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Forum Pubblico => SOCIALESIMO Prolegomeni della DEMOCRAZIA prima del SOCIALISMO. 20/02/2022 => Discussione aperta da: Admin - Dicembre 05, 2022, 11:53:15 am



Titolo: Pietro Ichino. E' anche questo un modo utilissimo di fare politica.
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2022, 11:53:15 am
05.12.2022 - n. 576

LE CINQUE RAGIONI D'ESSERE ORIGINARIE (E ANCORA MOLTO ATTUALI) DEL PD
Le contrapposizioni novecentesche per il cui superamento il partito è nato: ciò che in parte non è stato ancora accettato dalla sua ala sinistra. Il mancato dialogo tra le due anime del partito e la necessità vitale che esso si riattivi se il partito vuole risorgere. Il significato del "manifesto laburista" presentato al congresso da un gruppo di iscritti che fanno capo a LibertàEguale e a Base. È online il mio articolo pubblicato oggi su la Repubblica.

IL TELEFONO DELL’ENTE PUBBLICO
Per troppe amministrazioni pubbliche italiane, soprattutto tra quelle statali, facilitare la vita al cittadino non solo non costituisce una priorità, ma è cosa da evitare, in quanto fa aumentare il flusso delle pratiche. Leggi il mio editoriale pubblicato domenica scorsa sui quotidiani Gazzetta di Parma, l'Adige e Alto Adige.


Tramonto di fine autunno sul Naviglio Grande
in attesa delle luminarie natalizie (quest'anno opportunamente ritardate)

PERCHÉ E COME IL REDDITO DI CITTADINANZA VA CORRETTO
Qualsiasi forma di sostegno del reddito dei disoccupati ha un effetto depressivo sulla propensione media al lavoro degli stessi se non è accompagnata da una assistenza personalizzata e da una effettiva condizionalità. Leggi:
- la mia intervista della settimana scorsa a Libero, dove indico anche come assistenza e condizionalità possono credibilmente configurarsi;
- la mia intervista di questa settimana a Italia Oggi, dove osservo che troppi esponenti della sinistra italiana non hanno mai capito l’importanza delle politiche attive del lavoro



GOL MANCATO
In materia di politiche attive del lavoro il Governo presenta alla UE dei dati che rispecchiano soltanto una attività burocratica e non un miglioramento dei servizi per l'incontro fra domanda e offerta di manodopera. Leggi il mio editoriale telegrafico pubblicato a fine novembre sui quotidiani Gazzetta di Parma, l'Adige e Alto Adige.

UNA FOTO DIVERSA DA QUELLA DIVULGATA DAL SINDACATO
Crescono gli occupati sia in termini congiunturali, sia in termini tendenziali (rispetto a 12 mesi prima); aumentano i lavoratori dipendenti; ma soprattutto, a dispetto del luogo comune caro a giornalisti e sindacalisti, crescono i dipendenti stabili rispetto a quelli a termine. È online anche su questo sito il numero 137 del bollettino Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Kuliscioff.



È UN BEL REBUS! - 18. IL FASCINO DISCRETO DELLE PAROLE BISENSO
Si calcola che nella lingua italiana le coppie, terne o quaterne di parole che hanno più significati, corrispondenti a origini etimologiche nettamente diverse, siano intorno alle 5.000, per un totale di circa 12.000 significati: di esse si nutre abbondantemente il nostro gioco. È online la diciottesima puntata della rubrica che compare ogni due domeniche sulla Gazzetta di Parma.

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Se vuoi scrivermi utilizza l'indirizzo ichino@pietroichino.it. Grazie!

E' anche questo un modo utilissimo di fare politica.




Titolo: Esponenti della sinistra italiana non hanno mai capito l’importanza delle ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 10, 2022, 06:18:57 pm
Troppi esponenti della sinistra italiana non hanno mai capito l’importanza delle politiche attive del lavoro. Non ci hanno mai creduto, hanno sempre prediletto le politiche passive: il sostegno del reddito ai disoccupati e basta
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Intervista a cura di Alessandra Ricciardi per Italia Oggi, 30 novembre 2022 –
In argomento v. anche Perché e come il reddito di cittadinanza va corretto

