Titolo: PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto). Inserito da: Admin - Aprile 18, 2008, 02:18:38 pm POLITICA
IL VOTO DEGLI ITALIANI. Walter Veltroni, segretario del Partito Democratico "Non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta, ma la mia missione era difficilissima" "Dal Pd opposizione senza sconti non daremo tregua a Berlusconi" "Abbiamo perso per l'eredità negativa del governo Prodi" di MASSIMO GIANNINI ROMA - Segretario, in questo amaro day-after elettorale c'è una parola chiave che lei non ha ancora pronunciato. "Qual è?" È la parola "sconfitta". "Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese". Ma è una "realtà" che Berlusconi ha oscurato, nonostante l'ottima campagna elettorale che ha fatto lei. Si ricorda la lezione di Nenni sulle "piazze piene e le urne vuote"? "Piazze piene ne ho avute, eccome. Ma ho avuto piene anche le urne: ora il Pd ha una forza impensabile fino a sei mesi fa...". Ma il Pdl ha ottenuto alla Camera oltre 17 milioni di voti, circa 3,5 milioni in più del Pd e dell'Idv. "Dal voto è confermata la forza della destra, con un radicamento in molti strati dell'opinione pubblica. Ma mi faccia dire che è emerso anche il Pd, che ha ottenuto oltre 12 milioni di voti, il livello più alto dal '96, e una percentuale che per un partito del centrosinistra è la più alta nella storia repubblicana". D'accordo. Ma non si può accontentare di aver ottenuto 160 mila voti in più. Il Nord si conferma off limits, e anche al Sud voi guadagnate solo 1 punto, e il Pdl ne guadagna 15. Come mai? "Il Pd è andato molto bene nelle zone urbane e nei capoluoghi di provincia. A Torino siamo cresciuti del 6,6%, a Milano del 9,1%, a Venezia del 6,9, a Genova del 6,3%, a Bologna del 6,8%, nelle aree del Nord-Est siamo il primo partito. Anche al Sud a Napoli il Pd è cresciuto del 5,4%, a Palermo del 7%. Al contrario, abbiamo sofferto nelle aree più diffuse e periferiche, e qui pesano fattori sociali e politici". Dica la verità: non hanno pesato anche le candidature imposte da Roma? Non è stata un'illusione pensare che con Calearo si risolveva la Questione Settentrionale? "No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani". Allora perché, da questo voto, il centrosinistra esce di nuovo minoranza in Italia? "Abbiamo perso per due ragioni di fondo. La prima ragione riguarda il Paese. La società italiana è fortemente attraversata da un sentimento di insicurezza, per esempio rispetto al fenomeno dell'immigrazione, e di paura per un possibile peggioramento delle condizioni di vita. Il voto riflette questo bisogno di protezione, che non a caso ha premiato soprattutto la Lega. Noi, in quattro mesi di campagna elettorale, abbiamo capovolto i ruoli, presentandoci come una grande forza di modernizzazione. Ma nel Paese, evidentemente, ha prevalso un istinto di difesa e di conservazione, di cui la destra si è fatta interprete. Dobbiamo aprire una grande riflessione sui mutamenti della società italiana, chiamando a raccolta le energie e le competenze migliori. È uno dei nostri primi impegni". Vuol dire che non avete sbagliato voi, ma hanno sbagliato gli elettori? "Non ho detto questo. Ma certo non posso nascondere una certa inquietudine per il fatto che un candidato premier che attacca il Capo dello Stato, sostiene che i magistrati devono fare un test di sanità mentale, dice che Mangano è un eroe, definisce grulli tutti quelli che non votano per lui, ottiene un consenso così vasto. Ci sono alcuni punti fermi, senza i quali una democrazia non è più tale. E allora mi chiedo: dov'erano i liberali, quando Berlusconi diceva che Mangano è un eroe? Dov'erano tutti i pensatori illuminati, che continuano giustamente ad occuparsi del '56, quando Berlusconi strappava il programma del Pd?". Toccava a voi convincerli. Come toccava a voi convincere i moderati, senza rinnegare i valori della laicità. "Su questo, con tutto il rispetto, vorrei dire una parola anche sulla Chiesa: mi sta benissimo che si intervenga con passione su temi come il testamento biologico, ma forse la battaglia su certi valori fondanti della democrazia andrebbe fatta con la stessa intensità con la quale si combatte quella per i temi etici. Noi, ora, quella battaglia vogliamo farla fino in fondo, anche a costo di ritrovarci al nostro fianco solo un terzo del Paese". Mi permetta di dirglielo: lei così non ripete l'errore del vecchio Pci berlingueriano, rinchiuso nel mito della diversità come valore in sé? Invece che la critica sul voto, non è più utile l'autocritica? "No, guardi, semmai noi ormai abbiamo il vizio opposto, che è quello di dare sempre e prima di tutto la colpa a noi stessi. Dovremmo, solo su questo, prendere esempio da Berlusconi, che ha già perso due volte, senza mai fare lo straccio di un'autocritica, ed è sempre andato avanti per la sua strada". Mi spieghi la seconda ragione per la quale avete perso. "La seconda ragione riguarda noi stessi. Il nuovo centrosinistra, che noi abbiamo rilanciato con un atto fondativo senza ritorno, la creazione di un grande partito riformista che ha rotto con le vecchie alleanze e si è presentato da solo agli elettori, ha dovuto combattere con l'immagine negativa del vecchio centrosinistra. Negli strati profondi della popolazione i lasciti della vecchia maggioranza hanno finito per essere solo due: troppe tasse, troppi veti incrociati. Questo pregiudizio, alimentato ad arte dalla tv e appesantito dal disastro dei rifiuti e dalla crisi dell'Alitalia, ci ha impedito di coronare con successo la rimonta. In campagna elettorale abbiamo fatto scelte dirompenti, e pronunciato parole di innovazione mai ascoltate prima a sinistra: sul fisco, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, sulla fine della cultura dei veti. Ma in soli quattro mesi, evidentemente, i nostri messaggi non hanno prodotto un accumulo sufficiente presso l'elettorato. Avremmo avuto bisogno di più tempo...". Lei sta dicendo quindi che avete perso per colpa dell'eredità del governo Prodi? "Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria. Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso". Giusto. Ma uno tsunami c'è stato lo stesso. La Sinistra Arcobaleno non esiste più. Colpa vostra, dicono da quelle parti. "La tragedia elettorale che ha portato la Sinistra Arcobaleno fuori dal Parlamento non è una buona cosa per la nostra democrazia. Ma loro scontano due errori, e fingere di non vederli mi sembra quasi altrettanto grave che addossare al Pd le colpe per la loro scomparsa. Il primo errore è stato quello di aver bombardato fin dal primo giorno il governo Prodi: la prova sta già in quegli oltre 100 tra ministri e sottosegretari con i quali è nato quell'esecutivo. Il secondo errore è riassunto nelle parole di Bertinotti al suo giornale, quando il 4 dicembre 2007 dichiarò testualmente "è fallito il progetto del governo" e definì Prodi, con le parole di Flaiano su Cardarelli, "il più grande poeta morente"...". Solo questo? La Sinistra Arcobaleno non ha pagato anche la campagna sul voto utile, la cannibalizzazione del Pd? "Ma quale cannibalizzazione? La Sinistra Arcobaleno non ha capito la società moderna. Vuole una prova? Quando lanciai la mia campagna sulla sicurezza, e dissi che non è né di destra né di sinistra, l'estremismo di "Liberazione" li portò ad accusarmi di fascismo. Ecco cosa hanno pagato. Il non aver capito che soprattutto negli strati più popolari c'era un bisogno crescente di protezione. Il non aver capito che occorrevano decisioni forti sul Welfare, sui rifiuti, sulla Tav, e che la cultura del no ci avrebbe portati alla rovina". E adesso che succede? Riaprirete il dialogo con la sinistra ormai extraparlamentare? "Al dialogo siamo sempre pronti. Le dirò di più: in Parlamento, come forza riformista, cercheremo di rappresentare anche le culture presenti alla nostra sinistra. Ma indietro non si torna. Discuteremo con loro, ma non saremo mai loro". Che mi dice di Casini? Ieri vi siete visti: farete l'opposizione a Berlusconi insieme? "La rottura dell'Udc con Berlusconi è stata tardiva, purtroppo. Se dopo la caduta di Prodi avessero detto sì a un governo Marini per le riforme, oggi la storia sarebbe diversa. Anche loro portano una grande responsabilità, per quello che è accaduto. Nonostante questo, il dialogo con Casini sarà molto serrato. Dovrà essere un nostro sforzo nei prossimi mesi, a partire dalla condivisione dell'opposizione". Ancora una volta vi aspetta la lunga traversata nel deserto. Siete preparati? "Faremo un'opposizione molto forte. Berlusconi non si illuda: non gli faremo sconti, e il nostro fair play in campagna elettorale non ci impedirà di alzare la voce, ogni volta che vedremo violati o messi a rischio i valori costituzionali che ho indicato nella lettera-appello lanciata prima del voto. Faremo un'opposizione riformista, dura ma non ideologica. Vigileremo sul rispetto delle regole. Incalzeremo il futuro premier sulla montagna di promesse che ha seminato in campagna elettorale, dall'abolizione dell'Ici a quella dell'Irap. E stavolta non finirà come ai tempi del contratto con gli italiani, che il Cavaliere ha disatteso all'85%. Il governo-ombra servirà anche a questo. Non so quanto durerà Berlusconi, ma so che la crisi economica morderà in modo drammatico, e vedo già che le prime crepe stanno uscendo fuori. Faremo in modo di far esplodere le contraddizioni, che ci saranno, su questo non ho dubbi. La Lega avanza già pretese esorbitanti. Questo creerà grandi tensioni, anche a Nord". Insomma, il Veltrusconi è morto e sepolto? "Non è mai esistito. Faremo una battaglia senza quartiere, sui valori e sulle politiche, La nostra idea di società resta radicalmente diversa dalla loro". In questo clima che fine fanno le riforme? Per ora il Cavaliere sembra disponibile al dialogo... "Finora non l'ho visto né sentito. Se il futuro premier ritiene utile e opportuno parlare con il leader dell'opposizione, la linea del mio telefono è sempre libera. Ma se invece fa eleggere Schifani presidente del Senato, Fini presidente della Camera e Tajani commissario Ue, allora comincerà un altro film. L'Italia ha bisogno di ritrovare equilibrio istituzionale e serenità". La sfida di Rutelli a Roma può essere la prima occasione di rivincita, secondo lei? "Roma è cambiata enormemente in questi 15 anni. E' una città che cresce in economia e occupazione molto più del resto del Paese. È una città che ha in corso una trasformazione paragonabile a quella delle altre metropoli europee. È un bene che questa ispirazione continui. Ed è un bene che ci sia un sindaco, come era capitato a me, di un colore politico diverso da quello del premier, perché questo è utile alla dialettica democratica del Paese". (18 aprile 2008) da repubblica.it Titolo: Giovanni Bollea. Caro Walter continua a lottare Inserito da: Admin - Aprile 18, 2008, 05:52:02 pm Caro Walter continua a lottare
Giovanni Bollea Caro Walter, oggi dopo la sconfitta, io sono tranquillo, se penso che il Partito Democratico chiude un secolo di storia molto discutibile. Un secolo pieno di difficoltà, che iniziava con la caduta della destra - sconfitta nel 1905/1910 con Giolitti, mai più ricostruita come forza vera moralmente accettabile, chiusa più che mai nel suo impegno neo-industriale e priva ormai del vero spirito morale di una destra-guida - per continuare con la lotta di Aldo Moro e della sua corrente, nella difficile marcia tra Vaticano e sinistra social-comunista. Io ho vissuto tutto il dramma, ma ad latere, chiuso in forma ossessiva nella mia Neuropsichiatria infantile, che dal 1945 non ho mai abbandonato. Ma, sul piano politico, potevo liberamente pensare, attendere, soffrire, e sperare. Il tuo partito per me risolve dunque un’epoca e raggiungerà quella sintesi in cui speravo, ma che mi sembrava troppo coraggiosa in un’Italia che trattiene ancora in sé due anime positive controverse e una destra vera. Ecco perché ha vinto una destra che non è una destra! E ha perso una sinistra che non è una sinistra armonica; intelligente sì, ma a cui i propri ideali non sono del tutto chiari. Conclusione: il Pd per la nazione Italia, che ha in sé due grandi verità in contrapposizione politica più che ideale, doveva ancora progredire. Il Pd è il vero partito che vince e porta alla vittoria quella ricchezza contraddittoria italiana, rispetto agli altri Paesi, stretta tra Vaticano e mondo del lavoro. Vaticano e spirito di attività e di volontà di dare, che è proprio del mondo impiegatizio-operaio. Ma che la destra italiana non ha mai saputo capire nel suo lato positivo. Bisogna riflettere molto su questo punto, su ciò che è stato il dramma stesso della mia vita, che ho saputo sublimare solo nel dare al mondo scientifico della Neuropsichiatria infantile. Dai miei 95 anni vedo una prossima vittoria tua e del tuo partito, se sarà capace di comprendere meglio il dramma positivo e negativo del secolo passato. La morale, per me, è nelle parole di mio padre che, portandomi a vedere a 8 anni la casa del Lavoro di Torino, che i fascisti avevano bruciato, mi chiedeva di non dimenticare. Da quel tragico fuoco è nata tutta la mia lotta psicologica e politica. Tu, invece, che sei così giovane, lotta e non rinunciare. Sei riuscito a ridurre l’enorme frammentazione a 2-3 partiti. Hai fatto un lavoro straordinario e stupendo. Ricordo ancora il tuo discorso nei giorni in cui eri diventato Sindaco di Roma: «...Ma io rimarrò in questo settore», quando ti risposi: «Sei troppo giovane per decidere della tua vita». La frase che forse ti sembrò molto sibillina voleva dire: vai avanti e credi in quello che fai cocciutamente, ogni volta che decidi qualcosa. Sono sicuro che le tue idee, come supporto al tuo coraggio di costruire e prendere la guida del Partito Democratico, saranno la tua grande vittoria: un irrinunciabile plus valore per il nostro Paese. Un giorno, scherzando, ho detto a Fassino che volevo essere il numero 12 del Partito, perché lasciavo il posto agli altri undici molto più importanti di me! Ed ora, a parte le battute, mantengo in forma ideale questo mio desiderio. E avendo avuto la grande fortuna di captare le verità essenziali dei tuoi discorsi, ti dico: continua. Il Pd, come inizio di un’armonica costruzione fra le necessità e gli ideali italiani in una visione europea, deve continuare perché l’Italia è la nazione più ricca di contrasti, ma è depositaria di un vastissimo bacino di insospettabili, costruttive qualità caratteriali e culturali. La sconfitta deve quindi insegnare a capire molto di più di quanto è giusto, per discutere, costruire e proporre il giusto all’Italia che tutt’ora si interroga. Buon lavoro. Pubblicato il: 18.04.08 Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.43 © l'Unità. Titolo: PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto). Inserito da: Admin - Aprile 19, 2008, 04:36:19 pm Il partito democratico dopo il voto
Pd del Nord, «modello Cofferati» No di Veltroni a due partiti autonomi. Cacciari: «Sergio capo? Una barzelletta» ROMA — Un Pd del Nord, quasi una Lega «democrat» che copra l'area della Padania e aiuti Veltroni a risalire la china. È la nuova frontiera del Loft, la questione che appassiona e divide le varie anime del partito dopo la sconfitta. Una discussione bifronte, con un lato «cofferatiano » che non dispiace al segretario e un altro che invece lo allarma. Il progetto di Sergio Cofferati è una «macroarea» che unisca Emilia Romagna, Triveneto, Lombardia, Piemonte e Liguria. Non un partito federato col Pd, ma un Pd federale. E qui sta la differenza con l'altra proposta, l'«atto di coraggio» chiesto a Veltroni da Ezio Mauro su Repubblica: «Andare da un notaio e firmare l'atto di nascita del Pd del Nord, federato al partito nazionale, con il sindaco di una grande città come segretario». Nel Pd se ne parla, ma Veltroni non è in sintonia con l'idea di due partiti autonomi, da cui conseguirebbe una doppia leadership e il relativo dimezzamento della sua segreteria. Piuttosto, è la linea del Loft, urge lavorare al radicamento sul territorio e per cominciare lunedì Veltroni riunirà a Milano i segretari regionali. Il modello che Enrico Morando indica è quello del Carroccio: «Le camicie verdi sanno offrire soluzioni ai problemi sollevati dai loro elettori ». Massimo Cacciari rivendica la paternità dell'idea, «sono 15 anni che predico il Partito del Nord...», ma a sentire il sindaco di Venezia il problema è del Lombardo-Veneto quindi l'Emilia Romagna non c'entra niente. E Cofferati leader? «Una barzelletta ». La battuta non proprio affettuosa di Cacciari rivela le tensioni innescate nel Pd dalla questione nordista. Sul Riformista il professore dalemiano Roberto Gualtieri ammonisce il segretario. Lo invita a cimentarsi con una «seria analisi» del voto e sottolinea «la fragilità del risultato del Pd». Dalla Puglia il sindaco Michele Emiliano respinge come «eresia» un Pd del Nord mentre Pierluigi Bersani, che a detta di alcuni avrebbe le carte in regola per guidarlo, vede con favore un partito «federale, popolare e presente nel territorio». Veltroni intanto lavora agli organigrammi, incontra Arturo Parisi e Rosy Bindi e medita di ridisegnare l'esecutivo: fuori qualche giovane leva e dentro i big nazionali. A Viterbo un siparietto tra Beppe Fioroni e Massimo D'Alema fa luce sullo scontro in atto per i ruoli chiave. La presidenza del Pd? «Se Marini si candida io lo voto», butta lì il vicepremier uscente. E Fioroni, che forse fiuta la trappola: «Non sono io che lo propongo, basta chiederglielo». Monica Guerzoni 19 aprile 2008 da corriere.it Titolo: Veltroni: Pd è nazionale. No al modello leghista Inserito da: Admin - Aprile 21, 2008, 05:27:20 pm Veltroni: Pd è nazionale. No al modello leghista
Il Pd deve radicarsi sul territorio senza perdere la sua vocazione nazionale e ripartire dal Nord per rilanciare una proposta politica nuova, ma senza cedere alle lusinghe delle "sirene" autonomiste. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Walter Veltroni, nell'incontro che avrà a Milano con tutti i segretari regionali per fare un primo bilancio del voto e decidere le strategie per proseguire con la costruzione del partito. Nessun Pd "in salsa leghista", insomma, anche se gli amministratori del Nord continuano a chiedere maggiore attenzione e più autonomia nei loro territori. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Veltroni. A Milano, la "capitale" del Nord, (scelta «simbolica», come spiega Ermete Realacci) la questione settentrionale sarà uno dei temi caldi sia per l'analisi dei risultati elettorali, sia per le prospettive future del partito. In attesa dei tre seminari al Nord, al Centro e al Sud, che sta mettendo a punto Goffredo Bettini, per approfondire i risultati regione per regione, i "nordisti" del Pd intanto insistono sul fatto che proprio da lì si debba ripartire. La proposta di Sergio Cofferati di un partito federale, basato sulle macroregioni, pur bocciata dallo stato maggiore del Pd, continua a far riflettere. Sono scesi in campo i piemontesi, l'ex segretario dei Ds Piero Fassino e il sindaco di Torino Sergio Chiamaparino. Entrambi a sottolineare la necessità che il cambiamento passi prima di tutto attraverso il «rinnovo della classe dirigente» che, dice Fassino, deve essere «capace di rappresentare davvero» quell'area del Paese e allo stesso tempo «deve pesare in modo forte anche sul piano nazionale». Fassino però chiarisce che al Nord il Pd ha tenuto, e che si deve fare attenzione a non darne un'immagine «di terra straniera dove il Pd è estraneo». Nessuno tuttavia (compreso Cofferati), sembra volersi autocandidare alla guida di un'eventuale struttura del partito per il Settentrione. Disponibili a offrire il proprio contributo, «se sarà necessario» è la formula. Il partito del Nord, comunque, non piace a chi, come Pierluigi Bersani, era stato indicato come il suo leader naturale: «Quando un partito è del territorio, è del Nord al Nord, del Centro al Centro e del Sud al Sud - spiega il ministro uscente dello Sviluppo Economico - non c'è bisogno di inventarsi tante altre cose». Anche perché, avverte Marco Follini, a parlare di Pd del Nord si rischia la «sudditanza culturale verso il leghismo imperante». Decentrare, insomma, può essere utile, ma a patto che non si cada nella «lottizzazione geografica del partito». Meglio allora, come suggerisce Massimo Calearo, eletto nel Pd proprio come rappresentante di quella parte del Paese, «ascoltare di più i problemi della gente», perché, spiega, «dove lo abbiamo fatto il Pd è cresciuto». Pubblicato il: 21.04.08 Modificato il: 21.04.08 alle ore 10.38 © l'Unità. Titolo: Veltroni: « Il Pd avrà un doppio coordinamento, sia al Nord che al Sud» Inserito da: Admin - Aprile 22, 2008, 12:29:35 pm Veltroni: « Il Pd avrà un doppio coordinamento, sia al Nord che al Sud»
Il Partito democratico ha deciso di organizzare un coordinamento del Nord e uno del Sud tra i segretari regionali, i sindaci delle città principali e i presidenti delle Regioni e delle Province. È stato Walter Veltroni ad annunciarlo dopo la riunione tenutasi a Milano di tutti i segretari regionali del Pd. «Ci sarà un coordinamento - ha spiegato il segretario - che promuova le iniziative politiche al Nord su temi programmatici». Proprio al Nord, soprattutto nelle metropoli, Veltroni ha parlato di un risultato elettorale positivo da cui partire. «C' è bisogno di strutturarsi meglio, ma non è una questione organizzativa - ha sottolineato - non spezzetteremo il partito». Ci sarà dunque un coordinamento che inizierà a lavorare già nelle prossime settimane. Veltroni ha precisato che un analogo coordinamento dovrà realizzarsi anche per il Sud. «Più che ad una soluzione di tipo organizzativo che riproducesse un apparato, un ulteriore elemento di pesantezza - ha aggiunto Goffredo Bettini - come partito federalista abbiamo ritenuto più utile mettere in rapporto tra di loro le realtà regionali di volta in volta. Veltroni apre ai centristi: «Partiamo da una grande forza che se farà opposizione in maniera intelligente, se costruirà i rapporti con altre forze, e penso all'Udc, ci sarà la possibilità di far ripartire la sfida riformista». Quanto al tema il segretario Pd lancia un affondo al primo cittadino di Milano, dopo che Letizia Moratti aveva espresso critiche su questo terreno. «Mi ha colpito la mancanza di stile del sindaco Moratti. Sulla sicurezza abbiamo fatto grandi passi avanti. Il partito della Moratti - ha ricordato Veltroni - ha votato a favore dell'indulto e ha dato l'autorizzazione a centinaia di persone di entrare nel nostro Paese senza alcun controllo». Le polemiche innescate da due recenti episodi di violenza sessuale fanno dire a Veltroni: «non capisco perchè se un caso di violenza sessuale avviene a Roma è colpa dell'amministrazione locale mentre se avviene in qualsiasi altra città è colpa del Governo». Secondo il leader del centrosinistra molte responsabilità vanno individuate nella legge Bossi-Fini. E il vero problema, considera, è quello di «riuscire a garantire l'accoglienza e la legalità». Veltroni si dice colpito da questo uso politico di «bruttì fatti di cronaca, nei quali alla fine nessuno più parla delle donne violentate. Si sta attenuando l'attenzione». da ilsole24ore.com Titolo: FRANCESCO RAMELLA Il Pd e il Sud che cambia casacca Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 01:14:08 am 6/5/2008
