Titolo: SOCIALESIMO. Perchè. Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2021, 07:28:28 pm “L’essenziale è invisibile agli occhi” | Platone 2.0 – La rinascita della filosofia come palestra di vita
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> dom 24 gen, 09:25 (1 giorno fa) a me https://www.platon.it/pratica/2018/10/03/lessenziale-e-invisibile-agli-occhi/#:~:text=Se%20intendiamo%20(con%20Aristotele)%20per,.)%2C%20allora%20il%20cellulare%20o Titolo: SOCIALESIMO. Perchè. Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2021, 07:45:33 pm Significato di essenziale definizione ufficiale | Dizionario Online
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> 24 gen 2021, 09:20 (1 giorno fa) a me https://dizionario-online.net/essenziale.html --------------------------------------------------------- La Sinistra Essenziale, ha ragioni profonde d’essere e necessità urgenti, gli mancano adesioni e un preciso PROGETTO sociopolitico attualizzabile a breve e da costruire. Ma è anche una mia vecchia idea inseguita, senza successo, nel nostro forum - Ulivo.it – Oggi sono stato stimolato a portarla qui da una trasmissione Rai e una intervista a OCCHETTO. ciaooo ggiannig Titolo: Solo che dovremmo essere in maggior numero per studiarne ogni aspetto, del ... Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2021, 05:35:53 pm Solo che dovremmo essere in maggior numero per studiarne ogni aspetto, del cosa e del quando.
Cominciando con il parlarne con serietà in un tavolo di studio virtuale, con almeno una parvenza di condivisione e di interesse verso il concetto di Sinistra Essenziale. Cosa s'intende per definirla Sinistra al singolare, unita al termine Essenziale. Nel volerla immaginare per ciò che è possibile e sarà realizzabile per il nostro futuro, cominciando dallo stendere un Progetto socio-politico di Sinistra Essenziale, moderna e slegata dai riti del passato. ggiannig Titolo: Per una Sinistra Essenziale. Una Idea non è un Partito. Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2021, 07:04:22 pm Per una Sinistra Essenziale.
Una Idea non è un Partito. Questa idea che ho reso nota a pochi, quindi elaborata senza “complici in utopie”, mi nacque ai tempi dell’Ulivo Prodiano; adesso l’ho ripresa e lanciata in questi giorni su LAU e su Fb. Dalla sua apparizione amici mi chiedono, in posta privata, a chi intendo rivolgermi e come intendo proporla. - Non certo ai Partiti per come sono “ingarbugliati” oggi, - non ai Movimenti organizzati o teleguidati da terzi, - non a Sardine nate premature e sembra, già tornate in scatola. La mia intenzione più vera è quella di sempre, spesso andata a vuoto, farne un tavolo virtuale di studio e di confronto tra Cittadini interessati alle tematiche sociali, con Indipendenza di pensiero, disposti a esaminare insieme problemi comuni in questo nostro paese, con capacità valutative sensibili al buon senso, con occhio vigile e cervello libero da condizionamenti partitici o peggio partitocratici. Persone che dell’ESSENZIALE se ne facciano bandiera, ispiratrice di obiettivi utili al benessere di tutti e di ognuno, che vogliano abitare in una Democrazia Completata e Realizzata nel più bel paese. Non avendo molto tempo davanti a me vedrò di approfondire l’Idea, attingendo a fonti serie su fatti e cronache (d’area di Sinistra e di Centro) del passato, scrivendone lanciando provocazioni o inviti alla partecipazione, come faccio da anni, rivolgendomi ai miei lettori soprattutto ne LAU –http://forum.laudellulivo.org/index.php#1 – ma anche in Facebook, dove ho 8 gruppi e 2 pagine personali. Quindi, - l’illusione è riunire un gruppo di Cittadini interessati, con cui aprire tavoli di “studio e approfondimento”, su come immaginare il nostro “Domanismo”. - Ci sarebbe molto da fare e da proporre al mondo. Lettori ne ho, sia in Facebook (sotto tutela), sia ne LAU dove registro più di 20.000 pagine “toccate” al giorno (compresi “spider” e “robot”) praticamente senza iscritti, perché non ne accetto se non si fanno conoscere. ciaooo ggiannig 30 gennaio 2021 a dopo. Titolo: SINISTRA ESSENZIALE. Società, Politica, Studio, Umanismo, Ambiente. Inserito da: Admin - Marzo 28, 2021, 02:51:09 pm Sinistra Essenziale è la tattica di una strategia di lungo percorso nella Società Italiana, indirizzata alla sanificazione della Nazione Italia, oggi indebolita e devitalizzata da centinaia di metastasi negative e mortifere, socialmente parlando.
Sinistra Essenziale deve essere l’anticamera del Progressismo di CentroSinistra, per molti Italiani Indipendenti, democratici, ispirati dalle tesi dell’Ulivo prodiano smontato da estremisti di sinistra e da conservatori, di fatto, del Centro cattolico. Sono gli stessi Elementi che hanno, sino ad oggi, azzoppato il PD e che già si fanno avanti per minare il cambiamento che Letta intende portare nel PD da loro soggiogato per interessi personali e indegni egoismi di Setta o di Corrente. ciaooo Titolo: SINISTRA ESSENZIALE. Società, Politica, Studio, Umanismo, Ambiente. Inserito da: Admin - Aprile 25, 2021, 12:02:22 am Socialismo democratico - Wikipedia
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> ven 23 apr, 09:26 (1 giorno fa) a me https://it.m.wikipedia.org/wiki/Socialismo_democratico Titolo: DEMOCRAZIA SOCIALISTA non è Socialismo Democratico! Inserito da: Admin - Maggio 16, 2021, 11:45:54 am Giovanni Orsina: "Attenti, nell'Università la libertà d'espressione si sta restringendo"
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> 09:05 (2 ore fa) a me Article: https://www.huffingtonpost.it/entry/giovanni-orsina-attenti-nelluniversita-la-liberta-despressione-si-sta-restringendo_it_609ff02ce4b0daf2b5a1df2d?utm_campaign=share_email&ncid=other_email_o63gt2jcad4 Titolo: Il Partito socialista unitario e i quattro anni che cambiarono l'Italia Inserito da: Arlecchino - Maggio 25, 2021, 03:55:20 pm Il Partito socialista unitario e i quattro anni che cambiarono l'Italia
Posta in arrivo Arlecchino Euristico 13:07 (2 ore fa) a me In libreria un saggio sul partito di Matteotti e Turati ripercorre la nascita del Psu, 20 giorni prima della marcia su Roma - https://www.agi.it/cultura/news/2021-05-25/psu-giacomo-matteotti-filippo-turati-partito-socialista-fascismo-aventino-12658671/ Inviato da Posta per Windows 10 Titolo: Guglielmo Epifani: il riformista silenzioso sempre pronto alle scelte radicali. Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2021, 04:22:02 pm Guglielmo Epifani è morto: addio al riformista silenzioso sempre pronto alle scelte radicali
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> 09:12 (7 ore fa) a me https://www.corriere.it/economia/opinioni/21_giugno_07/guglielmo-epifani-chi-era-2c09cb56-c7ad-11eb-9c4c-4cf000dece4f.shtml Titolo: In Italia le Regioni, i Sindacati e la Confindustria hanno fallito, nei ... Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2021, 11:43:20 pm In Italia le Regioni, i Sindacati e la Confindustria hanno fallito, nei confronti della Popolazione tutta.
E una certa parte della Popolazione ha fallito con loro! Le analisi servono a verificare nei fatti dove si è sbagliato, ma soprattutto a capire cosa si deve fare per non sbagliare più e soprattutto nel non sbagliare anche con un intervento malfatto dello Stato. Stato, Sindacato e Confindustria possono lanciare, nel Mondo, una Italia e i suoi abitanti nella corretta direzione per una Nuova Società Civile, eticamente e moralmente risanata. ggiannig Titolo: IL PENSIERO CRITICO COME ANTITODO CONTRO L’EMERGERE DEL NUOVO FASCISMO Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2021, 11:46:02 pm SCUOLA E FORMAZIONE
IL PENSIERO CRITICO COME ANTITODO CONTRO L’EMERGERE DEL NUOVO FASCISMO TITTI FERRANTE 5 Giugno 2021 “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro” Viviamo in un’epoca in cui i rituali collettivi e le commemorazioni degli eventi della storia vengono preferiti all’analisi e alla riflessione, alimentando così una “religione civile” che ci rassicura e ci consola, nell’illusione di opporre il presente al passato, la vita alla morte, il bene redentore alla barbarie. Si assiste a un moltiplicarsi di leggi sulla memoria che impongono come dovere istituzionale la commemorazione di fatti della storia nazionale cui lo Stato attribuisce riconoscimento giuridico di memoria ufficiale o legittima. Si è celebrato, qualche giorno fa, la nascita della Repubblica Italiana; figura divenuta emblema della nascita dell’Italia democratica dopo il ventennio fascista è il volto sorridente di Anna Iberti che campeggia sulla prima pagina de “ Il Corriere della Sera”. Tra un po’ gli studenti italiani si appresteranno ad affrontare l’agognata e temuta maturità, verrà loro richiesta l’acquisizione di contenuti e i metodi propri delle singole discipline, di essere capace di utilizzare le conoscenze acquisite e di metterle in relazione tra loro per argomentare in maniera critica e personale. Se uno di questi studenti avrà sfogliato un quotidiano, o attinto informazioni attraverso il web, nell’ultima settimana, la tragedia della Funivia dello Stresa Mottarone, il caso Ilva, l’aggressione della coppia gay in vacanza a Palermo, la scarcerazione di Brusca erano tra le notizie nazionali che avevano maggiore rilevanza. Avrebbe il nostro studente, leggendole, utilizzato le conoscenze acquisite per argomentare in modo critico sui fatti? In primo luogo, bisogna definire cosa si intende per pensiero critico e come si può educare al suo esercizio. Certamente, esso non è identificabile con un modello di pensiero determinato, un protocollo, un algoritmo, come se fosse possibile identificare una serie di passaggi logici da insegnare. Dewey parla di apprendimento collaterale che è un processo parallelo, contemporaneo all’apprendimento superficiale degli argomenti, un processo di formazione di abiti mentali che sono il prodotto più duraturo della formazione scolastica perché sono pervicaci, rimangono e condizionano il modo di pensare e affrontare la realtà. Ritornando al maturando che si imbatte nelle notizie più rilevanti dell’ultima settimana, egli potrebbe scorgere nel comportamento criminale dei proprietari dell’impianto di Stresa un azzardo morale sulla vita delle persone in base all’applicazione di una semplicissima logica: garantire i propri profitti. Logica che sottende il caso Ilva dove a essere svenduto non è solo l’ambiente, ma la vita di tanti bambini. Potrebbe scorgere nell’abbrutimento dell’essere umano a mezzo di produzione di ricchezza, nella sopraffazione dell’altro, nella caduta dell’umanità nella barbarie, nell’uso improprio della ragione, gli indicatori di un fascismo latente, in continua evoluzione di cui si rinvengono tracce anche se sotto mentite spoglie. Adorno, uno dei rappresentanti più brillanti della scuola di Francoforte, lasciata la Germania nel 1938, mette in guardia i contemporanei contro i pericoli della ragione strumentale e della fine dello spirito critico. Per il filosofo tedesco, gli orrori nazisti rappresentano un evento drammatico della storia dell’umanità da cui è necessario trarre un insegnamento storico. Con lui nasce l’idea che il nazismo non è stata un crollo della civiltà nella barbarie ma, al contrario, la conseguenza di una certa forma di civiltà basata sul principio della ragione strumentale. È per questo che insiste sulla necessità di prendere posizione in favore dell’umanesimo in un mondo sempre più inumano in cui la regola da seguire sembra essere quella del perseguimento del profitto individuale. Adorno definisce ragione strumentale, la conoscenza oggettiva che riduce il comportamento umano a un certo numero di leggi, e che imbriglia l’individuo nei fatti considerati nella loro immediatezza e allo stato grezzo. Suo limite è la ricerca di ciò che è utile e funzionale. Denuncia i pericoli della mercificazione della società che nel disprezzo per il pensiero critico è assoggettata alla legge dello scambio. Che si tratti di esattezza matematica o di utilità commerciale, quando la ragione è semplicemente strumentale, il pensiero risulta diminuito. Il ruolo dell’intellettuale, secondo Adorno, perciò, è quello di cercare e analizzare il senso nascosto delle cose, denunciare l’emergere del conformismo e la fine dello spirito critico che ha permesso al fascismo di manifestarsi. Le riflessioni di Pasolini riecheggiano le analisi di Adorno. Pasolini vedeva il fascismo come una forma di abbandono morale, una complicità con il potere che tocca le persone in ciò che hanno di più intimo, il suo apogeo viene raggiunto quando non ci si oppone più al processo di mercificazione dell’essere umano, quando si considera normale che i rapporti fra le persone si riducono a un rapporto di consumo. Condanna la violenza di quel che chiamava il vero fascismo: la violenza del conformismo, dell’omologazione sociale, della deculturazione. Sebbene considera il fascismo storico scomparso, gli pare che la società dei consumi imponga una dittatura di gusti, di preferenze, e produca al tempo stesso sia il conformismo che le merci. Il “poeta dei ragazzi di vita”, l’araldo della povera gente, disprezzato da chi non tollera che si offra dell’Itala un’immagine diversa da quella della prosperità economica e borghese, sottolinea come la febbre del consumo sia febbre di obbedienza. Non esiste più controllo poliziesco dei comportamenti; ciascuno si sottomette alla dittatura della maggioranza: bisogna consumare, essere felici, essere liberi. Quando Adorno in “Minima Moralia”, analizza la frenesia del consumo che sembra ossessionare le persone nel dopoguerra, anticipa le critiche di Pasolini: “Ogni programma deve essere ingoiato fino in fondo, ogni best seller deve essere letto, ogni film visto durante il periodo del suo maggior successo. La massa di quel che si consuma senza discernimento raggiunge proporzioni inquietanti”. Appare lampante, allora, che ci siano nel presente tracce di un nuovo fascismo che si traduce nell’assenza di qualunque forma di pietà, nella connessione fra cancellazione della sensibilità ed economia del profitto. Se si pensa che nel disegno di riforma La Buona Scuola del governo Renzi si auspicava all’istituzione di un corso obbligatorio di economia in ogni tipo di scuola, si comprende come soffocare ogni tentativo di sviluppo di pensiero critico, comprimendo l’alunno nella dimensione del piccolo ragioniere, sia strumentale alla docilità del cittadino nei confronti dell’estabilishment politico. Sempre più necessaria, perciò, appare la formazione di un pensiero critico che non sia feticcio da sovrapporre ai vari insegnamenti, ma accorto alla realtà e che si nutra di un atteggiamento democratico. Formare allo spirito critico e formare allo spirito democratico devono essere facce di una stessa medaglia e ciò può avvenire solo in una scuola pensata come comunità di liberi dubitanti. Da - SCUOLA E FORMAZIONE Titolo: SINISTRA ESSENZIALE. Società, Politica, Studio, Umanismo, Ambiente. Inserito da: Admin - Giugno 19, 2021, 01:10:46 pm SINISTRA ESSENZIALE. Società, Politica, Studio, Umanismo, Ambiente.