«Troppi esponenti della sinistra italiana non hanno mai capito l’importanza delle politiche attive del lavoro.
Non ci hanno mai creduto, hanno sempre prediletto le politiche passive: il sostegno del reddito ai disoccupati e basta».
Pietro Ichino, giuslavorista dell’Università statale di Milano, considerato uno dei padri del Jobs act, un passato in politica nel Pd, analizza con Italia Oggi cosa non ha funzionato nel reddito di cittadinanza e in generale nelle politiche di riqualificazione professionale per aiutare a ritrovare lavoro chi lo ha perso.
«Sono mancati i corsi mirati agli sbocchi occupazionali esistenti; e comunque, anche dove sarebbe stato possibile attivarli, nessuno si è occupato di farlo e di esigere che i beneficiari del RdC li frequentassero», dice Ichino.
Eppure, il lavoro ci sarebbe ma «le imprese incontrano difficoltà nel reperire il personale di cui hanno bisogno nel 45 per cento dei casi».
Il Movimento5stelle ha pensato di attivare le politiche attive «immettendo nel sistema tremila navigators addestrati al compito con un corso di 15 giorni, dimenticando che nei Paesi dove funzionano davvero i job advisors hanno una formazione specialistica post-laurea di almeno due anni».

E il Pd?
Risponde Ichino: «Con Orlando ha pensato bene di togliere di mezzo l’Anpal, l’Angenzia per il lavoro, come agenzia indipendente».
Ora i correttivi al reddito di cittadinanza previsti dalla legge di bilancio: «L’idea di condizionare il sussidio alla frequenza di un corso di formazione mirato a uno sbocco occupazionale esistente è giusta».

D. Il reddito di cittadinanza è arrivato al capolinea?
R. Mah… qualcuno potrebbe anche sostenere che il reddito di cittadinanza in Italia non è mai esistito.

D. Perché?
R. Perché con questa espressione, fino a quando non se ne è appropriato il M5S, si indicava il c.d. basic income, cioè un reddito cui hanno diritto tutti i cittadini per il solo fatto di essere cittadini. Senza il requisito dell’essere in stato di indigenza. L’unico esempio al mondo di questo, che è il vero “reddito di cittadinanza”, è costituito dall’Alaska. Viceversa, un sostegno economico per le persone in stato di indigenza, in Italia, esisteva già prima che arrivasse il M5S: si chiamava Reddito di inserimento, o REI. Il M5S non ha fatto altro che aumentarne l’entità e ridurre i requisiti per goderne.

D. Fatto sta che dal 2023 si applicheranno i primi correttivi, poi la riforma vera e propria dal 2024. Ridurre da subito gli aiuti, per oltre 700 milioni di euro, in una situazione congiunturale difficile è contestato sia dal PD che dal M5s. Lei cosa ne pensa? È un’operazione di destra?

R. I correttivi previsti nel disegno di legge finanziaria del nuovo Governo per il 2023 sono un po’ rudimentali, ma tutto sommato ragionevoli. L’idea di condizionare il sussidio alla frequenza di un corso di formazione mirato a uno sbocco occupazionale esistente è giusta. Quanto alla riforma annunciata, la valuteremo quando se ne conosceranno i contenuti. Ma la mia previsione è che questa misura non verrà affatto soppressa: forse torneranno a chiamarla come prima, oppure si inventeranno un nuovo nome. Sicuramente ne modificheranno la disciplina. Ma un Paese civile oggi non può non essere dotato di una forma di assistenza alle persone in stato di indigenza.

D. Si aspettava l’opposizione del Partito democratico?
R. Sì, anche se avrei preferito una presa di posizione argomentata in modo più ragionato e delle proposte precise sul punto importantissimo della condizionalità del sostegno del reddito per chi è in grado di lavorare e in particolare per i giovani che non studiano e non lavorano, i NEET.

D. Uno dei correttivi per il 2023 è l’obbligo di partecipare a corsi di qualificazione professionale per non decadere subito dal beneficio. Ma l’obbligo di formarsi era già previsto dalla legge istitutiva del RdC; è stato rispettato?
R. Sono mancati i corsi mirati agli sbocchi occupazionali esistenti; e comunque, anche dove sarebbe stato possibile attivarli, nessuno si è occupato di farlo e di esigere che i beneficiari del RdC li frequentassero. È su questo punto che governo e opposizione ora dovrebbero concentrare la propria attenzione. I posti di lavoro ci sarebbero, eccome: secondo Unioncamere le imprese incontrano difficoltà nel reperire il personale di cui hanno bisogno nel 45 per cento dei casi!

D. Chi dovrà organizzare i corsi?
R. Questo è il nodo cruciale. Da sempre gli esperti avvertono che i servizi di collocamento dovrebbero essere strettamente collegati e coordinati con i servizi di formazione. Questo consentirebbe di attivare tempestivamente i corsi mirati ai posti per i quali le imprese hanno difficoltà a trovare le persone idonee, proponendoli ai disoccupati con le caratteristiche meglio corrispondenti ai posti stessi. Invece oggi, se si eccettuano casi isolati – come Afol, l’Agenzia metropolitana milanese – la gestione dei Centri per l’Impiego è totalmente dissociata dalla gestione della formazione professionale.

