lavorativa". Il Consiglio di Amministrazione di Fca ha espresso "innanzitutto la sua vicinanza a Sergio Marchionne e alla sua famiglia sottolineando lo straordinario contributo umano e professionale che ha dato alla società in questi anni". Chi è il nuovo ad Responsabile dal 2009 del marchio Jeep e, dall'ottobre del 2015, del brand Ram, Manley, 54 anni, nato in Gran Bretagna, è anche membro del Group Executive Council (GEC) di Fca dal primo settembre 2011. In precedenza, ha ricoperto il ruolo di Chief operating officer Asia (Apac) e ha diretto le attività internazionali di Chrysler fuori dell'area Area Nafta con la responsabilità di implementare gli accordi di cooperazione per la distribuzione dei prodotti del gruppo Chrysler attraverso il network internazionale di Fiat. Da dicembre 2008, inoltre, è stato Executive vice president - International sales e global product planning operations: in questa posizione, è stato responsabile della pianificazione prodotto e di tutte le attività di vendita al di fuori del Nord America. Ha un Master of Business administration (Mba) conseguito presso l'Ashridge Management College. L'era Marchionne è finita. Il nuovo ad di Fiat Chrysler è Mike Manley Mike Manley La svolta della carriera di Manley, sottolinea il Corriere, arriva proprio quando viene nominato presidente e ad del marchio Jeep: "Lo aveva ammesso anche lui in una recente intervista: «La vera svolta della mia carriera c’è stata quando mi hanno dato l’incarico di guidare il marchio Jeep». Il marchio, aveva spiegato, «aveva grandi potenzialità di crescita e le abbiamo sfruttate bene, in meno di un decennio siamo passati da poco più di 300 mila veicoli venduti l’anno a 1,4 milioni e l’obiettivo è di salire ancora». Il merito del rilancio, insomma, in parte va proprio a lui". "Tanto che nel 2011 gli viene offerto di entrare a far parte del Group executive council, l’organismo decisionale responsabile della supervisione dell’andamento operativo del business e delle decisioni su alcune scelte operative", prosegue il quotidiano, "si tratta del più alto organo decisione dopo il consiglio di amministrazione di FCA. Dal 2015 è anche a capo del marchio Ram, brand specializzato nella produzione di pickup e van. E anche qui Manley ha consolidato i buoni risultati: come ha spiegato qualche mese fa, dal 2009 il brand ha registrato una crescita del 163%". Elkann: Marchionne un mentore e soprattutto un amico L'amministratore delegato uscente di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, "per me è stato una persona con cui confrontarsi e di cui fidarsi, un mentore e soprattutto un amico. Ci ha insegnato a pensare diversamente e ad avere il coraggio di cambiare, spesso anche in modo non convenzionale, agendo sempre con senso di responsabilità per le aziende e per le persone che ci lavorano". Così il presidente del gruppo, John Elkann, nella nota in cui il Lingotto ha ufficializzato la sostituzione del manager italo-canadese con Michael Manley. Marchionne "ci ha insegnato che l’unica domanda che vale davvero la pensa farsi, alla fine di ogni giornata, è se siamo stati in grado di cambiare qualcosa in meglio, se siamo stati capaci di fare una differenza. E Sergio ha sempre fatto la differenza, dovunque si sia trovato a lavorare e nella vita di così tante persone. Oggi, quella differenza continua a farla la cultura che ha introdotto in tutte le aziende che ha gestito e ne è diventata parte integrante. Le transizioni che abbiamo appena annunciato, anche se dal punto di vista personale non saranno prive di dolore, ci permettono di garantire alle nostre aziende la massima continuità possibile e preservarne la cultura. Per me - ha concluso Elkann - è stato un privilegio poter avere Sergio al mio fianco per tutti questi anni. Chiedo a tutti di comprendere l’attuale situazione, rispettando la privacy di Sergio e delle persone che gli sono più vicine. Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it Da - https://www.agi.it/economia/mike_manley_il_nuovo_ad_di_fca-4184529/news/2018-07-21/ Titolo: LORIS CAMPETTI, uno "contro" Marchionne per Partito preso ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 25, 2018, 05:00:44 pm Com'è Marchionne
Se potesse leggere e comprendere, il manager si farebbe grasse risate dei necrologi che gli sono dedicati ancora in vita. Più che su di lui, bisognerebbe riflettere su come media, opinion leader, intellettuali, politici e sindacalisti politically correct (cioè cooptati dal pensiero unico) ne stanno raccontando le gesta Scritto da LORIS CAMPETTI 23 luglio 2018 Obituary in inglese, necrologio in italiano. “Coccodrillo”, invece, è il modo un po’ indecente usato nelle redazioni dei giornali per indicare l’articolo scritto in memoria del defunto. Per averlo pronto al momento giusto, cioè quando le agenzie ufficializzano il decesso del destinatario delle lacrime, il coccodrillo dev'essere compitato in anticipo, scritto già alle prime avvisaglie di una grave malattia o quando il protagonista ha superato i novant’anni; e dev’essere conservato religiosamente nel cassetto, pronto per l’uso. Forse non sono abbastanza cinico, oppure come giornalista valgo poco, fatto sta che ho sempre cercato di evitare di piangere il morto già da vivo. Dunque mi limiterò a digitare poche considerazioni su Sergio Marchionne, l’uomo che da vivo ha già conquistato il massimo immaginabile degli obituary. Se potesse leggere e comprendere, il manager si farebbe grasse risate. Più che su Marchionne, rifletterei su come media, opinion leader, intellettuali, politici e sindacalisti politically correct (cioè cooptati dal pensiero unico) ne stanno raccontando le gesta. Scelgo il termine inglese, obituary, per rispetto nei confronti del personaggio, colui che “ha salvato la Fiat” dal catastrofico