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Inserito da: Arlecchino - Luglio 18, 2020, 02:42:01 pm
LA RIVALITA’

Italia-Olanda, trucchi fiscali, dispetti, Cruijff: il duello infinito
Dalla simpatia allo scontro. E il premier olandese Mark Rutte disse: «europeisti finché ci conviene»

di Paolo Valentino

 
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

BERLINO Forse bisogna risalire all’Olanda dei secoli d’oro, quella raccontata da Simon Schama nel suo splendido «Il disagio dell’abbondanza», per andare alla radice dei troppi no di Mark Rutte al Recovery Fund. È da lì che emerge la lacerazione morale di una nazione, la cui economia ha dominato il mondo per due generazioni, ma ha sempre vissuto con forte senso di colpa la propria opulenza, soffrendone l’ostentazione. Nell’immaginario olandese, il denaro è sempre stato «lo sterco del diavolo». Era vero nel XVII secolo. Ed è stato vero dopo la Seconda guerra mondiale, quando i Paesi Bassi, raggiunti livelli altissimi di benessere ma come imbarazzati da tanta ricchezza, hanno predicato (e predicano) la sobrietà per sé e per gli altri.

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Ma l’imbarazzo dei ricchi racconta solo una parte della verità. Perché gli abitanti dei polder nella costruzione europea ci sono sempre stati se non malvolentieri, con spirito atipico. Nel 1950 l’Olanda entrò con qualche giorno di ritardo nella Ceca: L’Aia non era stata avvertita dell’annuncio di Schuman perché Francia, Italia, Germania, Belgio e Lussemburgo erano convinte che non avrebbe accettato. Ma prevalsero pragmatismo e volontà di non rimanere tagliati fuori, soprattutto dalla Repubblica federale che avanzava spedita verso il Wirtschaftswunder, il miracolo economico. Così l’Olanda si ritrovò suo malgrado tra i fondatori, ma decisa a lavorare per diluire il progetto comune, orientandolo verso una direzione intergovernativa e liberoscambista. Fu anche per questo che ai giovani diplomatici italiani in partenza per Bruxelles veniva inculcato, in assenza di indicazioni da Roma, di prendere sempre la posizione «specularmente opposta» a quella olandese. Nella vulgata di un ambasciatore, è passata alla piccola storia della diplomazia italiana come «la legge del Fracassi».


Eppure verso l’Olanda noi italiani non abbiamo mai nascosto un moto di simpatia e ammirazione: da Vermeer a van Gogh, dai diritti civili alla legalizzazione delle droghe leggere, alla secolare lotta per strappare spazio vitale al mare, sono tante le ragioni del fascino discreto degli olandesi. Colpa anche del calcio, naturalmente. Anzi di un club, l’Ajax, la squadra che negli Anni 70 cambiò il modo di giocare a pallone e non solo quello. Ci innamorammo tutti di Johan Cruijff e dei suoi arancioni, che ai Mondiali di Germania del 1974 disegnavano geometrie degne dei quadri di Mondrian, ma soprattutto accesero la nostra fantasia portando mogli e fidanzate nel ritiro. Come mi disse Henk Jan Gortzak, scrittore e gran tifoso, «l’Ajax e la nazionale di Michels tradussero sul campo lo spirito ribelle di quegli anni». Poi, a rafforzare il legame, sarebbero venuti anche gli olandesi del Milan.

Ma tanta simpatia non ci impedisce di percepire un velo di arroganza. «È parlar chiaro, ogni calvinista sa che la verità ci rende liberi», spiega lo scrittore Joris Luyendijk. Peccato però che gli olandesi non vogliano mai riconoscere la verità del dumping fiscale col quale attraggono il meglio delle aziende straniere, ai danni degli altri partner europei. E forse a squarciare il velo, voce dal sen fuggita, è stato proprio Mark Rutte incontrando Giorgio Napolitano all’Aia nel 2012. Secondo il racconto di un diplomatico presente, il premier se ne uscì con questa frase: «Gli olandesi sono europeisti, fino a quando a loro conviene».

17 luglio 2020 (modifica il 18 luglio 2020 | 08:53)
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