Il Pd e il Sud che cambia casacca FRANCESCO RAMELLA Non ha tutti i torti Veltroni quando ricorda che per il Pd esiste anche una questione meridionale oltre a quella settentrionale. Bastano pochi dati per rendersene conto. Nel 2006 alla Camera l’Unione aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti in 22 province del Sud su 41. Nelle elezioni di due settimane fa, invece, la mini-coalizione guidata da Veltroni ha prevalso solo in 9. In tutte le altre si è affermata quella guidata da Berlusconi. La forbice tra i due schieramenti si è notevolmente ampliata. Nelle province già in mano al centro-destra il vantaggio è salito, in media, a 18 punti percentuali (era di 8). In quelle che sono «passate di mano» lo scarto si aggira intorno all’8%. Parte di queste variazioni sono da attribuire alle scelte di coalizione compiute da Veltroni. Parte ad un risultato tutt’altro che brillante dello stesso Pd. Mentre a livello nazionale il nuovo partito registra un leggero aumento, nel Sud ciò avviene solamente in tre regioni su otto (Basilicata, Puglia e Sardegna). La geografia del voto mostra un andamento piuttosto diversificato: in 23 province i democratici perdono consensi (i voti validi in media calano del 2,5%), nelle altre 18 li aumentano (in media dell’1,3%). Una lettura in chiave socio-territoriale aiuta a capire qualcosa di più. Nel Mezzogiorno il Pd ottiene performance migliori nelle province più prospere e relativamente industrializzate. Per converso, il Popolo delle libertà penetra facilmente nelle aree meno sviluppate e con elevati tassi di disoccupazione. È qui che lo scarto tra le due coalizioni si allarga. Aggiungiamo altri due elementi: 1) ben due terzi delle 13 province che sono passate al centro-destra si collocano in territori economicamente deboli; 2) il Pd registra flessioni maggiori nelle province che negli ultimi anni hanno perso posizioni nella graduatoria del reddito pro-capite. Naturalmente sarebbe sbagliato trarre da queste indicazioni deduzioni troppo stringenti. E tuttavia i dati suggeriscono alcune congetture. La prima riguarda la persistente fluidità politica del Mezzogiorno. Dagli Anni 90 le regioni meridionali sono state le più aperte sotto il profilo della competizione elettorale, facendo registrare non pochi cambiamenti da un’elezione all’altra. Nel 1996 il centro-sinistra deteneva la maggioranza in 6 regioni su 8 (considerando i risultati all’uninominale della Camera). Nel 2001 solamente in 2. Nel 2006, con un sistema elettorale diverso, aveva riconquistato la maggioranza in ben 6 regioni. Oggi il pallottoliere ne conta nuovamente due. La reversibilità delle vittorie e delle sconfitte appare dunque uno dei tratti ricorrenti della Seconda Repubblica-vista-dal-Sud. Va anche tenuto presente che oggi, nella stragrande maggioranza delle province del Mezzogiorno (30 su 41), la consistenza dei «voti marginali» (dati ai terzi partiti) oltrepassa ampiamente lo scarto esistente tra le due coalizioni maggiori. Questa apertura competitiva segnala che in molte zone non si è ancora prodotta un’«elezione critica»: cioè un riallineamento fondamentale delle opzioni elettorali che decide per vari anni i rapporti di forza tra i partiti. Come abbiamo visto sono soprattutto i territori più deboli ad avere cambiato «casacca politica». Evidentemente il centro-destra è risultato più abile (in un certo senso più credibile) nell’intercettare le domande di protezione e di assistenza che vengono dalle aree e dai ceti sociali in difficoltà. E tuttavia sarebbe sbagliato liquidare la questione in maniera così riduttiva. La volatilità elettorale di queste zone ci racconta una storia più complessa. Ci dice che i vari schieramenti che si sono fronteggiati negli ultimi quindici anni non sono riusciti a consolidare una maggioranza politica intorno a un credibile progetto di sviluppo per il Sud. Se è vero che la questione settentrionale ha spesso rubato la scena a quella meridionale, è anche vero che le due questioni hanno finito per confondersi una nell’altra. La ricetta che le risolverebbe entrambe è la stessa: una forte strategia nazionale di sviluppo, capace di radicamento locale e regionale. Perché è dai territori, dalla loro energia e dalla loro varietà, che l’Italia trae le sue risorse migliori. da lastampa.it Titolo: I desideri delle due Italie Inserito da: Admin - Maggio 13, 2008, 08:20:38 am 11/5/2008
I desideri delle due Italie LUCA RICOLFI Il Partito democratico è alla ricerca di un’identità. Brutto guaio, per un soggetto nuovo, perché non avere un’identità precisa fa sì che tutti si sentano autorizzati a suggerirgliene una. C’è chi lo vorrebbe più laico, e a tale deficit di laicità attribuisce la sconfitta. C’è chi lo vorrebbe più socialista, e invoca l’adesione al Partito socialista europeo. C’è chi lo vorrebbe più liberale, e teme che un partito figlio di due genitori illiberali come il Pci e la Dc sia destinato a restare per sempre un «legno storto». C’è chi lo vorrebbe più antiberlusconiano e meno populista, e registra mestamente l’inesorabile berlusconizzazione di Veltroni. C’è chi si accontenterebbe che il Pd si ricordasse, ogni tanto, di essere un partito di sinistra, o quantomeno di centro-sinistra. C’è, infine, chi sembra pensare che l’identità di un partito si definisce attraverso le sue future alleanze, e così fa infuriare l’ex ministro Di Pietro: «È come se uno si mettesse a cercare moglie prima di aver capito se è un maschio o una femmina». Forse Di Pietro non ha tutti i torti. Il Pd può darsi l’identità che vuole, progettare le alleanze che preferisce, sognare le politiche che desidera, ma nel frattempo non sarebbe male cercare di capire quali sono i gruppi sociali che di fatto guardano al Pd, e confrontarli con i gruppi sociali che gli preferiscono il Pdl. Questa operazione non è ovviamente in grado di suggerire una nuova identità al Pd, ma almeno permette in dire qualcosa sulla sua identità attuale. Ebbene, se si compie questa analisi si scopre che i gruppi che preferiscono la coalizione di Veltroni (Pd + Idv) sono i pensionati, i dipendenti pubblici, i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato, i laureati e diplomati, gli studenti. I gruppi che preferiscono la coalizione di Berlusconi (Pdl + Lega) sono invece le casalinghe, gli autonomi, i giovani che lavorano, i precari, i disoccupati, le persone con meno anni di studio. Che cosa distingue queste due Italie? La frattura sociale fondamentale, come aveva intuito già trent’anni fa Asor Rosa, non è tanto fra alto e basso, ma essenzialmente fra garantiti e non garantiti. Chi è dentro la società delle garanzie guarda al Pd, chi nuota nella società del rischio guarda al Pdl. Questa non è una novità assoluta, perché in parte era già così nel 2001, ma oggi la frattura fra queste due Italie si è fatta particolarmente profonda. Gli autonomi hanno sempre votato a destra, e sono ormai molti anni che i laureati guardano a sinistra. Ma solo oggi è così netta la sfiducia dei ceti deboli nella sinistra: chi ha già un salvagente di qualche tipo (reddito sicuro, famiglia che mantiene agli studi) si aggrappa al Pd, chi è esposto alle intemperie del mercato spera che la nave governativa gli lanci una cima di salvataggio. Né si può dire che il calcolo sia del tutto infondato: in questi anni la sinistra e i sindacati hanno sempre preferito usare le risorse pubbliche per aumentare le garanzie dei già garantiti (contratto degli statali, controriforma delle pensioni), mentre hanno condotto una vera e propria guerra ai danni dei non garantiti (più adempimenti, più tasse, mancato completamento della legge Biagi). Per non parlare del tema della sicurezza, dove la sinistra incredibilmente non ha capito che i veri deboli sono i cittadini comuni e non i delinquenti, e che il buonismo non è apertura al diverso ma indulgenza verso il prepotente. È per questo che tanti italiani hanno votato a destra. È per questo che il pensiero di Tremonti spopola. Ed è per questo che la cultura liberale - da sempre minoritaria nel Paese - annaspa nel velleitarismo e nell’impotenza. La realtà è che sia il popolo di sinistra sia quello di destra alla politica chiedono innanzitutto più protezione. Con un’importante differenza, però: la sinistra, per ora, attira soprattutto chi vuole mantenere (o accrescere) le tutele che già possiede, la destra attira chi - per i motivi più diversi - si sente troppo esposto al rischio. Di qui il doppio paradosso che è sotto gli occhi di tutti: la sinistra appare più conservatrice della destra, i ceti deboli guardano più a destra che a sinistra. Se riflettiamo su questo paradosso, forse riusciamo a intravedere meglio i dilemmi che Pd e Pdl dovranno affrontare nei prossimi anni. Entrambi dovranno decidere se contrastare o assecondare le domande che provengono dalle loro basi sociali attuali. Per il Pd il problema è che più accentuerà il suo profilo riformista più entrerà in collisione con il conservatorismo dei suoi elettori, mentre più cercherà di assecondare questi ultimi più finirà per somigliare alla vecchia Unione. Per il Pdl il problema è che il vecchio tran-tran del 2001-2006, fatto di poche riforme e modesti risultati, non potrà bastare a un elettorato che esige meno criminalità, più libertà economica, più ammortizzatori sociali. Insomma, il popolo di sinistra è troppo conservatore per il riformismo radicale di Veltroni, il popolo di destra è troppo radicale per il riformismo prudente di Berlusconi. Di qui il doppio dilemma dei due leader: il guaio di Veltroni è che deve voltare le spalle ai suoi elettori se vuole continuare a sognare, quello di Berlusconi è che deve ricominciare a sognare se non vuole deludere i propri sostenitori. da lastampa.it Titolo: Il leader del Pd: "Il taglio dell'Ici non basta, c'è anche chi la casa non la po Inserito da: Admin - Maggio 24, 2008, 12:52:02 am POLITICA
Prima riunione milanese per il governo ombra e incontro con Formigoni Il leader del Pd: "Il taglio dell'Ici non basta, c'è anche chi la casa non la possiede" Povertà, Veltroni attacca il governo "Questione che non viene toccata" Tra le critiche dell'opposizione anche la vicenda Rete 4 e il reato di "clandestinità" MILANO - Il dialogo sulle riforme "non è in pericolo", ma di certo la luna di miele tra Walter Veltroni e il governo sembra essere agli sgoccioli. Il leader del Pd ha snocciolato oggi l'elenco dei provvedimenti sui quali l'opposizione intende dare battaglia. "C'è una grande questione che non è stata messa all'ordine del giorno ed è la lotta al rischio di impoverimento di una grande parte della società italiana", ha osservato Veltroni aprendo la conferenza stampa al termine dei lavori del governo ombra tenuta a Milano. Un rischio sottovalutato. "Fino ad oggi - ha detto Veltroni - sono stati fatti molti annunci dal governo ma è mancato quello che noi riteniamo prioritario: il rischio di impoverimento della società, gli interventi sui salari, sulle pensioni. Di questo non si sente ancora parlare". Veltroni, a proposito della defiscalizzazione degli straordinari ha affermato che, rispetto al tema generale del rischio impoverimento della società, "non è sufficiente". Il taglio Ici non basta. Lo stesso provvedimento per il taglio dell'Ici, seppure apprezzabile, secondo il segretario dei Democratici non va in questa direzione. "Va bene l'intervento sull'Ici, d'altra parte il governo Prodi era già intervenuto per il 40 per cento - ha ricordato - Ora però è necessario un intervento a favore di coloro che la casa non possono acquistarla", come, per esempio, la doppia defiscalizzazione "per aprire il mercato degli affitti" e la vendita dei patrimoni comunali o statali "per la costruzione delle case popolari". Il nodo Rete 4. In cima alle contestazioni di Veltroni c'è naturalmente anche la questione dell'emittenza e in particolare l'emendamento che permette di salvare ancora una volta Rete 4 dallo spostamento sul satellite. "Mi chiedo perché ci sia stato bisogno di introdurre surretiziamente un tema di questo genere quando, a mio parere, sull'argomento occorre aprire un dibattito parlamentare. Non si capisce tutta questa precipitazione", ha osservato il leader del Pd. Maroni come Amato. Quanto al pacchetto sicurezza, Veltroni ha chiarito che su una parte delle norme introdotte esiste l'approvazione dell'opposizione per il semplice fatto che "gran parte degli articoli sono copiati dal decreto Amato per cui non può non esserci il nostro consenso". Fa eccezione quindi "il reato sulla clandestinità, che invece non lo trova". Il silenzio su Alitalia. La ritrovata verve polemica ha poi spinto Veltroni ad incalzare Berlusconi anche sulla vicenda Alitalia. "Su Alitalia - ha ricordato - è sceso il silenzio e ci chiediamo a che punto è la famosa cordata italiana". "Il tempo passa - ha aggiunto - e le soluzioni non si vedono. Con Air France sappiamo come è andata e ci chiediamo, ora, a che punto è la famosa cordata italiana. Ma, mentre attendiamo il destino di Alitalia che coinvolge migliaia di lavoratori, dobbiamo pensare a Malpensa. Ne ho parlato oggi anche nell'incontro che ho avuto con Formigoni. Dobbiamo cercare dei provvedimenti che permettano di attirare in maggior quota compagnie straniere". Il ruolo del governo ombra. Con il presidente della Regione Lombardia il segretario del Pd ha parlato però soprattutto di federalismo fiscale, chiarendo di condividere con lui l'idea di un federalismo solidale. "Ringrazio - ha detto ancora Veltroni - il presidente Formigoni per l'incontro che abbiamo avuto questa mattina. E' la dimostrazione che il governo ombra è un soggetto istituzionale come lo è in tanti altri paesi, dove è codificato il rapporto tra il governo ufficiale e quello ombra". (23 maggio 2008) da repubblica.it Titolo: PD, VELTRONI: «L'Unione del 2006 non ci sarà più» Inserito da: Admin - Maggio 24, 2008, 10:23:39 pm Pd, Veltroni: «L'Unione del 2006 non ci sarà più»
Un partito federale e radicato sul territorio, che ha come metodo le primarie per la scelta dei candidati per ogni tipo di elezione e che è disposto ad alleanze solo sulla base di un programma riformista condiviso. È l'identikit che Walter Veltroni ha tracciato al teatro Strehler di Milano del partito che è convinto che tra cinque anni tornerà a governare. «Il dialogo sulle riforme istituzionali - ha ribadito - si farà e ciò non esclude un'opposizione intransigente. Noi volevamo cambiare le regole se avessimo vinto ma le vogliamo cambiare anche adesso che siamo all'opposizione. Tra cinque anni governeremo noi e dobbiamo avere un Paese che consenta un'azione riformista». Lo aveva detto quando decise che il Pd sarebbe andato da solo alle elezioni e Veltroni ha voluto ribadire che una coalizione come quella dell'Unione del 2006 «non ci sarà più» anche se non ha escluso alleanze future. «Penso - ha detto - sia un problema per la democrazia italiana la mancanza di rappresentanza in Parlamento della sinistra radicale, alla quale però dico che, oltre a prendersela con noi farebbe bene a fare autocritica e a ragionare su una lettura ideologica della società italiana che ha impedito di capire, per esempio, il tema della sicurezza». Basta, insomma, con alleanze che coagulano tutti contro qualcuno: «Noi pensiamo solo ad un' alleanza dove al centro c'è il programma e per questo guardiamo a tutti, compresa una parte della Sinistra Arcobaleno. Quando però alle manifestazioni sento slogan come "10-100-1000 Nassiriya", penso che siamo agli antipodi di ciò che bisogna fare». Ha parlato chiaro agli ex alleati ma è stato altrettanto diretto con il suo partito e, soprattutto, con coloro che pensano alle correnti: «Smettiamola di prendere il gruppo sanguigno di ciascuno. Siamo un partito nuovo e la domanda non è da dove si viene ma dove si va. Basta con le riunioni degli ex che, come quelle della scuola, fanno tanta tristezza». Un partito nuovo a vocazione maggioritaria in grado di stare tra la gente per intercettare le domande, le paure e gli stati d'animo, proprio come ha fatto la Lega che in Emilia Romagna «ha preso l'8% dei voti pur non esistendo». Interpretare le esigenze della gente come, per esempio, sul tema della sicurezza senza però perdere la propria cultura o, peggio, imitare la destra: «Le ronde padane non si fanno. Dobbiamo mantenere la nostra cultura anche se il vento spira contrario, altrimenti rischiamo il pensiero unico e come ben sapete le imitazioni sono sempre peggiori dell'originale». Passate le elezioni, l'obiettivo del Pd è di radicarsi sul territorio «magari aprendo uno sportello in ogni realtà anche piccola dove i nostri consiglieri comunali, provinciali, regionali e i nostri deputati potranno essere al servizio del cittadino». Una cosa però è certa: l'esperienza delle primarie proseguirà: «Alle prossime elezioni provinciali le candidature saranno scelte attraverso le primarie che faremo per tutti gli appuntamenti elettorali». Subito dopo le elezioni si era aperto il dibattito sul partito del Nord, sostenuto principalmente dal sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. L'idea non è passata ma Veltroni ha assicurato che il partito sarà federale. «Lo sarà - ha spiegato - dentro un'idea federale dello Stato. Deve essere un partito che non si fa fare l'agenda politica dagli altri. Noi dobbiamo pensare alla scuola, alla cultura e alle politiche per i giovani. Ai giovani dobbiamo restituire il senso dei valori condivisi e dobbiamo farlo magari anche navigando contro corrente». Pubblicato il: 24.05.08 Modificato il: 24.05.08 alle ore 21.07 © l'Unità. Titolo: Veltroni: "Sinistra radicale faccia autocritica" Inserito da: Admin - Maggio 24, 2008, 10:24:36 pm Sui rifiuti: "Scontri a Napoli frutto di politica dei veti"
Veltroni: "Sinistra radicale faccia autocritica" Il leader del Pd apre uno spiraglio al dialogo a sinistra: "Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo, mai più alleanze contro qualcuno". E annuncia: "Tutte le candidature si faranno con le primarie". Ottimista per il futuro: "Tra 5 anni governeremo" Milano, 24 mag. - (Adnkronos/Ign) - Riflessioni e spunti per il futuro del Pd. Walter Veltroni nel suo intervento al primo forum dei circoli lombardi del Pd, oggi a Milano, parla di una nuova fase del Partito Democratico che apre anche un piccolo spiraglio sulle alleanze a sinistra. "Un partito nuovo", sottolinea Veltroni, che deve puntare sul "radicamento sul territorio. Dobbiamo essere un partito federale dentro un'idea federale dello Stato. Dobbiamo recuperare un alfabeto ricco, farci da soli la nostra agenda e recuperare il tema dei giovani". "Basta con le riunioni degli ex e basta con il guardare al gruppo sanguigno di ognuno", dice il leader del Pd aggiungendo che "d'ora in poi tutte le nuove candidature si sceglieranno attraverso le primarie, in modo da dare la parola ai cittadini". L'ex sindaco non perde l'ottimismo annunciando che "tra cinque anni governeremo". Ma per questo bisogna preparare il terreno. "Stiamo cercando di europeizzare la vita politica italiana -spiega-. Il dialogo sulle riforme istituzionali si farà, ma questo non esclude un'opposizione intransigente". E precisa: "Noi volevamo cambiare le regole del gioco se avessimo vinto, ma le vogliamo cambiare anche ora che siamo all'opposizione. Siccome tra cinque anni governeremo dovremo avere un Paese che consenta un'azione riformista". Parlando poi della alleanze, il pensiero va alla sinistra radicale e Veltroni si augura "che la Sinistra Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo" sottolineando che "non si faranno più alleanze contro qualcuno, neanche a livello locale. Non basta mettersi insieme per vincere le elezioni, bisogna governare per vincere anche quelle successive". Comunque la sinistra radicale "farebbe bene - afferma- a fare autocritica sull'inadeguatezza della riflessione ideologica sulla società italiana che ha impedito di analizzare temi centrali come quello della sicurezza". Critico poi nei confronti della vecchia maggioranza, Veltroni dice che "il governo Prodi ha fatto bene, ma la sua maggioranza ha fatto male e questo ha creato una situazione difficile". Mentre affrontando il 'capitolo Lega', secondo lui, "ha vinto perché ha saputo interpretare uno stato d'animo, una domanda a cui anche noi dobbiamo guardare ma con la necessaria autonomia". Non mancano i temi di attualità, sicurezza, rifiuti e ponte sullo Stretto, su cui il leader del Pd si sofferma. "Quello della sicurezza è un tema da affrontare con severità, ma senza travalicare i limiti propri della democrazia", dice Veltroni che contesta il centrodestra sul pacchetto sicurezza riguardo all'immigrazione clandestina come reato. "Che reato è -si è chiesto Veltroni- un reato che prevede l'espulsione? Cosa facciamo dei 650mila immigrati italiani? Li mettiamo in carcere? L'idea che l'immigrazione sia un crimine è da combattere". Per il leader del Pd bisogna "distinguere tra il criminale e chi viene in Italia per lavorare e che ormai rappresenta il 6% del nostro prodotto interno lordo. Dobbiamo invece mettere queste persone nelle condizioni di lavorare". Quanto alla proposta di istituire ronde cittadine contro la criminalità, Veltroni ha affermato che "le ronde non si devono fare. In nessun paese europeo esistono cose del genere". Poi sui rifiuti sottolinea che gli scontri degli ultimi giorni in Campania "ci raccontano che sono l'effetto di una politica del veto e di un atteggiamento ideologico presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Non siamo riusciti a sbloccare opere a cui una parte continuava ad opporsi". Ed è "sbagliato" il ponte di Messina secondo il leader del Partito democratico che rivolgendosi ai rappresentanti dei circoli li invita ad anadare "nei bar, nei ristoranti e nei mercati a chiedere ai dirigenti della Lega perché il ponte era sbagliato prima del 14 aprile, mentre ora è diventato una priorità". da adnkronos.com Titolo: PD: VELTRONI, SIAMO PARTITO NUOVO BASTA CON RIUNIONI DEGLI EX Inserito da: Admin - Maggio 24, 2008, 10:25:20 pm Politica
-------------------------------------------------------------------------------- PD: VELTRONI, SIAMO PARTITO NUOVO BASTA CON RIUNIONI DEGLI EX Milano, 24 mag. - (Adnkronos) - "Siamo un partito nuovo. Basta con le riunioni degli ex e basta con il guardare al gruppo sanguigno di ognuno". Lo ha detto Walter Veltroni, leader del Partito democratico, nel suo intervento al primo forum dei circoli lombardi del Pd, tenutosi oggi a Milano. Veltroni ha sottolineato che il Pd deve puntare sul "radicamento sul territorio. Dobbiamo essere un partito federale dentro un'idea federale dello Stato. Dobbiamo recuperare un alfabeto ricco, farci da soli la nostra agenda e recuperare il tema dei giovani Titolo: OMICIDIO DEL PARTITO DEMOCRATICO IN PROVINCIA DI MESSINA Inserito da: Admin - Maggio 28, 2008, 07:16:55 pm Il PD Messinese chiede ufficilamente aiuto al Segretario Nazionale