fallimento”, “il manager col golfino” che ha globalizzato un’azienda provinciale (ma quando mai?) sottraendola alla piccineria della provincia (Torino) e della nazione (l’Italia). Grazie a lui la Fiat oggi si chiama Fca (altro che Fabbrica Italiana Automobili Torino!), parla inglese e se c’è ancora qualche stabilimento aperto in Italia è solo grazie agli ammortizzatori sociali e ai soldi e ai sostegni della collettività nazionale e ai sacrifici degli operai e degli ex operai dell’automobile. E’ lui che ha preparato la propria successione alla Fiat, alla Cnh e alla Ferrari: due inglesi e un maltese, l’unico italiano in corsa, Altavilla, è stato trombato ed è in uscita dal caravanserraglio. Anche chi in passato ha criticato qualche scelta di Marchionne oggi dice: aiuto, arrivano i capi stranieri, che ne sarà di noi, che ne sarà di Mirafiori? Sì, perché adesso Mirafiori pullula di lavoratori, grazie alla strategia di Marchionne? Dio acceca chi vuol perdere e Marchionne ha avuto la capacità egemonica di cooptare anche gran parte di chi avrebbe dovuto essere l’antagonista. Fateci caso: se un operaio muore di lavoro in fabbrica o nei campi normalmente è colpevole: di non aver fatto attenzione, di non aver rispettato le regole di sicurezza. Anche Sergio Marchionne probabilmente è morto di lavoro, mai un attimo di riposo, sempre preso da strategie, finanza, joint venture, visioni, acquisti e vendita di titoli, di fabbriche, di uomini e donne, la sua giornata “inizia alle 3,30” come ha più volte detto ai cronisti l’amministratore delegato della Fca. Ma lui, a differenza degli operai, non ha colpe, non ha compiuto errori. Gli ultimi quindici anni li ha passati al comando della più potente famiglia capitalistica italiana e di uno dei più antichi marchi automobilistici mondiali. I due Marchionne Primo Marchionne: tra le sue prime dichiarazioni una in particolare lasciò sperare in un cambiamento della secolare filosofia della Fiat e della famiglia proprietaria: l’incidenza del costo del lavoro per fare un’automobile non va oltre il sei-sette per cento rispetto ai costi totali per l’azienda. Dunque il problema non sono gli operai, i loro stipendi, i loro diritti e i loro sindacati, ma la strategia della proprietà e la capacità e la visione del management. E da questi secondi elementi che dipende gran parte della produttività. E scusate se è poco. Secondo Marchionne: costo eccessivo della mano d’opera, troppi lacci e lacciuoli, troppo potere sindacale. In cambio del lavoro, ha detto a Pomigliano, quindi a Mirafiori e poi dovunque, dovete rinunciare a scioperi e diritti, via il contratto nazionale per avere un’aspettativa di futuro. Ci credettero quasi tutti, con l’esclusione della Fiom e tra gli applausi del centrosinistra, del centrodestra, della destra estrema, dei sindacati compatibili. Il Marchionne filosofo Ha descritto con parole semplici e chiare, come sua abitudine, la nuova way of life, il principio regolatore del nuovo ordine capitalistico e politico mondiale: noi siamo una nave da guerra e abbiamo un obiettivo: conquistare un porto, un’isola, un braccio di mare. I rematori stanno sotto, in mezzo le varie figure sociali necessarie alla navigazione e al combattimento e sopra, al comando, ci sono io. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo militare e strategico, tra noi non può esserci conflitto perché siamo sulla stessa barca (è finita la lotta di classe verticale). Allora chi è il nemico? Ovvio, l’altra nave da guerra che vuole conquistare lo stesso porto, la stessa isola, lo stesso braccio di mare. I nemici dei nostri rematori sono i rematori della nave da guerra concorrente (e siamo alla lotta di classe orizzontale, cioè alla guerra tra poveri). Ha fatto strada e proseliti, Marchionne, con la sua filosofia. E’ uscito da Confindustria e ha espulso i sindacati indipendenti perché ha decretato la fine dei corpi intermedi e perché per il secondo Marchionne la “fedeltà” è tornata a farla da padrona, più e prima della qualità. Ora il capo di Confindustria dice: “Aveva ragione lui”, idem i capi dei sindacati devoti. E già quando Marchionne era al top e non aveva sentori del male, al massimo si schiantava senza troppi danni a duecento all’ora con la Ferrari nel suo paese-rifugio svizzero, il capo del Pd Matteo Renzi decretava: “E’ più utile lui agli operai che la Cgil”, e il suo accolito Fassino: “Se fossi un operaio voterei sì”. “Visionario”, “Coraggioso”, “geniale”, “tenero” Lo piange e lo elogia in anticipo anche Farinetti il figlio del partigiano, Franzo Grande Stevens lo paragona a Voltaire e Bertinotti precisa: “Non si attaccano gli uomini sul personale ma per cosa rappresentano”. Marchionne che non può essere criticato rappresenta il capitalismo che si può attaccare, come se tutti i capitalisti fossero uguali, Olivetti e Agnelli per me pari sono? Il vecchio Olivetti diceva che nella sua azienda chi guadagnava di più non poteva avere uno stipendio più di sei volte maggiore di chi guadagnava di meno, Marchionne guadagnava cinquecento volte più di un suo operaio di terzo livello, senza calcolare stock option e benefit. Cioè un qualsiasi Cipputi dovrebbe lavorare cinquecento anni per guadagnare quel che Marchionne guadagnava in un anno soltanto. Un po’ italiano, un po’ canadese, un po’ svizzero (per il fisco). Americano nel profondo e, come da sempre la famiglia Agnelli, governativo. Democratico con Obama per mettere le mani sulla Chrysler, filo-Trump per salvare il salvabile e il primo a chiudere fabbriche in Messico per produrre automobili là dove l’uomo dei dazi vuole che si produca: negli Usa. Con Obama aveva già trasportato innovazione e ricerca dall’Italia oltre oceano. Filo-Renzi, amore corrisposto, anche se dal sindaco d’Italia il manager con il golfino