Titolo: Italo Calvino in dieci citazioni “da favola”. Di Amleto de Silva Inserito da: Arlecchino - Aprile 22, 2018, 10:11:58 am Italo Calvino in dieci citazioni “da favola”
Impossibile non amare Calvino, genio trasversale della letteratura italiana. In questa playlist tre opere da riscoprire (e rileggere). Perché, se fiaba deve essere, che sia scritta bene. Di Amleto de Silva Scrive Luigi Malerba: “Nei primi anni Cinquanta, quando Calvino ricevette dall’editore Einaudi l’incarico di compilare, pescando nel nostro repertorio folcloristico, una grande raccolta di fiabe italiane sul modello dei fratelli Grimm, aveva pubblicato da poco Il visconte dimezzato, che gli aveva subito procurato una gran fama di favolista”. Devo essere sincero con voi, e premettere una cosa: io detesto le fiabe. Le odio con tutto il mio cuore, da quando ero bambino. Sarà forse perché ero un mollaccione, che vi devo dire, ma tutte quelle storie di creature innocenti abbandonati nei boschi dai genitori per farli andare incontro a morti orrende, come dire, non mi hanno mai conciliato il sonno, e nemmeno divertito tanto. Col tempo, mi sono convinto che la fiaba così come la conosciamo non ha niente a che vedere col mondo dei bambini (ai quali, invece, piacciono le storie, che sono cosa ben diversa); sono anche sicuro che la fiaba, intesa come storia a sfondo moraleggiante da raccontare ai bambini, abbia due differenti funzioni: preparare i piccoli alla cattiveria del mondo, anche se in un modo decisamente balordo e confuso (per un bambino un lupo cattivo è solo un lupo cattivo, non uno stupratore, per dire), e vendicarsi di loro perché, a differenza degli adulti, hanno una vita intera davanti, e insomma cominciare a intossicargliela da piccoli ci pare una rivincita accettabile. Non è un caso che Kafka, uno che di angoscia ne capiva, diceva che non esistono fiabe non cruente. La playlist, invece, delle dieci frasi che più mi hanno colpito ne Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente. Perché, se fiaba deve essere, che sia scritta bene. 1) C’era una guerra contro i turchi. Il visconte Medardo di Terralba,mio zio, cavalcava per la pianura di Boemia diretto all’accampamento dei cristiani. Lo seguiva uno scudiero a nome Curzio. (…) Il visconte Medardo aveva appreso che in quei paesi il volo delle cicogne è segno di fortuna; e voleva mostrarsi lieto di vederle. Ma si sentiva suo malgrado, inquieto. 2) A spada sguainata, si trovò a galoppare per la piana, gli occhi allo stendardo imperiale che spariva e riappariva tra il fumo, mentre le cannonate amiche ruotavano nel cielo sopra il suo capo, e le nemiche già aprivano brecce nella fronte cristiana e improvvisi ombrelli di terriccio. Pensava: Vedrò i turchi! Vedrò i turchi! 3) Nella loro bizzarra pietà, quegli eremiti, trovato il corpo dimezzato di Medardo, l’avevano portato alla loro spelonca, e lì, con balsami e unguenti da loro preparati, l’avevano medicato e salvato. Appena ristabilito in forze, il ferito s’era accomiatato dai salvatori e, arrancando con la sua stampella, aveva percorso per mesi e anni le nazioni cristiane per tornare al suo castello, meravigliando le genti lungo la via coi suoi atti di bontà. 4) Non che io non avessi capito che mio fratello per ora si rifiutava di scendere, ma facevo fìnta di non capire per obbligarlo a pronunciarsi, a dire: «Sì, voglio restare sugli alberi fino all’ora di merenda, o fino al tramonto, o all’ora di cena, o finché non è buio», qualcosa che insomma segnasse un limite, una proporzione al suo atto di protesta. 5) Quella sera per la prima volta ci sedemmo a cena senza Cosimo. Lui era a cavallo d’un ramo alto dell’elce, di lato, cosicché ne vedevamo solo le gambe ciondoloni. 6) La mongolfiera, attraversato il golfo, riuscì ad atterrare poi sull’altra riva. (…) Così scomparve Cosimo, e non ci diede neppure la soddisfazione di vederlo tornare sulla terra da morto. 7) Ancora confuso era lo stato delle cose del mondo, nell’Evo in cui questa storia si svolge.(…) Era un’epoca in cui la volontà e l’ostinazione d’esserci, di marcare un’impronta, di fare attrito con tutto ciò che c’è, non veniva usata interamente, dato che molti non se ne facevano nulla – per miseria o ignoranza o perché invece tutto riusciva loro bene lo stesso – e quindi una certa quantità ne andava persa nel vuoto. 8) A Rambaldo successe tutto diverso da come gli avevano detto. Si buttò a lancia avanti, trepidante nell’ansia dell’incontro tra le due schiere. Incontrarsi, s’incontrarono; ma tutto pareva calcolato perché ogni cavaliere passasse nell’intervallo tra due nemici, senza che si sfiorassero nemmeno. 9) Se la potenza d’un’armata si misura dal fragore che manda, allora il sonante esercito dei Franchi si fa riconoscere davvero quando è l’ora del rancio. 10) Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non ancora fondate? quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste età dell’oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro… Le frasi più belle sui libri e sulla vita, cento citazioni da Calvino a Oscar Wilde La morte, frasi e aforismi di trenta grandi scrittori da Mark Twain a Dante Alighieri *Amleto de Silva, vignettista, autore teatrale, scrittore. Collabora con Smemoranda, Ilmiolibro.it e TvZap. Ha pubblicato Statti attento da me e La nobile arte di misurarsi la palla con Roundmidnight e Stronzology con Liberaria Da - https://ilmiolibro.kataweb.it/articolo/scrivere/11264/italo-calvino-in-dieci-citazioni-da-favola/?ref=RHPF-WN |