Titolo: Franco “Bifo” Berardi, filosofo e agitatore culturale classe 1949, protagonista Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2018, 11:06:03 pm Il tempo della vendetta
Bifo racconta il saggio “Futuribilità”: dalla distruzione dell’empatia alle possibilità aperte nel futuro. Partendo dal senso di impotenza dilagato nel presente Di Gabriele Ferraresi Franco “Bifo” Berardi, filosofo e agitatore culturale classe 1949, protagonista del ’77 bolognese, non passa esattamente come un ottimista. Eppure a leggere qualche suo libro, senza fermarsi ai meme che incrociamo nella home di Facebook, Bifo pare semplicemente constatare il reale. Più che un pessimista infatti Berardi è un filosofo da battaglia, radicale, che prende atto del presente e propone un’idea di futuro. Di conseguenza è molto amato e molto odiato: odiato perché? Perché la realtà spesso non piace, tantomeno piace chi la squaderna davanti e chi non la vuol vedere. Tra le ultime opere, Heroes – Suicidio e omicidio di massa, del 2013, dedicato alla relazione tra capitalismo e salute mentale, e Futurabilità, in libreria da settembre 2018 per Nero Editions. “Un lungo periodo di violenza, guerra e demenza ci aspetta” scrive in Futurabilità Bifo. Prima di quel lungo periodo, impossibile sapere quanto prossimo, Berardi è la persona giusta per sezionare il presente: tra l’Italia giallo-verde di Salvini e Di Maio e “l’inconscio orrendo” degli Stati Uniti di Donald Trump alla Casa Bianca. Tra disperazione e possibilità di una speranza. Partiamo dall’Italia. A sinistra c’è una grande isteria collettiva contro Lega Nord e 5 Stelle: per te ha senso fare opposizione così? La Repubblica, l’opinione democratico liberale, le persone perbene diciamo, vivono all’interno di una favoletta che è definitivamente uscita dalla scena, ma loro non lo sanno. Qual è questa favoletta? La favoletta secondo cui la ragione è destinata a espandere il suo governo sulla realtà dell’esistenza umana. E che purtroppo, per qualche errore, che forse hanno compiuto negli ultimi anni in cui non hanno ascoltato bene la volontà dell’elettorato, be’, quella espansione si è arrestata. Ecco, questo cosa produce nel discorso pubblico dei democratico-liberali? Produce un affannoso tentativo di ricostruire le condizioni di un consenso. Dici che a sinistra non è il caso di farsi illusioni? Non siamo di fronte a una crisi della democrazia liberale, siamo di fronte al collasso, allo sgretolamento del rapporto fra ragione umana e complessità dell’universo tecnico. Nell’ultimo libro di Yuval Noah Harari ho letto una frase che mi pare illuminante. Lui dice, cito a memoria “Nella storia dell’umanità l’intelligenza e la coscienza hanno proceduto di pari passo: una persona molto intelligente tendenzialmente era dotata anche di un alto grado di coscienza”. Ecco, questo non è più vero. L’intelligenza artificiale che supera l’uomo: vedi quello come punto di non ritorno? I congegni intelligenti sono per definizione non dotati di una consapevolezza etica o estetica. Harari osserva poi che tutto questo naturalmente diventa molto pericoloso, per il fatto che l’intelligenza appartiene sempre più a grandi agenzie economiche e tecnologiche, ed è questa la constatazione da cui dobbiamo partire. Si è determinata una contraddizione sistemica. Non congiunturale. Che modifica completamente tutti i termini della prospettiva umana. Nella contraddizione di cui parli qualcuno spera ancora di rimettere insieme i pezzi: secondo te ha senso? Tornare al governo razionale della complessità non accadrà mai più nella storia dell’umanità. È dunque proprio l’approccio strategico fondamentale che non funziona più, che è del tutto impotente. Cacciari mi fa piangere ogni volta che lo vedo, perché è una persona intelligente, perbene, non ha letto tutti i libri giusti, ne ha letti molti di sbagliati, ma non è colpa sua: il problema è che non vede l’impotenza, pensa che la politica possa ancora qualcosa. Non è così. Da Heroes a Futurabilità sono passati tre anni: la situazione è peggiorata? Non la metterei in termini di meglio o peggio. Direi che il punto è piuttosto quali vie d’uscita restino per una progettualità umana. Il punto è quanto estesa è la sofferenza che consegue ad alcune condizioni sociali, economiche, tecniche: da questo punto di vista le cose sono peggiorate e non possono che peggiorare, la sofferenza si espande. Il senso di impotenza, l’incapacità di vedere vie d’uscita è diventata ogni anno più profonda. Il centro di