Titolo: PARTITO DEMOCRATICO (2). Inserito da: Admin - Giugno 29, 2007, 05:28:49 pm Anna Finocchiaro: «Presenterò una mia lista alle primarie»
Ninni Andriolo «Se le regole lo consentiranno, io presenterò una mia lista per contribuire ad arricchire il progetto che Veltroni ha illustrato a Torino». Anna Finocchiaro è rimasta «favorevolmente impressionata» dal discorso del Lingotto. E in questa intervista annuncia il suo impegno per le primarie. L’appuntamento del 14 ottobre? «Importantissimo per definire la fisionomia di un partito che deve essere laico, pluralista, federale e non moderato. In grado di aggredire le questioni della modernità senza farsi trascinare nel passato. Un partito coraggioso, quindi. Che osa, che guarda in faccia senza paura il cambiamento, con l’intento di governarlo. Un partito, soprattutto, che non riproduce alcuna forma di notabilato». Iniziamo dal discorso di Veltroni. Come lo giudica? «Ha fatto una ricognizione puntuale dei problemi del Paese e ha annunciato soluzioni anche coraggiose da adottare. Mi è sembrato un progetto convincente per il Pd, con una giusta idea dell’Italia. Chi si aspettava un discorso diverso è rimasto deluso». Smentito chi immaginava molti sogni e poca realtà, quindi... «Alcuni commenti dei giorni precedenti erano stati ingiustamente feroci. Veltroni, invece, si è soffermato molto sui contenuti, indicando scelte nette e coraggiose. Ha smentito, in sostanza, chi gli imputava il solito ecumenismo. Nel suo intervento, invece, ho individuato una visione moderna della società, letta attraverso la mescolanza di diverse culture». Nessuna critica, quindi, tutto bene? «Mancava il Sud. Ma il Mezzogiorno manca più complessivamente dal dibattito politico. Però mi ha rassicurato il fatto che Veltroni abbia fatto riferimento all’Italia, a un Paese che non può non stare unito. Un dato che mi induce a pensare che Walter ponga come centrale tanto la questione del Nord, tanto la drammaticità della realtà del Mezzogiorno». Veltroni ha posto al centro il tema della precarietà, per la verità... «Sì, un problema generazionale che si presenta con una particolare virulenza nel Mezzogiorno. Anche con il risvolto drammatico del lavoro nero. Per la cui emersione finalmente questo governo ha fatto cose importanti». La discesa in campo del sindaco di Roma rafforza il governo o avvicina le elezioni anticipate? «Veltroni è stato molto netto su questo tema. Un Partito democratico forte, ne sono convinta da tempo, è la migliore assicurazione per il governo. È abbastanza malevola una lettura che lega la candidatura Veltroni alle elezioni anticipate. E non a caso a fornirla è un centrodestra rimasto del tutto spiazzato. Questo, però, non significa che non serva una svolta. Proprio perché siamo riusciti a risanare, raggiungendo in un anno l’obiettivo che ci eravamo prefissi in due anni - e poiché questo ha lasciato necessariamente in ombra alcune questioni - dal Dpef deve emergere la consapevolezza del disagio che attraversa aree e categorie. Il governo, in poche parole, deve dimostrare al Paese di aver compreso questo malessere, di condividerlo e di volerlo affrontare». A quali aree e categorie si riferisce in particolare? «Parlo del malessere del Mezzogiorno, parlo della necessità di una Pubblica amministrazione che assecondi e non costituisca un freno allo sviluppo, parlo della questione infrastrutturale, parlo di un carico fiscale eccessivo in relazione alla qualità dei servizi pubblici offerti». Lo scenario è mutato di colpo. Da una parte la candidatura Veltroni. Dall’altra le scelte del governo su pensioni, giovani, ecc... «Il rilancio c’è già nei fatti. C’è sul versante politico, con questo nuovo slancio verso il Pd. E c’è nell’esecutivo. Mi auguro che la trattativa con i sindacati si concluda presto e bene. I temi sui quali sta lavorando il governo, l’aumento delle pensioni basse, la protezione delle giovani generazioni rispetto alla previdenza, gli ammortizzatori sociali, mi sembrano importanti e decisivi. Il governo affronta di petto le grandi questioni sociali. Anche dal versante del Senato, mi permetta di sottolinearlo, stiamo facendo un lavoro importantissimo». Può riassumerlo? «Abbiamo approvato da soli la legge sulla tutela e la salute nei luoghi di lavoro, malgrado la Cdl non abbia partecipato al voto. Ancora oggi (ieri, ndr) sul provvedimento per la restituzione dell’Iva, che interessa i contribuenti e le imprese italiane, il centrodestra - cercando di metterci in difficoltà - ha presentato una sospensiva e non ha partecipato al voto. Hanno cercato di far mancare il numero legale, ma non ci sono riusciti e il provvedimento è passato. Un altro segnale di compattezza della maggioranza e di rispetto nei confronti delle aspettative dei cittadini e delle imprese. Pur in una condizione difficilissima, dentro uno scontro ogni giorno più aspro, segnato da ripetuti tentativi di interdizione. Sì il clima è cambiato. E chi suonava le campane a morto per il governo Prodi deve ricredersi». Immagina altre candidature accanto a quella di Veltroni? «Io penso che la competizione debba essere la più libera possibile. Io ho fatto la mia scelta. Ma altre candidature non mi meravigliano, né stupiscono. Quello che è importante è che ci siano documenti, piattaforme, contributi e liste che possano arricchire il progetto complessivo. Tutto ciò non può che fare bene alla competizione e alle primarie per la Costituente». E se dovesse scendere in campo Bersani? «Nessuno scandalo, ci mancherebbe altro. Le primarie che hanno portato alla scelta di Prodi vedevano in campo sette candidature. Ma è chiaro che queste debbono essere sorrette da idee, piattaforme, progetti». Appoggerà Veltroni con una sua lista, quindi? «Certo. Farò questa campagna elettorale con grande passione. Io penso di promuovere un documento e una lista che immetta idee, contenuti e contribuisca a moltiplicare le occasioni di confronto. Questa campagna elettorale deve rappresentare l’occasione per mescolarci. Penso alla composizione di liste miste, che mettano assieme persone che provengono da esperienze politiche e culturali diverse e che si ritrovano insieme su documenti chiari». Una lista segnata da una maggiore presenza femminile? «Anche. Perché credo che una maggiore presenza femminile rappresenti un fattore di innovazione e di riequilibrio democratico. Ma non penso solo a questo. Certo, io lavorerò perché ci siano molte donne capolista, il 50% almeno». Una lista per ogni candidato o più liste per ogni candidato: quale opzione ritiene più valida? «La seconda opzione dà le maggiori occasioni per mescolare esperienze diverse e consentirci di superare gli attuali steccati. Per fare, insomma, il partito nuovo». Pubblicato il: 29.06.07 Modificato il: 29.06.07 alle ore 7.45 © l'Unità. Titolo: Olga D'Antona: «Bravo Veltroni. Se avessi saputo che si sarebbe candidato...» Inserito da: Admin - Giugno 29, 2007, 05:33:12 pm Olga D'Antona: «Bravo Veltroni. Se avessi saputo che si sarebbe candidato...»
Maria Zegarelli Quando stava nei Ds era una veltroniana, dopo Firenze è approdata in Sd, «perché credo nella necessità di un progetto di sinistra». Dopo il Lingotto dice, «chissà cosa accadrà in futuro». Olga D’Antona, membro della Commissione Affari costituzionali alla Camera, premette: «Io ho fatto una scelta diversa rispetto al Pd». E ammette: «Ci voleva uno come lui. Anzi, ci volevano due come Veltroni e Franceschini, che rappresentano la modernità, pur avendo una grande esperienza politica alle spalle». Convinta dal discorso di Veltroni? «Un buon discorso, lui è la persona giusta per portare avanti il progetto del Pd con coerenza». Veltroni ha citato suo marito. Se lo aspettava? «Ha parlato di mio marito e di Biagi, due persone che hanno dato senza chiedere, esattamente come erano. Due uomini soli con responsabilità rilevanti, verso cui le istituzioni hanno avuto grandi disattenzioni, soprattutto nel caso di Biagi, la cui morte era stata annunciata. Non mi aspettavo che Walter citasse mio marito a Torino, anche se lo ha fatto in numerose precedenti occasioni». Cosa l’ha convinta di più del discorso del sindaco di Roma? «Meglio precisare prima che io ho aderito con convinzione a Sd. È chiaro che la scesa in campo di Veltroni renderà più facile una collaborazione tra due progetti entrambi utili al Paese: quello del Pd e quello di una forza che ha come obiettivo di manterenere l’unità a sinistra. Oggi sono convinta che sia più facile dialogare». Fatta la premessa, quali passaggi del discorso ha accolto con favore? «Ha mandato un segnale esplicito verso il dialogo e l’unità. Ha inoltre dato un’immagine chiara per il futuro del Paese, ha affrontato in maniera decisa il tema dei giovani e della precarietà del lavoro, uno dei punti a noi più cari. Ha dimostrato grande attenzione verso i bisogni dei cittadini, i temi sociali, la rappresentanza delle donne in politica: temi che ha già seguito con grande sensibilità come sindaco di Roma». E le perplessità? «Sicuramente più incerto quando si tratta di capire quale sarà la collocazione internazionale del futuro Pd. Se saprà trovare in Europa un luogo che sappia comprendere al suo interno i nuovi soggetti politici socialisti e democratici allora avrà fatto un buon lavoro. Gli auguro, grazie alla sua esperienza e alla sua influenza a livello internazionale, di riuscire in questa impresa». Sulla laicità e i diritti individuali Veltroni è stato molto netto. «Finora l’atteggiamento, in alcuni momenti aggressivo, delle gerarchie ecclesiastiche ha inasprito i toni della discussione e reso ancora più stridente il divario tra le posizioni all’interno del centrosinistra. Veltroni sono certa che saprà riavviare il dialogo perché questo è sempre stato il suo atteggiamento». Come valuta il ticket con Fransceschini? «Molto bene, sarà utile al paese e al dialogo più facile nel centrosinistra». Ma lei con Veltroni in pista, tornerebbe nel Pd? Io ho fatto una scelta, sto in una formazione politica diversa, che non è antagonista al Pd. Franceschini ha lanciato un messaggio: «Tornate». Ipotesi praticabile? «Nel Pd ci sono molte persone che stimo, credo che insieme nelle rispettive posizioni renderemo un servizio utile al Paese, soprattutto se saremo aperti al dialogo. Per questo trovo Veltroni e Franceschini due figure importanti, che rappresentano la modernità, il futuro». Mettiamola così: se avesse saputo prima della scesa in campo di Veltroni, sarebbe uscita dai Ds? «Se avessi avuto questa certezza prima le mie scelte sarebbero state diverse, ma il disagio che ho vissuto nei Ds, con un gruppo dirigente esclusivo e non accogliente, e il modo in cui è stato condotto questo processo ha fatto sì che sentissi l’esigenza di dare rappresentanza a un progetto di sinistra. Detto questo, io non avrei mai immaginato tempo fa di lasciare i Democratici di sinistra». Pubblicato il: 29.06.07 Modificato il: 29.06.07 alle ore 7.44 © l'Unità. Titolo: Vannino Chiti Pd, non correnti ma idee Inserito da: Admin - Giugno 29, 2007, 05:34:32 pm Pd, non correnti ma idee
Vannino Chiti Non c’è dubbio che la scesa in campo di Veltroni per la guida del Partito Democratico abbia rilanciato le prospettive e le speranze che si legano alla nuova formazione politica. Ciò ha anche contribuito a creare spazi più ampi per il Governo e per un respiro strategico di riforme da far assumere alla Legislatura. Governi istituzionali, per i quali in questi mesi non si era soltanto parlato sui giornali, sono cancellati dall’orizzonte politico. Inoltre a destra sono di nuovo divenute lampanti le divisioni. Sembra difficile ripresentare Berlusconi come candidato alla Presidenza del Consiglio ma al tempo stesso appare difficile individuare una candidatura alternativa in grado di unire dall’estrema destra fino alla Lega, passando per l’Udc. Allora è tutto risolto, il Partito democratico e il centrosinistra hanno contratto una assicurazione politica sul futuro? Non è così e sarebbe un errore crederlo. Il centrosinistra gioca la sua credibilità di alleanza di Governo sulla capacità di rafforzare la coesione attorno ad un’azione che tenga realmente uniti risanamento, equità e sviluppo. Ora tuttavia voglio parlare soprattutto del Partito Democratico. I suoi primi passi, dopo i congressi di Ds e Margherita, non sono certo stati entusiasmanti. Il parlare esclusivamente di candidati e di candidature, di modalità per la loro elezione senza al tempo stesso mettere al centro i contenuti che debbono caratterizzare il nuovo partito, non interessa alla gran parte dei cittadini che guarda a noi. Il discorso di Veltroni a Torino ha introdotto un cambiamento, parlando di futuro, di giovani, di lavoro, di dignità di una politica intesa come servizio al Paese. È importante ma da solo non sufficiente. Nessuno sa più che fine ha fatto il cosiddetto manifesto di Orvieto. Quale è il nucleo forte e condiviso del nuovo partito? Mi riferisco ai valori che debbono caratterizzarlo, al progetto di società, alle sue alleanze internazionali, alle forme della sua organizzazione. Se gettiamo uno sguardo attorno a noi vediamo che dopo la caduta delle vecchie ideologie, la politica si sta ovunque riorganizzando attorno a valori forti e non al pragmatismo quotidiano. Le stesse questioni delle alleanze internazionali non possono essere relegate in secondo ordine. Una forza progressista del XXI secolo si ridefinisce in primo luogo attorno alla costruzione dell’unione politica dell’Europa e alla ricollocazione in questo ambito degli interessi e della funzione del Paese. Sta qui una delle discriminanti tra il campo progressista e quello moderato-conservatore. L’Europa conta e conterà sempre di più nelle politiche che si conducono nelle vari nazioni. Il Partito Democratico non può dunque ripresentare sotto nuova veste il vecchio leit motiv del caso italiano o di una presunta originalità italiana. Una delle affermazioni più interessanti che è emersa in questi ultimi mesi riguarda il carattere federale del nuovo partito: rappresenta il più significativo elemento di innovazione e di discontinuità. Questa scelta deve tuttavia riempirsi di atti concreti: quale sarà l’autonomia politico-programmatica delle organizzazioni regionali? Come troverà un equilibrio con l’indispensabile momento unitario nazionale? Prima ancora, come incideranno i territori nella formazione dei gruppi dirigenti nazionali, dal momento che è questa una delle vie principali per fare assumere ad un partito carattere federale? Questa ultima considerazione ha una conseguenza precisa sulle stesse modalità di elezione dell’Assemblea Costituente. È evidente che se le liste che sostengono i candidati a segretario sono plasmate a livello nazionale il rischio è che i territori risultino subalterni, mentre a mio giudizio la priorità è quella di assicurare che le diverse esperienze regionali e locali pesino nella costruzione delle idee guida e delle forme partecipative del nuovo partito. Tenere ferma la scelta del partito federale ed essere conseguenti nel cogliere questa prima opportunità della elezione dell’Assemblea Costituente ritengo sia indispensabile per rimettere sui giusti binari la nascita del Partito Democratico. Voglio essere esplicito fino alla brutalità, visto che la sfida che abbiamo di fronte è di straordinaria importanza e per essa abbiamo come suol dirsi bruciato le navi dietro di noi: non credo che riusciremo a costruire un partito veramente nuovo se il suo primo fondamento saranno le correnti e addirittura correnti fondate su persone e non su grandi opzioni politiche. La nostra ambizione è quella di dare vita alla sinistra del XXI secolo, partecipando al suo rinnovamento in Europa e nel mondo, costruendo per questo scopo una casa comune capace di andare oltre i confini della sinistra tradizionale, unendo le culture e le esperienze che vengono dal cattolicesimo democratico e sociale, dal riformismo liberal democratico, dall’ecologismo, dal movimento dei diritti umani, e da quello della liberazione della donna. Di questo ha bisogno anche l’Italia. Passa da qui una politica capace di suscitare l’impegno e la partecipazione dei cittadini, invertendo una tendenza che la fa vivere in modo sempre più distaccato, relegata nei salotti e nei talk show televisivi. Pubblicato il: 29.06.07 Modificato il: 29.06.07 alle ore 7.43 © l'Unità. Titolo: Parisi boccia il metodo della candidatura Veltroni. Inserito da: Admin - Giugno 30, 2007, 07:25:42 pm Ma al plebiscito io non ci sto
di Marco Damilano Una scelta operata nel chiuso delle segreterie. Parisi boccia il metodo della candidatura Veltroni. E si dice pronto, se nessun altro si farà avanti, a corrergli contro Il Candidato alternativo passeggia su e giù in una stanza al primo piano di palazzo Baracchini, il suo ufficio da ministro della Difesa. Arturo Parisi non ha mandato giù il metodo "che in politica come abbiamo visto lungo tutti questi anni è sostanza", che è stato seguito per la scelta di Veltroni. L'inventore dell'Ulivo e delle primarie, ancora una volta è in minoranza nel Pd, o almeno nel gruppo dirigente dei partiti, e questa volta critico con il candidato che lui stesso ritiene il più adatto a guidare il nuovo partito. Una beffa. "Sottoscrivo in pieno una battuta di Antonio La Forgia: Veltroni è per me il candidato migliore e tuttavia, se proposto come candidato unico, il candidato peggiore". Per evitare il rischio, il professore sardo che dagli anni Novanta insegue il sogno dell'unità di tutti i riformisti, è pronto a correre in prima persona: "Una candidatura di servizio, per realizzare il progetto. In assenza di candidati alternativi credibili, e penso innanzi tutto ai giovani, ai famosi giovani-giovani che ora dovrebbero scendere in campo per rappresentare idee alternative a questa dinamica, ho idea che sia costretto a candidarmi". Alla vigilia del discorso di Torino di Veltroni nel Pd ancora si inseguono voci, candidature, auto-candidature. Da Enrico Letta a Rosy Bindi a Pierluigi Bersani. Il ministro per lo Sviluppo economico è l'oggetto del desiderio da più parti. Ma non lo vuole Massimo D'Alema, e neppure Piero Fassino. Hanno scelto Veltroni per tutelare l'unità del partito, non possono permettere che si rimetta in discussione. Una sfida Bersani-Veltroni sarebbe invece il compimento storico del progetto dell'Ulivo e di Parisi: la prova che la vecchia storia è finita e ne comincia una davvero nuova. "Facciamo un passo indietro", racconta Parisi: "Una settimana fa sono stato io a chiedere a Veltroni di candidarsi. Lui, con lealtà, aveva combattuto contro l'idea che il segretario potesse essere scelto con le primarie. Io lo ritenevo e lo considero il candidato migliore: quello che meglio di tutti riesce a rappresentare la pluralità di storie che si muovono dentro il perimetro del Pd e a comunicarle. Anche senza farmi e senza fargli sconti: ricordo bene il passaggio del '98 e la risposta che mi diede nel 2000. E tuttavia speravo che potesse essere il punto di riferimento prezioso di quel ri-inizio che deve portarci tutti a mescolare le nostre storie nel Pd". Parisi non dimentica la crisi del primo governo Prodi nel 1998, quando Veltroni in poche ore si spostò dall'appoggio totale al Professore, di cui era vice-premier, a D'Alema spinto ad andare a Palazzo Chigi. Né la risposta quasi sprezzante che Veltroni gli diede dal palco del congresso di Torino nel 2000, dopo che l'allora leader dell'Asinello aveva chiesto con un'intervista a 'Repubblica' di sciogliere i Ds e i Democratici che poi si sciolsero per la Margherita, e dare vita, già allora, al partito dei Democratici. Divisioni politiche, non personali. Il giudizio su Veltroni di Parisi è benevolo, anche se sottilmente perfido: "Non mi nascondo i suoi limiti, ma chi non ne ha? Limiti legati alla categoria della leggerezza, che gli viene rinfacciata anche con qualche ingenerosità. Uno non può essere troppo comunicativo e troppo profondo. Quando la tua prima esigenza è comunicare, c'è qualche prezzo da pagare alla profondità e alla verità. Ma io, in ogni caso, non ho mai immaginato di candidare il Veltroni intellettuale di cui sento parlare in questi giorni". Il dissenso di Parisi è tutto legato al modo con cui si è arrivati al nome di Veltroni: la candidatura unica. "Una scelta affidata ai vecchi partiti, figlia di una dinamica di tipo verticistico", scandisce il ministro della Difesa: "In questo modo quello che nasce non è il Pd, quello che nasce è il partito del presidente. Io credo che non basti: serve un partito che innervi la società italiana, che viva a prescindere da chi lo presiede. Noi abbiamo immaginato il Pd non come lo strumento in mano a un leader, ma come un partito vero che si fa carico del presente e del futuro e che apre una prospettiva per il tempo medio, superiore al tempo del governo. È questa la soluzione che abbiamo trovato rispetto alla crisi della democrazia italiana: un partito nuovo. Senza il riferimento a un partito nuovo non resta che una riforma costituzionale di tipo presidenzialistico. Negli ultimi mesi ha condizionato il suo ritorno nella politica nazionale al cambio di regole, se Veltroni non fa di questa la sua prima battaglia, rischia di diventare solo una continuazione del passato. Rischiamo uno scenario municipale: un sindaco e tanti piccoli gruppuscoli personali. Con una piccola differenza: che a livello nazionale non c'è il sindaco, ma solo i gruppetti". Parisi non sembra farsi illusioni: "Non è la prima volta che un candidato prescelto delude proprio quelli che lo hanno designato. Al momento però Veltroni ha deluso noi che gli avevamo affidato tutte le nostre speranze, nonostante tutto. Invece si è assicurato l'appoggio delle macchine di partito in quanto tali, di Fassino in quanto segretario dei Ds, e dei popolari che hanno firmato la sua candidatura mettendogli come numero due Franceschini, da sempre il successore designato di Franco Marini. Se non intervengono correzioni radicali ho paura che la frittata sia fatta: resta solo un regolamento per l'elezione dell'assemblea costituente che certifichi e pesi le correnti. Siamo più indietro del punto di partenza". Eppure, per 12 anni l'Ulivo ha funzionato così: con un candidato unico e naturale chiamato Romano Prodi. Ora che non è più lui il candidato, è troppo tardi per capire che il meccanismo si è inceppato. Replica Parisi. "Prodi è stato scelto così nel '95, è vero. Ma sono pur passati 12 anni. Ho paura che siano passati invano. Ora rischiamo di trovarci rispetto al '95 con un Ulivo più piccolo nell'anima e anche nel corpo". Un attacco bruciante, dato che viene da chi ha ideato e difeso l'idea dell'Ulivo. "Non c'è confronto politico: la pluralità delle liste è un vestitino da mettere su un corpo già formato. Per fermare questo processo serve un soprassalto che ostacoli l'entrata in campo del sistema partitico in quanto tale. Servono 'liberi e forti' che resistano all'antica regola di tutte le sinistre italiane: meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli. Il peggior difetto che viene contrabbandato per migliore virtù: copre il rifiuto del rischio e della responsabilità". Anche nel caso di Veltroni, secondo Parisi, la regola non è stata smentita: "Il vero motivo per cui in poche ore si è giunti alla sua candidatura è che arrivati al dunque hanno tutti dovuto confrontarsi con il rischio della competizione. Hanno avuto paura che Veltroni vincesse da solo. Altro che Stati Uniti o Francia: da noi nel Dna abbiamo il terrore della esclusione dal branco. Quando si ha l'idea che qualcuno abbia già vinto, ti ritrovi in poche ore in stanze affollate di gente che non avevi mai visto prima". E dunque, in assenza di altri candidati, toccherà a Parisi immolarsi come un kamikaze per il bene del progetto: "Se nessun altro si fa avanti. Sempre che ce ne siano le condizioni e che si possa giocare ad armi pari: se il leader è già deciso mi potete chiedere una candidatura di servizio, non la certificazione che sono un cretino! Chi parteciperebbe mai ad una gara della quale è stato già proclamato il vincitore?". I quattro cavalieri del partito a termine Si terrà il 6 ottobre a Roma, in piazza Farnese, la prima manifestazione della Lista Civica per la Repubblica dei Cittadini, la formazione politica che ha raccolto l'eredità dei girotondi. Appuntamento preceduto da una serie di iniziative locali e da un tam tam on line sul sito Listacivicanazionale.it e sul blog di Oliviero Beha (Behablog.it), uno dei quattro promotori insieme all'ex deputato Elio Veltri, al leader dei girotondini Pancho Pardi e a Roberto Alagna, ex dirigente Uil. Veltri, uscito da tempo dal partito di Di Pietro, spiega a 'L'espresso' che la Repubblica dei Cittadini "non sarà un partito organizzato, non avrà iscritti, tessere o sezioni, ma sarà solo una lista civica con il compito di sferzare i partiti su temi come la legalità e i costi della politica". Una formazione dunque "a termine, che cioè si autoscioglierà quando sarà riuscita a costringere la casta del Palazzo a rispondere ai cittadini". Se la manifestazione romana andrà bene, e se continueranno ad arrivare adesioni on line, la Repubblica dei Cittadini presenterà proprie liste alle europee del 2009 e alle politiche successive. L'obiettivo è convogliare nel nuovo simbolo i delusi del centrosinistra ("Ma ricevo mail anche da molti elettori del centrodestra", precisa Veltri) e più in generale le varie forme civili in cui si declina la protesta anti-politica. Tra le prime iniziative c'è il Manifesto per la riforma della politica, a cui hanno già aderito diversi nomi noti, come Dario Fo, Franca Rame, Antonio Tabucchi, oltre ai giornalisti Marco Travaglio e Gianni Barbacetto. Ma la firma più nota è sicuramente quella di Beppe Grillo, il che fa pensare a probabili sinergie tra la Lista civica e i cosiddetti Meetup, la rete di oltre 200 gruppi locali che fanno riferimento al blog del comico. A. G. da espressoonline.it Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI Le grandi manovre dell'anti-Veltroni in attesa della candida Inserito da: Admin - Luglio 09, 2007, 03:36:53 pm 9/7/2007
Sede, sito e consulenti per Letta Le grandi manovre dell'anti-Veltroni in attesa della candidatura FRANCESCA SCHIANCHI TORINO Ha preso una sede, nel cuore di Roma. Ha allertato un’agenzia di comunicazione perché sia pronta a buttare giù qualche idea, nel caso ci fosse bisogno (a breve) di una campagna elettorale. Ha insomma già creato la sua corrente: sempre più tentato di candidarsi alla leadership del futuro Partito democratico, Enrico Letta, impegnato in questi giorni al tavolo delle pensioni, sta preparando la sua discesa in campo. Che sia in veste di competitor di Walter Veltroni o a capo di una lista a sostegno del sindaco di Roma, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lo sta ancora decidendo. Ha trascorso gli ultimi weekend in giro per l’Italia, a incontrare amici in Toscana, in Veneto, in Puglia. Per raccogliere gli umori della periferia e magari qualche consiglio: chi gli ha suggerito di candidarsi subito, forte di sondaggi che lo danno avversario favorito di Veltroni, chi di decidere dopo la riunione del Comitato dei 45 dell’11 luglio, durante la quale verrà stabilito il regolamento per le votazioni del 14 ottobre. Nel frattempo, comunque, cresce la sua associazione Trecentosessanta, destinata a essere la corrente lettiana all’interno del Partito democratico. Il battesimo è stato all’inizio di giugno, in una riunione nell’abbazia di Spineto a Sarteano, nella Val di Chiana. Presenti vari esponenti della Margherita, dal presidente della provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai al governatore della Regione Sardegna Renato Soru. Vuole essere un network a trecentosessanta gradi, aperto al dialogo, ispirato ad alcune parole chiave: “interesse generale”, ad esempio, “cittadinanza”, “rigore e serietà”, temi forti dell’idea di partito targata Enrico Letta. Ha già pronta una sede, 100 metri quadrati in una piazza dietro al Pantheon, due passi da Montecitorio. Ma siccome si propone di essere capace di radicarsi nel territorio, a farne parte sono uomini da Nord a Sud del Paese. Come il piemontese Enrico Borghi, presidente dell’Unione comuni, comunità e enti montani, o Francesco Russo, ex segretario dei giovani popolari a Trieste, o ancora il veneto Marco Stradiotto, sottosegretario allo Sviluppo Economico, uomo-cerniera con il ministro Bersani, con cui da sempre Letta è in sintonia e che, a sorpresa, potrebbe trasformarsi in un sostenitore della sua eventuale candidatura. Dal Mezzogiorno, raccoglie l’adesione di Guglielmo Vaccaro, consigliere regionale della Margherita in Campania, o ancora del pugliese Francesco Boccia, capo dipartimento per lo sviluppo a Palazzo Chigi, sconfitto nel 2005 alle primarie per la guida della Regione Puglia da Nichi Vendola. A breve l’associazione sbarcherà in Rete: il sito è previsto a giorni. A firmarlo, l’agenzia di comunicazione barese Proforma. Un gruppo di giovani pieni di idee, più volte definiti gli “spin doctor” della sinistra: sono loro alcune delle campagne politiche più riuscite degli ultimi tempi, da quella della vittoria di Vendola a quella del sindaco di Bari Michele Emiliano, fino a quella di Fausto Bertinotti per le primarie dell’Unione. Per Letta stanno preparando VeDrò, la tradizionale convention di trenta-quarantenni della politica, dell’industria, della tecnologia che si tiene a fine agosto a Dro, in provincia di Trento. Alla riunione di Spineto c’erano anche loro: guarda caso, hanno tenuto una presentazione sui meccanismi della comunicazione politica, come la differenza tra una campagna per le elezioni vere e proprie e una per le primarie. E in particolare su come far vincere non tanto un partito, ma proprio un candidato singolo. Che si chiami Enrico? da lastampa.it Titolo: PARTITO DEMOCRATICO (2). Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 08:13:43 am 5 novembre 2007
L'esecutivo del Pd nome per nome I profili dei componenti della squadra che affiancherà Veltroni Più donne che uomini, giovani, esponenti politici ma anche del mondo della cultura e dell'associazionismo. Ecco chi sono i componenti dell'esecutivo del Partito Democratico: GOFFREDO BETTINI - Nasce a Roma nel 1952. omano, classe 1952. Consigliere comunale dall’89, capogruppo del Pds in Campidoglio per sei anni, assessore, vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio, deputato e infine senatore. Si interessa di cultura, ed è artefice di due grandi successi come l’Auditorium Parco della Musica (è presidente della società Musica per Roma, che lo gestisce) e della Festa del Cinema di Roma (è presidente della Fondazione) ANDREA CAUSIN - E' nato a Mestre nel 1972. Dal 1992 al 1994 è stato consigliere comunale per il Partito Popolare Italiano a Martellago, suo Comune di residenza. Dal 1999 al 2002 é stato Segretario Nazionale dei Giovani delle Acli. Nell'aprile 2005 è eletto consigliere regionale e si occupa in modo particolare dei temi legati al welfare, alle politiche del lavoro e alle attività produttive. VINCENZO CERAMI - E' nato a Roma nel 1940. Allievo di Pier Paolo Pasolini. Ha scritto libri, romanzi, sceneggiature con tra gli altri Roberto Benigni, opere teatrali. ROBERTO DELLA SETA - E' nato a Roma nel 1959. Dal 2003 è presidente nazionale di Legambiente. Laureato in storia dei partiti politici, ha pubblicato diversi saggi tra cui 'La difesa dell'ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento ecologistà (2000) e 'Dizionario del pensiero ecologico' (2007). EMANUELA GIANGRANDI - 43 anni, nata a Lugo, in provincia di Ravenna. A 21 anni entra nel Consiglio Comunale di Lugo, dove rimane per quattro legislature, fino al 2004. In questo periodo ricopre le cariche di capogruppo, di assessore, oltre che di segretaria comunale del Pds. Nel 2001 è assessore provinciale a Ravenna, incarico che riveste tuttora, con le deleghe al Bilancio e programmazione finanziaria. MARIA GRAZIA GUIDA - nasce ad Amatrice (RI) nel 1954. E' sposata ed ha una figlia. Ha lavorato come assistente sociale in servizi istituzionali pubblici delle Asl. Si è occupata di minori, famiglie in difficoltà e anziani. Dal 2001 ha iniziato una collaborazione con Don Virginio Colmegna operando in Caritas Ambrosiana fino al 2004. Da circa un anno ricopre la carica di vice presidente del Centro Ambrosiano di Solidarietà di Milano, che si occupa di giovani con problemi di dipendenza, salute mentale e progetti di coesione sociale nei quartieri difficili della città di Milano. MARIA PAOLA MERLONI - Nata a Roma nel 1963, ha una figlia ed è un'imprenditrice con un lungo curriculum di incarichi. E stata presidente di Confindustria Marche. Nel 2006 è stata eletta alla Camera nelle liste della Margherita. FEDERICA MOGHERINI - E' nata a Roma nel 1973, è sposata ed ha una figlia di tre anni. E' laureata in Scienze politiche con una tesi sul rapporto tra religione e politica nell'Islam. Nel 2001 è entrata nel Consiglio Nazionale dei Ds, successivamente nella Direzione Nazionale e nel Comitato Politico. Nel 2003 ha iniziato a lavorare al Dipartimento Esteri dei Ds, prima come responsabile del rapporto con i movimenti, poi come coordinatrice del Dipartimento, e da ultimo come responsabile delle Relazioni Internazionali. E' stata eletta all'Assemblea Costituente del Partito Democratico nel collegio 14 di Roma. ALESSIA MOSCA - 32 anni, è membro della segreteria tecnica del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ha lavorato al Parlamento europeo e nell'ufficio relazioni istituzionali e internazionali di Alenia Aeronautica. Ha insegnato all'università Lorenzo dé Medici di Firenze e come visiting professor, all'università Cattolica di Milano. Ricercatrice dell'Arel, ha pubblicato diversi articoli sulle politiche dell'Unione europea. ANDREA ORLANDO - Nato alla Spezia nel 1969. E' stato segretario provinciale dei DS (2001-2003) e componente della segreteria regionale. Dal 2003 assume incarichi presso la Direzione Nazionale dei DS, prima come vice responsabile del dipartimento organizzazione. Nel 2005 assume la direzione del dipartimento enti locali, incarico che lascia nel 2006 per assumere quello di responsabile organizzativo nell'ambito della Segreteria Nazionale dei Ds. Nello stesso anno, alle elezioni politiche, è eletto deputato nelle liste dell'Ulivo. In Parlamento è stato membro della Commissione Bilancio e poi di quella Politiche Comunitarie. ANNAMARIA PARENTE - E' nata a Napoli il 17 settembre del 1960 e attualmente è responsabile del Coordinamento Nazionale donne della Cisl. Dal 1995 è responsabile del Coordinamento Nazionale donne del sindacato. L'8 marzo 2004 è stata nominata Ambasciatrice di Pace dal Centro di Pace tra i popoli di Assisi. E' sposata ed è madre di un bambino, Ennio di 7 anni. LAURA PENNACCHI - E' nata a Latina nel 1948, vive a Roma. E' madre di due figli. Economista e docente autrice di numerosi saggi, Laura Pennacchi è stata parlamentare dei Ds e sottosegretario al Tesoro con Carlo Azeglio Ciampi. ROBERTA PINOTTI - E' nata a Genova il 20 Maggio 1961. Sposata, con figli. Nel 2001 è eletta deputata e lavora nella commissione Difesa, di cui diviene Presidente dopo la rielezione al Parlamento nel 2006. Anche per questo incarico è la prima volta per una donna. LAPO PISTELLI - E' nato a Firenze il 20 giugno 1964. Sposato, ha tre figli. Coordinatore della segreteria del Ppi dal 1999 al 2001, membro dell'Esecutivo e della Presidenza della Margherita è stato eletto al Parlamento Europeo nel 2004 ed è oggi capo delegazione. ERMETE REALACCI - Nato a Sora (Fr) nel 1955 è presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati ed è presidente onorario di Legambiente. Ha guidato fin dai primi anni Legambiente - di cui è stato segretario dal 1983 al 1987 e poi presidente. E' da anni in prima fila nell'impegno per un'azione forte ed incisiva contro l'aumento dell'effetto serra e i cambiamenti climatici. GIORGIO TONINI - Ha 48 anni, sposato con 7 figli, vive a Trento, dove è stato eletto senatore per l'Unione-Svp. E' vicepresidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama. Laureato in filosofia, è giornalista professionista. Negli anni dell'Università è stato presidente nazionale della Fuci. Tra i fondatori dei Cristiano sociali, ha fatto parte con Walter Veltroni della Segreteria dei Ds. E' stato uno dei 12 saggi che hanno redatto il Manifesto per il Pd. E' stato eletto alla Costituente nel collegio di Lavis nella lista Democratici con Veltroni. ROSA VILLECCO CALIPARI - Nata a Cosenza nel 1958 è senatrice dei Ds eletta nel 2006 e componente della 4° Commissione permanente (Difesa) e della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia. E' membro della Delegazione italiana presso l'Assemblea dell'Osce. Entreranno a far parte dell'esecutivo anche i capigruppo dell'Ulivo di Camera e Senato e il vice segretario Dario Franceschini. da veltroniperlitalia.it Titolo: "Pd, quanto mi piaceresti se..." Inserito da: Admin - Novembre 08, 2007, 06:10:32 pm POLITICA
Sondaggio Ipr-marketing per Repubblica.it conferma il partito di Veltroni al primo posto con un punto di vantaggio su Forza Italia "Pd, quanto mi piaceresti se..." La seduzione del partito-nuovo Ma la sopresa arriva dagli indecisi: il pd ha il più alto potenziale di crescita (8%) seguito da An (6%) e Fi (5%). Il centrosinistra piace molto ma la Cdl di più di CLAUDIA FUSANI ROMA - E' la quarta colonna quella da tenere d'occhio, s'intitola "potenziale elettorale massimo" e racconta di quanta voglia ci sarebbe di votare pd "se..." e "ma...". Così accade che se in un'ipotetica campagna elettorale nei prossimi mesi lo staff di Veltroni facesse più o meno tutto bene - che non vuol dire dare fiato alla propaganda ma toccare i tasti necessari con gli argomenti giusti - il "partito-nuovo" incasserebbe il 37 per cento dei voti, percentuale ottenuta sommando il 29% delle intenzioni di voto e l'8 per cento di una categoria che può anche essere definita dei "vorrei ma non posso" o degli "indecisi". Il Pd, in questo caso, diventerebbe il primo partito italiano seguito da Forza Italia con il 33% tra intenzioni di voto (28%) e indecisi (5%) e da An (18% di cui il 6 di indecisi). Il fattore "potenziale elettorale massimo" è forse la notizia migliore, e la più delicata, in questo clima da eterna crisi di governo e di post primarie del pd. Anche se le possibilità di tirare giù l'esecutivo di Prodi durante il voto sulla legge finanziaria sembrano sciogliersi giorno dopo giorno via via che l'aula respinge e approva secondo il volere della pur risicata maggioranza umiliando gli annunci del Cavaliere ("a novembre cadrà il governo, è sicuro"), il rischio c'è e può diventare realtà in ogni momento. "Non è detto che se oggi ci fossero le elezioni la sconfitta sarebbe netta" ha detto Veltroni a Milano nella prima riunione della Costituente. Una mezza verità, come dimostra il sondaggio di Ipr marketing per Repubblica.it. Le rilevazione è avvenuta tra il 29 e il 31 ottobre tramite questionari su un campione di mille italiani disaggregati per sesso, età e area di residenza. "Abbiamo fatto una ricerca di tipo quantitativo" spiega Antonio Noto, direttore dell'istituto, "e non qualitativo". Sul desiderio di votare Pd senza però indagare sulle molle e sugli obiettivi di quel desiderio. Intenzioni di voto - Il sondaggio Ipr conferma l'effetto primarie nella ideale classifica dei partiti in base alle intenzioni di voto. Il Pd è al primo posto con il 29%, il 2 per cento in meno rispetto al 2006 ma quasi il due in più rispetto ad aprile quando ha mosso i primi passi. Lo segue Forza Italia che conferma la sua ottima salute con il 28 per cento dei gradimenti, il 4,3% in più rispetto al 2006. An è al terzo posto (12%) anche se cede lo 0,3 rispetto a un anno fa. Segnano il passo i partiti della sinistra radicale: Rifondazione perde il 2,3 e ottiene il 3,5%; i Comunisti perdono l'1,3 e si devono accontentare dell'1%, i Verdi scendono dell0 0,1% al 2%. Sinistra democratica, il partito di Mussi diaspora dei Ds, ha l'1%. In totale la Cosa Rossa porta a casa il 7,5 per cento, il 2,7 in meno rispetto alle politiche del 2006. In testa la Cdl, con o senza Udc - Pur cambiando gli addendi, il risultato con cambia: la Cdl, con o senza Udc, resta sempre in testa e "batte" l'Unione con o senza Cosa Rossa. E' un mezzo punto percentuale, ma andando al voto oggi consegnerebbe il paese nelle mani del centrodestra che, nel mezzo del dibattito sul decreto espulsioni, registra il ri-compattamento della Casa delle Libertà e la nuova luna di miele tra Silvio e Pierferdy. Che fine hanno fatto le pulsioni centriste? Da quest'altra parte l'Unione, senza sinistra radicale, arriva al 45,5% pur segnalando la crescita di tutti i partiti "piccoli" rispetto al 2006: Idv e Socialisti di Boselli-Angius sono al 3%, rispettivamente con un +0,7 e un + 0,4; cede invece uno 0,4% l'Udeur di Mastella che dal 2% del 2006 si deve accontentare dell'un per cento di oggi. Ma se anche l'Unione volesse presentarsi di nuovo unita al voto con la Cosa Rossa - ipotesi non praticabile - il risultato finale sarebbe il 53 per cento. Il potenziale "seduttivo" delle singole liste - Antonio Noto lo spiega così: "Il potenziale elettorale riguarda coloro i quali prendono in considerazione l'ipotesi di votare un determinato partito. La possiamo chiamare anche potenzialità di attrazione, di aggregazione o di seduzione. E possiamo dire che in questo momento il centrosinistra ha potenzialità di attrazione e di aggregazione assai maggiori rispetto al centro destra". Il sondaggio dimostra come tra i partiti "big" il Pd ha un potenziale elettoral-seduttivo più alto di tutti (+8), segue An con +6 e Fi arranca a +5. La sorpresa si registra nel centrosinistra tra i cosiddetti "piccoli": Verdi, Italia dei valori e Socialisti hanno un potenziale elettorale pari a più del doppio del consenso attuale. Insomma, il centro-sinistra piace di più, forse perché più giovane, più sbarazzino, con il loft come sede e le donne in pole position. Ma non è detto che alla fine venga scelto: gli si strizza un occhio ma poi non lo si invita a casa propria. "Dipende tutto da come viene condotta una eventuale la campagna elettorale"aggiunge Noto. Come sarà il corteggiamento vero e proprio dopo la fase della seduzione. Elettorato senza divisioni sociali - Significa che ormai "l'appartenenza politica va al di là del ceto sociale di appartenenza". Che oggi non si può più dire, come una volta, che l'operaio e l'insegnante votano a sinistra. Una parte del sondaggio riguarda i cosiddetti target forti all'interno dei partiti, cioè chi sono i tifosi più forti del Pd o di An. Il risultato è che "abbiamo di fronte un grande cocktail che ha cancellato le divisioni politiche in base al ceto sociale di appartenenza". Così, ad esempio, la categoria dei "dipendenti privati" la si trova nel Pd, ma anche nell'Udc, in Fi e in An. Valori sociali e stili di vita si stanno confondendo, in tutto, dalla tipologia degli acquisti alla modalità di fare le vacanze "e questo rende molto più difficile la comunicazione politica perché i leader devono capire di volta in volta chi hanno davanti" La lontananza delle donne e dei giovani - La scintilla della politica non sembra scattare tra l'elettorato femminile e nei più giovani che risultano target forte solo per i Verdi. Nonostante gli sforzi di dividere a metà la costituente e di mettere più donne che uomini nel direttivo del Pd, le donne non figurano tra i target forti del partito di Veltroni. Le casalinghe sono supporter di tutto rispetto per L'Italia dei valori di Di Pietro e per quello di Casini. Anche la rossa MV Brambilla non buca l'elettorato di Forza Italia. Che siano proprio donne e giovani i più disponibili alla seduzione? (7 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: Roberto Speranza e Fausto Raciti - Che i giovani vengano al Pd Inserito da: Admin - Novembre 09, 2007, 05:24:08 pm Unità - 7 nov.
