Titolo: “LA PESTE”, OVVERO DELL’IMPORTANZA DELLE CABINE DI REGIA Inserito da: Arlecchino - Aprile 15, 2020, 12:03:20 am “LA PESTE”, OVVERO DELL’IMPORTANZA DELLE CABINE DI REGIA
ARMANDO TOSCANO 6 aprile 2020 Avete mai notato che ne La Peste di Camus i personaggi principali sono variegati e diversi? Quello che potremmo definire il nucleo di intervento di Orano è composto da: un medico (Bernard Rieux), che gira casa per casa; un insolito cronista (Jean Tarrou), che scrive su un taccuino la cronaca dell’epidemia e svela caratteristiche del contagio poco evidenti; un giornalista (Raymond Rambert), che, seppur animato da forti desideri di fuga, decide di battersi e aiutare; un altro medico (Castel), che cerca e sperimenta un rimedio contro il morbo; un giudice (Othon), che rimane inizialmente indifferente alla malattia, ma poi si dà da fare. Traslando tutto questo nella contemporaneità, si può dire che nel romanzo intervengano contro l’epidemia: clinica, epidemiologia, volontariato, ricerca, politica. Nel migliore dei mondi possibili, una policy di Salute Pubblica è disegnata ricalcando le caratteristiche del morbo: come si diffonde e quanto velocemente, quanto tempo rimane asintomatico, come evolve la patologia, quali categorie sociali sono più esposte, come agisce la cura, qual è la reale possibilità di un vaccino, quali sono i comportamenti prescritti per prevenire il contagio ecc. Si tratta di una grande moltitudine di aspetti, che rendono la policy complessa e sfaccettata e necessitano inderogabilmente di una squadra multidisciplinare. Consideriamo quanto è stato messo in piedi per contrastare il contagio da HIV, un esempio di eccellenza italiana: i test vengono svolti gratuitamente o addirittura possono essere acquistati in farmacia, le associazioni vengono dotate di unità mobili per andare nei luoghi in cui ci si scambia siringhe o si pratica sesso per lavoro, si favorisce l’apertura di check point per fare test rapidi, si forniscono gratuitamente i farmaci di ultima generazione, si sono fatte campagne di sensibilizzazione all’uso del preservativo. Tutto per tallonare il virus, a partire dalla consapevolezza di come si muove nella popolazione. Risulta chiaro, tuttavia, che il mondo clinico risulti il fulcro delle politiche di contrasto alla diffusione di HIV in Italia, e infatti l’esito è che, sebbene i risultati siano ottimi, ci si arena contro lo scoglio di circa 3500 contagi all’anno, un plateau che va avanti ormai da anni, che testimonia la presenza di un bacino sommerso di persone con HIV, stimato attorno alle 30 mila unità: persone che non sanno di essere sieropositive e hanno rapporti sessuali non protetti. Ecco ciò che l’approccio clinico non può comprendere: come persuadere il maggior numero di persone a ricorrere a precauzioni nei rapporti sessuali, come far sì che le persone facciano il test. Qui i medici vanno a tentoni: chi usa la strategia del terrore, chi vorrebbe fare test a tappeto, chi invece si arrende all’idea che non si possa fare molto. Veniamo al coronavirus. L’approccio ospedaliero al coronavirus è stato esemplare. Intere cliniche sono andate incontro a un totale riassetto organizzativo, che ha visto la fluidificazione delle normali specializzazioni di reparto e un ridisegno in due sole macro-aree: Covid e non-Covid. I medici ospedalieri, indipendentemente dal fatto che fossero internisti o chirurghi, infermieri, OSS, tutto il personale è stato reclutato per far fronte all’emergenza. I Pronto Soccorso sono stati riorganizzati totalmente, creando una funzione-cuscinetto che è quella dell’Osservazione, in cui vengono collocate le persone in attesa dei risultati del test prima di essere destinate al reparto Covid o non-Covid. A fare invece acqua da tutte le parti, invece è stato l’approccio