si aspettava di più. Se penso a tutte le cose che ho scritto negli anni contro il truce Romiti, lo “sciafela leun” (schiaffeggia leoni), oggi mi viene da dire: preferivo Romiti, avversario vero e leale, non era Voltaire ma voleva battere il nemico in campo aperto e non espellendolo dal certame cambiando le regole. Comunque, Marchionne, quando verrà il tuo giorno, che la terra ti sia lieve. LORIS CAMPETTI Loris Campetti ha lavorato al “manifesto” dalla seconda metà degli anni Settanta fino al 2012, occupandosi in particolare di lavoro, sindacato e economia. Collabora con testate italiane e straniere. Saggista, è autore di "Non Fiat" (Cooper Castelvecchi), "Ilva connection" (Manni) e "Non ho l’età/ Perdere il lavoro a 50 anni" (Manni). Nelle librerie, nei prossimi giorni, "Ma come fanno gli operai. Precarietà, solitudine, sfruttamento. Reportage da una classe fantasma" (Manni) Da - https://ytali.com/2018/07/23/come-marchionne/ Titolo: Cosa succede ora a Fca con Manley? Gli scenari: fusione, alleanza o vendita Inserito da: Arlecchino - Luglio 25, 2018, 05:04:25 pm IL RITRATTO
Cosa succede ora a Fca con Manley? Gli scenari: fusione, alleanza o vendita Perché Torino ha scelto il capo della Jeep, primo straniero alla guida del Lingotto. Quei colloqui in Cina e le ipotesi della Hyundai. Ecco gli scenari Di Bianca Carretto Michael Manley, il nuovo amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, non ha nulla di somigliante con Sergio Marchionne, l’ex numero 1 di Fca e Ferrari scomparso oggi, mercoledì 25 luglio, all’età di 66 anni. Inglese, longilineo, senza apparenti slanci emotivi (come dimenticare gli abbracci forti di Sergio), abituato a vivere più in America che in Europa, soprattutto non in Italia. Si è occupato dei mercati asiatici ed è Ceo di Jeep, il marchio più remunerativo del gruppo. Forse questa è stata la ragione principale della sua scelta, da parte di un board che si trova di fronte ad una svolta epocale dopo l’uscita di Marchionne. La storia di Manley Si è messo già al lavoro. Il primo appuntamento è stato, lunedì e martedì, la riunione a Torino, al Lingotto, del Gec (Group Executive Council), l’organismo decisionale del gruppo, costituito dai responsabili dei settori operativi e da alcuni capi funzione e guidato dall’amministratore delegato. In tutto una ventina di top manager che fanno quindi riferimento a Manley. Il Gec - articolato in quattro strutture principali: ambiti regionali, brand, processi industriali, funzioni corporale - si riunisce una volta al mese in sedi diverse e la scelta di Torino era già stata fatta. Il secondo, mercoledì stesso, con gli analisti, per presentare i conti di Fca. Una società che ora potrà decollare sempre più verso gli Stati Uniti, dove il brand Jeep viene maggiormente prodotto. Il possibile spostamento dall’altra parte dell’Atlantico — già temuto dai sindacati della Fim- Cisl che chiedono in una nota a Manley continuità industriale, accelerazione degli investimenti e sicura occupazione per le fabbriche italiane — potrebbe anche essere una conseguenza legata alla politica di Trump che condiziona ormai tutte le case costruttrici europee e non solo. La minaccia del presidente americano di imporre dei diritti doganali del 25% sulle vetture importate condiziona qualsiasi scelta. L’industria dell’automobile ha sempre costituito un simbolo politico molto forte negli Stati Uniti, le vetture prodotte in Europa e in Asia contano, nella realtà, meno di un quarto del mercato. La metà dei veicoli venduti negli Usa sono costruiti in loco (oltre il 55%), più un altro 25% in Canada e in Messico. In questi ultimi anni le case straniere hanno stanziato miliardi di dollari in Usa per attivare nuovi stabilimenti, sviluppando il loro business. Nel solo primo trimestre del 2018 queste ultime, hanno superato i veicoli costruiti negli Stati Uniti dalle tre «big» di Detroit, Gm, Ford e Fca. Questo panorama, dopo l’uscita di Marchionne, non accelera quel processo di convergenze verso altre industrie del settore. Marchionne non ha mai voluto vendere ma ha sempre sostenuto che «é necessario pulire il titolo di Fca dai suoi componenti non strettamente automobilistici per creare più valore per gli azionisti». Manley, oltre ad affrontare lo sviluppo della vettura elettrica e autonoma che necessita di forti investimenti, dovrà scegliere un partner per avere il sostegno necessario, indispensabile, in questo incerto settore, in costante mutazione. Il piano industriale presentato da Marchionne il 1 giugno era indubbiamente un segnale mandato ad un possibile alleato. Giovedì scorso Fca ha avviato lo scorporo di Magneti Marelli che sarà registrata sia alla Borsa di Amsterdam che a quella di Milano, secondo un documento che Reuters ha potuto consultare, seguendo la procedura analoga a quella messa in atto per Cnh Industrial e Ferrari. Secondo gli analisti, Magneti Marelli, può valere tra i 3,6 e i 5 miliardi di euro. I mercati finanziari si aspettavano da Marchionne un altro dei suoi colpi di teatro, la scoperta di una collaborazione concreta. Manley, che conosce l’Asia, potrebbe approcciare Hyundai che più volte è stata ritenuta adatta per una cooperazione industriale. Un’ipotesi intrigante anche se il marchio Jeep, iconico per gli americani, non potrà mai essere traghettato al di fuori del territorio a stelle e strisce. Si parla anche molto di una divisione ad hoc per i marchi Alfa Romeo e Maserati, il famoso polo del lusso che necessita di investimenti elevati per decollare un’immagine ancora troppa flebile. Interessati potrebbero essere gli americani di Ford che hanno in cantiere già sia l’auto senza guida che quella elettrificata. Manley non ha un compito di rapida soluzione, considerando che dovrà prima capire il mondo Fca, nella sua complessità. 25 luglio 2018 (modifica il 25 luglio 2018 | 12:16) © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - https://www.corriere.it/economia/18_luglio_25/cosa-succede-ora-fca-manley-scenari-fusione-alleanza-o-vendita-morto-sergio-marchionne-202dd238-8ff1-11e8-9e3d-9a7bf81b9c8e.shtml Titolo: MARCHIONNE, una storia riformista. Senza di lui si vedono nuvole all'orizzonte. Inserito da: Arlecchino - Luglio 25, 2018, 05:39:28 pm Marchionne, una storia riformista