(contributo inviato da Soufiya il 27 maggio 2008) OMICIDIO DEL PARTITO DEMOCRATICO IN PROVINCIA DI MESSINA Segnalo un fatto gravissimo avvenuto in Sicilia, nella provincia di Messina in occasione delle elezioni provinciali: la lista del Presidente collegata al candidato presidente della Provincia Paolo Siracusano, non è stata presentata dalla segreteria provinciale di Messina per la partecipazione alla competizione elettorale, adducendo motivazioni poco chiare che non rispondono al vero, come ad esempio la non correttezza della documentazione esibita, quando fino a poche ore prima le persone che si erano incaricate della raccolta ed autentica delle firme erano state rassicurate sulla bontà degli aspetti burocratici. Inoltre i suddetti incaricati per la consegna delle firme e dei documenti, hanno riscontrato grosse difficoltà ed ostruzionismo nel ricevere la firma, indispensabile , di un consigliere provinciale, infatti pur essendo presenti in quella sede 4 consiglieri provinciali, si sono tutti rifiutati di apporre la firma per futili motivi, solo dopo alcune ore di attesa un quinto Consigliere Provinciale ha apposto la firma necessaria. Di queste liste si era fatto garante il deputato regionale, on. Filippo Panarello, poiché erano composte nella quasi totale maggioranza da persone provenienti dall’ex DS, mentre le persone provenienti dall’ex Margherita sono andate a comporre la lista ufficiale del PD a cura del segretario provinciale on. Franco Rinaldi. La scelta di inserire tutti i candidati ex- Margherita nella lista ufficiale Pd e tutti gli ex- DS candidati nella lista del Presidente, era stata voluta dal Segretario Provinciale, nonostante i pareri contrari di tutti i rappresentanti dei circoli locali, le condizioni sono state irremovibili. Misteriosamente poche ore prima della consegna delle liste, il consigliere provinciale uscente, ex DS, Filippo Isaja, ha fatto il passaggio dalla Lista del Presidente alla lista ufficiale del PD. Tutti gli altri ex diessini sono rimasti tagliati fuori, perché chi era incaricato di consegnare la Lista del Presidente non si è presentato agli appuntamenti. Ora sarebbe da stupidi pensare che le liste non siano state presentate per un errore o una mancanza e sarebbe ancora più da stupidi considerarci talmente scemi da non pensare che è stata una precisa scelta politica, che ha danneggiato enormemente una parte di appartenenti al PD che avevano investito nella candidatura, prendendo anche degli impegni economici con tipografie, giornali e tv per la pubblicità e soprattutto si stavano già impegnando con gli elettori. Hanno perso tutto, cosa più importante la faccia e dietro loro anche i circoli ed i loro rappresentanti che li sostenevano. Guarda caso da questa faccenda ci guadagnano i due consiglieri provinciali uscenti, che sono gli unici due candidati forti della Lista ufficiale del PD e sono accompagnati, da giovani o semisconosciuti, provenienti da realtà piccolissime, che non rappresentano, per quanto ci riguarda, il Collegio elettorale di Taormina e che hanno possibilità di essere eletti pressoché pari allo zero. Risultato raggiunto: caos totale nei circoli locali con, in casi estremi dimissioni e fuori uscite dal partito (Circolo Letojanni), in quelli meno estremi, ma forse molto più gravi la scelta dell’astensionismo o di votare altri candidati che non appartengano al PD. LO SCHIFO TOTALE! Secondo voi questa è una buona partenza per radicare il PD nel territorio? Secondo voi questo PD siciliano e della Provincia di Messina ha qualcosa a che vedere con quelli che sono i principi del PD…a questo punto se esistono? Secondo voi questo è un buon metodo per iniziare il ricambio della classe dirigente? Lo sapete quante sono le donne candidate nella lista ufficiale del PD del Collegio di Taormina? ZERO!!!! Qualcuno ha la bontà di illuminarmi con qualche risposta? Perché quaggiù è buio pesto e di democratico in questo Partito Democratico c’è veramente poco. Io sono una componente dimissionaria del Coordinamento Cittadino del PD del Circolo di Letojanni, al momento rimango semplice iscritta al partito, ma se le risposte che cerco non arrivano, allora valuterò questo silenzio come assenso ad una situazione vergognosa e di conseguenza lascerò il Partito e… non sarò l’unica. Signori qualcuno si svegli e ci dia una risposta, perché nella provincia di Messina si sta perpretando l’omicidio del Partito Democratico, e se non ci date una mano voi allora a chi ci dobbiamo rivolgere, visto che gli organi provinciali e regionali hanno generato tutto questo caos e malcontento? Grazie. Soufiya – Circolo PD Letojanni da partitodemocratico.gruppi.ilcannocchiale.it Titolo: Veltroni: mi piacerebbe una donna alla guida dell'«Unità» Inserito da: Admin - Maggio 28, 2008, 07:20:50 pm L'intervista
«Governo, solo fuochi d'artificio La Chiesa ha diritto di parlare» Veltroni: mi piacerebbe una donna alla guida dell'«Unità» ROMA — Onorevole Veltroni, l'opposizione è accusata di essere troppo morbida, accondiscendente. Come se ci fossero le larghe intese, anche se non avete pareggiato ma perso. «No. È come se ci fossero due mondi separati, uno virtuale e uno reale. Nel mondo virtuale, lettori e scrittori di giornali di varie dimensioni se la cantano e se la suonano. Nel mondo reale, è successo che alla prima prova parlamentare il governo sia andato sotto proprio grazie alla nostra opposizione che qualcuno giudica fin troppo dura; ed è il primo provvedimento che arriva. Purtroppo, il nostro è un Paese di politici d'antan. Un Paese politicamente di pasticcioni e furbacchioni, che si divertono a confondere dialogo e opposizione. Nel mondo reale, la questione è semplice: si dialoga sulle riforme, ci si oppone sui contenuti». Questo significa che terrete duro anche sulle questioni care al premier, tipo il sistema tv? E lui è d'accordo? «Sono sempre più affascinato dai nostri padri costituenti. Uomini come Calamandrei, cui il Pd dedicherà un convegno in autunno. Uomini che non litigavano su Rete4 ma su democrazia e totalitarismo, su Usa e Urss; però scrivevano le regole insieme. Dopo è cominciata un'altra stagione, di melassa, gelatina, marmellata, confusione. Quella stagione è finita: ci si può opporre con fermezza su Rete4 e denunciare la scomparsa della cordata Alitalia, senza che per questo il dialogo sulle riforme debba interrompersi. Così come è finito il clima di scannatoio durato quindici anni. Io ho cominciato a usare toni nuovi già in campagna elettorale; il leader dello schieramento a noi avverso l'ha fatto soltanto dopo la vittoria». Da Bassolino in giù, è un fiorire di laudatori: Berlusconi, rappresentato come malvagio, è ora definito statista. Non siete passati da un eccesso all'altro? «Io non ho mai detto nessuna di queste cose. Se il Paese è così malridotto, buona parte della responsabilità grava su Berlusconi, che è stato per quattro volte presidente del Consiglio. E che rappresenta un sistema di valori, una visione del mondo cui bisogna opporsi con sempre maggior forza ed energia, contro cui si deve dare una solare battaglia culturale e ideale». Lei si è appena seduto al suo tavolo. «Sì. E appena ci siamo seduti, per prima cosa gli ho detto: "Capiamoci bene. Se questo dialogo è un esercizio di buone maniere, mi interessa poco, per quanto le buone maniere siano preferibili a quelle cattive. Se invece è un dialogo per scrivere insieme le regole del gioco democratico, allora sarò un interlocutore leale. Ripartiamo dal pacchetto Violante. Riformiamo la legge elettorale per le Europee, ma senza tagliare fuori le altre forze: non voterò mai uno sbarramento che superi il 3%". Attendo segni che corrispondano alle parole. Altrimenti, sarò il primo a riconoscere che è stato inutile». I segni riguarderanno anche la Rai? La sua proposta dell'amministratore unico non è già stata respinta? «Vedremo. Aspettiamo risposte. Eleggere un altro Consiglio d'amministrazione pieno di ex parlamentari sarebbe un gravissimo errore. Preferisco un amministratore delegato nominato dal governo e approvato dal Parlamento all'assurdo sistema attuale. Un manager al di sopra delle parti. Un aspetto cruciale, in un Paese dove l'informazione è egemonizzata dal capo del governo ». Alla vigilanza Rai andrà Leoluca Orlando? «Siamo favorevoli alla sua candidatura. La sosterremo. E ricordo che, quand'eravamo maggioranza, votammo il candidato proposto dal centrodestra, Storace. La maggioranza non può sindacare sul nome indicato dall'opposizione». Non teme si saldi, tra tv e politica, una forza avversa al Pd, di grande appeal elettorale? Magari attorno a quella che Santoro definisce ironicamente la banda dei quattro: lui, Travaglio, Beppe Grillo, Di Pietro? «Da tempo ho rotto con la logica del " pas d'ennemis a gauche", nessun nemico a sinistra. Non vivo con questo incubo; altrimenti non potremmo assolvere al compito che spetta a una grande forza riformista del 34%. Non possiamo tornare indietro. È fisiologico che si creino aree di critica più radicale, da rispettare, con cui dialogare. Magari assumendo talora posizioni più radicali delle loro. Noto che Di Pietro è favorevole al reato di immigrazione clandestina. Noi no». Il governo è in luna di miele, l'opposizione sembra nell'angolo. «La luna di miele si interromperà molto presto, anche prima di quanto pensiamo. La destra ha vinto le elezioni sulla linea della paura: paura degli immigrati, dei rom, dell'impoverimento. E la paura rende più facile vincere, ma molto più difficile governare. Ora siamo alla fase dei fuochi d'artificio. Quando il fumo dei fuochi si sarà diradato, quando vedremo che i fatti di violenza proseguono, i campi rom ci sono ancora, l'impoverimento continua, allora ci sarà un effetto boomerang. Mai come oggi sono preoccupato: l'insicurezza sociale, e anche personale, è stata incanalata sulla linea dell'egoismo sociale. Ma questo fa saltare il principio solidale. È la dilatazione del Nimby: fate tutto, ma non da me. È la logica delle ronde, del blocco stradale, del "mi faccio giustizia da solo". Poi non c'è da stupirsi se qualche energumeno con svastica va a spaccare le vetrine degli immigrati». Il sindaco Pd di Marano, Salvatore Perrotta, è molto Nimby. Guida la rivolta sulle barricate. «Da lontano è facile decidere ogni cosa. Un sindaco vive in mezzo alla sua comunità, non può non sentirne gli umori. Ma gli uomini pubblici devono trovare la forza di non fare le cose più ovvie, quelle che piacciono a tutti». Cosa pensa delle critiche del governo Zapatero al nostro? «I giudizi di un governo su un altro governo sono sempre spiacevoli, e non andrebbero formulati. Ma dobbiamo essere consci che c'è lo sguardo dell'Europa su di noi. Un governo che dichiara fuorilegge 650 mila immigrati, compresi 300 mila badanti e moltissimi altri lavoratori, è un governo che viene tenuto d'occhio. Che facciamo? Arrestiamo 650 mila persone in un Paese che non costruisce un carcere da anni? Apriamo 650 mila procedimenti in tribunali che impiegano dieci anni per chiudere un processo? Ecco perché dico che il risveglio dalla notte dei fuochi d'artificio sarà doloroso, e pericoloso». Ma sull'economia Tremonti vi ha messo in difficoltà. Paghino banche e petrolieri, dice. Lei cosa risponde? «Paghino banche e petrolieri, sono d'accordo. Il problema è che fare con quei soldi. Detassare gli straordinari va bene, anche se l'esclusione dei dipendenti pubblici è ingiusta e crea problemi di incostituzionalità. Ma sarebbe meglio intervenire sulla contrattazione di secondo livello. I benefici di Tremonti escludono precari, anziani, donne: le categorie più esposte al rischio di impoverimento. Quanto ai mutui, non è difficile prevedere un'altra delusione. Già i consumatori fanno notare che si tratta di una dilazione, non di una rinegoziazione. Il fatto stesso che le banche abbiano subito detto sì desta un legittimo sospetto ». Sul federalismo fiscale lei ha aperto un dialogo con Formigoni. Ma Chiamparino la pensa diversamente. «Io la penso come Chiamparino: federalismo solidale differenziato. Avvicinare il fisco alla vita dei cittadini, senza spezzare il vincolo di solidarietà tra regioni diverse: altrimenti avremo al Nord una California e al Sud un paese povero». L'impressione è che lei punti a dividere la Sinistra Arcobaleno e ad allearsi con una sua parte. «Non si tratta di dividerli. Certo l'Unione non tornerà. Mentre è possibile costruire un nuovo centrosinistra, avendo un interlocutore su posizioni più radicali delle nostre, ma senza prendere più nulla a scatola chiusa. Non contano i buoni sentimenti. Contano i programmi condivisi». D'Alema dice che il leader giusto per Rifondazione è Vendola. «Non interferisco con quanto accade in un altro partito, con la loro discussione. Mi limito ad augurarmi che sia una discussione vera. Finora ho visto una reazione autoassolutoria. Come se la loro sconfitta fosse colpa mia, e non di chi ha messo fine al centrosinistra; ostacolando le cose migliori del governo Prodi, dalla riforma del welfare alle missioni all'estero». D'Alema è molto attivo. «Ognuno dice la sua opinione, ed è legittimo che lo faccia. D'Alema ha detto di voler fondare una fondazione culturale, non un partito nel partito. Sono portato a prendere sul serio le parole delle persone serie. Il lavoro della fondazione culturale di D'Alema sarà molto utile al Pd». Ma dell'opinione di D'Alema sulla tentazione della Chiesa per il potere e il patto con la destra, lei che pensa? «Non c'è nessun patto. L'Italia è un Paese particolare; ma l'influenza della Chiesa non mi spaventa certo. La Chiesa ha diritto di esprimere la sua opinione; non possiamo applaudirla se difende gli immigrati, e zittirla se critica la fecondazione assistita. Sta a noi difendere la laicità della politica ». Non negherà che il Pd abbia perso voti cattolici, a vantaggio dell'Udc e della destra. «Certo, l'Udc in mezzo prima non c'era; quando l'offerta politica si arricchisce, i voti si diversificano. Ma chissà se questi flussi sono reali. In Italia non si prende il 34% senza intercettare una parte rilevante del voto cattolico. Il referendum sulla fecondazione assistita l'avevamo perso 75 a 25. Piuttosto, noto che dal governo Berlusconi sono scomparse le personalità di cultura cattolica, comprese quelle d'indubbio spessore come Pisanu e Formigoni. Hanno prevalso personalità di cultura berlusconiana». Le toccherà occuparsi anche di giornali. Il Pd ne ha due, «Europa» e «l'Unità», molto diversi. La linea di Menichini non è la stessa di Padellaro. «È una divisione che viene da altri tempi storici. Ora per l'Unità si è trovata una soluzione splendida. Sono stato direttore di quel giornale quando andava bene. Da segretario ds ho avuto il coraggio di fermare l'emorragia, e grazie al lavoro di Folena l'Unità rinacque subito. Ora Soru, uno degli uomini più convinti del progetto del Pd, definirà un'idea nuova del giornale coerente con l'obiettivo di parlare a pubblici nuovi e raccontare in profondità la società italiana. E Gentiloni lavora a rafforzare la nostra presenza nel web e nel sistema tv». Quale direttore vorrebbe per «l'Unità»? «Non sta a me decidere. Certo, in un mondo di giornali che fanno prediche femministe ma hanno ai vertici pochissime donne, mi piacerebbe proseguire la rivoluzione che abbiamo avviato portando — dopo le molte che abbiamo fatto eleggere in Parlamento — una donna alla direzione dell'Unità». È giusto o no che Roma dedichi una via ad Almirante? «Ho preferito fare una scelta più limpida: mandare un messaggio di riconciliazione alla città dedicando strade ai caduti degli anni di piombo, di destra e di sinistra. Persone innocenti vittime della violenza. Una violenza che, come dimostrano i fatti dell'università, può rinascere specie se in una comunità si crea un clima di tensione e contrapposizione ». di Aldo Cazzullo 28 maggio 2008 da corriere.it Titolo: Pd, tregua armata tra le correnti. Ma Parisi e i Prodiani restano fuori. Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 11:26:59 pm POLITICA
Eletta la Direzione nazionale, 120 persone dalle varie anime del partito Bindi ritira la mozione. D'Alema e Rutelli non intervengono. Prodi apprezza tratto ulivista Pd, tregua armata tra le correnti di CLAUDIA FUSANI ROMA - Nel Pd è tregua balneare ma armata fino ai denti. Non conviene a nessuno adesso tentare la mossa da scacco matto, nessun regolamento di conti. Tutti però, e s'intendono le correnti (sette o otto) che in modo più o meno organizzato si muovono nel partito, tengono la loro posizione e stanno pronti. Veltroni è e resta il segretario di tutti, non avrebbe senso contarsi proprio adesso che Berlusconi è tornato Caimano e ragala un po' di colla all'opposizione. Il congresso, quindi, può attendere. E il segretario guadagna tempo utilissimo per far crescere e radicare la creatura Pd. Con queste premesse, decise nei giorni scorsi tra caminetti e riunioni, i lavori dell'Assemblea nazionale del Partito democratico, la prima dopo l'uno-due elettorale, non potevano che essere la fotografia della tregua decisa a tavolino e la certificazione dei due obiettivi principali: costruire il partito ("il tesseramento parte a luglio, non abbiamo mai creduto al partito liquido bensi a uno radicato nel territorio" ha detto Veltroni) e puntare alle Europee del 2009 costruendo prima la casa europea. Parisi e i prodiani fuori dall'Assemblea nazionale. Ma i lavori - un solo giorno anzichè due - sono stati anche la fotografia dello scontento che si muove nella base del partito e tra i prodiani. Nella Direzione nazionale eletta oggi - 120 persone anima e motore del partito e organo che andrà piano piano a sostituire i 2.800 dell'Assemblea costituente - alla fine entrano tutti, da Massimo D'Alema a Rosy Bindi. Tutti tranne Parisi e i prodiani che hanno lasciato l'assemblea con buon anticipo e in ordine sparso. Il malcontento prende corpo subito dopo l'intervento di Veltroni. Anna Finocchiaro elenca l'ordine dei lavori e informa l'assemblea che dovrà essere votata la Direzione nazionale (120 persone), che il segretario ha un suo listone "composto su base proporzionale rispetto ai risultati delle primarie" e che "tra le 14 e le 17 sarà possibile presentare altre liste purchè abbianmo almeno 280 firme di delegati". Il fatto è che non ci sono e non ci saranno altre liste alternative a quella di Veltroni perchè, dice con sarcasmo l'onorevole Mario Barbi con polo e zainetto sulle spalle, "nessuno conosceva le condizioni per presentare altre liste. Lo sappaimo adesso, così come abbiamo saputo l'ordine del giorno dell'assemblea due giorni fa dai giornali". Botta e risposta. Se Barbi parla da sotto il palco, Parisi - da sempre il più convinto oppositore della riproposizione del meccanismo delle correnti nel Pd - si fionda al microfono. La relazione, dice, "è una comprensibile difesa di quello che è stato fatto. Purtroppo, però, l'unico giudizio sul nostro operato e sulla dirigenza resta quello degli elettori a livello nazionale, a Roma e nella Sicilia". Sul fatto, poi, che "il Pd è l'Ulivo che si è fatto partito" come sostiene Veltroni, Parisi taglia corto: "Allora vuol dire che si è fatto male...(il Pd ndr)". Ma poi arriva al dunque. E il dunque è che "questa assemblea non ha il numero legale" e quindi "non può votare la Direzione nazionale". Nel padiglione, tra i delegati cala il gelo. I numeri confermano quello che dice il professore ulivista: in sala ci sono solo 1225 seggiole, alcune sono vuote, altre sono occupate da giornalisti, agli stand si sarebbero accreditati solo 800 delegati anzichè i 2.800 previsti. Il numero legale scatta a quota 1400 voti. Quante assenze nell'assemblea. L'incognita del numero legale imbarazza e aleggia per tutto il giorno nel padiglione n.8 della Fiera di Roma. Quello che è certo è che ci sarà una sola lista per la direzione nazionale. "Ma la direzione del partito è il suo Dna - attacca l'ex ministro della Difesa - e noi la stiamo facendo nascere da un equilibrio di correnti". Ecco perchè "si fa fatica a definire democratica questa assemblea". Parisi scende dal palco. Prende la parola il n.2 Dario Franceschini per calmare le acque e difendere il criterio proporzionale con cui sarà composta la lista unica dei componenti della Direzione. "Non solleviamo questioni formali inutili che nascondono invece altre questioni sostanziali...". Parisi, che ascolta in piedi a pochi metri, serra la mascella, alza l'indice e va verso il palco, sotto Franceschini: "Non ti permettere di fare queste insinuazioni...". Mario Barbi resta in platea e organizza la clac. "Qui non c'è il numero legale - grida - la verità è che non ci hanno permesso di presentare una nostra lista...". Anche l'ex sottosegretario Mario Lettieri sale sul palco e chiede la verifica del numero legale. Parisi poi spiega che non lascerà il partito. Ma non entrerà in direzione. Romano Prodi, rigorosamente assente e impegnato in conferenze universitarie in Francia e in Spagna, apprezza gli applausi e "il tratto ulivista dato all'assemblea". Ma resta il grande freddo con il partito e con Veltroni. Le dimissioni restano lì. E la Presidenza un problema di domani, rinviabile. La rivincita di Rosy? Cosa che invece fa Rosy Bindi, l'altra pasionaria ulivista, che rinuncia all'annunciata mozione per chiedere a Prodi di ritirare le dimissioni da presidente del Pd. E' soddisfatta per il riferimento di Veltroni all'Ulivo ("radice più profonda e importante del Pd") e ancora di più per la standing ovation di oltre un minuto ("il vero riconoscimento a Prodi") che la platea riserva al Professore. "In questi mesi passati - spiega Bindi dal palco - non si era percepito con chiarezza che il Pd è la prosecuzione dell'Ulivo e che la vocazione maggioritaria non è la rinuncia a costruire un nuovo centrosinistra, ma far maturare le forze della sinistra in una prospettiva di governo. Oggi invece il messaggio è stato chiaro". D'Alema e Rutelli non intervengono. Restano ai margini Francesco Rutelli, leader dei Coraggiosi, e Massimo D'Alema che ha fatto della Fondazioni Italiani-Europei la sua privata cabina di regia, luogo dove discutere e dibattere e stringere alleanze. Entrambi scelgono di non intervenire. D'Alema si limita a definire "equilibrata e serena" una relazione che "aiuta a ripartire". Ma allo stop di Veltroni alle correnti seppure travestite da Fondazioni (come la dalemiana Italianieuropei), l'ex ministro degli Esteri replica: "Il pluralismo va considerato come una ricchezza per il confronto delle idee". Infatti martedì fa nascere Red, gruppo di parlamentari riformatori e democratici. Marini: "In Europa una federazione col Pse". Sembrano "pacificati" i Popolari legati a Veltroni con un patto di ferro che passa attraverso incarichi e nomine come quella di Gentiloni, diventato responsabile della Comunicazione, e Fioroni (responsabile dell'Organizzazione del partito). Le teorie di Famiglia Cristiana ("Il Pd ha scaricato i cattolici") sono acqua passata. Sul palco sale Franco Marini, presidente in pectore una volta risolto il nodo Prodi. "Questa assemblea - dice - mi è piaciuta perchè non s'è parlato di congresso anticipato, non c'è stato alcun rovesciamento di linea e a Veltroni è stato riconosciuto lo sforzo che ha fatto nonostante la sconfitta elettorale". Adesso c'è da costruire il partito "e questo lo si fa andando sul territorio e battendo l'Italia". Poi Marini apre improvvisamente all'Europa, l'altra spina nel fianco del Pd e di Veltroni, e dice sì "ad una forma federata con il Pse". Fin qui le anime del partito in stato, si diceva, di tregua armata e che si rispecchiano perfettamente nelle quote della neo-eletta Direzione nazionale: 55% ex ds, 45 per cento ex dl tra cui 20% i popolari, bindiani e rutelliani al 10, più o meno come i lettiani. Veltroni tiene per sè una quota di circa venti nomi "giovani ed espressione della società civile". Tra questi Luca Sofri, Miriam Mafai, la regista Cristina Comencini e l'economista Nicola Rossi. Ci sarebbe poi da parlare della base del partito, quella che è salita sul palco e ha preso la parola davanti a una sala mezza vuota. C'è molta delusione ("E' già finito tutto?) e un po' di rabbia ("da mesi cerco di avere qualcuno nel mio circolo ma non mi rispondono neppure"). Ma continuano a crederci. Nel Pd e in Veltroni. (20 giugno 2008) da repubblica.it Titolo: Pd, tutti contro Arturo Parisi: «Veltroni resterà segretario» Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 11:50:36 pm Pd, tutti contro Arturo Parisi: «Veltroni resterà segretario»