in termini di Salute Pubblica, ossia tutto ciò che sta prima, durante e dopo l’ospedalizzazione del malato. Salute Pubblica significa innanzitutto contenere i contagi; in questo senso, già con l’epidemia di SARS del 2002-2004, sono stati formulati dei protocolli di intervento, o comunque si è avviata un’ampia riflessione su come prevenire in futuro epidemie peggiori. Oggi si inizia a constatare come la seconda ondata di contagi, quella nosocomiale (che è stata anche la prima a rendere visibile che Covid19 fosse più pericolosa di un’influenza), fosse evitabile, e di come un lockdown precoce nei luoghi dei primi focolai avrebbe portato a un contenimento maggiore della diffusione del virus. Salute Pubblica significa dotare le persone più esposte, nel caso specifico il personale sanitario, di tutti i dispositivi necessari a lavorare in totale sicurezza, sia negli ospedali che nelle case di riposo. Dalle notizie circolanti, sembra che non tutti gli ospedali abbiano a disposizione mascherine, tute e guanti, mentre nelle case di riposo pare addirittura che la gestione sia stata a dir poco disastrosa. Salute Pubblica significa anche coordinare le attività di raccolta dati a livello centrale, perché – benché l’epidemiologia non sia una scienza esatta – è comunque possibile tramite tecniche statistiche inferire quanti siano i reali contagi, quale la letalità reale ecc. Da questo punto di vista, ogni Regione si è mossa in maniera indipendente, cercando di accaparrarsi l’occhio di bue della stampa per mettere in scena il copione di “Io sono migliore”. Salute Pubblica vuol dire coordinare la sanità ospedaliera e quella territoriale, ossia mobilitare le ASL affinché assolvano alla propria funzione di organizzazione della presa in carico integrata non solo dei malati con sintomi gravi (che, una volta in ospedale), sono in fondo al sicuro, ma anche di quelli con pochi sintomi o nulli (come si sta sperimentando a Piacenza). Salute Pubblica, infine, in un territorio regionalizzato come quello italiano, significa analizzare rapidamente le buone pratiche e metterle a sistema, ossia creare quantomeno un meccanismo di apprendimento centrale che raccolga, analizzi e smisti i modelli che si sono rivelati efficaci. Salute Pubblica, oggi, significa valorizzare l’infinità di saperi che possono dar vita a policy sofisticatissime ed efficaci per la gestione di situazioni complesse che, dobbiamo dircelo, non sono l’anomalia della contemporaneità, ma la sua espressione fisiologica. Cabine di regia in cui siano rappresentate: le Scienze Sociali, per identificare i modi in cui le persone tenderanno a comportarsi di fronte al pericolo di contagio e pre-trattare le immancabili frizioni tra attori diversi (per esempio, medici di base e ospedalieri), la Medicina, per integrare lo sguardo clinico ospedaliero con quello territoriale, l’Epidemiologia per tenere conto dei numeri e fare previsioni su basi certe, la Protezione Civile, per coordinare gli interventi a livello operativo, la Ricerca, per rivelare innanzitutto i dettagli del contagio, e poi dirigersi verso terapie e vaccini. Manca la Politica. Che forse non deve assumersi il compito della gestione esperta, ma di creare le possibilità affinché questa possa configurarsi e realizzarsi. Da - https://www.glistatigenerali.com/sanita_scienze-sociali/la-peste-ovvero-dellimportanza-delle-cabine-di-regia/ Titolo: Re: “LA PESTE”, OVVERO DELL’IMPORTANZA DELLE CABINE DI REGIA Inserito da: darwin - Aprile 24, 2020, 09:08:53 pm Una considerazione, quanto scritto parte da Camus, francese, con la Francia che è fortemente centralizzata ed unitaria. Una volta ci si spingeva a dire che in tutte le scuole francesi allo stesso momento si svolgesse la stessa lezione, a seconda dell'ordine, grado e annualità.