Che i giovani vengano al Pd di Roberto Speranza e Fausto Raciti La stagione politica che si è aperta con la nascita del Pd rappresenta una straordinaria opportunità per le giovani generazioni. Si tratta, innanzitutto, di ridare senso e funzione alla politica, di ridefinime un profilo tale da renderla il principale strumento per la costruzione di una realtà migliore. Le sfide che l'Italia ha davanti a sé sono alte e complesse. Trovare il proprio posto nel «nuovo mondo», quello globalizzato, rafforzare il processo di integrazione comunitaria, ricostruire coesione tra i tanti pezzi che compongono il «mosaico sociale» della nazione: nord e sud, giovani e non, lavoratori precari e stabili, cittadini ed extracomunitari. La «nuova politica» dovrà essere in grado di costruire un rinnovato senso dell'essere italiani, una nuova missione collettiva rispetto al futuro dell'Italia. Il Pd, serve prima di tutto a questo. Nella sua azione politica e di governo, dovrà misurare costantemente la sua sintonia con la nostra generazione. Le prime scelte del nuovo partito vanno nella direzione giusta. Le elezioni primarie e la composizione delle assemblee costituenti segnalano una carica di innovazione significativa. La parità dei generi e la presenza degli «under 30» sono un elemento di indiscutibile avanzamento sul terreno dell'innovazione della politica. Su queste basi riteniamo fondamentale dar vita ad un nuovo grande soggetto politico generazionale. Ci ha fatto riflettere vedere tanti giovani votare e candidarsi. Quando parliamo di giovani parliamo essenzialmente di studenti, ricercatori, lavoratori e disoccupati, che hanno deciso di fare un pezzo della loro strada insieme a noi, nel Pd. Questi ragazzi hanno partecipato perché, per una volta, hanno avuto l'occasione di essere protagonisti. Tale protagonismo non crediamo vada disperso, ma valorizzato. Siamo ragazzi di questo paese che con fatica e piacere, quotidianamente lavorano per un paese migliore con migliaia di coetanei. Vogliamo dare vita ad un progetto politico e generazionale, che interpreti le esigenze dei giovani italiani, strutturato, fortemente territoriale, plurale nelle forme e nei linguaggi. Non ci interessano operazioni di facciata, ma la creazione di nuovi spazi con tutti i ragazzi disposti a farlo, da Enna a Bolzano, da Bari a Genova. Non ci vogliamo ghettizzare, ma offrire a questo nuovo grande partito l'opportunità di «dare priorità al futuro». La Sinistra Giovanile ed i Giovani della Margherita, le due organizzazioni giovanili di Ds e DI, sono stati strumenti importanti di rapporto con le giovani generazioni. Esse hanno promosso la partecipazione studentesca nelle scuole e nelle università, nei luoghi dell'aggregazione, nei territori, sensibilizzando una generazione su grandi temi come la pace, il lavoro, l'ambiente, i diritti e misurandosi con le grandi e piccole battaglie del quotidiano. Oggi va reinterpretato il ruolo di queste organizzazioni. Lo vogliamo fare in forme nuove, facendo all'associazionismo e dei movimenti, così come delle tante realtà che guardano con interesse alla costruzione del Pd elementi costitutivi, linfa vitale, per il nostro nuovo percorso. Lo vogliamo fare mettendo al centro quelli che il 14 ottobre hanno votato alle primarie, e quelli che ad ogni livello, con determinazione e coraggio, sono stati eletti. Siamo convinti che questo sia il modo migliore per fare vivere il Pd tra le giovani generazioni, offrendo loro una casa, un luogo in cui partecipare in maniera attiva alla vita del loro Paese. Pensiamo ad un'organizzazione che incontrerà i giovani italiani nei luoghi dove essi vivono quotidianamente. Nelle scuole, nelle università, sul lavoro, come pure nei luoghi della socializzazione e del divertimento. Per questo crediamo che sia indispensabile, a partire dai prossimi giorni, iniziare il percorso per dare vita al nuovo soggetto generazionale, partendo dagli eletti nelle varie assemblee costituenti ma sapendo che gli eletti non sono sufficienti. Per questo ci rivolgiamo alla Sinistra Giovanile, ai Giovani della Margherita, a tutte le reti associative giovanili che in queste settimane hanno lavorato alle elezioni primarie ed a tutte le ragazze e i ragazzi che il 14 ottobre hanno votato. Ci rivolgiamo a tutti i ragazzi di questo paese ed al segretario Walter Veltroni, perché ascolti la nostra richiesta di attenzione verso la nuova politica, che non può che passare per le giovani generazioni: crediamo che sia indispensabile, a partire dai prossimi giorni, costruire un comitato promotore nazionale e relativi comitati regionali. Chiediamo che siano protagonisti di questo la Sinistra Giovanile ed i Giovani della Margherita che, a partire dagli eletti nelle assemblee costituenti, costruiscano una rete per dare vita al nuovo soggetto generazionale. Per parte nostra, la Sinistra Giovanile metterà a disposizione tutte le proprie migliori risorse, la propria storia e la propria esperienza; nella convinzione che oggi più che mai le ragioni dell'impegno politico della nostra generazione abbiano senso e trovino un campo fertile e ampio in cui cimentarsi per la costruzione di una realtà migliore. Fausto Raciti e Roberto Speranza, Segretario e Presidente della Sinistra Giovanile Nazionale da veltroniperlitalia.it Titolo: Partito senza tessere, partito senza congressi Inserito da: Admin - Novembre 19, 2007, 11:52:06 am Oggi 18 novembre 2007,
Partito senza tessere, partito senza congressi Oggi 18 novembre 2007 Ieri ho fatto il mio esordio in commissione statuto del Pd, facendo il bravo scolaro, votando disciplinatamente la proposta di presidenza (Salvatore Vassallo) avanzata da Veltroni, restando buono al mio banco senza sbraitare neanche quando De Mita riproponeva la solita metafora medico-paziente (in cui il medico è il politico e il paziente è il cittadino, senza capire che ormai le parti si sono invertite), ascoltandomi sette-ore-sette di interventi il novanta per cento dei quali aveva come succo: "Vabbè, co' le primarie avemo giocato, quando li famo er tesseramento e er congresso?". Tema declinato in tutti i possibili accenti regionali. Insomma, erano le tre di pomeriggio e io mi sono alzato, chiamato al podio dal presidente, e invece di dire la battuta sulla corazzata Potemkin che sarebbe stata sufficiente, ho articolato un intervento per spiegare come si potesse fare non tanto un partito senza tessere, quanto un partito senza congressi, visto che i congressi che ho vissuto in ventidue anni e mezzo di militanza politica (e sì, il primo era del 1985 e avevo quattordici anni) sono stati tutti congressi che servivano sostanzialmente a misurare i rapporti di forza, costruiti in base a tesseramenti gonfiati o falsi. Allora, buttiamo a mare i congressi, sostituiamoli con assemblee generali a sola finalità di definizione delle priorità programmatiche (come fanno i partiti europei), e i rapporti di forza tra i gruppi dirigenti misuriamoli con le primarie, cioè con la democrazia diretta e le candidature di chi ha qualcosa da dire: candidature da sottoporre al giudizio del cittadino elettore. All'iscritto lasciamo i poteri di utilizzare gli strumenti della democrazia diretta nella vita interna: indizione di referendum, di proposte di legge di iniziativa popolare, di recall (cioè revoca della delega). Perché l'idea per cui le primarie sono un giochino mediatico, poi tornano in campo i soliti metodi, a me non va per niente. Nell'intervento sono stato anche troppo analitico, ho chiesto che nello statuto vengano inserite molte cose (tra cui un movimento giovanile del Pd, riconosciuto e ufficiale), tutto veniva ripreso in audiovideo e spero che si possa consultare da qualche parte, altrimenti qui vi annoierei. Ma sappiate che dopo di me è intervenuto Michele Salvati che ha sancito la divisione della commissione tra innovatori e conservatori. E subito dopo di lui una delegata campana che si è tanto arrabbiata e ha detto: "Non è che perché Adinolfi usa internet è un innovatore, mentre io che voglio tessere e congressi sono una conservatrice". Risultato? Riconvocazione per giovedì, altre sette ore mi sa. Segnalo come straordinario, sulle nostre posizioni, l'intervento di Enrico Morando oltre a quelli di Ivan Scalfarotto e Francesco Sanna. Insomma, siamo minoranza (per ora) ma non siamo soli. E siamo quelli che vogliono fare del Pd una cosa davvero nuova. Innovatori contro conservatori. Ha ragione Salvati. Dateci una mano, perché siamo sotto, ma ce la possiamo ancora fare. Mario Adinolfi. da marioadinolfi.ilcanocchiale.it Titolo: Il leader del Pd commenta l'annuncio del nuovo partito di Berlusconi Inserito da: Admin - Novembre 19, 2007, 07:03:14 pm POLITICA
Il leader del Pd commenta l'annuncio del nuovo partito di Berlusconi "Pronti al confronto con tutte le forze politiche interessate a un nuovo assetto istituzionale" Veltroni: "Finita stagione della Cdl Bene il dialogo, ora le riforme" ROMA - L'annuncio di Berlusconi sancisce "di fatto la fine della stagione della Cdl" dovuta anche, fra gli altri elementi, alla nascita del Partito democratico. E va benissimo il dialogo, ma "la prospettiva non è solo la discussione sulla legge elettorale, bensì un confronto sulle riforme istituzionali e un intervento sui regolamenti parlamentari". Così Walter Veltroni, al termine dell'esecutivo del Pd, commenta la nascita del nuovo partito annunciata dal Cavaliere. Quanto alla legge elettorale, torna a citare, come possibile modello di riferimento, il "Vassallum", che tuttavia già nei giorni scorsi aveva destato più d'una perplessità all'interno dello stesso Pd. "A noi - precisa Veltroni - interessa un sistema che favorisca la bipolarizzazione, a partire dal proporzionale". Cambia la geografia del centrodestra. Con l'annuncio dello scioglimento di Forza Italia nel futuro Partito del popolo, osserva il sindaco di Roma, Berlusconi "ha di fatto sancito la fine della Cdl". Cambierà la geografia del centrodestra e non del centrosinistra, quella si è modificata in modo obiettivamente razionale". E proprio il Pd sarebbe, a giudizio di Veltroni, fra i fattori che hanno contribuito a determinare "una situazione di movimento nel centrodestra, che adesso si presenta nella forma della fine della stagione della Cdl". Dialogo sull'assetto istituzionale. La prospettiva, sottolinea il segretario del Pd, "per quanto mi riguarda e ci riguarda, non è solo la discussione sulla legge elettorale, ma sulle riforme istituzionali e un intervento sui regolamenti parlamentari. Queste tre cose stanno insieme e insieme vanno affrontate". "Va benissimo", dunque, il dialogo, ma che sia "anche sull'assetto istituzionale, anche perché le riforme sono già in discussione in Parlamento". Discussione con tutte le forze politiche. Il Pd, assicura Veltroni, dialogherà con tutte le forze politiche interessate a un nuovo assetto istituzionale, disponibili ad affrontare la principale emergenza del Paese". Nessuna "corsia preferenziale" - come gli chiedono i cronisti - con Berlusconi: "Avremo lo stesso grado di cura nei rapporti con tutte le forze politiche del centrodestra". "Vassallum", soluzione possibile. La proposta Vassallo-Ceccanti, dice Veltroni, "è una soluzione possibile. Abbiamo detto a più riprese che a noi interessa la presenza di un elemento che favorisca il processo di bipolarizzazione di cui ha bisogno il nostro Paese, a partire da un sistema proporzionale. Così come succede negli altri sistemi europei. La misura e le tecnalità, le possiamo vedere. Però, l'arrivo di questa proposta politica del Vassallum - osserva Veltroni - è servita ad aprire una dialettica del tutto nuova. Nessuno, un mese fa, pensava che saremmo arrivati al punto di oggi. Si è aperta una nuova stagione politica". I tempi della riforma. Quanto ai tempi della riforma e al modello elettorale, Veltroni spiega: "Per la legge elettorale ora si tratta di verificare le posizioni dei singoli e di cercare un punto di equilibrio. Mi pare che i princìpi si vadano sostanzialmente delineando. Si tratta di tradurli in un articolato di legge ma, si è obiettivamente passati a una nuova fase". Per quel che riguarda i tempi, ovvero prima le riforme e poi il voto, il sindaco di Roma ricorda che il prossimo anno "dev'essere impegnato per fare le riforme istituzionali, la legge elettorale e la modifica dei regolamenti parlamentari. Per noi rimane questa la scadenza". (19 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: Mario Adinolfi - Berlusconi e la sfida della personalizzazione Inserito da: Admin - Novembre 20, 2007, 11:17:14 pm Ieri 19 novembre 2007, 11.20.52
Mario Adinolfi Berlusconi e la sfida della personalizzazione Ieri 19 novembre 2007, 11.12.00 Ne abbiamo discusso molto ieri durante il coordinamento di Generazione U: il tema è il ruolo della persona, dell'iniziativa individuale e direttista, del racconto di noi stessi, del nostro corpo che si fa azione politica e di conseguenza di tanti blog di singoli e gruppi che diventano progressivamente una storia collettiva. E' un modo del tutto nuovo di attrezzarsi al tempo "adveniente". Poi è arrivato Berlusconi e il suo partito del popolo. Allora, occorre che io spieghi ulteriormente la mia posizione personale, evidenziata in qualche modo nel post di ieri, ma che forse va completamente esplicitata verso questo potente fatto nuovo, che non va né irriso né sottovalutato. Io credo che dobbiamo accettare la sfida: riformare la legge elettorale e, come è ovvio dopo una riforma del genere, riportare l'Italia al voto. Per essere chiari, dobbiamo avere una priorità: battere definitivamente Berlusconi. La sua sfida è lanciata e il Partito democratico ha le condizioni per raccoglierla. Il Partito democratico, se non fa passi indietro sulla strada della democrazia diretta, è attrezzato per vincere e togliere di mezzo l'elemento di blocco della politica italiana: il Cavaliere. Sabato scorso, quando Veltroni ci ha proposto la nomina a presidente della commissione statuto di Salvatore Vassallo, ho riflettuto sul senso che aveva il voto favorevole a quella sua proposta. Il metodo era inusuale, sono abituato all'idea che un corpo sociale decide votando a scrutinio segreto, dal basso, non semplicemente ratificando una indicazione dall'alto. Eppure ho votato a favore, mentre De Mita ed altri si astenevano. Perché? Perché con le primarie del 14 ottobre noi abbiamo radicalmente modificato la democrazia interna ai partiti e abbiamo scelto, con una forma di democrazia diretta iperpartecipata, una piena legittimazione delle decisioni del leader, derivante dal cittadino elettore. Michele Salvati, intervenendo in commissione, divideva felicemente i diversi orientamenti emersi in innovatori e conservatori. Ora gli innovatori devono essere conseguenti e scegliere una forma partito non solo senza tessere, ma anche senza congressi se non programmatici, con primarie e referendum interni e diritti di revoca della delega (anche della delega al leader) al loro posto. Un partito iperdemocratico fondato sulla democrazia diretta, insomma, e non oligarchico. Ma, allo stesso tempo, con un ruolo forte assegnato alla persona del leader eletto, come avviene in tutto il mondo. Con questo leader e con con questo partito iperdemocratico, non consegnato alle risse interne, noi possiamo affrontare la sfida che ci impone Berlusconi con la nascita del suo partito populista ipodemocratico. Insomma, dobbiamo accettare la sfida della personalizzazione, con il differente processo di legittimazione della persona del leader che costituisce oggi la vera differenza tra sinistra e destra, tra partito democratico e partito populista. da marioadinolfi.ilcannocchiale.it Titolo: Alessandro Amadori: «Veltroni lo ha reso vecchio, ora Silvio reagisce» Inserito da: Admin - Novembre 20, 2007, 11:20:40 pm Alessandro Amadori: «Veltroni lo ha reso vecchio, ora Silvio reagisce»
Andrea Carugati «Sicuramente il nuovo partito di Berlusconi è una abile mossa per uscire da una situazione di impasse. Ma non va sottovalutata e tanto meno ridicolizzata. Berlusconi è un leone un po’ invecchiato, ma ha ancora la forza di schiacciare i suoi aspiranti successori». Alessandro Amadori, esperto di ricerche di mercato, dirige l’istituto di ricerche Coesis ed è autore di due volumi sulla comunicazione di Silvio Berlusconi. Amadori, perché il Partito del popolo? «In questi ultimi mesi Berlusconi ha dovuto fare fronte a due criticità: la nascita del Pd e la lotta per la successione nel centrodestra che è diventata esplicita. Con il nuovo partito Berlusconi toglie energia a chi voleva abbattere l’idolo. Da uomo di marketing sa perfettamente che Fi, come tutti i partiti della seconda Repubblica tranne Lega e Prc, è un prodotto che sta esaurendo il suo ciclo di vita. La nascita del Pd ha fatto precipitare le cose: Berlusconi non poteva più aspettare. Credo che abbia in mente un’evoluzione di tipo neodemocristiano». Il Partito del Popolo toglierà voti agli alleati? «Se ha davvero in mente un partito nazional-popolare sulla falsariga della Dc, è chiaro che toglierà ossigeno all’Udc. Anche An potrebbe soffrire un poco, soprattutto per quanto riguarda quell’elettorato moderato che Fini stava cercando di attrarre con la sua trasformazione in senso neogollista. Con questa mossa Berlusconi toglie il coltello dalle mani di Fini. Credo che riuscirà anche a intercettare qualche voto della Margherita, soprattutto se il Pd si caratterizzerà in senso liberal e di sinistra e che intercetterà una parte del non voto. Non toccherà, invece, la Lega». Dietro l’annuncio c’è già un lavoro organizzativo avanzato o è stata una totale improvvisazione? «A me pare che ci sia solo l’intuizione, la necessità di reagire a un possibile declino. Poi la macchina organizzativa seguirà. Certamente i sondaggi confortano Berlusconi nell’idea di una nostalgia per la prima Repubblica, per l’esperienza della Dc: in Italia c’è uno spirito vintage, riscoprire personalità come Andreotti e Forlani non è più un tabù». La nascita del Pd è stata decisiva per spingere Berlusconi? «Il Pd è stato un catalizzatore, ha fatto cadere il muro di facciata a destra, ha fatto esplodere le contraddizioni. L’hanno capito subito Fini e Berlusconi, ed è scattato il duello mortale tra loro. In questa fase Casini è solo uno spettatore, non ha chances per la leadership». La leadership di Veltroni ha improvvisamente invecchiato quella del Cavaliere? «Berlusconi lo ha capito perfettamente e si è messo in moto. E l’unico che ha gli indicatori di opinione che gli consentano di sfidare il leader è Fini. Però aveva bisogno almeno di un paio d’anni per completare la metamorfosi di An e per darsi un piattaforma da leader. Berlusconi con questa mossa gli ha tolto il terreno sotto i piedi, e infatti Fini, di solito molto abbottonato, è molto piccato. Da tempo se ne stava acquattato come un giaguaro, in attesa dell’attacco per sostituire il capobranco. Berlusconi l’ha costretto a scendere in campo aperto, che non è il suo terreno: perché qui vince ancora il vecchio leone, anche se ha qualche dente in meno». È possibile cambiare pelle a un partito come Forza Italia con uno schiocco di dita? «Fi è un partito anomalo, l’unica analogia possibile è col peronismo, un partito-persona. È anche una macchina aziendale. Dunque Berlusconi può rivoltarlo come un guanto. La vera difficoltà è farlo senza squagliare l’alleanza. È una mossa pericolosa, ma l’alternativa era attendere il declino. Come sempre ha scelto di rischiare e se la gioca. Altro che Brambilla, quella era solo una mossa diversiva per depistare. In fondo gli alleati che alternative hanno? O rompono o si adeguano». Dobbiamo abituarci a dimenticare Fi? «Da tempo il Cavaliere aveva messo in conto il cambio di brand: Fi non poteva più crescere e non poteva con le sue dimensioni fronteggiare il Pd. In fondo ci si abitua rapidamente: ormai non pensiamo più ai Ds, ma al Pd. E la Quercia era un partito vero... ». Pubblicato il: 20.11.07 Modificato il: 20.11.07 alle ore 8.19 © l'Unità. Titolo: «Sì alle riforme, no a grandi coalizioni»» Inserito da: Admin - Novembre 21, 2007, 03:15:56 pm LUNEDì INCONTRO TRA VELTRONI E FINI
«Sì alle riforme, no a grandi coalizioni»» Prodi: «Protocollo sul welfare: la maggioranza troverà un accordo. La Cdl? È implosa» ROMA - Discussione con l'opposizione per trovare un accordo sulle riforme, in particolare sulla legge elettorale. Discussione nella maggioranza, soprattutto con Rifondazione comunista, per cercare un'intesa sul welfare. Dopo l'incontro con Veltroni, Romano Prodi - a margine del 10° anniversario della convenzione Ocse contro la corruzione - detta l'agenda sui principali temi politici. E innanzitutto sgombera il campo da possibili equivoci e dice no «alle grandi coalizioni», chiudendo così la porta all'ipotesi, che sarebbe stata ventilata da Silvio Berlusconi, di un asse tra il Pd e il nuovo Partito delle Libertà. «Il Paese ha bisogno di riforme» ribadisce il presidente del Consiglio a chi gli chiede se l'Italia abbia bisogno di grandi coalizioni. E poi afferma che, a proposito di legge elettorale e di modello tedesco, «la discussione è in corso» (tanto che Veltroni e Gianfranco Fini hanno concordato di incontrarsi, lunedì, proprio per discutere di riforme istituzionali e legge elettorale). WELFARE E PD - Ma Prodi deve pensare anche a risolvere la grana welfare. Nella notte Rifondazione comunista ha abbandonato il tavolo delle trattative. Il premier è comunque ottimista: «La maggioranza troverà un'intesa» assicura. Poi annuncia: «Veltroni mi ha presentato il simbolo del partito, è stata una riunione rapida. Un simbolo molto bello, dove c’è la scritta Pd sotto quella dell'Ulivo. Oggi lo presenterà in pubblico». CDL IMPLOSA - Più tardi Prodi torna sull'approvazione della Finanziaria in Senato. «La mancata caduta del governo - ha affermato - ha fatto implodere la Casa delle Libertà». E sull'ipotesi di elezioni anticipate ha aggiunto: «Al voto? Ormai Berlusconi lo ripete come un disco». 21 novembre 2007 da corriere.it Titolo: Marco Damilano - Voteremo alla veltroniana? Inserito da: Admin - Novembre 21, 2007, 03:17:11 pm Voteremo alla veltroniana?
di Marco Damilano Il Partito democratico di Walter Veltroni. Il Partito delle libertà, nato dalla fusione di Forza Italia e di Alleanza nazionale. La Sinistra, sorto sulle ceneri di Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani ed ex correntone Ds di Fabio Mussi. La Lega di Umberto Bossi. L'Udc di Pier Ferdinando Casini, aperto a Clemente Mastella e altri spezzoni post-democristiani. Con gli altri partiti (lo Sdi di Enrico Boselli, Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, i radicali di Pannella e Bonino, la neonata Destra di Francesco Storace...) costretti ad aggregarsi con le forze politiche affini se non vogliono sparire. Un'Italia a cinque, forse sei, al massimo sette partiti: sarebbe questa la nuova geografia politica del Parlamento ridisegnata dalla riforma elettorale targata Walter Veltroni. Metà parlamentari eletti con i collegi uninominali e metà con la proporzionale in circoscrizioni grandi quanto una provincia: un sistema che premia i grandi partiti e le formazioni locali radicate su un territorio e penalizza i partiti medi e quelli piccoli. Ma pacatamente, serenamente, come ripete il Veltroni imitato da Maurizio Crozza in televisione, il tormentone di autunno: senza premi né sbarramenti. Un mix di modelli diversi, poco tedesco e molto spagnolo, adatto a far partire il nuovo film invocato dal sindaco di Roma per la seconda fase della legislatura, da aprire un istante dopo l'ultimo voto sulla legge Finanziaria al Senato. Mercoledì 14 novembre, mentre nella bomboniera di Palazzo Madama la maggioranza prodiana affronta l'urto di centinaia di emendamenti presentati dal centrodestra, il progetto del leader del Partito democratico, il 'Veltronellum', contende alla futura paternità di Gianfranco Fini la palma di argomento di conversazione più gettonato. "Per essere la prima carta che Walter getta sul tavolo delle trattative mi sembra un po' troppo dettagliato. Forse vuol farsi dire di no subito", si insospettisce il centrista Mario Baccini. Semplice non è, in effetti. Come ammettono perfino i suoi autori, il politologo Salvatore Vassallo e il costituzionalista Stefano Ceccanti. Una coppia che lavora insieme da vent'anni: da quando arrivarono al vertice della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici. Abitavano alla Domus Pacis, un pensionato dell'Azione cattolica, i loro amici ricordano ancora certe divertenti serate da incubo, quando, un po' per gioco un po' no, Vassallo architettava diabolici meccanismi elettorali e 'maggioranze qualificate' per regolare tra i ragazzi la vita di tutti i giorni. Dall'acquisto della frutta ai turni di pulizia. Ora il giovane professore di Bologna, su incarico di Veltroni, prova a terremotare la politica italiana dopo averlo fatto un anno fa con Ds e Margherita quando propose di scegliere i dirigenti del Partito democratico con le primarie e i gazebo. Il progetto di riforma elettorale doveva rimanere riservato ancora qualche giorno, poi il sindaco di Roma ha deciso di accelerare e di renderlo pubblico, anche perché sulla questione il Pd appena nato rischiava la sua prima spaccatura. Nella riunione del gruppo parlamentare del Senato, la settimana scorsa, è riaffiorata la più classica delle rivalità, quella che divide da sempre Massimo D'Alema e Walter Veltroni. I due si sono confrontati, sia pure per interposta persona: da un lato Nicola Latorre, il più fedele dei dalemiani, dall'altro il senatore Giorgio Tonini (anche lui ex Fuci), veltroniano, fresco di nomina nell'esecutivo del Pd. Terreno dello scontro, il modello tedesco che piace ai dalemiani, molto meno ai veltroniani. La legge elettorale è il tema del convegno di Italianieuropei del 16 novembre, scelto da D'Alema per una delle sue ormai sempre più rare uscite sul palcoscenico della politica nazionale. Invitati, tutti i big di entrambi gli schieramenti, i più interessati a tessere la tela del dialogo: il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano, il leghista Roberto Maroni. Con Veltroni chiamato a tirare le conclusioni. Modello tedesco, spagnolo o italo-spagnolo: non sono solo dispute formali. Dietro ogni schema di riforma c'è un progetto politico. Quello di Veltroni ormai è chiaro: quando sarà il momento il suo Partito democratico correrà da solo alle elezioni e stabilirà le alleanze dopo il voto. Come dice Goffredo Bettini, l'uomo-forte del Partito democratico: "Non ci faremo definire dalle alleanze che faremo, come è successo con il governo Prodi, ma stabiliremo le alleanze in base a ciò che sapremo proporre". Anche sulla legge elettorale Veltroni cerca gli interlocutori più adatti a raggiungere l'obiettivo. "La negoziabilità della proposta è data dall'interlocutore che scegli", spiega Vassallo. E già: non tutti gli interlocutori sono uguali per il Pd. Per ora non esistono simulazioni del sistema Veltroni: chi ci guadagna e chi ci rimette, insomma. Impossibile stabilire davvero il numero di seggi che ciascun partito conquisterebbe con il Veltronellum: tutto ruota su circoscrizioni elettorali che non esistono ancora. Ma fin da questo momento il leader del Partito democratico può mettere in fila il calcolo delle convenienze politiche. Il Veltronellum, così com'è, dovrebbe andare bene alla Lega: non c'è una soglia di sbarramento nazionale come in Germania (il 5 per cento), un partito fortemente radicato su un territorio può conquistare numerosi parlamentari e non è obbligato ad allearsi con nessuno. Proprio quello che chiede Umberto Bossi: sopravvivenza del Carroccio e mani libere. In più, l'approvazione di una nuova legge elettorale serve a evitare i referendum di primavera che cancellano quella attuale e che sulla Lega avrebbero un effetto letale: la costringerebbero a correre alle elezioni nella stessa lista di Berlusconi e Fini, un suicidio politico. Per motivi opposti, ragiona Veltroni, il nuovo sistema dovrebbe accontentare, almeno nelle intenzioni, anche gli appetiti di Fausto Bertinotti e di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, infatti, vedrebbe premiata la sua idea di Cosa rossa: il marchingegno escogitato dalla coppia Vassallo-Ceccanti obbliga i partitini della sinistra radicale, i Verdi, il Pdci, Sd di Mussi, a unirsi a Rifondazione, se non vogliono sparire. Insieme, con una forza che supera il 10 per cento, avrebbero la sicurezza di portare a casa un bel bottino di seggi. Il leader di Alleanza nazionale potrebbe tranquillamente andare da solo alle urne, ma ancora meglio sarebbe unirsi a Forza Italia: il Partito delle libertà, il partito unico del centrodestra su cui Fini ha puntato moltissimo, un tentativo sempre frustrato da Berlusconi. Sulla spinta di un sistema elettorale che premia i partiti maggiori, come avviene in Spagna. Così, messi in fila i vantaggi e gli svantaggi per i singoli, il partito più penalizzato, almeno sulla carta, finisce per essere, a sorpresa, l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Eppure l'ex presidente della Camera si aspettava di essere l'interlocutore privilegiato di Veltroni sulla legge elettorale: l'accelerazione e l'apertura di gioco a tutto campo l'ha spiazzato. Contava per la prossima legislatura di poter applicare a Forza Italia e al Pd la regola dei due forni, quella dettata da Giulio Andreotti in piena prima Repubblica: trattare con due schieramenti e andare con chi ti fa il prezzo migliore. E invece, con la sua legge elettorale italo-tedesco-spagnola, il leader del Pd vuole dimostrare di poter fare a meno anche di lui. Un incontro con Silvio Berlusconi non è ancora in agenda, almeno per ora, ma l'annusamento tra gli uomini del Cavaliere e quelli del sindaco è già partito. L'altra sera, a celebrare l'uscita del libro di Goffredo Bettini, seduto in prima fila al teatro Argentina c'era anche Gianni Letta: il gran consigliere di Veltroni e il gran consigliere di Berlusconi sono amici, non è un mistero. In vista del grande gioco sulle riforme il contatto tornerà buono, non c'è dubbio. Anche se sono in pochi disposti a scommetterci sopra. Anche perché Berlusconi ha già detto un chiaro no al progetto di riforma di Veltroni. "Ci fa tornare indietro di vent'anni". Perché non è questione di sistema elettorale,Veltronellum o chi per lui. Il leader di Forza Italia vuole una cosa sola: andare subito al voto. (19 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Riforme Fini Veltroni - (accordo con tutti tranne con fascisti e Berlusconi ndr) Inserito da: Admin - Novembre 21, 2007, 03:33:59 pm Riforme, Fini da Veltroni.