Se ci sono ancora Pomigliano e Melfi è grazie a lui. Senza di lui si vedono già nuvole all'orizzonte Molto prima della sinistra, Sergio Marchionne aveva capito che la sfida dei riformisti è accettare la globalizzazione e in un certo senso “sfruttarla” per costruire qualcosa di avanzato. La socialdemocrazia europea e mondiale invece in questi anni si è baloccata nella coltivazione dell’orticello nazionale, difendendo “il welfare in un solo paese” (il proprio) e le bellissime conquiste degli anni Sessanta e Settanta. Intanto il mondo andava avanti, seppellendo le vecchie certezze e ponendo i riformisti dinanzi a domande nuove: come reggere le sfide della mondializzazione, dell’automazione, della conoscenza, dell’impoverimento crescente di tanta parte del pianeta? Ecco, mentre la socialdemocrazia si rinchiudeva, l’avversario impazzava, con tutti i mezzi, fino al big crash del 2008. E fu in quel torno di tempo che un uomo venuto dal nulla chiamato Sergio Marchionne si trovò lì, all’appuntamento con una storia nuova: prendere la globalizzazione per le corna, se si può dir così. E vinse la sfida. “Senza di lui non sarebbe stata possibile l’operazione con Chrysler che ha salvato la Fiat”: in 16 parole Piero Fassino, uno che la Fiat l’ha conosciuta bene, sintetizzò tempo fa quell’impresa. E invece Marchionne salvò la Fiat, una volta compreso, come disse a Gabetti davanti a due uova strapazzate, che “la Fiat è tecnicamente fallita”. Andando negli USA per la gigantesca operazione Chrysler, salvò gli stabilimenti. I posti di lavoro. Se esiste ancora Mirafiori, pur irriconoscibile dagli anni della “Torino operaia e socialista” raccontata da tanti sindacalisti nel Novecento, lo si deve a lui. Se ci sono ancora Pomigliano e Melfi è grazie a lui. Ricordate il drammatico referendum? “Lo stabilimento di Pomigliano era sostanzialmente chiuso – ha ben rievocato il capo della Fim Marco Bentivogli – quasi tutti i lavoratori erano a casa, inizialmente la Fiat pensava, dopo il no della Fiom, che noi ci saremmo accodati ma Fim, Uilm, Ugl e Fismic furono intransigenti nel proseguire il negoziato e arrivammo all’accordo. Pomigliano doveva avere un futuro, e così fu nonostante dentro Fiat, e non solo, una parte del vertice puntava sul ‘no corale’ di tutto il sindacato, per poter andar via veramente dall’Italia, perché dopo Pomigliano, ci sarebbero state Melfi, Cassino e Mirafiori. Quel ‘sì’ invece, riaprì la partita. E Marchionne mantenne il patto con noi”. Senza di lui – perché questo è il crudele destino suo, un destino che molto evoca della singolarità della sua anomala biografia – si vedono già nuvole all’orizzonte. In tempi di sovranismi e nazionalismi, la lezione di Sergio Marchionne è una bussola per quei riformisti che hanno il compito di vincere su un destino che pare segnato. Da - https://www.democratica.com/focus/marchionne-fiat-fca-riformismi-pomigliano-mirafiori-torino/ Titolo: Marchionne e il capitalismo, ha lasciato un segno in due modelli differenti Inserito da: Arlecchino - Agosto 01, 2018, 05:14:19 pm L'analisi.
Marchionne e il capitalismo, ha lasciato un segno in due modelli differenti Giorgio Ferrari mercoledì 25 luglio 2018 Era destinato a non piacere a nessuno: gli italiani lo consideravano un alieno e gli americani un perfezionista durissimo. Mancherà a entrambi Sergio Marchionne (1952-2018) Se riuscissimo per un istante a liberarci dell’abbraccio un po’ soffocante con cui detrattori storici e ammiratori dell’ultima ora circondano oggi Sergio Marchionne, avremmo ben chiaro un fatto: questo manager figlio di un maresciallo dei carabinieri, partito da Chieti e approdato in Canada, in Svizzera, e poi a Auburn Hills, Michigan per guidare una Fca americana e internazionale che non era più Fiat ma in fondo un po’ ancora lo era, era destinato a non piacere a nessuno. Non agli italiani, che l’hanno immediatamente considerato un alieno, un traditore della Confindustria, uno spietato servo del padrone capace unicamente di accontentare gli interessi dell’azionista e quasi per nulla quello dei dipendenti, ridotti per sua mano a poche decine di migliaia; e in fondo nemmeno agli americani, che nel funambolico manager che era riuscito a salvare la Fiat vendendola di fatto alla Chrysler senza poter dire chi delle due ci avesse davvero guadagnato vedevano anche loro un perfezionista maniacale, arrogante e durissimo ('ruthless', spietato, diceva di sé) anche senza essere un vero wasp. Non meravigliamoci troppo. Marchionne si ergeva come il Colosso di Rodi alla confluenza di due mondi che mal si conciliano fra loro: una gamba poggiava su quello maxweberiano-postfordista fondato sul conflitto e sul puro spirito del capitalismo caro agli americani, l’altra su quello consociativo-familistico caro agli italiani (e non solo a loro). In entrambi ha lasciato un segno profondo. Soprattutto in America, dove ha ammaliato sia Obama sia Trump: il primo per come ha sedotto e accontentato la working class dell’automotive (il cui voto confluì massiccio garantendogli la rielezione del 2012), il secondo per come – in modo trionfalmente americano – ha avuto quel successo che è alla base del mito fondante del Nuovo Mondo. E che il mondo fosse davvero nuovo lo aveva capito da tempo: non solo portando la testa e la cassa della Fiat a Londra e a Amsterdam, ma recidendo