D. Il sistema della formazione è in grado di programmare e realizzare attività formative utili per tornare nel mercato del lavoro?
R. In parte sì, in parte no. Il problema è che non è stato attivato il meccanismo di monitoraggio sull’efficacia della formazione impartita previsto dal Jobs Act, fondato sull’incrocio dei dati di una anagrafe della formazione e quelli delle Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro, delle iscrizioni agli albi professionali e alle liste di disoccupazione. Così non possiamo distinguere la formazione efficace da quella che non lo è.

La ex-ministra del Lavoro Nunzia Catalfo
D. Dove ha fallito il RdC?
R. Ha fallito dove non si è saputo distinguere in modo attendibile tra persone idonee al lavoro e no. Ha fallito dove si è posto come causa di decadenza dal beneficio il terzo rifiuto di una “offerta congrua di lavoro”, chiudendo gli occhi sul fatto che l’“offerta congrua” non esiste, perché nessun imprenditore offre un lavoro a una persona purchessia, per di più non motivata a svolgerlo con impegno: tanto è vero che nessuno ha mai perso il sussidio per questo motivo. Ha fallito dove non si è saputo subordinare il beneficio alla sola condizione che può essere fatta funzionare davvero, cioè la partecipazione a un corso di addestramento o formazione mirato alle esigenze di uno sbocco occupazionale effettivo.

D. Professore Lei è considerato uno dei padri del Jobs act; quella riforma prevedeva l’attivazione dei corsi in funzione della domanda espressa dalle imprese, l’anagrafe della formazione, la rilevazione del tasso di efficacia dei corsi, la condizionalità del sostegno del reddito ai disoccupati: tutte cose che non sono mai decollate…
R. È vero. Per questa parte il decreto attuativo n. 150 del 2015 è rimasto largamente inattuato. L’ANPAL, l’agenzia per le politiche attive del lavoro, è stata paralizzata per tre anni da un presidente che pretendeva di governarla dal Mississippi e che era in guerra con il Direttore generale. I ministri del Lavoro Catalfo e Di Maio hanno pensato di attivare le politiche attive immettendo nel sistema tremila navigators addestrati al compito con un corso di 15 giorni, dimenticando che nei Paesi dove funzionano davvero i job advisors hanno una formazione specialistica post-laurea di almeno due anni.


D. E il ministro del Lavoro Orlando?
R. Ha pensato bene di togliere di mezzo l’ANPAL come agenzia indipendente, facendone una costola del ministero, con perdita totale di autonomia e duplicazione delle funzioni rispetto alla Direzione Generale per le Politiche Attive. Il problema è che troppi esponenti della sinistra italiana non hanno mai capito l’importanza delle politiche attive del lavoro. Non ci hanno mai creduto. Quindi hanno sempre prediletto le politiche passive: il sostegno del reddito ai disoccupati, che senza le politiche attive è necessariamente sganciato da ogni condizionalità.

D. Bruxelles ci chiede di ridurre i NEET, siamo il Paese che su questo terreno fa peggio in Europa. Perché a suo avviso le politiche scolastiche hanno finora fallito?
R. Alla radice del problema dei ragazzi inattivi, come di quello della disoccupazione giovanile, non vedo tanto i difetti del sistema scolastico, quanto piuttosto l’assenza di un servizio capillare di orientamento scolastico e professionale, capace di prendere in carico ogni adolescente all’uscita di ciascun ciclo scolastico, tracciare il profilo delle sue attitudini e delle sue aspirazioni, mettere in guardia l’adolescente e la sua famiglia quando tra i due profili non c’è congruenza. Anche questa è politica attiva del lavoro; e anche questa in Italia latita.

da - https://www.pietroichino.it/?p=62027



Titolo: Perché il sostegno del reddito ai bisognosi non incentivi il lavoro nero e ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 10, 2022, 06:21:58 pm
Perché il sostegno del reddito ai bisognosi non incentivi il lavoro nero e non deprima la partecipazione al mercato del lavoro regolare è indispensabile attivare i percorsi di formazione mirata alle centinaia di migliaia di posti di lavoro che le imprese non riescono a coprire per mancanza delle persone idonee
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Intervista a cura di Alessandra Ricciardi pubblicata su Italia Oggi il 27 ottobre 2022 – In argomento v. anche Restano inutilizzati grandi giacimenti occupazionali