Troppi errori del Comunismo nel mondo, con milioni di vittime, inutilmente contrario e sconfitto dal capitalismo, perdente a causa di una ideologia bloccata nell'evoluzione per fanatismo patologico che ha favorito la Destra compresa quella peggiore. La Sinistra Essenziale al benessere della popolazione, nel mondo e in Italia deve indicare metodi nuovi e progetti più democratici e alla fine più intelligenti. Troppo costosi a carico della libertà della popolazione i successi economici ottenuti nelle nazioni che li hanno raggiunti. Anche il sindacato più arretrato esce sconfitto con gravi conseguenze sui ", lavoratori". L'esempio della DUCATI non ha fatto scuola ancora. Ma la Ducati ha seguito la scuola tedesca! Di pari passo con gli errori della Politica e del Sindacato di sinistra la visione egoista e la mentalità predatoria della Confindustria e degli industriali, conservatori o peggio, che di fatto sono responsabili dell'arretratezza della produzione in Italia, rispetto ad altre Nazioni Germania in testa. ggiannig Io su Fb del 19 giugno 2021 Titolo: L'umanismo e l'Essenza dell'uomo Inserito da: Arlecchino - Giugno 27, 2021, 11:13:32 pm 4. L'umanismo e l'Essenza dell'uomo
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> sab 1 mag, 12:52 a me http://www.federica.unina.it/lettere-e-filosofia/filosofia-e-storia-delle-idee/umanismo-essenza-uomo/ Titolo: Il disfattismo rivoluzionario oggi Inserito da: Admin - Luglio 11, 2021, 04:51:47 pm “Il capitalismo non muore per esaurimento o perché ha portato a compimento il suo compito storico di classe, può continuare a vivere, come infatti vive, anche se non ha più nulla da dire sotto il profilo economico e di sviluppo sociale e culturale.” - Onorato Damen Il disfattismo rivoluzionario oggi Creato: 06 giugno 2019 Ultima modifica: 06 giugno 2019 Scritto da Greco Gianfranco Visite: 1412 Dalla rivista D-M-D' n° 12 “Volgere la guerra degli Stati borghesi in guerra civile di tutto il proletariato contro la borghesia di tutti i paesi.” (A. Bordiga, L’Unità 29 marzo 1924) C’è una parola d’ordine della politica rivoluzionaria alla quale è stata impressa una riattualizzazione quale diretta derivazione delle attuali dinamiche capitalistiche che, secondo un registro più complesso ed articolato, sono inestricabilmente sempre più appiattite su di un concetto di “guerra permanente” da intendere quale imprescindibile modalità di esistenza dell’imperialismo attuale. Ci si riferisce – per doverosa chiarezza - al “disfattismo rivoluzionario”. Il tema intorno a cui ruotano le argomentazioni che andremo a sviluppare non possono non essere che inerenti alla guerra imperialista permanente a cui fa ricorso il capitalismo per cercare di ovviare alla crisi oramai cronicizzata del meccanismo di accumulazione. Il preciso riferimento alla riattualizzazione è del tutto a ragion veduta in quanto se la validità, l’efficacia di questa parola d’ordine, dietro la quale prendeva forma - a suo tempo e da parte della “Sinistra di Zimmerwald” - una denuncia in toto della guerra, di una guerra, tuttavia, che rappresentava, allora, pur sempre una parentesi nella vita del capitale, ebbene riproporla oggi a cento anni dalla Conferenza di Zimmerwald non può di certo ingenerare ambiguità inerenti un suo indebito uso. Va ad assumere, anzi, una valenza ancora più pregnante laddove il fenomeno “guerra”, nell’epoca che stiamo vivendo, di episodico ha assolutamente più niente in quanto è diventata essa stessa un “modus vivendi” della struttura borghese unitamente a tutti i suoi rimandi ad un orrore che, oggigiorno, è sempre più parte integrante di una quotidianità con la quale è costretto a convivere il mondo tutto. Nelle risoluzioni del Congresso internazionale socialista di Basilea del 1912, Lenin, nel denunciare la natura imperialistica della guerra ed ancor più l’opportunismo riformista che reggeva bordone ai vari fronti borghesi, aveva modo di asserire come: “I socialisti avessero sempre condannato le guerre tra i popoli in quanto cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori di una astratta propaganda della pace) in quanto comprendiamo l’inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi all’interno di ogni paese. Comprendiamo l’impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia.” In questa denuncia Lenin si soffermava su come questa corrente riformista fosse nata e su quali fossero le sue finalità, ponendo in rilievo come il cosiddetto “periodo pacifico” nello sviluppo del movimento operaio avesse ingenerato nelle correnti opportunistiche, che si erano diffuse in quegli anni nel movimento socialista internazionale, la convinzione che alla trasformazione della società si potesse pervenire per via evolutiva proponendo quindi una visione deterministico-meccanica secondo la quale sarebbe stato lo stesso sviluppo delle forze produttive a rendere ineludibile il socialismo, visto pertanto come il risultato di una successione di riforme evocate dallo stesso sviluppo sopra menzionato. Dal che conseguiva le negazioni dell’egemonia proletaria, il convincimento che lo Stato si presentava come neutro rispetto alla società e quindi la questione del potere finiva con l’evaporare, in netta opposizione con la teoria rivoluzionaria che non si limitava a proporre semplici modificazioni della società bensì la sua radicale trasformazione. Due teorie segnate da una palese antitesi colta plasticamente da Lenin allorquando pone in risalto le finalità del cosiddetto riformismo: “ La socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito di riforme sociali. Bernstein ha appoggiato questa rivendicazione politica con tutta una batteria di “nuovi” argomenti e considerazioni abbastanza ben concatenati. Si nega la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, esso è la sola alternativa al putrescente capitalismo; si nega il fatto della miseria crescente, del fenomeno della proletarizzazione, dell’inasprimento delle contraddizioni capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso di “scopo finale” e si respinge categoricamente l’idea della dittatura del proletariato; si nega l’opposizione di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la “teoria della lotta di classe”, che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza, ecc.” 1 - Se la battaglia contro le contorsioni della socialdemocrazia riflettevano una esigenza di chiarimento all’interno del movimento socialista internazionale, allo stesso tempo veniva portata avanti una critica radicale che aveva come obbiettivo il pacifismo piccolo-borghese e le sue suggestioni relative alla conquista della pace da perseguire all’interno del perimetro democratico facendo leva – figuriamoci! - su un assai presunto ravvedimento “umanitario” della borghesia. Che la borghesia, che la struttura capitalistica, che la fase imperialistica impongano delle politiche volte ad intensificare ancor di più la rapina e la barbarie era una problematica che non sfiorava minimamente i benpensanti pacifisti. Abbiamo voluto porre al centro di questo nostro argomentare il riformismo in auge a cavallo dei secoli decimonono e ventesimo, le sue contraddizioni, le sue deviazioni, i suoi contorsionismi, tenendo tuttavia in debito conto come, nonostante le palesi contraddizioni, le suggestioni, le illusioni, la sua stella polare seguitasse ad essere la trasformazione in senso socialista della società. Tale stella polare, questo riferimento storico è, di converso, del tutto assente nel riformismo dei nostri giorni. È come se persistesse un sacro terrore a proferire il termine “socialismo”. È più che evidente un affannato lavorìo teso a prenderne addirittura le distanze. Tutto ciò determina, data la fumosità delle analisi, il venir meno di una proposizione fattivamente plausibile e, pertanto, del riferimento ad una alternativa in grado di superare i limiti evidentissimi di un sistema economico sociale che sopravvive oramai a sé stesso. Ci si limita – e ricorrendo ad ampie dosi di retorica - ad evocare conquiste progressiste, migliorie dell’attuale compagine sociale, sintetizzabili in una sorta di “carnet de reves” (libro dei sogni) al quale, per esempio, fa esplicito riferimento la scrittrice/giornalista canadese Naomi Klein che - alla Conferenza del Labour Party di Brighton del 26 settembre scorso – aveva modo, oltre alle liturgiche denunce delle “elites” che si arricchiscono smisuratamente, di porre l’accento su come “Esista una lunga e gloriosa storia di trasformazioni progressiste, a livello sociale, innescate dalle crisi. Basti pensare alle vittorie della “working class” per quanto riguarda l’edilizia popolare all’indomani della prima guerra mondiale, o per il sistema sanitario nazionale dopo la seconda.” 2 - Che queste trasformazioni sociali ci siano state e che siano costate lotte sanguinose è fuor di ogni dubbio; dovrebbe però spiegarci la gentile attivista canadese come mai tutte queste conquiste stiano progressivamente corrodendosi, quando non si siano del tutto volatilizzate, a dimostrazione che la lotta di classe attualmente la sta conducendo unicamente la borghesia e, peraltro, vittoriosamente se continua ad attaccare le condizioni di lavoro e di vita di un proletariato disorientato ed inerme. Ribadiamo: questa gloriosa storia di conquiste progressiste è fuori discussione come è fuori discussione, ahimè, che tali conquiste non siano date una volta per sempre in quanto possono essere vanificate dal potere borghese attraverso più complesse ed aggiornate forme di sfruttamento. L’assoluta mancanza di comprensione delle dinamiche capitalistiche attuali si manifesta in altri passaggi dello stesso intervento laddove spiega come “Per trionfare in un momento di vera crisi dobbiamo anche essere in grado di pronunciare dei coraggiosi e lungimiranti “sì”: un piano per ricostruire e affrontare le cause che soggiacciono alla crisi. E questo piano deve essere convincente, credibile e, più di tutto, accattivante. Dobbiamo aiutare una società stanca e timorosa a immaginarsi in un mondo migliore.” 3 - A parte l’uso di una aggettivazione che rimanda più che altro al variegato mondo dei pii desideri che non ad una accurata lettura, ad una capacità di percezione di fenomeni assai complessi che meriterebbero ben altro approfondimento – sulla loro genesi, sul loro attuale manifestarsi, sulle loro finalità - che non un approccio in cui la componente volontaristica sembra costituire la cifra dominante. Non si spiegherebbero altrimenti le amnesie della signora Klein, come anche di tanti altri “maitres à penser” che evitano accuratamente di addentrarsi con maggiore compiutezza in analisi conseguenti sulla fenomenologia capitalistica attuale, la qual cosa - se avvenisse - potrebbe forse indurli a riflettere sulla improponibilità delle soluzioni prospettate. È inevitabile in tal senso cogliere le implicazioni che un sistema capitalistico in crisi porta con sé: crisi che è tutt’altro che riferibile esclusivamente alla sfera finanziaria – leit motiv tutt’ora in voga - ma che riguarda l’economia reale nella sua globalità con annessi processi di concentrazione della ricchezza e di impoverimento progressivo del proletariato mondiale, crisi intimamente connessa a contraddizioni insanabili e che vanno assumendo sempre più i crismi della irreversibilità. Ha tale e tanta evidenza tutto ciò da indurre il capitale ad esasperare lo sfruttamento della forza-lavoro, a produrre processi di impoverimento del proletariato sempre più estesi, ad intensificare i tagli allo stato sociale, innescando, in tal modo ed inevitabilmente, le spinte alla conflittualità. Ma, ancora: se l’accumulazione capitalistica non può più prescindere da una connotazione a dimensione globale, a derivarne non possono non esserci contrasti anch’essi a carattere globale con annessi processi di riallineamento dei rapporti di forza tra le varie potenze. Tendenza non scevra – come facilmente intuibile - dal concreto pericolo di un possibile ricorso ad una guerra effettivamente guerreggiata. A fronte di una così vasta gamma di inquietanti interrogativi c’è lo sconcerto nel constatare, soppesandola, la sproporzione più che palese tra la gravità della situazione ed il tenore delle risposte adombrate da queste “anime pie”. Nel caso dell’ipotesi anche la più benevola, ma veramente si ritiene possibile contrastare le attuali politiche economiche portate avanti da governi di destra o di pseudo-sinistra con la creatività, con le banche etiche, col commercio equo e solidale e con le tante altre fantasticherie a seguire? C’è un plausibile senso nel discettare di “anticapitalismo” e nel contempo rassicurare - chi? - che non sono alle viste progetti insurrezionali o prese di “Palazzi d’Inverno” giacchè tale ostentato “anticapitalismo” si esemplificherebbe in modo assai semplice in “una tensione universalistica, verso la costruzione di un nuovo mondo possibile.” Il fine ultimo finalmente si staglia nitidamente: la trasformazione della società capitalistica per via evangelica. Ironia a parte, il dato che più preoccupa e su cui giova un’ampia riflessione è dato dagli effetti deleteri che giocano queste suggestioni con l’impaniare i lavoratoti, i giovani, i disoccupati, gli emarginati, in una, il proletariato tutto, su una convinzione completamente falsa, ossia su come un sistema criminale, disumano possa essere migliorato, plasmato più a misura d’uomo passando disinvoltamente sul fatto che questi emendamenti di pura facciata non andrebbero minimamente a scalfire la logica a cui soggiace un sistema che basa la propria conservazione unicamente sul profitto da realizzare ad ogni costo, in ogni modo, comunque ed ovunque. A questi teorizzatori dei “buoni propositi” si converrebbe, al contrario, fare una profonda riflessione su come i loro farfugliamenti ad altro non si riducano se non ad essere organici a quel “sublime sistema” che essi - soltanto a parole – dichiarano di voler combattere. Dal che non può che derivare una sola conclusione: prestar fede a questo armamentario di insulsaggini, star dietro a questa accozzaglia di teorizzazioni capaci solo di astrarre dalla realtà concreta non potrebbe, alle corte - per il proletariato intero - non avere come unico approdo che rendere il proletariato ancor più inerme, rassegnato, e soggiacere, quindi, ancor più passivamente di quanto non avvenga già adesso, alle sperimentazioni sempre più stringenti e nefaste del gangsterismo borghese. L’età della paura Una quotidianità scandita dal ritmo incessante dei massacri, distruzioni, devastazioni e la cui cifra specifica è rappresentata nella sua interezza da instabilità e caos non può non avere tra le sue manifestazioni un’angoscia che oramai domina la nostra epoca, ne permea tutti i pori, la segna profondamente. L’età della paura. L’età dell’ansia. Prodotti peculiari di un sistema che non smette di amplificare i propri effetti, replicandosi. “Il successo incontrastato del neo-liberismo conduce ad esiti potenzialmente distruttivi di lungo periodo, come l’esaurimento delle risorse, il surriscaldamento globale, la riduzione della flessibilità del sistema, la distruzione delle condizioni di possibilità di certi stili di vita e la conseguente espulsione delle persone che li adottavano.” 4 - E’ quanto scrive in un suo articolo Teresa Numerico, articolo incentrato su una intervista all’antropologo norvegese T.H. Eriksen e all’interno della quale lo scienziato scandinavo ha modo si spiegare come il parossismo che caratterizza i processi di crescita li rende largamente distruttivi per il pianeta e la società umana, chiarendo oltre tutto come in conseguenza di tutto ciò “Questi salti di livello producono risentimento, disperazione e controreazioni in tutto il mondo, dalla politica dell’identità militante, fino alla ritirata nel nazionalismo.” 5 -Laddove persistessero delle remore sul diffondersi di quest’ansia, di questa paura, col prevalere, per contrappasso, di un sano ottimismo sulle magnifiche e progressive virtù di un sistema che sarebbe in possesso degli anticorpi necessari a neutralizzare certe spinte autodistruttive, ebbene il professore di diritto internazionale all’università di Princeton, Richard Falk, avanza seri dubbi sulla infondatezza di talune ipotesi sostenendo come “Oggi viviamo il rischio di una catastrofe nucleare più che durante la guerra fredda, e non so quanto questo sia evitabile: la possibilità del “Doomsday”, ossia dell’incenerimento del pianeta, è un’opzione militarista insita nel mondo globalizzato.” 6 - Ma il paradosso tragico che dà il segno al tutto è costituito dal fatto che “Da un lato abbiamo un Trattato (TNP), cui hanno aderito 122 paesi membri, per la messa al bando del nucleare e, dall’altro, ad opporsi al medesimo trattato sono, in primis, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Francia, Inghilterra, USA, Cina e Russia) ai quali si aggiungono Israele, Pakistan, India e Corea del Nord” 7 - Le motivazioni? Hanno a che vedere unicamente con gli interessi geopolitici dei governi e dei leader che dominano il mondo. Va tratteggiandosi in maniera sempre più netta una realtà che via via va appiattendosi su una marcia a tappe forzate verso la barbarie. La realtà è testarda ma le fantasmagorie servono tuttora ad occultarla La realtà e la sua spietatezza cominciano a mettere in crisi gli analisti borghesi, quanto meno quelli scevri da quella fede incrollabile e superstiziosa nel capitalismo visto come generatore e dispensatore di ricchezza per tutti. Con decisione inusitata si prende a fustigare il liberismo imperante alla luce di tutti i guasti fin qui prodotti e di quelli che sono già messi in cantiere. Prova ne sia la diagnosi drammatica fatta dal premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz - ad una recente conferenza organizzata dall’Istituto Cattaneo di Bologna - ed incentrata su temi scottanti quali la disuguaglianza nel mondo, lo strapotere delle multinazionali, la crescente disoccupazione, ma soprattutto sulla constatazione di una totale impotenza - nei confronti di questa fenomenologia - ben sintetizzata dal giornalista del Manifesto che nella chiusa dell’articolo evidenzia come:” Allorché nelle domande che i relatori hanno concesso alla stampa, abbiamo sottolineato un po’ provocatoriamente che il dibattito per quanto interessante faceva emergere una impotenza latente in tutti gli interventi, Romano Prodi con un sorriso ha alzato le braccia come per dire: “Non possiamo farci nulla”. 8 - E nei fatti è tutto un impianto teorico a mostrare la corda. Oseremmo definire il tutto: l’irreversibile dissolvenza dei carismi. Come sembrano lontani i fascinosi tempi attraversati dalle farneticanti teorizzazioni del filosofo ultraliberista austriaco Friedrich von Hayek, teorie che hanno rappresentato la summa alla quale si sono pedissequamente riferite le politiche economiche degli ultimi decenni. L’insigne pensatore, tra l’altro, avversava decisamente la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” del 1948, ed alla base del suo dire c’era “ la netta opposizione all’idea stessa di uguaglianza, persino declinata in senso esclusivamente formale. Gli uomini non sono uguali e, soprattutto, non vanno trattati come tali, perché è soltanto il Mercato, e in generale la naturale evoluzione concorrenziale delle cose, a stabilire chi uscirà vincente e potrà, in questo modo, beneficiare tanto della ricchezza quanto dei diritti.” 