molte delle sue radici in Italia a favore di una visione globale che i poco coraggiosi capitani d’industria nostrani (chi si ricorda ormai di Raul Gardini e Carlo De Benedetti, che negli anni Ottanta affollavano fra l’ammirazione mondiale le copertine di Time e Newsweek?) oggi nemmeno osano pensare. «Esiste un limite oltre il quale il profitto diventa cupidigia», ammise un giorno, riconoscendo con Max Weber il pericolo della virgiliana auri sacra fames, la sacra (ma soprattutto esecrabile) cupidigia dell’oro. Ma capì anche che l’etica degli affari postulata un secolo prima non era più attuabile. Più di ogni altra cosa detestava la mediocrità e la sciatteria. Lascia scritto: «Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere, non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno». Esemplare quasi come quella sua stranota considerazione, quasi un epitaffio: «Non ho mai capito perché gli operai americani mi ringraziano per aver salvato loro la pelle, mentre quelli italiani vorrebbero farmela». In realtà lo sapeva benissimo: per un decennio ha regnato su due mondi diversi, nessuno necessariamente migliore dell’altro. Mancherà certamente a entrambi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - https://www.avvenire.it/economia/pagine/marchionne-e-il-capitalismo-ha-lasciato-un-segno-in-due-modelli-differen Titolo: Sergio MARCHIONNE se ne è andato. Rimane la sua eredità, consistente e radicale. Inserito da: Arlecchino - Agosto 10, 2018, 05:22:24 pm IL PERSONAGGIO
Il manager che cambiò Fiat e un po’ l’Italia Sergio Marchionne se ne è andato. Rimane la sua eredità, consistente e radicale. Una eredità con una doppia, ambivalente, natura: Marchionne è stato sia un uomo di sistema sia un outsider. Negli Stati Uniti e in Italia. Allo stesso tempo un capobranco e un maverick, i capi di bestiame privi di marchio lasciati liberi di correre nelle praterie del Far West. Il manager italocanadese ha modificato profondamente l’industria dell’auto internazionale. In questo non è stato mai solo. Lui è l’ultimo di uno schiatta di manager provenienti da altri settori che, poco per volta, dagli anni Novanta hanno preso piede in una industria dominata per un secolo dai car guy, i ragazzi dell’auto americani e tedeschi, per lo più ingegneri cresciuti con l’ossessione della produzione e delle tecnologie e senza esperienze in altri campi. Il manager italocanadese ha lasciato un segno indelebile nella economia, nella società e nella politica italiane. In questo, da un certo punto in avanti, è stato solo. Ma soltanto da un certo punto in avanti. Nei suoi primi anni, ha infatti operato insieme alle banche e ai sindacati del nostro Paese per evitare il disonore del fallimento alla Fiat. È stato un autentico uomo di sistema, in grado di collaborare pienamente con le banche che hanno garantito alla Fiat e alle finanziarie degli Agnelli Elkann il sostegno necessario e capace di tessere relazioni proficue e personali con i sindacalisti italiani, perfino quelli della Fiom-Cgil. La scossa al corpo morto della Fiat non si poteva dare senza l’accordo – o, almeno, la stima e il rispetto reciproco – del sindacato. Di tutto il sindacato. È il periodo del “Marchionne socialdemocratico” che piace alla sinistra. In realtà, dietro quella formula si cela un “Marchionne manifatturiero e produttivista”, che sa che la Fiat si risana ripartendo dalle fabbriche, e si riflette anche la sua identità personale: figlio di un carabiniere, con simpatie giovanili di sinistra e senza alcuna sottomissione o senso di inferiorità verso il corpo elitario novecentesco che fino ad allora aveva dominato da Torino, per un secolo, il Paese. Poi, nel 2009, capitano due cose. La prima è che convince Barack Obama a cedere la Chrysler alla Fiat. La seconda è che non riesce a indurre la Merkel e il sindacato tedesco a dargli la Opel. Il fallimento del progetto a tre fulcri –Italia, Stati Uniti e Germania – porta alla definitiva americanizzazione della Fiat. I referendum del 2010 di Pomigliano d’Arco e di Torino e l’uscita nel 2011 da Confindustria sono il risultato dell’ingresso della globalizzazione nelle fabbriche italiane, con l’idea che la contrattazione nazionale sia un non senso logico, non comprensibile dagli investitori internazionali e inadatto a gestire organismi manifatturieri e finanziari internazionalizzati. E nell’organismo Fiat-Chrysler inizia a scendere rapidamente la quota – sul fatturato e sugli addetti – dell’Italia, che alla fine si attesterà – per entrambi gli indicatori – sotto il 10 per cento. Lo scontro con la Fiom sfiora la violenza, almeno verbale. E si ripercuote sul suo rapporto con il Paese. È di allora la frase, pronunciata di fronte alle accuse di incostituzionalità delle nuove relazioni industriali Fiat a un convegno dei Cavalieri del lavoro: «In Italia qualcuno ha aperto le gabbie e sono usciti tutti». Marchionne è, in Italia, solo. Ma, in quel momento, non lo è negli Stati Uniti. Non solo per il rapporto con Barack Obama, che vede in lui il manager che ha evitato l’assorbimento di Chrysler in una delle due altre case automobilistiche di Detroit e l’attuatore del suo neo-ambientalismo industriale basato sulla introduzione negli Stati Uniti di automobili più piccole e con consumi più bassi. Marchionne è un uomo di sistema anche per via del legame con lo Uaw - lo United Auto Workers – che cede alla Fiat quote crescenti di Chrysler alla Fiat e che diventa una sorta di funzione aziendale aggiunta in azienda. Qua lo scontro con la Fiom è durissimo. Là lo Uaw è il principale partner di Marchionne per ribaltare le vecchie (e inefficienti) logiche di gestione degli impianti. Gli operai e i sindacalisti americani amano Marchionne più dei funzionari e dei dirigenti industriali di vecchia scuola, che si ritrovano