Bindi: proposta non pronta Il segretario del Partito democratico Walter Veltroni e il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini hanno concordato di incontrarsi lunedì 26 novembre alle ore 16 per discutere le questioni dell'attualità politica e affrontare le prospettive di riforma istituzionale ed elettorale. Il comunicato è secco, e il confronto non si annuncia di quelli facili. Gianfranco Fini infatti, che ieri se l'è presa essenzialmente con l'alleato - o ex alleato - Silvio Berlusconi, non ha dimostrato finora di aver per niente apprezzato la proposta di Veltroni su una legge elettorale "alla tedesca, un po' alla spagnola, rivisitata per l'Italia", cioè il cosiddetto "Vassallum", che invece sembra essere piaciuta al Cavaliere. Gianfranco Fini è stato però il primo, prima di Berlusconi, subito dopo l'approvazione al Senato della Finanziaria a aprire al confronto con il centrosinistra sulle riforme istituzionali. Ma la proposta fin qui avanzata da Veltroni, anche se in abbozzo, rischia di penalizzare proprio i partiti medi, dunque Alleanza nazionale in primis, se non consorziata con il nuovo "partito del popolo della libertà" lanciato da Silvio Berlusconi insieme alla mano tesa a Veltroni. Il segretario del Partito democratico, che ieri ha incontrato l'Udeur di Clemente Mastella, nel frattempo suscita dubbi e perplessità anche nella sua maggioranza. «Berlusconi deve togliersi dalla testa che si andrà a votare prestissimo», dice il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. E aggiunge: «Berlusconi non può dettare le condizioni, ma deve essere partecipe di una serie di condizioni». Commentando le aperture del leader di Forza Italia a Walter veltroni, poi precisa: «un accordo programmatico oggi può esserci «in larga misura tra Forza Italia e il Partito Democratico, ma con il concorso di altre forze». Parlando di riforma elettorale, esprime «interesse» per una terza forza non bipolare. E sollecita il cambiamento istituzionale. Da giorni è chiara ad esempio la contrarietà del Pdci alla sua ipotesi di riforma elettorale. Altri, come il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, non nascondono di preferire un sistema più "tedesco-tedesco" e meno "alla spagnola". Ossia un sistema proporzionale più simile a quello attuale in Germania con soglia di sbarramento fissata a livello nazionale e recuperi di conseguenza. Così, all'annuncio dell'appuntamento preso con Fini, mercoledì si aggiunge una battagliera Rosy Bindi che lamenta un errore di procedura. Per l'ex concorrente di Veltroni alla segreteria del Pd l'iniziativa sulla riforma elettorale dovrebbe prima raggiungere una mediazione all'interno dell'Unione di centrosinistra e solo dopo essere sottoposta al giudizio delle forze di opposizione. Dice la Bindi conversando con Corradino Mineo nel corso della trasmissione radio su Rainews24 "Il Caffè": «Non facciamo come Berlusconi che cannibalizza il centrodestra, altrimenti lasceremmo il sospetto di uno, o forse due patti segreti, o una legge elettorale che cannibalizza i partiti minori o il referendum, che significherebbe poi andare a votare comunque». Mercoledì di prima mattina, comunque, a Palazzo Chigi si è già svolto un incontro tra Romano Prodi e Walter Veltroni. Il faccia a faccia è durato circa un'ora, a partire dalle 8. Sul tappeto le riforme, a cominciare proprio da quella della legge elettorale. I due leader hanno fatto il punto della situazione, a quanto pare, proprio con il fine di trovare un'intesa di massina sui principi generali e le priorità all'interno della maggioranza per poi aprire il confronto con l'opposizione. Con Berlusconi, che all'inizio di questa settimana ha dato la sua disponibilità a discutere di riforma elettorale purché sia poi indicata una data del voto, e con Fini adesso che però ieri ha espresso una linea politica in netto contrasto con quella del Cavaliere. O meglio, prima con Fini e poi con il Cavaliere. Pubblicato il: 21.11.07 Modificato il: 21.11.07 alle ore 14.56 © l'Unità. Titolo: Pdl e Pd: potenzialità alla pari Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 08:45:45 am POLITICA
L'ANALISI Pdl e Pd: potenzialità alla pari La grande sfida è già cominciata di ANTONIO NOTO * CHE IL PDL possa essere speculare al PD lo si comprende già dal nome che Berlusconi ha voluto dare al nuovo partito. Infatti il Cavaliere farà scegliere agli elettori tra la dicitura "Partito della Libertà" o "Popolo della Libertà", ma qualsiasi sarà il risultato, ci sarà sempre il Pdl contro il Pd. Dai primi sondaggi l'espressione "Partito" sembra raccogliere un maggior numero di giudizi positivi rispetto a "Popolo". Forse questo lo sapeva anche lo stesso Berlusconi, ma mettendo sul piatto la parola "Popolo" ha forse voluto lanciare un messaggio anche a chi è ideologicamente più vicino alla destra. Alla fine, sempre che ci sia realmente una consultazione popolare sul nome, magari il "partito" vincerà sul "popolo", ma intanto, il Cavaliere avrà attirato anche le simpatie di una marginale quota di elettori di destra. E' ovviamente ancora presto per poter stimare con precisione il consenso che potrà calamitare un partito che in parte non esiste ancora (bisognerà capire quali saranno le strategie politiche nuove) ed in parte esiste già (la sovrapposizione con Forza Italia sembra evidente). Un dato è certo in partenza e diversifica il trend del mercato elettorale del PDL rispetto a quello del PD. Mentre il nuovo partito del centrosinistra è nato in flessione rispetto alla aggregazione Ds e Margherita (e, poi, ha dato segnali di crescita), oggi il Pdl non solo riconfermerebbe il voto degli elettori di Forza Italia, ma addirittura avrebbe una potenzialità di incremento di +7%, e quindi dal 28% degli azzurri potrebbe, in linea di massima, raggiungere il 35%. Se però si analizzano i valori finali in relazione alla potenzialità di incremento, la stima di voto reale e potenziale al Pd potrebbe essere simile a quella del Pdl. Il partito di Veltroni oggi può contare sul 29% dei consensi ma come potenziale elettorale potrebbe arrivare al 37%, dunque, addirittura un paio di punti sopra il nuovo partito berlusconiano. E' dunque questa la vera sfida, il Cavaliere non pensa più ad un confronto centrodestra-centrosinistra, ma ad un altro tipo di scenario: Pd contro Pdl, e, allo stato attuale, i due partiti hanno più o meno lo stesso numero di consensi, reali e potenziali. Il Gong è suonato. *(direttore Ipr Marketing) (21 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: Veltroni: "Mai parlato di grande coalizione. Nel 2008 non si voterà" Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 10:15:37 pm POLITICA
Il segretario del Pd oggi a Madrid incontra Zapatero. Il primo incontro ufficiale In un'intervista a L'Espresso precisa la posizione su riforme e legge elettorale Veltroni: "Mai parlato di grande coalizione. Nel 2008 non si voterà" Fini: "An non confluirà mai nella Cosa bianca". Il segretario smentisce di allearsi con Casini e Pezzotta Berlusconi: "Noi puntiamo al voto subito. In alternativa una legge elettorale proporzionale" ROMA - "Nel 2008 non si andrà a votare. E per il governo non c'è nessuna data di scadenza". Lo dice il segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, in un'intervista al settimanale "L'Espresso" in edicola domani. Così, dopo il rilancio di Berlusconi che dice sì alla grande coalizione degli eventuali due partiti più forti che escono da un'elezione con sistema proporzionale e invoca le urne, il segretario del Pd mette in chiaro alcuni punti. Veltroni oggi è a Madrid dove ha incontrato il premier Josè Luis Zapatero. Nel pomeriggio doveva proseguire per Sofia che ospita il congresso del Pse ma ha rinunciato per problemi di nebbia. 2008, anno delle riforme - "Il 2008 sarà l'anno delle riforme - sottolinea il sindaco di Roma -: quella elettorale, ma anche quella costituzionale già alla Camera e dei regolamenti parlamentari, pure questa importante". L'apertura di Berlusconi al dialogo è "un fatto positivo. Sino a domenica scorsa, nessuno del centrodestra voleva parlare con noi. Erano bloccati, guardavano le nuvole. Persino Fini credeva che le divisioni nell'Unione avrebbero fatto cadere Prodi!". Il Pdl del Cavaliere - "Io non sottovaluto Berlusconi - aggiunge Veltroni - Ha una sua missione e molti soldi. Però un partito può nascere una sola volta per impulso personale. Ma farne nascere un altro tredici anni dopo... Non riesco a vedere una grande capacità espansiva di questo nuovo partito" che in realtà è "sempre Forza Italia a cui è sttao solo cambiato il nome". No alla grande coalizione - "Non c'è nessuna grande coalizione, non si sta discutendo di questo. Anzi, considero un'anomalia parlarne" ha detto Veltroni a Madrid. "Per me quello che conta è il completamento del processo di riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale". Quale sistema elettorale - Dopo il turbinio di dichiarazioni di questi giorni, Veltroni torna a precisare il suo punto di vista sul modello di legge elettorale. "In venti giorni la stampa mi ha fatto partecipare a tutti gli assi possibili. La mia, invece, è semplicemente una posizione di responsabilità per dare al paese quelle certezze che da troppo tempo non ha e la velocità di cui ha bisogno". Quindi la sua proposta è di un sistema elettorale "proporzionale, senza premi di maggioranza ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi il segretario del Pd incontrerà lunedì Fini, successivamente Casini, la Lega e infine, Berlusconi. Quali previsioni? "Una settimana è lunga e può accadere assolutamente di tutto". L'agenda di Berlusconi - Il leader del Pdl intanto precisa quella che per lui sarà l'agenda politica dei prossimi mesi: "La nostra posizione è molto chiara: lavoriamo perchè questo governo cada e si possa quindi andare al più presto alle elezioni. Con questa legge elettorale oppure, in considerazione della nascita del nuovo partito, con una nuova legge in senso proporzionale". E con questo programma il Cavaliere incontrerà venerdì Veltroni. Fini: "Mai nella Cosa bianca" - "Alleanza nazionale non confluirà mai nella Cosa bianca. Noi siamo pronti a dialogare con tutti coloro che sono alternativi alla sinistra". Così, in base ad indiscrezioni, le parole di Fini durante l'esecutivo di An. Fini avrebbe quindi smentito che An sarebbe pronta a confluire nel nuovo progetto centrista di Pier Ferdinando Casini e di Savino Pezzotta. (22 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: Andreatta "Pd, è il test del fallimento incapace di attrarre novità" Inserito da: Admin - Novembre 28, 2007, 05:41:48 pm Il professore, presidente del comitato scientifico di Nomisma, boccia il continuismo emiliano-romagnolo.
"Clamoroso il caso di Bologna" "Pd, è il test del fallimento incapace di attrarre novità" Luciano Nigro Andreatta: e Cofferati ha stoppato tutto Centristi Gli ex Margherita si sentiranno lacerati tra lo strapotere Ds e tentazioni centriste Traghettatori Scommettiamo? Io non ci credo che saranno traghettatori Debolezza Il sindaco ha puntato al controllo del partito dando segno di debolezza Occasione persa Con poca spesa, qui poteva arrivare un segnale di rinnovamento «L´Emilia-Romagna sembra il test del fallimento del partito democratico come forza politica capace di attrarre energie al di fuori del vecchio ceto politico di Ds e Margherita. Clamoroso il caso di Bologna, dove Cofferati ha voluto dimostrare di controllare il partito, impedendo così anche la ricerca di una possibile alternativa». E´ sferzante il giudizio di Filippo Andreatta su come concretamente si sta organizzando il Pd lungo la via Emilia. Il professore di relazioni internazionali, ora presidente del comitato scientifico di Nomisma, figlio dello scomparso Nino Andreatta, era stato uno dei consiglieri di Prodi nella fabbrica del programma e tra i promotori del Pd. In estate, però, si è messo in posizione critica. Temeva, viste le premesse, che sarebbe nato un partito d´apparato. Molto diesse e un po´ margherita. Disse che il Pd era «sull´orlo di una crisi sprecata». E oggi, professore Andreatta? «Se dovessi valutare il neonato partito democratico sulla base di quello che è accaduto a Bologna direi che l´occasione è stata persa del tutto». In che senso? «Con poca spesa, qui poteva arrivare un segnale di rinnovamento che desse l´idea che il Pd non è soltanto il vecchio ceto politico della Quercia e della Margherita». E invece capo provvisorio del nuovo partito è l´ex segretario ds. «Il guaio è che un´alternativa non è stata neppure cercata. La partita era finita prima ancora di cominciare». La ragione? «Agli errori commessi a livello nazionale e regionale si è aggiunta la situazione tutta particolare di Bologna». Ovvero? «Dando segno di debolezza istituzionale il sindaco ha puntato al controllo del partito, imponendo il segretario, ma il Pd sarebbe dovuto nascere con un orizzonte più lungo di una sindacatura». Questo vale per tutti i sindaci. «E´ vero. Ma a Bologna la forzatura del sindaco ha spinto l´intera macchina a schierarsi per la riconferma del candidato di apparato ed è caduta nel vuoto ogni ipotesi di innovazione. Peccato, bastava così poco». Bologna non è diversa dal resto. In regione sei segretari ds e uno della Margherita su 11 sono diventati coordinatori del Pd. «Se l´Emilia è un test per il partito nazionale, il problema è serio. Significa che il Pd sta fallendo: si sta rivelando la somma di due forze e dei loro difetti». Un mese fa alle primarie hanno votato 3-4 milioni di italiani. «L´entusiasmo c´è, è evidente. Ma l´elezione dei coordinatori provinciali, purtroppo, conferma ciò che in estate temevo: la predominanza del vecchio ceto politico dei due partiti fondatori». Non era inevitabile? «Lo è diventato perché sono stati commessi tre errori. Il primo e più importante: nel 2005 quando la Margherita non ha voluto che la scelta di Prodi desse l´avvio al partito democratico. L´entusiasmo di allora sarebbe stato finalizzato alla sconfitta di Berlusconi e avrebbe dato forza al nascente partito». Non parte troppo lontano? «Gli altri due errori sono recenti. Il secondo è stata l´accelerazione voluta dai Ds a un anno dalle elezioni che ha creato confusione tra governo e partito. Un guaio in un paese dove è forte la partitocrazia. Tantopiù che il premier, carica istituzionale, non poteva sottoporsi a primarie. In questo modo era inevitabile che nascesse una diarchia». Veltroni e Prodi? Per ora il doppio potere non ha creato sconquassi nel centrosinistra. «E´ vero, per fortuna sono tra i migliori politici del centrosinistra. Perciò reggono a una tensione che è strutturale. Ma il terzo errore lo ha commesso Veltroni quando ha scelto di correre con il beneplacito delle gerarchie». Ha stravinto, però. «Aveva la popolarità per vincere comunque, così si è fatto intruppare ed è diventato un candidato istituzionale, in parte del popolo, in parte della partitocrazia. E ora i nodi vengono al pettine. Mi verrebbe da chiedergli: sull´onda di un grande successo, è contento che la maggior parte dei segretari sia dei vecchi partiti?» Veltroni ha scritto ai segretari regionali di essere preoccupato. Ma i coordinatori, gli hanno risposto, sono solo provvisori. «Scommettiamo? Io non ci credo che saranno traghettatori. Viste le premesse, c´è da aspettarsi che saranno quasi tutti segretari tra qualche mese». Ma è così terribile questa partitocrazia? Lo vede così male il Pd? «Paradossalmente le novità verranno dal proporzionale. Io sono contrario perché garantisce i ceti politici, però sta producendo spinte imprevedibili». A cosa si riferisce? «Sarà più difficile un accordo di centrosinistra come quello che ha portato all´elezione di Cofferati. E gli ex della Margherita si sentiranno lacerati tra lo strapotere dei Ds e le tentazioni centriste». (27 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Allarme nel Pd, Veltroni convoca i big Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2007, 06:51:54 pm POLITICA
Oggi il vertice per informare nel dettaglio i vertici del partito sull'incontro con il Cavaliere e i possibili sviluppi. Il premier: "Stranieri in patria" Allarme nel Pd, Veltroni convoca i big Prodi: che miseria la politica spettacolo Rosi Bindi: " Ho paura delle mani libere. E del rapporto privilegiato con Berlusconi" di GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - Spiegare, capirsi, evitare strappi, portare virtualmente tutto il Partito democratico nella stanza in cui Veltroni e Berlusconi, venerdì, hanno detto che un accordo è possibile. Il segretario del Pd convoca un vertice ristretto e riservato (e domenicale) per avere il mandato dei leader ad andare avanti sulla legge elettorale e sulle riforme. Cioè per continuare il dialogo con il Cavaliere. L´appuntamento è per stasera. Con D´Alema, Parisi, Fassino, Franceschini, Rutelli, la Bindi, Enrico Letta. Anche il presidente del Pd Romano Prodi è stato invitato. Sul piatto il racconto del faccia a faccia, le strategie per non fermarsi proprio adesso. Ma non solo. Lo scetticismo del premier è ormai palese. «Va bene confrontarsi, ma bisogna farlo con tutti. Le parti in causa sono tante e certo non ci si può limitare a valutare la soluzione che piace di più a Berlusconi», è il ragionamento irritato del Professore. Che naturalmente teme i contraccolpi sul governo, la fibrillazione dei partiti minori, vuole saperne di più sulla pregiudiziale caduta e ricomparsa ieri del voto dopo la riforma, di quella scadenza (dodici mesi) fissata dal sindaco di Roma. A quel tavolo ci saranno poi i sostenitori di un sistema tedesco puro, come D´Alema e Fassino. E sulla sponda opposta Parisi. Il ministro della Difesa applaude il leader di Forza Italia nel senso che «ha detto finalmente parole di verità sul ritorno al proporzionale». Una iattura, per il bipolare della primissima ora Parisi. Che stasera è pronto a chiedere un giudizio sulla proposta secondo lui più naturale. «La legge elettorale - dice - è lo statuto degli statuti, la madre di tutte le battaglie. Sul superamento del bipolarismo non possiamo non coinvolgere gli stessi elettori chiamati ad eleggere il segretario del Pd. Ossia fare le primarie». Veltroni si aspettava il contraccolpo. Il vertice punta a superare i dissensi nel Pd, un´eventuale fronda interna. E il vorticoso giro di telefonate di ieri e dell´altro ieri ha avuto lo scopo di sondare gli umori degli alleati. Il sindaco ha sentito D´Alema già venerdì sera. Poi Fassino e Rutelli. Una lunga telefonata con Fausto Bertinotti è servita ad avere la conferma dell´apertura cui Veltroni tiene di più, quella di Rifondazione. Il presidente del Camera vede con favore il dialogo con il leader dell´opposizione, secondo i veltroniani neanche lui ha gradito i toni critici di Liberazione sul colloquio di venerdì. Bertinotti del resto è stato il primo leader del centrosinistra a ricevere la bozza di riforma preparata dai tecnici di Veltroni. Ed è Rifondazione l´interlocutore privilegiato dei professori Vassallo e Ceccanti, autori di quella bozza. I colloqui alla luce del sole, le parole chiare degli uomini più vicini al sindaco (come Goffredo Bettini) hanno però una controindicazione. Gli «esclusi» del dialogo sono sempre più scoperti, visibili e molti stanno nella maggioranza che sostiene Prodi. Clemente Mastella e Alfonso Pecoraro Scanio bocciano il Vassallum. Enrico Boselli attacca: «Dal bipolarismo coatto al bipartitismo coatto. Qui ci vogliono portare Veltroni e Berlusconi». Chi soffre il dialogo con il Cavaliere scarica le sue tensioni sull´esecutivo. Immaginandolo sempre più prossimo alla fine. E Prodi non fa molto per scacciare questi retropensieri, evidentemente anche suoi. Alla lettura del Mulino, ieri, si è ricordato di una battuta pronunciata venerdì da Parisi a Nizza. «Povero Garibaldi - aveva sospirato il ministro davanti ai colleghi durante il summit italofrancese -. Si era battuto per unire l´Italia ed era finito straniero in patria». Già, ha risospirato Prodi citando Parisi: «Qualche volta, pensando al Pd, temo che a noi toccherà la stessa fine. Finire stranieri in patria e in più non unificare niente, anzi assistere a una nuova spartizione nel campo dell´Ulivo». Prodi lancia più di un allarme all´indomani del faccia a faccia sulle riforme: «La politica spettacolo accorcia tutto, rende tutto più misero. Dobbiamo pensare a lungo termine. Dobbiamo piantare piante, non erba». I prodiani raccolgono questi timori. La Bindi scuote la testa: «Ho paura delle mani libere». Ha paura anche «del rapporto privilegiato con Berlusconi». «Attenzione - ammonisce - non si può prescindere da un confronto sulle riforme istituzionali e dalla garanzia di una vita stabile e duratura dell´attuale squadra di Prodi». (2 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: Rutelli: «Legalità, liberalizzazioni e salari Le riforme? Si fanno con Prodi» Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2007, 10:07:13 pm «Legalità, liberalizzazioni e salari Le riforme? Si fanno con Prodi»
Rutelli: tre priorità per stare in sella Il vicepremier: «Di Berlusconi non mi fido troppo. A luglio era per il sistema tedesco, a settembre contrario...» ROMA — È domenica sera. Francesco Rutelli, vicepremier e ministro dei Beni culturali, ha appena partecipato all'incontro con Romano Prodi, Walter Veltroni, Massimo D'Alema e gli altri ottimati del Partito democratico. Allora com'è andata? Il segretario del Pd ha il vostro pieno sostegno per andare avanti sulla strada della riforma elettorale? «Bene. Via libera a Veltroni per la legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza, con sbarramento, scelta degli eletti e non liste bloccate. Puntiamo ad un bipolarismo credibile. Quello coatto è indifendibile. E attenzione alle difficoltà sociali e alla sicurezza: non basta un'agenda solo istituzionale». Ci sarà un vertice di tutta l'Unione, per tranquillizzare i leader dei piccoli partiti, da Clemente Mastella a Oliviero Diliberto? «Prodi sente e incontra quotidianamente i leader di tutta la coalizione. E giustamente ha ricordato di esserne il garante. Se vorrà riunire tutta la comitiva, siamo pronti». Prodi teme che l'improvvisa conversione di Silvio Berlusconi sia un espediente per dividere la maggioranza. I sospetti del premier influenzeranno il dialogo? «Mi pare che stia capitando l'opposto: è nel centrodestra che si è aperta una salutare fase nuova. È merito della nascita del Pd, della tenuta del governo e della volontà di fare davvero riforme indispensabili per far funzionare questo Paese». Ma lei si fida di Berlusconi? «Non troppo. A luglio Berlusconi mi disse di essere favorevole al sistema tedesco. A settembre si dichiarò totalmente contrario. Una settimana fa ha detto nuovamente sì. Oggi pare abbia cambiato di nuovo. Ma il sistema elettorale va riformato nell'interesse generale, non secondo interessi settimanali. Altrimenti si producono leggi-porcata come la Calderoli, non difesa neppure da chi l'ha voluta, scritta e votata». E Prodi si fida pienamente di Veltroni o teme di essere oscurato dal protagonismo del neosegretario? «Guardi, siamo tutti a remare sulla stessa barca. È evidente che da metà ottobre c'è un partito nuovo che si fa sentire. Dunque c'è un altro centro di iniziativa oltre a Palazzo Chigi. Ma finora Prodi e Veltroni si sono aiutati a vicenda e non vedo motivo perché accada il contrario». Se il dialogo fallisse, si tornerebbe ad un clima di verbale guerra civile? L'Italia è condannata ad essere divisa tra guelfi o ghibellini o, per dirla con D'Alema, può diventare un Paese normale? «Voglio con tutte le forze un dialogo trasparente, un bipolarismo civile. Mi batto perché le riforme sulle regole si facciano insieme. E perché i due schieramenti maggiori condividano politica estera e politiche per la sicurezza. Le pare un sogno? No, oggi ci siamo più vicini, come dimostrano le aperture all'iniziativa di Veltroni». Ma il tema del conflitto di interessi è sempre lì, come un macigno. Se lo si affronta adesso, Berlusconi potrebbe far saltare il tavolo, se lo si mette da parte la sinistra intransigente grida all'inciucio. Si va avanti a colpi di crasi: prima i Dalemoni, ora aleggia il fantasma dei Veltrusconi. «Rispetto ai neologismi di questa demo-crasia preferisco parole antiche come politica, o civiltà. Hanno una radice simile: dal greco polis, ovvero la vita nella città, e dal latino civilitas, che nasce pure dentro la città, la civitas. Ma la storia insegna che il conflitto d'interessi creava scontri pure nell'antichità... In Italia è tempo di regolarlo: con una buona legge sulla Rai e norme non punitive, europee, sui conflitti e sul sistema radio-tv. Senza, non può esserci normale civiltà del dialogo politico». Lei è stato il primo, un mese fa, a rompere il fronte maggioritario e ad invocare il sistema proporzionale alla tedesca. Ma se la riforma elettorale va in porto, quanti partiti ci saranno? «Se non sono bastati 14 anni di questo bipolarismo dominato dai capricci dei micropartiti e dalla difficoltà estrema di governare e modernizzare il Paese, cosa si cerca? Il sistema tedesco è bipolare, ma non costringe a subire il ricatto delle minoranze. Con lo sbarramento, ci saranno 5 o 6 partiti, non 55 come oggi». Al centro nascerà la «Cosa bianca»? «Ma sarà la politica a decidere! Un Pd troppo a sinistra aprirebbe spazi al centro, ad esempio. Chi vorrà aggregare in un nuovo partito dovrà, appunto, aggregare: non dividere, scindere. E gli elettori premieranno coalizioni di governo credibili, non caravanserragli». Arturo Parisi critica aspramente l'abbandono del sistema maggioritario e paventa il ritorno di nuovi «Ghini di Tacco». «È proprio il contrario. Mastella, spiritosamente, ha raccontato che i referendari gli chiedono appoggio, perché il referendum difende meglio i suoi interessi. È proprio così: più i partiti sono piccoli, più questo maggioritario fallito gli dà potere». È possibile che alla fine si arriverà al referendum? È un'ipotesi che la preoccupa? «L'unica cosa decente del referendum è che spinge alla riforma. La soluzione che porterebbe? Disastrosa. Listoni coatti per ottenere il premio di maggioranza, liste bloccate senza scelta per gli elettori: calderolum e referendum per me pari sono». Ma se Prodi cadesse, va fatto un governo istituzionale per portare a termine la riforma elettorale o bisogna tornare subito al voto? «Le riforme si fanno col governo Prodi. Dopo, non vedo altro, ma la parola andrebbe al capo dello Stato». Rifondazione chiede la verifica di governo a gennaio, adombrando l'ipotesi di un appoggio esterno. Ci sarà il rimpasto, con un Prodi bis e un numero ridotto di ministri? «Oddio, ma non sarebbe l'ora di innovare questo lessico politico della Prima Repubblica? Rimpasto, vertice, verifica, crisi, chiarimento... Chiederò all'amico linguista Luca Serianni e al professor Sabatini dell'Accademia della Crusca di suggerire parole meno consumate. Comunque, sulle eventuali riunioni di gennaio sarà Prodi a consultare e decidere». Ma non c'è il rischio che superati gli scogli del welfare e della Finanziaria il governo tiri a campare? «No, il governo vive proprio se non tira a campare. Il vero appuntamento è dal primo gennaio. Approvati Finanziaria e Protocollo welfare, non dobbiamo tirare i remi in barca. Al contrario, credo che Prodi, mentre si accelera il confronto sulle riforme, potrà lanciare le priorità per il 2008. Il governo macina e continuerà a portare avanti molte riforme, ma si tratta di indicare priorità strategiche, coinvolgenti. Credo che la scelta dovrà scaturire da un confronto nella maggioranza. Io vedo tre priorità». Quali? «Sicurezza e legalità: proponiamo sessioni parlamentari per approvare le misure che rimettano sui binari certezza della legge e della pena in questo Paese. O vogliamo occuparcene solo quando c'è un delitto orrendo, l'emozione popolare e la pressione dei media? Le nuove misure per sicurezza e giustizia — inclusa la Banca del Dna, che mi sta molto a cuore — sono già in Parlamento. Ma possiamo inserire altre norme per migliorare la funzionalità delle Forze dell'ordine, che protestano e meritano risposte. Tocca a noi fare l'agenda, pronti al confronto col centrodestra. Se la priorità delle priorità è la crescita dell'economia, dobbiamo completare e rafforzare le liberalizzazioni. Aggiungo: assieme, ci vuole un robusto pacchetto di semplificazioni. Meno burocrazia, meno passaggi amministrativi e complicazioni che costano ogni anno a imprese e famiglie come una Finanziaria. Nelle ultime settimane ho raccolto proposte da varie forze produttive e tra breve le porterò in sede di governo». Ma perché la sinistra dovrebbe appoggiare misure di questo tipo? «Perché ci sarebbe l'interesse comune ad affrontare nel contempo la terza priorità». I salari bassi? «C'è una reale sofferenza sociale tra chi ha un reddito fisso, anche per via dei rincari. Possiamo elaborare risposte credibili a difesa del potere d'acquisto per i ceti popolari. Ecco un terreno di confronto utile anche per le formazioni a sinistra del Pd». Però nel Pd, dai soldi alle tessere, tutto è confuso. Si farà il congresso? «Le primarie non sono di un secolo fa: sono passati appena 45 giorni. Sulla politica Veltroni si sta muovendo bene. Quanto all'organizzazione, si tratta di costruire un partito nuovo. Diamoci il tempo giusto. Non vedo motivo per precoci ansie congressuali». Tra i nemici di Veltroni il quotidiano «Europa» elenca dalemiani, fassiniani, prodiani sospettosi, parisiani furiosi, popolari delusi. Ma davvero qualcuno sta organizzando la fronda? «Fronda? Nel Pd facciamo largo a idee e progetti, non alle vecchie appartenenze ». Marco Cianca 03 dicembre 2007 da corriere.it Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS - Riforme, Prodi a Veltroni "Il Pd unisca e sia garante" Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2007, 10:19:26 pm POLITICA
Rutelli e D'Alema si schierano per il sistema tedesco: "Parliamo con Casini" Il premier al vertice notturno: attenti al Cavaliere, vuole andare al referendum Riforme, Prodi a Veltroni "Il Pd unisca e sia garante" di GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - Confronto in due tempi tra Romano Prodi e Walter Veltroni sulla legge elettorale, dopo il freddo degli ultimi giorni. Prima con le dichiarazioni a distanza, poi nel vertice notturno del Pd. Il sindaco difende il dialogo con Berlusconi: "Rafforza il governo, solo con le riforme l'esecutivo va avanti". Prodi però esprime tutti i suoi dubbi, a più riprese. Nel summit del Partito democratico (tre ore e mezza di dibattito) si dice "molto preoccupato per il ritorno al proporzionale". E mette in chiaro il timore già paventato in queste ore: tenuta della maggioranza a rischio dopo il faccia a faccia di venerdì. "Il Pd è nato per essere il riferimento del centrosinistra e non di una parte. Non deve dividere", è il suo avvertimento. Per parlare con Berlusconi forse il gioco non vale la candela. "Vi sembra uno che vuole dialogare", si chiede sarcastico. "Occhio al Cavaliere - insiste nel loft del Pd -. Vuole soprattutto andare al referendum". Al vertice Veltroni fa il punto dopo le consultazioni, chiede un mandato per andare avanti. Ma con cautela. Per mettere nero su bianco una proposta di legge ci vuole tempo: "Senza correre", dice il segretario. Piedi di piombo. Anche per evitare i contraccolpi non solo nell'Unione ma nel Pd (oggi si riuniscono i parisiani per valutare gli esiti di una trattativa che non li convince affatto). Ieri sono venuti fuori i nervi scoperti dentro il partito. "Io sono il garante della coalizione", dice Prodi. Un segnale di rassicurazione lanciato verso alleati, ma anche un monito per Walter. Rafforzato dalle parole prevertice. "Non sono solo io il garante - precisa - ma è tutto il Pd che garantisce anche gli altri partiti della coalizione". Il vertice di ieri sera è stato il primo vero confronto interno dal giorno delle primarie, il 14 ottobre, cioè, un mese e mezzo fa. Insieme con Prodi e Veltroni, ci sono il vicesegretario Dario Franceschini, i ministri Rutelli, D'Alema, Parisi, Bindi, Amato, Fioroni, Bersani, Chiti e Gentiloni, il sottosegretario Enrico Letta, Fassino, Bettini, Follini, i capigruppo Soro e Finocchiaro e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali Violante e Bianco. Insomma, è il vero stato maggiore del Pd. Che scavalca di fatto gli organismi nominati nelle ultime settimane, segreteria e direzione. Prodi saluta con soddisfazione la discussione nel Pd, che finora è mancata. Entrando al vertice spiega: "Di queste riunioni i partiti dovrebbero farne tante. Si è persa l'abitudine, ma si devono fare". Durante il summit serale Veltroni fa il punto della consultazione. Riferisce, domanda una mandato pieno per proseguire. "Come non vedere che il cammino delle riforme è un sostegno al governo?". Anche perché i piccoli del centrosinistra contestano il quesito elettorale. Subito dopo il suo intervento Arturo Parisi va all'attacco: "Mi meraviglio che di fronte a un tema così delicato si sia più preoccupati di evitare il referendum che di fare una buona legge". Lo spalleggia la Bindi: "Otteniamo almeno l'indicazione preventiva delle alleanze. Combattiamo le mani libere, sul serio", ammonisce. Al vertice si confrontano a viso aperto i "maggioritari" (Prodi compreso che "avrebbe lavorato sul Mattarellum") e i "proporzionalisti". Rutelli sposa la linea del sindaco: "Non è vero che le coalizione stabili vivono solo con il maggioritario, basta guardare all'Europa. È al centro che si decidono le politiche del governo, per questo dobbiamo tenere dentro la Lega e l'Udc". Con D'Alema, Fassino ed Enrico Letta, il vicepremier costituisce l'asse favorevole al sistema tedesco e al dialogo con Casini (il ministro degli Esteri ha insistito molto su questo punto). Per alcuni ieri sera è stato perciò seppellito il Vassallum caro a Veltroni e sul quale si basa il confronto con il Cavaliere (entrambi escludono un centro che sia l'ago della bilancia) spostando il Pd sul proporzionale puro senza correttivi maggioritari. (3 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: Parisi: "Walter, un voltafaccia che pagherai caro" Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2007, 10:20:53 pm 3/12/2007 (7:44) - INTERVISTA
Parisi: "Walter, un voltafaccia che pagherai caro" Il più vicino a Prodi: «A Blair dico: non spingiamo la sinistra verso il massimalismo» FABIO MARTINI Onorevole Parisi, dopo l’incontro Veltroni-Berlusconi il dubbio resta: è la fine di un’epoca segnata dal reciproco insulto («voi comunisti», «Cavaliere criminale») o siamo al tatticismo? «Se i due si riconoscono reciprocamente come leader mettendo tra parentesi l’odio reciproco, se Veltroni e Berlusconi riconoscono che non è più una tragedia se l’altro vince le elezioni, se di questo si tratta, allora possiamo tornare alla questione centrale, per cui nacque la nostra battaglia, ben prima che comparisse Berlusconi: come dare un governo all’Italia. Che è cosa ben diversa dalla preoccupazione di come ingrandire elettoralmente il mio e il tuo partito». Davvero Veltroni e Berlusconi pensano solo a questo? «Non proprio. Oggi più che mai il problema dell’Italia è avere un sistema istituzionale capace di dare un governo all’altezza dei nostri partner internazionali. Ma un governo di questo tipo deve essere fatto di fronte agli elettori. Il sistema di cui si sta discutendo in questi giorni ci riporterebbe invece a fare i governi in Parlamento e a disfarli in Parlamento». Lei è molto critico, ma se avesse il pallino in mano cosa farebbe? «Riconoscere innanzitutto il primato della riforma istituzionale. Io dico: non vogliamo nessuno dei principali modelli istituzionali, ripeto istituzionali, europei? Scegliamo allora uno dei modelli che governano l’Italia. Quello applicato ai Comuni, alle Province, alle Regioni. Il governo delle nostre città è assicurato dal sindaco eletto dai cittadini, non certo dalla regola che presiede alla ripartizione dei posti in Consiglio comunale. L’incontro Berlusconi-Veltroni potrebbe rivelarsi storico se avesse avuto per oggetto la storia del Paese. Ma un incontro che ha per oggetto la regola per ripartirsi al meglio per tutti e due i posti in Parlamento, che incontro storico vuole che sia?». Con l’offensiva veltroniana rischia di esplodere l’Unione? «No. Le due coalizioni assieme stanno, assieme cadono. Ma tutti sembrano attratti inesorabilmente dall’idea di dividersi in pace da buoni fratelli, come se una volta divisi, fosse possibile riunirsi domani di nuovo per governare davvero il Paese. Divisi una volta, divisi si resta.» Ma non le pare che Rifondazione comunista, nell’ostinato rifiuto di valorizzare i risultati ottenuti in 18 mesi, viva l’esperienza di governo con senso di colpa? Non è legittimo per Veltroni immaginare un futuro senza comunisti? «Le confesso che individuare “il” colpevole non è facile per nessuno. La verità è che ogni partito ha ceduto alla logica proporzionale della nuova legge pensando che premiava mettere l’enfasi sulle differenze. Ho presente gli errori fatti da Rifondazione, ma onestamente non si può accusarla di essere entrata nell’area di governo per ultima e poi non tener conto di questo ritardo. Mi preoccupa di più che nella trappola ci siamo caduti noi». Tony Blair vi suggerisce di fare a meno della sinistra radicale. Le pare un consiglio utile? «Quella che condivido è la sua netta condanna del proporzionale e “del potere di condizionamento che consegna alle piccole componenti”. Più che i cosiddetti radicali dobbiamo evitare il radicalismo. Ma soprattutto quella che dobbiamo evitare è, come ho detto, la tentazione di dividerci il lavoro d’amore e d’accordo spingendo loro a fare i radicali per poi rifiutare di allearci con loro a causa del loro radicalismo». Anche nel vostro vertice notturno si è svolta una discussione che si potrebbe sintetizzare così: lei pensa che bipolarismo e alleanza con Rifondazione vadano salvaguardati; D’Alema e Rutelli, che vogliono il sistema tedesco, vagheggiano una Grande coalizione; Veltroni vuole correre da solo e allearsi poi con chi gli consentirà di fare maggioranza. E’ così? «Una ricostruzione forzata, ma corrispondente in qualche modo alle posizioni». Lei è rincorso dalla fama dell’incontentabile: perché da quando Veltroni ha preso la guida del Pd, lei è così critico? «Ma non vede? In pochi giorni sono stati distrutti il linguaggio e i riferimenti concettuali cumulati in 20 anni. Noi avevamo immaginato che la “nuova stagione” del Pd potesse essere un ulteriore avanzamento di quella dell’Ulivo. Questo voltafaccia conferma il sospetto che abbiano vinto quelli che la pensano come la risposta al fallimento della stagione precedente». Meglio il referendum e il suo bipartitismo forzoso o il bipolarismo blando del «Vassallum»? E come ha fatto a convincere Mastella che lui potrebbe salvarsi dal referendum? «Quello che non mi piace è il bipolarismo “alla carta”, le alleanze decise alle spalle degli elettori. E’ appunto ciò che ho detto a Mastella. Anche per lui è meglio un confronto aperto prima delle elezioni per verificare la possibilità di un accordo di governo da sottoporre assieme ai cittadini. Altrimenti l’alternativa è tra una legge proporzionale che consenta la rappresentanza di tutti ma impedisca la possibilità di governare, e una legge che per consentire il governo tagli fuori il maggior numero di partiti possibile. La prima alternativa non va bene a me, la seconda non va bene a lui. Una che fa finta di essere l’una ma è invece l’altra non va bene né a me né a lui. Altrimenti è meglio il referendum». da lastampa.it Titolo: Goffredo Bettini - Un Partito con i piedi per terra Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 12:19:08 pm Un Partito con i piedi per terra
Goffredo Bettini Il Pd in poche settimane è stato determinante per cambiare la politica italiana. Il governo appare, seppure oggettivamente fragile nei numeri, più saldo e popolare. L'opposizione è divisa. Si è aperta una discussione finalmente concreta sulle riforme. E poi la politica, grazie alle novità messe in campo da Veltroni, pare aver ripreso il bandolo nelle sue mani; dopo che per troppi mesi banche, imprese, finanzieri, giornali e mille corporativismi di piazza sembravano aver occupato tutto il campo. Mi aspetto contraccolpi. Guai a sottovalutare la quantità e la forza di chi nella Repubblica vuole una politica debole, instabile e ancella. Ma il Pd su questo crinale combatterà. È la sua vera scommessa: rifondare la democrazia, ricostruire un patto tra gli italiani e ridare nobiltà alla politica. Su questo tante volte Alfredo Reichlin ci ha richiamato con passione e intelligenza. Ed è questo il vero nucleo del discorso di Veltroni a Torino. Contemporaneamente all’iniziativa politica stiamo costruendo il partito. Abbiamo una sede nazionale ed un simbolo. Abbiamo eletto l’assemblea nazionale, i segretari regionali, un esecutivo giovane con tante donne, il coordinamento nazionale ed i coordinatori in tutte le province. Ci sono, poi, al lavoro tre commissioni, con cento membri ciascuna, che stanno lavorando per redigere lo statuto, la carta dei valori, il codice etico. Dunque c’è già alle spalle un lavoro straordinario. E tuttavia abbiamo di fronte, ancora, compiti urgenti e difficili. Ne vedo tre principali. Mettere il Partito con i piedi per terra, articolandolo e strutturandolo tra il popolo e in tutti i luoghi dove i cittadini vivono e lavorano. Secondo: utilizzare da subito quelle straordinarie energie professionali, quelle competenze e talenti italiani, a cui il nostro progetto ha ridato speranza. E, infine: superare il più rapidamente (anche nella composizione dei vari gruppi dirigenti) la sindrome degli ex. Dobbiamo cominciare a mischiarci veramente. A sentirci tutti democratici, affidandoci a trasparenti meccanismi interni davvero aperti, che suscitino responsabilità e scelte nei singoli, piuttosto che nei gruppi e nelle cordate. Lo statuto deciderà. Ma io auspico un partito sempre più dei cittadini e degli aderenti, mobile e dinamico nella sua vita democratica e capace di incoraggiare un pluralismo ricco culturalmente e politicamente attraverso fondazioni, associazioni, pubblicazioni; piuttosto che attraverso rigide catene di comando, che alla fine hanno sempre prodotto grigi «fedelissimi» e mai menti aperte, critiche, e vivaddio autonome. Per cominciare ad operare, se ci sarà consenso, in questa direzione, mi pare essenziale impegnarci con grande energia sulla strada concreta decisa dalla conferenza nazionale dei segretari regionali. Assise di grande rilevanza e che raccoglie dirigenti (uomini e donne) eletti da milioni di cittadini. Nei mesi di dicembre e di gennaio ci siamo posti l’obiettivo di costituire in ogni parte del Paese 8.000 circoli. Sarà una grande festa della democrazia italiana. Richiameremo gli elettori del 14 ottobre e consegneremo, a chi raccoglierà il nostro appello, l’attestato di fondatore del nuovo partito. Non è affatto male che ci sia una solennità in questa cerimonia di radicamento del Pd. Perché sarà un momento alto (e per tanti emozionante) nel quale, forse per la prima volta, uomini e donne che vengono da storie diverse, o che per la prima volta vogliono iniziare una loro storia, si vedranno in faccia, cominceranno a discutere, a mischiarsi, a cercare il nuovo linguaggio unitario della riscossa repubblicana. In occasione della nascita dei circoli, i cittadini, secondo le regole che ciascun coordinamento regionale avrà deciso, potranno votare l’ampliamento dei coordinamenti federali ed eventualmente la costituzione di quelli comunali. Questa nuova legittimazione nei prossimi mesi permetterà di passare dagli attuali coordinatori transitori, a dei segretari eletti da platee più certe, rappresentative e ampie. Inoltre sarebbe decisivo, così come si farà a livello nazionale, dare vita in tutta Italia ai primi forum sulle tematiche che appaiono più urgenti e sentite. I forum, secondo me, devono essere strutture dotate di autonomia e, dove si può, di sedi. Devono essere soggetti riconoscibili pubblicamente, aperti anche ai non aderenti, presieduti da personalità di indiscusso valore. Non hanno il compito di rappresentare la linea del Partito giorno per giorno sulle varie questioni. Ad essi va dato lo spazio della ricerca di pensieri, proposte, scenari nuovi, futuri e lunghi. E tuttavia possono essere il luogo privilegiato per istruire le discussioni e i dilemmi che noi, su questioni controverse, vogliamo portare alla decisione di tutti gli aderenti e di tutti gli elettori-cittadini. I forum, insomma, dovranno cavalcare il difficile confine tra partito e società. Tra il dentro e il fuori. In un interscambio continuo, che non può che arricchire il Pd e tenerlo continuamente sulla corda delle tensioni più profonde che scuotono il Paese. Naturalmente tutto quello che stiamo facendo è provvisorio. Siamo nella fase costituente. Solo lo statuto, che si sta elaborando e che mi auguro possa raccogliere anche gli stimoli positivi di questa fase transitoria, ci potrà dire come vivremo a regime e quali diritti avranno i cittadini delle primarie e gli aderenti al Pd. Sarà quello il tempo nel quale sapremo le forme, i modi e i tempi delle nostre assisi democratiche e nel quale potremo andare, ovviamente, ad un primo congresso del Partito che aprirà davvero una seconda fase della nostra nuova storia comune. Pubblicato il: 03.12.07 Modificato il: 03.12.07 alle ore 13.10 © l'Unità. Titolo: Settimana importante per il Partito Democratico del Veneto. Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 11:30:40 pm Padova, 4 dic - Settimana importante per il Partito Democratico del Veneto.