9 - Più sinteticamente, è la celebrazione del mito del mercato capitalistico considerato come il più razionale sistema di allocazione delle risorse in virtù delle sue capacità di autoregolamentarsi ben al di fuori dall’imposizione di regole provenienti dall’esterno. Il punctum dolens è che questo assai poco probabile “benemerito dell’umanità” – insignito tra l’altro del premio Nobel per l’economia nel 1974 - ha funto da stella polare con cui orientarsi oltre a segnare le nobili gesta di due campioni del moderno riformismo: Tony Blair, erede a tutto tondo della signora Thatcher, e Gerhard Schroeder, cancelliere socialdemocratico tedesco dal 1998 al 2005, sotto il cui governo fu varato l’Hartz Konzept (Piano Hartz) con l’obiettivo dichiarato di fronteggiare la crisi, ma che costituisce, nella sua essenza, il prodotto del processo di deregulation del mercato del lavoro che ha dato luogo ad uno dei regimi di controllo più coercitivi d’Europa. Da cui sono scaturiti peggioramenti delle condizioni di lavoro per milioni di lavoratori tedeschi e tagli alla spesa sociale. Pomposamente, questi attacchi alle condizioni di lavoro e di vita di milioni di proletari, sono sempre state definite “riforme strutturali”. Ebbene queste riforme strutturali, dalla destrutturazione del mercato del lavoro alle privatizzazioni ed a tante altre nefandezze perpetrate sempre ai danni dei soliti noti, hanno avuto come significativo risultato un macroscopico travaso di ricchezza tra classi sociali. L’Oxfam (Confederazione internazionale di organizzazioni no-profit) ci illumina in tal senso facendo rilevare – in riferimento al drammatico aumento delle diseguaglianze che accomuna tutto il mondo – come 62 persone sono più ricche di 3,6 miliardi di esseri umani e come tali diseguaglianze vadano a scavare ulteriormente il fossato che divide queste classi sociali in quanto comportano conseguenze economiche che trovano espressione nel peggioramento della distribuzione del reddito, nell’intensificarsi della precarizzazione dei rapporti di lavoro, in una povertà sempre più diffusa, in un inarrestabile prosciugamento della cosiddetta domanda aggregata. Stante una siffatta situazione che interessa - con gradazioni diverse ovviamente - sia i paesi periferici che quelli industrializzati si fa fatica a familiarizzare con termini quali “ripresa” o “crescita”. Se il mantra dominante è rappresentato dall’aumento della competitività attraverso tagli ai redditi e ai diritti dei lavoratori, allo stato sociale ma, soprattutto, attraverso tagli alle tasse dei più ricchi, puntando tutti sull’incremento delle esportazioni - in una deriva verso il fondo, un fondo sociale, economico, ambientale - diventa conseguenzialmente certo l’emergere sempre più stringente della questione di chi deve esportare a chi. In prospettiva: una situazione con marcati tratti di inestricabilità, una dimensione che va sempre più restringendosi stante le attuali dinamiche di concentrazione e di centralizzazione. In una: un contesto che sembra quasi la fedele ricostruzione de “La nave dei folli” di Sebastian Brant, nella quale quello strano battello ubriaco ed il suo equipaggio insensato veleggiano lungo i fiumi della Renania ed i canali delle Fiandre. Tale accostamento scaturisce con naturalezza in quanto nell’attuale contesto si fa ancora più stridente una contraddizione che da sempre connota il sistema capitalistico: da un lato l’innovazione tecnologica attraverso cui accrescere la produttività del lavoro e quindi la competitività, dall’altro il restringersi dell’impiego di forza-lavoro, ossia dell’unica fonte di produzione di plusvalore. Si inserisce, a tal riguardo, un elemento nuovo che distinguerà sempre più la rivoluzione industriale in atto - definita come quarta rivoluzione industriale - dalle rivoluzioni del passato, dal motore a vapore all’elettricità, all’elettronica, nel senso che è tutt’altro che replicabile lo schema che vedeva, quale conseguenza dell’introduzione delle innovazioni, l’espulsione di forza lavoro da un determinato settore e l’aprirsi contemporaneo di altri settori che riassorbivano la forza-lavoro in eccesso. Con la quarta rivoluzione industriale questo schema ha ormai da tempo mostrato la corda: la forza-lavoro espulsa non viene riassorbita in quanto non si aprono nuovi ambiti di impiego e la cosa è tanto vera che il World Economic Forum basandosi sull’elaborazione di un “Future of jobs report” calcola che di qui al 2020 saranno cancellati oltre 5 milioni di posti di lavoro - in riferimento alle principali economie – che riguarderanno soprattutto i lavori d’ufficio, le attività manifatturiere e l’edilizia. Ed ancora: con l’introduzione progressiva di macchine che tenderanno sempre più ad avere caratteristiche che le avvicineranno alla natura umana sono a rischio professioni come il chirurgo, il professore, il giornalista e tante altre ancora. In sintesi, quello che si va ulteriormente delineando non è tanto l’accrescimento dell’esercito industriale di riserva quanto la dilatazione di una enorme massa proletaria di riserva. L’assurda sostenibilità di un sistema che ha necessità della guerra senza soluzione di continuità Diventa opportuno, a tal punto, partendo dal dato strutturale della crisi appuntare la nostra attenzione sulle tendenze del capitalismo e sulle conseguenze che comportano tali tendenze considerando dovutamente che i due precedenti cicli di accumulazione hanno avuto come esito finale una guerra mondiale tramite cui si è distrutto il capitale eccedente e si è fatto ripartire un nuovo ciclo di accumulazione. Tutto ciò è passato ed è destinato ancora a passare attraverso un contrasto sempre più acceso tra le diverse borghesie in un contesto sempre più a scala internazionale. Criticità, fibrillazioni, conflittualità, una tettonica economica e sociale che interessa oramai ogni angolo del mondo e che vede il ricorso agli armamentari i più vari: dalle pressioni economiche, alle sanzioni, passando per gli attacchi alle valute o alle minacce di esclusione dai circuiti bancari. Insomma, un campionario ben assortito di frizioni per niente rassicuranti nel mentre qualche buontempone, dall’altra parte dell’Atlantico, si fa ampio ricorso alla comicità gratuita col sostenere come l’epoca in cui siamo immersi sia la più pacifica della storia. Infatti…” Negli ultimi cinque anni l’aumento di spesa in sistemi d’armi “pesanti” è stato vertiginoso: i dati del Sipri, l’istituto svedese che ne registra l’andamento, riferiscono di una crescita dell’8,4 per cento, livello che non si raggiungeva dal 1990, quando ancora il mondo era diviso in blocchi contrapposti, prima dello scioglimento dell’URSS.” 10 - “Si vis pacem, para bellum”, locuzione latina che vuol significare “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Fosse vero tutto questo – tenuto conto dell’odierno attivismo bellico dei vari attori e della connessione – tra i due termini - che dovrebbe conseguirne (connessione, ovviamente falsa e stiracchiata fino all’inverosimile “ad usum delphini”) l’umanità intera sarebbe condannata ad un lungo e pressoché inevitabile domani di pace… La manifesta assurdità delle sfumature insite in questa asserzione non possono tuttavia indurre a ridurle a macchiette d’avanspettacolo in quanto hanno dato, nel tempo, vigore alla logica della guerra fornendole giustificazione formale. E’ talmente vero tutto ciò che la Nato, ad esempio, per bocca del suo segretario, sostiene - senza sprezzo del ridicolo - come scopo fondamentale della capacità nucleare dell’Alleanza atlantica sia quello di preservare la pace. Non possiamo di certo tacciare di solipsismo l’accozzaglia di galantuomini nordatlantici in quanto il club nucleare è ben folto annoverando, tra l’altro, Russia e Cina, Pakistan, India e Israele per un totale, approssimato per difetto, di circa 15.000 testate nucleari. Guerra permanente quindi, non ancora generalizzata ma con tante avvisaglie che rappresentano la spia di un progressivo avvicinarsi alle cosiddette “linee rosse” tracciate da ciascun brigante, ponendo, allo stesso tempo, in risalto criticità destinate sempre più a intensificarsi. Si va da un arco intercontinentale di tensioni e conflitti alle posizioni, segnatamente di Russia e Cina, che mettono in discussione l’egemonia del dollaro. Dalle preoccupazioni americane inerenti la partnership russo-cinese o la” Nuova via della seta” al neo-nazionalismo delle piccole patrie, in grado di rappresentare la rabbia anti-establishment e di diffondersi ulteriormente considerati i guasti che continua a produrre il tanto decantato neo-liberismo. Ma la criticità che toglie il sogno a lor signori è quella denunciata dallo stesso FMI e trova espressione nella caduta della domanda mondiale, a sua volta conseguenza diretta della caduta dell’occupazione globale, con ricaduta negativa sul processo di accumulazione del capitale. C’è una via d’uscita da questa prospettiva di degrado e di barbarie? Quale altra alternativa si può opporre ad una prospettiva inquietante in cui i soli dati realmente inequivocabili sono lo sfruttamento sempre più intenso della forza lavoro, in una disputa che riguarda le varie fazioni della borghesia, ed un conflitto anch’esso sempre più esasperato, volto all’accaparramento – per via parassitaria – del plusvalore prodotto su scala mondiale? Il buon Karl Marx nell’analizzare le contraddizioni, le convulsioni, le crisi in cui si dibatte tuttora il capitalismo, evidenziava come la distruzione violenta di capitale, quale condizione unica per la sua conservazione, stava lì a dimostrare l’antistoricità di un sistema produttivo e la necessità di soppiantarlo con un altro di livello superiore. Avendo dato di sé sempre più prove che non è l’unico dei mondi possibili, anzi, costituendo “il problema”, il problema va portato a soluzione e la soluzione va trovata al di fuori del capitalismo. E questa non può che essere il socialismo. La stella polare: orientarsi verso il disfattismo rivoluzionario La guerra come “sola igiene del mondo”, lodata sul Manifesto futurista, nel 1909, in quanto la sola capace di rigenerare il mondo e la “putrida umanità” dà il senso di una esaltazione bellica che animerà artisti, poeti, intellettuali in genere che, fatte salve le poche eccezioni, sono lautamente pagati dalla classe borghese per rappresentarne adeguatamente i suoi interessi. Quale più appropriata raffigurazione di questo mondo se non la considerazione di Vladimir Majakovskij secondo cui “In una nave che affonda gli intellettuali sono i primi a fuggire subito dopo i topi e molto prima delle puttane”? Avendo niente, in assoluto, da spartire con questa sorta di titanismo d’accatto, il problema della guerra per il proletariato si presenta esclusivamente in termini di contrasto e ciò rimanda alla ineludibile lotta di classe sulla base di due considerazioni: 1. a) Il ricorso alla guerra sarà inevitabile fintanto che esisterà il capitalismo; 2. b) Il disfattismo rivoluzionario quale unica prospettiva e quindi il rifiuto totale a schierarsi con qualsivoglia fronte borghese. Sebbene il proletariato internazionale stia vivendo una fase particolarmente difficile, e ne offre testimonianza una considerazione ad hoc dello scrittore inglese Anthony Cartwright laddove sostiene che:” In Gran Bretagna, l’identità di classe e i vincoli comunitari che hanno caratterizzato a lungo il mondo operaio sono stati progressivamente erosi e rimpiazzati da una cultura individualista e consumista, una dimensione sempre più atomizzata dell’esistenza.”11, ebbene, partendo dal fatto che questa condizione è largamente generalizzata, e che, nonostante le crisi economiche, gli attacchi continui alle proprie condizioni di vita, stenta a tutt’oggi ad esprimere una adeguata opposizione di classe, il conflitto sociale permane anche se non riesce ancora ad esprimersi a livello collettivo. In un’ottica siffatta e coi venti di guerra che soffiano sempre più forti, riannodare i fili con l’esperienza storica, riconoscere l’attualità e le caratteristiche di un asse strategico della politica rivoluzionaria nella fase di esistenza della guerra permanente diventa un tutt’uno col riconoscere al disfattismo rivoluzionario – con i possibili collegamenti immediati alla lotta di classe – la dimensione di paradigma difficilmente sostituibile. E nel recente passato – per restare in tema - significative manifestazioni si sono svolte, ad esempio, contro i cosiddetti “treni di guerra”. Si sono altresì avute chiamate allo sciopero con lo scopo di impedire che il materiale bellico venisse caricato sulle navi. L’articolazione dispiegatasi nelle varie dimostrazioni ha riguardato l’Italia come anche altre realtà europee. Prese di posizione abbastanza nette e decise riferentesi, per esempio in Italia, sia alla galassia “No global” che ai sindacati dei portuali, nel mentre in altre realtà come la Grecia manifestazioni indette dal “Fronte militante di tutti i lavoratori” (PAME) erano orientate oltre che a denunciare i piani di guerra della Nato a riaffermare prese di posizione che costituiscono tuttora il patrimonio genetico della classe degli sfruttati e degli oppressi, ossia: “Siamo uniti dal comune interesse della lotta per una vita senza sfruttamento e povertà, senza padroni che rubano la ricchezza che produciamo. Questa è la vita che ci appartiene.” Sono indubbi i limiti di queste manifestazioni che per il sol fatto di essere organizzate e gestite da organizzazioni sindacali o movimenti i quali, attenendosi, per loro natura e seppure con modalità diverse, alle compatibilità dell’attuale sistema non possono che avere - come approdo o come ipotesi estrema - la soluzione riformista. Ma di rilevante vi è una rinnovata sensibilità da parte di alcuni settori della classe lavoratrice verso i temi della guerra, verso la terribilità del suo aspetto e della china verso cui sta scivolando. Ma di rilevante potrebbero esserci anche le potenzialità che la situazione sociale, nel suo insieme, offre se solo ci fosse una organizzazione comunista quale riferimento politico imprescindibile laddove l’obiettivo primario sia quello del superamento del capitalismo. Ed all’interno di quest’ultima prospettiva - da portare avanti nelle sue varie articolazioni - orientarsi verso il disfattismo rivoluzionario, verso il rifiuto totale nei confronti di qualsivoglia schieramento imperialistico. Ma ancor di più: verso quella logica perversa che nel 1800, di fronte alle predazioni, ai genocidi, alle pulizie etniche, all’apartheid a cui si applicava alacremente il capitalismo in versione yankee, faceva dire al capo Sioux “Orso in piedi”:” Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo animale libero ucciso, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.” Note 1 V.I. Lenin: Che fare? - Editori Riuniti 2 N. Klein: La sinistra deve fare una vera rivoluzione morale – Il Manifesto 1° ottobre 2017 3 ibidem 4 T. Numerico: Thomas Hylland Eriksen. Lo stress del dominio del mondo – Il Manifesto 12 settembre 2017 5 ibidem 6 P. Lombroso: Intervista a Richard Falk “Mai così alto il rischio di catastrofe nucleare” – Il Manifesto 17 ottobre 2017 7 idem 8 B. Perini: Stiglitz:”Non usciremo dalla crisi senza una vera politica redistributiva” Il Manifesto 5 novembre 2017 9 P. Ercolani: A tutto profitto per la libertà. Il Manifesto 13 gennaio 2016 10 G. Cadalanu: Il pianeta delle armi. La Repubblica 6 marzo 2017 11 G. Caldiron: Anthony Cartwright. Il Manifesto 7 settembre 2017 Copyright (c) 2009. Istituto Onorato Damen Da - http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/transizione/491-disfattismo Titolo: Troppi errori del Comunismo nel mondo, con milioni di vittime, inutilmente ... Inserito da: Admin - Luglio 17, 2021, 09:30:26 pm SINISTRA ESSENZIALE. Società, Politica, Studio, Umanismo, Ambiente.
Troppi errori del Comunismo nel mondo, con milioni di vittime, inutilmente contrario e sconfitto dal capitalismo, perdente a causa di una ideologia bloccata nell'evoluzione per fanatismo patologico che ha favorito la Destra compresa quella peggiore. La Sinistra Essenziale al benessere della popolazione, nel mondo e in Italia deve indicare metodi nuovi e progetti più democratici e alla fine più intelligenti. Troppo costosi a carico della libertà della popolazione i successi economici ottenuti nelle nazioni che li hanno raggiunti. Anche il sindacato più arretrato esce sconfitto con gravi conseguenze sui ", lavoratori". L'esempio della DUCATI non ha fatto scuola ancora. Ma la Ducati ha seguito la scuola tedesca! Di pari passo con gli errori della Politica e del Sindacato di sinistra la visione egoista e la mentalità predatoria della Confindustria e degli industriali, conservatori o peggio, che di fatto sono responsabili dell'arretratezza della produzione in Italia, rispetto ad altre Nazioni Germania in testa. ggiannig Da Fb del 19 giugno 2021 Titolo: [b]Coniugare la coesione sociale con la ripresa economica del Paese[/b] Inserito da: Admin - Luglio 22, 2021, 11:32:59 am Un commento lusinghiero di Domenico Proietti, Segretario confederale della UIL
Coniugare la coesione sociale con la ripresa economica del Paese Auguri di buona strada al rinvigorito Avanti. Non solo perché rappresenta una testata storica del giornalismo italiano, un patrimonio di idee di cui il Paese sente il bisogno per innalzare il livello del dibattito, ma anche per le sue analisi che permettono di avere un canale lungimirante di informazione. Ne è un esempio la recente previsione su come si sarebbe concluso il confronto sul blocco dei licenziamenti, che ha anticipato l’intesa poi siglata tra Governo e Parti sociali. Complimenti al direttore Claudio Martelli che aveva indicato subito una strada di buonsenso e di razionale praticabilità, che coniugava la coesione sociale con la ripresa economica del Paese. Sono certo che l’Avanti continuerà a svolgere questo importante ruolo su tutti i più significativi temi del Paese a cominciare dalla riforma delle politiche attive del lavoro. Nel consolidare una preziosa collaborazione, buon lavoro all’Avanti! e a Claudio Martelli. Domenico Proietti, Segretario confederale UIL DA avanti.it Titolo: PANZIERI, Raniero in "Dizionario Biografico" Inserito da: Admin - Agosto 02, 2021, 03:41:33 pm PANZIERI, Raniero in "Dizionario Biografico"
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> 12:11 (3 ore fa) a me https://www.treccani.it/enciclopedia/raniero-panzieri_%28Dizionario-Biografico%29/ Titolo: Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro - "La cosa si racconta in due parole: ... Inserito da: Admin - Agosto 17, 2021, 08:07:44 pm Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro
( "Vie nuove",15 settembre 1971) "La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l'avevo convinto all'antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché anch'io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al partito d'azione) hanno portato con sé Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi, egli è partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L'ho accompagnato al treno, con la sua valigietta, dov'era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesie. Ci siamo abbracciati: era l'ultima volta che lo vedevo. Sulle montagne, tra il Friuli e la Yugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora. Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l'Italia e la Yugoslavia: così, in quel periodo, la Yugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. Mio fratello, pur iscritto al partito d'azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com'è il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo yugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza yugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica. Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità'. (Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Dialoghi 1960-1965, a cura di Giancarlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1996. ) Da Fb del 15 agosto 2021 Titolo: Jouhatsu (蒸発). - SOCIALESIMO perchè la nostra SINISTRA non EVAPORI! Inserito da: Admin - Settembre 06, 2021, 06:05:09 pm Jouhatsu (蒸発)
Il nuovo termine del nostro lessico tematico giapponese è jouhatsu (蒸発), letteralmente “evaporazione” (il verbo “evaporare” si scrive jouhatsu-suru, 蒸発する), cioè le persone che spariscono e non si fanno più trovare per anni. Se ci pensate, si dice più o meno così anche in italiano: “Non l’hanno più trovato, è come se fosse evaporato”. Tuttavia, il termine più appropriato in italiano è “svanire”, che ha un sapore diverso da quello giapponese; anzi, l’assenza di sapore, dato che l’evaporazione lascia dei residui, mentre lo svanire no. Chi sono, allora, gli “evaporati” in Giappone? Di solito sono quelli che non reggono più la pressione della società, gli impegni, le regole, le gerarchie, e decidono di scomparire, darsi alla macchia, andare da un’altra parte (del Giappone) e rifarsi una vita. O quelli che si vergognano molto per un licenziamento, un matrimonio fallito, una dipendenza, una vita condotta in modo disordinato e disonorevole. Attenzione, quelli che scompaiono quasi sempre non lo fanno da soli: ci sono delle aziende che aiutano queste persone a scomparire in modo discreto. Le aziende si occupano di quelli che vengono chiamati “traslochi notturni“.“traslochi notturni“. Altra bella immagine, ma è una libertà del traduttore della Bbc: in giapponese si dice yonige-ya (夜逃げーや) che vuol dire (agenzia per la) “fuga di notte”. Fanno “volare via” la gente: gli spostano le cose (la parte del trasloco) ma si occupano anche della rilocalizzazione, di trovare nomi alternativi, identità false ma plausibili, storie che aiutino uno straniero a rifarsi una vita in un altro contesto, ma sempre all’interno del Giappone. Non si va romanticamente a vivere in montagna o in qualche atollo, però. Si finisce invece in un quartiere abbandonato alla gestione della mafia giapponese o in una delle piccole cittadine fuori dal radar, fatte per i paria e i senza casta, vivendo di lavoretti più o meno legali, pagati per contanti e avendo a che fare con un sistema sanità informale da ambiente criminale. Si evapora ma non si scompare: si va altrove, un po’ più in là, a sopravvivere, vivendo d’espedienti. La polizia sostanzialmente non interviene, a meno che non ci siano incidenti o crimini, perché in Giappone la privacy delle persone è difesa in maniera ossessiva, rendendo la scomparsa un po’ più facile. L’unico modo che quelli rimasti hanno per scoprire cosa è successo a chi scompare è assumere un investigatore privato, cosa che apre tutto un altro giro di considerazioni e valutazioni, inclusa (per noi) la differenza culturale che ha l’investigatore privato nella società giapponese rispetto alla nostra. Materia per altri lemmi tematici. La pratica di fare jouhatsu è nata negli anni Sessanta ed è il modo con cui si è cristallizzato un concetto altrimenti non sostenibile dagli individui nella cultura tradizionale giapponese: fuggire da un matrimonio infelice o dalla sofferenza e disonore di un divorzio. Con lo scoppio della bolla degli anni Ottanta e il crash finanziario dell’economia giapponese che ne è seguito, fare jouhatsu è diventato il modo per rendere socialmente accettabile quello che da noi sarebbe l’atto di licenziarsi e lasciare il lavoro. Noi sogniamo di aprire il ciringuito sulla spiaggia, l’AirB&B in Toscana o il locale hipster in centro a Milano, loro che non si potevano licenziare o perdere il lavoro, senza un buon motivo (non certo la felicità) dovevano inventarsi una via di uscita. Diversa dalla strada tradizionale per uscire dagli obblighi sociali, che un tempo sarebbe stato il suicidio. Evaporare è divenuta un’alternativa più ragionevole e al tempo stesso comprensibile per tutti. A pensarci bene, è una versione meno tossica e più vitale della pratica dell’hikikomori (“ひきこもり” oppure “引きこもり”), letteralmente “staccarsi e stare in disparte”, cioè gente che scappa dalla società chiudendosi letteralmente e fisicamente in sé stessa, cioè chiudendosi fisicamente in casa, o meglio, nella propria stanza dalla quale non esce più. Si capisce allora la vitalità positiva dell’evaporare. È un atto comprensibile, a condizione però di rispettare un altro tabù sociale: così come non si parla di suicidio, in Giappone non si parla pubblicamente neanche di jouhatsu. Da - https://www.ilpost.it/antoniodini/2021/06/09/jouhatsu-%e8%92%b8%e7%99%ba/ Titolo: Invece di investire sui fannulloni, lo Stato deve sollecitare la parità ... Inserito da: Admin - Settembre 10, 2021, 11:50:11 am Non si doveva e non si deve investire sui fannulloni!