Futurabilità è il nostro senso di impotenza di fronte al mondo In Heroes mi sono occupato di un fenomeno, il suicidio aggressivo, che si può considerare marginale: mentre in Futurabilità mi occupo non di una questione marginale, ma di un’impotenza che è diventata generalizzata nell’intero panorama culturale e sociale. Però dall’altro punto di vista, quello di quanto margine di possibilità ci rimanga, da questo punto di vista ritengo che Futurabilità sia, trattieni le risa, un libro ottimistico. Non rido. Continua pure Il tentativo che ho fatto è quello di sottolineare come la possibilità resti intatta: la terza parte del libro è un tentativo di riformulare un programma positivo per i movimenti, per la politica in generale. Scrivi da anni di sofferenza psichica dilagante: perché questo tema rimane il grande escluso dal dibattito? La cappa è talmente fitta che non la vediamo neanche più? Perché questo tema, questo territorio che è costituito dalla intima terra straniera, dall’inconscio – e dalla sofferenza mentale – sfugge in maniera costitutiva alla ragione politica. La ragione politica non è riuscita a intercettare la dimensione inconscia nel momento e nel periodo in cui inconscio produceva felicità. A maggior ragione non può e non intende – ma soprattutto non può! – intercettarlo nel momento in cui l’inconscio produce autodistruzione, terrore e così via. Chi non coglie questo non coglie nulla. Scusa un attimo… Hai letto questo [si alza dalla scrivania, prende un libro, ndr] Hillbilly elegy, di J.D. Vance? Non l’ho letto Questo libro di J.D. Vance non è un grande libro, non è buona letteratura, però è il resoconto autobiografico giorno per giorno di un poveraccio che vive nell’America profonda, in mezzo a una realtà di ubriachezza, depressione, tossicomania, miseria, sussidi di disoccupazione, razzismo basico; e la sua famiglia di bianchi miserabili, ignoranti e potenziali assassini, potenziali suicidi… benissimo: lui riesce ad andare all’università a emanciparsi da questa situazione, però la descrive. Anche nei suoi risvolti politici. In questo, il sogno dei miserabili tra i quali è vissuto è di trovare qualcuno che sia più miserabile e debole di loro per poterlo torturare. Bene: questa è la descrizione del nostro mondo. Cacciari ha un bel da tentare l’unione delle sinistre ragionevoli; le sinistre ragionevoli non potranno mai parlare con J.D. Vance. Anche Franzen affronta i fantasmi dell’America Negli ultimi tempi mi capita spesso di parlare dei suoi romanzi, di Libertà, di Purity, soprattutto de Le correzioni, perché Franzen è riuscito a esprimere l’esplosione del cervello americano. Questo specie di dilagare di un inconscio orrendo, inconscio che deriva dalla storia di una popolazione che ha realizzato il più grande genocidio della storia dell’umanità. Un popolo di assassini che tutto a un tratto si guarda allo specchio e non vede una bella faccia. Da un paio d’anni vede la faccia di Donald Trump Provare a spiegare Trump con la politica è impossibile, sei in un labirinto, ti perdi! Franzen o J.D. Vance invece ci permettono di capirlo. Hai detto che dovremmo “ricominciare a dire noi”: come si fa? Per riuscire a ricostruire un ragionamento su come agire, per prima cosa cosa dobbiamo capire chi debba agire. Stiamo parlando di me individualmente? Di te individualmente? Oppure stiamo ragionando su una soggettività? Io questa soggettività la intravedo, ed è il lavoro cognitivo nella sua forma precarizzata. Ma non riesco a trovare le modalità di ricomposizione politica e prima che politica affettiva di questa soggettività, perché quello che è accaduto a livello soggettivo nei decenni del genocidio liberista è una decomposizione dell’empatia collettiva. Spiega meglio È svanita la capacità di riconoscere la presenza dell’altro come continuità della presenza propria. L’empatia è la capacità di sentire la sofferenza dell’altro come continuità della sofferenza propria e di sentire il piacere dell’altro come continuità del piacere proprio. Questo noi lo capiamo sul piano sessuale. Cosa è il piacere se è depauperato del piacere dell’altro? Diventa praticamente niente, non c’è. Ecco. Questa competenza empatica è stata cancellata sia dalla competizione generalizzata sul piano economico che dalla virtualizzazione della comunicazione sociale. Dobbiamo chiederci: come si ricostituisce un minimo di empatia per una entità sociale collettiva? Risposte? Non ho una risposta. Hai scritto che “Se vogliamo trovare una via d’uscita, dobbiamo