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«Esistono enormi giacimenti occupazionali che restano inutilizzati per difetto dei percorsi di formazione o addestramento necessari», dice Pietro ichino, giuslavorista dell’università Statale di Milano, considerato il padre del Jobs act, un passato prima nella Cgil e poi nel Pd, «oltre un milione di posti di lavoro che le aziende non riescono a coprire». Il reddito di cittadinanza che il governo Meloni vuole rivedere? «Riformarlo mi sembra più che necessario» per «fare finalmente le cose necessarie perché il sostegno del reddito non abbia un effetto depressivo sulla partecipazione effettiva dei beneficiari al mercato del lavoro». E al segretario della Cgil, Maurizio Landini, che si oppone a una scuola del merito, Ichino replica: «Mi sembra che Landini non abbia ben presenti i difetti gravissimi dell’insegnamento pubblico. È proprio per l’incapacità di valutare e valorizzare il merito – degli insegnanti soprattutto, oltre che degli studenti – che la nostra scuola pubblica è incapace di garantire a tutti, soprattutto a chi parte da una situazione di svantaggio, un insegnamento di alta qualità in tutte le materie».
Professor Ichino, con la discussione sulla fiducia al nuovo governo si è riacceso il faro sul reddito di cittadinanza. Per il nuovo governo, il rdc va mantenuto per i soggetti che non sono in grado di lavorare. Agli altri va tolto. Il giudizio della Meloni è che sia stato una sconfitta. Lei cosa ne pensa?
R. In tutta l’Unione Europea a chi è disoccupato viene riservato un trattamento di natura assicurativa, quando ne sussiste il requisito contributivo, o altrimenti un trattamento assistenziale. Quest’ultimo da noi oggi si chiama reddito di cittadinanza; ma è stato disegnato male. Riformarlo mi sembra più che necessario; eliminarlo no.
Per il Movimento5Stelle non lo si può togliere agli ultimi se non si sono fatte politiche per il lavoro efficaci negli ultimi 50 anni.
R. Riformarlo significa, appunto, fare finalmente le cose necessarie perché il sostegno del reddito non abbia un effetto depressivo sulla partecipazione effettiva dei beneficiari al mercato del lavoro. Queste cose si chiamano “politiche attive del lavoro”, sulle quali anche i ministri del Lavoro del M5S nell’ultima legislatura hanno fatto poco e molto male.
E quali sono le cose giuste da fare?
R. Da molti anni le imprese italiane incontrano grandi difficoltà a trovare le persone di cui hanno bisogno: le situazioni di skill shortage oggi si misurano in molte centinaia di migliaia, in tutti i settori e in tutte le fasce di professionalità. Anche ai livelli più bassi: ce ne sarebbe per tutti. Per ciascuna di queste situazioni occorre predisporre un corso mirato di formazione o addestramento e richiedere al percettore di rdc di parteciparvi, con la prospettiva di occupare, al termine, il posto scoperto. Altrimenti cessa il sostegno del reddito.
Non è questo il meccanismo dell’“offerta di lavoro congrua”?
R. No: quel meccanismo, previsto dalla legge vigente, non funziona e non può funzionare: non è mai accaduto che un Centro per l’Impiego abbia notificato a un beneficiario un’“offerta congrua”. Prova ne sia che nei tre anni di attivazione del rdc non si registra neppure un solo caso di decadenza per rifiuto di “offerta congrua”: i soli, pochissimi, casi di decadenza sono stati causati dall’irreperibilità al domicilio. Può funzionare invece l’offerta di un percorso di formazione o addestramento, mirato a posti di lavoro effettivamente scoperti.
I navigator fanno in media un colloquio al giorno, ma il lavoro non si trova. Un fallimento che va messo in carico a chi?
R. La domanda di manodopera c’è, eccome. L’indagine Unioncamere-Anpal in proposito rivela l’esistenza di enormi giacimenti occupazionali che restano inutilizzati per difetto dei percorsi di formazione o addestramento necessari per mettere in comunicazione domanda e offerta, cioè delle politiche attive del lavoro, appunto. Per le quali spendiamo un centesimo di quello che spendiamo per le politiche passive, cioè per i cosiddetti “ammortizzatori sociali”.
Giacimenti occupazionali? Di che cifre parliamo?
R. Oltre 1,2 milioni di posti restano permanentemente scoperti per mancato reperimento delle persone adatte a ricoprirli. Secondo l’ultima indagine Unioncamere Anpal, nel 45% dei casi le imprese non trovano le competenze che cercano. Un dato in crescita, +9% solo rispetto al 2021
Nel suo libro L’intelligenza del lavoro lei sostiene che il finanziamento pubblico della formazione professionale dovrebbe essere condizionato alla sua efficacia. Come si fa ad attivare questa condizionalità?