Ieri sera si si sono insediate le commissioni Statuto e Manifesto dei Valori, alla presenza del segretario Paolo Giaretta, La duplice cerimonia si è tenuta nella sede del Pd regionale a Padova (piazza De Gasperi, ex sede Margherita). Compito delle due commissioni sarà formulare contributi di idee a integrazione del lavoro delle commissioni nazionali impegnate rispettivamente a formulare la carta costituente del nuovo partito e a definire l’universo valoriale di riferimento dei militanti del Pd. Due documenti fondamentali per la vita dell’organizzazione. Nei prossimi giorni, il sen. Giaretta ufficializzerà i nomi dei componenti della direzione politica del Pd veneto, che sarà composta da 25 persone, e insedierà i gruppi di lavoro e i forum tematici. I gruppi di lavoro sono tre: “Scuola regionale di formazione politica”, “Comunicazione” e “Veneto che sarà”; hanno carattere temporaneo e cesseranno quando avranno elaborato le proposte da presentare al partito (indicativamente in primavera). I forum tematici hanno invece carattere permanente e il loro compito sarà elaborare le politiche territoriali del nuovo partito, anche a supporto degli amministratori locali. Due, quelli nati per iniziativa del segretario: “Nuove generazioni” e “Montagna”. Altrettanti quelli sorti finora per iniziativa del territorio: “Sicurezza” e “Fisco e spesa pubblica”. Venerdì scorso, il segretario Giaretta ha incontrato i nuovi segretari provinciali del Pd, eletti dalle assemblee dei delegati sabato 24. “La squadra dei sette è uno spaccato autentico della società veneta - è stato il commento del segretario - perché vi sono rappresentate tutte le categorie produttive: l’imprenditoria privata e del terzo settore, le professioni, il pubblico impiego, il sindacato. È una squadra giovane, motivata, che saprà far crescere il Pd nei rispettivi territori”. Il primo impegno organizzativo che spetta ai nuovi segretari è l’organizzazione delle consultazioni nei Comuni per l’elezione dei segretari comunali, prevista per gennaio/febbraio. In collaborazione con 9colonne.it da HP di partitodemocratico.it Titolo: Il Pd sbarca in Europa. Ma non sa ancora dove sedersi Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2007, 11:09:29 pm Il Pd sbarca in Europa. Ma non sa ancora dove sedersi
Rinnovamento. Veltroni sbarca in Europa per parlare di Pd. «Le risposte del Novecento non sono più sufficienti ad affrontare le questioni attuali e il centrosinistra in Europa deve innovarsi», spiega al presidente del Partito Socialista Europeo Poul Nyrup Rasmussen. Il centrosinistra deve riflettere perché «negli ultimi anni i governi di centrosinistra in Europa si sono dimezzati». Secondo Veltroni devono essere tre i punti cardine del rinnovamento della sinistra: il rapporto tra immigrazione e sicurezza, l'ambiente e lo sviluppo sostenibile e la pace. Temi che vanno affrontati favorendo «l'incontro di culture diverse», facendo «convivere identità e dialogo». Rasmussen apprezza le parole di Veltroni e spiega che «dalla mia esperienza personale so che dividere partiti in gruppi differenti crea sempre debolezza e noi non siamo qui per fare questo». Certo, per rinnovare servirà tempo: «Sappiamo – afferma il leader del Pse – che non stiamo parlando di oggi, domani o Natale, ma la prospettiva è il giugno 2009». Al centrosinistra, Rasmussen augura non solo unità, ma soprattutto nuovi contenuti, e in questo, dichiara, il Pd può avere «un ruolo buono e importante». Insomma, unità, rinnovamento. Ma il nodo, si sa, è un altro. È quello che riguarda la collocazione politica del Pd all'interno del Parlamento europeo. Da un lato i liberal democratici che piacciono a Rutelli e ai margheritini. Dall’altro, il Pse che garantirebbe agli ex-ds l’ancoraggio al socialismo. Veltroni per ora nicchia. Nessuna delle famiglie tradizionali della politica europea, dice, «ha tutte le risposte a tutte le domande, perché queste sono nuove» e auspica perciò delle «contaminazioni». Poi si lascia andare a un siparietto con il capogruppo dei liberaldemocratici Graham Watson e alla domanda sulla collocazione del Pd risponde con un pronostico calcistico: «1, X, 2…». Fino alle Europee del 2009 gli eurodeputati che fanno riferimento ai due gruppi rimarranno nella loro collocazione, poi, ancora non si sa chi farà tredici. Pubblicato il: 05.12.07 Modificato il: 05.12.07 alle ore 16.44 © l'Unità. Titolo: Dove collocarsi a Strasburgo? Diciotto mesi per decidere Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2007, 11:11:42 pm 6/12/2007 - NELLE URNE DELL'UNIONE
L'euroschedina del PD Dilemma comunitario per la nuova aggregazione di centrosinistra. Dove collocarsi a Strasburgo? Diciotto mesi per decidere Proviamo a parlare del Partito democratico in valore assoluto, usandolo come modello e senza tenere conto della sua colorazione politica. Le considerazioni che ne derivano per gli asseti europei sono interessanti. Il PD nasce dal desiderio del centro sinistra di coagularsi intorno a un formula che superi le tante e dolorose divisioni e frammentazioni italiane che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, vedi scontro Prodi-Bertinotti che si contrappone a quello fra Berlusconi e Casini.. Si tratta insomma di andare oltre le differenze fra schieramenti che sono più agitati da quello che li divide piuttosto che animate da ciò che li unisce. All'interno del PD sono confluite le forze moderate di sinistra, con quelle più progressiste e votate ad un impegni sociale del centro, indipendentemente dalla cultura laica o cattolica che li caratterizza. La potenzialità della formula è dimostrata dai movimenti di aggregazioni analoghi avviati nel centrodestra (speculare in questo caso) e nella sinistra-sinistra (in versione radicale). Ieri a Bruxelles il numero uno del PD, Walter Veltroni, ha spiegato con la consueta pazienza che la sua intenzione è di "battere strade nuove nel rispetto delle identità", di trovare un punto di incontro fra culture diverse, di coniugare identità e dialogo. Questo, ha affermato, perché il nuovo secolo ha posto sfide inedite che richiedono risposte nuove che nessuna compagine o alleanza politica è in grado di formulare da solo. Non per il momento. Posto che il PD, in Italia, si collocherà a sinistra del Partito del Popolo (o come si chiamerà se si farà ) di Berlusconi e a destra della Cosa Rossa di Bertinotti & Friends, il problema compatibile con le chiacchiere di Straneuropa è dove si piazzerà a livello continentale. Attualmente il governo Prodi è sostenuto da eurodeputati che fanno parte di sei gruppi differenti. Il grosso siede però nei banchi dei Socialisti (PSE) e dei liberaldemocratici (ALDE). Cosa farà il PD? Veltroni c’ha scherzato su. "Uno, due ics" ha detto, come per sottolineare che dirlo oggi è come giocare la schedina e, del resto, a 18 mesi dall’eurovoto, non si può neanche pretendere che nel gioco tattico dei politici ci sia già una risposta. Tuttavia gli scenari possibili sono chiari: 1.Il PD entra nel gruppo PSE come vuole il suo presidente Schulz, il "kapò di Silvio" per intenderci. In questo modo si crea uno schieramento molto forte, ma per nulla innovativo. Controindicazione: la componente liberale e cattolica non sarebbe per nulla contenta. 2. Il PD conserva le divisioni. Una parte degli eletti va nel PSE e un’altra nell’ALDE. Non cambia niente, ma sono tutti contenti. Quasi tutti. Probabilmente non Veltroni. X. Il PD diventa il modello di aggregazione dell’Europa. Socialisti, liberali e democratici si mettono insieme. Cambiano nome al gruppo. Dialogano nonostante le differenti identità trainati delle esigenze comuni di "trovare le nuove risposte". Creano una forza progressista e moderata molto pesante, al punto da poter influenzare in modo significativo la vita futura degli europei. Come andrà a finire lo sapremo fra un anno e mezzo, alla vigilia dell’eurovoto del 2009. Oggi, però, possiamo giocare la schedina. La mia è che l’esito finale sarà 2, anche se X sarebbe il risultato più efficace e costruttivo. Ma l’impressione è che la politica europea, per il momento, non si sia ancora convinta a rinunciare ai vecchi schemi. I socialisti vogliono tenere in piedi il loro carrozzone, così chiedono a Veltroni di entrare nella loro casa. I liberlademocratici sono pronti anche ad accettare la divisione del Pd (mantenendo lo status quo) pur di continuare nel loro progetto e no sparire. per quanto strano possa sembrare, per una volta un'idea italiana - indipendentemente dalla sua colorazione - è più avanti dell'Europa. Che dite? 1, 2, X? Titolo: PD seconda parte - UN AMERICANO A BRUXELLES (la cronaca della giornata di ieri) Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2007, 11:12:49 pm PD seconda parte - UN AMERICANO A BRUXELLES (la cronaca della giornata di ieri)
La domanda che rimbalza di bocca in bocca è «dove collocare il Partito democratico in Europa?». La risposta dell'Americano a Bruxelles è una battuta. «Uno, due, ics» come sulla schedina, scherza Walter Veltroni, per dire che il pronostico è complesso e certamente prematuro, visto che il luogo della grande alleanza di centrosinistra nella geografia politica comunitaria sarà deciso solo in concomitanza del voto per Strasburgo del giugno 2009. I corteggiatori sono tanti, il match è appena cominciato. Possibile una fusione coi socialisti, una divisione fra quest'ultimi e i liberaldemocratici e, ancora, la creazione di una cosa nuova e mai vista che metta tutto insieme. Uno, due ics, appunto. Giochino avvincente sul quale, però, oggi si accettano più facilmente scommesse che previsioni. Veltroni sfila tranquillo nei corridoi dei palazzi bruxellese scortato dal suo "ministro degli esteri" Lapo Pistelli. Comincia la parata di prima mattina col presidente degli Eurosocialisti, Poul Nyrup Rasmussen, poi affronta l'intera delegazione del Pse, prima di passare ai liberaldemocratici di Graham Watson e finire con la delegazione di casa Pd. A tutti ricorda il processo politico che ha generato l'aggregazione di centrosinistra e, sopratutto, le sue radici, poste in un paese che «ha fatto della vocazione europea una ragione di identità e speranza». E' vero che «tagliamo le grandi famiglie politiche europee» e «capisco che il Pd possa essere difficile da decifrare». Eppure, insiste, «viviamo in un mondo che pone domande inedite: per questo dobbiamo aprire le nostre valige e cercare risposte nuove per problemi nuovi». Nella consapevolezza che le soluzioni «si trovano spesso al crocevia fra le identità». L'idea ricorrente del segretario del Pd è che bisogna delineare un campo di gioco diverso dal passato in cui «far convergere le forze socialiste e democratiche». Europee e non solo. L'Americano a Bruxelles traccia esplicitamente un terreno di dialogo mondiale sui cui vede confrontarsi anche i democratici statunitensi, quelli indiani e giapponesi. Un'aggregazione senza confini che sia «punto di incontro fra culture diverse» perchè i problemi sono gli stessi per tutti. Il Partito democratico «non è un modello ma un'esperienza», sottolinea. Ma questo non risposte alla domanda iniziale. Socialisti, Alde o tutti e due? La linea del Pse è palese. Il presidente Martin Schulz, dice secco «sono disposto ad aprire il gruppo, ho fatto tutto quello che potevo, sta a voi decidere dove volete andare». «Credo che sarà possibile continuare a camminare insieme - apre Watson -; da questo punto di vista, l'Alde è stato un apripista in Europa come incontro di soggetti di diversa estrazione che condividevano la stessa visione politica per il futuro». Veltroni non si sbilancia più di tanto, tuttavia sogna qualcosa di più ambizioso. «Noi - dice - spingeremo per la costruzione di un campo comune dei socialisti e dei democratici». La sua impressione è che con Schulz, quello che goffamente aveva invitato il Pd a «sottoscrivere il programma», si possa dialogare. «Mi pare che nel gruppo socialista stia maturando la consapevolezza che c'è bisogno di apertura verso nuove forze». Ci vorrà tempo. Intanto, sino al giugno 2009, gli uomini del Pd resteranno dove sono, chi nel Pse, chi nell'Alde, «per rispettare il loro patto con gli elettori». Veltroni vuole unire e avverte che nessuna delle famiglie tradizionali della politica europea «ha tutte le risposte a tutte le domande». A sentire i commenti nei corridoi si capisce l'interesse per il Pd. Progetto nuovo, se funziona. Certamente diverso, almeno sulla carta, da ogni altri schemi dei tanti Schulz e Watson che vivono sull'asse Bruxelles-Strasburgo. La difficoltà di trovarsi è anzitutto un travaglio di sintonie. Ps. Lo sapevate che nell'apparato dei socialisti europei sopravvivono zelanti e inespressivi funzionari di scuola ortodossa comunista in stile Frattocchie che, per di essere ligi all'ordine e al regolamento, si prendono la briga di allontanare i giornalisti connazionali che (effettivamente in barba ai divieti ma, ragazzi, questa è la vita) cercano di seguire le riunioni politiche per capire cosa accade e raccontarlo ai lettori? I Vopos sono ancora fra noi. da lastampa.it Titolo: Maria Zegarelli - Zanda: «Binetti ha sbagliato Deve restare, ma il Pd è laico» Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 07:24:53 pm Zanda: «Binetti ha sbagliato Deve restare, ma il Pd è laico»
Maria Zegarelli Per chi la politica l’ha sempre conosciuta ed ha collaborato anche con un democristiano del calibro di Francesco Cossiga, comportamenti come quelli della Binetti sono difficili da condividere. Luigi Zanda, senatore del Pd, dice «rispetto la mia collega ma non condivido il suo voto contrario alla fiducia al governo». Ma la Binetti deve andarsene dal Pd? «Detesto la sola idea che se ne vada», risponde Zanda. «Adesso dobbiamo pensare al futuro del partito, dobbiamo avere il coraggio, davanti a leggi che riguardano grandi temi, di pensare al bene del Paese». E una norma contro le discriminazioni, compresa l’omofobia, dice, è il bene del Paese. Senatore, non c’è il rischio che la Sinistra Arcobaleno sia più chiara e netta del Pd sui diritti civili e la laicità? «La nascita di questa federazione a sinistra del Pd è uno degli effetti positivi del Pd, perché è un ulteriore contributo alla chiusura di un’epoca di frammentazione e separazioni. Il problema di come la politica deve affrontare e risolvere le grandi questioni etiche, morali, civili, che ci presenta il terzo Millennio si risolve dialogando e confrontandosi con molta franchezza, ma decidendo, alla fine, con coraggio. Noi del Pd, dobbiamo sapere che siamo un partito a vocazione maggioritaria che lavora per il bene del Paese. Ogni volta che votiamo è al bene del Paese che dobbiamo pensare e sono convinto che l’Italia abbia bisogno anche di una norma contro ogni forma di discriminazione, per questo l’ho votata a prescindere dagli errori tecnici della sua formulazione». Mussi da sinistra ha detto: “vedo il Pd e sono contento di essere qui. Mi chiedo come è possibile che in uno stesso partito ci siano Paola Binetti e Paola Concia”. Le giro la domanda. Come è possibile? «Mi sembra che questa domanda vada rivolta a Concia e Binetti. Ho letto le loro dichiarazioni delle ultime ore: mi sembra che entrambe vogliano stare nel Pd e che continuino ostinatamente e positivamente a voler discutere». Zanda, ma ammetterà che la questione c’è: una senatrice del Pd non ha votato la fiducia al governo su una norma contro l’omofobia... «Credo che queste questioni vadano giudicate molto più nel merito di quanto si sia fatto finora. Se Paola Binetti voleva manifestare un suo dissenso dal provvedimento ma voleva confermare la sua presenza nel partito e nel governo, come ha detto subito dopo, sarebbe stato meglio se avesse votato contro il provvedimento e a favore della fiducia. La questione è che secondo Binetti questa norma potrebbe costituire un primo passo verso l’approvazione dei matrimoni tra omosessuali e verso l’adozione da parte di omosessuali. Credo che la teoria del piano inclinato sia un errore parlamentare. Ciascuna norma deve essere letta per quel che è e per quel che dice, non si possono fare processi alle intenzioni che in questo caso, tra l’altro, sono sbagliate. Se non si commettessero errori di questo genere molte cose sarebbero più semplici. Paola Concia pone una domanda giusta: “la Binetti può accettare che qualcuno mi insulti in quanto donna omosessuale?”. Sono certo che la stessa Binetti non lo voglia». Ma tutto questo come si concilia con un partito che si professa nuovo, laico e che individua l’autonomia della politica come valore fondante? «La laicità non chiede a nessuno di rinunciare ai propri valori: chiede a tutti di avere per i valori degli altri lo stesso rispetto che si richiede per i propri. Penso che questo debba essere il segno distintivo del partito democratico». Il ministro Fioroni ha detto che ai cattolici del Pd non basta una stanza. Concorda? «Il Pd è appena nato e mi sembra che le dichiarazioni di Walter Veltroni facciano capire che questo partito è nato per unire e non per dividere. Fioroni forse voleva intendere che bisogna tenere conto dei valori cattolici, ma questo è fuori questione. Neanche io starei in un partito che non tenesse conto dei valori cattolici, ma non starei neanche in un partito che non tenesse conto dei diritti degli omosessuali, delle minoranze. Credo, d’altra parte, che sia un dovere di ognuno, ma prima di tutto dei cattolici, quello di combattere le discriminazioni, anche per l’orientamento sessuale, oltre che per le minoranze. È la Chiesa la prima a condannare le discriminazioni». Si parla di una telefonata di monsignor Betori alla Binetti prima del voto in Senato. Se fosse vero, non la riterrebbe una ingerenza? «La Binetti ha detto di non avere ricevuto alcuna telefonata ed io le credo, ma se così non fosse non sarebbe una buona cosa, perché al momento della decisione i parlamentari non debbono subire condizionamenti». Pubblicato il: 10.12.07 Modificato il: 10.12.07 alle ore 8.14 © l'Unità. Titolo: Veltroni: «Io porto la croce, altri urlano» Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2007, 11:28:53 pm Il segretario del Pd: «A Gennaio tutte le condizioni per rilancio del governo»
Veltroni: «Io porto la croce, altri urlano» Riforma elettorale: «Guardo all'interesse del Paese, altro che inciucio o legge truffa. Nessuno può porre veti» ROMA - Walter Veltroni si toglie alcuni sassolini dalle scarpe, parlando, senza citarli, di alleati e avversari sulla riforma elettorale. «C'è chi urla e c'è chi, come me, porta la croce», ha detto il segretario del Partito democratico inaugurando la nuova sede del Pd a Roma. «Faccio finta di non vedere il teatrino di questi giorni, anche con parole sguaiate come inciucio o legge-truffa. C'è chi urla e chi porta la croce: noi ci ritroviamo nella seconda parte di questa espressione, perché guardiamo all'interesse del Paese». Il sindaco di Roma ne ha per tutti, non solo per gli alleati, e critica le posizioni Fini, Casini ma anche gli attacchi di Mastella. «A nessuno è consentito dire "o così o niente", perché così non si discute e il rischio è che alla fine non ci sia niente. La democrazia italiana sta male e noi vogliamo cogliere veramente questa opportunità per fare uscire gli italiani dal tunnel della crisi democratica con le tre riforme che abbiamo proposto». Veltroni ritiene che la bozza Bianco (la proposta di riforma elettorale depositata alla Camera che prevede in sostanza un proporzionale alla tedesca con alcune modifiche) sia «un buon punto di partenza e va nella direzione giusta». GOVERNO - L'ipotesi di un vertice all'interno della maggioranza «che è responsabilità del presidente Prodi, penso che debba avvenire sul tema complessivo dell'azione di governo perché se si sta al governo si sta coerentemente e lo si sostiene», ha aggiunto Veltroni accennando alla verifica chiesta da Mastella. «Non può esserci un Paese in cui i ministri si alzano in piedi e dicono "domani è un altro giorno". A gennaio ci sono tutte le condizioni per avere un rilancio dell'azione di governo. Se si vuole fare sul serio, ci si siede al tavolo e si cerca una soluzione». 11 dicembre 2007 da corriere.it Titolo: Maurizio Migliavacca - Pd, un partito da costruire tutti insieme Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2007, 11:34:33 pm Pd, un partito da costruire tutti insieme
Maurizio Migliavacca Il 14 ottobre ha rappresentato un grande evento di partecipazione democratica senza precedenti. Ad esso hanno contribuito decine di migliaia di iscritti ai Ds e alla Margherita e semplici cittadini con un notevole impegno organizzativo e finanziario. Ora siamo entrati nella fase di costruzione del Partito democratico. Anche per questo è importante accelerare il passo per lasciarsi presto alle spalle incertezze e precarietà organizzativa per andare avanti verso il partito nuovo. Un partito aperto agli elettori con una base associativa di aderenti per i quali siano definiti diritti e doveri significativi. La recente decisione assunta dalla conferenza dei segretari regionali per la promozione e la costituzione di ottomila circoli del Partito democratico è senz’altro un fatto importante. Un punto fermo è dato dall'elezione diretta del segretario nazionale e dei segretari regionali e delle rispettive assemblee. Tuttavia, non sarà certo cosa facile articolare lo Statuto se contro i fantasmi, troppo spesso ambiguamente evocati da diversi protagonisti, delle tessere (i signori), dei voti (l’elettoralismo), del pluralismo (il correntismo), non è resa chiara l’ispirazione politica e culturale e le regole conseguenti che dovranno essere approvate per animare la vita del partito nuovo. Mi riferisco in particolare, e non sembri così ovvio, all’assunzione piena dei caratteri democratici e liberali delle regole e, in questo contesto, alla ricerca della forma partito che può essere più adeguata ai tratti peculiari della storia d’Italia e alle aspettative di una società individualizzata: il Pd come partito della riforma della democrazia italiana (democrazia governante) che si ispira all’idea di un riformismo partecipato. Ricordo, come promemoria, che la differenza di fondo tra la destra e la sinistra democratica e riformista è quella, per quest'ultima, di considerare la cittadinanza come forma permanente di coinvolgimento e partecipazione politica: i cittadini non sono solo spettatori degli avvenimenti che condizionano la vita presente e che ipotecano il futuro. Mi sembra, a questo punto, rilevante trovare forme più stabili di collegamento con la base elettorale delle primarie: così come è avvenuto il 14 ottobre, agli elettori che si riconoscono in un albo pubblico va attribuito il diritto di decidere delle grandi scelte del Pd. Altrettanto significativo sarà dare agli aderenti, in nuovi contenitori organizzativi, il ruolo che gli spetta di promotori dell'iniziativa politica e il diritto di formare le proposte da sottoporre all'approvazione o alla scelta degli elettori attivi. Gli aderenti, quindi, come soggetti attivi della partecipazione, che strutturano con un confronto democratico, anche di tipo congressuale, le proposte, e gli elettori come soggetti delle più importanti decisioni: la leadership e le grandi opzioni politiche e programmatiche. Da questo punto di vista l’elezione dei segretari regionali con lo stesso metodo di quella del segretario nazionale è essenziale per dare al partito nuovo un coerente carattere federale. Una ispirazione questa che corrisponde alle diversità del nostro territorio, alle sue molteplici vocazioni e che è resa efficacemente praticabile se orientata dalla sussidiarietà, se in altri termini la soluzione e la gestione dei problemi si affrontano il più vicino possibile là dove questi si pongono. Diviene allora ineludibile l’autonomia politica, organizzativa e finanziaria della dimensione regionale che dovrà esprimersi nella concertazione delle alleanze politiche, nella determinazione di quote di partecipazione agli organismi nazionali, nella organizzazione territoriale del partito, fatti salvi i diritti e i doveri degli elettori e degli aderenti e l'obbligatorietà di costituire unità territoriali di base in ogni Comune. Il profilo, insomma, di un partito nazionale su base federale, di un partito di governo che decide di scegliere i candidati alle cariche monocratiche e i parlamentari con il metodo delle primarie e che prevede nei propri organi dirigenti una rappresentanza degli eletti da loro stessi indicata. Cosa certa è che bisogna approvare il Manifesto, lo Statuto e il Codice etico nei tempi indicati a Milano per portare a compimento la fase costituente e mettere a regime la vita del partito nuovo, sulla base delle regole che ci saremo date. Formalizzare le regole della vita di un partito è una cosa seria. Richiede dialogo e partecipazione. Anche per questo, insieme ai lavori della Commissione Statuto, decisivi per giungere a soluzioni unitarie, è importante promuovere una ricerca culturale e politica più ampia, una discussione larga e impegnativa nel Paese. Per uno Statuto che corrisponda il più possibile alle decisioni che abbiano assunto nel compiere la scelta del Partito democratico. Pubblicato il: 11.12.07 Modificato il: 11.12.07 alle ore 12.52 © l'Unità. Titolo: PD: Tonini: "Vogliamo dare al paese la leadership democratica" Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2008, 06:32:40 pm La Nuova Stagione.
