Titolo: I dazi di Trump preoccupano alcune tra le principali famiglia del capitalismo... Inserito da: Arlecchino - Luglio 14, 2018, 06:06:46 pm ECONOMIA
Venerdì, 6 luglio 2018 - 17:51:00 I dazi di Trump preoccupano alcune tra le principali famiglia del capitalismo Gli eredi Agnelli, Bombassei, i Rocca e i Buzzi possono stare tranquilli, Colaninno, Farinetti, i Lunelli e le grandi famiglie del "pharma" made in Italy come... Di Luca Spoldi Mercati col fiato sospeso in attesa di capire se Cina ed Unione europea controbatteranno colpo su colpo ai dazi di Trump o se, almeno in Europa, vi siano spazi per trovare un'intesa concedendo qualcosa al presidente americano, in cerca di un risultato spendibile in chiave elettorale in ottobre, ma salvando nella sostanza i rapporti commerciali tra le due sponde dell'Atlantico, come ha già efficacemente sintetizzato Karl Rove sul Wall Street Journal. Un'ipotesi quest'ultima che non dispiace ad Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partner, secondo cui "i margini per trovare un accordo ci sono tutti: l'Europa è più protezionista dell'America sulle auto ma è vero il contrario sui camion e sui Suv. Ad abbassare i dazi su tutta la linea ci saranno sicuramente dei perdenti, ma nel complesso i danni saranno inferiori rispetto alla chiusura dei mercati". Anzi secondo Fugnoli un accordo con l'America, "che richiederà comunque ancora del tempo", sarebbe un grande tonico per i titoli ciclici europei "e potrebbe regalare un recupero del 5% alle borse". Ma quali sono le grandi famiglie del capitalismo italiano maggiormente esposte al rischio/opportunità rappresentato dall'attuale braccio di ferro commerciale tra Usa ed Europa? L'export italiano verso gli Usa pesa circa 37 miliardi di euro l'anno (il 2,17% del Pil nel 2017), con alcune grandi e medie aziende maggiormente esposte di altre. Nei trasporti più che gli eredi Agnelli, che grazie alla lungimiranza di Sergio Marchionne hanno saputo costruire una robusta testa di ponte negli Usa rilevando e risanando Chrysler (che ha portato in dote il marchio Jeep) qualche grattacapo potrebbe avercelo Sergio Colaninno, visto che la sua Piaggio, controllata con oltre il 53% del capitale, negli States ha una quota del 19% nel mercato degli scooter, un mercato peraltro in calo ormai ininterrotto dal 2012. Nell automotive a rischio appaiono anche i produttori di componentistica, ma non Alberto Bombassei che con la sua Brembo è già presente con tre impianti a Plymouth, Homer (entrambi nel Michigan) e Mooresville (Carolina del sud), dove lavorano in tutto quasi 700 dipendenti, così come nel settore dell'acciaio potrebbero addirittura trarre qualche beneficio i Rocca, dato che Tenaris già nel 2012 annunciò un investimento da 1,8 miliardi di dollari per l'impianto produttivo da 600 mila tonnellate di capacità annua di Bay City (in Texas), entrato in produzione nell'ottobre dell'anno passato, o i Buzzi (Buzzi Unicem), a loro volta presenti negli Usa già da anni con otto impianti per una capacità produttiva di 10,2 milioni di tonnellate/anno corrispondenti a una quota di mercato del 9%. Chissà se Trump rinuncerà alle sue cravatte Marinella: di certo per il settore moda-abbigliamento italiano, che da anni ha visto marchi come Kiton (Ciro Paone), Dolce&Gabbana (Stefano Dolce e Domenico Gabbana) o Isaia (dell'omonima famiglia di imprenditori napoletani) affiancare nomi storici come Giorgio Armani o Luxottica (Leonardo Del Vecchio), il rischio esiste, così come esiste per il settore calzaturiero (che ancora nel 2015 ha registrato esportazioni negli Usa per oltre 1,4 miliardi di dollari) che vede in Salvatore Ferragamo il suo marchio d'eccellenza. Nel campo enogastronomico, finora altro cavallo di battaglia del "made in Italy" negli States, a rischiare sono da Oscar Farinetti (la sua Eataly è già presente a New York, Chicago e Boston), ma anche la famiglia Lunelli (Cantine Ferrari), che solo lo scorso anno a fronte di risultati record segnalava di voler ancora crescere nel Nord America, secondo Matteo Lunelli "l'area con i maggiori spazi di crescita" a livello internazionale, "perché gli Stati Uniti sono il primo mercato di importazione di vino e la cultura del vino ha raggiunto un buon livello di maturità, non solo nelle grandi città". Forse non tutti sanno, poi, che uno dei settori di punta dell'export italiano è, negli Usa e non solo, la farmaceutica: così famiglie come i Menarini, i Chiesi, i Bracco, gli Angelini, ma anche i Dompé, i Marcucci (proprietari del gruppo Kedrion), i Del Bono (Mediolanum Farmaceutici) o i De Santis (Italfarmaco) non possono certo essere del tutto sereni, a differenza dei Recordati che avendo appena ceduto il controllo (51,8%) del gruppo al fondo britannico di private equity Cvc Capital Partners possono osservare l'evolversi della situazione con maggiore distacco. Da - http://www.affaritaliani.it/economia/i-dazi-di-trump-preoccupano-alcune-tra-le-principali-famiglia-del-capitalismo-549742_pg_2.html |