Lo Stato deve sollecitare la parità retributiva, ma non lasciando a carico delle imprese il costo della maternità e delle conseguenti necessità della donna! ggiannig Titolo: Un proporzionale contro i populismi Inserito da: Arlecchino - Settembre 15, 2021, 11:29:39 pm Un proporzionale contro i populismi
REDAZIONE 14 SET 2021 Una nuova agenda per non essere più subalterni al M5s. Ascoltare Guerini Sullo stesso argomento: Avanti tutta sul proporzionale Un proporzionale bellissimo Mentre i partiti della destra sembrano ossessionati dalla scadenza elettorale, che vorrebbero anticipare il più possibile, il Pd sembra voler rimuovere i problemi legati a questo appuntamento che, in ogni caso, dovrà affrontare entro il 2023. Non si tratta, naturalmente, di avviare la campagna elettorale politica con grande anticipo, ma di predisporne le condizioni. Il primo punto è il sistema elettorale, la cui eventuale riforma deve essere incardinata o almeno discussa già ora. Converrebbe ritornare a un sistema proporzionale, che lascia più libero il gioco politico e può registrare meglio i cambiamenti, in parte già avvenuti, in parte auspicabili, nella dialettica politica grazie alla fase di ampia collaborazione governativa in corso. Il Pd continua a ondeggiare tra vecchie nostalgie maggioritarie legate al bipolarismo dell’altro ieri e comprensione realistica dell’interesse oggettivo per il proporzionale: è ora che si dia una mossa. L’altro elemento che va chiarito è il profilo con cui il partito intende presentarsi all’elettorato, che deve essere il più netto possibile. Invece di baloccarsi con ipotesi irrealistiche come la candidatura di Mario Draghi alla testa di una coalizione con i 5 Stelle (ma solo pochi mesi fa si parlava di un analogo ruolo di Giuseppe Conte, e si è visto com’è andata a finire), il Pd dovrebbe sottolineare la sua autonomia e riaffermare che il candidato premier è il segretario del partito. Lo ha detto venerdì scorso, alla festa dell’Unità di Bologna, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini al direttore Claudio Cerasa, e ha ragione da vendere. Mimetizzarsi dietro improbabili coalizioni offusca l’immagine e l’impegno programmatico del partito, mentre questa è la fase della competizione, leale e democratica, tra forze che però mettono in evidenza le distanze e le differenze, senza demonizzazioni ma anche senza confusioni o indulgenze. Il momento delle trattative verrà dopo le elezioni in base al risultato di ciascuno, non prima. Da - https://www.ilfoglio.it/editoriali/2021/09/14/news/un-proporzionale-contro-i-populismi-2923189/ Titolo: Una politica ecologica seria non può che essere anticapitalista e cogliere i ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 01, 2021, 09:31:16 pm I limiti dell’ambientalismo e la proposta ecosocialista
Una politica ecologica seria non può che essere anticapitalista e cogliere i nessi fra le contraddizioni ecologiche e quelle non ecologiche del capitale. Nancy Fraser 29 Settembre 2021 In un lungo e approfondito saggio contenuto nel numero di MicroMega in edicola e libreria la filosofa statunitense Nancy Fraser spiega perché un ambientalismo che non metta in discussione le fondamenta del capitalismo non va molto lontano. Ne pubblichiamo un estratto. Le politiche del clima sono balzate al centro della scena[1]. Anche se persistono sacche di negazionismo, attori politici dei più diversi colori stanno diventando verdi. […]. L’ecopolitica, in sintesi, è divenuta ubiquitaria. Non più appannaggio esclusivo di movimenti ambientalisti autonomi, il discorso sul cambiamento climatico appare adesso una questione urgente rispetto alla quale ogni attore politico deve prendere posizione. Incorporata in un mucchio di programmi in concorrenza tra loro, la questione viene variamente declinata secondo i diversi impegni cui si accompagna. Col risultato, sotto un superficiale consenso, di un inquieto dissenso. Da una parte c’è un crescente numero di persone che vedono il riscaldamento globale come una minaccia alla vita sul pianeta Terra così come la conosciamo. D’altra parte, costoro non sono accomunati da una stessa visione delle forze della società responsabili di quel processo e nemmeno dei cambiamenti nella struttura sociale necessari per fermarlo. Sono più o meno concordi sul dato scientifico, ma decisamente discordi sulle politiche[2]. E tuttavia “concordi” o “discordi” sono definizioni troppo vaghe per fotografare la situazione. L’ecopolitica oggi si sviluppa all’interno di una crisi epocale da cui è inevitabilmente segnata. Crisi dell’ecologia, certo, ma anche dell’economia, della società, della politica e della salute pubblica ovvero una crisi generale i cui effetti si diffondono ovunque come metastasi, scuotendo la fiducia nelle visioni del mondo consolidate e nelle élite al potere. Ne risulta una crisi di egemonia e un “inselvatichirsi” dello spazio pubblico. Non più domata dal buonsenso dominante che blocca le opzioni fuori dagli schemi, la sfera politica è divenuta ora il luogo di una ricerca frenetica non solo di politiche migliori, ma di nuovi progetti politici e nuovi stili di vita. Accumulatasi ben prima dello scoppio del Covid, ma da questo fortemente intensificata, questa “atmosfera instabile” permea l’ecopolitica che si dà necessariamente al suo interno. Il dissenso sul clima è pesante, di conseguenza, non “solo” perché la sorte della Terra è in bilico, e nemmeno “solo” perché il tempo stringe, ma anche perché il clima politico è, a sua volta, agitato dalla turbolenza. In questa situazione, per difendere il pianeta bisogna costruire una controegemonia per superare l’attuale cacofonia di opinioni e arrivare a un buonsenso ecopolitico in grado di orientare un progetto di trasformazione largamente condiviso. Certo, quel buonsenso deve aprirsi un varco tra la massa di opinioni in conflitto e identificare precisamente ciò che va cambiato nella società per fermare il riscaldamento globale, collegando in modo efficace le autorevoli scoperte della scienza del clima a un resoconto altrettanto autorevole dei motori storico-sociali dei cambiamenti climatici. Per divenire contro-egemonico comunque il nuovo buonsenso deve trascendere il “meramente ambientale” e affrontare la reale entità della crisi generale, deve collegare la sua diagnosi ecologica ad altre preoccupazioni vitali, inclusa quella per l’insicurezza dei mezzi di sostentamento e per i diritti negati dei lavoratori, il disinvestimento pubblico dalla riproduzione sociale e la svalutazione cronica del lavoro socio-assistenziale, l’oppressione imperialista etno-razziale, la dominazione sessuale e di genere, la spoliazione, l’espulsione e l’esclusione dei migranti; la militarizzazione, l’autoritarismo politico e la brutalità poliziesca. Tutte preoccupazioni che senza dubbio si intrecciano e sono esacerbate dai cambiamenti climatici. Ma il nuovo buonsenso deve evitare “l’ecologismo” riduttivo. Lungi dal trattare il riscaldamento globale come la carta vincente che prevale su tutto il resto, deve rintracciare quella minaccia nelle dinamiche sociali sottostanti che a loro volta alimentano altri aspetti della crisi attuale. Solo affrontando tutti i più importanti risvolti di questa crisi, “ambientali” e “non-ambientali”, e rivelando le interconnessioni, potremo cominciare a costruire un blocco contro-egemonico che sostenga un progetto comune e possieda l’autorevolezza politica per perseguirlo con efficacia. Questo è un compito arduo. Ma ciò che lo porta nella sfera del possibile è una “felice coincidenza”: tutte le strade portano alla stessa idea, il capitalismo. Il capitalismo, nel senso che definirò a breve, rappresenta il motore storico-sociale del cambiamento climatico e la dinamica centrale istituzionalizzata da smantellare per fermarlo. Il capitalismo, così definito, è anche profondamente implicato in forme di ingiustizia sociale apparentemente non-ecologiche: dallo sfruttamento di classe all’oppressione razzista-imperialista alla dominazione sessuale e di genere. E il capitalismo ha un ruolo centrale anche nelle impasse apparentemente non-ecologiche dell’ordinamento sociale: nelle crisi della cura e della riproduzione sociale; della finanza, delle filiere di produzione e distribuzione, salari e lavoro; di governance e de-democratizzazione. L’anticapitalismo, perciò, potrebbe, anzi dovrebbe, diventare il tema organizzativo centrale di un nuovo buonsenso. Rivelare le connessioni che legano tra loro gli innumerevoli fili di ingiustizia e irrazionalità, è la chiave per poter sviluppare un progetto contro-egemonico di trasformazione in senso ecologico dell’organizzazione sociale. […]. Esistono già, in una forma o nell’altra, molti dei mattoni essenziali alla costruzione di questa politica. I movimenti per la giustizia ambientale sono già, in linea di principio, transambientali in quanto prendono di mira i legami tra eco-danni e uno o più assi di dominio, in particolare il genere, la razza, l’etnia e la nazionalità; e alcuni di questi sono esplicitamente anticapitalisti. Analogamente i movimenti dei lavoratori, i Green New Dealer e alcuni eco-populisti impugnano (alcuni) prerequisiti di classe nella lotta contro il riscaldamento globale: soprattutto la necessità di collegare la transizione verso le energie rinnovabili alle politiche pro-classe lavoratrice su redditi e occupazione, e l’esigenza di rafforzare il potere statale in quanto contrapposto alle grandi multinazionali. Infine, i movimenti per la decolonizzazione e delle popolazioni indigene puntano l’obiettivo sull’intreccio estrattivismo-imperialismo. Insieme alle correnti per la decrescita, invocano un ripensamento profondo del nostro rapporto con la natura e dei nostri stili di vita. Ciascuna di queste visioni ecopolitiche coltiva al suo interno intuizioni autentiche. Ciononostante, la condizione attuale di questi movimenti, sia che li si consideri nel loro insieme, sia presi singolarmente, non è (ancora) adeguata al compito che li aspetta. Finché i movimenti per la giustizia ambientale continueranno a occuparsi quasi esclusivamente delle svariate conseguenze delle eco-minacce sulle popolazioni subalterne, non riusciranno a prestare la dovuta attenzione alle dinamiche strutturali alla base del sistema sociale; sistema che non soltanto produce disuguaglianze, ma porta a una crisi generale che minaccia il benessere di tutti, oltre che del pianeta. Il loro anticapitalismo non è quindi abbastanza concreto, e il loro trans¬ambientalismo non va ancora abbastanza in profondità. Qualcosa di simile vale anche per i movimenti che hanno come interlocutore lo Stato, e in particolare per gli eco-populisti (reazionari) ma anche per i Green New Dealer (progressisti) e per i sindacati. Questi attori privilegiano la struttura dello Stato nazionale-territoriale e la creazione di posti di lavoro grazie a progetti di infrastrutture verdi, dando in tal modo per scontata una visione insufficientemente ampia e diversificata della “classe dei lavoratori”, che non comprende, in realtà, solo gli operai addetti alle costruzioni ma anche i lavoratori dei servizi; non solo i salariati, ma anche quelli che non percepiscono alcun salario; non solo quelli che lavorano “nella madrepatria” ma anche quelli impiegati all’estero; non solo gli sfruttati, ma anche gli espropriati. Inoltre le correnti che hanno come interlocutore lo Stato non prendono sufficientemente atto della posizione e del potere della controparte, perché continuano ad aderire alla classica premessa socialdemocratica secondo cui lo Stato può servire due padroni e può salvare il pianeta tenendo sotto controllo il capitale, senza bisogno di abolirlo. Di conseguenza neanche questi sono abbastanza anticapitalisti e transambientali, almeno fino ad oggi. Infine, gli attivisti della decrescita tendono a confondere le acque politiche accorpando quello che deve necessariamente crescere in un sistema capitalista (ovvero il “valore”) con quello che dovrebbe crescere ma non può farlo all’interno del capitalismo, ovvero beni, rapporti e attività capaci di soddisfare l’immensa estensione di esigenze umane insoddisfatte in tutto il globo. Un’ecopolitica autenticamente anticapitalista deve smantellare l’imperativo connaturato di far crescere il primo e al tempo stesso affrontare la questione di come far crescere in modo sostenibile il secondo in quanto questione politica da decidere mediante deliberazioni democratiche e pianificazione sociale. Allo stesso modo, gli orientamenti associati alla decrescita, come l’ambientalismo come stile di vita da una parte e i modelli sperimentali comunitari dall’altra, tendono a evitare la necessità di scontrarsi con il potere capitalista. Prese nel loro insieme, inoltre, le giuste intuizioni di tutti questi movimenti non bastano a costituire un nuovo senso comune ecopolitico e non riescono ancora a convergere su un progetto controegemonico di trasformazione ecosociale che, almeno in linea di principio, potrebbe salvare il pianeta. Certo, sono presenti alcuni elementi essenziali transambientali: diritti dei lavoratori, femminismo, antirazzismo, antimperialismo, coscienza di classe, ideali democratici, anticonsumismo, antiestrattivismo. Ma non sono ancora integrati in una solida diagnosi sulle radici strutturali e storiche della crisi attuale. Quello che a oggi manca è una prospettiva chiara e convincente che colleghi tutte le preoccupazioni presenti, ecologiche e non, con un unico sistema sociale e, per suo tramite, che le colleghi tra di loro. Ho ripetuto qui che tale sistema ha un nome. Si chiama società capitalista, concepita in modo espansionista per comprendere tutte le condizioni di base necessarie all’economia capitalista: natura non-umana e potere pubblico, popolazioni espropriabili e riproduzione sociale; tutti non a caso soggetti alla cannibalizzazione da parte del capitale, tutti sotto shock per la devastazione che li sta travolgendo. Dare un nome a questo sistema, e definirlo a grandi linee, significa presentare un altro tassello del puzzle controegemonico che dobbiamo risolvere. È possibile che questo tassello ci aiuti a metterne a posto altri, a rivelare le loro più probabili tensioni e potenziali sinergie, a mettere in chiaro le loro origini e a capire dove possono arrivare insieme. L’anticapitalismo è il tassello che fornisce una direzione politica e una forza critica al transambientalismo. Mentre quest’ultimo apre l’ecopolitica al mondo in generale, il primo si concentra sul nemico numero uno. È dunque l’anticapitalismo quello che traccia la linea di separazione, indispensabile in qualsiasi blocco storico, tra “noi” e “loro”. Smascherare il mercato del carbonio per la frode che è significa stimolare tutte le correnti ecopolitiche potenzialmente orientate all’emancipazione perché si svincolino pubblicamente dal “capitalismo verde”. Spinge inoltre ogni corrente a prestare attenzione al proprio specifico tallone d’Achille, alla propria tendenza a evitare di scontrarsi con il capitale, perseguendo o un (illusorio) scollegamento o compromessi di classe (squilibrati) o una (tragica) parità nella vulnerabilità estrema. Insistendo sul nemico comune, inoltre, il tassello anticapitalista del puzzle indica un sentiero che tutti – i partigiani della decrescita, della giustizia ambientale e del Green New Deal – possono percorrere insieme anche se in questo momento non riescono a vedere la destinazione esatta, tanto meno a concordare sulla sua definizione. Naturalmente resta da vedere se potremo davvero raggiungere una destinazione qualsiasi o se la Terra continuerà a riscaldarsi fino al punto di ebollizione. Ma le nostre migliori speranze per scongiurare un simile destino risiedono nella costituzione di un blocco controegemonico che sia transambientale e anticapitalista. Dove esattamente possa portarci questo blocco, se dovesse riuscire nel suo intento, non è dato sapere. Ma se dovessi dare un nome alla nostra meta, io sceglierei “ecosocialismo”[3]. (traduzione dall’inglese di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini) * L’articolo è apparso originariamente su New Left Review, n. 127, gennaio-febbraio 2021, con il titolo “Climates of Capital. For a Trans-Environmental Eco-Socialism”. [L’estratto qui pubblicato corrisponde al 13% del testo integrale pubblicato in MicroMega 5/2021] Da – https://www.micromega.net/nancy-fraser-ambientalismo-ecosocialismo/ Titolo: Coloro che ostacolano i CAMPI PROVVISORI di SMISTAMENTO e ACCOGLIENZA, vogliono Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2021, 06:31:18 pm Coloro che ostacolano i CAMPI PROVVISORI di SMISTAMENTO e ACCOGLIENZA, vogliono alimentare il Caos e la violenza accampati nelle strade e il successo delle Destre razziste.