«Veltroni conduce tra gli applausi di tutti una campagna elettorale difficilissima ma dopo il voto comincia il logoramento. Con una differenza profonda. Negli altri casi i leader erano i candidati di una coalizione alle politiche, in questo caso logorare Veltroni significa indebolire il partito che sta ancora nascendo». Dario Franceschini osserva con dispiacere che «è ricominciato lo sport nazionale dei gruppi dirigenti del centrosinistra: logorare il leader». Il vicesegretario Pd aggiunge che «questa disciplina va abolita» e rilancia sulla conferma della premiership di Veltroni anche per le prossime Politiche: «Penso che questo sia il mandato che ha ricevuto. A meno che qualcuno, in modo disonesto, pensi che il suo compito fosse costruire il Pd e vincere contro il centrodestra in tre mesi e in quelle condizioni». Franceschini rileva che leader europei come Cameron, Aznar, Merkel, Zapatero e Blair hanno o hanno avuto un orizzonte ampio per impostare un percorso politico: «Possiamo fare così anche noi? Anche perchè è del tutto chiaro - avverte - che il giorno in cui al posto di Veltroni ci fosse un altro, il gioco del logoramento ricomincerebbe daccapo». Parole severe per Arturo Parisi e le sue altrettanto ruvide critiche a Veltroni: «E dov'è la notizia? Parisi fa così da 15 anni. Pensa che ogni momento positivo sia merito suo e ogni difficoltà sia figlia invece della tragica colpa di non aver seguito i suoi preziosi consigli. Parisi approva, Parisi collabora: quella - chiosa - sarebbe stata la novità da titolo». Stesso parare da Goffredo Bettini, coordinatore del Pd. «Siamo amareggiati dall'attacco così violento e fuori misura a Veltroni» di Arturo Parisi.. Bettini fa il punto sul futuro del partito e all'ex ministro della Difesa dice che «discutere è necessario come il pane, ma farlo a colpi di piccone è inesistente». Bettini difende totalmente il segretario del Pd: «Ma cosa vuole Parisi? Veltroni è stato chiamato da tutti in un momento di sbandamento e di lotta e ha costruito il partito». È facile, aggiunge, «dare lezioni quando si è sempre "trasportati" da chi fa la fatica e ha il coraggio di mettere la faccia in prima persona». Per il braccio destro di Veltroni il partito deve affrontare «un cammino con modestia e con tenacia». Certo sarebbe stato utile il congresso, ma la maggioranza del partito era contraria e «insistere avrebbe rafforzato in alcuni la sensazione di avere di fronte un imperatore buono in lotta contro gli oligarchi». Ma «l'urgenza», ora che «la luna di miele del governo Berlusconi si sta rapidamente consumando», è quella di «guardare avanti», perché si «incominciano a intravedere tutti gli elementi di una grande mobilitazione di massa». Anche Rosy Bindi prende le distanze da Arturo Parisi. «Il problema non è mandare a casa il segretario» ma costruire il partito e smettere di portare avanti il dialogo se «rischia di legittimare» un governo a cui invece il Pd si deve proporre come «alternativa». Bindi invita Veltroni «a cominciare a lavorare collegialmente, rispettando, e direi persino valorizzando, anche il dissenso». «Credo che ci sia una distinzione tra me e Parisi - dice - non sono stata meno dura di lui nel registrare la scarsa democrazia interna, ma penso che le idee mie e quelle di molti possano essere utili se vengono offerte a chi ha la responsabilità del partito». Per superare la «principale difficoltà» che è la «sconfitta elettorale pesante, confermata a Roma e in Sicilia», Bindi suggerisce al segretario che «radicarsi non vuol dire solo fare le tessere ma ricreare un rapporto con la società italiana». Bisogna poi «chiarire bene che la vocazione maggioritaria non è l'autosufficienza», e «farsi carico fin d'ora di ricostruire un nuovo centrosinistra». Pubblicato il: 23.06.08 Modificato il: 23.06.08 alle ore 11.52 © l'Unità. Titolo: Se Walter si stufa parte la sfida dei quarantenni Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 11:52:18 pm 23/6/2008 (7:37) - RETROSCENA - LE STRATEGIE PER IL DOPO
Se Walter si stufa parte la sfida dei quarantenni I favoriti: potrebbe essere l'ora del dalemiano Gianni Cuperlo o del bettiniano Nicola Zingaretti FABIO MARTINI ROMA L’altro giorno Erminio Quartiani, cinquantenne deputato milanese del Pd, lo diceva scherzando ai colleghi: «Mica finisce che Walter ci saluta e se ne va in Africa?». Quella di Quartiani era una battuta, ma il problema è che da qualche tempo lo stesso interrogativo tormenta le riunioni notturne di una nuova lobby: quella che fa capo a Goffredo Bettini, uomo forte di Walter Veltroni. Già da settimane un drappello di quarantenni veltroniani - tra gli altri il ligure Andrea Orlando, il friulano Alessandro Maran, il lombardo Maurizio Martina, il veneto Andrea Martella, il romano Nicola Zingaretti - si incontrano e sotto la regia di Bettini, ragionano attorno a due scenari entrambi temuti: che succede se Veltroni, stanco delle tanti ostilità interne, non regge e decide di mollare? E che succede se invece Walter è costretto a lasciare dopo una possibile flessione del Pd alle Europee del 2009? Certo, i “bettiniani” non discutono solo di questo, anche perché Walter Veltroni per ora non sembra avere alcuna intenzione di dar corpo alla vocazione africana. Il segretario tira dritto, ieri ha glissato sulla richiesta di sue dimissioni, mostra di pensare al futuro senza ansie. Certo, per ora la questione di un ricambio del leader è stato posto soltanto da Arturo Parisi ed è possibile che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi e nei prossimi anni il leader del Pd riesca a riassorbire le tante spinte che vorrebbero portarlo fuori pista, ma è pur vero che il tema del dopo-Veltroni per la prima volta comincia ad occupare le chiacchiere e le riunioni delle correnti interne. Un tema di cui si occupano due “cenacoli” tra loro contrapposti. Quello di Goffredo Bettini, king-maker da una vita. Quello di Massimo D’Alema. E dai due circoli escono tentazioni analoghe: se proprio bisognerà trovare un successore a Walter, si potrebbe saltare la generazione dei 40-50enni più “visti” - personaggi come Pierluigi Bersani, Enrico Letta, Sergio Chiamparino, Rosy Bindi - e planare su quarantenni meno sperimentati. Nel circolo di Goffredo Bettini il nome più accreditato è quello di Nicola Zingaretti. Quarantadue anni, romano, fratello minore di Luca - il commissario Montalbano - Zingaretti è salito alla ribalta nazionale 45 giorni fa, quando è stato eletto presidente della Provincia di Roma, compiendo il miracolo di ottenere nelle stesse sezioni elettorali della Capitale 59.000 voti in più di Francesco Rutelli. Protagonista di un cursus honorum da politico di una volta (segretario della Sinistra giovanile, consigliere comunale, segretario dei Ds di Roma, europarlamentare), Zingaretti assomma al profilo del “giovane vecchio” (in politica da 26 anni, un lessico che ricorda i quadri Pci), anche alcuni tratti naif. Nel suo sito, per spiegare “chi sono”, Zingaretti dice di sé: «Dal 1995 al 1997, come vicepresidente dell’Internazionale socialista giovanile, vivo in prima persona alcune tra le più significative vicende politiche degli ultimi anni: contribuisco a ricostruire la rete con i partiti progressisti in Bosnia». Di pasta diversa è Gianni Cuperlo, uno dei pupilli di Massimo D’Alema. Quarantasette anni, triestino, una spessore culturale insolito per un politico - dalla comunicazione alla letteratura - un sito Internet e un blog molto letti, da un anno Cuperlo è uscito dall’officina dalemiana e nell’ultima Assemblea nazionale ha scandito una frase destinata a restare proverbiale. Rivolto a Veltroni «e a chi è stato alla guida negli ultimi 15 anni», ha chiesto «ad una intera leadership di lavorare per consegnare alle nuove generazioni un nuovo partito». Massimo D’Alema sta dunque meditando ad una riedizione del “metodo Deng”, il leader cinese che attorno a sé promosse una generazione giovane, tagliando fuori quella di “mezzo”? Alla fine l’enigma resta lo stesso di sempre: se davvero Veltroni un giorno dovesse uscire di scena, dopo uno strappo così cruento, il Pd è pronto a mettersi nelle mani di giovani di belle speranze? A quel punto non suonerà l’ora di Pierluigi Bersani? L’ex ministro, parlando di rinnovo generazionale, la mette così: «Non basta essere giovani, servono giovani di lungo corso, che abbiano già maturato esperienza, che godano di credibilità esterna». Se non è autoritratto, ci somiglia molto. da lastampa.it Titolo: Bettini: «Arturo è un picconatore» Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 11:53:18 pm Il braccio destro del leader: il congresso? Nel Pd la maggioranza era contraria
Bettini: «Arturo è un picconatore» «Siamo colpiti e amareggiati per un attacco così violento e fuori misura» ROMA — Bettini, Parisi si è arrabbiato sul serio questa volta. Non la colpisce un affondo di questo tipo da parte sua? «Mi colpisce e mi amareggia l'attacco al Pd e a Veltroni così violento e fuori misura. Discutere è necessario come il pane, ma farlo a colpi di piccone è insensato». Veramente Parisi spiega qual è il senso della sua uscita. «Ma cosa vuole Parisi? Veltroni è stato chiamato da tutti in un momento di sbandamento e di lotta nella coalizione del centrosinistra. Ha mobilitato milioni di persone alle primarie, ha costruito il partito, ha fatto una campagna elettorale appassionata e innovativa, suscitando tante energie». E ha perso... «Certo non siamo al governo, ma abbiamo costruito la più grande forza riformista della storia italiana. Queste cose ho visto che le spiega molto bene un commentatore intelligente e certo non di sinistra come D’Alimonte sul Sole 24 Ore. E’ facile dare lezioni quando si è sempre "trasportati" da chi fa la fatica e ha il coraggio di mettere la faccia in prima persona. Nel centrosinistra ci sono troppi commentatori perennemente garantiti». Nel centrosinistra vi sono anche molti giovani, ma sono ancora lontani dalle leve del comando. «Verrà ilmomento in cui finalmente i giovani più bravi del Pd prenderanno la scopa per rinnovare veramente. E mi ci metto per primo io tra quelli da rinnovare. Anzi ho detto più volte che sento la mia funzione dirigente quasi esclusivamente legata a questo obbiettivo e alla costruzione di un partito totalmente nuovo». A un certo punto sembrava che doveste andare a un congresso anticipato. Ora invece non se ne parla più, che è successo? «Walter e io ancora più convintamente dopo il voto abbiamo proposto di tenere subito un congresso per discutere e verificare il gruppo dirigente e la sua linea in un rapporto di massa con gli iscritti e gli elettori. Le opinioni sono state in grande maggioranza contrarie: insistere avrebbe rafforzato in alcuni la sensazione di avere di fronte un imperatore buono in lotta contro gli oligarchi. Si è scelta un’altra strada che ci porterà in autunno a un importante momento nazionale di discussione politico-programmatica. Ma guardiamo avanti perché l’assemblea di venerdì è stata un successo politico». Un successo? Non c’era nessuno. «Le sedie vuote? Era un venerdì di giugno e sono tre volte che riuniamo un’assemblea che è di fatto un congresso, non un semplice organismo dirigente. Si guarda ossessivamente al dibattito all’interno del Pd e quasi mai all’assenza totale di vita democratica dei partiti della destra italiana. Nell’assemblea si è discusso con serietà, a partire dalla relazione di Veltroni che ha parlato crudemente della sconfitta ma ha anche rivendicato i punti fondamentali di un progetto politico che ha già cambiato grandemente lo scenario italiano. Si tratta ora di iniziare un cammino con modestia e tenacia. Nell’assemblea Marini, Fassino, Follini, Bersani, Bindi e Cuperlo, per parlare solo di alcuni tra i più autorevoli, hanno portato contributi diversi e anche critici, ma tutti guardando in avanti. E poi l’assemblea ha finalmente cominciato a promuovere forze nuove e libere da appartenenze anche nella formazione della Direzione nazionale ». Perché tutta questa insistenza sul concetto del guardare avanti? «L’urgenza di guardare in avanti, senza mai perdere tuttavia lo sforzo di una ricerca delle ragioni profonde della difficoltà, non solo in Italia ma in tutta Europa, delle forze di progresso sta nel fatto che la luna di miele del governo Berlusconi si sta rapidamente consumando. Hanno fatto tante promesse. Ma la crisi dell’Alitalia, così come i rifiuti, gli strappi istituzionali e le bugie sui buchi del bilancio di Roma sono sotto gli occhi di tutti. Così come stanno lì le drammatiche condizioni dei salariati e dei pensionati i cui redditi Tremonti vorrebbe legare a una previsione dell’inflazione che è metà di quella reale. Insomma, si cominciano a intravedere tutti gli elementi per una grande mobilitazione di massa che noi faremo in autunno e che cambierà definitivamente, almeno lo spero, il clima nel Paese». Maria Teresa Meli 23 giugno 2008 da corriere.it Titolo: Goffredo Bettini. Pd, otto punti per ripartire Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 06:04:58 pm Pd, otto punti per ripartire
Goffredo Bettini 1. Via via che scorrono i giorni mi pare che nel nostro popolo, e tra i gruppi dirigenti, si consolidi il nucleo essenziale del giudizio sul voto. Abbiamo subito una sconfitta per il governo del Paese. Da non sottovalutare. Che viene da lontano. Allo stesso tempo, in un corpo a corpo senza precedenti, abbiamo piantato sul terreno la bandiera di una speranza. Il PD. La più grande forza riformista della storia italiana. Simile, per qualità e dimensione, ai grandi partiti che in tutta Europa sono alternativi alla destra. Senza questa speranza la sconfitta si sarebbe trasformata in una disfatta. Ci sono ora, invece, le condizioni per ripartire e combattere. 2. Per farlo, questo a me pare cruciale, occorre non perdere il filo che ci lega alla spinta, all’entusiasmo, all’innovazione che, innanzitutto, Veltroni è riuscito a mettere in campo nelle primarie, nella campagna di fondazione del Partito, nella competizione elettorale. È naturale che dopo la "botta" ci sia stata una fase sospesa. Ritengo fisiologiche incertezze e squilibri. Guai, tuttavia, a dimenticare che abbiamo messo in moto un "popolo", nuovo nella sua composizione. Esso si disperderà se la sospensione si dovesse protrarre oltre misura. E senza fondate ragioni. 3. I tempi di una nuova iniziativa nella società stringono. Il PD ne è consapevole. La crisi italiana si sta aggravando. Complice il governo di destra. Il Paese è spezzato. Socialmente: una parte non ce la fa proprio più. Salariati, pensionati, redditi fissi, giovani. Il ceto medio rischia di sprofondare. La carta dei poveri è l’implicita conferma che si dà per scontato questo processo. Poi, invece, c’è l’Italia dell’economia nera, illegale, criminosa. Dei manager superpagati, delle fortune finanziarie e delle "bolle" immobiliari. Quanto può reggere tutto ciò? Ma l’Italia è spezzata anche geograficamente e nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Sta saltando un patto più generale che motiva lo stare insieme di una nazione, come ricorda sempre Reichlin. Si rivelano urgenti e fondate le ragioni per cui è nato il PD. C’è un’emergenza che chiama. Ci sono un coraggio, una missione, un senso nuovo dell’unità tra di noi che ci debbono guidare. L’impresa non è scontata. Ma immergendoci totalmente in questa Italia, così ricca di talenti e così dolente, possiamo forgiare il Partito. La sua vocazione maggioritaria. Ad un Paese spezzato dobbiamo rivolgere un "discorso" coerente ed unitario, che sappia riallineare nel nostro progetto la difesa delle parti più colpite del nostro popolo, con una prospettiva democratica valida per tutta l’Italia, ed un nostro posizionamento politico ed economico competitivo dentro il mondo, attraversato dai processi di globalizzazione. 4. Se questa è l’ispirazione di fondo, da perseguire con tenacia e pazienza, come non vedere anche le occasioni che la contingenza apre di fronte a noi? Avverto che possiamo rialzare la testa, anzi che la stiamo già in parte rialzando. Dopo il voto sembravamo chiusi in una morsa. Già le cose stanno cambiando. La luna di miele di Berlusconi sta esaurendosi rapidamente. È chiara la loro risposta. Accettazione della recessione e dell’inflazione. Abbassamento dei livelli di vita e dei consumi. Carità a chi non ce la fa, protezione per chi in qualche modo già ce l’ha fatta. E a completamento: l’ossessiva difesa dei loro interessi e di quelli del premier. In autunno verranno tempi ancora più duri. Tra la destra e la gente si apriranno crepe profonde. Tra il governo, e la risposta solo distruttiva che abbiamo visto a Piazza Navona, si apre dunque una prateria per un’iniziativa riformista. Per questo Veltroni ha voluto intrecciare la costruzione del Partito e il lancio del tesseramento con una grande mobilitazione di massa. "Salva l’Italia", appunto! Una petizione con cinque milioni di firme ed un fiume di popolo il 25 ottobre a Roma. 5. Non voglio nascondermi il fatto che ha contribuito ad una nostra fase di sospensione, un presunto contrasto nel gruppo dirigente su punti non secondari della nostra strategia. Il concetto, per esempio, di vocazione maggioritaria. Da alcuni letto come volontà di autosufficienza e scarsa attenzione per una politica di alleanze. Mille volte l’abbiamo detto: vocazione maggioritaria è volontà (necessità!) di rivolgere una nostra proposta riformista al Paese. Ponendo fine, per sempre, all’idea di essere i sensali che mediano le innumerevoli posizioni di alleanze tanto estese quanto litigiose e poco credibili; realizzate contro qualcuno e incapaci di governare, poi, per un progetto coerente. Lavoriamo per schieramenti coesi, affidabili nel loro profilo riformista. Dentro questa ottica o capovolgimento di logica, non abbiamo preclusioni o pregiudiziali verso alcuno nel campo democratico. Da soli non rivinceremo mai. Ma sappiamo che tali alleanze comportano un rinnovamento, in tutto il campo del centro-sinistra. Che ancora non c’è. Ecco perché mi pare un po’ accademico oggi, e del tutto irrealizzabile, parlare di un’intesa che va da Rifondazione all’UDC. O anche di un rapporto solo alla nostra sinistra. O solo alla nostra destra. Trovo tutto ciò politicistico, e alla fine statico. I partiti sono in una fase di forte transizione. Interloquiamo e spingiamo, piuttosto, per una loro riflessione positiva. Lasciamo allo sviluppo delle cose la maturazione di possibili futuri schieramenti elettorali per il governo. 6. Così come la discussione sulla legge elettorale (su cui è certamente utile avere un’iniziativa e una proposta anche in vista del referendum) ha, tuttavia, nel modo stringente con il quale è stata avanzata, un valore più simbolico, politico che concreto. Non voglio interpretare il pensiero di altri: ma nella sottolineatura della bontà del modello tedesco in D’Alema vedo la comprensibile preoccupazione di lanciare un messaggio ai possibili nostri interlocutori. Tutto ciò è positivo. Ma se questo è: non impicchiamoci sui modelli. In Parlamento, prima della caduta di Prodi, si era raggiunto un sostanziale accordo. Univa il modello tedesco con quello spagnolo. È la sostanza che ci deve interessare. È necessario un sistema elettorale che aiuti la costruzione di partiti che abbiano una loro autonomia, libertà, radicamento, profilo ideale. Nessuno pensa a soluzioni bipartitiche o di democrazia plebiscitaria. Ma deve essere chiaro l’obiettivo di ridurre la frantumazione patologica del nostro sistema politico, di ridare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e soprattutto di rendere chiaro prima del voto per quale governo e schieramento si vota, in una logica bipolare. 7. Democrazia dei partiti. Ma quali partiti? È vero che sono stati anni di antipolitica e di destrutturazione dei partiti. C’è stata qualche debolezza culturale ed ideale anche nostra. Forse. Ma il punto è un altro. Lo sfrondamento plebiscitario, populista, demagogico che ha contribuito a mettere le ali a Berlusconi, sta nel fallimento-esaurimento dei partiti della prima repubblica e nella loro assoluta incapacità di pensarsi in modo diverso. Il PD nasce per aprire una nuova stagione della politica. È la nostra scommessa più alta e difficile. Ci chiamiamo partito. Vogliamo fare le tessere. Organizzarci e radicarci. Ma dobbiamo farlo in modo nuovo. Non parlo solo di una decisiva funzione di formazione dei giovani, delle nuove classi dirigenti. Di un’animazione di ricerca culturale e ideale. Funzioni così scemate nei vecchi partiti e anche nella politica attuale di tutti i giorni. Dove pare che nessuno abbia più tempo per nessuno. E l’ansia del fare va tutta a discapito del pensiero profondo. Parlo di un’operazione ambiziosa che il PD deve tentare: ricostruire i termini di una nuova rappresentanza democratica. La rappresentanza è confronto, scambio, assimilazione di dati e poi, però, "potere" e "decisione". Ecco perché penso ad un partito che nello svolgimento della sua battaglia dia ai suoi iscritti "potere" e "decisione". I circoli debbono essere i "forum" di questa nuova rappresentanza. Decisioni impegnative (da quelle economiche a quelle sulle alleanze, da quelle sui temi eticamente sensibili alla selezione dei dirigenti), tutto deve passare attraverso campagne di discussioni libere, documentate, organizzate nazionalmente (anche con l’uso delle nuove tecnologie), dove ognuno vota con la propria testa, vale per uno, e contribuisce a costruire una volontà politica collettiva e democratica. Che peserà, in alcuni casi in modo vincolante. Abbiamo perciò bisogno come il pane, anche per istruire tali periodiche consultazioni, del pluralismo. E dobbiamo rafforzare le fondazioni, i centri di ricerca, le associazioni. Ma dico, anche a costo di sembrare vecchio, che personalmente sono contro le correnti: quelle catene di comando antidemocratiche che partono dal centro e vanno fino all’ultimo comune italiano e che alla fine non producono competizione delle idee, ma lotta per il potere; ossificando il nuovo partito nelle vecchie appartenenze. Quando ci sono i congressi si confrontano i leader e le loro piattaforme. Ma dopo ci dovrebbe essere una fusione generosa tra persone con storie diverse o senza storie, che possono continuamente unirsi e dividersi e poi riunirsi nella costruzione democratica e partecipata della volontà e decisione politica. 8. Il PD è la sola forza che ha dentro di sé le energie, i talenti, i leader che per forza, storia e autorevolezza possono tentare questa grande impresa riformista. Ad essi si intrecciano giovani di straordinario avvenire, cresciuti nella società, o nella Margherita, o nei DS. E oggi chiamati a grandi responsabilità. Sta a noi capire lo spirito del tempo, che invoca grandi prove e non un vivacchiare abitato dal ritorno di personalismi e chiusure antiche. Meglio una squadra che tenta una vittoria storica, piuttosto che singoli protagonisti, destinati tutti alla sconfitta. * Coordinatore Iniziativa Politica PD Pubblicato il: 20.07.08 Modificato il: 20.07.08 alle ore 14.58 © l'Unità. Titolo: Pd, spunta l'incubo del «nuovo Prodi» Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 11:08:08 am Dietro le quinte