Allora come fare a superare quella mancanza di unitarietà presente nelle regioni italiane in un sistema così complesso come la salute. Le regioni dovevano avere pronto un proprio piano di emergenza stabilito dal DPR del 27 Marzo 1992 e le linee guida per l'emergenza sanitaria 1/1996 che indicano: "Le regioni e le province autonome, tenendo conto delle indicazioni fornite con il presente documento promuovono, nell'ambito dei propri programmi di riorganizzazione della rete ospedaliera e dei servizi di emergenza-urgenza, tutte le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi concordati, finalizzati al miglioramento qualitativo e ad una maggiore omogeneita' funzionale dei servizi, su base nazionale. Organizzazione del sistema di emergenza. Il sistema sanitario per l'emergenza-urgenza e' costituito da: 1. un sistema di allarme sanitario, dotato di numero telefonico di accesso breve e universale in collegamento con le centrali operative; 2. un sistema territoriale di soccorso; 3. una rete di servizi e presidi ospedalieri, funzionalmente differenziati e gerarchicamente organizzati. Le modalita' di risposta all'emergenza-urgenza si articolano su quattro livelli di operativita': 1. punti di primo intervento; 2. pronto soccorso ospedaliero; 3. dipartimenti di emergenza, urgenza ed accettazione di primo livello; 4. dipartimenti di emergenza, urgenza ed accettazione di secondo livello." E ancora nel dettaglio. "Le regioni, nel procedere alla riorganizzazione della rete ospedaliera: predispongono il Piano regionale per l'emergenza, identificando le differenti esigenze delle aree territoriali regionali con particolare riguardo agli insediamenti abitativi, produttivi, alle infrastrutture, alle attivita' lavorative, ai flussi di traffico e turistici ed alle attivita' sportive; individuano le sedi idonee di Pronto soccorso ospedaliero, organizzando i dipartimenti di emergenza urgenza ed accettazione negli ospedali idonei a svolgerne le funzioni, secondo le indicazioni del presente documento; procedono alla riorganizzazione e al potenziamento dei posti letto delle unita' operative di rianimazione e terapia intensiva e delle altre terapie intensive specializzate (UTIC, terapia intensiva neonatale, centri ustione, etc.). I posti letto di terapia intensiva, attualmente stimabili complessivamente attorno allo 1,5% del totale dei posti letto disponibili, dovrebbero raggiungere gradualmente il parametro tendenziale del 3% dei posti letto totali, garantendo una articolazione in due livelli, come previsto dal Piano sanitario nazionale, cosi' da assicurare la presenza di posti letto di terapia subintensiva in numero almeno pari a quelli di terapia intensiva. Questo incremento e la relativa organizzazione permettono di affrontare in modo adeguato non solo i problemi legati all'emergenza ed urgenza, ma anche quelli derivanti dalle attivita' chirurgiche e di prelievo e trapianto di organi. Questi interventi di riorganizzazione sono effettuati nelle sedi ritenute idonee e, nei diversi ambiti territoriali, privilegiando quelle che garantiscono il minor tempo medio di accesso ai pazienti del bacino di utenza interessato. A questo scopo, le regioni possono prevedere la istituzione di un Comitato regionale sanitario per l'emergenza, con compiti di programmazione ed indirizzo delle attivita' svolte nel sistema di emergenza. In particolare: collabora alla definizione del piano regionale per le emergenze; predispone il piano per le maxiemergenze, coordinandosi in particolare con il Dipartimento della protezione civile; definisce tipologia e dislocazione sul territorio dei mezzi di soccorso; elabora protocolli operativi per il coordinamento degli interventi tra le strutture centrali e periferiche; formula proposte per la formazione e l'aggiornamento degli operatori utilizzati nel sistema dell'emergenza-urgenza; promuove attivita' di verifica e valutazione del sistema regionale dell'emergenza-urgenza. Il Comitato regionale sanitario per l'emergenza, presieduto dall'assessore regionale alla sanita', ovvero da persona da questi delegata, potrebbe essere preferibilmente composto da: 1. il/i responsabili dei DEA di secondo livello; 2. i direttori sanitari delle aziende ospedaliere e degli ospedali di rilievo nazionale; 3. una rappresentanza dei responsabili delle centrali operative; 4. un rappresentante della Croce rossa italiana; 5. un rappresentante delle associazioni di volontariato operanti nel sistema di emergenza in regime convenzionale; 6. altre figure responsabili di servizi di particolare rilevanza nell'area territoriale di pertinenza; 7. un rappresentante del Comitato regionale di Protezione civile. Centrale operativa." Notare come in tale provvedimento fosse a carico delle regioni aver pronto un piano per raddoppiare i posti letto di rianimazione. " procedono alla riorganizzazione e al potenziamento dei posti letto delle unita' operative di rianimazione e terapia intensiva e delle altre terapie intensive specializzate (UTIC, terapia intensiva neonatale, centri ustione, etc.). I posti letto di terapia intensiva, attualmente stimabili complessivamente attorno allo 1,5% del totale dei posti letto disponibili, dovrebbero raggiungere gradualmente il parametro tendenziale del 3% dei posti letto totali, garantendo una articolazione in due livelli, come previsto dal Piano sanitario nazionale, cosi' da assicurare la presenza di posti letto di terapia subintensiva in numero almeno pari a quelli di terapia intensiva." Ci sono regioni che avevano pronto quel piano e regioni che non avevano pronto quel piano. La protezione civile doveva intervenire ad eccezione e non nella totalità dell'attività. Purtroppo se alla complessità di una situazione si sommano le complessità di diversi indirizzi ed obiettivi, si rischia in questi casi un danno notevole. Però come fa il governo nazionale, ad esempio, ad individuare i posti letto di rianimazione se le regioni gestiscono i piani ospedalieri? |