ggiannig ciaooo ------ L’Europa si prepara ad accogliere i migranti afghani in “campi di prigionia” Intervista a Carla Peruzzo, coordinatrice sanitaria di MSF in Grecia, a partire dal nuovo campo nell’isola di Samos per “accogliere” i profughi che arrivano dalla Turchia. Valerio Nicolosi 22 Settembre 2021 “È impressionante vedere uno scivolo in mezzo al filo spinato” racconta Carla Peruzzo, coordinatrice sanitaria di Medici Senza Frontiere in Grecia, che abbiamo intervistato per parlare del nuovo campo per i migranti allestito nell’isola di Samos, uno dei punti di approdo dei richiedenti asilo, soprattutto afghani, che arrivano dalla Turchia. Le autorità greche stanno sperimentando un nuovo modello, più simile alla detenzione che all’accoglienza, e il campo di Samos si inserisce proprio sul solco di quanto già sperimentato a Lesbo e a Salonicco, dove i campi sono di fatto delle prigioni. “Questo nuovo centro è stato costruito con i soldi dell’Unione Europea, milioni e milioni spesi per un centro che di fatto è una detenzione amministrativa di persone richiedenti asilo” aggiunge la coordinatrice sanitaria nell’intervista. Il campo sarà delimitato dal filo spinato, entrare e uscire non sarà facile. All’interno ci sarà anche una zona separata, dove verranno spostate le persone che dovranno essere rimpatriate in Turchia, Stato considerato “sicuro” dal governo greco, e nei paesi d’origine. “Il 14% dei nuovi pazienti di Samos tenta il suicidio mentre il 66% pensa a farlo, è una condizione difficile” racconta Peruzzo in riferimento all’intervento sanitario messo in campo da Medici Senza Frontiere nell’isola, e aggiunge: “Dopo la vittoria dei Talebani l’Europa si sta preparando ad una possibile nuova ondata di profughi e lo fa chiudendosi dentro le proprie mura”. Da - https://www.micromega.net/samos-campo-migranti-grecia/ Titolo: Ballottaggio chiarificatore (18 ottobre 2021 comunali Cartina di Tornasole?). Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2021, 05:55:49 pm Ballottaggio chiarificatore
La partitocrazia perde come rigurgito dei Partiti sfiniti. La politica dell'antico muffito speriamo capisca i chiari suggerimenti degli assenti per protesta e non si lasci impressionare dalle proteste di piazza o di porto, manovrate e utilizzati come strumenti sciocchi dello Sfascismo, quello imperante nella parte degli italiani che adorano il Caos. Io su Fb sull’affluenza Titolo: Secolarizzazione Termine entrato nel linguaggio giuridico durante le ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 20, 2021, 11:13:19 am Secolarizzazione
Enciclopedia on line Secolarizzazione Termine entrato nel linguaggio giuridico durante le trattative per la pace di Vestfalia (1648), allo scopo di indicare il passaggio di beni e territori dalla Chiesa a possessori civili, e adottato in seguito dal diritto canonico per indicare il ritorno alla vita laica da parte di membri del clero/">clero. Nel 19° sec. è passato a indicare il processo di progressiva autonomizzazione delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dal controllo e/o dall’influenza della religione e della Chiesa. In questa accezione, che fa della s. uno dei tratti salienti della modernità, il termine ha perso la sua originaria neutralità e si è caricato di connotazioni valoriali di segno opposto, designando per alcuni un positivo processo di emancipazione, per altri un processo degenerativo di desacralizzazione che apre la strada al nichilismo. Tra i fautori più convinti della s. come liberazione da ogni forma di tutela religiosa spiccano le secular societies, sviluppatesi in Inghilterra nella seconda metà dell’800 e variamente ispirate al positivismo e al materialismo: esse fecero del secularism un programma politico e ideologico, spesso improntato all’anticlericalismo e/o all’ateismo. Nell’ambito del pensiero sociologico, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, si tentò di restituire al termine un significato neutrale e descrittivo. 1. L’analisi classica: Durkheim, Weber, Troeltsch É. Durkheim riteneva che il progresso avrebbe portato la religione tradizionale a un declino irreversibile; ma era altresì convinto che nessuna società potesse sopravvivere senza quel tessuto connettivo (valori, credenze e riti capaci di suscitare intensi legami di solidarietà) proprio di una natura essenzialmente religiosa. Nelle società progredite e altamente differenziate la religione non sarebbe quindi scomparsa, ma avrebbe subito una metamorfosi, consistente nella s. dei suoi contenuti (sacralizzazione della persona umana, culto dell’individuo). Per M. Weber, invece, il mondo moderno è caratterizzato da un radicale ‘disincantamento’ (esito inintenzionale dell’etica protestante, che ha sciolto ogni legame magico-simbolico tra Dio e il mondo) e dall’affermazione della razionalità strumentale: di qui l’autonomizzarsi della politica, dell’economia e della ricerca intellettuale dalla religione. All’interno della sfera intellettuale il conflitto tra razionalismo e orientamento religioso è, secondo Weber, particolarmente acuto: il razionalismo della scienza empirica, che ha una pretesa di totalità e di autosufficienza, non riconosce l’esigenza di fondo della religione – la ricerca di un ‘senso’ nell’accadere intramondano – e la sospinge nel dominio dell’irrazionale: di conseguenza la religione, nel mondo moderno, viene a essere confinata nell’esperienza mistica. Sulla scia di Weber si colloca il teologo liberale E. Troeltsch, il quale riprende l’idea del legame tra protestantesimo e mondo moderno, ma – a differenza di Weber – vede in alcune fondamentali idee della modernità (la separazione tra Stato e Chiesa, la tolleranza religiosa e la libertà di culto) una s. dei principi del cristianesimo evangelico. Anche successivamente, è stato in ambito protestante che la s. è stata interpretata in senso positivo, vale a dire come progressiva realizzazione dei principi cristiani e come tendenza verso un cristianesimo ‘adulto’, libero dal mito. L’interpretazione della s. come naturale protendersi del cristianesimo verso il mondo è condivisa anche da F. Gogarten, che però distingue da essa il secolarismo, inteso come pericolosa tendenza delle istituzioni terrene a divinizzarsi, sostituendosi alla dimensione religiosa. 2. Teorie contemporanee La categoria di s. è tornata a giocare un ruolo centrale nelle scienze sociali negli anni 1960 e 1970, anche in seguito al manifestarsi, nel mondo occidentale, di nuovi movimenti religiosi, che sembravano incrinare la previsione – comune a larga parte della cultura moderna – di una inesorabile s. delle società moderne. Secondo B.R. Wilson, la società moderna priva la religione delle sue funzioni di integrazione morale e la confina pertanto nella sfera privata, dove peraltro essa assume caratteri e significati latamente culturali (s. come desacralizzazione). Per T. Luckmann, invece, la religione – in quanto bisogno dell’organismo umano di trascendere la dimensione biologica – rappresenta una costante antropologica insopprimibile; ma nella società industriale moderna, persa la capacità di imporre un ordine condiviso all’esperienza sociale e individuale, si è frammentata in una pluralità di tradizioni e istituzioni religiose, che agiscono in una sorta di situazione di mercato. Di qui la trasformazione della religione in una questione di ‘scelta’ o di ‘preferenza’ personale (s. come privatizzazione della religione). Per T. Parsons la moderna società industriale non è il frutto del ‘disincantamento del mondo’, ma della istituzionalizzazione dei valori cristiani, che si sono trasferiti nella sfera morale laica (s. come trasposizione della religione nella sfera secolare). Sulla stessa linea si colloca R.N. Bellah, che riprendendo da Rousseau il concetto di religione civile e facendone la chiave di volta per intendere i caratteri salienti della cultura americana, concepisce quest’ultima come un insieme condiviso di valori, simboli e riti derivati dalla tradizione cristiana, ma trasformati e adattati a legittimare l’identità nazionale. Sulle religioni ‘secolari’ o ‘politiche’ – ossia, sulle grandi ideologie contemporanee, considerate come ‘equivalenti funzionali’ della religione tradizionale – si sono soffermati sia Parsons sia J.P. Sironneau. In ambito filosofico, di particolare interesse è la riflessione sviluppata da K. Löwith, secondo cui le moderne filosofie della storia traggono «origine dalla fede biblica in un compimento futuro» e finiscono «con la s. del suo modello escatologico». Secondo H. Blumenberg, invece, non esiste continuità tra l’escatologismo della tradizione ebraico-cristiana e l’idea illuministica di progresso, giacché quest’ultima è ispirata all’homo faber, creatore di storia e di forme. Da treccani.it Titolo: Non sentirsi una NAZIONE di Diversi, capaci di esprimere valori comuni é il ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 20, 2021, 11:26:20 am Gianni Gavioli
La cattiva politica e quella apatica che ha lasciato fare, ci hanno dimostrato la capacità di gruppi modesti in capacità e numero, caricati da algoritmi motivazionali riescono a ingannare e manipolare intere popolazioni di inconsapevoli vittime delle proprie deficienze culturali e civiche. Non sentirsi una NAZIONE di Diversi, capaci di esprimere valori comuni é il cancro storico di cui Oggi vediamo le Metastasi locali e personali. Rispetto al passato oggi i Cittadini capaci di elaborazione dei fatti, hanno la possibilità di verificare in chiarezza nei social la consistenza della fragilità' mentale, degli scontenti della propria incapacità di ricerca della serenità. Da Fb 12 ottobre 2021 Titolo: SOCIALESIMO. Perchè. Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2021, 11:06:37 am SOCIALESIMO, perché. Perché è un termine nuovo che deve contenere il concetto assoluto di DEMOCRAZIA e il progetto sociale di SOCIALISMO. Perché è molto meglio utilizzare “esimo” come per esempio: cristianesimo, cattolicesimo, umanesimo, battesimo, confucianesimo, incantesimo ecc. ecc. sino al mio ultimo parto SOCIALESIMO! “Esimo”, suffisso che unito a molte parole e infiniti numeri ci porta a più ampie vedute e una maggiore ricchezza di contenuti, rispetto al cugino “ismo”, già più oppressivo di suo. ggiannig ciaooo Titolo: L'elite si è fatta accantonare, da Lega e 5Stelle, ma oggi non deve ammalarsi! Inserito da: Arlecchino - Ottobre 27, 2021, 12:33:13 pm Gianni Gavioli
Sempre più spesso mi viene da considerare, leggendo alcuni commenti, che i veri problemi per questo paese vengano si dà quel lungo elenco di insufficienze politichesi, dalla malavita di ogni tipo corruzione compresa, oppure dal chiasso contradaiolo di poveri cristi sociali presi in giro e strumentalizzati da Sfascisti di vertice o di borgata, ma no, quelli una democrazia completa e le nostre democratiche Forze dell'ordine ci metterebbero e ci mettono in sicurezza. Allarmante invece che una moltitudine di intellettuali e persone colte non si rendano conto di quanto Male fanno, con i loro scritti sfascisti, non per la volontà di sfasciare il Sistema, ma soltanto per soddisfare il loro narcisismo patologico. Il loro infelice narcisismo patologico (che è un disturbo di personalità con precisi sintomi). Io su Fb del 26 ottobre 2021 Titolo: Andare all'indietro, è il tempo dei sindacati obsoleti. Inserito da: Arlecchino - Ottobre 27, 2021, 12:35:49 pm Andare all'indietro, è il tempo dei sindacati obsoleti.
Ricattare Draghi è come ricattare e metterci tutti in allarme, inutilmente. Invece di fare braccio di ferro con Draghi, che ha ben altro da fare, ne discutano con i ministri competenti!! ciaooo Titolo: SOCIALESIMO DEMOCRAZIA SOCIALISTA intendiamo si debba dare priorità al Progetto Inserito da: Arlecchino - Ottobre 29, 2021, 12:07:47 pm Per SOCIALESIMO DEMOCRAZIA SOCIALISTA intendiamo si debba dare priorità al Progetto prima di tutto, alla DEMOCRAZIA COMPLETA, poi solo dopo averla realizzata, arrivare al SOCIALISMO. Non è un particolare di poco conto, richiede tempo, volontà politica e sociale! La Democrazia si può manipolare, ma non sarebbe più Democrazia Completa! La nostra di oggi è INCOMPLETA come Democrazia e lo vediamo in questi giorni, malgrado ci sia Draghi al Governo e Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Il Socialismo, la Storia di secoli lo dimostra, è un complesso di ideologie, movimenti, dottrine, orientamenti politici di sinistra, che tendono a trasformare la società. Se il Socialismo nel trasformare la nostra società (ed è necessario farlo) non è ben controllato da uno STATO DEMOCRATICO COSTITUZIONALE, diverrebbe malleabile in senso pericolosamente negativo! Sia per l’Individuo, sia per la Comunità stessa. ggianni ciaooo Titolo: Il liberalismo sociale è nel DNA del socialismo turatiano. Inserito da: Arlecchino - Ottobre 31, 2021, 05:56:25 pm Il liberalismo sociale è nel DNA del socialismo turatiano.
Gli esordi alla Critica Sociale Il ricordo di Francesco Forte, allievo scelto dal Maestro alla sua successione in Scienza delle Finanze a Torino di Francesco Forte Il 30 ottobre del 1961, 60 anni fa moriva Luigi Einaudi. La notizia mi giunse mentre aprivo una sua lettera, in cui mi comunicava che la mia chiamata di successore, nella cattedra nell’Università di Torino era stata votata all’unanimità. Poiché si sentiva poco bene la sua relazione era stata scarna. Me ne chiedeva venia. Nel febbraio del 1961 nella telefonata in cui mi si annunciava che ero stato scelto da Einaudi come suo successore, mi si informava che la delibera sarebbe stata posticipata all’autunno , perché l’estate a Torino, per lui, era tropo calda e lui voleva essere il relatore. Nel frattempo, Einaudi desiderava incontrarmi a Roma. Io ero da poco rientrato in Italia dagli USA con mia moglie Carmen, incinta. Avevo 31 anni e Carmen 29 Da due anni accademici risiedevamo negli USA, ove insegnavo come professore associato all’Università di Virginia Avevamo accolto con grande gioia la notizia che Einaudi mi aveva scelto come suo successore. Egli mi ricevette a Roma, in estate, nella villetta a due piani con giardino, in una zona verde, distante dal centro. La signora Ida, la gentildonna moglie di Einaudi, che controllava le giornate del marito, onde non si affaticasse, aveva stabilito che l’incontro sarebbe durato un’ora. Einaudi per darmi il “benvenuto” mi ricevette, in piedi, appoggiato al bastone, sulla soglia del giardino. Sorridendo mi disse “sono un mostro di 87 anni”. Poi si sedette su una poltrona, a fianco della porta, nel verde. Il primo dovere a cui avrei dovuto adempiere, era di risiedere a Torino con la mia famiglia Non dovevo fare la spola da altre città, come spesso fanno i professori. La residenza della famiglia a Torino mi era richiesta anche perché dovevo dirigere Laboratorio di economia politica, in cui la presenza del direttore è necessaria anche nelle giornate in cui egli non insegna, ma coordina le ricerche e le riunioni. Nelle mielezioni io non avrei dovuto usare il suo libro di testo di “Scienza delle finanze”. Non era riuscito a fare un’opera sistematica. Ci aveva supplito con saggi e libri su singoli temi (a me venivano in mente soprattutto i “Miti e Paradossi della Giustizia tributaria”, il volumetto sull’Unione europea, Le “Lezioni di politica Sociale”, “le Prediche inutili) . A me il compito di fare un manuale sistematico. Poi aggiunse che alcuni suoi colleghi avevano obbiettato alla sua scelta del successore, che io non ero un puro studioso, facevo anche il giornalista. Einaudi disse che, per lui, quello non era un difetto, Lui aveva fatto il giornalista, sin dall’inizio della sua carriera., come me. E continuava a farlo, con gli articoli domenicali nel “Corriere della Sera”, intitolati “Prediche della domenica”. Facendo il giornalista, il professore a dà alle teorie un’applicazione pratica, comprensibile alla gente comune, come le prediche del parroco. Mi venivano in mente due “Predica della domenica” del gennaio, che avevo letto su “Il Corriere” quando ero in America, che riguardano la città brutta e la città bella. La città brutta è fatta di casermoni, in cui vivono individui che non formano una comunità perché ci sono imposte patrimoniali sull’edilizia, che rincarano i centri abitati e mancano strade e piazze in cui ritrovarsi. Invece nella città bella, ove le tasse sulle case sono moderate e ci sono buoni servizi, c’è una comunità. di persone. Donna Ida Einaudi mi disse che l’ora era terminata. E poi solo la lettera breve, del 30 ottobre per riaprire il dialogo che io da allora continuo, con Einaudi. Economista, opinionista e uomo politico, Einaudi aveva ben chiaro che quella fra crescita e rigore è una falsa dicotomia. Contro l’inflazione keynesiana egli proponeva una politica di stabilità monetaria. Desiderava un pareggio di bilancio attuato attraverso il taglio delle spese improduttive, l'eliminazione delle bardature all’economia e con il freno all'aumento di imposte, un ostacolo a risparmio e produttività. Per la capacità produttiva inutilizzata Einaudi proponeva investimenti, non una generica espansione dei consumi. Al contrario, l’idea di raggiungere il bilancio in pareggio con elevati aumenti fiscali, come accaduto in Grecia, è essa stessa un tributo al pensiero di Keynes. Dal confronto emerge come sia più attuale la visione complessiva di Luigi Einaudi e come il suo pensiero ha ancora molto da insegnarci. da - l'Avanti Titolo: La formazione di Einaudi crebbe nella Critica Sociale Inserito da: Arlecchino - Ottobre 31, 2021, 05:59:20 pm Responsabile socialista del nucleo universitario di Torino scrisse per 10 anni