guardare la bestia negli occhi”. Cosa c’è nel fondo degli occhi della bestia? Definiamo la bestia intanto: nel XX secolo a più riprese si è identificato con l’espressione “la bestia” il nazismo, diciamo il nazismo storico. Noi oggi non siamo di fronte a mio parere a una riedizione pura e semplice del fascismo, e neppure a rigore del nazismo storico, per tante ragioni. Ragioni che riguardano soprattutto la qualità soggettiva psichica, e vorrei dire demografica. Il fascismo è un fenomeno giovanile, il trumpismo è un fenomeno senile, il fascismo è un fenomeno di esaltazione della potenza virile, il trumpismo è un effetto della volontà di potenza frustrata, dell’impotenza. Però se guardiamo negli occhi la bestia che cosa vediamo? Vediamo mi pare prima di tutto l’umiliazione. In secondo luogo la paura. In terzo luogo la volontà di vendetta. Partiamo dall’umiliazione Umiliazione, paura e volontà di vendetta sono tre categorie che il marxismo non ha frequentato, invece sono decisive per capire quello affrontiamo oggi. Umiliazione: noi abbiamo a che fare con una popolazione che dagli anni ’80 in poi è stata indottrinata con l’idea secondo cui tutti ce la possono fare, a patto che siano disposti ad accettare la regola della competizione e la regola del sacrificio del tempo, della vita. Per farla breve, lavorare alle condizioni che il capitale decide ti permetterà di realizzare il sogno, americano, o italiano. La famiglia perfetta, la station wagon, il labrador… Sì, diciamo che accettare quelle regole ti permetterà di vincere. Ecco: 30 anni dopo i poveracci che hanno creduto in questa favola – cioè la grande maggioranza della popolazione occidentale – si sono resi conto che gli avevano fregato la vita. “Io ti ho dato trent’anni e alla fine tu mi prolunghi la pensione, mi dimezzi il salario, mi chiudi l’ospedale, mi privatizzi la scuola e poi mi fai anche una pernacchia?”. A quel punto non ho altra parola per definire la condizione di massa che non sia umiliazione. Come si passa dall’umiliazione alla paura? L’umiliazione si accompagna alla percezione terrorizzata che contemporaneamente c’è una massa di poveri – più poveri degli umiliati – che stanno premendo alle frontiere. E quelli fanno figli, mentre io non sono più in grado di farne, per tante ragioni. Benissimo, questa è la seconda condizione: che cosa posso fare? Vendicarsi alla cieca La sola cosa che posso fare è vendicarmi. Ma contro chi mi vendico? Contro il potere finanziario? È imprendibile, è un’astrazione. L’unica figura contro cui me la posso prendere sono quelli che mi hanno venduto al sistema finanziario. Cioè una lista di nomi che vanno da Tony Blair a Gerhard Schröder, a Massimo d’Alema, a Matteo Renzi, a Hollande. La sinistra. L’élite. Quelli lì. Quelli che avrebbero dovuto difenderti In teoria. Invece ci hanno condotto mano nella mano nell’abisso in cui ci troviamo oggi. Questo spiega tutto. A quel punto è inutile che tu gli dici “Guarda Trump, che mascalzone, che puttaniere, che ladro, che assassino” perché ti rispondono “Perfetto! È esattamente quello che mi occorre”. Non voglio un mondo migliore, se so già che non lo avrò mai. Voglio vendicarmi di Hillary Clinton. Se Trump fa piangere Hillary Clinton – e non c’è nessuno migliore di Trump per umiliare la gente – è perfetto. È la vendetta. E la vendetta non vuole sentir ragioni. Non ti importa. Quando tu ti vendichi non vuoi che te ne venga qualcosa, vuoi che il tuo nemico pianga. Basta, tutto qui. Hai parlato di paura, vendetta, umiliazione. È una paura che si riversa sullo straniero Si riversa su tutto quello che ci pare inarrestabile. E la grande migrazione è l’inarrestabile. Hai presente quel film, World War Z? C’è quella marea di zombie che cerca di scavalcare il muro… quello è un film banalissimo, abbastanza cretino, però rende perfettamente la sensazione. Ora: la sinistra perbene ha deciso di tranquillizzare la gente, dicendo “Ma no guardate, non sono cattivi, vengono qui, lavorano 10 ore al giorno, pagano la pensione per i vecchi” e così tenta di tranquillizzarli. Ma non funziona. La grande migrazione non è un fenomeno ben educato e non può esserlo. Oggi soprattutto online si dice che la verità non conti più. Ma è mai contata? Stavo per dirtelo io. È mai esistita? Il discorso pubblico è sempre stato intessuto di flussi di menzogna intenzionale o non intenzionale. E basta ricostruire la storia d’Italia degli anni ’70 ’80 per capire che insomma… le fake news non sono una novità. A me fa impazzire questa cosa: sembra che ci siamo svegliati adesso ed “Ehi, qualcuno mente!”