Pd, spunta l'incubo del «nuovo Prodi» «È una campagna per farci fuori» Lo spettro del «federatore» e la tentazione Casini ROMA — La mattina dopo Walter Veltroni è ancora nero. E si sfoga al telefono con un compagno di partito: «E' la seconda offensiva contro il Pd in pochi mesi: prima hanno appoggiato la manifestazione di piazza Navona che era chiaramente contro di noi, ora questa storia di Tavaroli...». La voce del leader tradisce disappunto, nervosismo e stanchezza. Nel quartier generale del Partito democratico ci si interroga ancora sugli articoli de la Repubblica. E tra un dubbio e l'altro, si insinua il sospetto che dietro ci sia di più, che la partita non la stia giocando solo quel giornale ma i cosiddetti «poteri forti» (il responsabile organizzativo del Pd Beppe Fioroni usa un altro termine che evoca scenari poco rassicuranti: «La massoneria»). Quale che sia la definizione usata si fa strada l'ipotesi di «una campagna orchestrata» con lo scopo di screditare tutta la dirigenza del partito, e, in definitiva, il Pd stesso. Piero Fassino, che ancora l'altro giorno invitava i compagni di partito a non trarre conclusioni fantapolitiche e a «non fare dietrologie», con i collaboratori, ora, ragiona così: «È in atto un tentativo di delegittimare la classe dirigente del centrosinistra». Sembra proprio esserne convinto, il ministro degli Esteri del governo ombra: «Prima l'hanno fatto con me, quando ero segretario dei Ds, hanno orchestrato una campagna pensando che fosse meglio Walter. E adesso che Veltroni è diventato leader del Pd delegittimano anche lui, bocciandone dopo pochi mesi pure la linea politica...». Ma a che scopo tutto ciò? Quale sarebbe l'obiettivo finale di questa manovra di cui il Pd ora sospetta? Qualcuno, nel partito, cita l'editoriale di Andrea Romano sulla Stampa di qualche giorno fa, quello in cui si parla della necessità di «un nuovo Prodi», di un personaggio che vesta i panni del «federatore» per mettere in piedi e insieme un centrosinistra in grado di competere con il centrodestra nella prossima legislatura. Un federatore, naturalmente, che faccia le veci di Walter Veltroni. E Giorgio Tonini, che del segretario è amico, ammette che possa «esserci il tentativo di delegittimare l'intera leadership del Partito democratico che si proponeva l'obiettivo di ripristinare il primato della politica. Si fa così perché si punta all'arrivo dell'"uomo della Provvidenza" che dovrebbe ristrutturare il centrosinistra». Ermete Realacci, un altro dei dirigenti del Pd di rito veltroniano, è convinto che «i giornali abbiano interesse ad avere una politica debole perché così possono giocare un ruolo di supplenza». Fioroni pensa che però questa manovra sia destinata al fallimento: «Siamo un partito del 33 per cento. Potremo anche prendere un po' di meno, ma avremo sempre un bacino del 30 per cento, per cui di certi piani faremo carta straccia. Tra l'altro non vorrei che oltre all'idea di mettere sotto tutela il Pd ci sia anche dell'altro... magari questi signori pensano che coinvolgendo anche il nostro partito nelle vicende giudiziarie la loro situazione con la giustizia migliori...». Il responsabile organizzativo del Pd non aggiunge altro, ma dal modo in cui parla, si capisce che a Largo del Nazareno si teme che la partita non sia ancora chiusa, che possano esserci offensive di altro genere contro il partito. Gianni Cuperlo, dalemiano di rito eterodosso, cerca di sdrammatizzare: «Ma perché ci vorrebbero indebolire? Più in ginocchio di così ». Scherza il deputato del Pd, ma poi comincia a riflettere ad alta voce: «Un nuovo Prodi? E chi potrebbe essere? L'ex presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo?». E riprende lo scherzo: «Ma no... ha un nome troppo lungo. Come si fa a metterlo tutto intero in un manifesto in cui si annuncia un suo comizio? Non c'entra mica...». Di nuovo stop allo scherzo, e Cuperlo continua così: «Comunque è difficile che Montezemolo sia assimilabile al centrosinistra. Io non potrei votarlo... Pier Ferdinando Casini? Ecco invece lui lo potrei votare». Già, Casini. Da qualche tempo nel Transatlantico di Montecitorio corre voce che Massimo D'Alema starebbe pensando al leader dell'Udc come candidato alla presidenza del Consiglio nella prossima legislatura, con la prospettiva di un centrosinistra ristrutturato in altro modo rispetto a quello attuale. Vera o falsa che sia questa voce che rimbalza tra le mura della Camera, comunque è indicativa di quel che si agita dentro il Partito democratico. Perché tentare la carta Casini è un modo per giocare d'anticipo, per tirare fuori un leader che sia sì nuovo, ma che sia comunque un politico. E non «l'uomo della Provvidenza » che tanto preoccupa Tonini, né quello della «massoneria» che tanto fa arrabbiare Fioroni. Maria Teresa Meli 24 luglio 2008(ultima modifica: 25 luglio 2008) da corriere.it Titolo: Torino, Chiamparino sfida il Pd "Se non servo, posso andarmene" Inserito da: Admin - Agosto 14, 2008, 05:16:15 pm POLITICA IL PERSONAGGIO
"Si mette in conto anche di andare contro gli interessi della città per contrastarmi" Torino, Chiamparino sfida il Pd "Se non servo, posso andarmene" Il sindaco scrive al segretario piemontese Morgando: ditemi se sono una risorsa di PAOLO GRISERI TORINO - Caro partito, fammi capire se ti servo ancora. Non è un iscritto della base ma Sergio Chiamparino, il sindaco più popolare del Pd, a prendere carta e penna per esprimere tutta la sua amarezza al segretario piemontese, Gianfranco Morgando ("ti ho invitato a essere il segretario di tutti, sono rimasto sostanzialmente inascoltato"). Un partito in cui, scrive Chiamparino, "si mette in conto anche di andare contro gli interessi della città per contrastare le mie opinioni e soprattutto, credo, il mio possibile ruolo". Un partito in cui "possono esprimersi soltanto i dirigenti che contrastano le mie posizioni" e dove le "logiche di pura redistribuzione del potere sembrano le uniche a dominare, non so se solo a Torino". Dunque, anche se "può sembrare paradossale", Chiamparino chiede di "capire se quel che la mia amministrazione ha realizzato in questi anni è o no una risorsa su cui investire per il futuro". Poi l'attacco finale: "Se guardo agli atti concreti di questo nostro partito, non l'ho capito. È invece importante saperlo, se non altro perché ognuno si assuma le proprie responsabilità anche in vista delle prossime scadenze elettorali". La lettera pubblica diffusa ieri rappresenta il momento di massima tensione tra il sindaco di Torino e il partito locale. Ieri pomeriggio i vertici nazionali preferivano non entrare nella polemica facendo comunque sapere che la stima e la fiducia in Chiamparino sono intatte, come dimostra la sua nomina a ministro ombra per le riforme. Dunque il paradosso è che il sindaco di Torino sembra più in sintonia con i vertici nazionali che con il partito locale. Nessuno è profeta in patria e i nodi che vengono al pettine ora sono certamente i frutti avvelenati di una polemica che risale alle primarie di ottobre quando da Roma si tentò di imporre l'elezione di un candidato rutelliano alla guida del partito piemontese. I massimi esponenti del Pd regionale, da Chiamparino a Mercedes Bresso, a Piero Fassino sostennero la scelta del vertice nazionale mentre dalle urne uscì, un po' a sorpresa, il nome di Gianfranco Morgando, sostenuto da un'alleanza tra la componente cattolica e la sinistra interna. Uno smacco per il sindaco che aveva da poco ottenuto la riconferma con il 66 per cento dei voti dei torinesi. Quella storia, in realtà, non è mai finita. Oggi Chiamparino accusa Morgando di non aver saputo riunire il partito dopo le divisioni di ottobre. E lascia intendere un possibile divorzio dal Pd piemontese: "Ognuno si assuma le sue responsabilità in vista delle prossime scadenze elettorali". Chiamparino, al suo secondo mandato, non è rieleggibile e nella lettera diffusa ieri annuncia che non si ricandiderà comunque alla guida dell'amministrazione torinese, anche se venisse istituita la città metropolitana. Il sindaco di Torino starebbe invece riflettendo sulla possibilità di rilanciare quell'idea del Pd del Nord che aveva proposto lo scorso anno in occasione della fusione tra Ds e Margherita. Per ora il segretario regionale Morgando preferisce non commentare la lettera del sindaco: "Sono in vacanza all'estero - ha fatto sapere ieri - commenterò quando tornerò in Italia". Solidale con Chiamparino è invece il suo predecessore, Valentino Castellani: "Sergio ha ragione, il partito piemontese non può rimanere imbrigliato nelle logiche di fazione tradendo le aspettative della base". (14 agosto 2008) da repubblica.it Titolo: Veltroni e la rabbia di Chiamparino "Tu e Bresso moderni riformisti" Inserito da: Admin - Agosto 18, 2008, 04:22:50 pm POLITICA
Il segretario del Pd ha scritto al sindaco di Torino in rotta con i vertici piemontesi "In quella città in corso una esperienza amministrativa, sociale e politica esemplare" Veltroni e la rabbia di Chiamparino "Tu e Bresso moderni riformisti" L'iniziativa dopo l'ultimatum del primo cittadino al segretario regionale "Ditemi se quel che la mia amministrazione ha realizzato è o no una risorsa" ROMA - Ha aspettato che passasse il Ferragosto, Veltroni, per cercare di gettare acqua sull'ennesima polemica divampata in un punto nevralgico del Pd, nella Torino 'rossa' di Sergio Chiamparino. Il sindaco ha dato uno scossone al torpore di mezz'estate dei democratici, per prendere carta e penna e chiedere ai vertici regionali del partito, senza troppi giri di parole, di fargli sapere se "quel che la mia amministrazione ha realizzato in questi anni è o no una risorsa su cui investire per il futuro". Il casus belli risale alle primarie di ottobre quando da Roma si tentò di imporre l'elezione di un candidato rutelliano alla guida del partito piemontese. Nonostante la presa di posizione dei massimi esponenti del Pd regionale, da Chiamparino a Mercedes Bresso, a Piero Fassino, che sostennero la scelta del vertice nazionale, dalle urne uscì il nome di Gianfranco Morgando, appoggiato da un'alleanza tra la componente cattolica e la sinistra interna. Un colpo per il sindaco che aveva da poco ottenuto la riconferma con il 66 per cento dei voti dei torinesi. Poi la proverbiale goccia. L'iniziativa di un "deputato del Pd" (Stefano Esposito, ndr) che "arriva a proporre d'escludere Torino dalla legge che istituisce le città metropolitane". E il vaso trabocca. Chiamparino si rivolge direttamente ai vertici regionali del partito: il segretario Gianfranco Morgando e il presidente Sergio Soave. Il sindaco ammonisce sul rischio delle correnti: "So che, forse, sono inevitabili - dice - ma so anche che quando queste sono prevalse sui rispettivi partiti, questi sono rapidamente implosi". Walter Veltroni prova ora a ricucire. Ricorda di aver avviato proprio da Torino la sfida del Partito democratico, aggiunge di averlo fatto anche "perché in quella città è in corso una grandissima esperienza amministrativa, una esperienza sociale e politica che considero esemplare", rinnova la propria stima a Sergio Chiamparino che "con il suo lavoro sta testimoniando tutto questo nel modo migliore". Il segretario sottolinea che il sindaco e il suo lavoro , "sono parte costitutiva di una moderna idea dell'azione riformista. Ed è la stessa ispirazione che muove il lavoro e l'esperienza di una donna forte e determinata come Mercedes Bresso". Basterà a calmare gli animi? Presto per dirlo. Per ora si deve registrare il silenzio dei vertici regionali del partito e una nota congiunta di sei esponenti del Pd, giunta ieri, dunque prima della dichiarazione di Veltroni. Bresso e Chiamparino "stanno indiscutibilmente amministrando bene, ma non possono ergersi a difensori contro una lottizzazione che non c'è". Affermano i parlamentari Marco Calgaro, Stefano Esposito e Giorgio Merlo ed i consiglieri regionali Paolo Cattaneo, Stefano Lepri e Roberto Placido. "Si faccia pure un'analisi serena delle nomine fatte in questi anni - dicono i sei rimandando le accuse al mittente -. Si scoprirà, piuttosto che una gran parte è slegata dal vaglio dei partiti e dei cittadini e risponde direttamente al 'partito' (o alla corrente) del sindaco e del governatore". Chiamparino, al suo secondo mandato, non è rieleggibile e nella sua lettera annuncia che non si ricandiderà comunque alla guida dell'amministrazione torinese, anche se venisse istituita la città metropolitana. Il sindaco di Torino starebbe invece riflettendo sulla possibilità di rilanciare quell'idea del Pd del Nord che aveva proposto lo scorso anno in occasione della fusione tra Ds e Margherita: "Ognuno si assuma le sue responsabilità - dice - in vista delle prossime scadenze elettorali". (17 agosto 2008) da repubblica.it Titolo: Sergio Chiamparino: "Le correnti pensano solo alle poltrone" Inserito da: Admin - Agosto 18, 2008, 11:17:09 pm 18/8/2008 (8:16) - INTERVISTA
Sergio Chiamparino: "Le correnti pensano solo alle poltrone" «Grazie Walter, dobbiamo salvarci dalla lottizzazione» FEDERICO MONGA TORINO Chiamparino, Veltroni la porta ad esempio su come si deve costruire il Pd. «Non nascondo che l’intervento del segretario sull’esperienza di Torino come riferimento per le politiche riformiste, in questi giorni di continui attacchi, mi faccia piacere». Non si sente un po’ come il primo della classe poi odiato da tutti, alla Derossi da libro Cuore? «Il punto vero è un altro. Non ho sentito nessuno, all’interno del Pd, fare un’analisi analitica e lucida su cosa abbiamo fatto». Torino città laboratorio anche per il Pd partito che non c’è? «Le difficoltà torinesi non sono solo figlie di sindromi sabaude, sono riflesso di difficoltà generali. Ad esempio la sconfitta elettorale non ha aiutato». Le elezioni sono passate da quattro mesi e il Pd è allo sbando. «Partiamo dal caso torinese. Io punto il dito contro le correnti». Ci sono sempre state. «E sono inevitabili e persino utili. Soprattutto in una fase di costruzione del partito, come la nostra. Però se le correnti sono il tutto, se si esprimono solo sul terreno della lottizzazione allora il partito soffoca. L’esperienza della prima repubblica è finita così». E’ una lotta di potere e di soldi? In ballo ci sono le grandi fusioni delle municipalizzate dei trasporti tra Torino e Milano e dell’energia tra Torino, Bologna e Genova, la Compagnia di San Paolo e la Banca Intesa. «Devo notare che le correnti all’interno del Pd torinese, fino ad ora si sono fatte sentire o quando dovevano criticarmi o quando si parlava di nomine e di poltrone». I detrattori dicono che lei risponda a logiche di potere fuori dai partiti. «Forse vorrebbero che si tornasse alla lottizzazione, un’idea vecchia della politica. Con me si può discutere di tutto. Ma chi ha responsabilità istituzionali ha il dovere istituzionale di scegliere le persone. Io, come i presidenti delle Regioni, ne rispondo da solo. Semmai si devono discutere le strategie. Sulle persone mi metto di traverso». Dietro le persone c’è una strategia. «Mi faccio una critica: ho impiegato troppo tempo a costruire questo percorso che ha portato un sindaco a prendersi l’intera responsabilità delle scelte sulle nomine e ad andare oltre le vecchie lottizzazioni». I suoi compagni, pardon colleghi di partito, le hanno dato dell’autoritario, del leggero. «Per trovare attacchi del genere bisogna andare tra l’opposizione più accanita dei tempi più caldi». Da due partiti, storicamente con organizzazione molto ramificata a un partito leggero o liquido. Cosa cambia? «E’ un dibattito vecchio. La pesantezza di un partito non è data dall’organizzazione, dal numero di riunioni o di organi. Ma dall’autorevolezza. Dalla capacità di fare proposte serie che convincano i cittadini. Bisogna misurarsi sulle proposte non sui posti da occupare». Come si garantisce la democraticità? «Io vengo da un partito che aveva un’organizzazione pesante ma che non brillava per democraticità». Non si rischia di fare un Pdl senza però il capo Berlusconi? «Noi facciamo le primarie. Mi pare che sia un grande esempio di democraticità e le faremo per tutte le candidature a sindaco e a presidente di Provincia e Regione. E poi toccherebbe ai segretari garantire la democraticità. Non è mio compito». Non le piace il segretario piemontese Morgando. «Mi pare che non si sia impegnato, come anche altri, nell’essere il segretario di tutti». Bisogna cambiare? «No. Si deve solo discutere». Alla festa del Pd ci andrà o no? «A due condizioni. Primo si devono affrontare i temi che ho proposto perché mi sembra che a livello nazionale abbiano avuto un certo rilievo. Secondo i segretari piemontesi e torinesi devono dirmi se condividono le accuse che mi sono state fatte di essere evanescente e autoritario». Altrimenti va solo alla festa di An? «In quel caso so dove vado. So chi incontro e credo che possa essere interessante un dibattito con Alemanno». Il Pd rischia di perdere anche nel Torinese? Rischia di cadere anche il villaggio di Asterix? «La gente vede che c’è una lotta interna agli addetti ai lavori e capisce che il Pd è solo capace di litigare». da lastampa.it Titolo: Tonini: «Il Pd rischia di finire come l´Unione» Inserito da: Admin - Agosto 21, 2008, 10:47:43 am Tonini: «Il Pd rischia di finire come l´Unione»
Maria Zegarelli «Attenzione, se continuiamo così finisce come con l´Unione». Giorgio Tonini, della Direzionale nazionale del Pd, legge con preoccupazione le roventi polemiche che a livello nazionale e locale stanno attraversando il partito. «Ci vorrebbe più pazienza», commenta dopo aver letto, tra le altre, le dichiarazioni di Cacciari e Parisi e il resoconto dei quotidiani dell´estate bollente del Pd. Tonini, Cacciari critica il gruppo dirigente del segretario Veltroni. Dice: non sono persone autorevoli. Non c´è tregua? «Io faccio parte del gruppo dirigente, c´è un conflitto di interessi... Ma provo ugualmente a rispondere. Sono stato tra i primi a dire dopo le elezioni che erano necessari una verifica democratica e un congresso. Sono convinto che sia necessario il prima possibile un passaggio congressuale democratico che coinvolga prima gli iscritti e poi tutti gli elettori, perché dobbiamo definire la nostra strategia di opposizione in vista di una rivincita sul centrodestra. Ma per fare un congresso e chiamare gli iscritti a dire la loro bisogna avere gli iscritti: il tesseramento è appena iniziato e non si concluderà prima della fine dell´anno». Parisi, ma anche Cacciari, chiedono il congresso. Si anticiperà la data? «Il congresso è previsto entro il 2009, dobbiamo decidere se tenerlo a scadenza naturale, dopo le elezioni europee, o anticipatamente. Non vedo perché, però, debba essere brandito come un´arma polemica all´interno del partito. Se c´è un elemento che vedo come un limite di questa discussione così eccitata è che sembra ci sia davvero poca pazienza. Siamo un partito nato un anno fa, che sta facendo tutto per la prima volta». È "soltanto" lo scotto che state pagando per l´accelerazione dovuta alle elezioni? «Probabilmente sì. Abbiamo dovuto affrontare una difficilissima battaglia elettorale, eppure il risultato ci consente di guardare con fiducia al futuro. Ci ha votato un italiano su tre, adesso spetta a noi dare una prospettiva al partito. Fino ad ora abbiamo dovuto dare struttura e regole, avviare la campagna del tesseramento. una stagione di Feste che non sono più quelle dell´Unità e della Margherita, ma del Pd. Abbiamo creato una campagna di opposizione intensa, con la raccolta di firme, che sono già più di un milione e speriamo di arrivare a cinque, ad ottobre ci sarà la grande manifestazione di protesta e di proposta, a settembre ci sarà la summer school di Cortona... ». Molto criticata... «Come tutte le cose nuove. Capisco che possono esserci cose che vanno bene bene e altre che vanno corrette. Capisco anche che ci siano critiche dall´esterno e dall´interno, sono normali. Ma quando sento dirigenti che hanno avuto e hanno grandi responsabilità politiche stupirsi per la difficoltà con cui si sta costruendo un partito nuovo, penso non sia degno della loro intelligenza». Veltroni ha lanciato un appello ai gruppi parlamentari a non farsi del male. Non le sembra che sia caduto nel vuoto? «Questo dibattito interno somiglia in maniera spaventosa a quello che c´era dentro l´Unione. C´è il rischio che Veltroni vesta i panni di Prodi, di colui che fa gli appelli all´unità inascoltato, perché continua questo malcostume tipico del centrosinistra italiano per il quale se non c´è una differenza tra di noi bisogna inventarla per costruirci su una polemica a puri fini di visibilità di gruppo, di corrente, di questa o di quella persona che deve conquistarsi un titolo di giornale». Lei sta dicendo che il Pd rischia di finire come l´Unione? «Dico che se non la smettiamo si creano le stesse condizioni che hanno portato alla fine del governo Prodi e alla dissoluzione all´Unione di centro sinistra. I tanti elettori delusi, amareggiati dalla prova includente del centrosinistra, hanno visto nel nascente Pd una grande speranza di una prospettiva riformista che unisse le forze attorno a un progetto per il riscatto del Paese e che facesse del dibattito interno una risorsa. Non possiamo dare l´idea di un partito che riprecipita in questo deprimente dibattito di tutti contro tutti». Non teme possa esserci un contraccolpo durante la fase del tesseramento? «Ancora una volta i nostri elettori si dimostrano più maturi dei loro dirigenti e le feste affollatissime, la partecipazione ai dibattiti ne sono un esempio. Il problema è che se continuiamo a dare di noi stessi questa immagine all´esterno facciamo un grande favore a Berlusconi e al centro destra. Per dare fiducia ai cittadini dobbiamo mostrare coesione e compattezza che non vuol dire smettere di confrontarci e discutere. Vuol dire farlo in maniera propositiva e costruttiva, altrimenti rischiamo di non cogliere le tante potenzialità di questa fase». Non è guerra tra correnti? «Le correnti sono inevitabili in un partito grande come il nostro. Se però diventano cordate verticali che cercano le ragioni della loro esistenza e della loro diversità anziché nascere attorno a proposte e idee si rischia il meccanismo degenerativo che abbiamo conosciuto nell´Unione». Pubblicato il: 20.08.08 Modificato il: 20.08.08 alle ore 11.14 © l'Unità. Titolo: «No a logiche da vecchio partito Giù le mani dal modello Torino» Inserito da: Admin - Agosto 21, 2008, 10:59:57 am Parla Fassino «Incomprensibili gli attacchi al sindaco. Da parte mia nessun interesse personale. E il 2011 è lontano...»