La formazione di Einaudi crebbe nella Critica Sociale Stefano Carluccio Nel marzo del 1894 Luigi Ei- naudi firma il suo primo arti- colo: si tratta di un pezzo per Critica Sociale. Il teorico del liberismo italiano, europeista ante-litteram, l’uomo che seppe far vivere costantemente la cultura in scelte quotidiane, allora era solo uno studente. Un giovane che, come egli stesso ebbe a dire, “si dedicava furiosamente alla lettura di migliaia di cose sociali ed economiche”. A Milano, come molti altri giovani, suoi coetanei, egli aveva conosciuto Anna Kuli- scioff e Filippo Turati: la casa dei due sociali- sti era quasi una tappa d’obbligo per quanti s’interessavano di cose sociali ed economiche. Di quell’incontro in un suo scritto egli ricorda “il tremore reverenziale con cui entrò nel fa- moso sacrario dei portici settentrionali di Piazza Duomo” e il sorriso dietro cui “celava l’im- barazzo del giovane che si trovava davanti a due personaggi tra i primi del movimento so- cialista non solo italiano, ma anche europeo”. La collaborazione di Einaudi alla Critica Sociale dura circa un decennio e prosegue fino al 1903 quando si distacca dai socialisti assu- mendo posizioni sempre più liberiste. Sono gli anni che segnano il primo decollo industriale italiano. Già da allora gli interessi del futuro Presidente della Repubblica (l’altro “collabo- ratore” della Critica Sociale che poi divenne Presidente della Repubblica fu Giuseppe Sa- ragat, anch’ egli piemontese) erano ben deli- neati. La Critica Sociale già nel 1893 aveva fatto menzione di Einaudi in un articolo dal titolo “Epistolario di studenti” a proposito di una sua lettera sul Congresso dei giovani socialisti di Ginevra. La questione riguardava la polemica sorta a seguito della mancata adesione del Cir- colo socialista pavese all’appello degli studen- ti parigini per un Congresso internazionale. La posizione del rappresentante pavese ebbe una vasta eco poiché sembrava porre in discussio- ne la “intima alleanza del proletariato intellet- tuale con quello manuale”, cosa che scanda- lizzò moltissimo. In realtà egli intendeva l’ esatto contrario, ovvero l’ inutilità del Congresso per l’ inutilità dei Circoli universitari, essendo “socialisti” solo se redenti nel mescolarsi con gli operai. Interviene anche Einaudi, di cui la Critica Sociale riferisce la posizione quale dirigente del Circolo socialista di Torino: “Da Torino, Luigi Einaudi, studente (beato lui!) in attività di servizio – scrive la Critica - entra nello stesso ordine di idee (di un certo Pasquale Rossi di Cosenza che sosteneva come il socialismo degli studenti derivasse dallo studio e non da ristrettezze economiche, ndr). Anch’egli ritiene che un’organizzazione auto- noma degli studenti socialisti non possa servi- re ad una forte e determinata azione politica e professionale. Cionondimeno – prosegue il re- soconto della Critica – crede all’utilità dei Cir- coli socialisti universitari come strumento di selezione «per trarre i migliori giovani dalla neghittosità e dall’apatia a cui gli ordinamenti scolastici e la vacua vita universitaria predi- spongono gli studenti», per chiamarli «all’in- vestigazione scientifica del problema sociale» e farne degli apostoli convinti ed armati di pre- ciso materiale scientifico, che porteranno poi nelle sezioni del partito”. Un precoce elogio dell’autonomia della cultura dalla disciplina di partito, un Vittorini (vs. Togliatti ) ante-litteram. Un anno dopo scrisse il suo primo articolo per la Critica Sociale, nella forma di una lettera al Direttore, sulla questione della propaganda socialista “nei paesi di piccola proprietà terriera”, un articolo presentato da Turati come degno di attenzione perché la divulgazione so- cialista nella piccola proprietà agricola era quanto mai difficoltosa. Per questo, nel pre- sentare lo scritto di Einaudi (“un egregio e col- to giovane di Dogliani (Cuneo) nostro abbo- nato”), la Direzione della Critica rivela come esso rimase “alcune settimane sul tavolino” per avere la meritata e ragionata risposta della Rivista. A proposito di quel primo articolo Einaudi ha scritto: “Non mi parve vero di mandare qualcosa di mio alla rivista che si intitolava al socialismo scientifico”. La sua collaborazione più significativa e vi- stosa è stata una serie di saggi sulla politica ferroviaria italiana pubblicati del 1903, e uno studio sulla politica commerciale uscito in di- verse puntate tra il 1902 e il 1903: entrambi i lavori, fatti in collaborazione con Attilio Cabiati (*). Pur costatando gli indubbi vantaggi che sono derivati allo sviluppo dell’ industria dal protezionismo (inaugurato nel 1878 e raf- forzato nel 1887), Einaudi ne mette a fuoco i limiti e l’inefficienza in un mutato clima eco- nomico e sociale: “La politica doganale –af- ferma – ha garantito all’industrie manifatturie- re il mercato interno e i fabbricanti del Nord hanno su queste basi eretto industrie grandio- se”, ma aggiunge, “si è cagionato però un dan- no irreparabile all’industria agraria”. “Gli operai – scrive Einaudi - come consu- matori hanno interesse a volere una politica doganale che ribassi il costo dei manufatti. Come produttori hanno interesse che i dazi protettori non indirizzino i capitali verso im- pieghi poco produttivi, e che i trattati di com- mercio siano negoziati in modo da aprire il più ampio mercato possibile all’ estero all’ agricol- tura e all’industria”, afferma dopo una minuziosa analisi della politica commerciale attuata in Italia dall’Unità ai suoi giorni. Con i nuovi “Trattati di commercio” i dazi, infatti, hanno cessato di produrre i loro bene- fici a protezione delle manifatture in generale, per avvantaggiare solo pochi guppi di indu- striali del nord e, in agricoltura, i cereacultori, a causa di una errata – a suo giudizio – politica commerciale che sottopone l’Italia alla Ger- mania e all’Austria. Einaudi non vede obiezio- ni alla misura, che sollecita, della loro aboli- zione neppure “se consideriamo la cosa dal punto di vista della convenienza e dell’equità”. La lunga protezione concessa “alle nostre in- dustrie manifatturiere ha raggiunto pienamen- te il suo scopo: inutile quindi il conservarla”. Per Einaudi il miglioramento delle condizioni sociali dei lavoratori è strettamente col- legato all’obiettivo del risanamento economi- co. “Coloro che vogliono seriamente intende- re ad una politica seria di elevazione delle condizioni del nostro proletariato – scrive sul- la Critica Sociale – devono soprattutto avere in mira questi due scopi: accrescere la produ- zione nazionale e ristabilire l’equilibrio fra i fattori di produzione”. E, sotto questo profilo, date le nuove circostanze, sostiene che “un altro problema di equi- tà, non meno grave (dello sviluppo delle indu- strie manifatturiere favorite con i dazi, ndr) urge al pensiero degli italiani: e questo è il problema meridionale. Orbene, come ha dimostrato il prof. De Viti De Marco alla Camera e nel suo denso discorso di Lecce, la questione del Mezzogiorno non è questione di lavori pubbli- ci; ma è essenzialmente questione d’ imposte, di libertà commerciale e di tariffe doganali. Il Mezzogiorno, privo d’ industrie e travagliato da una terribile crisi, ha bisogno per vivere di vendere i suoi prodotti: e per vendere ha biso- gno che cessi questa tutela degli interessi dei pochi, che ora, per le indirette dichiarazioni dei più intelligenti tra quei pochi stessi, non avrebbe più ragione di essere, a meno che non si ritenga dovere dello Stato di stringere contratti per la garanzia di elevati profitti a favore degli industriali. Del resto, questi stessi riconoscono che è per essi questione di primaria importanza l’avere un Mezzogiorno ricco, che continui a comprare i loro prodotti”. Detto questo, tuttavia non dimentica il necessario sviluppo dell’industria, ma collocato su un nuovo piano di conquista di mercati esteri di cui, in previsione di un certo contrac- colpo negativo a causa dell’auspicata abolizio- ne dei dazi, gli industriali del nord “essi subito si avvantaggerebbero dei grandi benefici nella nuova posizione favorevole dell’ Italia sui mer- cati internazionali, ed in particolare verso l’Argentina e la Russia”, partner più vantag- giosi per l’Italia rispetto allo scambio commer- ciale con la Germania e dell’Austria. Che il teorico del liberalismo inizi la sua carriera su una rivista socialista non è assurdo: innanzitutto il liberalismo che cova nella for- mazione giovanile di Einaudi sembra trovarsi in sintonia con il socialismo di Turati che, dal canto suo, vede l’emancipazione dei lavoratori solo se partecipi, economicamente e politica- mente, dello sviluppo capitalistico dell’Italia, ma in un quadro di maggiori libertà democra- tiche, sia istituzionali che sociali, ispirate al “collettivismo”, che intendiamo oggi per as- sociazione, autogoverno, non comunismo. Fin qui la visione dei due è assai simile. In secondo luogo in quegli anni l’Italia, da poco unificata in un unico Stato, sta diventan- do nazione europea attraverso lo sviluppo e la crescita di una società industriale, e la Critica Sociale promuove ed ospita un ampio e vivace dibattito tra differenti prospettive sulle misure da prendere in economia, in campo sociale, di libertà politiche e civili, e – sul piano teorico - insiste sul ruolo del movimento dei lavoratori all’interno dello sviluppo capitalistico del Pae- se e sulla condivisione e l’utilizzo della demo- crazia rappresentativa di matrice liberale da parte dei socialisti. L’ Italia sta diventando adulta a vent’ anni dal compimento risorgi- mentale, con Roma capitale. E l’intreccio tra progresso economico e progresso sociale è per Einaudi – come per Turati – inestricabile. Ciò vale per gli altri autori di scuola liberalsocia- lista della Critica Sociale, in primis Monte- martini, Cabiati, Griziotti, Vanoni (un filone oggi proseguito, anche nel governo Craxi, da Francesco Forte). E’ questo il fondo del sentimento nazionale che si elabora nei decenni successivi al 1861 per realizzare il sogno dei democratici (socia- listi, liberali, repubblicani) per una società mo- derna e unita che si affacci, al pari delle altre grandi nazioni europee, nel Novecento. Luigi Einaudi, come è noto, fu titolare della cattedra di Scienze delle Finanze all’Università di Torino, ruolo alla cui successione so- stenne il giovane Francesco Forte, il quale ora ha promesso di curare con un suo saggio in- troduttivo la pubblicazione degli scritti di Ei- naudi sulla Critica Sociale in occasione dei 120 anni della Rivista. Il prof. Forte ci assicura che tale scritti non sono compresi nelle Opere e dunque possono considerarsi inediti e, scien- tificamente, “una scoperta”. Sarà, è l’impegno comune, il primo di una serie di volumetti su- gli economisti liberalsocialisti e l’ economia pubblica nelle origine del capitalismo italiano, tratti dalla Critica Sociale e comparato con l’ altro grande filone europeo, quello tedesco dell’Economia sociale di mercato, entrambi in più punti affini e tutt’oggi utili a comprendere la realtà italiana e a governarla. CENTRO INTERNAZIONALE DI BRERA via Formentini 10, Milano, MI, 20121 avanti@centrobrera.it AVANTI! reg.Tribunale di Milano n.181 del 2/09/2019 (ex reg. n.617mdel 26/11/1994) Nome e Marchio registrati Copy n. 0001499832 Direttore: Claudio Martelli Direttore responsabile: Stefano Carluccio Editore: Biblioteca di Critica Sociale Centro Internazionale di Brera Stampa ed. cartacea: DigitalPrint srl Rimini Powered by hellomailing.com Titolo: Davvero. Ai bivi importanti si torna quelli che siamo sempre stati. Inserito da: Arlecchino - Novembre 02, 2021, 12:22:52 pm Sarà che è novembre
Sarà che è novembre. Sarà che ho un’indole malinconica e una questione non ancora risolta coi congedi, che altri vedo affrontare con tenace fiducia nel futuro, beati loro. Sarà che la prospettiva di trascorrere i prossimi tre mesi a discutere di Berlusconi presidente della Repubblica (ci crede davvero? È un bluff che ci distrae dalla vera partita? Vuole solo essere il king maker di un candidato che poi dirà essere suo, e naturalmente anche di Matteo Renzi suo alleato?) insomma sarà che mi appassiona così poco ormai la prevedibilità dell’imprevedibile – in politica - che mi sono incantata nei giorni scorsi sui dettagli dell’ultimo viaggio di Angela Merkel. Scusate. Lo so che è molto odiata, simbolo indiscusso della supremazia tedesca con tutta l’eco pesante che comporta nelle nostre familiari biografie, lo so che non è una romantica rivoluzionaria da stampare sulle magliette. Però dopo aver letto la biografia di Tonia Mastrobuoni sono diventata più indulgente, con lei: quel che voleva fare l’ha fatto partendo con handicap da zero, lo dico ai populisti anticasta. Certe volte costa fatica. Mi sono incantata, dicevo, su un paio di foto. La prima, quella in cui alla Fontana di Trevi si china a toccare l’acqua. Lo fa solo lei, tra i leader, lo avrei fatto anche io. Come si fa a non toccare l’acqua, come hanno fatto gli altri? La seconda, quella in cui il marito scruta una cartina di Roma. Una cartina di carta, scusate il bisticcio. Che coppia. Che ultima uscita noncurante, e ciao. Ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica, ho letto ieri nel congedo di Lia Capizzi, una brava giornalista che lascia. Davvero. Ai bivi importanti si torna quelli che siamo sempre stati. DA - https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2021/11/02/sara-che-e-novembre/ Titolo: Perché il federalismo senza responsabilità fiscale non funziona Inserito da: Arlecchino - Novembre 05, 2021, 11:43:33 pm CATEGORIA: NEOS LEX
Perché il federalismo senza responsabilità fiscale non funziona scritto da Econopoly il 05 Novembre 2021 NEOS LEX Post di Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, e PhD student in Economics and Management all’Università di Trento – Politica valutata: Riforma federale belga (1993) e accordo Lambermont (2001) Obiettivo: Transizionare con successo ad uno Stato federale. Impatto: La riforma del 1993, che attribuiva agli enti locali autonomia di spesa ma non potere di riscossione delle imposte (Vertical Fiscal Imbalance), ha avuto un impatto negativo sulla crescita economica. Dopo la riforma del 2001, che attribuiva responsabilità fiscale agli enti locali, questo impatto negativo è svanito; anzi, l’accordo Lambermont sembra avere avuto un effetto positivo sulla crescita economica. Dagli anni ’80 il federalismo è entrato di prepotenza nel dibattito pubblico italiano, prima con l’ascesa delle Leghe, poi con la discussa riforma del Titolo V del 2001. Nonostante ciò, una vera transizione da stato unitario a stato federale non è mai avvenuta. Nel frattempo, si è iniziato a parlare di federalismo anche a un livello superiore, auspicando un’Europa unita come federazione di stati. Dare un giudizio sul federalismo è complicato: per i sostenitori la concorrenza fra territori genererebbe efficienza e avvicinerebbe la politica ai bisogni dei cittadini, per i detrattori il federalismo favorirebbe la spesa clientelare e romperebbe la solidarietà fra regioni più ricche e regioni più povere. Per rispondere a questa domanda, Alessio Mitra e Anastasios Chymis (2021) hanno analizzato l’unico Paese OCSE che negli ultimi 60 anni ha effettuato la transizione da Stato unitario a Stato federale: il Belgio. Paese multietnico e trilingue, in cui si parlano francese, olandese (fiammingo) e tedesco, il Belgio ha sempre faticato a trovare un’identità unitaria. Gli sforzi per trasformare il Belgio in un Paese federale iniziarono alla fine degli anni ’80: l’Atto Speciale dell’Agosto 1988 devolveva agli enti locali responsabilità su istruzione, sviluppo e spese per investimenti. La vera svolta, però, arrivò nel 1993, quando il primo ministro Jean-Luc Dehaene cambiò la Costituzione per trasformare il Belgio in uno stato federale. L’articolo uno del nuovo testo recita: “Il Belgio è uno stato federale composto da Comunità e Regioni”. La riforma portò all’elezione diretta dei parlamenti delle Comunità e delle Regioni e a un aumento della loro autonomia di spesa. Secondo il Comparative Political Data Set (Armingeon et al., 2020), il Belgio passò da “no federalism” a “strong federalism”. La riforma, però, aveva un potenziale difetto: attribuiva ampia autonomia di spesa agli enti locali, ma senza responsabilità fiscale. In poche parole, Comunità e Regioni potevano scegliere come spendere, ma i loro fondi provenivano da trasferimenti dallo Stato centrale. Questa situazione in cui la spesa è decentrata e la tassazione è centralizzata si chiama Vertical Fiscal Imbalance (VFI). Con la riforma del 1993 la percentuale della spesa locale non finanziata da gettito fiscale locale arrivò al 70%. Nel 2001 il governo presieduto da Guy Verhofstadt tentò di correggere la rotta approvando l’Accordo Lambermont, che assegnava alle Regioni la responsabilità per la gestione e l’applicazione di 12 tasse regionali, prima di competenza di Bruxelles. Nel paper “Federalism, but how? The impact of vertical fiscal imbalance on economic growth. Evidence from Belgium”, Mitra e Chymis hanno studiato l’impatto della riforma del 1993 e dell’Accordo Lambermont sulla crescita del PIL. Per farlo, hanno adottato un metodo relativamente nuovo, il Synthetic Control Method (SCM). Semplificando, questa strategia permette di paragonare l’andamento del PIL pro-capite belga (treated unit) prima e dopo la riforma del 1993 con quello di un gruppo di Paesi simili al Belgio per popolazione, economia e cultura, che non hanno effettuato la transizione federale (synthetic control unit). L’obiettivo è simulare quale sarebbe stato l’andamento del PIL belga senza la riforma del 1993, per condurre un’analisi controfattuale. Belgio e gruppi di controllo hanno un andamento simile prima del 1993, ma dopo la riforma il gruppo di controllo ha risultati migliori di quelli del Belgio, soprattutto dopo le prime elezioni post-riforma, tenutesi nel 1995. Questo significa che senza la riforma federale il Belgio sarebbe cresciuto più rapidamente. Dopo l’accordo Lambermont, che ha ridotto la Vertical Fiscal Imbalance, l’effetto negativo della riforma è svanito, anzi, l’accordo ha avuto un effetto positivo sulla crescita del PIL, seppur meno consistente di quello della riforma. Secondo gli autori, questi risultati confermerebbero che a frenare la crescita del PIL non sia stato il federalismo in sé, quanto la Vertical Fiscal Imbalance: l’effetto sparisce una volta che il governo interviene per correggere la VFI. Infatti, se le Regioni sono libere di spendere autonomamente ma non di finanziarsi con le tasse raccolte sul territorio, si crea il cosiddetto “common pool problem”: i benefici di un programma di spesa pubblica sono limitati agli abitanti della regione, ma i costi sono sopportati da tutto il Paese. In questo modo si crea un fortissimo incentivo alla spesa clientelare e improduttiva, spesso per scopi elettorali. Il controllo dei cittadini sui politici, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del federalismo, viene meno: i cittadini, infatti, “vedono” solo i benefici delle spese regionali, non i costi. Allo stesso tempo i politici sono consapevoli che, indipendentemente dai risultati economici del loro governo, potranno sempre contare sugli stessi trasferimenti dallo stato centrale. L’unica soluzione per rompere questo circolo vizioso è rendere le regioni capaci di autofinanziarsi. In questo modo, le regioni potranno spendere (al netto di eventuali trasferimenti di solidarietà) solo quanto ricavato dalle tasse regionali raccolte sul territorio. Questo, per gli autori, creerebbe un incentivo a spendere in maniera oculata, perché solo politiche favorevoli alla crescita possono aumentare i proventi della regione. I risultati di Mitra e Chymis possono essere estesi ad altri Paesi federali, come Svizzera, Germania e Austria, che hanno avuto problemi nel controllo della spesa pubblica locale a causa del VFI e hanno provato a correggerli con riforme simili all’Accordo Lambermont. Allo stesso tempo, il caso del Belgio deve suonare come monito per tutti i Paesi dove una parte dell’opinione pubblica chiede la transizione al federalismo, come Italia e Spagna, ma anche per i sostenitori dell’Europa federale: il federalismo senza responsabilità non funziona. La sfida per i federalisti nazionali ed europei sarà disegnare un sistema in cui le entità subnazionali siano in grado di autofinanziarsi con i proventi delle tasse locali, senza che questo porti a divari regionali troppo ampi. Il federalismo è un’opportunità da non sprecare. Twitter @neosmagazine DA - https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/11/05/federalismo-tasse-locali-belgio/?uuid=96_1d7xsCXU Titolo: Letta e il politichese. Inserito da: Admin - Novembre 09, 2021, 03:33:11 pm Né la cattiva politica, né gli italiani assonnati anche dal post virus lo meriterebbero, ma Il Presidente Mattarella deve donarci il suo sacrificio, di alto valore, ancora per almeno un anno.
ciaooo --- Letta dice: tutto bloccato sino all’elezione del presidente (sic!) Un motivo in più per chiedere al Presidente Mattarella la proroga del suo impegno, per almeno un anno. Questi politici non si rendono conto che il "tutto bloccato" pesa sulla vita di tutti gli Italiani! L'unico "tutto bloccato" che sarebbe accettabile, da noi cittadini, sarebbe quello per andare a votare il più presto possibile! ciaooo Io su Fb il 9 novembre 2021 Titolo: La dignità professionale della categoria medica e di ogni medico va premiata ... Inserito da: Arlecchino - Novembre 13, 2021, 09:06:11 pm La dignità professionale della categoria medica e di ogni medico va premiata ma anche castigata se lo merita.