tagliati fuori dal World Class Manufacturing, metodo di gestione comune dei plants fra Michigan e Ohio. Marchionne, dunque, affina nel tempo questa sua natura elementare e ambigua, articolata e nitida. In Italia, le classi dirigenti raccolte intorno a Matteo Renzi, soprattutto nel periodo della “rottamazione” antisistema, guardano con ammirazione la sua capacità – industriale, finanziaria e di diritto societario - di creare dalla Fiat e da Chrysler la Fca e di essere parte integrante del grande cambiamento americano incentrato su Barack Obama. In questo passaggio – fra il 2012 e il 2015 – in Italia Marchionne è più “cercato dagli altri” di quanto non sia “con gli altri”. E raccoglie non poche critiche. In particolare, i suoi progetti industriali di miglioramento del paesaggio industriale italiano – con la valorizzazione di Alfa Romeo e di Maserati – non sono apprezzati da chi ne osserva la continua rimodulazione al ribasso: il polo del lusso, già ipotizzato nel 2014 all’incontro con gli investitori a Auburn Hills, diventa sempre più sottile e aereo, i numeri prospettati non si raggiungono, il desiderio di un corpo a corpo con i tedeschi – un modello di Alfa per ogni modello di Bmw – si trasforma in una chimera. Marchionne è, negli Stati Uniti, un uomo solo nel 2015. Il progetto di fusione con General Motors non incontra i favori del management di quest’ultima, delle classi dirigenti della Detroit Area e del Michigan, della presidenza americana e di Wall Street. È, quella, la mancata chiusura del cerchio del suo progetto imprenditoriale. Marchionne è morto ieri. Ha detto John Elkann: «L’uomo, l’amico se ne è andato». I discorsi di Marchionne erano densi di riferimenti letterari. Un paio di volte ha citato Emily Dickinson. Chissà se ha mai letto i suoi versi: «Ha una sua solitudine lo spazio, solitudine il mare e solitudine la morte». © RIPRODUZIONE RISERVATA @PaoloBricco Paolo Bricco Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180726&startpage=1&displaypages=2 Titolo: FCA - FIAT - La squadra di top manager il vero nodo per il nuovo corso. Inserito da: Arlecchino - Agosto 10, 2018, 05:46:40 pm La squadra di top manager il vero nodo per il nuovo corso
Al vertice del mercato europeo Manley potrebbe designare un italiano Con un piano industriale ambizioso, che punta alla svolta dell’elettrificazione, alla guida autonoma e al potenziamento entro il 2020 dei marchi chiave (Jeep in testa seguito da Alfa Romeo e Maserati), la squadra dei manager in Fca diventa un elemento chiave per dare esecuzione a un programma che porterebbe il Gruppo italoamericano a diventare un reale competitor dei più grandi gruppi automobilistici. Fra i primi impegni che attendono il nuovo amministratore delegato di Fca Mike Manley (e il Cfo Richard Palmer) c’è quello di sostituire il dimissionario Alfredo Altavilla nel ruolo di responsabile del mercato Emea. Lo stesso Altavilla, che di fatto ha sbattuto la porta viste le sue ambizioni di salire sul trono di Fiat Chrysler, pur motivando l’intenzione di lasciare il Gruppo «per perseguire altri interessi professionali» ha assicurato il suo supporto fino alla fine di agosto a Manley che ha assunto ad interim la carica di Chief operating officer dell’area Emea (Europa, Africa e Medio Oriente). E si tratta di una delle aree più strategiche per il gruppo italoamericano. Certo il vecchio Continente non ha le prospettive di crescita della Cina (dove i numeri di Fca restano contenuti), ma i numeri sono imponenti: nell’area Ue allargata all’Efta nel 2017 sono state vendute 15,6 milioni di auto (8,7 nei primi sei mesi del 2018 ed Fca ha commercializzato oltre un milione di vetture (856mila nei primi mesi) con volumi simili; il mercato europeo è quindi per Fca strategico. Fra le ipotesi emerse nelle ultime ore c’è l’ipotesi che Manley potrebbe designare al vertice del mercato europeo un manager italiano, visto che a lui toccherà il compito di confrontarsi con i sindacati e le istituzioni oltre a occuparsi dell’allocazione e armonizzazione degli stabilimenti. Non dimentichiamoci che in Italia, in Polonia e anche in Turchia ci sono fabbriche fondamentali e i poli produttivi di brand strategici come Alfa Romeo in primis, di grande blasone come Maserati e regionali ma sempre importanti come Fiat. E proprio sul marchio italiano, il piano industriale ha previsto una riorganizzazione della gamma con modelli nuovi il cui sviluppo è affidato al ramo nostrano di Fca. Tra l’altro in Italia dovrebbe essere prodotta la baby Renegade Jeep, altro punto da gestire per il nuovo Ceo che proprio sul marchio Usa si giocherà la partita. Fra i candidati alla successione (ipoteticamente ci sarebbe secondo indiscrezioni Pietro Gorlier, attuale responsabile di Mopar (la divisione componenti e parti speciali) e di Magneti Marelli, società quest’ultima in uscita dal Gruppo con il conseguente possibile via libera di Gorlier al governo delle attività del vecchio continente. Un super manager, sorta di ufficiale di collegamento, tra i vari brand potrebbe non essere indispensabile visto che Fca è organizzata con responsabili globali e regionali dei singoli brand. Tra i papabili ci potrebbe essere Daniele Mele, attuale deputy Ceo di Emea, già inserito nell’organigramma o ancora Antonino Filosa, al momento numero uno per Fca del cruciale mercato latino-americano. Fra gli impegni del successore di Alfredo Altavilla (o dello stesso Manley) ci potrebbe essere il possibile cambio dei vertici di alcune funzioni all’interno della regione Emea, per essere pronto subito dopo la pausa estiva a rispondere alle richieste sui nuovi modelli e sugli impianti dove verranno prodotti sulla base di quanto annunciato a giugno nel piano industriale. Da definire anche la nuova piattaforma su cui si baseranno i due brand premium Alfa Romeo e Maserati visto che l’ipotesi di scorporo dal resto del gruppo resta prematura fino a quando Alfa Romeo non farà margini adeguati. Infine Manley deve fare affidamento sul marketing e qui l’uomo chiave è il francese Olivier François. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mario Cianflone Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180726&startpage=1&displaypages=2 Titolo: MARCHIONNE - LE STRATEGIE Il suo metodo caso di studio ad Harvard Inserito da: Arlecchino - Agosto 25, 2018, 06:11:50 pm LE STRATEGIE