4 gennaio 2008 Tonini: "Vogliamo dare al paese la leadership democratica" Tiene il punto Giorgio Tonini. L’esecutivo del Pd fa quadrato intorno al vertice del partito. Dario Franceschini ha rilanciato il presidenzialismo alla francese, già sponsorizzato a Milano nella prima uscita ufficiale di Walter Veltroni. Ma a chi, come D’Alema, chiede se il Pd sia impazzito, Tonini replica che è ora di scoprire i giochi: «Noi vogliamo dare al Paese la leadership democratica. L’accordo di tutti non è possibile, bisogna trattare». L’intervista di Franceschini sa più di boicottaggio del dialogo che di apertura... No... Le reazioni sono surreali. Franceschini si è limitato a ricordare qual è il punto di partenza del nostro ragionamento. Il Pd è nato per affrontare il problema di fondo del Paese che è la carenza di leadership democratica. Quando Prodi ha incontrato Zapatero e Sarkozy ha confessato la sua invidia per chi ha i poteri come la Francia e la Spagna. Noi dobbiamo trovare soluzioni per dare al Paese quella leadership che non ha, sia dal versante forma di governo sia per la forma partito, Allora perché D’Alema vi ha chiesto se siete «impazziti»? Io trovo surreali infatti le reazioni di D’Alema. Ma perché iniziare a confrontarsi con Berlusconi su un altro sistema, se poi si torna al francese? Così pare un boicottaggio del dialogo... Non c’è nessun boicottaggio. Siamo stati accusati di aver venduto tutto, perfino l’anima, a Berlusconi. Ora dicono che facciamo saltare il tavolo... Noi siamo disposti ad abbandonare il sistema francese, purché ci siano i correttivi proposti da Vassallo. Ma quella per noi è la mediazio- ne, non la proposta di partenza. Quanti vogliono il sistema tedesco devono anche loro fare mediazioni e non fermarsi alla soglia di sbarramento, altrimenti stiamo fermi anche noi sul sistema francese. Un ragionamento che per D’Alema non fila... D’Alema mi risulta abbia sempre condiviso la nostra prima proposta del modello francese. Non vorrei che ci fosse una confusione tra il fine e il mezzo, perché a cosa deve servire il dialogo sulle riforme? A produrre una buona riforma o il referendum? Ma aver bloccato il dialogo rende il referendum inevitabile. Pare non vi dispiaccia. Il referendum non risolve tutti i problemi, magari...Non lo temiamo, ma non è la soluzione. Le gare, poi, si decidono negli ultimi cento metri, l’accordo è ancora possibile, per questo Franceschini ha ricordato i termini della questione. Eppure non solo D’Alema ha capito altro. Berlusconi legge l’intervista come un regolamento di conti nella maggioranza. È chiaro dal suo punto di vista... Ma se era disponibile a trattare con Veltroni? Noi sappiamo che sul sistema francese c’è il consenso di An. Fi preferisce i correttivi al sistema tedesco... Ma il punto è trovare un sistema che produca leadership democratica, lo ripeto. Non sarebbe stato meglio parlarne prima nel vertice del 10? È stato solo ricordato questo punto mentre si cerca l’accordo su un altro modello, per dimostrare che noi stiamo mediando. Non lo ha capito nessuno. Si sono infuriati tutti, dai partiti piccoli a D’Alema...O forse anche D’Alema ha una strategia diversa? Questo lo dice lei. Il modello tedesco in Italia porta alla grande coalizione, che a noi non va bene. Neanche An vi ha creduto. Chi vuole l’accordo venga a trattare. Non per evitare il referendum, ma per fare una buona legge elettorale. Roberta D'angelo da www.veltroniperlitalia.it Titolo: Veltroni: «Il Pd correrà da solo» I piccoli: mina la maggioranza Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2008, 11:12:37 pm Veltroni: «Il Pd correrà da solo» I piccoli: mina la maggioranza
Rifondazione: sfida positiva per sinistra Il Pd balla da solo. Il segretario del Pd Walter Veltroni in un convegno a Orvieto precisa la sua strategia. «Quale che sia il sistema elettorale, o il testo Bianco o il referendum o l'attuale legge elettorale – ha detto senza mezzi termini – voglio dire con chiarezza che il Pd si presenterà con le liste del Partito democratico. E se Forza Italia avesse il coraggio di fare altrettanto – invita Veltroni – sarebbe un enorme conquista per la democrazia italiana». Non si può approvare la legge elettorale da soli, senza Berlusconi, afferma Veltroni. La questione è di principio: «O la Cdl che approvò da sola la legge elettorale – ha detto – o la strada giusta è il dialogo con le principali forze dell'opposizione» condito dall’annuncio che il Pd correrà da solo. Nella maggioranza Riforndazione comunista raccoglie la sfida. Il segretario Franco Giordano commenta così: «Penso che la sfida lanciata da Veltroni vada raccolta positivamente. Si apre un confronto - prosegue - tra due modelli diversi di governo e di trasformazione della società. La decisione del Pd di correre da solo alle prossime elezioni rende ancora più urgente e imperativa la necessità di dare vita a un soggetto unitario e plurale della sinistra, che deve raccogliere la sfida lanciata oggi da Veltroni. E anche per questo - conclude Giordano - è fondamentale varare in Parlamento una legge elettorale che permetta a soggetti portatori di modelli diversi di aggregarsi». Russo Spena che «al nuovo soggetto a sinistra va impressa la spinta propulsiva necessaria a renderlo in grado di una reale competizione con il Pd». Ma per farlo, serve «una legge elettorale in grado di produrre democraticamente la diversità, non di annullarla». I piccoli dell’Unione la prendono malissimo. «Gli facciamo tanti auguri – ironizza il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Monelli – ma ci pare che non sia d'aiuto al governo Prodi». Meno ironico il socialista Roberto Villetti che «ha l'impressione che Veltroni sia molto più preoccupato di far vincere il Pd all'interno del centrosinistra contro i suoi stessi alleati che non nel paese». Ma anche Rosi Bindi, che “piccola” non è, è furibonda con il suo segretario: «Ma ci volete interpellare? - è sbottata – Prima ci si è messi d'accordo con Berlusconi, poi si è convocata la coalizione... Mi domando quando si convocherà il partito! Si convochi l'assemblea costituente, si discuta, si decida e noi saremo come sempre i più disciplinati. Ma è difficile – ha ammesso – richiamarci al senso di responsabilità senza avere potuto partecipare alle scelte; anzi, avendole imparate dalle conferenze stampa». Veltroni risponde al volo: «Il Pd non è una minaccia per il governo: quello che si deve fare si deve cercare di farlo con questo Parlamento – spiega a proposito delle riforme – e dunque tenendo conto del fatto che esiste un governo e che è nostro interesse e nostro obiettivo consentire che vada avanti». Pubblicato il: 19.01.08 Modificato il: 19.01.08 alle ore 18.16 © l'Unità. Titolo: Silvio fa da sponda a Walter: voto anticipato, ma solo nel 2009 Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2008, 04:41:49 pm Dietro le quinte
Caso rifiuti, spunta l'ipotesi della fiducia Silvio fa da sponda a Walter: voto anticipato, ma solo nel 2009 E' la stretta finale. Walter Veltroni, con le parole pronunciate a Orvieto (e concordate con i maggiorenti del Pd, come D'Alema e Rutelli), ha inteso imprimere un'accelerazione alla legge elettorale sperando nella sponda di Silvio Berlusconi. Il quale non si sbilancia. E manda segnali controversi. Un giorno fa trattare i suoi sulla «terza bozza» Bianco, il giorno dopo fa sapere di volere il «referendum o le elezioni», e quello dopo ancora torna trattativista. Dall'Umbria comunque il segretario del Partito Democratico non ha voluto mandare — com'è apparso a Rifondazione comunista in un primo tempo — un monito al Prc. Walter Veltroni ritiene che anche con il referendum Fausto Bertinotti possa organizzare la Cosa rossa e che le due sinistre possano poi collaborare, in caso di vittoria, al governo. Così, almeno, si è premurato di far sapere lo stesso sindaco di Roma a Rifondazione onde evitare equivoci e confusioni. Ma il vero problema per il segretario del Pd è il leader di Forza Italia. Silvio Berlusconi attende mercoledì, quando si voterà la mozione contro il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. Che accadrà in quel caso al governo? Prodi starebbe meditando di mettere la fiducia sul governo, per salvare sia il titolare di quel dicastero che il suo esecutivo. Contatti in questo senso ci sono stati anche con il Quirinale per capire come la pensasse Giorgio Napolitano. «I numeri ci sono», dicevano l'altro giorno i prodiani. E una politica avveduta (nonché sostenitrice del presidente del Consiglio) come Rosy Bindi faceva osservare: «Non credo che succederà niente. Rifondazione non farà cadere il governo sui referendum, anche se Veltroni poteva evitare di dire quelle cose perché così li ha chiaramente provocati. Mastella con i quesiti referendari secondo me non ha problemi: tratterà su quanti posti devono avere i suoi parlamentari alle prossime elezioni. Insomma, il governo andrà avanti. E diciamoci la verità, in queste condizioni solo un personaggio come Romano è in grado di farlo continuare a vivere». Ma c'è chi ritiene che la sopravvivenza di questo esecutivo sia dovuta anche a un altro motivo. O, per essere più esatti, a un'altra persona: Silvio Berlusconi. «Il Cavaliere — spiegava l'altro giorno ad alcuni colleghi della coalizione il sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi — ha capito che ora c'è il rischio di un governo istituzionale o tecnico e lui invece vuole andare alle elezioni con Prodi nel 2009 perché ritiene che tra un anno il governo sarà ancora più debole. Non solo: se ci va nel 2009 sarà il Parlamento eletto in quella data a nominare il capo dello Stato. E siccome Berlusconi è convinto di stravincere pensa che in questo modo dopo palazzo Chigi potrà andare al Quirinale». Ma è vera questa interpretazione? Ancora una volta i segnali che Berlusconi invia sono contrastanti. Pubblicamente dice di voler andare alle urne al più presto e lo ripete in privato anche agli alleati. Ma in alcuni conversari riservati ha spiegato che l'idea di un «Prodi sotto schiaffo e debolissimo, sfiancato da un anno in cui ogni giorno la maggioranza va in fibrillazione per qualcosa » non gli sarebbe nient'affatto sgradita. Come gli piacerebbe l'ipotesi di finire la sua avventura politica al Quirinale. Anche nel Partito democratico, com'è ovvio visti i tempi non facili che corrono, si discute dell'eventualità che Prodi possa cadere. «Rifondazione pur di evitare i referendum potrebbe andarsene», è il ragionamento che Veltroni è solito fare ai compagni di partito e agli alleati. Ma nel Prc non si respira quest'aria. Un conto sono gli avvertimenti (privati e pubblici) di Fausto Bertinotti nei confronti del presidente del Consiglio, altra storia è decidere di staccare veramente la spina al governo Prodi dopo il «peccato originale» del '98. Rifondazione comunista non lo farà (e di questo, in realtà è convinto pure lo stesso premier). Ma se il governo dovesse crollare in queste condizioni Veltroni, che in un primo tempo, non sembrava contrario alle elezioni nel 2008, ora ha mutato idea. Anche perché il «patto tra gentiluomini» che aveva fatto con il Cavaliere, secondo il quale Pd e Forza Italia si sarebbero presentati da soli, potrebbe non reggere. Allora meglio un governo tecnico per fare i referendum o la legge elettorale e poi andare alle elezioni nella prima primavera del prossimo anno. La data del 2009 è stata pronunciata nei colloqui che ci sono stati tra il sindaco di Roma e il leader di Forza Italia. Il 2009, tutto sommato, potrebbe andare bene a entrambi. Ma il Cavaliere vuole arrivarci con Prodi al governo. Veltroni no. Maria Teresa Meli 20 gennaio 2008 da corriere.it Titolo: I talenti italiani per il Pd Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2008, 05:21:44 pm 19 gennaio 2008
I talenti italiani per il Pd Saranno migliaia gli appuntamenti previsti dalla campagna di insediamento dei Circoli territoriali del Pd. Sono stati presentati da Walter Veltroni e Dario Franceschini assieme al coordinatore della fase costituente Goffredo Bettini, il responsabile Organizzazione Andrea Orlando e la responsabile Sapere Maria Paola Merloni. «Il Pd, le cui forme future saranno definite con l’approvazione dello Statuto nei prossimi giorni – ha spiegato Bettini – è e sarà un partito nuovo e innovativo ma sarà un partito. Un partito che darà forza ai diritti degli elettori e riconoscerà però i diritti di chi ha deciso di impegnarsi nell’attività quotidiana». «I circoli – ha sottolineato – sono la base del Pd, il modo di stare dentro il Pd. Questo partito ha cominciato a lavorare e vuole intervenire da subito sulle grandi questioni che interessano gli italiani, dalla sicurezza alla competitività. E, - ha aggiunto – i Circoli saranno anche i luoghi dove si mischieranno e incontreranno coloro che hanno militato per anni nei Ds e nella Margherita e coloro che per la prima volta, lo scorso 14 ottobre, hanno dichiarato con il voto di voler partecipare alla vita del Paese». A sostenere questo spirito c'è la disponibilità di centinaia e centinaia di “talenti italiani” , che consegneranno gli attetstai di soci fondatori a coloro che hanno votato alle primarie: Massimiliano Fuksas, che ha voluto testimoniare la sua «adesione a un progetto nuovo che riporti serenità al Paese», Ettore Scola, Lucio Dalla,Ignazio Marino, Sabrina Ferilli, Umberto Veronesi. Ed ancora Massimo Carraro, Simona Dalla Chiesa, Maria Falcone, Luca Barbarossa, Raoul Bova, Carmine Donzelli, Carlo Lizzani, Corrado Guzzanti, Simona Marchini, Lidia Ravera, Carlo Ghezzi, Paolo Taviani e molti altri. A Viareggio sono stati già aperti 6 circoli e consegnati 1800 attestati su 3000 votanti alle primarie, superando quindi di gran lunga la somma degli iscritti precedenti ai due partiti Ds e Dl (500 iscritti). Ma l’obiettivo è molto più arduo: 8500 sedi con un numero certamente superiore alla somma dei due partiti di origine. «Il Pd – ha quindi esordito il segretario nazionale Walter Veltroni - è un partito nuovo davvero. Lo Statuto lo dimostrerà». «Siamo contenti – ha aggiunto - di lavorare con la costante attenzione, quasi da entomologi, per accompagnare i primi passi di questo partito. Ma soprattutto – ha sottolineato - siamo contenti per il lavoro fin qui svolto. In quattro mesi, perfettamente nei tempi che ci eravamo imposti, abbiamo costruito un percorso che si concluderà con il lavoro delle Commissioni». «Il Pd sa di avere come soggetto fondatore – ha spiegato – quei 3 milioni e mezzo di persone che hanno partecipato alle primarie. E’ un partito che nasce con l’obiettivo di cambiare radicalmente questo Paese. Un partito che nasce in una stagione legata alla capacità delle forze politiche di dare al Paese stabilità e autorevolezza, perché è di questo che l’Italia – ha concluso - ha bisogno». Nel corso della conferenza è stato distribuito l'elenco dei nomi delle personalità che distribuiranno in tutta Italia l'attestato di socio fondatore del Pd. da veltroniperlitalia.it Titolo: Stefano Ceccanti - La prova del fuoco Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 06:32:43 pm La prova del fuoco
Stefano Ceccanti Il Pd è di fronte alla sua vera prima prova. Chiariamoci anzitutto, come primo pilastro di ragionamento, sulla natura della sfida: non siamo di fronte alla semplice crisi di un governo. Se così fosse sarebbe tutto molto più facile: si tratterebbe solo di tentare di costruirne un altro o, in alternativa, di andare alle elezioni. È invece la crisi di un sistema che non ha saputo trovare le soluzioni stabili ai problemi della transizione aperta dagli anni 90. Il bipolarismo, che è una conquista irrinunciabile, al livello del Parlamento nazionale (diverso è il discorso ai livelli di comuni, province e regioni) è rimasto a uno stadio primordiale, infantile, con la demonizzazione reciproca e la conseguente spinta ad aggregare contro il nemico tutte le forze coalizzabili, al di là di valutazioni obiettive di compatibilità programmatica. La crisi si manifesta ora in modo del tutto esplicito, ma la sua incubazione era evidente a tutti, specie dopo le nuove leggi elettorali che l’hanno sensibilmente aggravata. Siamo quindi come dei marinai che devono riparare la nave mentre essa è in mare aperto, senza poter tornare in porto. Come secondo pilastro di ragionamento proporrei un breve bilancio di ciò che abbiamo già fatto e detto: il Partito Democratico è nato nei mesi scorsi con la consapevolezza della radicalità di questa crisi. La sua stessa nascita ha costituito un tentativo di rispondervi sul piano dei soggetti politici. Infatti qualsiasi sistema in cui vi è un rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, al di là delle regole, deve comunque trovare dei solidi pilastri, pochi gruppi parlamentari corrispondenti a partiti radicati nel Paese in grado di organizzare in modo efficace e comprensibile la vita politica. A questa scelta coraggiosa, che ha riunificato larga parte delle matrici del riformismo italiano, e che a soli tre mesi dal 14 ottobre ha già prodotto bozze largamente condivise di Statuto, Manifesto e Codice Etico, ha logicamente corrisposto la scelta complementare di enunciare un programma radicale di svolta sulle regole. Veltroni ha sin da subito parlato di sistema francese integrale, sia per le regole elettorali sia per il semi-presidenzialismo, di riforme costituzionali che completino anche il rapporto tra centro e periferia con un Senato delle autonomie svincolato dal rapporto di fiducia, di riforma dei regolamenti in modo che i partiti coincidano con i gruppi parlamentari. Un programma di innovazione forte che certo deve fare i conti con la necessità di aggregare maggioranze vaste, trattandosi delle regole comuni, in coerenza col magistrale intervento di ieri del Presidente Napolitano, secondo il quale, rispetto alla Costituzione «nessuna delle forze oggi in campo può rivendicarne in esclusiva l’eredità, né farsene strumento nei confronti di altre. Possono solo tutte insieme richiamarsi ai valori e alle regole della Costituzione, e insieme affrontare anche i problemi di ogni sua specifica, possibile revisione». Le necessarie mediazioni e le eventuali tappe intermedie non possono certo contraddire quelle indicazioni di linea e di lungo periodo. Inoltre le scelte politiche che si annunciano nel frattempo debbono essere conformi a quella direzione di marcia. Si colloca qui il terzo pilastro della riflessione, il tema di quale sia il rapporto fecondo del Pd con la coalizione e col Governo. Quando vari esponenti di primo piano del Pd, fino all’intervento di Veltroni al convegno di «LibertàEguale» a Orvieto, hanno denunciato la gravità della crisi di sistema, riproposto la necessità delle riforme e annunciato la volontà di chiudere l’esperienza di coalizioni disomogenee, non hanno affatto delegittimato il Governo, provocato la crisi, ma hanno evidenziato che quel Governo non poteva da solo essere chiamato a rispondere dei deficit di sistema. Così hanno fatto anche gli aderenti del Pd che hanno firmato per i referendum elettorali. Hanno quindi sgravato il Governo da responsabilità non sue. Quando il dito indica la luna è solo lo sciocco (o il prevenuto, in questo caso) che guarda il dito. Omettere queste verità, negare l’evidenza, non avrebbe affatto rafforzato la coalizione e il Governo. Il patto siglato con la creazione della coalizione dell’Unione e stipulato con gli elettori va certo rispettato per tutta la legislatura, ma esso non è un totem, è uno strumento per riformare il Paese e come tutti gli strumenti suppone una valutazione laica del molto che è stato raggiunto, ma anche di ciò che si è rivelato insuperabile e delle relative cause. Così è anche possibile (quarto e ultimo pilastro, più immediato e operativo) stabilire una chiara gerarchia di priorità per le prossime settimane. Al primo posto si colloca chiaramente la scelta per proseguire nel duplice impegno con un Governo guidato da Prodi che onori il programma e che consenta il varo delle riforme, elettorali, costituzionali e regolamentari. Al secondo posto un Governo con mandato più ristretto per le riforme possibili, che accompagni anche la celebrazione del referendum (a quel punto difficilmente evitabile) e che ne perfezioni l’esito. Le elezioni, invece, non ha senso sceglierle, visto che qualsiasi fosse l’esito, non sarebbero risolutive. Se però alle elezioni si fosse irresponsabilmente trascinati, il programma di riforme del Pd dovrebbe essere l’elemento centrale distinguendosi nettamente da tutti coloro che le hanno volute rinviare correndo precipitosamente al voto e che le hanno osteggiate nei mesi passati, anche dall’interno della coalizione dell’Unione. Pubblicato il: 24.01.08 Modificato il: 24.01.08 alle ore 12.44 © l'Unità. Titolo: Vassallo: "La crisi potrebbe allontanare la riforma elettorale" Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2008, 10:52:30 pm 28/1/2008 (20:19)
Vassallo: "La crisi potrebbe allontanare la riforma elettorale" Parla l'autore della proposta inizialmente sostenuta da Pd e FI LUCA ROLANDI ROMA Salvatore Vassallo, ex fucino, quarantaduenne giovane politologo campano, bolognese d’adozione, professore di Scienza della Politica all’Università di Bologna e presidente della Commissione per lo Statuto, eletta dall’Assemblea Costituente nazionale del Partito Democratico, fa il punto sulla riforma, che potrebbe allontanarsi con l’ipotesi elettorale. Studia da anni un progetto di riforma elettorale e la sua proposta era sostenuta dai maggiori partiti italiani il Pd e Forza Italia. Vi è stato un momento in cui la sua proposta di riforma elettorale potesse essere sostenuta da uno schieramento qualificato. Nel frattempo però molte cose sono mutate. Lei ha continuato a lavorare per perfezionarla andando incontro alle critiche mosse sopratutto dai partito più piccoli delle due colazioni. Lo schieramento a sostegno dell'ispano-tedesco non è mai stato, adire il vero, tanto ampio. Nel Pd, come è noto, non tutti hanno sostenuto l'iniziativa di Veltroni. Il progetto, naturalmente, non piaceva ai micro-partiti, e i medi avrebbero preferito un sistema elettorale che li liberasse dalla concorrenza dei piccoli aumentando però la loro stessa capacità di condizionare i partiti più grandi. Silvio Berlusconi e Forza Italia hanno dato a vedere di essere molto interessati. Ma proprio adesso che sarebbe possibile approvare se non quello un progetto che segue la medesima ispirazione, preferiscono per un calcolo di brevissimo termine correre alle elezioni. La crisi di Governo complica tutto l'iter di riforma elettorale e isitituzionale. Quali scenari si potrebbero aprire nel caso di un esecutivo istituzionale. E' possibile una sintesi tra la proposta di riforma da lei ispirata e la bozza di Enzo Bianco? Se i maggiori partiti si muovessero responsabilmente, oggi, sulla base del lavoro preparatorio che si è svolto nelle scorse settimane, ed anche dei tentativi e degli errori fatti fino ad ora nella ricerca di una soluzione soddisfacente, potrebbero trovare in tempi brevi l'accordo su un sistema elettorale magari non perfetto ma largamente meno vizioso della Calderoli. Potrebbero forse anche avviare un primo discorso su riforme di rango costituzionale anche se devo ammettere che questo terreno sarebbe più difficile da praticare perché richiede tempi lunghi. Sulla crisi di Governo va aggiunto il tema del Referendum. Quali sono gli scenari possibili nel caso di svolgimento e di vittoria dei SI, con un Governo che potrebbe essere appunto varato con un obiettivo primario la legge elettorale e una prima riforma istituzionale (Pd) Presumo che se dovesse risultare praticabile la via del governo istituzionale, quest'ultimo si impegnerebbe a varare una riforma elettorale in tempi brevi, tenendo conto dell'indirizzo referendario, ma prima che si svolga il referendum. Se al contrario si dovesse andare al voto con la pessima legge attualmente in vigore, sarà il referendum, tra un anno, a rimettere il tema nell'agenda parlamentare. da lastampa.it Titolo: I PRINCIPI DELLA RESISTENZA E DELL’ANTIFASCISMO PARTE DEL PD Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 08:59:30 pm I PRINCIPI DELLA RESISTENZA E DELL’ANTIFASCISMO PARTE DEL PD
2 Febbraio 2008 Pubblichiamo la lettera con cui il segretario del PD Walter Veltroni chiede ad Alfredo Reichlin e a tutti i componenti della Commissione Manifesto dei Valori di inserire nella Carta dei valori un riferimento esplicito alla Resistenza e all’antifascismo. Ho letto, questa mattina, alcune osservazioni e perplessità sull’assenza di un riferimento esplicito alla Resistenza e all’antifascismo nel Manifesto dei valori del Partito democratico. Non può, evidentemente, essersi trattato di altro che la conseguenza del fatto che quei valori, che sono quelli della democrazia e della libertà, sono parte integrante di noi, della nostra storia e identità. Ciò è tanto più vero se solo si pensa che uno dei protagonisti dell’estensione del documento è Alfredo Reichlin, che fu uno degli artefici della Resistenza romana. La Resistenza, i principi che l’hanno animata e sostenuta, sono patrimonio fondamentale e naturale del Partito democratico. Fanno parte della nostra cultura, accompagnano il nostro modo di essere e di intendere la politica. Sono un valore acquisito, nostro e degli italiani. E’ nella Resistenza, che affonda le sue radici la nostra Repubblica. E’ grazie a quella rinascita civile e morale che l’Italia ha riguadagnato la libertà e si sono potuti affermare i principi fondamentali della nostra Costituzione. E’ lì, in quel tempo e in quelle scelte, il valore del "patriottismo costituzionale" richiamato dal Presidente Giorgio Napolitano. Ed è lì il momento fondante della nostra unità nazionale, della nostra democrazia, della nostra convivenza civile, del nostro orgoglioso essere italiani. Tutto questo è scritto nell’identità del Partito democratico. Fa parte della sua stessa natura, proprio nel momento in cui la fine delle ideologie consente di battersi con più forza contro ogni forma di dittatura, di intolleranza, di negazione dei diritti umani. E dunque il richiamo ai valori dell’antifascismo oggi può unire, e non dividere, il Paese. Per tutte queste ragioni ritengo che i principi della Resistenza e dell’antifascismo debbano essere richiamati nel Manifesto dei valori del Partito democratico. da ulivo.it Titolo: Marina Sereni Un partito chiaro. Per statuto Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 09:04:04 pm Un partito chiaro. Per statuto
Marina Sereni Oggi la Commissione Statuto Nazionale conclude i suoi lavori e approva il testo da sottoporre all’Assemblea Costituente. Chi aveva pronosticato uno scontro tra posizioni inconciliabili (vi ricordate il partito fluido senza tessere contro il partito burocratico e autoreferenziale?) resterà deluso. La sintesi che sta uscendo dalla Commissione, almeno su questo nodo di fondo, è a mio parere convincente e fa del Pd, con la sua doppia apertura alla partecipazione degli iscritti e degli elettori, un partito nuovo sul serio, non la brutta copia dei Democratici americani, bensì un’esperienza originale nel panorama europeo. Mi aspetto, comunque, una riunione impegnativa che sciolga gli ultimi nodi. Il primo riguarda le modalità di selezione delle candidature per le assemblee elettive, ed in particolare per il Parlamento. È del tutto ovvio che la discussione su questo aspetto rischia di essere un po’ condizionata dall’avvicinarsi probabile della scadenza elettorale (anche se noi sosteniamo il lavoro del Presidente incaricato Marini e speriamo in un ravvedimento della rinata vecchia Cdl per fare una riforma elettorale prima del voto). In queste ore in tanti ci stanno mandando mail per sostenere l’idea che tutte le cariche nelle assemblee elettive possano essere selezionate attraverso primarie. Personalmente condivido questa proposta e l’ho già sostenuto nelle precedenti riunioni della Commissione. Su questa materia ho presentato, insieme ad altri, un emendamento e so che ce ne saranno altri di segno simile. Approfitto per sottolineare alcuni elementi di riflessione. Se le prossime elezioni fossero in tempi molto ravvicinati l’organizzazione di vere e proprie primarie potrebbe risultare molto complicata. Tuttavia sotto il profilo politico sarebbe una dimostrazione straordinaria di forza, tanto più se dovessimo trovarci a votare con il “Porcellum”. Le primarie del Pd sarebbero una scelta “unilaterale” di grande coerenza con la battaglia che abbiamo condotto e continueremo a fare per riavvicinare gli eletti agli elettori. Naturalmente non mi sfugge - tanto più alla luce del ruolo che ricopro attualmente nel Gruppo del Pd alla Camera - che agli organismi dirigenti nazionali del Partito debba essere consegnato il compito e la responsabilità di garantire, nella scelta delle candidature, un nucleo fondamentale di competenze e di esperienze indispensabili all’attività parlamentare. La seconda questione riguarda il ruolo dei parlamentari. Si fa riferimento agli eletti indicando i doveri e gli obblighi di queste figure, ma mai il loro contributo alla costruzione dell’iniziativa del Pd e si usa l’espressione “collaborare lealmente” con le altre figure del Pd senza mai nominare i Gruppi parlamentari, se non quando si prevede che i Presidenti dei Gruppi (Camera, Senato, Parlamento Europeo) siano membri di diritto di alcuni organismi. Vedo qui il rischio di una sottovalutazione dei Gruppi, che soltanto parzialmente è recuperata da alcuni emendamenti, tra cui quello che prevede che siano queste assemblee ad eleggere una quota di cento membri dell’Assemblea Nazionale. Credo che il lavoro della Commissione e della relatrice possano ancora recuperare questa lacuna, tanto più che in queste settimane come Pd ci stiamo caratterizzando per la proposta di accompagnare le riforme istituzionali ed elettorale con una modifica dei regolamenti parlamentari volta ad impedire che in sede istituzionale si dia vita a gruppi non espressione delle liste sottoposte agli elettori. Sarebbe credo del tutto coerente con questa nostra iniziativa legislativa (proposta Franceschini) prevedere espressamente nello Statuto che «gli eletti e le elette nelle liste del Pd costituiscono i Gruppi del Pd(...)». Infine un’ultima considerazione che riguarda l’azione di “riscrittura” generale che dovrà seguire l’approvazione del testo base da parte della Commissione. Per molte ragioni lo Statuto ha un’architettura un po’ pesante, in alcuni punti barocca, in altri bizantina... Ciò era in parte inevitabile perché abbiamo lavorato cercando di dare al Partito Democratico regole certe, sufficientemente chiare che non lascino troppe domande aperte. Tuttavia essendo la carta fondamentale di un partito che fa dell’innovazione della politica un suo tratto distintivo, è bene operare, nel coordinamento e drafting finale per un documento più essenziale che renda evidenti e valorizzi principi e scelte di fondo. vicepresidente dei deputati Pd www.marinasereni.it Pubblicato il: 02.02.08 Modificato il: 02.02.08 alle ore 8.38 © l'Unità. Titolo: Reichlin: «Sarei revisionista io che sono stato gappista?» Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2008, 07:39:56 pm Reichlin: «Sarei revisionista io che sono stato gappista?»