Ogni mollezza verso le loro manchevolezze e ogni oppressione portata a loro dal potere sanitario-politico e da loro subita passivamente, si scarica sulla salute dei malati!! ciaooo Titolo: OLTRE IL LEADERISMO, PIU’ PARTECIPAZIONE E PIU’ DEMOCRAZIA- di Oreste De Pietro Inserito da: Arlecchino - Novembre 21, 2021, 11:23:58 pm OLTRE IL LEADERISMO, PIU’ PARTECIPAZIONE E PIU’ DEMOCRAZIA- di Oreste De Pietro - Politica Insieme
Posta in arrivo ggiannig <ggianni41@gmail.com> sab 20 nov, 14:31 (1 giorno fa) a me https://www.politicainsieme.com/oltre-il-leaderismo-piu-partecipazione-e-piu-democrazia-di-oreste-de-pietro/ Titolo: Gli Sfascisti cercano e vogliono lo SFASCIO dell'Italia, i Novax sono solo ... Inserito da: Admin - Novembre 24, 2021, 10:06:25 pm Gli Sfascisti cercano e vogliono lo SFASCIO dell'Italia, i Novax sono solo una parte di loro. L'iceberg dell’Essere “Contro” e dello Sfascio, ha un sommerso più grande della parte visibile. Ma il consenso allo Sfasciare non è ampio come appare dai Media Padronali. I nostri Greggi degli scontenti di sé e i nostri Branchi dei cattivi naturali, non sono tutti completamente inconsapevoli che andare in guerra contro le Istituzioni comporta morti e feriti, tra le loro schiere ma non solo. I carnefici di tutte quelle vittime, saranno i Virus, ma soprattutto i Predoni nostrani che intendono indebolire la nostra Democrazia. Democrazia che intendono indebolire soprattutto: per farne loro preda come stanno facendo, per infiltrarla con capitali riciclati come stanno facendo, agendo da sponda ad espansionisti, economici e dei poteri stranieri, come stanno facendo, non ultimo, preparandosi con la pratica della cattiva politica, a farla conquistare dal miglior offerente tra i due (per ora) competitori stranieri oggi in gara. Il tutto tra la miopia della fantasiosa Europa quella dei “tanti parenti serpenti” portati dentro casa e la pluri-deflorata, da Trump e repubblicani, realtà americana che fugge dai problemi che ha provocato, per risanare quelli in casa. Ma a differenza dell’Europa zoppa, gli Usa i problemi li risolveranno in fretta GUADAGNADOCI! ggiannig ciaooo novembre 2021 su Fb Titolo: Landini porta la "svolta" nei sindacati di Sinistra? Speriamo ma sarà difficile. Inserito da: Arlecchino - Dicembre 16, 2021, 09:22:36 pm Ci sono iniziative che il sindacato si potrebbe apprestare a portare avanti, per una strategia del cambiamento.
Cambiamento del comportamento sociale, nella situazione attuale in cui si è compresa la necessità di rivedere il modo di pensare al benessere dei cittadini (che sono anche disoccupati e non lavoratori). ggiannig ciaooo Titolo: Enrico Letta, come sempre tra tatticismo e candore, dice una cosa importante... Inserito da: Arlecchino - Dicembre 16, 2021, 09:25:05 pm Enrico Letta, come sempre tra tatticismo e candore, dice una cosa importante sulla scelta del prossimo Presidente della Repubblica quando osserva che mai al Quirinale è salito un leader proveniente dalla guida di un partito o di una forza politica organizzata. È la storia della Presidenza della Repubblica a indicare questa prassi e la stessa Costituzione, nella definizione un po’ incompleta sia del ruolo sia del modo di elezione del presidente, pende a favore della figura, come si dice, istituzionale, di garanzia, lontana dallo scontro politico quotidiano. Sergio Mattarella è stato il risultato perfetto di questi criteri. Governava Matteo Renzi e già aveva il suo da fare per compensare le anomalie del suo governo e della sua maggioranza, creata con mosse coraggiose ma mettendosi contro anche a parti rilevanti del suo stesso partito. Certo non poteva permettersi strappi anche sul Quirinale e scelse aderendo nel modo più canonico possibile alla prassi della figura che abbiamo descritto prima. E nel genio storico e costituzionale italiano ci deve essere davvero qualcosa di buono perché poi di Mattarella l’opinione pubblica italiana se ne è davvero innamorata, vedendoci esattamente il garante delle istituzioni, delle regole e anche dell’operatività, se così si può dire, delle camere e del governo. Grazie a questo prestigio e al rispetto convinto del paese Mattarella ha potuto sovraintendere, nelle forme costituzionalmente corrette, alla nascita, alla vita, alla sostituzione di governi che avevano a che fare con il Parlamento più pazzoide visto nella storia repubblicana. Insomma, quei criteri funzionano anche oltre quanto ci saremmo aspettati. E c’è una logica nell’invocarli da parte di Letta. Solo che ora si tratta di rinnovare un po’ il campo dei quirinabili, perché si capisce bene che Mattarella è stato, con ogni probabilità, l’ultimo esponente di una classe politica che aveva origini nella cosiddetta Prima Repubblica. L’Italia bipolare, per quanto e per come lo sia stata, cioè l’Italia post 1994, non ha più potuto produrre figure quirinabili secondo il vecchio criterio, perché anche i ruoli istituzionali sono stati consumati dal gioco delle contrapposizioni. Prima o poi questa questione andrà affrontata, ma più probabilmente sarà la logica delle cose a creare un passato bipolare condiviso, qualcosa che tiene insieme le forze che si sono lacerate negli scontri tra berlusconiani e prodiani, per dirla all’ingrosso. Ma ancora non è aria. Ora, insomma, non sarebbe facile cavarsela come se la cavò Renzi, ma il punto di partenza dev’essere simile a quello con cui l’allora segretario del Pd si trovò a dover affrontare l’elezione del presidente. Non ci sono scelte della destra o della sinistra o del centro che tengano, né ci sono pallini o primazie. Bisogna andare dritti dove porta la nota prassi e non ci si sbaglia. Figura di garanzia, non leader di partito, capace di avere rispetto e prestigio tali da imporre ai governi di esistere e di governare (il problema in Italia non è la smania di potere, ma la fuga dalle responsabilità e, di conseguenza, la preferenza per governi deboli o intenti ad altro). Si va dritti e senza altre scorciatoie al nome di Mario Draghi, come il Foglio dice da giorni.
DA - Il Foglio <newsletter@ilfoglio.it> Titolo: Libertà e Giustizia Due decenni di vita, tante vittorie alle spalle e, in ... Inserito da: Arlecchino - Dicembre 18, 2021, 01:00:06 pm Libertà e Giustizia
Due decenni di vita, tante vittorie alle spalle e, in cantiere, progetti e iniziative per dare voce alla società civile. Libertà e Giustizia, presieduta da Sergio Labate, succeduto a Paul Ginsborg, Tomaso Monatari e Nadia Urbinati, si muove tra politica e urgenza di democrazia. Libertà e Giustizia promuove convegni, incontri, appelli. L’associazione si presenta al pubblico il 18 novembre 2002, al Piccolo Teatro Studio di Milano, tenuta a battesimo da un gruppo di garanti di altissimo livello: Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Enzo Biagi, Umberto Eco, Alessandro Galante Garrone, Claudio Magris, Guido Rossi, Giovanni Sartori e Umberto Veronesi. Nel corso della serata viene presentato il manifesto costitutivo: “Libertà e Giustizia vuole intervenire a spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi. Vuole arricchire culturalmente la politica nazionale con le sue analisi e proposte. Libertà e Giustizia vuole essere “l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica”. Lucca, Roma, Venaria Reale, Poggibonsi, Genova, Torino: i seminari annuali di LeG sono per i soci momento di approfondimento di alcuni temi fondamentali: la libera informazione, la democrazia, l’etica, i maestri, il ruolo della società civile. I seminari a tema, momenti di studio, come la due giorni sulla Giustizia a Fiesole, confronto tra professori, magistrati, avvocati e politici, che produce un documento in parte recepito dal programma dell’ultimo governo Prodi. Dal 2004 LeG comincia la sua lunga battaglia in difesa della Costituzione. A febbraio parte la campagna “L’Italia è anche mia” con la vignetta che Altan regala a LeG. Il 15 ottobre parte il coordinamento per il referendum confermativo, presieduto da Oscar Luigi Scalfaro. Nel giugno 2006 la grande vittoria dei no, che demolisce il progetto del Polo di scardinare la nostra Carta fondante. All’inizio del 2010 comincia il grande lavoro per la messa in opera del nuovo sito che oltre a una nuova impostazione grafica e a una più ricca organizzazione dei contenuti, propone innumerevoli novità legate all’interazione tra l’associazione, i suoi soci e i lettori. L’attività online di Libertà e Giustizia non si ferma quindi al solo sito web, ma è arricchita dalla sua presenza nelle più frequentate piazze virtuali da Facebook a Twitter, da Flickr a YouTube. Oltre a LeG nazionale la maggior parte dei Circoli ha oggi un affaccio su FB, il logo di Libertà e Giustizia campeggia sul popolare social network. L’attività delle sedi locali è molto intensa, incontri, dibattiti, presentazioni di libri che raccontano le anomalie del paese, dall’emergenza giustizia alle battaglie per la legalità, la libertà d’informazione, i diritti della persona, nuove anche le forme di comunicazione. Oltre trenta i Circoli sparsi in tutta Italia. A fronte di una domanda sempre più urgente di “cultura politica” continua la missione civile di Libertà e Giustizia, attraverso le sue Scuole di formazione politica. Nel settembre 2012 al castello dei Conti Guidi di Poppi (Arezzo) una tre giorni curata dallo storico Franco Sbarberi su Segreto, ipocrisia, menzogna e corruzione – La democrazia vilipesa. A gennaio del 2013 due giorni di lezione a Perugia sui temi bioetici. Pavia, che iniziò i suoi corsi nel 2007 sotto la guida di Salvatore Veca, direttore di tutte le Scuole di LeG, a marzo e aprile 2013 ha tenuto la sua settima edizione dedicata al lavoro. Ad ottobre si è tenuta la prima Scuola di LeG di Messina per favorire l’analisi e la conoscenza delle condizioni sociali, politiche, economiche e culturali che caratterizzano oggi il mezzogiorno. La voce di LeG, dopo il manifesto “Rompiamo il silenzio” che nel 2009 denunciò il torpore della classe politica, è tornata a farsi sentire nel febbraio 2010 con una pagina pubblicata su Repubblica e su alcune testate locali del gruppo Espresso, con un nuovo documento. “Il vuoto” denuncia la paralisi su cui si è avvitato il sistema Paese e propone ai cittadini di creare una “Comunità contro il degrado”, di costruire insieme una diga per arginare lo sfascio istituzionale, politico, sociale cui stiamo andando incontro. In giugno, con il suo presidente onorario Gustavo Zagrebelsky, anticipa e indirizza il dibattito politico lanciando l’appello “Mai più alle urne con questa legge” che chiede l’abolizione del Porcellum. A metà ottobre 2010, a Firenze, il convegno “Società e Stato nell’era del Berlusconismo”. Tre giorni partecipatissimi, in cui intellettuali, storici, sociologi e giornalisti hanno fatto il punto – è la prima volta – sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico. Tra i tanti Paul Ginsborg, Gustavo Zagrebelsky, Marco Revelli, Ezio Mauro e Marco Travaglio. Gli atti del seminario sono stati pubblicati dall’editore Laterza. Dopo l’esplosione del caso Ruby e l’inchiesta della Procura di Milano, il 14 gennaio 2011 anticipando tutti, partiti e movimenti, LeG chiede le dimissioni di Silvio Berlusconi. Il 17 con un documento scritto in inglese da Paul Ginsborg e firmato da Gustavo Zagrebelsky e Sandra Bonsanti a nome di tutta l’associazione, “Resignation”, si appella al mondo intero perché il nostro Paese non sia lasciato solo. Gli attestati di solidarietà fioccano a centinaia e la raccolta firme, rilanciata anche dal sito di Repubblica, raccoglie migliaia di adesioni. Sabato 5 febbraio grande manifestazione al Palasharp di Milano, con Umberto Eco, Paul Ginsborg, Roberto Saviano e Gustavo Zagrebelsky e tanti altri esponenti della società civile per cominciare insieme a ricostruire l’Italia, il nostro Paese, e per riappropriarci di parole che la storia e il sacrificio di milioni di italiani hanno reso eterne e inviolabili: libertà, giustizia, democrazia, repubblica, uguaglianza, lavoro, Costituzione. Dopo l’ennesimo attacco ai Magistrati, alla Consulta, e l’annuncio dell’ennesima riforma, che non serve ai cittadini ma solo a risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi, LeG lancia l’appello “La riforma della Giustizia non la fanno gli imputati (né i loro avvocati)!”. Settembre 2011, LeG parte con la raccolta firme per abolire la legge elettorale Porcellum. Ne raccoglierà oltre 60mila. L’8 ottobre 2011, grande manifestazione a Milano all’Arco della Pace. “Ricucire l’Italia” per restituire dignità al Paese, dal manifesto omonimo di Gustavo Zagrebelsky, (elaborato nel corso della Scuola estiva a Poppi, nel Casentino). Il 23 febbraio 2012 esce il manifesto “Dissociarsi per riconciliarci. Dipende da noi”. di Gustavo Zagrebelsky, che raccoglie migliaia di firme. Un drammatico e appassionato appello alla classe politica affinché intraprenda la via del rinnovamento. Il 12 marzo presentazione al Teatro Smeraldo di Milano, Con Gustavo Zagrebelsky, Roberto Saviano, Sandra Bonsanti, Lella Costa e Concita De Gregorio, con la partecipazione di Giuliano Pisapia. Il 24 novembre 2012 al Forum di Assago, la grande manifestazione di LeG dopo il “passo indietro” di Berlusconi, con il nuovo manifesto di Gustavo Zagrebelsky “Per una stagione costituzionale “. Il 2 giugno 2013 in piazza a Bologna con oltre 100 associazioni, per dire che la Costituzione “Non è cosa vostra”. Gli atti della manifestazione sono stati pubblicati da EncycloMedia Publisher. Il 12 ottobre 2013 manifestazione a Roma in piazza del Popolo, per difendere e finalmente attuare la nostra Carta fondante. “La via maestra” da non perdere mai di vista. Con Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Da - http://www.libertaegiustizia.it/chi-siamo/ Titolo: Non contro il Governo, ma chiediamo di più. Inserito da: Arlecchino - Dicembre 20, 2021, 06:17:33 pm Non contro il Governo, ma chiediamo di più
La voce di un'Italia che è rimasta indietro, esclusa dal racconto che "tutto va bene Ora è il momento di cambiare per ricostruire un Paese più giusto. Non contro il governo, ma chiediamo di più di Pierpaolo Bombardieri Riportiamo alcune dichiarazioni del segretario generale della Uil alla vigilia e nel corso dello sciopero di oggi 16 dicembre, che ne spiegano le ragioni e gli obiettivi. Come diceva Petro Nenni. “Ogni rivendicazione è sempre politica. Politique d’abord”. “Noi non scioperiamo né contro il governo Draghi né contro i partiti. Secondo noi ci sono alcuni temi importanti sui quali servono risposte più incisive : fisco, pensioni, lavoro precario, delocalizzazioni, responsabilità sociale d’impresa, povertà in aumento, diseguaglianze. Lo sciopero dà voce a chi sta male e questo per costruire un’Italia migliore, più giusta ed equa”. “Noi chiediamo che la ricostruzione del Paese sia un’occasione di cambiamento. Lo sciopero è per questo: per chiedere di cambiare davvero e sulle cose concrete. Innanzitutto dobbiamo superare la precarizzazione del lavoro e dare risposte serie ai nostri giovani. Se chiedete a un giovane precario se avrà una pensione, vi risponderà che non l’avrà. Non vede un futuro. Occorre costruire un futuro per i giovani. Occorre poi redistribuire in modo più equo in questo paese per affrontare i temi del welfare, di un rafforzamento delle pensioni delle donne, più attenzione a chi rischia di perdere la vita sul posto di lavoro. Queste sono le motivazioni che ci hanno spinto a dire: “Non ci fermiamo, continuiamo a chiedere al governo e alla politica di costruire un paese diverso”. E lo abbiamo fatto sentendo e raccogliendo le tante storie che ci hanno raccontato durante un mese di mobilitazione nelle piazze e nei posti di lavoro. Con lo sciopero di oggi, attraverso un diritto garantito dalla Costituzione, intendiamo di spiegare a chi racconta che oggi “va tutto bene” che invece c’è un’Italia che rimane indietro e alla quale occorre dare una risposta” “Con lo sciopero di oggi abbiamo costretto il Paese ad interrogarsi sulla narrazione del "va tutto bene". Ma si erano dimenticati di tutte le persone che sono qui oggi in piazza! Di tutte le persone che non sono potute venire perché restano sui posti di lavoro per senso di responsabilità in tempo di pandemia! Oggi siamo nella piazza del Popolo per tutta l'Italia che soffre e alla quale dobbiamo dare risposte diverse! “ Da – Avanti CENTRO INTERNAZIONALE DI BRERA via Formentini 10, Milano, MI, 20121 avanti@centrobrera.it Titolo: Francesco FORTE. "Un riferimento della cultura liberale e riformista" Inserito da: Arlecchino - Gennaio 06, 2022, 05:40:29 pm Francesco Forte