Il suo metodo caso di studio ad Harvard B. Bertoldi e R. S. Kaplan Il nostro obiettivo era studiare come era stato fatto in Chrysler. Ci siamo dovuti ricredere: l’eccezionalità del caso era il gruppo di leader che in pochi mesi aveva fatto ribattere il cuore di un’azienda in arresto cardiaco attraverso visione, dedizione e convinzione fuori dal comune. La teoria manageriale ha definito che leadership ha a che fare con il cambiamento: definire la direzione, allineare le persone, motivarle e ispirarle; e che management ha a che fare con la complessità: pianificare e fare budget, organizzare e assegnare le risorse, controllare e fare problem solving. Nelle aziende le due attività sono svolte da figure diverse; nelle università le due scienze sono studiate da scuole diverse. Marchionne ha creato un nuovo stile fondendo leadership e management: uno stile che prevede di gestire un gruppo di leader pianificando, facendo problem solving, decidendo con il gruppo seduta stante; facendo tutto questo il leader guida un gruppo di leader non di manager. Questo nuovo stile di leadership ha bisogno che tre elementi siano eccezionali: il gruppo, i suoi membri e il suo leader. Un gruppo per essere eccezionale ha bisogno di un significato, di una sfida che valga la pena di essere affrontata: nelle parole di Marchionne: «Siamo qui e lo facciamo perché abbiamo una missione». Il gruppo non ha struttura piramidale con cariche definite, ognuno è giudicato in base a come fa il suo lavoro; non è una democrazia, è una comunità basata sul merito e la passione. Il gruppo è anche un’aristocrazia perché essere parte di un gruppo di manager eccezionali ti definisce come tale; non vi si partecipa per soldi o per ego ma per essere parte della missione. I membri di un gruppo eccezionale devono essere: volontari, neofiti e dedicati. Volontari perché entrare a far parte del gruppo è difficile, solo i più bravi riescono ed è un onore. La mentalità da neofita è necessaria per risolvere in modo nuovo, con soluzioni ingenue problemi complessi. Senza la dedizione non è possibile eccellere: non hai tempo per la vita reale se stai facendo la storia. In una delle conversazioni avvenute durante la ricerca Marchionne disse: «Tutti i membri del progetto 500 avevano meno di quarant’anni. Non sapendo che quello che dovevano fare era impossibile, lo hanno fatto. Il mio ruolo è stato di assicurarmi che non facessero cose stupide e di proteggerli dalla cultura di allora che sapeva solo dire non si può fare». Il leader di un gruppo eccezionale deve essere un pragmatico sognatore, mettere nel gruppo persone migliori di lui, rimanere sempre il più intelligente nella stanza. Il pragmatico sognatore rende la missione concreta e seducente. Scovare i talenti che possono fare cose che il gruppo non sa fare è necessario per rendere il gruppo migliore del suo leader e della somma dei singoli. Le riunioni del gruppo sono momenti di tensione positiva in cui ogni membro mette tutto sé stesso per affrontare e risolvere i problemi dei suoi colleghi e dell’azienda. In questi momenti il leader deve essere riconosciuto come il più intelligente nella stanza. Nelle parole di un membro del Gec: «Durante gli incontri la tensione è palpabile, è come se si deformasse la realtà e tutto andasse più veloce. Te ne accorgi quando Sergio esce: è come passare da un 45 giri a un 33, tutto si rallenta». La cadenza mensile delle riunioni dei comitati impone il ritmo al gruppo con un sistema simile a una pentola a pressione dove i leader si trasformano da acqua a vapore e “cucinano i problemi” più velocemente, il Cfo misura i tempi di cottura e l’hr verifica la tenuta delle guarnizioni e attiva la valvola di sfiato quando c’è troppa pressione. Il leader decide il piatto da cucinare e ne definisce gli ingredienti. In 14 anni la capacità di violare i confini della scienza manageriale guidando un gruppo di leader ha permesso cose straordinarie ed impensabili: le resurrezioni di Fiat e di Chrysler sono le più evidenti ma ve ne sono molte altre. La dedizione di un leader straordinario alla guida di uno straordinario gruppo di leader ha reso possibile tutto questo, come ci ha detto Marchionne durante la ricerca: «Tutte le 300mila persone di Fiat Chrysler guardano ininterrottamente i loro leader. Il leader deve essere onesto nel suo lavorare per il meglio dell’azienda e deve essere un esempio, sempre. Se li tradisci una volta, sei finito. Hai perso la fiducia che ispiri. Come Ceo ho solo due diritti: quello di scegliere i leader con cui lavorare e i valori che guidano l’azienda». Sono questi i valori che ha ricordato nell’ultima sua apparizione pubblica in occasione della consegna della Jeep Renegade all’Arma: «Mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Sono cresciuto con l’uniforme a bande rosse dell’Arma e ritrovo sempre i valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione: la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio». Oggi certo è un giorno triste ma è soprattutto un giorno di responsabilità per quel gruppo di leader che ora ha il privilegio di dover preservare la cultura che Marchionne ha lasciato e di continuare nell’impegno a perseguire la missione di Sergio e delle aziende cui