. Come se negli anni di piombo l’informazione fosse limpida, cristallina Qualcosa è cambiato. Qualcosa è cambiato eccome, è cambiata la densità, la velocità del discorso pubblico. Siamo entrati in una condizione nella quale la possibilità di distinguere non il vero dal falso, ma l’utile dal dannoso, ciò che è utile per te da ciò che ti farà del male, ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole, non è un problema metafisico di verità, è un problema pragmatico di utilità. Bene: la capacità di distinguere è svanita. E non è svanita perché il messaggio è cambiato, ma perché la dimensione quantitativa, l’intensità del messaggio – cioè la velocità del flusso informativo – ha superato le capacità di elaborazione cosciente di cui dispone la mente umana. Il ragionamento va spostato dall’infosfera alla psicosfera. Dici che il vero disastro è lì? La forma dell’infosfera è determinante, ma il luogo in cui il disastro è accaduto è la mente umana. Occorrerebbe avere il coraggio di ricostruire la capacità critica. Perché la critica non è un dato naturale nella mente umana. La capacità di distinzione tra verità e falsità, tra bontà e cattiveria, tra questo e quello, è qualcosa che si forma particolarmente nell’epoca moderna e si fonda a partire dalla vasta diffusione del testo scritto. Dalla stampa. Noi siamo usciti da quella condizione. Il pensiero critico oggi è appannaggio di una piccolissima minoranza. Quanta gente compra i giornali nel nostro tempo? Diciamo quasi solo i pensionati Una minuscola percentuale, una minuscola percentuale di anziani. La critica non significa niente in quella che Byung-Chul Han definisce shitstorm. Nella tempesta di merda non hai tempo di valutare e neanche ti interessa molto decidere quale merda è buona e quale merda è cattiva. È merda, ci sei dentro e non ne puoi venire fuori. E quindi bisogna inventare una facoltà di autodefinizione del discorso che per il momento non è alla nostra portata. C’è tutto un filone ottimista sull’automazione, poi ci sono quelli che sostengono che il welfare ce lo pagherà Google o Facebook tra 20, 30, 40 anni. Che idea ti sei fatto di questo dibattito? È un dibattito intanto interessante. Perché tocca la questione vera, essenziale cioè la creazione di una nuova sfera produttiva, che sfugge alle caratteristiche della produzione industriale, ma che sfugge anche alle modalità politiche di governo della modernità. Si tenta di capire come quel mondo produttivo potrà ridefinire i rapporti con la società. Le soluzioni che vedo emergere fino a questo punto però mi paiono molto deboli. Perché ti sembrano deboli? Sono soluzioni che passano attraverso la sovranità dello stato nazionale. Vedi il tentativo che l’Unione Europea sta facendo di sottoporre le grandi corporation a una qualche forma di tassazione: ecco, tutto questo non dubito che sia ben intenzionato, ma mi pare inefficace. Per tante ragioni. La prima ragione è che il potere delle corporation virtuali è totalmente deterritorializzato. Google appartiene agli Stati Uniti? No. Sono gli Stati Uniti ad appartenere a Google. È questa la cosa che bisogna riuscire a comprendere. È il rapporto tra l’agente regolatore e l’agente che si dovrebbe regolare che è completamente mutato rispetto al passato della modernità. All’inizio dicevi della possibilità… La regolazione – anche se è una parola che non mi piace, è una parola debole, passata – sulle agenzie deterritorializzate può avvenire solo dall’interno. E quando dico interno non intendo la cortesia, la bontà d’animo, di Larry Page o di Mark Zuckerberg, penso agli 80mila lavoratori di Google, penso ai milioni di persone che nel mondo partecipano al ciclo di produzione della rete. Si ripartirà da lì? Quelli lì sono la soggettività che può qualcosa. Il futuro. A me interessano coloro che in quanto programmatori, in quanto designer, determinano i mutamenti dell’infrastruttura. Ecco: se noi riuscissimo a individuare e attivare politicamente questi milioni di persone inizieremmo un processo di liberazione dal semiocapitalismo, e di auto organizzazione dell’intero lavoro. Ci tengo moltissimo a dire che la capacità non è cancellata, esiste, ma per giungere a quella possibilità dobbiamo attivare una potenza: solidarietà, empatia. Non ci manca la possibilità, ma la potenza: come si attiva quella potenza? Questo è il campo sul quale indagare. Sapiens Da - http://www.spns.it/2018/10/franco-berardi-bifo |