Il cordoglio del Senato per la scomparsa Il presidente Elisabetta Casellati: "Un riferimento della cultura liberale e riformista" "Mi rattrista profondamente la scomparsa di Francesco Forte, economista e politico, senatore per due legislature, che nella sua lunga e poliedrica attività di parlamentare, ministro, accademico, editorialista, è stato un punto di riferimento della cultura liberal-riformista in Italia. Le sue analisi, mai scontate, erano lucide e originali elaborazioni della realtà, che univano il rigore della scienza delle finanze alla capacità visionaria e idealista, con un respiro che travalicava i confini nazionali. Esprimo la mia vicinanza alla famiglia". Così il presidente del Senato Elisabetta Casellati. Per raccontare Francesco Forte, c'è bisogno di una enciclopedia che raccolga la sua ricchissima biografia di studioso e di politico. Basti ricordare la designazione di Luigi Einaudi negli anni '70 alla successione nella cattedra di Scienza delle Finanze di Torino, già incarico occupato dall'ex Presidente della Repubblica che iniziò la sua carriera giornalistica e politica tra i socialisti di Palazzo Campana e sulle colonne di Critica Sociale con Turati ai primi del '900. E il suo rapporto di amicizia con il Nobel Oliver Williamson che inaugurò negli Usa la disciplina cosiddetta "Law and Economics" (Analisi economica del diritto") che intreccia la dinamica economica con il progresso delle norme e delle istituzioni pubbliche fino a giungere a forme di autogoverno: supposta l’idea-tipo della concorrenza perfetta tale disciplina viene impiegata per comprendere i fallimenti del mercato e il ruolo del diritto nel risolvere o nel generare tali fallimenti. Non va assolutamente dimenticato la dedizione di Forte per Ezio Vanoni, tra gli estensori, con Pasquale Saraceno, del cosiddetto "Piano" di ricostruzione dell'Italia nel dopoguerra, frutto degli studi del gruppo di Camaldoli, promosso dall'allora segretario di Stato vaticano, Montini, e fucina della rinascita della DC. Vanoni fu chiamato ad elaborare il progetto finanziato dal piano Marshall pur essendo cresciuto nelle fila del socialismo di Turati e Matteotti per la sua competenza derivata dalla scuola liberalsocialista della Critica Sociale. Come diceva ridendo Francesco Forte, Vanoni si ritrovò così a "buscarle dai fascisti e dai comunisti" allo stesso tempo. Socialdemocratico, non aderì al Fronte voluto da Nenni. Al momento della sua morte Francesco Forte aveva definito un Comitato scientifico di prim'ordine per il rilancio di Critica Sociale a cui era particolarmente legato per la sua stessa formazione, come fu la Rivista scuola anche per la formazione del suo maestro, Einaudi. Nulla può esaurire la esposizione della sua vastissima esperienza e cultura. È necessario almeno ricordare che partecipò e contribuì alla stesura del Rapporto per la riduzione del debito del Terzo Mondo per conto di Bettino Craxi incaricato dall'ONU per questo progetto giunto al suo termine, purtroppo, alla vigilia della fase storica opposta, ovvero alla vigilia della globalizzazione che si nutrì di debito pubblico internazionale. Nel trigesimo sarà nostra cura promuovere un convivio del Comitato scientifico di Critica Sociale da lui costituito e presieduto con la adesione di numerosi studiosi, molti dei quali ordinari di economia, storia e scienze politiche delle Accademie italiane, per un seminario sulla sua opera e sul suo pensiero. Va anche detto che la sua scomparsa ci priva di un "bon-bon", ovvero del puro piacere mentale di creare con la logica applicata all'esperienza, soluzioni spesso irrealizzabili ma non inverosimili su cui era uno spasso intrattenersi con Franceso nelle interminabili conversazioni personali o telefoniche. Un tratto umano inscindibile dalle sue straordinarie capacità di analisi e genialità creativa. stefano carluccio www.criticasociale.net - iscriviti online agli aggiornamenti CRITICA SOCIALE Rivista fondata nel 1891 da Filippo Turati Alto Patronato della Presidenza della Repubblica Direttore responsabile: Stefano Carluccio Reg. Tribunale di Milano n. 646 del 8 ottobre 1948 edizione online al n. 537 del 15 ottobre 1994 Editore Biblioteca di Critica Sociale e Avanti! Centro Internazionale di Brera via Marco Formentini 20121 - Milano Da critica sociale on line 2 gennaio 2022 Titolo: Oggi né il Consiglio, né la Commissione, né il Parlamento europeo sono nelle ... Inserito da: Arlecchino - Gennaio 14, 2022, 03:18:35 pm La democrazia senza un pezzo
• 13 gennaio 2022 Naturalmente è opportuno e utile che oggi Francesco Costa abbia spiegato – nel podcast Morning – alcune dinamiche legate all’elezione del presidente della Repubblica, e che abbia voluto smontare l’idea che il criterio della scelta sia la “qualità” del candidato rispetto al ruolo: qualità che da un lato è un criterio in gran parte soggettivo, e che dall’altro viene richiesta in una quota piuttosto accessibile (l’unico candidato finora, e per niente debole, è Silvio Berlusconi: per dire). I grandi elettori, ha spiegato Costa, votano il Presidente della Repubblica in base a una serie di criteri che sono di interesse personale – legittimo – o di interesse del loro partito, e legati alle implicazioni e ricadute per se stessi e per il proprio partito di quell’elezione: è in questo senso che vanno ipotizzate e capite le scelte, e come dice Costa sarebbe ingenuo non averlo presente. È un’ingenuità che molti di noi non hanno, anche se a volte per amor dell’argomento trascuriamo di considerarlo, e proponiamo X che “sarebbe un ottimo presidente della Repubblica”, prima che qualcuno ci ricordi che “non lo voteranno mai”. Però distinguerei tra assenza di ingenuità e rassegnazione: questo stato di cose, ovvero, non è un buon funzionamento della democrazia, e lo ricorderei. Non è una straordinaria ed encomiabile applicazione della Costituzione cosiddetta “più bella del mondo” e di un sistema di rappresentanza che sosteniamo quotidianamente di voler difendere. Un pezzo importante dei meccanismi di eventuale funzionamento della democrazia è fatto dalle persone: le persone che eleggono e le persone che vengono elette. E al corretto promemoria di Costa sugli interessi in gioco – dei grandi elettori e dei loro partiti – aggiungo il chiarimento di quello che dovrebbe essere il principale: ovvero quello del paese. Inciso. Perdonatemi la tromboneria dell’espressione “interesse del paese”, chiamatelo “bene comune” o “comunità”; ma non voglio dire “i cittadini”, “la gente”, che sono termini di ruffianeria populista che trasmettono l’idea di tanti interessi singolari, di nuovo. Quello per cui vengono eletti i “grandi elettori” non sono gli interessi miei, tuoi, della mia vicina di casa e così via fino a fare sessanta milioni di interessi: sono gli interessi complessivi e lungimiranti di una comunità e di un paese, che dovranno esistere ancora quando saremo morti. Fine dell’inciso. Insomma, non è una democrazia nobile né ben funzionante quella in cui i rappresentanti non fanno l’interesse di ciò che rappresentano, e in cui i cittadini – qui sì, ciascuno di noi – hanno eletto rappresentanti che non lo fanno. Usciamo da giorni di celebrazione e rispetto per l’impegno devoto all’Europa e al ruolo di David Sassoli, e dobbiamo vivere come normale un parlamento di persone e leader politici che scelgono il presidente della Repubblica senza pensare a cosa sia meglio per i prossimi sette anni dell’Italia? Dobbiamo, sì, non siamo ingenui: ma non va bene, nemmeno nel cinico e stupido 2022. Eleggere una brava persona col senso del ruolo e della responsabilità e l’intelligenza politica necessaria, apprezzata o tollerata da una estesa quota del paese, non sarebbe un impegno così sbagliato, a essere ingenui. Criteri in parte soggettivi, ma in gran parte no (vedi Berlusconi, solo per tornare sull’unico esempio). Nel 2023 andrebbe fatto uno sforzo di rieducazione di candidati ed elettori, sulle loro responsabilità nel funzionamento della democrazia. A essere non ingenui, ma neanche rassegnati. Da - https://www.wittgenstein.it/2022/01/13/la-democrazia-senza-un-pezzo/ Titolo: Come nasce il COMUNISMO. Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2022, 03:22:13 pm da - t.wikipedia.org/wiki/Storia_del_comunismo#:~:text=Karl%20Marx%20e%20Friedrich%20Engels,comunismo%20diventa%20un%20moto%20rivoluzionario. Titolo: Trovare una linea intermedia tra le due economie non è un problema per NOI. Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2022, 04:06:09 pm Che differenza c'è tra capitalismo e socialismo?
Un'economia socialista è un sistema di produzione in cui beni e servizi sono prodotti direttamente per l'uso, a differenza di un sistema economico capitalista, in cui beni e servizi sono prodotti per generare profitto (e quindi indirettamente per l'uso). Da Wikipedia Titolo: SOCIALESIMO e DEMOCRAZIA SOCIALISTA Inserito da: Arlecchino - Gennaio 22, 2022, 10:37:10 am SOCIALESIMO e DEMOCRAZIA SOCIALISTA,
sono favorevoli alla proprietà Privata e al generare Profitti dalle attività oneste secondo le sue regole. ggiannig ciaooo Titolo: Oggi né il Consiglio, né la Commissione, né il Parlamento europeo sono nelle ... Inserito da: Arlecchino - Gennaio 22, 2022, 06:55:23 pm “Oggi né il Consiglio, né la Commissione, né il Parlamento europeo sono nelle mani del Partito socialista europeo.
A un certo punto le carte non sono state giocate bene”, è stato il commento ieri di un vecchio saggio socialista come Javier Solana sull'elezione di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo. L'ascesa della deputata maltese del Ppe sullo scranno più alto segna la disfatta dei socialisti nella battaglia sulla leadership delle istituzioni europee. I popolari non solo si riprendono la presidenza del Parlamento europeo: il Ppe conserva anche il primo vice presidente vicario e il segretario generale, nonostante il gruppo dei Socialisti&Democratici avesse preteso di essere più rappresentato negli incarichi di responsabilità politica o amministrativa in cambio del voto a Metsola. Il dominio del Ppe sulla leadership dell'Ue si estende praticamente a tutte le istituzioni, con l'eccezione della presidenza del Consiglio europeo, affidata al liberale Charles Michel (che però si è confinato al ruolo di mediatore notarile tra capi di stato e di governo). Alla Commissione c'è Ursula von der Leyen. Alla Banca centrale europea c'è Christine Lagarde. All'Eurogruppo c'è Pascal Donohoe. Alla Corte dei conti c'è Klaus-Heiner Lehne. I grandi vincitori della giornata di ieri sono Manfred Weber, il presidente del gruppo del Ppe, che consolida il ruolo dei popolari come forza dominante, e il segretario generale del Parlamento europeo, Klaus Welle, che almeno per il momento salva il suo posto. Le trattative sulla sostituzione di Welle sono state rinviate a più tardi. Ma uno dei favoriti per succedergli come segretario generale del Parlamento europeo è un altro funzionario vicino al Ppe, lo spagnolo Jaume Duch. Le parole di Solana sono una critica (non troppo velata) alla capogruppo dei socialisti, Iratxe García, e soprattutto al primo ministro spagnolo, Pedro Sanchéz. Nel 2019 è stato Sanchéz a negoziare la distribuzione degli incarichi ai vertici delle istituzioni dell'Ue. Il premier spagnolo ha fatto lo stesso errore che fece Matteo Renzi nel 2014. Forte del suo risultato elettorale, ha adottato una strategia nazionale, invece di privilegiare il Partito socialista europeo. Renzi, che all'epoca era ancora alla testa del Pd, aveva incassato Gianni Pittella come presidente del gruppo dei Socialisti&Democratici (S&D) e Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera. Sanchéz ha potuto sbandierare in patria García come presidente del gruppo dei S&D e Josep Borrell come Alto rappresentante. Ma per governare l'Ue non basta. Un capogruppo socialista conta poco, tanto più se entra in conflitto con alcune delegazioni nazionali chiave come i socialdemocratici tedeschi. L'Alto rappresentante è sempre in giro per il mondo (fisicamente o virtualmente) e non ha tempo per occuparsi dei giochi di potere bruxellesi. Il Ppe, invece, si comporta come un vero partito su scala continentale. Le delegazioni nazionali, così come i primi ministri, si sostengono e proteggono tra loro. C'è un posto da occupare o una politica da imporre, ed è tutta la macchina del Ppe che si mette in moto. Nonostante tutte le buone intenzioni, i socialisti europei non riescono a essere partito né a essere europei fino in fondo. Il gruppo dei liberali di Renew soffre di un male diverso: quello del tatticismo. Lo dimostra l'elezione dei vicepresidenti del Parlamento europeo avvenuta sempre ieri. Il presidente di Renew, Stéphane Séjourné, ha concluso un patto con il Ppe e i sovranisti dei Conservatori e riformatori europei (Ecr) per assicurare l'elezione dei suoi tre candidati liberali alla vicepresidenza. Abbiamo potuto consultare un'email inviata ai deputati di Renew a cui veniva chiesto di sostenere il candidato dell'Ecr. Risultato: il nazionalista lettone, Roberts Zile, è stato eletto con i voti di Renew. Per contro è rimasto fuori uno dei due candidati dei Verdi, Marcel Kolaja. Il patto con il diavolo sovranista non offre una buona immagine della creatura di Emmanuel Macron, ancor meno nel giorno in cui il presidente francese fa il discorso al Parlamento europeo sul semestre di presidenza dell'Ue. Sul Foglio spieghiamo che l'elezione di Metsola apre una nuova fase di anti populismo nell'Ue. I gruppi sovranisti hanno cercato di dare l'impressione di aver rotto il cordone sanitario, votando per la maltese. Per Identità e democrazia: la leghista Mara Bizzotto non è stata eletta alla vicepresidenza. Anche un altro candidato italiano, Fabio Massimo Castaldo del Movimento 5 Stelle, ha perso la vicepresidenza. Le delegazioni italiane hanno offerto uno spettacolo inedito ieri: Metsola ha raccolto una coalizione più ampia di quella di Mario Draghi, ottenendo i voti di quasi tutti, dal Movimento 5 stelle a Fratelli d'Italia, passando per il Partito democratico e Italia viva (solo gli ex grillini passati ai Verdi non hanno sostenuto la maltese). Ma Metsola è il puro prodotto dell'establishment europeo ed stata eletta sulla base di un programma europeista, che non ha niente a che vedere con le fantasie populiste o sovraniste. Buongiorno! Sono David Carretta e questa è Europa Ore 7 di mercoledì 19 gennaio, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo. Macron parlerà del filo rosso della sovranità europea - Il presidente francese, Emmanuel Macron, oggi non dovrebbe ripetere l'esercizio noioso dell'illustrazione del programma del suo semestre di presidenza del Consiglio dell'Ue. Fonti dell'Eliseo ci hanno spiegato che, davanti al Parlamento europeo, Macron intende “riprendere il filo rosso della sovranità europea” e indicare “nel contesto internazionale agitato che è il nostro la via singolare che l'Europa può tracciare”. Macron dovrebbe spiegare che l'Ue è "un modello particolare di difesa dei valori, di difesa della democrazia liberale, di difesa di un modello di crescita durevole e di protezione sociale”. Per il presidente francese, quella europea è una “voce singolare nel suo rapporto al mondo, al suo vicinato, nel suo sforzo di essere una potenza di stabilità e di prosperità”, ci hanno spiegato le fonti dell'Eliseo. Ma concretamente? Scholz parla di Nord Stream 2, Baerbock supera il test Lavrov - Concretamente tocca al segretario di Stato americano, Antony Blinken, aiutare gli europei a evitare una guerra con la Russia. Blinken sarà oggi in Ucraina, prima di volare a Berlino giovedì, dove incontrerà il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il ministro degli Esteri, Annalena Baerbock, e il Quad transatlantico (Usa, Regno Unito, Francia e Germania). Scholz ieri ha finalmente detto qualcosa su Nord Stream 2. "E' chiaro che ci sarà un alto prezzo da pagare e che tutto dovrà essere discusso se ci dovesse essere un intervento militare in Ucraina", ha detto Scholz ai giornalisti che gli chiedevano del gasdotto. Nel frattempo, a Mosca, Baerbock ha superato la prova della conferenza stampa con il ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov. Pur ribadendo la volontà di dialogo, Baerbock ha saputo tenere testa a Lavrov sui principi internazionali, le conseguenze di un intervento in Ucraina, Alexei Navalny e Memorial. Sul Foglio Micol Flammini spiega chi decide a Berlino sulla Russia. Sempre sul Foglio Daniele Raineri spiega come il Regno Unito abbia organizzato un ponte aereo per rifornire l'Ucraina con missili anticarro disegnati per rendere costosa l'invasione russa. L'Ecofin spaccato sulla tassazione delle multinazionali - Polonia e Ungheria sono tra gli stati membri che minacciano di bloccare l'adozione all'Ecofin della direttiva proposta dalla Commissione per implementare l'accordo all'Ocse sulla tassazione delle multinazionali, in particolare l'aliquota minima del 15 per cento. I ministri delle Finanze dell'Ue sono spaccati. Problema: sulla tassazione serve l'unanimità. Varsavia e Budapest non sono gli unici a frenare. Diversi ministri hanno sollevato un problema di calendario (l'entrata in vigore della direttiva all'inizio del 2023 è considerata prematura) e la necessità di avere tempo per negoziare i dettagli tecnici. Malta ha chiesto di tenere conto dell'impatto sulla sua economia. Le Maire smentisce la “leggenda bruxellese” sulla spaccatura con Lindner - Il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, ieri si è sentito costretto a smentire una spaccatura con il suo collega tedesco, Christian Lindner, sulla revisione delle regole del Patto di stabilità e crescita. “E' una leggenda urbana, o meglio una leggenda bruxellese”, ha detto Le Maire durante una conferenza stampa al termine dell'Ecofin. “Non c'è dibattito sulla necessità di ridurre il debito. Tutti sanno che dobbiamo ridurre il debito” e “ricostruire le riserve per essere in grado di affrontare una prossima crisi”, ha detto Le Maire: “La questione è il calendario per diminuire il debito e a quale ritmo”. Lindner si definisce “un falco amichevole” - “Non sono un falco spaventoso. Sono un falco amichevole”, ha detto ieri il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, per cercare di mettere fine alle polemiche innescate dalle sue dichiarazioni prima dell'Eurogruppo di lunedì. Qual è la differenza? “Sono aperto alle discussioni. La Germania vuole essere parte della soluzione, non parte del problema”, ha risposto Lindner. Al termine dell'Ecofin, il ministro tedesco delle Finanze ha aggiunto di essere aperto a uno "sviluppo ragionevole" delle regole fiscali, anche se hanno garantito flessibilità durante la crisi. In futuro il Patto deve "perseguire l'idea di crescita, così come di stabilità fiscale e finanze pubbliche sostenibili", ha detto Lindner. Dombrovskis vede “terreno comune” sulle regole fiscali - La disputa tra Le Maire e Lindner in realtà non è una disputa. I negoziati sulla revisione del Patto di stabilità e crescita sono solo all'inizio. Per ora è la fase del pre posizionamento. La proposta lanciata a dicembre da Mario Draghi e Emmanuel Macron sul Financial Times è giudicata eccessiva da diverse capitali. In un modo o nell'altro la Germania doveva rispondere. Al termine dell'Ecofin ieri, il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis ha spiegato che tra i ministri delle Finanze c'è un "accordo generale" sulla necessità di rendere le regole fiscali più favorevoli agli investimenti per finanziare la doppia transizione climatica e digitale e, più in generale, alla crescita. "Come sempre il diavolo sta nei dettagli", ha spiegato Dombrovskis: "dovremo trovare il giusto equilibrio per assicurare percorsi credibili di riduzione del debito senza minare la crescita economica e fornendo spazio per finanziare le transizioni verde e digitale dell'economia". La Finlandia annuncia la fine delle restrizioni Omicron a metà febbraio - La Finlandia è il primo paese ad annunciare la fine di alcune restrizioni introdotte per affrontare l'ondata di contagi provocata dalla variante Omicron. I controlli alle frontiere termineranno alla fine del mese di gennaio, quando è atteso il picco delle infezioni. Altre restrizioni resteranno in vigore fino a metà febbraio. “Stiamo guardando oltre l'ondata Omicron”, ha detto ieri il primo ministro, Sanna Marin: “Ora stiamo iniziando a prepararci su come porre fine gradualmente alle misure”. EuroNomine - Il collegio dei commissari ieri ha nominato l'italiana Marina Zanchi come consigliere principale e direttore della nuova Agenzia esecutiva sanità e digitale (il pessimo acronimo bruxellese è HaDEA). Da - https://mailchi.mp/ilfoglio/con-metsola-disfatta-socialista?e=fbfc868b87 |