«No a logiche da vecchio partito Giù le mani dal modello Torino» TORINO —Attaccare Sergio Chiamparino è incomprensibile, strumentale, autolesionista. Meglio sarebbe valorizzare i risultati raggiunti e un «modello Torino» che può continuare la sua corsa ma potrebbe anche incepparsi in mancanza della strategia politica necessaria a sostenerlo. Piero Fassino, l'ultimo segretario dei Ds, il ministro degli Esteri del governo ombra, è anche e forse prima di tutto l'uomo politico italiano più legato alla città-fabbrica dove è cresciuto. «Non posso non mettere passione quando ne parlo, perché è di lì che vengo e perché più volte Torino è stato un caso esemplare. L'interesse personale non c'entra nulla», premette, liquidando così le voci che lo vorrebbero già candidato a sindaco per il 2011. Ma è difficile, sentendolo intervenire sulle polemiche di questi giorni, non cogliere un'idea di città, un progetto per il futuro che potrebbero farne uno tra i nomi più probabili, soprattutto nell'attuale scenario nazionale. Fassino, perché Chiamparino e la sua amministrazione sono così importanti per il Pd e mobilitano segretari e leader nazionali? «Chiamparino non è solo un bravo sindaco, come tutti gli riconoscono a cominciare dai cittadini. È uno dei protagonisti dell'operazione di cambiamento che a Torino, con lui segretario del Pds, nel 1993 anticipò di due anni la nascita dell'Ulivo eleggendo Valentino Castellani a Palazzo Civico. Con quella scelta, che non fu indolore per il partito, si unirono le forze di diverse culture riformiste nella migliore tradizione di una città complessa, quella di Gramsci ma anche del beato Cafasso, di Gobetti e di Frassati, di Angelo Tasca, Vittorio Foa e Norberto Bobbio. Scelte come questa, così come i risultati raggiunti nel governo della città, sono un patrimonio di tutto il Pd, compresi quelli che oggi polemizzano, e attaccare il sindaco sulla spinta di qualche piccolo scontro sulle nomine appare francamente incomprensibile». C'è il rischio che il giocattolo si rompa, che il «modello Torino» si incrini? «Mi auguro di no. Ma non dobbiamo dare nulla per scontato. Oggi giriamo per la città, la troviamo bellissima, siamo contenti di sapere che ha un Politecnico all'avanguardia o una vivacissima vita culturale. Ci pare ovvio, ma non lo è. Dal 1980 a oggi Torino ha dovuto cambiare pelle, superando crisi durissime e continuando a trasformarsi, e deve continuare». Nel 1980 c'era anche lei alla guida del Pci torinese... «Sì, e fu l'anno dello choc, della grande crisi alla Fiat che fino a quel momento aveva garantito gli equilibri della città. Solo allora si capì che la fabbrica poteva anche tornare indietro, licenziare, rimpicciolirsi. E che occorreva un patto tra produttori, tra lavoratori e impresa, ma anche che Torino non poteva continuare a reggersi su un'unica vocazione. La città ha cominciato allora a ripensarsi, a percorrere strade nuove. L'indotto auto si è messo a lavorare per giapponesi, tedeschi, americani, ma non bastava ancora. Ci si è dovuti inventare altro, dal Salone del Libro a quello del Gusto, dal nuovo Egizio al Museo del Cinema e, su tutto, la grande metafora delle Olimpiadi. Intanto, la Fiat di Marchionne ha ottenuto risultati importanti e non effimeri, e i presupposti perché possa continuare appaiono molto migliori di dieci anni fa. Sullo sfondo c'è il 2011: gli anniversari dell'Unità d'Italia, dal 1911 al 1961, sono già stati importanti per cambiare questa città». Perché, allora, si parla d'altro e si litiga sul sindaco «autoritario»? «Perché nonostante l'affermazione che occorre maggiore autonomia per chi amministra i comportamenti di molti, nei partiti, non sono ancora cambiati. Se ci fosse un dibattito o anche uno scontro sul futuro della città lo capirei, ma se la ruggine nasce da qualche nomina bancaria dico che non è materia d'intervento di un partito. Se poi ci si vuole posizionare in vista dei prossimi tre anni di elezioni, ricordo che non si può piegare la politica di un partito solo alle proprie ambizioni. Al 2011 manca ancora tanto tempo, e per scegliere il candidato faremo le primarie come abbiamo deciso nelle regole del Pd». Se nel frattempo le correnti non avranno strangolato il partito... «Non credo, non dobbiamo avere paura dei gruppi che si organizzano, a condizione che ciò avvenga su posizioni politiche vere. Quanto alla salute del Pd, si tratta di un bambino che da poco si è deciso di far nascere. Tra un po' camminerà da solo e a mano a mano si formerà una personalità autonoma». Vera Schiavazzi 20 agosto 2008 da corriere.i Titolo: Bettini: «Nel Pd non ci sono fazioni» Inserito da: Admin - Agosto 23, 2008, 11:31:40 pm Festa nazionale del Partito Democratico
Bettini: «Nel Pd non ci sono fazioni» «Nella nuova fase conteranno gli iscritti» Poi il coordinatore nazionale difende Veltroni dalle critiche:«Berlusconi confonde legalità con giustizialismo» FIRENZE - Goffredo Bettini, coordinatore nazionale del Pd, non condivide quanto dichiarato da Enrico Letta sui rischi di divisioni all'interno del partito. «Non ci sono fazioni, ci sono molti leader, ci sono molti rivoli che hanno costruito e stanno costruendo il Pd. Io confido che adesso si apra una nuova fase in cui conteranno gli iscritti e ci sarà una democrazia degli iscritti che disciplinerà molte cose», ha detto Bettini, a margine dell'apertura della festa nazionale del Partito Democratico, alla Fortezza da Basso di Firenze. IL CONGRESSO - «Io non vedo nulla di drammatico nel congresso - ha sottolineato Bettini -. Noi ne abbiamo previsto uno nell'ottobre del 2009 come data massima. Se ci dovessero essere delle divergenze marcate sulla linea politica prima delle europee il congresso sarebbe necessario». «Altrimenti noi abbiamo l'assemblea programmatica - ha aggiunto - che potrebbe essere una grandissima occasione per mettere a punto in modo democratico e con gli iscritti la linea politica, l'assetto del nostro gruppo dirigente per dare ancora più forza al nostro partito e alla nostra iniziativa». «GLI ALTRI SONO PARTITI FINTI» - «Noi siamo un partito vivo, vero e pluralista, radicato, che si sta strutturando - ha detto Bettini -. Ci sono polemiche, ci sono differenze di opinione, l'importante è poi lottare e avere un'iniziativa comune. Gli altri sono partiti finti. In Piemonte, la destra risolve preventivamente i problemi firmando dal notaio il contratto sulla divisione del potere, 70% a Fi, 30% ad An». «LA LUNA DI MIELE DEL GOVERNO E' FINITA» - Poi l'affondo contro il governo Berlusconi. «Tante promesse sono svanite. Stiamo vedendo che la luna di miele di questo nuovo governo è già finita, le promesse sono state ancora una volta promesse mancate, le tasse non verranno ridotte, l'inflazione galoppa molto al di là di quella programmata dal Governo». Bettini ha poi sottolineato che ancora una volta a soffrire sono «i pensionati, coloro che vivono del salario, dei redditi fissi, ancora una volta si vuol far soffrire di più la parte più sofferente della società». L'Italia «non è un Paese in cui possiamo accettare così senza combattere la stasi e la depressione». «BERLUSCONI CONFONDE LEGALITA' CON GIUSTIZIALISMO» - C'è spazio anche per commentare le dichiarazioni del premier sulla giustizia. «Ritengo che ci sia una certa confusione quando Berlusconi dice che Veltroni è giustizialista», perché il premier in realtà «confonde legalità con giustizialismo», dice Bettini. «Noi siamo per la legalità e lo abbiamo dimostrato. Lo riconosce Battista in un bellissimo editoriale sul Corriere della Sera», ha aggiunto Bettini, che poi ha sottolineato come «noi abbiamo un'attenzione enorme anzi, abbiamo come priorità i diritti e la libertà della persona ma pensiamo che sia molto importante la legalità. Prima di parlare delle questioni che riguardano la giustizia - ha concluso - è importante risolvere i problemi della gente dal punto di vista economico e sociale». 23 agosto 2008 da corriere.it Titolo: Sergio Rizzo E Bersani: la sinistra lasciala fare a noi (noi chi? ndr). Inserito da: Admin - Agosto 25, 2008, 12:36:43 pm Sul palco Il duello
Tremonti sfida i fischi E Bersani: la sinistra lasciala fare a noi FIRENZE— Non era partito affatto male. «Sono contento di stare qua», aveva esordito Giulio Tremonti, sorretto da un timido applauso. Ma poi il ministro dell'Economia si è subito complicato la vita. Prima c’è stata un’innocente allusione di stile tremontiano ai contrasti interni al Partito democratico. «Questa è una Fortezza (La Fortezza Da Basso di Firenze, dov'è la Festa del Pd, ndr) — ha detto Tremonti — ed è sempre meglio una Fortezza che un Loft (l'ex quartier generale romano di Walter Veltroni, ndr)». Poi una serie di battibecchi con il pubblico. Che non l'ha risparmiato quasi mai. «Stringi, Tremonti!» E lui: «Se questo è il dialogo per me può anche finire qui». Giù fischi. E più fischiavano, più il ministro dell'Economia raccoglieva le provocazioni. Di nuovo sulla Fortezza. «Nella Fortezza ci sono anche le prigioni, ma per fortuna sono chiuse, così non rischio di finirci dentro...». Altri inevitabili fischi. Insomma, una serata non imprevedibilmente storta. Alla quale, ironia della sorte, il superministro dell'Economia nemmeno avrebbe dovuto essere presente. L'appuntamento con Tremonti alla festa del Partito democratico era infatti per giovedì prossimo. Ma Umberto Bossi l'ha convinto a seguirlo, tanto l'occasione era importante. Dopo che il leader del Carroccio aveva incassato il via libera del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, punta di diamante nel Pd del fronte degli amministratori locali, doveva essere la prova generale per l'alleanza con l'opposizione sul federalismo fiscale: probabilmente l'unica arma che la Lega Nord ha per forzare la mano con un Silvio Berlusconi che su questo tema non appare concentrato come forse lo stato maggiore leghista vorrebbe e portare a casa, sul serio, la riforma federale. Per questo Bossi aveva voluto al suo fianco il ministro dell'Economia, l'uomo chiave per il successo, anche politico, dell'intera operazione. A cambiare il copione, però, ci ha pensato lo stesso Tremonti, con la fattiva collaborazione dell'eterno duellante Pier Luigi Bersani. «Tremonti, se ha ragione chi dice che per attuare la riforma federale ci vorranno almeno cinque anni, nel frattempo non è che possiamo mangiare pane e federalismo». «Bersani, non possiamo nemmeno mangiare pane e balle...». E via di questo passo. Con il ministro che attacca chi si è illuso affidandosi «al Dio mercato», pensando di risolvere tutto scacciando «dall'economia» la presenza pubblica. Spiega che il federalismo fiscale significa migliorare i servizi pubblici locali e di conseguenza la vita dei cittadini. Loda il modello Toscana, «che ha un sistema di bilancio e di sanità migliore di altre Regioni», dando così una stoccata al governatore lombardo, Formigoni. Poi cita, cosa che recentemente gli capita non di rado, Karl Marx, ma anche Pier Paolo Pasolini. Chiosando: «L'egoismo si trova bene in ogni luogo...». Frasi che qui forse potrebbero scatenare l'applauso ma che invece cadono nell'indifferenza di una platea decisamente più ben disposta nei confronti di Bossi. Pronta ad accendersi quando Bersani racconta di aver intercettato un giorno sul bagnasciuga un dentista evasore fiscale che candidamente gli aveva confessato il suo profondo sollievo per la fine del governo di Romano Prodi: prova ulteriore, secondo l'ex ministro dello Sviluppo economico, che l'evasione fiscale starebbe riprendendo vigore. E addirittura impietosa nell'applauso fragoroso che accoglie l'ultimo suggerimento indirizzato da Bersani al suo interlocutore: «Tremonti, lasciala fare a noi la sinistra...». Stavolta è uno a zero per il piacentino del Pd. Ma al ministro dell'Economia non mancherà l'occasione per rifarsi. La via del federalismo è ancora lunga e tortuosa. Sergio Rizzo 25 agosto 2008 da corriere.it Titolo: Alessandro Trocino. Bossi, «Dialogo serio, ringrazio il Pd». Inserito da: Admin - Agosto 25, 2008, 12:38:02 pm Bossi, mano tesa ai democratici: federalismo, si deve collaborare
«Dialogo serio, ringrazio il Pd». Insulti alle bandiere padane, poi applausi al Senatùr DA UNO DEI NOSTRI INVIATI FIRENZE — «Iccheccifà qui il Bossi?». Lo stupore dura un attimo, perché al Senatùr seguono in fila indiana Roberto Calderoli, camicia verde choc e pantaloni arancioni, e Giulio Tremonti, in un tripudio di fazzolettini verde padano. Roba da non crederci, visto che siamo alla festa dell'Unità, anzi del Pd. Lo straniamento aumenta quando attacca a parlare Sergio Chiamparino e in platea applaude compunto un ragazzetto tutto ricci: è Renzo Bossi, il figlio del Capo. Non tutto va liscio nella giornata del dialogo, perché è vero che Bossi viene applaudito, ma i momenti di tensione non mancano. Come quando, un leghista, uno del centinaio venuto a sostenere il Capo, in un eccesso di entusiasmo sventola un bandierone del Carroccio. Giù urla e insulti, «viva l'Italia» e «razzisti». Ma dura poco, perché il Senatùr fa un cenno ai suoi e le bandiere scompaiono come d'incanto. La strategia distensiva viene concordata con un consulto in Direzione, prima dell'incontro. Bossi chiede la complicità di Chiamparino e Bersani: «Mi raccomando, non litighiamo, non ci conviene, teniamo i toni bassi». Seguono «risate omeriche» e scherzi bossiani sulla «montagna che è per vecchi, meglio il mare». Non se lo ricorda più nessuno, neanche lui, ma Bossi a una festa dell'Unità c'era già stato. Era il 6 settembre del '94 e si era a metà strada tra il primo governo Berlusconi e il ribaltone. Allora si era a Modena e, guarda il caso, era venuto a parlare di federalismo con Bassanini e Bersani. A quei tempi venne presa come una strizzatina d'occhio al Pds e ora qualcuno spera che la storia si ripeta. Il Bossi fiorentino ora spiega che occorre «unità d'azione politica»: «Dobbiamo collaborare». Chiamparino raccoglie. Sorrisi d'intesa con Calderoli e applausi. Poi tocca a Bersani, che rispetta a metà il patto di non ostilità: «Se il federalismo si fa bene, è utilissimo al Paese, altrimenti è la sciocchezza finale con la quale chiudiamo il libro». La bozza Calderoli? «Un maiale tutto di prosciutti». Nel senso del libro dei sogni. Tremonti comincia a infastidirsi, ma Bossi si intromette: «Non fare arrabbiare il mio amico». Poi si alza e dà il cinque a Bersani, che ride e allarga le braccia divertito. Poi continua, aprendo la porta — «Siamo interessati» — e subito socchiudendo: «Non possiamo andare avanti ad armi di distrazione di massa». All'uscita, il contatto tra i leghisti e il popolo del Pd produce qualche scintilla. Battibecchi e battutacce: «Hai rosso anche il culo»; «A Bossi gliele paghiamo noi le spese d'ospedale». Il Senatùr minimizza. La sua strategia è frutto di un dubbio crescente e cioè che Berlusconi abbia ricominciato a pensare ad altro. Tanto che Bossi ironizza sul premier: «L'Ici? Voleva abolirla Veltroni, poi è arrivato Berlusconi a gridare anch'io anch'io». Se il federalismo arranca da una parte, non c'è di meglio che puntellarlo dall'altra. Solo che, dall'altra, c'è il Pd spaccato. Calderoli alla fine, è molto deluso: «Dialoghiamo bene con Chiamparino, con i sindaci, ma non con i dirigenti. Che delusione Bersani, ancora un po' e tirava fuori la falce e martello. E Veltroni è peggio di lui, era meglio Prodi». Bossi si attarda sul palco e saluta: «Ringrazio il Pd, abbiamo cominciato a dialogare sul serio, è un bel risultato». Daniele Marantelli, deputato del Pd e artefice dell'incursione del Senatùr a Firenze, parlotta con Renzo Bossi: «Mi raccomando, tieni calmi i tuoi». Ma non ce n'è bisogno. E il Capo se ne torna a casa soddisfatto. Alessandro Trocino 25 agosto 2008 da corriere.it Titolo: Domenici: «Con noi si fa la nuova classe dirigente Pd» Inserito da: Admin - Agosto 29, 2008, 06:49:17 pm Domenici: «Con noi si fa la nuova classe dirigente Pd»
Simone Collini «Gli amministratori locali sono uno strumento fondamentale per ricostruire una classe dirigente capace di dare risposte al Paese», dice Leonardo Domenici. «Il Pd deve stare attento a non acquisire i difetti mostrati in questi anni dalla politica nazionale». Che, spiega il sindaco di Firenze, sono «la debolezza e la tendenza a vedere antagonismo e rivalità, anziché collaborazione, in quanti governano i territori». Chiamparino accusato dagli esponenti del Pd torinese di avere modi autoritari, Cofferati tacciato di avere un brutto carattere: sono problemi personali quelli emersi quest'estate oppure, come dice lo stesso sindaco di Bologna, si tratta di problemi politici che vanno affrontati? «Per una riflessione che vada un po' in profondità bisogna partire da un po' più lontano e ricordare che nel nostro Paese il primo grande elemento di novità politica e istituzionale fu rappresentata nel '93 dalla legge per l'elezione diretta dei sindaci. I cittadini hanno mostrato di gradire molto quella riforma elettorale e credo che nessuno abbia nostalgia dei sindaci o dei consigli comunali che duravano tre o quattro mesi. Quindi è chiaro che oggi i sindaci hanno maggiori responsabilità e maggiori poteri. Contemporaneamente, nel corso di questi ultimi anni c'è stata una sorta di ricentralizzazione della vita politica nazionale». Che cosa intende? «C'è stato un tale indebolimento della politica a livello nazionale che in alcuni momenti si è teso a scaricare sui livelli locali e sui territori la propria crisi e le proprie difficoltà. Pensiamo alla campagna fatta sui costi della politica, sulle amministrazioni sprecone, dissipatrici delle risorse pubbliche. È stato uno dei momenti più infelici e più bassi nel rapporto tra livello nazionale e realtà locali». Pure falsità? «Basta guardare i dati Istat per vedere che l'ultima performance dei conti pubblici del 2007 vede i comuni a + 325 milioni di euro». E lei come se la spiega allora quella campagna? «C’è una sorta di meccanismo unico che mette insieme politica, poteri economici e finanziari, mondo dei media, altri apparati dello Stato, che si autoalimenta e autoconserva e che tende ad escludere o a fare entrare solo parzialmente altre realtà, come possono essere i livelli di governo locale. Il Pd, in tutto questo? «Il Pd deve decidere se la politica deve vivere soltanto in una logica verticistica e centralizzata oppure se deve tornare a basarsi su un rapporto forte con i territori». Il caso di Torino come lo giudica? «Emblematico. In fin dei conti tutto è partito da una polemica sulla città metropolitana, sul fatto che Sergio Chiamparino sostiene un certo punto di vista, che io condivido, e c'è stato un parlamentare del Pd che si è invece detto pronto a presentare una proposta di legge perché Torino non stia più nel novero delle città metropolitane. Il punto è: i parlamentari, con una legge elettorale per cui bastava occupare un posto in lista per essere eletti, in che rapporto stanno col territorio? Diventa più importante il rapporto con i sindaci del territorio o con il segretario politico, o peggio ancora con il capo componente che ha garantito quel posto in lista? Questo è un problema che esiste in generale per la politica nazionale e che va posto anche per il Pd». Come va affrontato, secondo lei? «Io sono assolutamente contrario sia al partito dei sindaci sia a esasperare il conflitto tra territorio e centro. La scelta giusta non è quella di creare una rivalità o una alterità. Bisogna assorbire nella direzione politica nazionale esperienze di governo locale che sono state e sono importanti. Quindi prima di tutto il problema è aprire». Secondo lei andare a congresso in tempi rapidi, magari prima delle europee, può contribuire a risolvere il problema di cui parlava? «La necessità che io vedo è quella di offrire sia a livello nazionale che locale delle sedi vere di confronto e di dibattito, per prendere delle decisioni e poi portarle avanti con coerenza. Siamo a settembre, non so se sia conveniente montare adesso un congresso in fretta e furia, tenendo conto che nel 2009 non abbiamo solo le europee ma andranno al voto 4400 comuni. Insomma, mi sembra che abbiamo già parecchio da fare». Il voto amministrativo presuppone una discussione sulle alleanze. Come deve muoversi il Pd secondo lei? «Io nel '99 e nel 2004 ho fatto una scelta precisa, quella cioè di costruire una coalizione in cui non fosse presente Rifondazione comunista. E per questo ho accettato di pagare dei prezzi, perché sono dovuto andare al ballottaggio. Si possono avere anche coalizioni articolate, certo. Però l'importante è che i cittadini sappiano che su determinate questioni non si fanno compromessi lessicali ma scelte chiare, precise. L'altro presupposto fondamentale è che siano le realtà locali a decidere, perché non può esistere un orientamento unico che poi viene calato dall'alto sulle singole realtà. Il problema è cercare di avere buoni candidati, fare le primarie, scegliere bene anche dove non si fanno le primarie e poi soprattutto correre per vincere ma anche per garantire un governo delle città stabile». Parlava di primarie e candidature. A Firenze la discussione è piuttosto accesa… «Quel che è certo è che in una città in cui alle politiche il Pd ha preso quasi il 49% è difficile pensare che non sia questo partito a esprimere il candidato di una coalizione di centrosinistra. Sì, fare le primarie, ma spetta al Pd l'onere e l'onore di indicare un candidato». Visto quello che dicevamo prima: al Pd nazionale o a quello locale? «Penso che prima di tutto sia a livello locale che bisogna avanzare delle proposte. Poi, è chiaro che questo è un discorso che non va fatto in contrapposizione tra i diversi livelli. E poi ci sono precise regole di cui tener conto. Diventa essenziale stabilire il processo, i percorsi, attraverso cui il Pd arriva all'individuazione dei propri candidati». Alcuni amministratori locali del Pd non firmeranno la petizione Salva l'Italia: lei che farà? «La firmo, perché un conto è quello che si fa con il nostro ruolo istituzionale, io di sindaco e anche di presidente dell'Anci, e un conto sono le proprie convinzioni e i propri punti di vista politici». Come presidente dell'Anci, condivide il timore della Cgia di Mestre, secondo la quale con il federalismo fiscale prospettato nella bozza Calderoli i comuni del sud rischiano il collasso? «Intanto, i comuni italiani sono a rischio collasso se non ci mettiamo d'accordo sulla quantità del rimborso per il mancato gettito Ici sulla prima casa che dobbiamo avere entro la fine di quest'anno. Il collasso dei comuni rischia cioè di essere una cosa molto più attuale». E del federalismo fiscale che dice? Non è che i comuni chiederanno di reintrodurla, l'Ici? «Non vogliamo reintrodurre l'Ici, però abbiamo avviato un confronto per superare l'attuale situazione e prevedere un nuovo tributo». Del tipo? «Un tributo federale sugli immobili, che possa portare sotto la responsabilità dei comuni pressoché l'intera imposizione immobiliare che oggi c'è nel nostro Paese, che non riguarda soltanto l'Ici. Ci sono molte imposte che vanno direttamente allo Stato e quindi è fondamentale una riforma di questo tipo che individui un nuovo tributo che dia autonomia e responsabilità ai comuni. Dai primi contatti con Calderoli cosa emerge? «Su questo punto c'è stata un'apertura da parte del ministro. A settembre bisogna entrare nel merito». Pubblicato il: 29.08.08 Modificato il: 29.08.08 alle ore 11.33 © l'Unità. Titolo: SERGIO CHIAMPARINO Torino, il dito e la luna Inserito da: Admin - Agosto 29, 2008, 07:04:11 pm 29/8/2008