Roberto Monteforte «È tutta una bufala. Nessuno ha mai cancellato la parola Resistenza dalla bozza della Carta dei valori. Il documento approvato oggi (ieri per chi legge) contiene un esplicito riferimento alla Costituzione nata dalla resistenza e dalla lotta antifascita. È vero che nella bozza non era presente. Ma era inteso come implicito nel forte richiamo alla Costituzione e ai suoi valori. È bastato che venisse fatto notare perché immediatamente, senza nessuna esitazione, questo richiamo venisse inserito nel testo che poi è stato approvato praticamente all´unanimità, vi è stata una sola astensione ma per altri motivi». È questa la risposta di Alfredo Reichlin, il presidente della commissione del Partito Democratico incaricata di redigere il Manifesto dei valori del nuovo partito. Non c´è aria di logiche revisioniste sulla Resistenza tra chi ha redatto il documento. Lo puntualizza con un misto di fastidio e preoccupazione l´intellettuale e dirigente dell´ex Pci che la Resistenza l´ha vissuta da «gappista» nella Roma occupata dai nazifascisti. Cosa la preoccupa? «Il fatto che su di una cosa del genere, costruita sul nulla, si possa imbastire una speculazione. Sono i segni preoccupanti di cosa ci si possa attendere nella prossima campagna elettorale». E invece? «La verità, il fatto politico significativo, è che è andato a buon fine il lavoro della Commissione dei valori con l´approvazione del Manifesto. È un successo per il Partito democratico. Poteva finire diveramente. È stato il frutto di un lavoro intenso, durato due mesi, che ha visto impegnati personalità provenienti da culture e sensibilità diverse, laici e cattolici, che hanno trovato un accordo su temi di fondo. Su questioni difficili come quelle etiche, dello Stato laico, della famiglia. Sono passaggi delicati per un partito come il nostro fatto da credenti e non credenti....». Non è la somma di due tradizioni culturali e politiche quella della sinistra democratica rappresentata dai Ds e quella cattolica che ha animato la Margherita? Una mediazione tra sensibilità? «Non è questo. Abbiamo lavorato alla definizione di qualcosa di inedito, ad una sintesi che guarda al futuro, ai problemi inediti che ha di fronte l´uomo contemporaneo. Alle risposte da dare per misurarsi con un contesto dove tutto muta. Che vede, ad esempio, sempre più messa in discussione l´idea dello Stato nazionale, della sua sovranità, come pure cambia la produzione, l´organizzazione del lavoro. Bisogna ripensare al concetto di classe. Sono solo alcune delle sfide con cui confrontarsi. Il Manifesto non è un documento elettorale. Non si pone questo obiettivo, ma quello di fornire strumenti culturali e un sistema preciso di valori che consentano alla politica di misurarsi con il nuovo. Questa è l´ambizione del Pd». Senza mettere in discussione l´ancoraggio alla Costituzione.. «Esattamente. Abbiamo approvato un emendamento proposto da Franco Bassanini che rafforza il carattere della nostra Costituzione. Si afferma che non può essere messa in discussione ad ogni cambio di maggioranza. È stato ribadito con più forza di quanto non si usi normalmente fare non solo il fondamento costituzionale di tutto il nostro ragionare, ma anche che è tempo di mettere paletti ancora più forti per impedire che una maggioranza parlamentare possa con disinvoltura introdurre modifiche alla nostra Carta fondamentale». Pubblicato il: 03.02.08 Modificato il: 03.02.08 alle ore 11.41 © l'Unità. Titolo: Duello sulla Serafini. Trenta «big» in salvo grazie alle deroghe Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2008, 03:04:16 pm Verso le urne
Candidature, no a De Mita La rinuncia di Violante Duello sulla Serafini. Trenta «big» in salvo grazie alle deroghe Non in discussione il seggio alla Binetti Dubbi di Polito, Cacciari resta sindaco ROMA — In Transatlantico si materializza Beppe Fioroni e sul tappeto rosso si forma la fila, peones e dirigenti a consulto dal gran cardinale degli ex Popolari per sapere se saranno ricandidati, oppure no. Si avvicina Sergio Mattarella, presidente della commissione Codice etico del Pd nonché parlamentare da sette legislature. Lei si ricandida? «Non lo so ancora, vedremo...» si allontana a larghi passi il padre del Mattarellum, al quale certo non è sfuggito il «capo V» dello Statuto, dove sta scritto che dopo tre mandati si va a casa. È questo, a una manciata di ore dallo scioglimento delle Camere, il gran dilemma che tormenta i parlamentari del Pd, il partito della «nuova stagione » e dell'«aria fresca», come da vocabolario del veltronismo elettorale. «Lo volete capire che il Pd è un partito nuovo e non è la somma dei due partiti vecchi?», va ripetendo a porte chiuse Walter Veltroni. Detto così fa un gran bell'effetto, ma andarlo a spiegare ai silurati in pectore, molti dei quali vicini a D'Alema, Fioroni e Fassino, non è poi così semplice. Ciriaco De Mita, 11 inossidabili legislature: «Sono tanto indeciso...». Il partito ha già deciso per lui, ma chi lo conosce sa che non sarà facile metterlo da parte. «Io a dirigere la scuola del Pd? Per trasmettere ai giovani una grande speranza bisognerebbe averla». La speranza degli uscenti illustri è in un codicillo che prevede il 10% di deroghe, il che vuol dire una trentina di ciambelle di salvataggio per i vari D'Alema, Fassino, Rutelli (se non dovesse tornare in Campidoglio), Soro, Castagnetti, Amato, Bindi, Parisi, Follini... Romano Prodi ha detto che farà il nonno il che rischia di indebolire fedelissimi come Levi, Sircana, Santagata o Monaco, ma l'elenco dei big è comunque ben più lungo dei posti in lista e quindi, come si dice, ne vedremo delle belle. Giovanna Melandri? Quattro legislature. Livia Turco? Sei. Anna Serafini? Cinque. Per la moglie di Piero Fassino nel 2006 scattò l'eccezione e fu polemica. E ora il caso Serafini è destinato a riesplodere. Anna Maria Carloni invece, consorte di Antonio Bassolino e senatrice anche lei, a Palazzo Madama c'è stata solo mezza legislatura, ne esce «con l'amaro in bocca» e buone probabilità di tornarci: «Non disarmo, ma mi rimetto ai vertici del partito ». Ci sono nomi scomodi come la teodem Paola Binetti che nessuno vorrebbe candidare, ma il cui scranno è a prova di bomba. «Far fuori Paola — spiega senza imbarazzi Enzo Carra — sarebbe visto come una epurazione». A quota sei (legislature) ci si imbatte nel derogato eccellente D'Alema, deciso a correre da capolista in Puglia per il Senato. E lì, se Berlusconi terrà fede alla promessa di una Camera all'opposizione, dovrà vedersela con Franco Marini per lo scranno di presidente. Ad Anna Finocchiaro, Veltroni ha chiesto il sacrificio più grande: sfidare in Sicilia l'erede di Cuffaro. Ma ieri, faccia a faccia col leader, lei ha detto «no grazie », per correre nel Lazio o altra regione chiave. Mimmo Lucà teme la scomparsa dei suoi cristiano sociali, Franco Bassanini difficilmente tornerà in pista e il tesoriere ds Ugo Sposetti, tre legislature alle spalle, non sembra preoccupato: «Il Parlamento ancora non è sciolto e lo Statuto non è stato approvato. Dopo, vedremo». Luciano Violante, invece, si tira elegantemente fuori. «Dopo 28 anni di vita parlamentare mi pare che possa bastare». Può sempre chiedere per iscritto la deroga... «A un ex presidente della Camera la darebbero, ma non mi interessa. Ho imparato un sacco di cose che vorrei trasmettere ad altri». Violante farà il professore, Massimo Cacciari resta sindaco a Venezia, Peppino Caldarola rischia di soccombere causa monocolore dalemiano in Puglia («Sto riflettendo»). E Antonio Polito, ex Margherita di rito rutelliano, potrebbe tornare a fare il giornalista, con qualche sollievo di chi ne teme gli affondi: «Io scomodo? Anche il Pd comincia ad esserlo. Prima di decidere se mi ricandido devo decidere se lo voto». Monica Guerzoni 06 febbraio 2008 da corriere.it Titolo: La scelta di Walter Pannella no, Di Pietro sì Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2008, 03:05:24 pm Alleanze
La scelta di Walter Pannella no, Di Pietro sì Distinguo dalemiani e prodiani. Ma la decisione è presa ROMA — Da soli alla Camera e da soli anche al Senato. Se i socialisti vogliono, possono accomodarsi in una micro-pattuglia sotto le insegne del Pd. Lo stesso dicasi per Emma Bonino. Niente radicali che sono «difficili» da gestire e infatti gli uomini di Pannella meditano di andare alle urne con l'accoppiata Bordon- Manzione. L'alleanza elettorale si farà (ma verrà annunciata solo più in là) esclusivamente con Italia dei Valori, del resto Di Pietro era stato tentato di entrare nel Pd già all'epoca delle primarie. Così ha deciso Walter Veltroni e così ripete. Nel partito non c'è chi lo contrasta apertamente. Anche i prodiani condiscono le loro perplessità con molti «se» e «ma». Però nei discorsi di tutti i dirigenti che veltroniani non sono c'è qualche distinguo. «Certo — è il ragionamento di Bersani — dobbiamo andare alle elezioni ben visibili e non confusi in ammucchiate, però non possiamo sostenere che si va da soli a prescindere, anche perché dobbiamo evitare che si producano delle ripercussioni sulle giunte in cui governiamo con tutta l'Unione». Non dissimile la riflessione che va facendo ad alta voce D'Alema: «Evitiamo di fare una campagna in cui ci attacchiamo tra di noi del centrosinistra». Bersani aggiunge anche un'altra chiosa: «Non si può nemmeno andare alle elezioni rinnegando il governo Prodi, piuttosto dobbiamo andarci esaltando quel che di buono c'è stato in questa esperienza». E Rosy Bindi: «La solitudine del Pd non vuol dire autosufficienza, ma ricerca di alleanze coerenti e coese. Vocazione maggioritaria significa lavorare a un sistema in cui Il Pd è il perno di un'alleanza alternativa al centrodestra: la nuova stagione non può essere costruita rinnegando l'esperienza di questi 15 anni perché in realtà le alleanze in questi anni le abbiamo sempre promosse noi e mai subite». Ma alla fine nessuno polemizzerà più di tanto con il segretario cui lo statuto — e la legge elettorale — danno in mano la partita delle candidature. Gli addii al Parlamento saranno tanti: «L'importante — è il convincimento di Veltroni — è che ciò accada senza mettere le dita negli occhi a nessuno». Quindi via Violante, Mattarella, Castagnetti e Anna Serafini, la moglie di Fassino. E via (ma qui ci vorrà grande cautela) Visco e De Mita. Verrà fatto anche un repulisti di prodiani: in forse, per esempio, la ricandidatura di Andrea Papini. Porte aperte, invece, a Enrico Gasbarra, presidente della provincia di Roma, che traghetterà al Senato, a Filippo Penati e al consigliere di Veltroni, Walter Verini. Tra gli imprenditori si pensa a Guido Barilla. Poi c'è la la sezione «talenti per l'Italia»: sarà questo lo slogan con cui il Pd presenterà alcuni personaggi che sta corteggiando come Tito Boeri. Per evitare l'assalto alla diligenza da parte dei maggiorenti del Pd che vorrebbero infilare i loro uomini Veltroni ha escogitato un piano. Innanzitutto, le candidature verranno preparate dai segretari regionali, che sono stati eletti alle primarie e non messi lì da qualche big del Pd. Poi quando la pratica tornerà a Roma cominceranno le prime grane. Ma vi sono altri due modi per risolverle. Il primo è quello che Goffredo Bettini ha imposto con lo Statuto: il limite dei tre mandati. Il braccio destro e sinistro di Veltroni è stato categorico con la Margherita che si lamentava: «Voi non avevate nessun vincolo, noi quello dei due mandati, vada per tre e basta». Non solo, anche le donne tornano utili all'occorrenza. Nelle liste uomini e donne si devono alternare. Tra i parlamentari della Margherita le donne erano solo il 17 per cento, mentre tra i Ds rappresentavano il doppio, ossia il 34, questo fa sì che gli ex diessini possano avere più posti rispetto agli ex dl. Con la Cosa Rossa sembra chiusa ogni strada. Non si può fare nessuna alleanza. Tutt'al più si può candidare qualche esterno di lusso di quella formazione a palazzo Madama ma sotto le bandiere del Pd. Bertinotti l'ha presa non bene ma benissimo. Anche perché questa decisione di Veltroni ha spuntato le unghie agli uomini della Sinistra Democratica che chiedevano l'alleanza con il Pd e non volevano che la leadership della Cosa Rossa venisse affidata al presidente della Camera. Ora devono accettarla. Il che ha creato non pochi problemi dentro la Sd dove la capogruppo alla Camera Titti Di Salvo ha accusato Mussi e Salvi «di aver tradito il loro mandato». Anche in quel gruppo, comunque in molti non si ricandideranno: Marco Fumagalli, Gloria Buffo e Fulvia Bandoli, per esempio. Il sottosegretario Famiano Crucianelli invece traslocherà nel Pd. A conti fatti, il Pdci dovrebbe avere 10 parlamentari, altrettanti i Verdi, 6 la Sd e 25 Rifondazione, che, stavolta, non dovrebbe ricandidare Caruso. Maria Teresa Meli 06 febbraio 2008 da corriere.it Titolo: Andrea Carugati Colaninno: «Più crescita al Paese e il nord ci seguirà» Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2008, 09:16:55 pm Colaninno: «Più crescita al Paese e il nord ci seguirà»
Andrea Carugati «È come il mio primo giorno di scuola», confida Matteo Colaninno, sotto il palco della costituente Pd. Poco prima Walter Veltroni ha annunciato la sua candidatura come capolista al Nord, più che caloroso l’applauso della platea. Lui si alza e saluta, si vede che non è abituato. Durante tutto l’intervento del leader Pd ha preso appunti, seduto in prima fila vicino a Franco Bassanini. Nato a Mantova nel 1970, figlio del numero uno della Piaggio Roberto, è padre di un figlio e un secondo è in arrivo. Colaninno ha cambiato mestiere da poche ore, venerdì sera l’addio alle cariche in Confindustria (presidente dei giovani e vicepresidente dell’associazione), e nel cda del Sole 24 Ore dove era entrato recentemente. Mantiene per ora il ruolo in azienda, vicepresidente della Piaggio: «Per ora non c’è incompatibilità, tutto dipende da quale ruolo svolgerò dopo le elezioni: se sarò membro di una commissione parlamentare che prevede l’incompatibilità mi dimetterò anche dagli incarichi in Piaggio». «Mi candiderò come capolista nella circoscrizione di Milano», annuncia. «È il momento dell’impegno e della responsabilità personale per modernizzare il Paese», spiega. «Per me questa candidatura è un grandissimo onore, ho a lungo parlato della necessità di modernizzare l’Italia, e ora mi impegnerò al massimo per questo obiettivo. Come imprenditore mi sono sentito molto a mio agio ascoltando il discorso di Veltroni, lo sottoscrivo in pieno, molti passaggi corrispondono perfettamente ai miei pensieri: la priorità alla crescita, alla creazione di nuova ricchezza. Senza crescita non c’è redistribuzione». «Lasciare il mio lavoro è stato difficile, ma non ho avuto dubbi: il cuore mi ha portato ad accettare fin dalla prima offerta di Veltroni. Mi pare che il Pd sia davvero una grandissima novità. Darò tutto me stesso in questo nuovo impegno». Ma la scelta del Pd di correre da solo ha pesato? «È una delle ragioni che mi ha spinto ad accettare». Che clima sente tra gli imprenditori, in particolare al Nord, sulla proposta del Pd? «Anche dalle mail che sto ricevendo mi pare che si stia cogliendo il segnale di novità del Pd. Sono sicuro che col passare delle settimane questa novità sarà colta in misura ancora maggiore. E questo riguarda anche i ceti produttivi che tradizionalmente non sono vicini al centrosinistra». Crede che il Pd possa recuperare quel rapporto con il Nord produttivo così difficile in questi anni? «Credo che sia un obiettivo raggiungibile, ma senza affanno, diciamo nel medio periodo. Io credo che il rapporto tra il Pd e i ceti produttivi del Nord si possa ricostruire sul campo, meritandoselo e non con operazioni spot. Penso che se noi, come Pd, manterremo al centro dei nostri pensieri, e soprattutto delle nostre azioni, il tema della crescita l’obiettivo Nord si possa concretamente raggiungere. È una possibilità concreta, e lo dimostrano i messaggi di apprezzamento che sto ricevendo per la mia scelta, messaggi che arrivano anche da persone che non sono vicine al centrosinistra». Sulla possibilità reale di aumentare i salari ancora non si sbilancia: «È il mio primo giorno da candidato, datemi il tempo...». Pubblicato il: 17.02.08 Modificato il: 17.02.08 alle ore 15.10 © l'Unità. Titolo: Antonio Boccuzzi: «Noi operai non saremo più solo serbatoio di voti» Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2008, 09:17:48 pm Antonio Boccuzzi: «Noi operai non saremo più solo serbatoio di voti»
Giampiero Rossi Non era a Roma a vivere in prima persona il momento in cui il suo nome veniva scandito dal leader del Pd, ma ha seguito il discorso di Walter Veltroni per televisione. Ha dovuto declinare l'invito perché non poteva, non voleva mancare a un altro appuntamento di questo sabato di metà febbraio. Antonio Boccuzzi ieri era infatti al centro sportivo «Primo Nebiolo», a Torino, dove insieme ai suoi compagni di lavoro della Thyssen ha partecipato a un torneo di calcio di solidarietà alle famiglie dei quattro colleghi morti nel rogo del 6 dicembre scorso. Perché come lui stesso continua a ripetere mentre arriva al campo «da quanto è accaduto quella notte che io non potrò mai prescindere, qualsiasi cosa faccia nella mia vita». Boccuzzi è nato a Torino 43 anni fa, figlio di immigrati pugliesi arrivati nel capoluogo piemontese «veramente con le valige di cartone». La sua è una giovane storia di una vita operaia, vissuto però quando la «classe» già poteva scordarsi qualsiasi viatico per il paradiso ed era sprofondata nel più completo oblio mediatico e politico. È stata proprio la maledetta fiammata assassina che ha risparmiato lui solo a restituire un po' di visibilità a chi fa i turni in fabbrica. Boccuzzi, dopo voci, le ipotesi e i dubbi adesso è ufficiale, lei sarà candidato del Pd. Cosa l'ha convinta ad accettare quella proposta sulla quale aveva mantenuto inizialmente qualche riserva? «Mi ha convinto il progetto di riportare il lavoro della fabbrica in politica e, quindi, la politica di nuovo in fabbrica, senza più fermarsi fuori dai cancelli, ma per occuparsi davvero dei problemi posti da quelle persone come destinatari delle scelte politiche e non serbatoio di voti. Ho capito che il Pd ha un progetto serio che spero di onorare». Ma i suoi dubbi quali erano? «Non volevo essere soltanto uno specchietto per le allodole, una bandierina. Sì, anche i simboli hanno la loro importanza, ma di fronte a questioni serie e delicate come quelle che riguardano la vita di milioni di operai non ci si può limitare a questo. Devono seguire impegni e fatti concreti». Con chi ha discusso di questo progetto? Direttamente con Veltroni? «No, in particolare ho avuto come interlocutore il sindaco, Sergio Chiamparino». E con i colleghi della ThyssenKrupp ha parlato? «Come prima cosa ho scelto di consultare alcuni dei familiari dei miei colleghi morti. In questi due mesi siamo rimasti sempre in stretto contatto con alcuni di loro e sono stati proprio loro a incoraggiarmi: "Devi farlo", mi hanno detto, perché colgono in quest'operazione una possibilità di dare voce al mondo che sono chiamato a rappresentare». E lei che impegni si sente di assumere di fronte a quel mondo? «Mi impegno perché la politica affronti seriamente temi come la sicurezza nei luoghi di lavoro, il salario dei lavoratori e la precarietà. Anche perché io ho vissuto sulla mia pelle tutte e tre queste ragioni: sono strato precario, da sempre devo fare mille conti per arrivare a fine mese e... per quanto riguarda la sicurezza che dire? Se sono qui a parlare adesso è perché sono stato fortunato, a differenza degli altri ragazzi che erano al lavoro con me quella notte». Pubblicato il: 17.02.08 Modificato il: 17.02.08 alle ore 15.10 © l'Unità. Titolo: De Sena: «Punterò sul dialogo, ma qui serve una rivoluzione culturale» Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2008, 12:16:07 am De Sena: «Punterò sul dialogo, ma qui serve una rivoluzione culturale»
Massimo Solani Pensionato da giovedì, dopo quarant’anni in divisa, il prefetto ed ex vicecapo vicario della Polizia Luigi De Sena sarà capolista del Pd al Senato in Calabria. In quella terra dove nel novembre del 2005 fu inviato con poteri speciali dopo l’omicidio di Francesco Fortugno. «È una nuova e bella sfida...», dice. «Ma la vedo come una prosecuzione del lavoro fatto come prefetto di Reggio Calabria». Nato in provincia di Napoli 65 anni fa (spegnerà le candeline il prossimo 5 marzo) nella sua carriera è stato fra l’altro capo della Mobile a Roma, dirigente del Sisde e direttore della Criminalpol. Un impegno che ha raccolto consensi unanimi, tanto che ieri il sindaco di Locri di An Francesco Macrì ha criticato la coalizione di centrodestra («immobile, spettatrice mentre si accinge a riproporre in Calabria le liste “fotocopia” degli anni passati) lodando la candidatura di Sena che, ha spiegato, «costituisce un serio tentativo di cambiamento del volto della Calabria». Prefetto, com’è nata l’dea? «Credo che Walter Veltroni e il viceministro dell’Interno Minniti mi abbiano fatto questa proposta per portare avanti quelle iniziative di dialogo che abbiamo iniziato quando sono stato nominato prefetto di Reggio dall’allora ministro dell’Interno Pisanu. In quei mesi abbiamo inaugurato un’ipotesi reale di sviluppo dell’area, percorrendo un cammino concreto di legalità». Lei arrivò a Reggio in un momento durissimo e non lesinò critiche alla classe politica locale. Cosa di quella esperienza porterà con sé nell’impegno politico? «La mia volontà è quella di continuare sulla strada di un dialogo che è già iniziato. In passato sono stato molto critico nei confronti della pubblica amministrazione, facendo anche autocritica in qualità di massimo rappresentante sul territorio dell’amministrazione centrale. L’ho fatto perché ho sempre pensato che qualsiasi cambiamento dovesse passare innanzitutto da uno slancio concreto per ridare credibilità al sistema. In Calabria, ne sono convinto, ci sono effervescenze positive e capacità forse ancora inespresse. Non dobbiamo dimenticarle e lasciarle sole». Inchieste e operazioni di polizia nelle ultime settimane hanno di nuovo evidenziato l’esistenza di una zona grigia in cui politica e criminalità convivono e addirittura fanno affari insieme. «Per questo sono convinto che serva una rivoluzione culturale. Prima di passare al perseguimento della legalità bisognerebbe recuperare la civiltà dei comportamenti, per poi arrivare veramente a progetti concreti che portino allo sviluppo economico. È una strada possibile, si può fare. A patto però di condurre una reale concertazione e condivisione strategica con tutti gli attori positivi presenti sul territorio. Fermo restando che il contrasto alla criminalità organizzata deve proseguire a tutto campo. Negli ultimi mesi sono stati ottenuti risultati formidabili, ma la partita vera si gioca sulla prevenzione generale». Ora la campagna elettorale. Cosa dirà alle persone che incontrerà nelle piazze? Come parlerà alla gente? «Come ho sempre fatto: nella maniera più semplice e comprensibile di questo mondo. Ma nella mia carriera ho imparato che prima di parlare bisogna ascoltare, e che l’incapacità di saper ascoltare è uno dei difetti della pubblica amministrazione. Quando ero prefetto ho ascoltato molto, e conto di continuare a farlo per poi passare ad un dialogo e ad una concertazione che sia figlia di una proposta concreta di recupero di credibilità del sistema. Anche di recupero economico». In Calabria il pericolo peggiore è la resa alla sfiducia nei confronti della politica. La vicenda De Magistris, se possibile, ha aggravato ancora di più la situazione. Come riannodare il filo del dialogo? «I calabresi chiedono di essere ascoltati e esigono risposte concrete. L’apparato pubblico e politico ha l’obbligo di comportarsi in questo modo». Pubblicato il: 18.02.08 Modificato il: 18.02.08 alle ore 18.07 © l'Unità. Titolo: Federica Fantozzi Pd: «Unioni civili e testamento biologico» Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2008, 06:00:50 pm Pd: «Unioni civili e testamento biologico»
Federica Fantozzi Snello e laico. Un programma di 60 pagine da asciugare a una quarantina: «un settimo» esatto di quello prodiano, commenta Veltroni. Spazio ai temi etici: ci saranno la disciplina delle unioni di fatto, la difesa della Legge 194, il testamento biologico. Ieri sera al loft i big del Pd hanno dato via libera al programma che stamattina sarà presentato ai circa 150 esponenti del coordinamento nazionale. Al tavolo con il leader del Pd e il vice Franceschini c’erano i ministri D’Alema, Bersani, Chiti, Gentiloni, Fioroni, Bindi, Parisi, più i due capigruppo Soro e Finocchiaro, il responsabile Informazione Follini, il relatore del programma Enrico Morando. E quest’ultimo è stato incoraggiato da tutti a limare ulteriormente il suo lavoro: da una sessantina di pagine a una quarantina. Il massimo che Veltroni, desideroso di staccarsi dall’immagine delle 280 pagine dell’Unione, può accettare. Punto di partenza e asse da sviluppare sono stati i dodici punti esposti dal candidato premier all’assemblea costituente del partito sabato scorso. Vale a dire ambiente (Tav, rigassificatori, termovalorizzatori, energia eolica); infrastrutture al Mezzogiorno; taglio della spesa pubblica; riduzione della pressione fiscale (detrazioni e tagli Irpef); sostegno alle donne; politica degli affitti (più case e detassazione del canone); dote fiscale di 2500 euro per ogni nuovo nato; innovazione e ricerca per scuola e università; compenso minimo di mille euro ai precari; sicurezza; giustizia più veloce; banda larga in tutta Italia. E nel settore televisivo, il vertice si è occupato delle polemiche seguite all’annuncio di Di Pietro che lascerebbe una sola rete a Mediaset. Ha chiuso la questione il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni uscendo da piazza Santa Anastasia: «Il programma del Pd che abbiamo esaminato prevede il superamento dell’attuale duopolio televisivo» ma non la dieta dimagrante di due reti per il Biscione. Il testo si rifà alla normativa europea (spedendo quindi Rete4 sul satellite) e propone per la Rai un amministratore unico. Soprattutto si è parlato di temi eticamente sensibili. Con una preoccupazione: “coprirsi” sul fronte laico dato il volgere al tramonto dell’alleanza con i Radicali. Dal loft considerano l’alzata di toni e la diffusione di particolari riservati da parte Radicale come una manifesta volontà di stoppare la trattativa. E cominciano a farsi una ragione di una corsa senza di loro, soffrendo dunque la concorrenza a sinistra dei temi che sono storici cavalli di battaglia per Pannella ed Emma Bonino. Ebbene, nel programma era già presente la difesa della Legge 194: del resto, di recente era stata pubblicamente sostenuta da Veltroni. E ieri sera sono state inserite cinque righe sulle coppie di fatto e tre sul testamento biologico. La disciplina delle unioni civili ricalca quella civilistica dei Cus, ma il nome non verrà riproposto. Chi ha partecipato all’incontro racconta che incaricati di mettere a punto la formulazione esatta siano stati i cattolici Giuliano Amato e Rosy Bindi. Mentre è probabile che di testamento biologico si sia occupato il medico Ignazio Marino. Su quest’ultimo punto Beppe Fioroni, ex Popolare, ha sollevato un’obiezione: «È l’avvio di un percorso che non ci convince». Mentre Bersani ha sottolineato la necessità che sui temi etici, piuttosto che assumere una posizione specifica che la scienza può superare in ogni momento, venga ritrovata un’«agorà», un luogo di discussione collettiva. Pubblicato il: 20.02.08 Modificato il: 20.02.08 alle ore 10.03 © l'Unità. Titolo: Pd, fuori Visco e De Mita. Veltroni sui Radicali: o acccettano o sono fuori Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2008, 06:10:23 pm Verso il voto
Pd, fuori Visco e De Mita. Veltroni sui Radicali: o acccettano o sono fuori Il vice-ministro dell'Economia: «Spazio ai giovani». Polemico l'ex dc:«Offeso». Il leader: regole sono per tutti MILANO - Vincenzo Visco e Ciriaco De Mita sono fuori. Non faranno parte, cioè, delle liste del Partito democratico per le prossime elezioni politiche. Ma se quella del vice ministro dell'Economia è una scelta autonoma, molto apprezzata dal segretario Walter Veltroni, l'esclusione dell'ex esponente Dc provoca una vera e propria rottura. Tanto che lo stesso De Mita ha preso la parola per primo al coordinamento nazionale del Pd, annunciando il suo addio: «Veltroni mi ha mandato un biglietto di auguri per i miei 80 anni dicendo che sono 80 anni della democrazia. Lo ringrazio, continuerò ad essere democratico. Ma io mi ribello a chi vuol far prevalere l'età rispetto all'intelligenza. Se non starò con voi vuol dire che starò contro di voi». Per De Mita si profila un accordo con la Rosa Bianca. NON È ADDIO - L'unica cosa certa è che per De Mita «non si tratta di un addio alla politica. «Come diceva un poeta spagnolo, 'Quando morirò morirò con la chitarra in mano', io dico che quando morirò farò l'ultimo discorso elettorale», ha assicurato De Mita. Tuttavia anche se De Mita ha smentito, dal candidato premier della Rosa bianca, Bruno Tabacci, è arrivata una nuova conferma: «Che con De Mita ci si parli non è una novità. Succedeva prima quando avevamo opinioni diverse, può avvenire a maggior ragione oggi che le strade potrebbero convergere», ha dichiarato Tabacci, il quale si augura inoltre che sia possibile un accordo elettorale con l’Udc. VELTRONI - Sull'addio di De Mita secco commento del leader del Pd Walter Veltroni: «Le regole valgono per tutti. De Mita ha già fatto 44 anni e 9 mesi in parlamento. Mi dispiace per la sua decisione di di lasciare il Pd ma io penso, come hanno fatto personalità come Prodi, Amato e altri, che sia giusto dare spazio ad altri e che l'impegno politico non è legato solo ad una candidatura in parlamento». Poi Veltroni ha replicato a Berlusconi secondo cui il Pd copia il programma del Pdl: «Fa parte della campagna elettorale, ne sentiremo di tutti i colori. Ci sono temi urgenti per il Paese che si affrontano parlandone, ma poi la sostanza è diversa. Nel nostro programma ci sono differenze molto profonde». RADICALI - Quanto all'alleanza con i Radicali, il leader Pd ha ribadito che le condizioni restano le stesse: nessun altro apparentamento dopo quello con l'Idv. «Se i Radicali accettano e sottoscrivono il programma del Pd ed entrano nelle liste bene, altrimenti non se ne fa nulla. Anche perché il Pd non è disposto ad attendere ancora. La campagna elettorale è ufficialmente iniziata, chi c'è c'è e chi non c'è è fuori». Nel corso di un nuovo incontro, Goffredo Bettini, braccio destro di Veltroni, ha sottoposto ai Radicali un'offerta articolata su questi punti: Emma Bonino ministro in caso di vittoria del Pd alle elezioni, la garanzia di nove esponenti dei Radicali da inserire nelle liste del Pd in posti sicuri, il riconoscimento di una parte del finanziamento che otterrebbe il Pd e la garanzia del 10% degli spazi televisivi destinati ai democratici. I vertici radicali si riuniscono alle 19 per valutare una risposta al Pd, ma Marco Cappato e Rita Bernardini hanno detto che «il rifiuto di Veltroni di accettare il sostegno di una lista elettorale radicale è politicamente incomprensibile». ADDIO DI VISCO - Diversa l'uscita di scena di Visco, che ha inviato una lettera a Veltroni. ««La mia presenza in Parlamento non è decisiva», scrive il responsabile della politica fiscale che, dopo sette legislature passate in Parlamento, chiede di puntare su un gruppo di «giovani economisti interessati alla politica e ai problemi del Paese». «Ritengo che la mia rinuncia alla candidatura - aggiunge Visco - possa (e debba) essere l'occasione per valorizzare e promuovere alcuni di questi giovani che già hanno dimostrato sul campo le proprie qualità». INNOVAZIONE - Una decisione apprezzata da Veltroni: «La scelta che hai voluto compiere conferma - una volta di più - il tuo grande spessore politico e istituzionale. È una decisione spontanea e di grande generosità, da parte di una personalità alla quale il Paese e la politica devono davvero molto». L'esclusione di De Mita è invece, per Anna Finocchiaro, un segnale di innovazione. «La rigorosa valutazione delle candidature è un fatto positivo - ha affermato la capogruppo del Partito Democratico al Senato (candidata per la carica di Governatore siciliano) -. È un importante segnale dell'innovazione al di là della storia politica di De Mita» REAZIONI - Le novità sulla composizione delle liste del Pd provocano reazioni anche tra gli avversari politici. A proposito della rinuncia di Visco, il segretario nazionale de "La Destra", Francesco Storace, si chiede «ora che non c'è più lui, qual è la differenza tra Pdl e Partito democratico?». Il senatore a vita, Francesco Cossiga, ha invece inviato una lettera a De Mita: «Esimio Onorevole, da lunghissimo tempo ormai i nostri rapporti si sono definitivamente deteriorati e si sono non interrotti, ma rotti. Ma Lei rimane pur sempre per me uno dei leader più prestigiosi e intelligenti della Democrazia Cristiana e in essa della Sinistra di Base, anche se pessimo segretario politico e ancor peggiore Ministro e Presidente del consiglio: una versione moderna e democratica del clientelismo meridionale. Lei rimarrà sempre nella storia politica del Paese e in particolare in quella della Democrazia Cristiana». «È ingiusto - aggiunge il presidente emerito della Repubblica - che non la vogliano ricandidare! Non immiserisca però questa Sua figura, La prego - anche a difesa della dignità di tutti noi democratico-cristiani -, insistendo per essere candidato nel Partito Democratico che non La vuole. E, La prego! non scivoli nel patetico e nel ridicolo, dando vita ad una piccola e fasulla lista campana! Caso mai, in cambio, si faccia dare... qualche Asl», conclude Cossiga. 20 febbraio 2008 da corriere.it Titolo: «Ecco i dodici punti per cambiare l'Italia» Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2008, 04:02:24 pm «Ecco i dodici punti per cambiare l'Italia»
Dalle infrastrutture al Sud, dalla riduzione delle tasse alla sicurezza. E poi giustizia e precarietà dei giovani ROMA - Dalla Fiera di Roma Walter Veltroni lancia «dodici proposte innovative per cambiare l'Italia». Il candidato premier del Pd le ha esposte alla platea dell'assemblea costituente del Pd. INFRASTRUTTURE - «Primo: modernizzare l'Italia significa scegliere come priorità le infrastrutture e la qualità ambientale - ha detto - per colmare il ritardo che l'Italia ha accumulato. Diciamo no alla protesta Nimby e sì al coinvolgimento e alla consultazione dei cittadini. Sì agli impianti per produrre energia pulita, ai rigassificatori, ai termovalorizzatori e al completamento della Tav». MEZZOGIORNO - Secondo punto programmatico «è il grande obiettivo di innovazione del Mezzogiorno, della sua crescita, che è la crescita dell'Italia». Veltroni dice no ad una «politica che disperda fondi in una miriade di programmi, mentre diciamo sì a una drastica e veloce revisione dei programmi europei». SPESA PUBBLICA - Terzo obiettivo «il controllo della spesa pubblica». Negli anni di governo della destra - spiega Veltroni - è aumentata la spesa primaria corrente, «mentre il governo Prodi ha risanato e migliorato i conti pubblici. Per questo il nostro slogan è spendere meglio, spendere meno». RIDUZIONE TASSE - Il quarto obiettivo del Pd «è fare quello che non è mai stato fatto: ridurre le tasse ai contribuenti leali, ai lavoratori dipendenti e autonomi che oggi pagano troppo». Un obiettivo che si traduce nello slogan: «Pagare meno, pagare tutti». LAVORO DONNE - Quinto punto del programma «è investire più di quanto mai sia stato fatto sul lavoro delle donne». Perché «oggi in Italia ci sono tre patologie: bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile. E noi vogliamo trasformare il capitale umano femminile in un asso per la partita dello sviluppo». CASE IN AFFITTO - Al sesto punto programmatico c'è il problema della casa. Veltroni vuole aumentare le case in affitto e la «costruzione di circa 700 mila nuove case da mettere sul mercato a canoni compresi tra i 300 e i 500 euro». DOTE FISCALE - Settimo obiettivo «è quello di invertire il trend demografico mediante l'istituzione di una dote fiscale: 2500 euro al primo figlio e aiuti per gli asili nido». Veltroni ha quindi rimarcato la necessità della lotta alla pedofilia, «il più orrendo dei crimini». UNIVERSITA' - Ottavo posto nel programma del Pd è quello dell'università. «Cento nuovi campus universitari e scolastici entro il 2010 «perché la società dovrà contare sul talento e sul merito dei ragazzi italiani». PRECARIETA' - Nono punto: «la lotta alla precarietà, la qualità del lavoro e la sua sicurezza». Per Veltroni «la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale della persona umana, che non può essere comprato e venduto a nessun prezzo». Quanto ai giovani precari dovranno raggiungere il minimo di 1.000 euro mensili. SICUREZZA - Decimo obiettivo è quello della sicurezza «perché far sentire sicuri i cittadini è uno dei principali obiettivi del Pd». Il segretario del Pd vuole maggiori fondi per le forze dell'ordine e ribadisce la certezza della pena come uno dei cardini dell'azione di governo del centrosinistra. GIUSTIZIA - Undicesimo punto è quello della giustizia e della legalità. Ricordando le parole di Napoletano Veltroni dice «che da troppi anni c'è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura. Proporremo norme innovative per la trasparenza delle nomine di competenza della politica. Nel nostro ordinamento inseriremo il principio della non candidabilità in Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi connessi alla mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione». INNOVAZIONE - Ultimo e dodicesimo punto è quello dell'innovazione: «Vogliamo portare la banda larga in tutta l'Italia e garantire a tutti una tv di qualità». Il segretario del Pd dice che è necessario superare il duopolio tv «e correggere gli eccessi di concentrazione delle risorse economiche, accrescendo così il pluralismo e la libertà del sistema». 16 febbraio 2008 da corriere.it Titolo: Chi sono le giovani dello staff di Veltroni: Madia, Mogherini e Mosca Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2008, 04:14:36 pm Chi sono le giovani dello staff di Veltroni: Madia, Mogherini e Mosca
