Titolo: (È stata) una vittoria di Pirro! è un modo di dire che indica che il successo... Inserito da: Arlecchino - Settembre 16, 2022, 11:22:12 pm 18 febbraio 2022
La vittoria di Pirro Per modo di dire… Un anno di frasi fatte di Rosa Piro (È stata) una vittoria di Pirro! è un modo di dire che indica che il successo ottenuto da una impresa ha comportato sforzi e/o perdite sproporzionate rispetto al successo stesso. Benché non sia molto frequente nella lingua quotidiana, il modo di dire è spesso usato nel giornalismo contemporaneo con il significato di ‘vittoria non completa’ o di ‘magra consolazione’, come si può notare nei due esempi che seguono: (1) L'elezione dei sindaci di Milano, Bologna, Napoli, al primo turno, è la vittoria di Pirro. Con un'affluenza al 50%, registrata praticamente ovunque, rappresentano il 25/30% della popolazione, una netta minoranza (ilrestodelcarlino.it 8.10.2021) (2) Sul fronte delle energie rinnovabili, poi, stiamo ancora arrancando: queste fonti energetiche in Veneto costituiscono solo il 16,6% del totale (in Italia arrivano al 17,1%). Unica salvezza, l’indicatore del progresso biennale delle fonti «pulite», ma è una vittoria di Pirro: il dato Veneto si attesta sopra alla media italiana negativa (-0,9%), ma il miglioramento resta immobile (0%) (corrieredelveneto.corriere.it 25.09.21). Nel primo caso, il giornalista usa l’espressione per dire che sebbene i sindaci delle principali città italiane abbiano vinto al primo turno, la vittoria non può considerarsi completa perché a votare è stata una bassissima rappresentanza degli elettori. Nel secondo caso, il modo di dire è usato per sottolineare che benché il Veneto abbia avuto un miglioramento nelle fonti pulite, questa può essere considerata solo una vittoria di Pirro, cioè una magra consolazione, dal momento che la regione resta comunque indietro rispetto alla media nazionale. 1. Qual è l’origine del modo di dire? Alla base del modo di dire c’è la storia di Pirro re d’Epiro, uno dei sovrani eredi di Alessandro Magno nonché discendente di Achille. Benché tra i successori di Alessandro non possa essere annoverato tra i più potenti (e nonostante abbia fallito tutti gli obiettivi politici sia nei Balcani sia in Italia meridionale), nella memoria storica, ellenistica e romana, si è mantenuta di lui l’immagine di un sovrano greco carismatico e coraggioso, forte militarmente. Dopo essere stato respinto in Epiro e arginato dal re macedone Demetrio, secondo il racconto che ne fa Plutarco nelle Vite Parallele (ed. 2017), l’indomabile Pirro, che «come Achille non sopportava l’inerzia» (ib. p. 265) ed era assetato di conquista, accettò di andare in soccorso dei Tarantini che erano in guerra contro i Romani. Il primo conflitto contro i Romani fu a Eraclea, nel 280 a.C. Alla fine della battaglia Pirro sconfisse i romani, colti di sorpresa dall’esercito eterogeneo che il re spiegava, assieme ai famosi elefanti indiani addestrati alla guerra. I Romani, tuttavia, ricompattarono in breve il loro esercito e, dopo trattative non andate a buon fine, vi una nuova battaglia, questa volta ad Ascoli Satriano, nel 279 a.C. Lo scontro fu cruento e ambedue gli eserciti persero molti uomini. Pirro vinse, ma si rese conto ben presto delle condizioni con cui aveva ottenuto la vittoria: aveva perduto gran parte dell’esercito e non aveva più nessun rinforzo da far venire dall’Epiro. Si tramanda che a quanti si congratulavano con lui rispondesse: «Se riporteremo ancora una sola vittoria sui Romani, saremo completamente rovinati» (Plutarco ed. 2017: p. 305). Dopo le due vittorie incomplete, Pirro decise di ripiegare sulla Sicilia, credendo di poter avere gioco più facile: Agrigento, Siracusa e Lentini gli chiedevano di intervenire contro i Cartaginesi. Pirro si era