Torino, il dito e la luna SERGIO CHIAMPARINO Il dibattito che ho sollevato ed anche le polemiche che ne sono nate avevano come obiettivo, esplicitamente dichiarato nella mia lettera al segretario Gianfranco Morgando, di evitare esattamente ciò che, con il solito acume, Luigi La Spina paventa. L’esperienza torinese di questi ultimi quindici anni può andare dispersa sia per il Centro Sinistra, che non ha certo un diritto ereditario a governare Torino (e questo è importante per me, per molti, ma non per tutti, anzi!) sia, soprattutto, per la Città che in questi anni ha saputo non solo centrare il grande obiettivo olimpico, ma anche misurarsi adeguatamente con la crisi Fiat, realizzare la metropolitana, coniugare in modo significativo e riconosciuto innovazione, attrattività della città e coesione sociale. Ora tutto ciò può essere messo a repentaglio se invece di proseguire su questa strada, misurandosi con l’importante scadenza del 2011, con le nuove difficoltà della situazione economica ed industriale di cui ha parlato su questo giornale Gianfranco Carbonato, con i vincoli imposti da un bilancio complesso ma tutt’altro che fuori controllo come qualcuno vuol far credere, prevarranno le inevitabili ripercussioni sulle cose da fare degli scontri di potere finalizzati al rinnovo dei vertici istituzionali ed in particolare alla mia successione. Uccidere il padre, psicoanaliticamente parlando può andar bene, mangiarsi tutta l’eredità no. Da parte mia, affronterò i temi che ho accennato per questa seconda metà di legislatura in un documento che presenterò al più presto, come mi ero impegnato a fare, in Consiglio Comunale. Ho poi aperto questa discussione ferragostana, assumendomene anche i rischi, compreso quello di apparire permaloso o debole o distante dai problemi reali della gente, che peraltro credo di non avere dimenticato - come, se si vuole, dimostrano anche le recenti ordinanze sulla sicurezza - anche per un’altra ragione, esattamente opposta a quella che mi viene addebitata. Vale a dire perché sono convinto dell’importanza decisiva dei partiti, a condizione però che siano veicoli di reale rappresentanza di interessi e di valori e non macchine (o macchinette!) distributrici di potere e nemmeno caricature di quelli che sono stati seri e nobili partiti ma che non ritorneranno più. E perché sono convinto che vi siano ancora tutte le condizioni perché ciò non avvenga. Rivolgendomi ai vertici locali del partito, per il rispetto che porto loro ed a tutti coloro che guardano, elettori e militanti, al Pd. E perché infine sono convinto che, se si vuole che l’esperienza politica torinese possa essere o diventare anche un riferimento nazionale, come l’eco del dibattito suscitata in questi giorni lascerebbe pensare, e non solo per la cronica carenza estiva di notizie, questo passa prima di tutto per il prendere sul serio gli interlocutori locali. C’è chi in questi giorni mi dice: «Tu indichi la luna e loro guardano il dito, lasciali perdere». Può essere. Ma se anche una sola persona a cui si indica la luna (ammesso che sia così!) vede solo il dito, sento la necessità di dirglielo, magari litigando, anche per capire se per caso non sto sbagliando io. da lastampa.it Titolo: Chiamparino: «Pd attento, così perderai Torino» Inserito da: Admin - Agosto 31, 2008, 10:40:22 pm Chiamparino: «Pd attento, così perderai Torino»
Ninni Andriolo «Scontri di potere - aggiunge - che rischiano di pregiudicare l´andamento dell´amministrazione negli anni che restano». A Torino le comunali sono fissate per il 2011, l´anno prossimo si voterà per la Provincia, nel 2010 per la Regione... «Credo che cisia la possibilità di dare continuità alle esperienze positive di questi anni. Ma, voglio sottolinearlo, non c´è un diritto ereditario del centrosinistra a governare. Torino non è Bologna o Firenze, città con forte insediamento della sinistra. Noi raccogliamo mediamente un terzo dei voti e qui tutto dipende dalle alleanze, dal sistema di relazioni e dalle cose che si fanno». "Continuità" o "ereditarietà"? Chiamparino non rieleggibile che vuole decidere d´imperio il suo successore? «Sono il primo a comprendere che la continuità con l´esperienza amministrativa non deve significare ereditarietà. Nel cambio delle persone bisogna ricercare soluzioni guardando in avanti, ma senza distruggere ciò che di buono è stato fatto. La continuità va preservata, a meno che non si abbia un giudizio sostanzialmente negativo sull´esperienza di governo locale. L´opinione pubblica cittadina a me pare che quel giudizio negativo non ce l´abbia». Una divaricazione tra il giudizio della città sul sindaco e quello che circola nel Pd, quindi? «Io temo di sì. Ma il problema è più generale. Lo stesso che solleva Leonardo Domenici. Non vorrei che si desse una lettura retrodatata del ruolo pure importante delle forze politiche. Alla fine del secolo scorso si è registrato un passaggio fondamentale per la nostra democrazia che oggi, non a caso, non è più sotto la tutela dei partiti». Per Domenici l´elezione diretta dei sindaci rappresenta il momento della svolta... «La grande crisi del sistema politico degli inizi degli anni ‘90 può essere interpretata, oltre che per gli effetti della caduta del muro di Berlino o di Tangentopoli, con il fatto che nel nostro sistema democratico - che si reggeva prima sui partiti - si è creato un rapporto più diretto tra istituzioni e cittadini. L´elezione diretta dei sindaci è l´unica innovazione istituzionale di cui la gente si è accorta». Inevitabilmente residuale il ruolo dei partiti, e quindi del Pd, a livello locale? «La realtà che ho descritto sopra richiederebbe, da parte di chi ha responsabilità di partito, una riflessione attenta per riposizionare il ruolo delle forze politiche in un contesto nuovo. Nella direzione, cioè, della rappresentanza di interessi e di valori e non della sostituzione dei partiti alle istituzioni» Le cose dell´amministrazione "decise dai consigli comunali e dalle giunte e non già dalle forze politiche", per dirla con Cofferati? «Esatto. E non si tratta, come potrebbe apparire, di una banale distinzione di responsabilità o di funzioni, ma di un processo di maturazione democratica. C´è stato un lungo periodo in cui i partiti hanno svolto ruoli al tempo stesso di rappresentanza della società e di supplenza, di numi tutelari delle istituzioni. I partiti, cioè, surrogavano i processi decisionali, e non è un caso che si siano trasformati in luoghi di mera redistribuzione del potere. In una certa fase questo è stato utile. Dopo quel meccanismo non ha retto di fronte alla maturazione dell´opinione pubblica». Non sarà che la realtà è meno complessa e si riduca ai sindaci e ai governatori tentati dall´autosufficienza? Fa un certo effetto leggere di amministratori Pd accusati di autoritarismo... «I dati caratteriali non possono spiegare i problemi politici di fondo, questi vanno discussi e non celati. Se di fronte ai temi che ho cercato di mettere in evidenza prima le risposte che vengono date sono "sei un oligarca" - così mi sono sentito ripetere pochi giorni fa - o "sei affetto da berlusconismo", allora vuol dire che c´è un problema di analisi politica da mettere a fuoco» Inevitabile, quindi, che sindaci e governatori catalizzino consensi che annebbiano il ruolo del partito e dei suoi gruppi dirigenti? «Qui diventa ancora una volta essenziale la distinzione riassunta da Cofferati. Il limite che avverto è esattamente quello di un partito che non è in grado di calarsi sufficientemente nei cambiamenti della società, in modo da riuscire a interpretarli. I partiti devono ricominciare da lì e attraverso l´immersione tra la gente devono saper produrre differenza di opinioni, di orientamenti, di progettualità. A quel punto lo stesso confronto, o lo stesso scontro, per indicare le leadership istituzionali costituirebbero un arricchimento». Insomma, a Torino c´è un partito che non sta tra la gente e un sindaco Pd che fa l´esatto contrario? «Se tutto nasce dall´idea di una sorta di ereditarietà del centrosinistra a governare, e se l´unico problema è quello di chi controlla più e meglio il partito, a quel punto rischiano assieme sia Torino che il centrosinistra. E corriamo anche il pericolo di perdere le occasioni per costruire il Pd. O il partito vive di più dentro la città o rischia di rimanere al palo» Lei ha inviato una lettera molto critica ai vertici del Pd piemontese... «Ho indicato due temi: un giudizio sull´esperienza della mia amministrazione e l´accenno critico sulle correnti come mera aggregazione di potere. Ci si misuri in modo esplicito. Mi si dica dove non va l´esperienza amministrativa torinese. Ho solo sentito, al contrario, polemiche sulla presunta subalternità ai poteri forti. A questo punto voglio un confronto alla luce del sole. Non chiedo che si dica che sono bravo. Mi interessa, invece, un´analisi critica e una discussione esplicite». Che cosa le rimproverano e come replica? «Abbiamo fatto male a intervenire e investire per dare una mano alla Fiat a riportare la produzione a Mirafiori? Abbiamo fatto male a fare le Olimpiadi in quel modo? Se si ritenevano le scelte subalterne bisognava dirlo allora: quando c´erano gli operai in cassa integrazione che manifestavano. Si vuole discutere ora? Benissimo, lo si faccia. Ma lo si faccia apertamente». L´accusa è: il Pd discute nelle sedi proprie, mente il sindaco interviene a mezzo stampa... «Se uno ha un ruolo pubblico è fatale che abbia il diritto, ma soprattutto il dovere, di corrispondere con l´opinione pubblica. Nessuno, in ogni caso, può dire che i temi che ho sollevato con una lettera al segretario regionale non li abbia sviluppati anche nelle sedi di partito. Ricordo l´assemblea regionale di sei mesi fa o la direzione del dopo voto nelle quali dissi esplicitamente in positivo quello che ho detto in negativo a Morgando...» E cioè? «Hai vinto le primarie, anche se di poco, e sei il segretario. Si azzerino le divisioni del 14 ottobre, porta avanti tu un percorso che rimescoli le carte e consenta a tutti di sentirsi protagonisti. Non ho fatto mancare il mio contributo al partito. Recentemente, poi, ho condito questi temi con un messaggio forte: se con me non si vuole discutere apertamente non vado alla festa del Pd». Alla fine andrà, però... «Si, è stato fissato un dibattito sui temi che ho posto e raccolgo volentieri l´occasione che mi viene offerta». Torino, intanto, deve fare i conti con le casse vuote del Comune... «Non ci siamo certo indebitati per andare al Casinò. Non si può dire che Torino ha fatto cose buone e poi puntare il dito contro i debiti del Comune. L´operazione Fiat è costata al sistema degli enti locali 70 milioni, quella olimpica qualcosa che si avvicina ai 350-400 milioni. La metropolitana il 40% di un miliardo e duecento milioni di euro. E queste sono solo le cose grosse. Insomma, non è che i soldi li abbiamo buttati via. Su questi problemi, poi, si innesca una politica che, diciamo la verità, anche prima di Berlusconi non è stata mai molto mite nei confronti dei comuni. Nasce anche da qui il fatto che il federalismo fiscale possa essere un elemento di modernizzazione del Paese». Lei è un sostenitore convinto del federalismo fiscale... «Il processo più innovativo di un percorso di riforma fiscale è quello di dare più risorse e più funzioni ai grandi centri urbani, perché è lì che può pulsare lo sviluppo. Se non si definisce un ruolo preciso dei grandi sistemi urbani manchiamo uno degli appuntamenti più importanti». Lei fa parte del governo ombra Pd. C´è chi chiede il congresso anticipato del partito, è d´accordo? «Se il congresso avviene nelle attuali condizioni non vedo cosa possa cambiare, il rischio anzi è che si peggiori la situazione. Diverso è se si aprisse un confronto politico su alcuni nodi di fondo. In genere prima si fanno emergere i nodi politici e poi, semmai, li si affronta in un congresso. In modo tale che questo non si traduca semplicemente in una nuova conta, in una ridefinizione di gruppi e gruppetti che continuano a non fare uno sforzo per misurarsi con la realtà. Io, ad esempio, non ho ancora capito dove andranno a sedersi in Europa i nostri parlamentari, o il profilo del Pd sui temi cruciali della laicità, della bioetica, ecc. Siamo ancora un partito che ha difficoltà a dire che cosa fa sulle coppie di fatto...Il congresso? Se serve a dipanare questi nodi facciamolo. Altrimenti non serve a nulla la semplice risistemazione delle vecchie figurine in un album nuovo». Pubblicato il: 31.08.08 Modificato il: 31.08.08 alle ore 10.54 © l'Unità. Titolo: Il Pd: idea richiede cultura nuova Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 09:27:51 pm Veltroni, via i partiti da Asl e Rai «Separare politica e gestione»
Il Pd: idea richiede cultura nuova Fuori i partiti dalla Rai e dalle Asl. Televisione e sanità libere da briglie politiche che compromettono una buona gestione. È questo uno degli obiettivi perseguiti dal Pd, tanto che Walter Veltroni annuncia che «se si dovrà nominare un Cda per la Rai per quanto riguarda eventuali designazioni da parte del Partito Democratico, questi non saranno di parlamentari, ex parlamentari, ma solo di persone che vengono dalla società civile organizzata e con competenze nel campo della cultura, delle aziende, e dell'industria culturale». Questa la svolta nelle intenzioni del segretario che è intervenuto al seminario della fondazione Scuola di politica a Bertinoro, diretta dal politologo e deputato Pd Salvatore Vassallo. «Separiamo la gestione dall'indirizzo, i compiti della politica da quelli della gestione amministrativa», ha detto Veltroni in una conversazione con gli iscritti alla scuola, radunati nel cortile della Rocca cinquecentesca di Bertinoro. «Ho chiesto a Salvatore Vassallo di lavorare questa estate attorno a una idea forza - ha spiegato - una proposta di legge che presenterò, come primo firmatario, alla Camera e che tende a togliere i partiti dalle Asl e dalla Rai». Una risposta a chi accusa il Partito Democratico di procedere con una «marcia troppo bassa». Accuse che secondo Veltroni esprimono «ansia da prestazione per cui tutto deve essere fatto in qualche mese. Ma in quale paese accade questo? Noi - ha sottolineato - siamo gli unici bulimici». Mentre il Pd non è come «Fregoli in uno dei suoi più abili travestimenti, ma è un'idea nuova che richiede una cultura nuova». Inoltre, all'interno del Partito Democratico si sentono troppi «io io». Bisognerebbe invece riscoprire il «noi», cioè «quello spirito solidale di squadra per cui si sta insieme quando si vince e anche quando si perde». Lo ha ricordato il leader del Pd Walter Veltroni rispondendo alle domande dei partecipanti della scuola di politica a Bertinoro. «Io sento tanti io, tutti dicono io e questo non lo trovi solo nei dirigenti nazionali, è tutto io», ha insistito Veltroni. «Il partito deve avere il gusto di usare un pò di più una parola che abbiamo dimenticata, perchè nel passato era oppressiva. Ora che non ci sono più le ragioni dell'oppressione dovremmo riscoprire la parola 'noi'. Mi piacerebbe che il Pd fosse quella casa in cui si ricostruisce un moderno noi, che non nega la bellezza del pluralismo», ed esprime lo spirito solidale di squadra. Ma lo spirito di squadra sembra latitare. Mentre il segretario parla a Bertinoro, dal palco della festa Democratica di Firenze Arturo Parisi sferra la stoccata: ««Il totale dei 300 giorni di Veltroni porta il segno meno; 100 giorni di Berlusconi sembrano avere il segno più». E aggiunge l'ex ministro della Difesa: «Veltroni impari da Berlusconi - sostiene - a tenere un filo e a svolgerlo nel tempo. Il Cavaliere ha imparato dai suoi errori e dovremmo imparare anche noi» Ma Veltroni è consapevole delle difficoltà: «La sfida non è di un momento. Il Pd ha otto mesi di vita e tutti sono lì a dire: ancora non avete vinto? Come è possibile? Poi - ha aggiunto - vorrei capire quali sono le alternativa di linea, viste come sono andate certe cose nella politica italiana». La vocazione maggioritaria, ha detto ancora, «non è l'idea dell'esclusività nè del bipartitismo, è l'idea di un partito riformista che voglia fare da baricentro e senza il quale in Italia non ci sarà quel governo riformista di cui l'Italia ha bisogno». E a proposito di riforme, Veltroni interviene sui provvedimenti presi dal Governo in materia di scuola. «Disinvestire sulla scuola, è questa la soluzione? Può essere anche utile ridurre gli insegnanti, non lo so, ma a fronte di che cosa? - chiede il segretario del Pd -. Parliamo di una scuola nuova, autonoma, parliamo di un progetto o è solo uno spot?». E cita l'ultima decisione di reintrodurre il grembiule per attaccare ancora: «Penso ci siano altre questioni più importanti». Pubblicato il: 05.09.08 Modificato il: 05.09.08 alle ore 18.54 © l'Unità. Titolo: Pd : pronti a richiamare i leader storici per una scossa... Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 09:29:35 pm Pd sull'orlo di una crisi di nervi: pronti a richiamare i leader storici per una scossa
ROMA (5 settembre) - Il Partito democratico è sull’orlo di una crisi di nervi o dello scioglimento, come oggi paventato su ”La Stampa” dal rutelliano Paolo Gentiloni. La prima Festa Democratica in corso a Firenze è diventata occasione di scontro tra dirigenti del neonato partito del centrosinistra, e di grandi elogi per esponenti della maggioranza e di altri partiti. L’ex ministro Pierluigi Bersani aveva avviato la kermesse provando ad indicare al Pd e a tutta l’opposizione i temi prioritari del confronto con la maggioranza: crisi dei consumi, aumento dell’evasione fiscale, crisi dell’Alitalia, problema energetico, federalismo fiscale. La prima uscita dopo la pausa estiva Walter Veltroni l’ha invece riservata ad Obama e, in collegamento da Denver, ha raccontato il sogno democratico di portare per la prima volta alla Casa Bianca un afro-americano. La proposta del voto agli immigrati, fatta sempre dal leader del Pd al suo rientro in Italia, è quindi coerente, malgrado lo scarso entusiasmo con la quale è stata raccolta in Italia. Oggi il quotidiano dell’ex Margherita, "Europa", liquida il dibattito e approfondisce quello su Alitalia, tema sul quale il Pd sembra dividersi lasciando il sindacato di riferimento, la Cgil, in balia di ulteriori quesiti e contraddizioni. La prospettiva del congresso appare archiviata, anche perché l’esperienza della festa di Firenze dimostra quanto lacerante sia il confronto interno, tanto più se dovesse essere anche giocato su numeri e percentuali congressuali. A ciò si aggiungono le rivelazioni di ”Panorama” di oggi che, rimandando all’epoca delle primarie, offrono il quadro della tensione interna al Pd e del clima di sospetti tra dirigenti e leader che la sconfitta elettorale ha ancor più amplificato. Senza congresso anticipato e in attesa delle elezioni Europee, i precedenti leader di Ds e Margherita (D’Alema, Rutelli, Marini) potrebbero essere presto richiamati in ”servizio permanente effettivo” allo scopo di dare al Pd quella ”mossa” che con sempre maggior impazienza e disincanto sollecitano i militanti che in questi giorni affollano le vecchie feste dell’Unità. Se ciò dovesse avvenire, si tratterebbe di una notevole correzione di impostazione dello spirito originario del Pd, ma permetterebbe a Veltroni di condividere il risultato elettorale della prossima primavera. da ilmessaggero.it Titolo: Un sondaggio choc gela Veltroni: il Pd non arriva più neanche al 30 Inserito da: Admin - Settembre 06, 2008, 09:07:37 am 6/9/2008 (7:8)
L'ondata populista Lega più Di Pietro al 20% Un sondaggio choc gela Veltroni: il Pd non arriva più neanche al 30 FABIO MARTINI ROMA Talora ci sono numeri che riescono a scuotere anche i politici. E’ capitato l’altro giorno a Walter Veltroni, quando si è ritrovato sulla scrivania l’ultimo sondaggio riservato della Ipsos, l’unico istituto che periodicamente testa gli umori politici del popolo italiano. Ebbene, secondo quel sondaggio la Lega per la prima volta nella sua storia ha sfondato il muro del 10 per cento, ormai attestata sul 10,8%, una percentuale nazionale che ne fa anche il primo partito al Nord, grazie anche all’erosione di consensi ai danni del Pdl. Dall’altra parte della barricata un boom parallelo accompagna la crescita dell’Italia dei Valori, il partito di Tonino Di Pietro, ormai a un passo da quota 9%, con un raddoppio di consensi rispetto al 4,4% delle Politiche. La contestuale escalation dei partiti populisti dei due schieramenti - assieme sfiorano quota 20% - ha contribuito ad addolcire un po’ la pillola a Veltroni: il suo Pd è al 29,8%, dunque in calo rispetto alle Politiche (33,1%), ma la caduta si colloca in un contesto che premia i partiti di «pancia», identitari, quelli dal messaggio più semplice e diretto e penalizza invece le forze più grandi, il Pd ma anche il Pdl. Certo, è difficile consolarsi con l’«aria che tira». Anche perché con quei numeri lì Walter Veltroni rischia la pelle politica. Con la possibilità concreta di dover tirare le somme la sera del 9 giugno 2009, giorno delle elezioni europee. E infatti, dopo un’estate difficile e con una base sempre più smarrita, Veltroni ha capito che non basta ricominciare come se nulla fosse e ha deciso di giocarsi all’attacco i prossimi, decisivi nove mesi. Per questo il leader del Pd sta provando a preparare una energica ripartenza, scandita su tre tappe tenute assieme da un’idea di fondo: «Per crescere ancora, il Pd deve continuare a cambiare con lo slancio dei primi mesi e se possibile anche con maggior forza». Tradotto in soldoni significa che Veltroni è intenzionato a convocare in tempi stretti (nella prima metà di ottobre) l’Assemblea congressuale del Pd, presentarsi lì con un documento audace, innovativo su alcuni snodi programmatici, facendone la base di discussione per la Convention programmatica di inizio 2009, che dovrebbe diventare una sorta di Bad Godesberg della sinistra italiana. Oggi il leader del Pd chiuderà la kermesse Democratica di Firenze, anziché col consueto comizio oceanico di fine festa dell’Unità, con un’intervista a Enrico Mentana, un format adatto a stare sui temi dell’attualità, mentre un discorso più impegnativo Veltroni intende farlo domenica 14 nella piazza di Montepulciano, a conclusione della prima Summer School organizzata dal Pd. Secondo un filo rosso che Giorgio Tonini, una delle punte della squadra veltroniana, spiega così: «Sui grandi temi del Paese e sui nostri tabù dobbiamo finalmente scolpire un profilo riformatore, non avendo paura di aprire una forte dialettica interna su qualcosa di “afferrabile” da parte della gente e concludendo la Convenzione programmatica con documenti chiari e non con una melassa unitaria che giocando sulle parole consenta a tutti di essere d’accordo. Se un partito ha le sue idee, su quelle negozi o rompi e la gente capisce, ma non possiamo continuare a barcollare». Dunque, si aprono oggi a Firenze nove mesi decisivi per Walter Veltroni. L’opposizione al segretario - che ha in D’Alema, Marini e Parisi le sue punte di diamante - è frastagliata, mossa da motivazioni diverse. Ma Veltroni soffre assai la fronda, in questi giorni lo ha detto con una certa energia, attaccando tutti coloro che segano il ramo dell’albero sul quale abitano: «E’ un’idea ottocentesca di partito quella di discutere sempre tra di noi, con una bulimia del discutere per cui una discussione porta sempre un’altra discussione», mentre invece dopo 8 mesi «non si può avere l’ansia da prestazione». Ma quel che Veltroni dice in privato testimonia un risentimento forte, privo di spunti autocritici: «La verità è che dobbiamo recuperare la freschezza della prima fase, accelerare l’innovazione che ci ha portati fin dove siamo arrivati e temo che altri appuntamenti ci diranno quale risultato sia stato il 34 per cento». Come dire: se alle Europee andiamo indietro la colpa non è mia, ma di chi ha remato contro. da lastampa.it Titolo: Veltroni, attacco a Berlusconi: «L'Italia mai stata così male» Inserito da: Admin - Settembre 07, 2008, 04:42:50 pm Veltroni, attacco a Berlusconi: «L'Italia mai stata così male»