Marianna e le «Walter's Angels» «Lui ci tira fuori l'anima». «Arriva sempre per primo e dà la carica a tutti» ROMA — Vista, venerdì, Marianna Madia: carina, alta, capelli che sarebbero piaciuti al Botticelli, e come dire? disorientata. A 27 anni, capolista alla Camera per il Pd, nel Lazio. Così adesso la curiosità è un po' anche quella di trovare, e descrivere, le giovani donne che lavorano con Walter Veltroni. La notizia è che almeno due di loro — e però con ruoli importanti, davvero strategici — sono svelte, efficienti e colte, determinate e ironiche. Belle facce di donne che avanzano e che, la mattina alle 8.30, aspettano «Uolter» (non c'è niente di male se ci scherzano su anche loro) al Loft (la sede, con panorama sul Circo Massimo, del gran capo). «Il guaio è che lui arriva anche prima. Tipo che alle 8 te lo ritrovi già lì, alla scrivania: sorridente, lucido, tonico...». Infatti, a lei, Federica Mogherini, 34 anni, è venuta una febbre «da, suppongo, stanchezza». Laurea in Scienze Politiche — «È triste se scriviamo che ho preso 110 e lode?» — entra nel Consiglio nazionale dei Ds quando D'Alema, per capirci, poteva esserle padre, e Reichlin, nonno. Adesso, con un marito e una figlia — «Caterina, di 3 anni» — è nell'esecutivo del Pd, con la responsabilità dei rapporti con le istituzioni. «Ma, in realtà, in questa fase, come accennava lei, trascorro molto tempo in sede...». L'incarico, nello staff veltroniano, è decisivo: meglio che lo spieghi lei. «Leggo le email che arrivano a noi, le lettere che giungono ai giornali, e poi mi bevo tutti gli editoriali, i commenti, guardo la tivù, non mi perdo un dibattito, e a Walter preparo una relazione, indico gli argomenti che montano e quelli che scendono». E poi, soprattutto, fa una cosa complicatissima: «Incrocio le notizie di politica con quelle di cronaca, le frullo, e cerco di capire cosa ne può, e ne deve, venir fuori». Dovreste sentirla. Tira su con il naso, e chiede scusa: «Sa, sono raffreddata...». Roba che certi altri giovani politici tirano fuori fazzoletti vecchi di due giorni. Elegante, perbene, leale. «Ora però lei vuol sapere perché lavoro con Walter, giusto?». Esatto, dottoressa Mogherini... «Perché lui è quello che ci crede per primo. Si sa, in giro, no? Walter è uno coinvolgente, ti tira dentro, ci mette l'anima, e poi finisce con il farci mettere anche la tua...». Già che parliate di anima e non di potere, per adesso, è qualcosa. «Ma, sul serio, le sembra una cosa tanto straordinaria?». Lasciamo stare e andiamo dalla Alessia Mosca, che è pure più giovane della Mogherini, perché la Mosca di anni ne ha 32 e viene da Monza, laurea in Filosofia, niente figli e niente marito, e quanto poi all'ipotesi di un fidanzato, sospira e lascia — sembra — spiragli. Anche lei: nell'esecutivo del Pd e con un incarico di assoluto rilievo, la responsabilità del settore «lavoro». «Beh, finora ammetto che non è stata esattamente una passeggiata». Facciamo un esempio. «Per dire: quando abbiamo dovuto mettere a punto il programma...». Al tavolo erano seduti Pietro Ichino, Tito Boeri, Cesare Damiano... «Ecco, appunto... Ma sa qual è stata la capacità di Walter?». Quale? «Li ha fatti discutere, li ha messi nelle condizioni di confrontarsi. Facce diverse, pensieri diversi, storie diverse... eppure... ora non vorrei fare la parte di quella che stravede per Walter, però...». La Mosca è una di quelle giovani intelligenze cresciute con Enrico Letta. «Sì, ero nella segreteria tecnica del sottosegretario, nell'ultimo governo ». Con Letta ha lavorato anche la Marianna Madia, assunta al centro studi Arel prima ancora di laurearsi in Economia, e poi collaboratrice a Rai Educational di Giovanni Minoli, che la stima e l'apprezza, raccontano, moltissimo. L'altro giorno, nella conferenza stampa in cui Veltroni l'ha lanciata come candidata, la Madia non ha fornito titoli eclatanti: parole di «riconoscenza per Walter e per Enrico», un senso «di emozione». Il Giornale ha ricordato che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, figlio quarantenne del Capo dello Stato. Anche se poi una neo-laureanda dev'essere libera d'innamorarsi di chi vuole. Pure se con l'handicap di fare bagni, l'estate, all'«Ultima spiaggia», a Capalbio. Un posticino ventoso e pieno di gente non qualsiasi. Fabrizio Roncone 24 febbraio 2008 da corriere.it Titolo: Saverio Lodato Finocchiaro: «Cambieremo il volto della Sicilia» Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2008, 11:25:35 pm Finocchiaro: «Cambieremo il volto della Sicilia»
Saverio Lodato Comunque andrà a finire in Sicilia, la politica per soli uomini non c’è più. Tutto si poteva prevedere tranne che il centro sinistra, per la prima volta in sessanta anni dall’Autonomia, avrebbe indicato una donna per la guida di Palazzo d’Orleans. Tutto si poteva prevedere tranne che, nel giro di poche settimane, la sfida al femminile si sarebbe moltiplicata per due: Anna Finocchiaro, in corsa per la presidenza della regione; Rita Borsellino, in corsa per la presidenza dell’Assemblea regionale siciliana. Tutto, infine, si poteva prevedere, nella regione del 61 a zero, tranne che la campagna elettorale sarebbe iniziata con il centro sinistra all’attacco e il centro destra disorientato, diviso, in difesa. Anna Finocchiaro, ieri, a Palermo, ha annunciato la sua candidatura in un grande cinema gremito di gente. Applausi a scena aperta. Si può vincere? «Ci sono le possibilità. Registro un’attenzione importante di settori tradizionalmente moderati attorno alla mia candidatura. Possiamo farcela con il voto di moderati, professionisti e classe dirigente della società. E non abbiamo paura di provare a vincere, perché non è detto che chi abbaia più forte ha sempre ragione». Il centrodestra sta messo male? «È diviso. Continua ad annaspare e mostrare sconquasso sull’ipotesi di una candidatura. E stanno già pagando un prezzo perché disorientano i moderati che notano la nostra compattezza». Stefania Prestigiacomo c’è o non c’è? «Non so se, alla fine, accetterà la candidatura. Sarebbe un fatto straordinario: due donne che si candidano in Sicilia. La Prestigiacomo è una persona moderna, pulita, con un’esperienza politica nazionale». Qual è il messaggio forte del centro sinistra? «Semplice: Cambia il volto della Sicilia. Slogan molto chiaro, lineare, diretto a chi vuole modificare il percorso che la Sicilia ha seguito sin qui». Come espliciterà questo messaggio nelle sue liste? «Mi auguro che anche nelle nostre liste ci sia un Colaninno siciliano, anzi una Colaninno. Ho contattato degli imprenditori. Uno dei miei primi incontri sarà con Confindustria Sicilia. Comprendo le loro difficoltà a esporsi direttamente, ma sono convinta che la Sicilia può cambiare se c’è impegno di tutte le classi dirigenti, non solo della politica, ma di imprenditoria, cultura, università, insieme a donne e giovani». Si può guarire dall’ossessione del ponte sullo Stretto, come panacea di tutti i mali? «Il ponte non è prioritario: la Sicilia ha bisogno di valorizzare gli approdi naturali e le strutture portuali e di una forte infrastruttura ferroviaria. I carri ferroviari non riescono a passare perché le gallerie sono troppo basse...» Ma Berlusconi il ponte lo ha «promesso». «Berlusconi dice sì. Io ripeto che non è un problema prioritario». Anche Raffaele Lombardo ci tiene molto. «Con Lombardo avremmo anche quello gonfiabile». Chi ben comincia è alla metà dell’opera? «Una settimana fa ho sciolto pubblicamente la mia riserva, oggi presento la mia candidatura ufficialmente, la settimana prossima, ad Agrigento, prenderà il via la campagna elettorale. Mi limito a dire che stiamo dimostrando un altro stile». Il ruolo di Rita Borsellino? «Ho detto che avrei accettato questa sfida colo con Rita Borsellino accanto. Partiamo da quel 41% che ci ha regalato alle ultime elezioni. Entrambe corriamo per vincere. Siamo sicure di farcela. La Sicilia avrà due presidenti: io alla regione, Rita all’assemblea regionale». E quello di Rosario Crocetta, sindaco di Gela? «Mi ha scritto una lettera: “Sono al tuo fianco, senza “se” e senza “ma”. Senza chiedere nulla, tranne che intraprendere un nuovo cammino di serenità, lavoro, legalità e sviluppo». Sul “Foglio”, il siciliano Pietrangelo Buttafuoco, ha scritto che voterà per la Finocchiaro. «Lo ringrazio. Ben venga anche il suo appoggio». Ma una donna sceglie a cuor leggero di candidarsi alla guida di quasi sei milioni di siciliani? «Quando mi hanno chiesto di candidarmi ho vissuto momenti difficili. Ho provato smarrimento, perché pensavo a un altro futuro per me. Poi c’è la voce del cuore che non vacilla e che ti dice qual è la cosa giusta». saverio.lodato@virgilio.it Pubblicato il: 24.02.08 Modificato il: 24.02.08 alle ore 12.42 © l'Unità. Titolo: Lo schiaffo di Famiglia Cristiana: "Pasticcio firmato Veltroni-Pannella" Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2008, 05:44:07 pm 25/2/2008 (15:22) - LA SFIDA DEL CENTROSINISTRA
Veltroni lancia il programma del Pd: "Giù le tasse sui salari, più sicurezza" Walter accelera: più aiuti ai precari Sale la tensione, radicali nel mirino Lo schiaffo di Famiglia Cristiana: "Pasticcio firmato Veltroni-Pannella" ROMA Un programma «realistico e ambizioso», «non fatto di annunci e promesse», e che ha tra le sue priorità una riforma istituzionale e una serie di interventi di carattere economico: dalla riduzione dell’Irpef all’attribuzione di un salario minimo legale per i precari. Walter Veltroni ed Enrico Morando illustrano così il programma del Pd, una trentina di pagine e 12 punti "programmatici" con i quali il Partito Democratico si presenta al responso degli elettori e si candida a guidare il paese. Il duello Bindi-Bonino Ma la giornata della presentazione del programma è turbata dalla polemica tra Rosy Bindi e Emma Bonino. Le due ex ministre del governo Prodi, se si confermerà l’intesa con i Radicali, correranno sotto le insegne del Pd. Ma la Bindi attacca: i Radicali «se sono coerenti non dovrebbero firmare e non dovrebbero candidarsi» con il Pd, dice in una intervista a LaStampa . «Rosy Bindi mi stupisce», replica Bonino. È «stupefacente - continua Bonino - che lei dica sì a Bonino in quanto ministro e non in quanto radicale». Il programma, in cui ci sono vari cenni anche sulle questioni eticamente sensibili, si basa "su 10 pilastri" ed è sviluppato in parole d’ordine che vanno dalla "sicurezza prima di tutto" al "welfare universalistico", dall«educazione come ascensore socialè allo "spendere meglio e meno" al "pagare meno, pagare tutti". Le riforme: governo light e liste pulite Il Pd si impegna ad una riforma istituzionale che porti ad una sola Camera legislativa, di 470 membri, e un Senato delle Autonomia con 100 parlamentari. Il modello indicato è il doppio turno alla francese. Il Pd punta poi ad un governo "a la Sarkozy", con con 12 ministeri e non più 60 membri». Prevista l’ineleggibilità dei condannati per reati gravi. «Se il Pd vincerà le elezioni il primo atto di governo sarà l’aumento delle detrazioni sul lavoro dipendente», promette Veltroni. E tra le misure previste dal programma è previsto un incremento delle detrazioni Irpef per i dipendenti nel 2008 e dal 2009 e poi una riduzione di tutte le aliquote Irpef per un punto in meno l’anno, per tre anni e sostegno alle famiglie con una "dote fiscale" di 2.500 euro per i figli. Una riduzione del carico fiscale sulla contrattazione di secondo livello e sconti di imposta per favorire la capitalizzazione delle imprese sono alcune delle misure previste sul fronte della competitività. L'affondo del Pdl Le prime reazioni del Pdl sono ovviamente critiche, con Maurizio Sacconi di FI che sottolinea come le pagine vergate da Veltroni e Morando segnino una «egemonia culturale del centrodestra». E il programma non piace nemmeno alla Sinistra Arcobaleno che, per voce del capogruppo del Prc alla Camera, Gennaro Migliore, lo definisce una «fotocopia» di quello del Pdl. «C’è un neanche tanto nascosto intento di procedere rapidamente verso le larghe intese - dice - e non si tratta di un patto segreto, ma di punti di convergenza espliciti scritti nero su bianco nei programmi elettorali». Lo schiaffo di Famiglia Cristiana «Pasticcio veltroniano in salsa pannelliana»: si intitola così un editoriale del numero di Famiglia cristiana in uscita mercoledì. «I cattolici che hanno deciso di fare politica nel Partito democratico - scrive il settimanale dei Paolini - giudicano severamente la scelta di Veltroni di imbarcare nelle liste i radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino e si pongono pure qualche dubbio circa la scelta di candidare a Milano il professor Umberto Veronesi, autore di una sorta di manifesto per la "libera scelta di morire", cioè l’eutanasia, anche se lui ha detto che si occuperà solo di migliorare la sanità in Italia. I radicali hanno una concezione ’confessionalè della loro identità. Ogni scelta, ogni nome ha valore simbolico. La squadra di candidati, negoziata con Walter Veltroni, ha una forte fisionomia radicale, connotata su battaglie che, come ha detto Emma Bonino, "non si interrompono affatto". È facile dire quali siano: aborto, eutanasia, depenalizzazione della droga. E poi c’è l’abolizione del Concordato e dell’8 per mille, e sopra ogni cosa un’ideologia libertaria, in salsa pannelliana, alternativa alla storia e ai principi etici, economici e sociali di questo Paese. Basta ascoltare Radio radicale dove quasi ogni giorno sono costantemente attaccati e messi alla berlina Papa, Chiesa e i valori cattolici». da lastampa.it Titolo: Ancora tensioni sul nodo teodem e radicali. Bonino: "Altre le priorità" Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2008, 04:44:24 pm POLITICA
Ancora tensioni sul nodo teodem e radicali. Bonino: "Altre le priorità" Oggi la convention dei cattolici del Pd "per contarsi". Bindi lancia Bachelet Pd: "Convivenza laici e cattolici" Nel Pdl fumata nera sulle liste Berlusconi e Fini numeri 1 e 2 in tutti i collegi. Ma è scontro sulle quote I socialisti smentiscono la fuga di nomi eccellenti. "Siamo una realtà anche se piccola" di CLAUDIA FUSANI ROMA - Veltroni ci crede: "Laici e cattolici possono convivere come succede nei paesi moderni". Ma la smentita arriva poco dopo da un suo, possiamo dire, "prescelto", il matematico Luigi Odifreddi che lo accusa di aver rinunciato a scegliere mettendo insieme la teodem Binetti e la radicale Bonino. E il cerchiobottismo, già riveduto e corretto nelle versione di Crozza con il "ma anche", diventa "il veltronismo". Si incardina una volta di più sul nodo convivenza laici e cattolici all'interno del Pd la cronaca della giornata politica. Veltroni prova ad uscire dall'angolo prima lanciando la proposta choc per combattere i reati di pedofilia equiparati a quelli di mafia con l'aggiunta se serve, della castrazione chimica. E poi, in serata, in collegamento con gli studi del Tg4 di Fede rilanciando sulle vere priorità del programma e del paese: crescita economica e aumento del potere d'acquisto dei salari. Ma la questione di come far convivere la senatrice teodem Paola Binetti con Emma Bonino è ben lontana dall'essere risolta. E rischia di esplodere proprio domani nell'assemblea che riunisce la anime cattoliche del partito democratico. L'incontro, promosso da Beppe Fioroni e Dario Franceschini, saprà dire qualcosa di più su quanto in realtà il Vaticano chiederà di pesare sul Pd. Intanto il Pd chiuderà lunedì 3 marzo, con una settimana di anticipo, il puzzle delle liste e delle candidature. Tutto bloccato, invece, sul fronte partito del Popolo delle Libertà. Una riunione fiume a palazzo Grazioli tra lo stato maggiore di Forza Italia e quello di An non ha risolto il nodo fondamentale: quale quota di deputati per Fi e quale per An. Odifreddi: "Questo è il veltronismo". L'affondo, che non è neppure il primo, arriva mentre il matematico presenta a Roma il Festival della Matematica: "Credo che sia difficile coniugare l'anima laica con quella cattolica. Quando ero nel comitato del Manifesto dei Valori del pd ho cercato di far capire che un partito che si vuole definire laico deve fare una scelta, ma questa scelta non la si è voluta". Non finisce qua. Odifreddi si spiega ancora meglio: "Nel manifesto è rimasta una formulazione che non ho votato che dice che la religione ha un valore pubblico e non solo privato. I radicali accetteranno con difficoltà questa formulazione". Un siluro tra le gambe di Veltroni che da ieri ripete no alle divisioni tra laici e cattolici e che si sforza di tenere fuori dalla campagna elettorale le questioni etiche. E' un fatto che la parola laicità non compare mai nel programma del Pd. Come che sia, il nodo convivenza laici-cattolici offre per tutto il giorno la sponda al Pdl ma anche ai Socialisti di Boselli, a La Sinistra-L'Arcobaleno e all'Udc per attaccare il Pd e colpirlo su quello che, a torto o a ragione, viene considerato il "punto debole" una volta che il partito nuovo si è liberato dal fardello dei comunisti. Emma fa la pompiera. Con queste premesse di giornata, diventa delicato anche l'incontro di routine al loft tra Pd e Radicali. Dura un'oretta ed è "andato benissimo" dice Emma Bonino uscendo. "Non ho nessuna polemica da fare e ritengo che le priorità dei nostri elettori riguardino i problemi economici. Non ho veti da porre a nessuno" ha aggiunto. Detto questo la firma al programma ancora non è stata messa ("questioni tecniche, di impegni reciproci di Emma e Walter ma ci sarà in settimana" spiegano al loft). I presenti all'incontro raccontano comunque di un Veltroni assolutamente non preoccupato per la questione laici e cattolici. Che poi, alla fine, si potrebbe chiudere "con qualche posto in più in lista per i teodem". Confermati i nomi dei nove radicali candidati tra cui Bonino, Bernardini, Farina vedova Coscioni, Poretti, Mellano, Turco, Mirella Parachini, compagna storica di Pannella, Beltrandi, Elisabetta Zamparutti. Rebus candidature nel Pdl. Berlusconi non ha ancora cominciato la campagna elettorale. Misura le uscite, centellina le dichiarazioni, scrive lettere alla famiglie italiane e ai gazebo del Pdl che spunteranno nelle piazze italiane nel prossimo fine settimana. Insomma, un copione opposto a quello di Veltroni. Un po' per scelta. Un po' perchè le cose, dopo il faticoso accordo con l'Mpa di Lombardo, non sono affatto chiare nel Pdl. Oggi ci doveva essere la riunione decisiva tra Fi e An. Ma di nuovo da palazzo Grazioli è uscita fumata nera. Con Berlusconi i numeri 2 e 3 di Forza Italia Bondi e Cicchitto; dall'altra parte i generali di Fini, assente per altri impegni: La Russa e Matteoli. La composizione delle liste fa i conti, in partenza, con i seguenti numeri: il Pdl conta di avere 360 seggi alla Camera (su un totale di 630) e 168-170 al Senato (su un totale di 315). Il blocco resta intorno a un punto: il rapporto di Forza tra Fi e An da cui discendono le quote per l'uno o per l'altro in lista. Forza Italia sostiene, sondaggi alla mano, di avere, con i circoli di Dell'Utri e della Brambilla, il 90 per cento del Pdl relegando An ben sotto il 10 per cento. A specchio dovrebbero quindi essere le quote in lista al netto dei posti-seggi che vanno lasciati a nord alla Lega e al sud all'Mpa. Un possibile accordo potrebbe ruotare intorno al 70 per cento dei posti per Fi e 30% per An. Un rapporto di 3 a 1 che sta stretto a via della Scrofa. E ai cespugli del pdl, ad esempio all'ex Udc Carlo Giovanardi. Situazione bloccata, dunque. L'unica certezza è che Berlusconi sarà capolista ovunque e Fini numero 2 ovunque. Altri nomi, oggi, non sono stati all'ordine del giorno della riunione. Il Pd chiude le liste lunedì prossimo. La confusione è ancora tanta anche al loft sede del Pd dove è riunito in pianta stabile il tavolo delle candidature coordinato da Goffredo Bettini e Dario Franceschini. Domani ci sarà la riunione definitiva con i coordinatori regionali. Il timore, dal territorio, è che alla fine i posti lasciati liberi da Roma siano molto meno di quelli previsti. Veltroni anche oggi ha lanciato la sua candidatura a effetto, quello del prefetto Achille Serra, Commissario anticorruzione e per la Sanità in Calabria. Il Pd dovrebbe poter contare su circa 300 seggi tra Camera e Senato. Una quarantina di posti sono riservati a Veltroni, nove per i Radicali, altrettanti per Di Pietro, Prodi ne ha prenotati 5-6, 32 le deroghe per i vip della politica di cui 22 già occupate (per le restanti 10 sarà lotta ai lunghi coltelli). "Lunedì chiudiamo" assicura il capogruppo alla camera Antonello Soro. Con una settimana di anticipo. Sorprese potrebbero arrivare per i teodem (Andrea Riccardi, il fondatore di Sant'Egidio?). Rosy Bindi lancia la candidatura di Giovanni Bachelet. Rosa Bianca-Udc, incontro decisivo. Dovrebbe esserci oggi tra Casini e Pezzotta. La Rosa Bianca chiede la par condicio, il 50 per cento dei posti e un tandem Casini-Tabacci per la premiership. Il nodo è questo. Oggi la risposta. I socialisti da soli. "Piccoli quanto si vuole ma non in vendita". Dal quartier generale di Boselli viene smentita categoricamente la voce che Veltroni terrebbe in caldo sei posti per coinvolgere all'ultimo momenti altrettanti nomi di peso del partito di Boselli. "Noi siamo una realtà, anche in Europa col Pse - dicono. Al loft fanno fatica a comprendere questa realtà". (26 febbraio 2008) da repubblica.it Titolo: Gesuiti: la novita' e' stata creata dal Pd Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2008, 03:38:49 pm 2008-02-28 11:00
Gesuiti: la novita' e' stata creata dal Pd CITTA' DEL VATICANO - La "novità" delle prossime elezioni "é costituita dalla decisione del Partito Democratico di presentarsi da solo alle elezioni": è quanto afferma la rivista dei gesuiti "Civiltà Cattolica" che fa discendere da questa mossa politica del Pd tutte le altre. Infatti, scrive padre Michele Simone, "la nascita del Partito Democratico e la decisione di presentarsi con un proprio programma ha, in un certo senso, 'costretto' il centrodestra a formare anch'esso una lista unitaria", mentre i partiti di sinistra ex alleati dell'Unione hanno dato vita alla lista unitaria detta 'Sinistra Arcobaleno'. Ma il nuovo panorama partitico, specie per quanto riguarda il centro - avverte il gesuita - sarà chiaro solo al momento del deposito ufficiale delle liste elettorali che avverrà a marzo. E su ciò, la prestigiosa rivista della Congregazione di Gesù si riserva di intervenire in una prossima puntata. da ansa.it Titolo: Veltroni: "Basta con i governi del minimo comune denominatore" Inserito da: Admin - Febbraio 29, 2008, 08:41:00 am Roma | 13 febbraio 2008
Veltroni: "Basta con i governi del minimo comune denominatore" Valter VeltroniVedi anche Elezioni, Di Pietro col Pd. Udc: pronti ad andare da soli Chiavi partito democratico~ politica italiana"Alla Sinistra faccio gli auguri di buona fortuna, ma noi abbiamo un altro progetto ed e' giunto il momento di dirselo. Basta con i governi del minimo comune denominatore. Questo tempo e' finito". Il leader del Pd Walter Veltroni definisce la separazione dalla sinistra radicale come "una liberazione reciproca". E agli esponenti della Sinistra che definiscono il Pd come un partito di centro, Veltroni ribadisce: "Il Pd e' un partito di centrosinistra, perche' non esistono solo il centro e la sinistra". Politica locale "Bisogna fare una discussione sul programma, a livello locale non si deve discutere di politica estera ma delle scelte locali. Bisogna distinguere la dimensione della politica nazionale, che richiede scelte innovative, e la dimensione locale, dove ci possono essere alleanze diverse". Ha sottolineato Veltroni a proposito delle scelte in vista delle elezioni amministrative. Non faro' piangere i ricchi La questione salariale e' "assolutamente urgente", serve un intervento immediato, avendo chiaro che "il problema non e' far piangere i ricchi, il problema e' far crescere la societa', l'economia". Veltroni, torna a chiedere un intervento "su salari e produttivita'", da realizzare attraverso "le risorse della lotta all'evasione fiscale". L'importante, sottolinea, e' capire che "la societa' deve crescere tutta insieme. Dobbiamo puntare ad un aumento del Pil che consenta una redistribuzione piu' elevata. E' chiaro che c'e' bisogno di un intervento di redistribuzione, ma non secondo una logica punitiva". Casini e Berlusconi "Ieri Berlusconi ha usato espressioni liquidatorie" nei confronti di Casini. Ha detto Veltroni. "Dire a un alleato - ha proseguito il leader del Pd - che e' stata colpa sua aver fermato l'azione del governo Berlusconi significa dire 'arrivederci, buonanotte'". Secondo Veltroni "e' chiaro che ormai nell'opposizione c'e' un centro e una destra". Ministri prima del voto Annuncero' a un certo punto della campagna elettorale, non so se tutti e dodici, ma una parte dei ministri" del mio Governo. Ha detto il aggiungendo che "saranno dodici e penso ci voglia una forte innovazione nella compagine governativa". Afghanistan "Bisogna portare la pace in Afghanistan. Sarebbe l'errore piu' grave venire via e lasciare l'Afghanistan al dominio dei talebani". Cosi' il segretario del Pd, Walter Veltroni. Il leader dei Democratici si augura, poi, che si possano "creare le condizioni per una convergenza su queste materie" tra i vari schieramenti politici, perche' "secondo me dovrebbe farsi strada l'idea che, prima di tutto il resto, devono prevalere gli interessi nazionali del paese". Regolamenti parlamentari subito I regolamenti parlamentari possono essere cambiati tutti, prima del voto. Il segretario del Pd, Walter Veltroni, si rivolge al leader del Pdl, Silvio Berlusconi: "Invito Berlusconi a fare il passo che manca: approvare ora, in questo Parlamento, una riforma dei regolamenti che consenta di fare cio' che gli italiani chiedono, per fare in modo che i gruppi parlamentari corrispondano alle liste presentate alle elezioni". Veltroni, inoltre, rivendica la scelta del Pd di correre da solo e spiega: "Grazie alla decisione unilaterale, all'atto di coraggio che abbiamo fatto, abbiamo gia' in parte realizzato una riforma elettorale...". Veltroni sottolinea infatti che "anche nel centrodestra si sta riducendo il numero delle liste". Sondaggi "Voglio mostrare sondaggi veri, nell'ultima settimana abbiamo recuperato due punti di percentuale e il distacco tra i due schieramenti e' piu' piccolo di quanto si pensa". Ha detto Veltroni. Con Di Pietro Walter Veltroni ha deciso che il Pd fara' un accordo elettorale con l'Italia dei valori di Antonio di Pietro perche' "Idv sara' nel gruppo del Pd e perche' annuncia uno scioglimento progressivo del partito" per entrare nel Pd. Cosi' Walter Veltroni, durante la registrazione di 'Porta a porta' spiega la scelta di accettare un apparentamento con la lista dell'ex Pm alle prossime elezioni. Prodi ottimo premier Il leader del Pd, a proposito del presidente del Consiglio ha poi detto: "Prodi e' un signore, ha detto non mi ricandido quando nella vita politica italiana stanno tutti appesi al sipario". "Distinguo il governo Prodi dalla sua coalizione. Nelle condizioni date, Prodi ha fatto un ottimo lavoro. Anzi, fantastico viste le condizioni in cui ha operato. Era la coalizione che era sbagliata". Veltroni ha quindi definito Prodi "un ottimo premier". Tav e rifiuti Sull'emergenza rifiuti a Napoli "una parte di responsabilita' ce l'hanno tutti, nessuno puo' far finta di fare il marziano. Se per cinque anni hai nominato un commissario, sei responsabile come gli altri". Ha detto Veltroni, che ha sottolineato che "in tutti i paesi europei si fanno i termovalorizzatori", e che serve "un presidio sanitario che attesti che non ci sono rischi: servono tutte le garanzie di sicurezza, pero' basta con il tempo dei veti, ora e' tempo delle decisioni". Infine, sulla Tav, Veltroni ha concluso: "Dove c'e' l'alta velocita' c'e' meno trasporto su gomma. Mi devono dire cosa e' ecologicamente piu' conveniente. L'ambientalismo moderno ci garantisce, non e' vero che prima si stava meglio". da rainews24.rai.it Titolo: Pd, chiusura record sulle candidature: 35% sono donne Inserito da: Admin - Marzo 04, 2008, 03:15:53 pm Pd, chiusura record sulle candidature: 35% sono donne
Il coordinamento nazionale del Pd ha approvato tutte le liste per le candidature alle prossime elezioni ma sono in corso ancora delle limature sulla Campania. Le liste di candidati del Pd alle prossime elezioni «confermano l'inizio di una stagione di cambiamento». Il vicesegretario del partito Dario Franceschini, conversando con i giornalisti, commenta così il via libera alle candidature del partito per Camera e Senato dato questo pomeriggio dal coordinamento nazionale. Franceschini sottolinea che le liste sono state votate «praticamente all'unanimità, se si eccettuano una o due astensioni per questioni di metodo». «Nelle liste - dice ancora Franceschini - c'è molta innovazione, così come c'eravamo impegnati a fare». In particolare, sottolinea, viene praticamente raddoppiata la presenza femminile, «saranno sicuramente più di cento le parlamentari donne del Pd». Un risultato ottenuto anche «grazie al sacrificio di alcuni parlamentari che avevano fatto meno di tre legislature». Franceschini, inoltre, ci tiene a «sottolineare i tempi (con cui sono state approvate le liste, ndr). La tradizione della formazione delle liste vuole che si arrivi sempre fino all'ultima notte disponibile, invece noi abbiamo finito una settimana prima, senza notti dei lunghi coltelli». Infine, Franceschini spiega che in materia di deroghe rispetto al limite dei tre mandati «abbiamo rispettato quanto previsto dallo statuto». Per quanto riguarda il mancato inserimento di Stefano Ceccanti nelle liste, il vicesegretario del Pd si limita a sottolineare che è stato però candidato Salvatore Vassallo. Nella regione per la Camera, nella prima circoscrizione, il capolista dovrebbe essere Massimo D'Alema, seguito da Luigi Nicolais e Giulio Santagata, mentre al Senato il capolista sarebbe Marco Follini. Il nodo dovrà comunque essere sciolto entro la serata. Il chirurgo Ignazio Marino è il capolista al senato del Pd in Sicilia. Il coordinamento nazionale del partito di Veltroni candida al secondo posto Enzo Bianco, seguito da Nino Papania, Anna Serafini, Wladimiro Crisafulli e Benedetto Adragna. In lista fra i candidati anche Nuccio Cusumano. Il Pd non ricandida il vice presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Lumia. Il deputato uscente aveva presentato richiesta di deroga rispetto alla regola del partito, secondo la quale non si può ricandidare chi ha tre legislature alle spalle. Secondo ambienti del Pd, il coordinamento nazionale ha invece concesso la deroga a Enzo Bianco, che sarà candidato al secondo posto al senato in Sicilia. Ecco i capolista regione per regione Piemonte: Piero Fassino e Luigi Bobba alla Camera, Emma Bonino al Senato. Liguria: Giovanna Melandri alla Camera e Roberta Pinotti al Senato. Lombardia: Matteo Colaninno, Enrico Letta e Antonello Soro alla Camera, Umberto Veronesi al Senato. Trentino Alto Adige: Gianclaudio Bressa alla Camera. Veneto: Massimo Calearo e Rosy Bindi alla Camera, Enrico Morando al Senato. Friuli Venezia Giulia: Cesare Damiano alla Camera e Carlo Pegorer al Senato. Emilia Romagna: Pierluigi Bersani alla Camera e Anna Finocchiaro al Senato. Toscana: Dario Franceschini alla camera e Vannino Chiti al Senato. Marche: Maria Paola Merloni alla Camera e Giorgio Tonini al Senato. Umbria: Marina Sereni alla Camera e Francesco Rutelli al Senato. Lazio: Marianna Madia e Donatella Ferranti alla Camera, Franco Marini al Senato. Abruzzo: Livia Turco alla Camera e Franco Marini al Senato. Molise: Roberto Ruta alla Camera e Augusto Massa al Senato. Campania: Pina Picierno e Massimo D'Alema alla Camera, Marco Follini al Senato. Puglia: Massimo D'Alema alla Camera e Paolo De Castro al Senato. Basilicata: Salvatore Margiotta alla Camera e Nicola Latorre al Senato. Calabria: Marco Minniti alla Camera e Luigi De Sena al Senato. Sicilia: Loredana Ilardi e Giuseppe Fioroni alla Camera, Ignazio Marino al Senato. Sardegna: Arturo Parisi alla Camera e Antonello Cabras al Senato. CALABRIA Marco Minniti alla Camera e Luigi De Sena al Senato: questi i capilista del Pd in Calabria per le elezioni del 13 e 14 aprile. Secondo quanto si è appreso in Calabria, la lista approvata stasera dal Coordinamento nazionale del Pd, presieduto da Walter Veltroni, vede al numero due per la Camera Rosa Calipari, senatrice uscente e vedova del funzionario del Sisme ucciso in Iraq. Seguono Nicodemo Oliverio, deputato uscente ed ex segretario nazionale organizzativo della Margherita; Franco Laratta, deputato uscente; Doris Lo Moro, presidente dell'assemblea del Pd della Calabria e consigiere regionale; Maria Grazia Laganà, deputato uscente e vedova di Francesco Fortugno, e Cesare Marini, ex senatore socialista. Per quanto riguarda il Senato, dopo De Sena, ex prefetto di Reggio Calabria e già vicecapo vicario della Polizia, seguono nella lista Franco Bruno, senatore uscente; Daniella Muzzucconi; Dorina Bianchi, deputato uscente; Paolo Abramo, presidente della Camera di commercio di Catanzaro, ed al sesto posto Mimmo Pappaterra, socialista, presidente del Parco nazionale del Pollino. Nelle liste del Pd per la Camera ed il Senato approvate stasera non figura alcun esponente del Pdm, il partito fondato due anni dal presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, dopo la sua uscita dalla Margherita. Il simbolo del Pdm nei giorni scorsi era stato depositato al Viminale con candidato premier Salvatore Audia, coordinatore provinciale del partito a Cosenza e stretto collaboratore dell'assessore regionale all'Agricoltura, Mario Pirillo. Non è al momento noto il pensiero e l'atteggiamento del presidente Loiero, ma dai suoi «colonnellì si coglie un sentimento di irritazione. LIGURIA Due donne, Roberta Pinotti, presidente uscente della commissione Difesa della Camera, al Senato e Giovanna Melandri, già ministro allo sport e politiche giovanili, alla Camera, sono state scelte come capolista del Pd in Liguria. L'elenco delle candidature è stato ufficializzato questo pomeriggio. Consistente la rappresentanza femminile al Senato, dove in Liguria si presenteranno anche Claudio Gustavino, capogruppo uscente dell'Ulivo in consiglio regionale; Luigi Lusi, ex tesoriere nazionale della Margherita; Stefano Fassina, consigliere economico del viceministro Vincenzo Visco; Brunella Ricci, imperiese; Iolanda Pastine, consigliere a Santa Margherita (Genova); Paola Sisti, assessore provinciale alla Spezia; Giovanna Risso, assessore comunale ad Andora (Savona). Alla Camera dei Deputati, dopo la Melandri, sono in lizza Andrea Orlando, dirigente nazionale del Pd; Francesco Garofani, giornalista ed intellettuale di area cattolica; Mario Tullo, segretario regionale del Pd ligure; Massimo Zunino, deputato savonese; Sabina Rossa, senatrice uscente; Lorenzo Forcieri, sottosegretario alla Difesa, spezzino; Egidio Banti, deputato Margherita; Romolo Benvenuto, deputato Ds; Paolo Veardo, assessore comunale di Genova; Valentina Ghio, assessore a Sestri Levante (Genova); Raffaella Paita, assessore comunale alla Spezia; Giancarlo Campora, sindaco di Campomorone (Genova); Danila Satragno, jazzista, componente dell'esecutivo ligure del Pd, savonese; Sergio Scibilia, consigliere provinciale ad Imperia; Umberto Galazzo, sindaco di Ameglia (La Spezia); Francesca Orlandini, genovese, iscritta all'associazione Genova-Europa. SICILIA Il ministro per la Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, è il capolista del Pd alla Camera nel collegio Sicilia occidentale. Alessandra Siragusa, capogruppo del partito nel consiglio comunale di Palermo, è al secondo posto. Nella lista ci sono, in ordine, il vice ministro per le Infrastrutture Angelo Capodicasa, il vice ministro per lo Sviluppo economico Sergio D'Antoni, Piero Martino dell'ufficio stampa nazionale del partito, Daniela Cardinale figlia dell'ex ministro per le Telecomunicazioni Salvatore che aveva annunciato che non si sarebbe candidato, l'ex Enzo Carra, il vice segretario del Pd Tonino Russo. Al nono posto Loredana Ilardi, la lavoratrice del call-center Alicos di Palermo, accreditata alla vigilia come capolista. Pubblicato il: 03.03.08 Modificato il: 03.03.08 alle ore 21.33 © l'Unità. Titolo: Ma dietro le quinte scoppia il caso Lumia: «L’antimafia non è una priorità» Inserito da: Admin - Marzo 04, 2008, 04:54:41 pm Ma dietro le quinte scoppia il caso Lumia: «L’antimafia non è una priorità»