R. Occorre fare quello che è previsto dal Jobs Act, articoli 13-16 del d.lgs. n. 150/2015: istituire un’anagrafe della formazione professionale e incrociarne i dati con quelli delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro sulle assunzioni, degli albi professionali, delle liste di disoccupazione. Sarebbe così possibile conoscere di ogni corso il tasso di coerenza tra la formazione impartita e gli esiti occupazionali effettivi, che è l’indice migliore della qualità del servizio.
Se lo prevede la legge, perché non lo si fa?
R. I motivi sono più d’uno. Il primo è che per molti politici, a sinistra e a destra, il Jobs Act è come il fumo negli occhi. Poi c’è il fatto che le Regioni diedero, nel 2015, il loro consenso a questa norma legislativa obtorto collo, solo perché anticipava la riforma costituzionale che avrebbe attribuito allo Stato un potere di controllo e di coordinamento in questa materia; caduta la riforma costituzionale nel 2016… liberi tutti: quella norma legislativa è stata molto volentieri dimenticata.
Neanche una sola regione che l’abbia applicata?
R. Neanche una. Anche perché una mappatura rigorosa dell’efficacia della formazione porterebbe a chiudere una buona metà dei centri che oggi vengono finanziati col denaro pubblico; e a troppi politici sta più a cuore la stabilità degli addetti a questi corsi che l’interesse della generalità delle persone che vivono del proprio lavoro, oltre che delle imprese.
Selezionare in base al merito: quello che lei propone per la formazione sembra richiamare un po’ quello che preannuncia il nuovo ministro dell’Istruzione per la scuola pubblica.
R. Se il discorso sul merito è riferito agli insegnanti, ai formatori, sono del tutto d’accordo: il sistema della formazione professionale, come quello dell’istruzione, deve mettere al primo posto l’interesse degli utenti; dunque non può rinunciare a valutare le strutture e l’operato delle persone che vi sono addette. E tanto meno rinunciare a selezionarle e premiarle in funzione del merito.
Per il Pd il merito, che l’esecutivo ha voluto ribadire modificando il nome del ministero dell’istruzione, rischia di lasciare indietro gli ultimi, come ha argomentato il vicesegretario Provenzano.
R. La scuola deve essere aperta a tutti e, soprattutto al livello elementare e medio, deve essere capace di neutralizzare l’handicap che penalizza i più deboli. Ma questo non significa che essa debba rinunciare a valutare la performance dei ragazzi. E neanche, tanto meno, quella degli insegnanti. Come invece accade oggi, col risultato che un insegnante può non insegnare o insegnare malissimo senza essere rimosso dalla cattedra.
Ma chi può valutare il merito di un insegnante, o addirittura di un istituto scolastico?
R. La Gran Bretagna ci offre da decenni l’esempio di una agenzia pubblica indipendente capace di valutare in modo molto attendibile la performance di ciascun istituto scolastico sulla base di diversi indici, tra i quali soprattutto: il tasso di abbandono scolastico, i test somministrati a tutti gli allievi, un po’ come i nostri test Invalsi, gli esiti scolastici od occupazionali dei ragazzi che escono col diploma dall’istituto, le valutazioni degli studenti stessi, o delle loro famiglie per i ragazzi sotto i 16 anni. Lo chiamano “star system” perché a ogni istituto vengono attribuite una, due o tre stelle a seconda dell’esito della valutazione, sempre tenendosi conto delle condizioni del bacino di utenza.
E se l’istituto non arriva a meritarsi neppure una stella?
R. In quel caso l’istituto entra in “zona warning”. Se entro due anni non riesce a recuperare almeno un livello di sufficienza, esso viene chiuso: il dirigente viene licenziato e tutto il personale, docente e amministrativo, viene trasferito ad altri istituti più capaci di valorizzare il lavoro del proprio personale.
Per Landini la parola merito rischia di essere uno schiaffo in faccia a chi parte da una situazione di svantaggio. Cosa pensa del suo ex sindacato?
R. Mi sembra che Landini non abbia ben presenti i difetti gravissimi dell’insegnamento pubblico. È proprio per l’incapacità di valutare e valorizzare il merito – degli insegnanti soprattutto, oltre che degli studenti – che la nostra scuola pubblica è incapace di garantire a tutti, soprattutto a chi parte da una situazione di svantaggio, un insegnamento di alta qualità in tutte le materie. Proprio per questo la nostra scuola tradisce la propria missione.

da - https://www.pietroichino.it/?p=61931