lui ha ridato la vita. Quando all’Harvard Business School abbiamo iniziato la ricerca per Sergio Marchionne at Chrysler eravamo convinti che l’eccezionalità del caso fosse nelle tecniche e nelle operazioni di finanza applicate nei primi 18 mesi. La teoria manageriale aveva stabilito da tempo che per eseguire un turnaround si fermano le vendite per non bruciare cassa, si bloccano gli investimenti e si taglia costi e persone. Il nostro obiettivo era studiare come era stato fatto in Chrysler. Ci siamo dovuti ricredere: l’eccezionalità del caso era il gruppo di leader che in pochi mesi aveva fatto ribattere il cuore di un’azienda in arresto cardiaco attraverso visione, dedizione e convinzione fuori dal comune. La teoria manageriale ha definito che leadership ha a che fare con il cambiamento: definire la direzione, allineare le persone, motivarle e ispirarle; e che management ha a che fare con la complessità: pianificare e fare budget, organizzare e assegnare le risorse, controllare e fare problem solving. Nelle aziende le due attività sono svolte da figure diverse; nelle università le due scienze sono studiate da scuole diverse. Marchionne ha creato un nuovo stile fondendo leadership e management: uno stile che prevede di gestire un gruppo di leader pianificando, facendo problem solving, decidendo con il gruppo seduta stante; facendo tutto questo il leader guida un gruppo di leader non di manager. Questo nuovo stile di leadership ha bisogno che tre elementi siano eccezionali: il gruppo, i suoi membri e il suo leader. Un gruppo per essere eccezionale ha bisogno di un significato, di una sfida che valga la pena di essere affrontata: nelle parole di Marchionne: «Siamo qui e lo facciamo perché abbiamo una missione». Il gruppo non ha struttura piramidale con cariche definite, ognuno è giudicato in base a come fa il suo lavoro; non è una democrazia, è una comunità basata sul merito e la passione. Il gruppo è anche un’aristocrazia perché essere parte di un gruppo di manager eccezionali ti definisce come tale; non vi si partecipa per soldi o per ego ma per essere parte della missione. I membri di un gruppo eccezionale devono essere: volontari, neofiti e dedicati. Volontari perché entrare a far parte del gruppo è difficile, solo i più bravi riescono ed è un onore. La mentalità da neofita è necessaria per risolvere in modo nuovo, con soluzioni ingenue problemi complessi. Senza la dedizione non è possibile eccellere: non hai tempo per la vita reale se stai facendo la storia. In una delle conversazioni avvenute durante la ricerca Marchionne disse: «Tutti i membri del progetto 500 avevano meno di quarant’anni. Non sapendo che quello che dovevano fare era impossibile, lo hanno fatto. Il mio ruolo è stato di assicurarmi che non facessero cose stupide e di proteggerli dalla cultura di allora che sapeva solo dire non si può fare». Il leader di un gruppo eccezionale deve essere un pragmatico sognatore, mettere nel gruppo persone migliori di lui, rimanere sempre il più intelligente nella stanza. Il pragmatico sognatore rende la missione concreta e seducente. Scovare i talenti che possono fare cose che il gruppo non sa fare è necessario per rendere il gruppo migliore del suo leader e della somma dei singoli. Le riunioni del gruppo sono momenti di tensione positiva in cui ogni membro mette tutto sé stesso per affrontare e risolvere i problemi dei suoi colleghi e dell’azienda. In questi momenti il leader deve essere riconosciuto come il più intelligente nella stanza. Nelle parole di un membro del Gec: «Durante gli incontri la tensione è palpabile, è come se si deformasse la realtà e tutto andasse più veloce. Te ne accorgi quando Sergio esce: è come passare da un 45 giri a un 33, tutto si rallenta». La cadenza mensile delle riunioni dei comitati impone il ritmo al gruppo con un sistema simile a una pentola a pressione dove i leader si trasformano da acqua a vapore e “cucinano i problemi” più velocemente, il Cfo misura i tempi di cottura e l’hr verifica la tenuta delle guarnizioni e attiva la valvola di sfiato quando c’è troppa pressione. Il leader decide il piatto da cucinare e ne definisce gli ingredienti. In 14 anni la capacità di violare i confini della scienza manageriale guidando un gruppo di leader ha permesso cose straordinarie ed impensabili: le resurrezioni di Fiat e di Chrysler sono le più evidenti ma ve ne sono molte altre. La dedizione di un leader straordinario alla guida di uno straordinario gruppo di leader ha reso possibile tutto questo, come ci ha detto Marchionne durante la ricerca: «Tutte le 300mila persone di Fiat Chrysler guardano ininterrottamente i loro leader. Il leader deve essere onesto nel suo lavorare per il meglio dell’azienda e deve essere un esempio, sempre. Se li tradisci una volta, sei finito. Hai perso la fiducia che ispiri. Come Ceo ho solo due diritti: quello di scegliere i leader con cui lavorare e i valori che guidano l’azienda». Sono questi i valori che ha ricordato nell’ultima sua apparizione pubblica in occasione della consegna della Jeep Renegade all’Arma: «Mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Sono cresciuto con l’uniforme a bande rosse dell’Arma e ritrovo sempre i valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione: la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio». Oggi certo è un giorno triste ma è soprattutto un giorno di responsabilità per quel gruppo di leader che ora ha il privilegio di dover preservare la cultura che Marchionne ha lasciato e di continuare nell’impegno a perseguire la missione di Sergio e delle aziende cui lui ha ridato la vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA Bernardo Bertoldi e Rob Steve Kaplan da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180726&startpage=1&displaypages=2 |