Maria Zegarelli Ad annunciare la guerra sulle liste sono soprattutto le regioni che si ritengono penalizzate dalle scelte partite da Roma. Esclusi eccellenti, malumori e maldipancia: la battaglia sul chi entra e chi esce è stata all’ultimo posto. Come nel caso di Giuseppe Lumia, vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia fuori dalle nomination. «È un momento delicato e importante - commenta a caldo - Come al solito nella nostra regione la lotta alla mafia viene vista dalla politica più come un problema che come una priorità e una risorsa». Lumia, finito nel mirino di Provenzano e «condannato a morte» dal boss, come rivelato dal pentito Giuffré, annuncia che rifletterà sul da farsi anche rispetto al Pd, mentre proprio sulla sua esclusione è esplosa una polemica destinata a proseguire nei prossimi giorni. Non è stata un’impresa facile per gli occupanti il “tavolo degli Otto”. Vero, c’erano tutti e alla fine se si volesse disegnare la classica torta il 51% dei candidati “blindati” andrebbe all’area facente capo ai Ds e il restante 49 a quella della Margherita. Ma Nicola Latorre, Maurizio Migliavacca, Goffredo Bettini per i Ds, Beppe Fioroni, Paolo Gentiloni, Rosy Bindi, Talmoro e Franceschini - coordinatore- per la Margherita, il problema maggiore è stato quello di conciliare le indicazioni che arrivavano dai territori con le decisioni nazionali. «Noi siamo soddisfatti del lavoro che abbiamo fatto - dice Latorre - perché gli obiettivi che ci eravamo posti sono stati rispettati: raddoppiare il numero delle donne, aprire alla società civile, tenere insieme le diverse anime del partito». Ma si raccontano telefonate di fuoco fino a tutto ieri pomeriggio. Da alcune regioni, come la Campania e la Sicilia sono fioccate dimissioni e richieste di dimissioni per la mancata candidatura di persone legate al territorio. Piero Fassino quando ha comunicato a Mimmo Lucà, coordinatore dei cristiano sociali Mimmo Lucà, che è stato piazzato al 9° posto in Piemonte si è sentito rispondere: «Piero, apprezzo il tuo impegno, ma il Pd mi sta mettendo fuori». Lucà oggi presenterà le dimissioni da coordinatore, poi valuterà che fare con il Pd. «Veltroni ci ha fatto fuori», ha confessato con amarezza ai suoi. Barbara Pollastrini ha fatto del tutto per far entrare in lista il costituzionalista Stefano Ceccanti (ritenuto vicino allo stesso segretario Pd), candidatura ritenuta da tutti autorevole, e finita nello scaricabarile generale: dal Loft dicono che doveva essere la Toscana a proporlo, dalla Toscana il segretario regionale del Pd, Andrea Manciulli parla di «equivoco: nessuno, tantomeno il cosiddetto Tavolo degli Otto, ha mai proposto alla Toscana di presentare nelle proprie liste come espressione del territorio il professor Stefano Ceccanti». La vicecapogruppo alla Camera Marina Sereni si è battuta per Gianfranco Burchiellaro che invece resta fuori. «La verità è che la Margherita ha difeso i suoi, Veltroni i suoi, gli unici a farne le spese sono stati gli ex Ds», lamentano deputati e senatori uscenti. Amareggiato anche da Nando Dalla Chiesa, che di legislature alle spalle ne ha diverse, «ma in fondo pago il fatto di essermi schierato con la Bindi alle primarie». Dice «no grazie», Beatrice Magnolfi, amareggiata, «ma non è una tragedia», alla quale è stata proposto un 12° posto nella lista Toscana Senato, dove l’elezione sarebbe stata altamente improbabile. Se ne va da Roma «per niente soddisfatto di come sono andate le cose», il segretario regionale della Sicilia, Francantonio Genovese: «Hanno deciso tutto da Roma». A Siracusa è scoppiato un caso: il Pd provinciale, in una nota annuncia che i gruppi dirigenti locali si dicono pronti alle dimissioni per la mancanza di loro rappresentanti in lista. «la prima volta in 60 anni», denunciano. A Caserta il segretario provinciale, Sandro De Franciscis, ha lasciato la riunione romana annunciando le proprie dimissioni: «Caserta e la sua provincia - dice furibondo annunciando che non farà campagna elettorale - esce massacrata. Un territorio con un milione di abitanti è stato ignorato. La notizia è che evidentemente il Pd pensa che non ci sia bisogno del voto dei casertani». Pubblicato il: 04.03.08 Modificato il: 04.03.08 alle ore 10.22 © l'Unità. Titolo: Pd, Bonino: «Patti non rispettati» Inserito da: Admin - Marzo 05, 2008, 10:27:46 am Il ministro radicale: «non sono un oggetto, in piemonte non corro»
Pd, Bonino: «Patti non rispettati» E Bettini: «Liste decise, tutti eleggibili» Pannella: «Non rompiamo, ma non ci fotterete». Veltroni: «Col pareggio riforme, poi si rivoti» ROMA - «Non rompiamo con il Partito democratico ma vogliamo che i nove nomi radicali frutto del patto con Veltroni siano tutti eletti. Chiediamo quindi che siano messi in posti eleggibili, se non è possibile come capilista, almeno come numeri due delle circoscrizioni più popolate». Dopo lo strappo minacciato in mattinata da Emma Bonino, tocca al vecchio leader radicale, Marco Pannella, firmare la tregua con il Pd. ALMENO TRE SONO FUORI - Pannella ha spiegato come dei nove radicali inseriti nelle liste del Pd almeno tre siano quasi matematicamente fuori dal Parlamento. Si tratta di Maria Coscioni in Friuli, Matteo Mecacci a Lazio 2 e Elisabetta Zamparutti in Basilicata. «Il patto prevede nove eletti e invece almeno tre sono giá fuori. Noi non rompiamo - ha scandito Pannella - ma attenti, su questa questione non ci fottete». BETTINI: LISTE NON SI TOCCANO - «Per noi i nove candidati radicali sono tutti ampiamente eleggibili. Sette sono in posizione di assoluto privilegio. Due in posizioni buone, ma di combattimento». Il coordinatore nazionale della fase costituente del Pd, Goffredo Bettini, replica senza lasciare fare nessuna apertura alle polemiche sollevate da Pannella e Bonino. «Il sistema elettorale - spiega Bettini - ha mille variabili e ci sono decine di personalità di primo piano ed anche parlamentari uscenti che hanno accettato una candidatura con rischi assai maggiori. Le liste non sono modificabili. È impensabile riaprire ora una trattativa. Sta ai Radicali dimostrare, di fronte ad uno sforzo del Pd giudicato da tutti grande e generoso, se davvero vogliono partecipare a una avventura comune o se considerano le liste del Pd un mero strumento per conservare se stessi». RADICALI ALL'ATTACCO - All'indomani della chiusura delle liste (in anticipo rispetto al Pdl, cosa che ha fatto esultare il candidato premier Walter Veltroni) Emma Bonino aveva lanciato un durissimo attacco sulle candidature. «Dalla lista dei candidati radicali, scritta a penna, emerge chiaramente che la proposta da loro fatta dei 9 eletti non è stata mantenuta», ha detto il ministro per le Politiche Comunitarie, nel filo diretto di lunedì mattina a Radio Radicale. La Bonino ha sottolineato che non è una questione di trattativa, ma «non c'è la certezza che saremo eletti tutti. Chiediamo e vogliamo la certezza che il Pd sia coerente con la proposta che ci ha fatto», ha aggiunto il ministro radicale. Poi la stoccata sugli alleati: «Ad oggi risultano inaffidabili rispetto alle proposte che ci hanno fatto. Non è questione di trattative da suk, chiediamo che si facciano solo carico del rispetto della proposta da loro fatta». «NON SONO UN OGGETTO» - Riguardo alla sua personale candidatura la Bonino ha anche avvertito: «Non intendo candidarmi in Piemonte perchè non sono un soprammobile, da loro sbrecciato, che si può prendere e spostare dove vogliono. Non sono un oggetto che può essere usato o spostato. Stando così le cose - ha aggiunto - non sono nemmeno convinta che valga la pena di essere candidata da qualche parte». LA REPLICA DI VELTRONI - La replica di Veltroni non si fa attendere: «I nove eletti radicali ci sono, ci sono» ha detto il candidato premier del Pd rispondendo a Bruno Vespa circa le perplessità avanzate da Emma Bonino mentre l'ex sindaco di Roma stava registrando "Porta a porta". PAREGGIO? RIFORME E POI VOTO - Larghe intese per le riforme e poi di nuovo il voto. Se il 13 e 14 aprile gli elettori dovessero decretare un pareggio tra Pd e Pdl, secondo Walter Veltroni la strada da intraprendere dovrebbe essere quella delle riforme. «Io penso di vincere e che gli italiani sanno che questa volta è l'occasione nella quale votando un partito si garantisce governabilità. Ma se non sarà, si dovranno fare le riforme e poi tornare al voto», ha aggiunto Veltroni. «BERLUSCONI NON È UN UOMO DI STATO» - Ospite di Bruno Vespa, il leader del Pd ha ricordato che sulla modifica della legge elettorale si era «ad un passo dal poterla realizzare». E in proposito ha aggiunto: «Berlusconi non vuole far dimenticare Prodi? È qui che si vede la differenza tra un uomo politico ed un uomo di Stato e cioè cosa conta di più se gli interessi del Paese o i propri» ha detto Veltroni. Il segretario del Pd è anche tornato sulla questione rifiuti a Napoli e sulla vicenda Bassolino. «Il mio giudizio l'ho già espresso e ho già detto che serve una fase nuova e di discontinuità. Ha ragione Bassolino nel dire che ora, nel mezzo della crisi, non può lasciare» afferma il segretario del Pd. «Finita l'emergenza, però - ribadisce Veltroni - serve un segno di discontinuità profondo, che deve essere sottoposto al giudizio degli elettori. Mi aspetto dalla coscienza di Bassolino, che è una persona responsabile, che, finita l'emergenza, si apra una fase nuova». Berlusconi, dal canto suo, ha respinto al mittente le accuse di non essere un uomo di Stato rivoltegli dal leader del Pd. «Sono affermazioni ineleganti e lontanissime dalla realtà» ha detto il Cavaliere. 04 marzo 2008 da corriere.it Titolo: Maria Laura Rodotà. La fossa delle (non) Marianne Inserito da: Admin - Marzo 05, 2008, 10:29:10 am Vecchi vizi
La fossa delle (non) Marianne Nei primi posti in lista (lista Pd; nel Pdl va anche peggio) ci sono le poche donne notabili, e le Marianne. Quelle ragazze entusiaste e molto giovani, come la romana Marianna Madia, candidate a sorpresa (anche loro). Più giù nella lista, nei posti da ineleggibili, c'è la fossa delle Non Marianne. Profonda più che mai nel collegio Lombardia 1; dal ventesimo posto a scendere, finalmente maggioritarie, ci sono 12 donne candidate su 21. In alto, solo tre femmine su 19: l'attiva benché non milanesissima ministra Linda Lanzillotta, l'ex dirigente Ds Emilia De Biase, la ragazza del loft democratico Alessia Mosca in quota Marianne. Buone, per carità, ma poche. E se ci si informa sulle Non Marianne, viene da pensare che capovolgendo la lista il Pd prenderebbe un po' più di voti. O perlomeno, rappresenterebbe meglio i suoi elettori. E le sue elettrici. Sembra un brutto dispetto (i più brutti sono quelli involontari, spesso) che per Milano, la città italiana con più donne che lavorano e più diffuse eccellenze femminili, sia stata approntata una lista Piddì così scarsa di deputate sicure; e così abbondante di angeli della bassa classifica, donne che si candidano per passione e/o militanza, fanno campagna veramente, sono parte attiva della città che (non) le elegge. O meglio delle città: molte Non Marianne vengono dalla Milano-città infinita che va da Malpensa o Orio al Serio, da Piacenza alla Svizzera; come Rita Vergani, vicesindaco di Cinisello, Emanuela Beacco, giovane presidente del consiglio comunale di Giussano, Patrizia Gioacchini, consigliere a Brugherio. Ci sono avvocate (Lisa Noja, 34 anni, quasi una Marianna), architetti (Elena Buscemi), volendo anche filosofe (Teodora Crippa), e qualche vera ragazza (Ilaria Cova, ex segretario dei giovani della Margherita). Pazienza. Erano liste complicate. Ci si è dovuti mettere d'accordo sui posti, sugli importanti da garantire e sui bravi funzionari a cui garantire la pensione; e poi c'erano i candidati extra-politici di richiamo, e le ragazze-immagine, e poi... Poi c'è una nuova (ma anche vecchia) situazione imbarazzante che si poteva evitare (ma anche no). Certo, proprio a Milano. Pazienza, la milanese media ha talmente da fare che magari non se ne accorgerà (proprio perché sono così brave a organizzare vite e lavori impossibili, le milanesi medie — città infinita inclusa — andrebbero candidate in massa; non l'hanno capito neanche stavolta, però). Maria Laura Rodotà 05 marzo 2008 da corriere.it Titolo: Marco Cremonesi. Donne, in lista il 30 per cento Ma tante nei posti «perdenti» Inserito da: Admin - Marzo 05, 2008, 10:30:15 am Quote rosa Piemonte e Lazio: qui rappresentanza inadeguata
Donne, in lista il 30 per cento Ma tante nei posti «perdenti» Il caso Milano: su 15 solo tre hanno la possibilità di «passare» MILANO — Garantito: sulle barricate non ci monterà nessuna. Ma qualche delusione, quella c'è. Per una presenza femminile nelle liste del Pd che non tiene dietro a tutte le aspettative: neppure Marianna Madia e Pina Picierno, capolista giovani e belle, possono saziare quel che il nuovo corso ha messo in movimento. Walter Veltroni ieri lo ha ribadito: «Verrà eletto il doppio delle donne». E Dario Franceschini garantisce che «le parlamentari saranno sicuramente più di cento, grazie anche al sacrificio di alcuni uscenti che avevano fatto meno di tre legislature ». Però, per una rigorosissima Emilia Romagna che su 64 candidati schiera 32 donne, c'è anche — per esempio — il Piemonte. Dove la senatrice Magda Negri si sdegna e parla apertamente di «penalizzazione delle donne: quattro o cinque candidate tra i possibili 20 eletti sono una miseria, ben al di sotto del 30 per cento previsto dalle regole». Anche qui, dipende da come la si vede. Perché il segretario del Pd sotto alla Mole, Gianfranco Morgando, fa notare che se tutto funzionerà come deve, «in Parlamento entreranno sei donne, due in più di quelle che entrarono nel 2006». Poco rosa anche in Lombardia. Nella circoscrizione di Milano, per bene che vada, di donne ne entreranno soltanto tre: Linda Lanzillotta, Emilia De Biasi e Alessia Mosca. Per trovare un'altra esponente di genere, bisogna scorrere la lista per un bel pezzo, e arrivare al posto numero 20. In compenso, dopo si sciala come neppure in Emilia: tra il 21 e il 40 — nessuna chance di elezione salvo calamità naturali — le donne sono 11. Un po' meglio va al Senato, quattro donne su 14 presumibili futuri senatori. Decisamente meglio va in Veneto, dove il comandamento dell'«una eletta su tre» dovrebbe essere rispettato. Ma in Friuli, c'è chi si strappa i capelli. Nessuna donna tra i quattro a seggio garantito. E la quinta, se entrerà, sarà la radicale Maria Coscioni. In Lazio, chi scuote la testa è Silvia Costa. Lei, in quanto assessore regionale, si era ritirata dalla corsa. E lunedì, a caldo, aveva detto di trovare «inadeguata e in condizioni di precarietà di risultato la rappresentanza femminile nelle liste del Lazio». Con il passare delle ore, non ha cambiato idea, anche se premette che la sua «non è una critica tragica ». Però, in «alcuni casi non basta dire è giovane e mai ha fatto politica: per essere messi in lista, bisognerebbe aver dimostrato di essere in grado di impegnarsi nel lavoro per la collettività». Insomma, va bene il nuovo: «Ma non deve per forza sostituire personalità importanti e dalle capacità utili e riconosciute». Pensa all'ex sottosegretario Cristina De Luca, collocata nella scomoda posizione numero 14. Chi non si può lamentare è invece la Campania. Teresa Armato ricorda che «qui le uscenti erano quattro, ora in posizione utile siamo in otto. Veltroni ha mantenuto la parola». Marco Cremonesi 05 marzo 2008 da corriere.it Titolo: MARCO BRACCONI. Liste del Pd, la rosa e le spine Inserito da: Admin - Marzo 06, 2008, 03:29:13 pm POLITICA
IL PUNTO Liste del Pd, la rosa e le spine di MARCO BRACCONI A fare le liste, il Pd è stato il più veloce, e con i tempi della politica italiana non è poco. Tra i candidati ci sono tante donne e tanti giovani. E nell'Italia del ceto politico immobile e delle caste intoccabili, quella di Veltroni è una radicale e indubbia operazione di rinnovamento. Ma lo svecchiamento veltroniano lascia qualche scontento e in qualche caso apre problemi politici che adesso il leader democratico è chiamato rapidamente a risolvere. Gli esclusi, eccellenti o meno, sembrano il meno. Anche se l'assenza del numero due dell'Antimafia Lumia promette ancora strascichi polemici. Più complicato il caso Pannella, che con lo sciopero della sete si guadagnerà presenze mediatiche dalle possibili ricadute negative per l'immagine del partito. La questione radicale ha agitato il loft democratico per giorni. La trattativa infinita, l'accordo, i mal di pancia interni dell'area cattolica, l'attacco di Famiglia Cristiana, qualche decimo di punto ceduto nei sondaggi. Poi, il braccio di ferro sulle posizioni in lista, e dalla Rosa nel Pugno coi socialisti Bonino e C. sono diventati una spina nel fianco del Pd. Il segretario democratico ha messo oggi la parola fine: "Liste chiuse, un accordo politico non si vive come un tram su cui salire". Ma i pannelliani non sembrano disposti ad accettare il game over. Lo sciopero della sete che l'anziano leader radicale brandisce davanti alla porta del loft è arma pericolosa. Ma Veltroni - che dopo l'accordo avrebbe preferito far calmare le acque agitate di Binetti e soci - continua a scommettere sul decisionismo. Si accontentino, la questione è archiviata. E saranno le ultime settimane di campagna elettorale a dire se gli indecisi lo interpreteranno come un segnale di chiusura o, al contrario, di affidabilità e determinazione. Diverso il caso Calearo. Non ci sono scioperi della sete in vista, ma la personalità dell'ex leader di Federmeccanica non è semplice da gestire in un partito che ha metà delle sue radici nella storia della sinistra e proprio a sinistra ha ora un avversario senza se e senza ma. L'uomo, lo ha dimostrato in questi giorni, non ha intenzione di facilitare il compito ai vertici del partito: dubbi sull'articolo 18, distinguo sulle sanzioni per le morti bianche, benedizione di Mastella per aver fatto cadere il governo Prodi. Apriti cielo. Su quest'ultimo passaggio insorgono gli ulivisti da Bindi a Parisi. Chiedono precisazioni, correzioni, smentite. L'ennesima conferma che con il voto di aprile l'ex sindaco di Roma si gioca tutto. O la "strategia della rivoluzione" paga - dall'andare da soli ai nomi in lista - o dopo il 14 aprile non pochi saranno quelli che si presenteranno a chiedere il conto. (5 marzo 2008) Titolo: FABIO MARTINI. Sul pullman di Walter sognando il pareggio Inserito da: Admin - Marzo 07, 2008, 03:12:16 pm 7/3/2008 (7:37) - REPORTAGE
Sul pullman di Walter sognando il pareggio Il Giro d’Italia in cerca dei voti per la rimonta FABIO MARTINI INVIATO A FORLI’ Anche alla Fiera di Forlì la sequenza si ripete secondo una sceneggiatura studiata e collaudata in 27 repliche: Veltroni scende dal pullman verde, dal marciapiede si levano urla belluine «Wal-ter, Wal-ter», lui fa l’occhietto, stringe mani e intanto, dentro la sala, parte il «Mi fido di te» di Jovanotti. E quando Veltroni entra nel catino, gli applausi scattano in serie. Quando il leader sale sul palco. Quando il leader saluta la gente. Quando dalla folla parte il grido «Sei bravo Walter!». A fine comizio, dalla regia fanno partire l’Inno di Mameli ad un volume assordante. E dopo lo sconcerto delle prime tappe (a Pescara, a Campobasso, a Isernia la gente sussurrava o taceva), da una decina di giorni più di metà del pubblico canta "Fratelli d’Italia" e qualcuno lo fa a squarciagola. Veltroni trascina e lui ci crede ancora. Eppure, da due giorni c’è una novità. E’ come se un velo di sincerità avvolgesse le sue parole: «Non so dire quale sarà l’esito delle elezioni, però so che già oggi abbiamo fatto una grande rivoluzione», ha detto ieri a Forlì. E due giorni fa, a Parma, aveva sostenuto: «Questo grande partito sarà, comunque sia, o il primo partito italiano che governerà il Paese, o una delle più grandi forze riformiste di questo continente, ciò che in Italia non c’è mai stato». Proprio così. Come se vincere o perdere sia più o meno equivalente. Tanto è vero che dopo aver scandito nel dettaglio per 18 giorni sondaggi e quote dei bookmakers, ieri Veltroni ha annunciato: «Vi assicuro che non sarò preso dalla sondaggite acuta». Da due giorni - e la novità non è trascurabile - è come se per Veltroni la vittoria sia ridimensionata a possibilità, esattamente come una sconfitta molto onorevole. Certo, soprattutto a Bologna, il leader del Pd ha ripetuto che la vittoria è vicina, eppure un certo eclettismo degli ultimi dieci giorni (radicali-teodem, Tyssen-Calearo, Umberto Veronesi e i portaborse) sembra aver interrotto la rimonta, così almeno dicono quasi tutti - non tutti - i sondaggi. Ma nella campagna di Veltorni resta un effetto-pullman, non misurabile in voti ma palpabile. Ogni volta lui gigioneggia: «Mancano ancora 82 tappe e spero di arrivare vivo!», ma il tour de force in 110 province lo ha voluto lui. Quattordici anni fa, anche se allora non si seppe, fu proprio il giovane Walter a consigliare al professor Prodi: «Sarebbe bello poter girare l’Italia con un pullman, come ha fatto Clinton due anni fa». Era il 1994 e un anno dopo proprio il pullman dell’Ulivo sarebbe diventato uno dei pochi simboli, capaci di comunicare da sinistra qualcosa all’opinione pubblica. Veltroni lo sa: negli Stati Uniti alcuni studi hanno dimostrato che se la televisione resta importante, in una stagione di virtualità il contatto personale può irradiare e moltiplicare i consensi. I pullman in realtà sono due, perfettamente uguali. Una "omonimia" che talora produce effetti comici. C’è quello di Veltroni guidato da Vittorio, un romano «ovviamente romanista», che a 42 ha già venti anni sulle spalle «da autista, soprattutto di turisti». In ogni piazza però approda per primo il pullman dei giornalisti. Col risultato che telecamere e tifosi assediano puntualmente la porta girevole del bus sbagliato. Ieri sera, in piazza Maggiore a Bologna, una ragazza bolognese giurava al suo ragazzo: «Dietro i vetri, ho visto Walter, sta scendendo, ora lo vedrai anche tu». Ma dalla porta del pullman è sceso un silenzioso giornalista del "Sunday Times". In compenso i cronisti al seguito sono coccolatissimi, grazie allo staff di colleghi, Luigia, Federica e Guendalina e grazie ad una segretaria, la "sora Laura", che rifornisce la truppa di cornetti caldi, biscotti e bevande. Certo, da qualche giorno Veltroni ha tirato fuori il D’Alema che è in lui, sferzando quei grandi giornali che a suo avviso deformano le notizie, guidati come sono da «cinquantacinque-sessantennni che sono arrivati ad un età nella quale cominciano a pensare che potevano fare qualcos’altro e appena vedono uno di 25 anni che diventa deputato, vorrebbero strangolarlo!». Comitati elettorali itineranti, i pullman sono alimentati da una piccola comunità. C’è il "produttore", Lino Paganelli, che è il capo delle Feste dell’Unità; c’è Roberto Cocco, l’ex autista dei tempi del Pci e che dopo 20 anni di vicinanza è diventato l’uomo-ombra del capo, il factotum che dice la sua anche sulle questioni politiche; c’è Giovanni Lattanzi, detto "la lepre", colui che va in avanscoperta nella tappa successiva. L’altro giorno Veltroni lo ha pubblicamente elogiato («Pensate, fa questo lavoro, nonostante si sia infortunato alla gamba»), lui dalla platea ha salutato alzando la stampella, la gente ha applaudito, ma subito dopo il palchetto davanti al leader è precipitato: «Ecco che succede a parlar bene delle persone!», ci ha scherzato su Veltroni. Che, gasato come è, da qualche giorno ha inaugurato la serie dei "comizi brillanti", all’americana, infarciti di battute sdrammatizzanti. A Parma, mentre parlava, Veltroni si è fermato con pausa da attore e si è rivolto ai fotografi che scattavano dal basso: «Fanno foto da posizioni inquietanti». da lastampa.it Titolo: Veltroni: scarsi nel Nord-est? La colpa è dell'Unione che ha creato un muro Inserito da: Admin - Marzo 11, 2008, 05:48:59 pm Il candidato premier del Pd a Vicenza contestato dai gruppi no-dal molin
Veltroni: scarsi nel Nord-est? La colpa è dell'Unione che ha creato un muro «Non so se ciò si tradurrà subito in un risultato elettorale, ma ora non siamo più costretti a mediare» VICENZA - È caduto il «muro» tra il Nord-est e il centrosinistra riformista. Lo ha decretato Walter Veltroni a Vicenza, dove è stato contestato anche da alcuni manifestanti dei gruppi no-Dal Molin (un fermo). Il candidato premier del Pd non è sicuro che «la caduta del muro, colpa del vecchio centrosinistra, si tradurrà subito in un risultato elettorale, ma ciò che importa è che sia caduto». Veltroni non nasconde le colpe dell'Unione nelle difficoltà tra il centrosinistra e gli elettori locali. «Nel Nord-est c'è delusione verso la destra, perché le cose non sono cambiate anche se hanno governato per cinque anni. Inoltre c'è stato il nostro cambiamento, con una separazione consensuale della sinistra che permette a tutti di non essere più costretti a mediare». «BERLUSCONI È STANCO» - «Tutti i sondaggi dicono che ogni giorno le cose vanno meglio e c'è una crescita costante per noi. Posso dire, avendo guardato i dati su Vicenza, che anche qui si può fare». Una conferma, secondo Veltroni, sono le recenti dichiarazioni di Silvio Berlusconi: «Quando dice "non mi candido la prossima volta", ammette che il suo obiettivo non è cambiare l'Italia ma vincere le elezioni. Ttutto è già visto, con un elemento di evidente stanchezza». SALARI - Veltroni si è trovato d'accordo sui salari con il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco. «Il cardinale ha ragione ad affermare che il problema dei salari e degli stipendi deve essere un tema di larghe convergenze. L'impoverimento delle famiglie e l'aumento di salari e stipendi sono un tema sul quale il governo Prodi aveva già proposto un intervento immediato. Ma questa proposta non è stata accolta da altri». Veltroni ha rilanciato il programma del Pd che prevede interventi «a sostengo delle pensioni, dei salari e degli stipendi, sostegni a favore delle famiglie, il bonus di 2.500 euro per figlio, interventi a favore dell'occupazione femminile e contro la precarizzazione». CONTESTAZIONI NO-DAL MOLIN - Una cinquantina di manifestanti dei gruppi no-Dal Molin ha contestato Veltroni sulla decisione di allargare la base militare americana a Vicenza. Un giovane manifestante è stato fermato dalla polizia dopo aver tentato di salire a forza sul pullman di Veltroni, che invece se ne era già andato in auto dopo il comizio elettorale all'auditorium. 11 marzo 2008 da corriere.it Titolo: Veltroni: gli sbagli dell'Unione nel Nordest Inserito da: Admin - Marzo 12, 2008, 01:15:51 pm Veltroni: gli sbagli dell'Unione nel Nordest
di Lina Palmerini Vicenza, due anni dopo. Da quel convegno di Confindustria che vide l'arrivo a sorpresa di Silvio Berlusconi – improvvisamente guarito da una lombosciatalgia – accolto da un'ovazione di tutta la platea di industriali vicentini sono passati, appunto, quasi due anni. Siamo ancora in campagna elettorale ma quello che è cambiato – decisamente – si riassume con un flash: la foto della stretta di mano e dell'abbraccio tra Massimo Calearo e Paolo Nerozzi. Nessuno l'avrebbe immaginato nel 2006. Nè l'imprenditore di Vicenza, ex presidente di Federmeccanica ed ex sostenitore del centrodestra, nè il sindacalista della Cgil che oggi condivide con Calearo un posto nelle liste del Partito democratico. Una novità, certo, che fa dire a Walter Veltroni che «un muro è caduto nel Nord Est», che un «patto tra produttori è possibile» e che il salto ideologico del Pd è l'essere passati dal conflitto sociale a un'alleanza tra lavoratori e imprese. Il fatto è che tutto è troppo recente, troppo fresco per aver già convinto una parte del Paese che ha ancora tanto da rinfacciare al centro-sinistra. Insomma, non sembra che, come Calearo, siano in molti ad aver attraversato il confine verso il Pd. Veltroni sembra saperlo. «Ci sono le colpe del vecchio centro-sinistra. Mi ricordo lo slogan anche "i ricchi piangano" a cui io ho opposto le parole di Olof Palme: combattiamo la povertà, non la ricchezza. Io ho avuto il coraggio di chiudere una stagione con la sinistra. Ho avuto il coraggio di dire che il re è nudo». È su questo passaggio che il segretario del Pd – ieri febbricitante – fa la campagna elettorale da queste parti. Era stracolmo l'Auditorium Canneti di Vicenza e c'erano una cinquantina di imprenditori al Jolly Hotel Tiepolo raccolti ad ascoltare il primo discorso di Calearo con Veltroni. Oltre a Paolo Marzotto (che era all'Auditorium) e Massimo Carraro si sono visti anche Gianni Zonin (imprenditore del vino e presidente della Banca Popolare di Vicenza), Maltauro (impresa di costruzioni), Sergio Dalla Verde presidente dell'Api, Giancarlo Ferretto, Sergio Rebecca dell'Ascom. E poi nomi meno noti di piccoli imprenditori che erano lì incuriositi ma ancora con qualche diffidenza. «Io sono capolista. Questo vuol dire che ci metto la faccia. Ho cambiato idea perchè ho sentito un'aria nuova. E comincio a divertirmi », dice Calearo ai suoi colleghi prima di passare la parola a Veltroni. Per loro, il segretario del Pd suona uno spartito che si intona a un paesaggio sociale fatto di 90mila imprese sparse in tutta la provincia: un imprenditore ogni otto abitanti. Lo spartito veltroniano parla di una democrazia «leggera», di uno Stato che «incoraggi il rischio che non è una parolaccia ma l'energia vitale di una società ». Note che Veltroni suona in scioltezza ma che sono precedute da una storia – passata e recente – poco coerente. Lo ammette Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro nato da queste parti, che però vede un cambiamento: «C'è un interesse che cresce perchè è un linguaggio nuovo: c'è un salto rispetto al Governo Prodi». Dunque, comincia una traversata in terra di Nord- Est. Mancano molti chilometri da percorrere per voltare pagina ma Veltroni si assume l'impegno di lavorare su un terreno che era stato lasciato incolto, abbandonato. E riprende una a una le critiche che gli arrivano sia pure da una platea amichevole come quella incontrata al Jolly Hotel. Parla di come sia necessario includere nel patto tra produttori le banche «che devono assumersi la loro parte di rischio e agevolare la spinta imprenditoriale», parla di questo periodo di recessione che ha bisogno di «risposte anticicliche » e qui si aggancia al cardinale Bagnasco sulla «necessità di incrementare il potere d'acquisto di salari e pensioni». E indicaanche due settori che possono diventare il cuore dell'economia europea: il biomedico e riconversione ecologica dell'industria. A Padova c'è il primo test con la piazza. La prima volta che fa un comizio a Nord-Est. C'è molta gente a Piazza dei Signori – non il pienone – che lo ascolta in un pomeriggio di un giorno feriale. E qui può di nuovo sfogarsi contro il Pdl, rinfacciare la candidatura di Ciarrapico «fatta solo perchè i suoi giornali sono amici della Pdl». E poi cita Roberto Baggio che «quando sbagliava il rigore ai Mondiali, Berlusconi era già premier. Ora Baggio fa altro, lui invece è di nuovo candidato ». Non un cenno alla base Usa dal Molin anche se alcuni contestatori, a Vicenza, fanno un blitz in pullman. E non un cenno al federalismo che ormai, dice, è un argomento «consumato pure per la Lega». da ilsole24ore.com Titolo: Walter Veltroni. Ridurre i costi della politica Inserito da: Admin - Marzo 23, 2008, 07:09:16 pm Ridurre i costi della politica
Walter Veltroni Chi l’ha detto che politica e società debbano esser lontani. Nel viaggio che sto compiendo in giro per l’Italia avverto il bisogno di realizzare una sintonia nuova tra il Paese e la politica. Una sintonia che chiede alla politica la ricerca di una sobrietà, di uno spirito di servizio. Da qui anche la necessità della riduzione reale dei costi della politica che appaiono spesso come frutto di privilegi ingiustificati. È un tema vero, che è dentro il Dna del Partito democratico: noi abbiamo sempre parlato della necessità di una profonda riforma della politica che accompagni quella delle istituzioni. Io parto da una semplice constatazione: abbiamo la possibilità e la necessità di riportare molti di questi costi sotto controllo. Come? Ad esempio riducendo drasticamente il numero dei parlamentari che possono esser sostanzialmente dimezzati. La nostra proposta di riforma istituzionale parte dall’esigenza di dare efficienza e rapidità ai lavori dei legislatori, ma ha come effetto per nulla secondario anche quello di toccare costi che appaiono alla grande maggioranza dei cittadini come eccessivi. Così passando ad una Camera di 470 deputati e ad un Senato di 100 membri scendono i costi diretti e indiretti. Lo stesso vale per il dimagrimento secco del governo che grazie ad una legge già approvata dal centrosinistra dovrà essere composto da 12 ministri e da un numero totale che non supera le 60 persone. A tutto questo ho sostenuto nel mio contestatissimo intervento va aggiunto anche un elemento “personale”: gli stipendi dei parlamentari italiani sono tra i più alti d’Europa, mentre salari e pensioni sono tra i più bassi del continente. Un equilibrio nuovo va trovato, così come il trattamento pensionistico dei parlamentari deve uniformarsi a quello di tutti i cittadini, passando dal sistema retributivo a quello contributivo. Potrei anche aggiungere il fatto che la limitazione del numero dei gruppi parlamentari (abbiamo proposto di modificare i regolamenti per impedire la frammentazione assurda cui si era arrivati in queste legislature) è un altro utile contributo a risparmiare. A sentire i commenti di qualcuno staremmo parlando di piccole cose. Credo che non sia così. Anche se le misure di cui ho parlato sinora sono solo l’inizio. Esse contengono un messaggio politico rilevante che non è il cedimento all’antipolitica ma al contrario la prova che la Politica (stavolta con la P maiuscola) ha la capacità di riformarsi e di rispondere con autorevolezza alle domande dei cittadini. Certo, poi ci sono altri capitoli su cui intervenire, come ad esempio certe norme sui rimborsi elettorali che sembrano scritte apposta per favorire i micro-partiti e che rischiano persino di essere all'origine di tanta frammentazione. Ma credo che esista un legame più radicale tra il tema dell’efficienza della politica e i suoi costi. Nel programma che abbiamo presentato candidandoci alla guida del Paese abbiamo parlato di una “democrazia che decide”. È qui una delle grandi insidie e dei nodi profondi che riguardano la nostra democrazia perché è nella indeterminatezza delle responsabilità, nella farraginosità dei passaggi politico-amministrativi che si nasconde l’inefficienza. La semplificazione è una delle chiavi per affrontare il problema. E semplificare significa anche eliminare uffici e strutture che pesano e costano e che insieme determinano inefficienza. Perché non eliminare quelle comunità montane a livello del mare? E che senso ha mantenere le provincie nelle aree metropolitane con una duplicazione di ruoli e di costi? Sono cose che vogliamo fare subito. Ma credo ci sia anche un capitolo più largo che riguarda complessivamente il ruolo della politica rispetto alla cosa pubblica. Penso ad esempio alle società pubbliche dove vanno tagliati drasticamente i componenti degli organismi societari (e qui forse sarebbero da tagliare anche i gettoni di presenza), penso alla moltiplicazione sul territorio di organismi legati alla gestione dei servizi pubblici da semplificare e diminuire complessivamente. Mettere insieme un pacchetto complessivo di misure come quelle che ho sinora sommariamente descritto significa produrre un risparmio percepibile che può essere trasformato invece in servizi migliori con un doppio effetto positivo: i cittadini vedrebbero con chiarezza lo sforzo della politica per eliminare eccessi, privilegi e sprechi e avrebbero in cambio qualcosa di immediatamente utile. Una cosa deve essere certa per tutti: se vince il Pd il taglio ai costi della politica ci sarà davvero. Se vince la destra siamo avvertiti: al di là delle speculazioni politiche non farà nulla. Pubblicato il: 23.03.08 Modificato il: 23.03.08 alle ore 8.08 © l'Unità. Titolo: Cavaliere si faccia coraggio Inserito da: Admin - Marzo 28, 2008, 05:20:13 pm 28/3/2008 - CONFRONTI TELEVISIVI
Cavaliere si faccia coraggio MATTIA FELTRI Ora resta da stabilire se Walter Veltroni sia straordinariamente impegnato oppure una simpatica canaglia: il resto è chiaro. Mercoledì (versione Bruno Vespa) o al massimo una settimana prima (versione del loft) il capo del Partito democratico ha declinato l’invito di Porta a Porta per la trasmissione di stasera; in omaggio alla par condicio, la Rai ha dovuto cancellare anche la puntata prevista per ieri con Silvio Berlusconi. Posto il dilemma iniziale, l’interpretazione diabolica è che Veltroni abbia escogitato il sistema per farla pagare al carissimo rivale: non vuoi affrontare il confronto con me? E io ti oscuro; se in tv non ci andiamo insieme, non ci va nessuno dei due. Berlusconi la mette giù anche più dura e meno sofisticata: quelli del Pd sono i soliti prepotenti, antidemocratici e comunisti. Di sicuro, Veltroni da settimane chiede a Berlusconi di incrociare opinioni e proposte davanti alle telecamere, e da settimane Berlusconi fischietta noncurante. E poi si diverte a fare il ganassa, come si dice a Milano: io in televisione straccio chiunque. Sarà, ma la storia non è nuova. Già nel 2001 il leader del centrodestra si negò a Francesco Rutelli con la giustificazione che il contendente di turno non era altro che un burattino nelle mani di Massimo D’Alema; tuttavia si guardò bene dal concedersi al burattinaio. La cosa si ripete oggi, sette anni più tardi, e la costante è che Berlusconi conduce, secondo i sondaggi, con parecchi punti di vantaggio. Nel 2004, invece, il Cavaliere inseguiva. Le inchieste demoscopiche consegnavano a Romano Prodi un margine di gran sicurezza, ed era ovviamente l’inseguitore a sollecitare il duello con le alte e nobili ragioni della democrazia eccetera eccetera. Alla fine Prodi acconsentì e Berlusconi dovrebbe ricordare - e forse ricorda benissimo - che la sua spettacolare rimonta, madre della fragilità del governo dell’Unione, cominciò da lì. Le scuse proposte da Berlusconi per rifiutare a Veltroni quello che ebbe da Prodi sembrano piuttosto friabili. Siccome stavolta i pretendenti a Palazzo Chigi sono dodici, e non due, gli toccherebbe poi di sottostare ad altri dieci match, avviando uno spettacolare girone all’italiana, come nel campionato di calcio, per un totale di centodieci sfide. A parte che non ce ne sarebbe nemmeno il tempo, questo accadrebbe magari in un Paese un po’ più maniaco del nostro in fatto di regole, e probabilmente un Paese un po’ più maniaco del nostro avrebbe studiato un’altra legge elettorale e mai un mostro ridicolo e costantemente violato come la par condicio. Volendo - se è il rigore legalitario la recentissima moda - il problema sarebbe aggirabile con un confronto pubblico, in piazza, in uno stadio, in un palazzetto dello sport, in un teatro. Ma non è nemmeno questo il punto. Piuttosto, alla vigilia e successivamente alla caduta del governo, Berlusconi e Veltroni avevano annunciato una nuova epoca di fair play, in cui scompariva il nemico e subentrava l’avversario, dove si contrastavano i progetti e non si vilipendeva il progettista. I due si davano cordialmente appuntamento a dopo il voto per un lavoro in comune, chiunque fosse il vincitore, sui temi sommi del funzionamento del Paese, dell’economia e della sicurezza. Gli eccellenti propositi - apprezzati anche da questo giornale - sono andati a farsi benedire a suon di insulti ed è difficile immaginare che Silvio e Walter si incontreranno in Parlamento se non riescono a incontrarsi in seconda serata. Ecco, nel nascondersi Berlusconi sbaglia per diversi motivi, l’ultimo dei quali è la giustificazione. Tutti sanno che non ci sta per rifiutare al rivale, incagliato nei sondaggi, la minima possibilità di recupero, e cioè la medesima possibilità che gli concesse l’arcinemico Prodi. E quando uno è una simpatica canaglia, e fa una canagliata, si aspetti di essere ripagato con la stessa moneta. da lastampa.it |