illuso di poter vincere senza uomini propri, ma con l’ausilio degli eserciti dell’isola: riportò numerose vittorie ma, dopo una prima accoglienza favorevole, Pirro si rivelò duro e tirannico nei confronti delle città siciliane, che cominciarono perciò a ribellarsi contro il suo potere. Intanto i Tarantini lo chiamarono nuovamente in aiuto contro i Romani e Pirro ne approfittò per lasciare con sollievo la Sicilia che non riusciva più a gestire. Nel raggiungere Taranto subì gli attacchi in mare dei Cartaginesi e per terra dai Mamertini. Riuscì ad arrivare a Taranto e a marciare contro i Romani accampati nel Sannio: i Romani sconfissero Pirro nella battaglia di Benevento nel 275 a.C. «Così Pirro pose fine alle sue speranze in Italia e in Sicilia» (Plutarco ed. 2017: p. 321). 2. Quando si fissa in italiano il modo di dire? Nel corso dei secoli la vittoria, o le vittorie di Pirro, sono state tramandate con la consapevolezza di tutti, come consapevole era lo stesso Pirro, che non fossero vittorie complete, viste le ingenti perdite subite. Tuttavia, il modo di dire ‘è stata una vittoria di Pirro’ (e in qualche caso ‘alla Pirro’) comincia a essere attestato in italiano dal XIX secolo in poi. Lo si trova anzitutto in Giuseppe Mazzini che usò l’espressione al plurale in molte occasioni. Le prime attestazioni si trovano in due scritti realizzati durante l’esilio in Svizzera nel 1834, Alla gioventù e Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa. Di seguito i due contesti: (3) Perché la tirannide sa che le sue vittorie son le vittorie di Pirro, che un sol fatto può decidere della guerra (Mazzini 1834a, p. 298). (4) Non retrocedete, perché disfatti: le vittorie del nemico sono le vittorie di Pirro: il primo raggio di sole vi mostrerà domani assottigliate le sue file (Mazzini 1834b, p. 61). Si tratta di due scritti composti nello stesso anno della nascita della Giovine Europa, nel 1831 Mazzini aveva creato a Marsiglia il movimento della Giovine Italia. Entrambi i movimenti tendono a diffondere le idee sulla libertà dei popoli da oppressori stranieri e a non demordere rispetto alle apparenti vittorie degli invasori che sono definite appunto vittorie di Pirro. Per quanto riguarda i repertori della lessicografia storica dell’italiano, registriamo che il modo di dire è assente nel Vocabolario della Crusca ed è presente nei dizionari a partire dal 1861. Nel Dizionario della lingua italiana di Tommaseo-Bellini, sotto la voce vittoria (§ 1), si legge: (5) Vittoria di Pirro; Sanguinosa; Che equivale a una disfatta. (Pirro, re dell'Epiro, vinse una volta i Romani, ma con gran perdita de' suoi: perciò a taluni che si rallegravano con lui, rispose: Un'altra vittoria come questa, ed è finita per me). Allo stato delle ricerche, dunque, non sembra che il modo di dire ricorra in testi precedenti a quelli di Giuseppe Mazzini. Da dove Mazzini avrebbe potuto ricavare l’espressione? Sappiamo che l’espressione victoire de Pyrrhus è attestata nello stesso anno 1834 anche in francese nel romanzo Volupté di Sainte-Beuve (come registra il TLFi, s.v. victoire). In seguito, sono attestate anche le forme victoire à la Pyrrhus, più rare come in italiano. Sia per a causa dell’esilio, sia per formazione, Giuseppe Mazzini era molto vicino alla cultura francese e, oltre al politico che tutti conosciamo, fu anche un critico letterario che, con buona probabilità, leggeva le opere di Saint-Beuve. Sarebbe ipotizzabile che Mazzini abbia recuperato l’espressione da modi di dire presenti già in francese, o più probabilmente, che il paragone con le vittorie di Pirro per indicare vittorie parziali fosse usato anche in italiano e che abbia trovato finalmente attestazione scritta nella nostra lingua grazie al patriota genovese. da treccani.it 8 settembre 2022 |