A Parisi: «Basta sindrome da Tafazzi» Un dialogo a distanza ravvicinata tra Walter Veltroni alla Festa democratica nazionale di Firenze e Massimo D'Alema chiamato a parlare sabato sera a parlare a quella di Pisa, a un'ottantina di chilometri più verso il mare. Veltroni parla con qualche ora di anticipo e risponde a Massimo D'Alema che in una intervista di qualche giorno fa aveva dato una sua disponibilità a rientrare negli organismi dirigenti del Pd per «dare una mano». «Va benissimo, tutti dobbiamo essere nelle condizioni di dare una mano e lavorare in squadra». Ma l'intervento del segretario del Pd tocca molti altri nodi caldi dell'agenda politica. Primo fra tutto il tipo di opposizione da mettere in campo in questa ripresa autunnale. Già al mattino Veltroni aveva confermato l'appuntamento per una grande manifestazione il 25 ottobre a Roma. Nel discorso dalla prima Festa nazionale sotto i simboli del nuovo partito continua a ripetere che è ben lungi dall'alzare bandiera bianca. «Torneremo a vincere a viso aperto, senza colpi bassi, ma su un'idea migliore di società». Avverte come serpeggi in Italia «un pensiero unico opprimente di fronte a cui non ci dobbiamo piegare ma avere il coraggio di andare avanti anche controcorrente». A proposito della riforma della giustizia, Veltroni ha aggiunto: «Le riforme non si fanno contro i magistrati ma con i magistrati, difendendone l'autonomia e l'indipendenza». Un tempo - anche se ammette di essersene accorto con ritardo - c'era un pensiero unico di sinistra. Ora è diversa la situazione, opposta. E uno dei vizi del centrosinistra è che quando perde le elezioni entra in uno psicodramma infinito. «Poi bisogna ricominciare sempre tutto da capo. Per chi lo dice è depressivo ma per fortuna c'è la gente che è più avanti e che ha voglia di una riflessione serena». Ora basta con la sindrome Tafazzi, come la chiama anche il suo intervistatore Enrico Mentana. «Bisogna essere orgogliosi dei risultati ottenuti dal Partito democratico». Alla destra Veltroni invidia proprio questo essere immune dalla sindrome autolesionista. Per cui «quando perde non comincia una cosa devastante, ma si rimbocca le maniche e torna a vincere». Primo, l'orgoglio per il 34% delle elezioni politiche. «È l'unica cosa che vorrei guardassimo con interesse», aggiunge. Per questo considera un'offesa grave essere paragonato in negativo a Berlusconi. Il riferimento è al recente intervento dell'ex ministro della Difesa del governo Prodi Arturo Parisi che ha magnificato i primi cento giorni di Berlusconi. Un'offesa anche a tutto il popolo del Pd, per Veltroni. Risponde anche ad altre sollecitazioni critiche, il segretario. Ad esempio conferma la fiducia a Matteo Colaninno, ministro ombra per lo Sviluppo economico nel governo Pd, che è stato criticato per le mancate dimissioni dopo la nomina del padre a presidente di Alitalia. «Ho detto a Matteo: stai tranquillo e vai avanti», dice a Mentana. «In un Paese in cui il conflitto di interessi è spaventoso e il presidente del Consiglio possiede mezzo Paese - sottolinea- dire che il problema è che Matteo Colaninno fa il ministro-ombra è una cosa da matti». E non c'è solo il conflitto d'interesse, Veltroni rimprovera al premier anche le leggi ad personam. «Berlusconi ha questa idea della giustizia: se mi accusano per un reato io cambio la legge per farlo decadere», ricorda il segretario del Pd, secondo il quale, invece, bisognerebbe «garantire un sistema della giustizia equo per tutti» e perciò «la prima cosa da fare dovrebbe essere far funzionare la giustizia civile». E poi se si vuole riformare il sistema si deve fare «con i giudici e non contro». È legittimo che Antonio Di Pietro «abbia cavalcato quella tigre della Giustizia ma noi siamo diversi», prende poi a dire distanziandosi dalla campagna intrapresa dall'Italia dei Valori. E cerca di ricostruire la storia dei rapporti con il partito dell'ex pm di Mani pulite. L'accordo con l'Idv di Antonio Di Pietro per le elezioni di aprile era stato «voluto da tutti». L'ex pm «aveva sottoscritto il nostro programma e si era impegnata a fare un gruppo unico. Dopo l'elezioni è venuto da noi e ha detto no e, visto che mi fanno spesso lezione di coerenza, è giusto dire che Di Pietro ha tradito e stracciato quel patto preso con gli elettori». Per Walter Veltroni, l'Italia è in questo momento un Paese «ammalato» in modo così grave quanto «mai è stato ammalato nella sua storia». Il governo Berlusconi continua a parlare di tutto «meno che del problema che riguarda le case di 60 milioni di italiani, ossia come arrivare a fine mese». Per il leader del Pd, infatti, il governo italiano, davanti alla crisi internazionale, «fa il contrario di tutto quello che viene fatto negli altri Paesi» per risolvere i problemi dell'inflazione e del rincaro dei generi di prima necessità, dal pane all'energia fino alla benzina. Ed è da questo che intende ripartire. Annuncia infatti una proposta che chiama «pacchetto famiglia» che prevede un assegno di 2 mila e 500 euro per famiglie incapienti, un credito d'imposta rimborsabile per incentivare le donne al lavoro, il potenziamento delle detrazioni pari al 19% dell'affitto e l'innalzamento al 23% della quota del tasso detraibile sul mutuo. Di questo per Veltroni si dovrà parlare - e fare - nei prossimi mesi. Pubblicato il: 06.09.08 Modificato il: 06.09.08 alle ore 22.20 © l'Unità. Titolo: Il segretario del Pd chiude la festa Democratica a Firenze. Inserito da: Admin - Settembre 07, 2008, 04:44:22 pm POLITICA
Il segretario del Pd chiude la festa Democratica a Firenze. Oltre tremila persone applausi e standing ovation per il segretario che dopo le tensioni torna al bagno di folla Veltroni a Parisi: "Hai offeso il Pd" E Berlusconi "alza le tasse" Nel 2010 "più alte dello 0,2%". Il governo "lascerà macerie dopo i fuochi d'artificio" Attacco a Di Petro: "Ha tradito". E a Rc: "Aveva rapporti con le Farc" di CLAUDIA FUSANI FIRENZE - Doveva essere un po' l'esame generale dopo l'estate dei veleni, dei "rami tagliati all'albero dello stesso Pd", delle domande senza risposta e delle "scosse" che non arrivano, con D'Alema e Red da una parte, Parisi dall'altra e una miriade di polemiche locali, da Torino alla Sardegna, passando per Firenze Veltroni lo sapeva e alla chiusura della prima festa Democratica è arrivato teso, sereno ma preoccupato. Si giocava molto oggi, per se stesso e per il partito. Missione compiuta, emozione mescolata a passione, lacrime forse no ma sudore tanto. Ed è difficile dire dove finisce il secondo e cominciano le prime. Veltroni ha dato la carica, ha saputo trovare le parole giuste per dire "ripartiamo", ridare "orgoglio" e "speranza" e chiamare a raccolta "il più grande partito riformista". Il problema non erano le parole, con cui Veltroni è abilissimo. Il punto era quanto quelle parole avrebbero potuto convincere. Tremila persone accalcate, posti in piedi e in terra, a 33 gradi con un tasso di umidità altissimo, standing ovation e applausi da spellare le mani, la coda per l'autografo sulle melodie dei Cold Play, raccontano di una sintonia difficile in una piazza, come quella fiorentina, appassionata, che non fa sconti e pretende fatti. E i "fatti", le risposte, sono arrivate. Sulla cose da fare, salari, famiglie, scuola, giustizia, ambiente e sicurezza. Sul partito che non è più liquido e quindi "tutti diano una mano" e sul suo ceto politico ("voglio coinvolgere tutti i dirigenti") a cominciare da D'Alema per finire con Parisi contro cui Veltroni punta il dito: "Non voglio un partito antiberlusconi ma neppure dirigenti filo-Berlusconi". Risposte anche sulle alleanze di ieri, oggi e domani: "Di Pietro ha tradito il patto con gli elettori"; con l'Udc "va bene il dialogo" ma "no al pressing su Casini". A Rifondazione, con cui dialoga, il segretario dice: "Sono allibito per il rapporto con le Farc". Perché in fondo il Pd ha davanti a sé una marcia lunga, il traguardo non sono le Europee (a giugno 2009) ma le prossime elezioni politiche. Veltroni scalda i muscoli in mattinata. Il segretario arriva alla Fortezza da Basso intorno alle dieci di mattina. Non aveva ancora messo piede alla Festa Democratica, anno primo dopo la festa dell'Unità, tra gli stand e nei vialetti che in due settimane hanno ospitato più di un milione di persone. Veltroni aveva in programma un incontro "tecnico" con i dirigenti locali ma alla fine improvvisa un comizio di circa cinquanta minuti. Per dire: "Il partito democratico non è un partito né di ex né di post ma di democratici e di democratiche", "non è un'assemblea di reduci che sta insieme per contrastare la malinconia". Soprattutto "non alza bandiera bianca". Come invece vorrebbe qualcuno. Poi se ne va a Cortona per il matrimonio di Jovanotti. Torna alle sei, come previsto. "Un paese senza guida e senza baricentro". Ore 18, due poltroncine sul palco verde e metallo, da una parte Veltroni, dall'altra Enrico Mentana, davanti una platea per 2.500 persone. A mezzogiorno i posti erano già tutti occupati. Centinaia di persone trovono posto in terra, fuori, altre seggiole, altre panche. Comincia così la campagna d'autunno del Pd. Prima con la critica del governo che "lascia il paese senza guida e quando si spengeranno i fuochi d'artificio resteranno solo macerie"; e del premier che "nei primi cinque mesi ha pesnato solo a risolvere i suoi problemi". Poi indicando la rotta di una navigazione "complessa" a cui però non ci sono alternative: "Nel momento in cui il progetto del Pd andasse in crisi, nel centrosinistra si apre una diaspora difficilmente conciliabile". Avanti tutta, quindi, "col gioco di squadra". Nelle prime file Rosy Bindi, Vannino Chiti, Michele Ventura, Lapo Pistelli accanto a Grazioni Cioni che scalpita per diventare sindaco e nei pressi di Leonardo Domenici che in primavera lascerà Palazzo Vecchio dopo dieci anni. L'appuntamento più importante è la manifestazione del 25 ottobre, "una grande manifestazione, inusuale forse perché dirà tanti no ma anche qualche sì". Servono pazienza e sangue freddo perché "tutte le svolte hanno bisogno di tempo, non si fanno 800 metri col fiato dei 100...". Bagno di folla dopo due ore di intervista-comizio Parisi "offende" la base del Pd, Di Pietro "ha tradito", D'Alema faccia squadra. Prima di dire le cose da fare "fuori" dal partito, Veltroni cerca di fare chiarezza dentro il partito. A cominciare da Arturo Parisi che ieri aveva criticato il governo ombra del Pd ed elogiato il governo Berlusconi. "Molti dirigenti del Pd sparano bordate per finire sui giornali senza preoccuparsi se il corpo collettivo del partito subisce danni" dice Veltroni. E comunque, Parisi "ha offeso il 34 per cento degli italiani", quelli che hanno votato Pd. Toni altrettanto duri contro Di Pietro. Perché ti sei alleato con lui, gli chiede Mentana. "Per dare l'idea di essere più forti e vincenti. Poi Di Pietro aveva sottoscritto un programma e accettato di fare gruppo parlamentare unico. Quando ha visto che aveva i numeri per andare per conto suo, ha scelto di tradire...". Un paio di messaggi anche per D'Alema. Il primo: "Bene discutere, dare vita ad organismi e associazioni - dice Veltroni - ma il tesseramento quello no, anche perché deve essere uno solo. E soprattutto a un certo punto la discussione deve finire". Il secondo: "Voglio coinvolgere tutti i dirigenti, ma certo, purché tutti diano veramente una mano e facciano squadra". Sufficiente per l'ex ministro degli Esteri che ha chiesto di essere coinvolto? Famiglia, scuola, giustizia, sicurezza: ecco le risposte. "Questo governo - attacca Veltroni - non sa parlare del primo problema di ogni famiglia: i salari". E' l'avvio del capitolo delle cose da fare. Il governo-ombra presenterà un pacchetto per la famiglia che prevede "un assegno di 2 mila e 500 euro per famiglie incapienti, un credito d'imposta rimborsabile per incentivare le donne al lavoro, il potenziamento delle detrazioni pari al 19% dell'affitto e l'innalzamento al 23% della quota del tasso detraibile sul mutuo". Poi la scuola ("l'unica cosa che funziona sono le elementari e tagliano i maestri"), l'ambiente, la sicurezza. "Quanto ci abbiamo messo, noi a sinistra, per capire che se un cittadino chiede sicurezza non è di destra?" si rammarica Veltroni. E quindi a chi arriva da lontano, senza documenti, "va stretta la mano" e "mostrato il pugno di ferro". Senza dimenticare mai che "è prima di tutto mio fratello". Pubblico in piedi per un lunghissimo applauso. E ancora, "lotta all'evasione fiscale con parallela riduzione delle tasse visto che il governo ha detto che non potrà farlo per i prossimi cinque anni". Anzi, "le tasse cresceranno dello0,2% nel 2010". E la riforma della giustizia. "Berlusconi - dice - la intende così: cambia la legge se è accusato. Noi vogliamo fare le riforme con i magistrati e con gli avvocati no contro". Su questo punto, comunque, il Pd "non dirà solo dei no". E' la risposta all'appello di Napolitano. E a quello che hanno dichiarato nei mesi estivi D'Alema e Violante. Alleanze "non contro qualcuno ma su qualcosa". C'è una percentuale che aleggia sulla giornata e sulla festa, un sondaggio pubblicato da La Stampa che piazza il Pd sotto il 30 per cento. Veltroni non capisce "dove sia lo schock" visto che "in Europa la sinistra ovunque perde voti e gli unici che crescono siamo noi''. Detto questo, inutile parlare ora di alleanze, "usciamo dal politichese, torniamo a parlare alle persone, ai cittadini". Con L'Udc c'è "un dialogo" e "io incontro tutti i leader politici". E' più di una frecciata quella contro Rifondazione di Paolo Ferrero: "Resto allibito: un anno fa, quando l'Unione era al governo, alcuni di loro erano in contatto con le Farc. E noi ci si mobilitava per la liberazione di Ingrid Betancourt, prigioniera delle Farc". Follini dice che "oggi Veltroni s'è scrollato la polvere della sconfitta". La maggioranza sorride da lontano e parla di un leader dell'opposizione "in confusione". La tensioni interne, almeno per un giorno, sembrano congelate. Presto per dire missione compiuta. Ma il Pd oggi sembra aver ritrovato una strada. (6 settembre 2008) da repubblica.it Titolo: Un sondaggio choc gela Veltroni: il Pd non arriva più neanche al 30 Inserito da: Admin - Settembre 07, 2008, 04:54:08 pm 6/9/2008 (7:8)
L'ondata populista Lega più Di Pietro al 20% Un sondaggio choc gela Veltroni: il Pd non arriva più neanche al 30 FABIO MARTINI ROMA Talora ci sono numeri che riescono a scuotere anche i politici. E’ capitato l’altro giorno a Walter Veltroni, quando si è ritrovato sulla scrivania l’ultimo sondaggio riservato della Ipsos, l’unico istituto che periodicamente testa gli umori politici del popolo italiano. Ebbene, secondo quel sondaggio la Lega per la prima volta nella sua storia ha sfondato il muro del 10 per cento, ormai attestata sul 10,8%, una percentuale nazionale che ne fa anche il primo partito al Nord, grazie anche all’erosione di consensi ai danni del Pdl. Dall’altra parte della barricata un boom parallelo accompagna la crescita dell’Italia dei Valori, il partito di Tonino Di Pietro, ormai a un passo da quota 9%, con un raddoppio di consensi rispetto al 4,4% delle Politiche. La contestuale escalation dei partiti populisti dei due schieramenti - assieme sfiorano quota 20% - ha contribuito ad addolcire un po’ la pillola a Veltroni: il suo Pd è al 29,8%, dunque in calo rispetto alle Politiche (33,1%), ma la caduta si colloca in un contesto che premia i partiti di «pancia», identitari, quelli dal messaggio più semplice e diretto e penalizza invece le forze più grandi, il Pd ma anche il Pdl. Certo, è difficile consolarsi con l’«aria che tira». Anche perché con quei numeri lì Walter Veltroni rischia la pelle politica. Con la possibilità concreta di dover tirare le somme la sera del 9 giugno 2009, giorno delle elezioni europee. E infatti, dopo un’estate difficile e con una base sempre più smarrita, Veltroni ha capito che non basta ricominciare come se nulla fosse e ha deciso di giocarsi all’attacco i prossimi, decisivi nove mesi. Per questo il leader del Pd sta provando a preparare una energica ripartenza, scandita su tre tappe tenute assieme da un’idea di fondo: «Per crescere ancora, il Pd deve continuare a cambiare con lo slancio dei primi mesi e se possibile anche con maggior forza». Tradotto in soldoni significa che Veltroni è intenzionato a convocare in tempi stretti (nella prima metà di ottobre) l’Assemblea congressuale del Pd, presentarsi lì con un documento audace, innovativo su alcuni snodi programmatici, facendone la base di discussione per la Convention programmatica di inizio 2009, che dovrebbe diventare una sorta di Bad Godesberg della sinistra italiana. Oggi il leader del Pd chiuderà la kermesse Democratica di Firenze, anziché col consueto comizio oceanico di fine festa dell’Unità, con un’intervista a Enrico Mentana, un format adatto a stare sui temi dell’attualità, mentre un discorso più impegnativo Veltroni intende farlo domenica 14 nella piazza di Montepulciano, a conclusione della prima Summer School organizzata dal Pd. Secondo un filo rosso che Giorgio Tonini, una delle punte della squadra veltroniana, spiega così: «Sui grandi temi del Paese e sui nostri tabù dobbiamo finalmente scolpire un profilo riformatore, non avendo paura di aprire una forte dialettica interna su qualcosa di “afferrabile” da parte della gente e concludendo la Convenzione programmatica con documenti chiari e non con una melassa unitaria che giocando sulle parole consenta a tutti di essere d’accordo. Se un partito ha le sue idee, su quelle negozi o rompi e la gente capisce, ma non possiamo continuare a barcollare». Dunque, si aprono oggi a Firenze nove mesi decisivi per Walter Veltroni. L’opposizione al segretario - che ha in D’Alema, Marini e Parisi le sue punte di diamante - è frastagliata, mossa da motivazioni diverse. Ma Veltroni soffre assai la fronda, in questi giorni lo ha detto con una certa energia, attaccando tutti coloro che segano il ramo dell’albero sul quale abitano: «E’ un’idea ottocentesca di partito quella di discutere sempre tra di noi, con una bulimia del discutere per cui una discussione porta sempre un’altra discussione», mentre invece dopo 8 mesi «non si può avere l’ansia da prestazione». Ma quel che Veltroni dice in privato testimonia un risentimento forte, privo di spunti autocritici: «La verità è che dobbiamo recuperare la freschezza della prima fase, accelerare l’innovazione che ci ha portati fin dove siamo arrivati e temo che altri appuntamenti ci diranno quale risultato sia stato il 34 per cento». Come dire: se alle Europee andiamo indietro la colpa non è mia, ma di chi ha remato contro. da lastampa.it Titolo: Dario Di vico L'accordo obbligato Inserito da: Admin - Settembre 08, 2008, 09:51:24 am L'accordo obbligato
di Dario Di vico Il Pd non è contrario al raggiungimento di un accordo tra Confindustria e sindacati sulla nuova contrattazione. Anzi per quanto è andato in scena a Cernobbio si può tranquillamente affermare che Walter Veltroni, Enrico Letta e Piero Fassino, presenti in riva al lago auspicano caldamente che la Cgil non si sfili, che Guglielmo Epifani alla fine firmi l'intesa per modernizzare gli storici accordi del '93. Il segnale (criptato) di disponibilità lo ha dato Veltroni affermando davanti alla platea degli imprenditori che bisogna «rafforzare la contrattazione aziendale territoriale ». Gli esponenti del Pd sanno benissimo che, pur estraneo alla trattativa, il governo Berlusconi si avvantaggerà dal raggiungimento di un'intesa tra le parti sociali. Potrà rivendicare l'attivismo del ministro Maurizio Sacconi e sostenere che sotto il governo Prodi industriali e sindacati non erano arrivati a capo di nulla. Allora perché il Pd incoraggia (o addirittura prega) la Cgil a firmare? Veltroni & C. temono per le sorti dell'unità sindacale. Un accordo separato tra la Confindustria e le sole Cisl e Uil rappresenterebbe comunque un successo per il governo e produrrebbe a sinistra il doppio inconveniente della rincorsa alla piazza e della radicalizzazione della Cgil. Ma, diplomazia sindacale a parte, si ha l'impressione che nei gruppi dirigenti del Pd siano sopravvenuti ragionamenti di portata più ampia. Vedono il governo macinare politica, proporre soluzioni per rifiuti e Alitalia, dialogare sempre più fittamente con l'establishment e ne traggono la conseguenza che la risposta non può consistere nella somma tra petizione «salva l'Italia» e manifestazione del 25 ottobre. Sono maturate così negli ultimi giorni scelte importanti: Fassino ha appoggiato l'azione del ministro Franco Frattini nella crisi georgiana, con Luciano Violante è ripartita una vera riflessione su politica e giustizia, sul federalismo fiscale il confronto maggioranza- opposizione è diventato moneta corrente. E ora si aggiunge la contrattazione decentrata. Ma un partito d'opposizione può pensare di crescere elaborando solo (meritorie) convergenze con il governo? Certo che no. Alla disponibilità al dialogo dovrà presto o tardi affiancare un robusto pacchetto di divergenze, o meglio una piattaforma politico- culturale alternativa e competitiva. Anche chi consiglia a Veltroni di coltivare le arti del confronto non gli chiede certo di rinunciare all'anima. Ed è qui il vero punto dolente. Si può ricominciare a macinare politica applicandosi a singoli dossier, ma per ridarsi un'anima non basta la ragioneria politica. Il contributo che può venire dalle sinistre europee è vicino allo zero e i laburisti inglesi messi di fronte allo stesso problema stanno pensando addirittura di richiamare Tony Blair, il Pd non ha nemmeno questa chance. 08 settembre 2008 da corriere.it |