Titolo: Strage di VERGAROLLA: inediti segnali di attenzione (e i gabbiani innocenti) Inserito da: Arlecchino - Febbraio 11, 2018, 11:10:50 am STRAGE DI VERGAROLLA: INEDITI SEGNALI DI ATTENZIONE
Strage di Vergarolla: inediti segnali di attenzione A Pola è stata lunga e densa lo scorso 18 agosto la mattinata di cerimonie in memoria delle Vittime della strage di Vergarolla. Era una domenica come 67 anni fa. Alle 9 nel duomo cittadino mons. Desiderio Staver ha celebrato una messa solenne magnificamente allietata dal coro misto “Lino Mariani”. Nella prima fase abbiamo contato 187 partecipanti più 36 coristi: 223 in tutto. Oltre ai vertici del Libero Comune di Pola in Esilio e a diversi “rimasti”, c’erano l’on. Furio Radin, presidente dell’Unione Italiana, Giuseppina Rajko, vice-presidente della Regione Istriana, e Silvana Wruss, presidente della sezione polese della Società “Dante Alighieri”. Il sacerdote ha pregato per «i fratelli e le sorelle vittime della strage di Vergarolla», esortato l’umanità a non ripetere «il tragico rifiuto della verità e della grazia» ed invitato alla radicalità cristiana, alla chiarezza nelle scelte e alla coerenza, evitando però di scivolare sia nel fanatismo che nell’estremismo. «La nostra missione – ha osservato – è vivere secondo Cristo, senza conformarci alla mentalità di questo secolo. La ricompensa sarà la vita eterna». Al termine della funzione religiosa il connazionale Roberto Hapacher Barissa, neo-socio del Libero Comune di Pola in Esilio, ha letto la sua toccante poesia intitolata 18 agosto 1946: Piangeva il bimbo senza la madre,/ il fratello e l’eroico padre/ che perse i figli (!), ma continuò a salvarne altri,/ pianse forse anche il Giuda traditore/ se aveva un po’ di cuore,/ impazziva il bianco gabbiano spuntando dal fumo nero,/ e qualcuno ebbe il coraggio di dire che non era vero./ Pola cadde in ginocchio sotto il sole!/ Oh Vergarolla, spiaggia di sangue e di crude urla/ che echeggiano nell’aria spinta dal vento/ Là dove erano in cento o più!/ Vergarolla, sei la tomba eterna dell’anima nostra,/ Vergarolla il mare ti bagna,/ ma nemmeno lui può farlo più delle nostre lacrime. Il coro “Mariani” ha infine eseguito il Va, pensiero accompagnato dal pubblico. In contemporanea una delegazione della Comunità degli Italiani di Pola deponeva nel cimitero di Monte Ghiro una corona presso la tomba della famiglia Saccon, dove sono sepolte 26 persone che persero la vita in quel fatale 18 agosto 1946. Poco dopo ha fatto altrettanto una delegazione dell’LCPE insieme a Furio Radin e a Livio Dorigo, presidente del Circolo “Istria”. Il gruppo ha quindi celermente raggiunto la riva antistante la Capitaneria di Porto, dove ad attenderlo c’era il battello Ulika, sul quale già si erano imbarcati altri partecipanti alle cerimonie e che è subito partito. Davanti alla spiaggia di Vergarolla, in un simbolico scambio di ruoli, Fabrizio Radin, vice-sindaco e presidente della CI di Pola, ha lanciato in mare la corona dell’LCPE, mentre Tullio Canevari, sindaco dell’LCPE, quella congiunta della Città e della CI di Pola. Ha presenziato anche Ardemio Zimolo, vice-presidente del Consiglio comunale. Tornata rapidamente a riva e scesa dal battello, la rappresentanza si è diretta alla volta del parco Vittime di Vergarolla per le allocuzioni ufficiali presso il cippo. «Questa – ha spiegato Fabrizio Radin – è l’ultima stazione del percorso commemorativo per rendere omaggio alle Vittime dell’esplosione, che rimangono nei nostri cuori, ed è anche un luogo simbolo che accomuna esuli e rimasti. La tragedia di Vergarolla ha infatti avuto ripercussioni determinanti sia per coloro che hanno intrapreso la strada dell’esilio sia per coloro che sono rimasti sapendo di diventare una realtà minoritaria. Ora guardiamo con ottimismo al futuro». Francesco Peroni, assessore della Regione Friuli Venezia Giulia, si è detto commosso di poter partecipare alla cerimonia in rappresentanza della presidente Debora Serracchiani. «La strage di Vergarolla – ha dichiarato – fu l’antesignana di quella che oggi consideriamo la peggiore manifestazione del terrorismo internazionale. Sia la memoria occasione e nuovo fondamento di fratellanza e comunanza nella riconciliazione e sia occasione di risurrezione collettiva e morale nello spirito di pace degli ideatori della Comunità Europea». «Sono stato testimone – ha detto Livio Dorigo – di quei tragici giorni insieme a Lino Vivoda, che perse il fratellino. Pola era allora qualcosa di indescrivibile. All’interno delle stesse famiglie vi erano dissapori e anche di più. Ma ora invoco il sentimento della pace. Che il dolore si sublimi nella pace. E’ questo il messaggio che dobbiamo trarre dal cippo. Che questo messaggio accompagni voi, i vostri figli e i vostri nipoti». «E’ la commozione – ha osservato Tullio Canevari – il sentimento che ci prende ogni qual volta siamo davanti a questo cippo, poiché sappiamo cosa significa. Alla commozione però si unisce il rammarico per la sua incompletezza. E’ stato importante averlo collocato, ma gli altri non sanno cosa significa e non è giusto che sia così. La Comunità degli Italiani ha già fatto un passo ufficiale affinché venga completato con i nomi e le età delle vittime riconosciute. Molte di queste erano bambini, che non manifestavano pro o contro qualcuno. Nel cammino di amicizia tra polesani rimasti e non più residenti, sarebbe questo un segno sia di esecrazione verso quanti hanno compiuto tale gesto sia di pietà verso le vittime». Marco Salaris, incaricato d’affari dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria, ha espresso a nome dell’ambasciatore Emanuela D’Alessandro «viva soddisfazione per questo clima positivo e costruttivo tra chi è rimasto e chi è partito». «Siamo – ha aggiunto – tutti italiani ed ora anche europei. Insieme facciamo in modo che queste vittime non vengano dimenticate». E’ dispiaciuto vedere la foto del dott. Micheletti scheggiata in giugno da alcuni ragazzi che giocavano nel giardino e ai primi di agosto da un ubriaco passato di lì con la bici. Alle allocuzioni è seguita la posa delle corone, disturbata da pochi smaniosi di protagonismo che hanno declamato slogan, aperto uno striscione rivendicante «Giustizia per i 20.000 italiani infoibati e uccisi in Istria, Fiume e Dalmazia» e fatto sventolare una bandiera italiana. Tra loro c’era Romano Cramer, segretario del Movimento Nazionale Istria Fiume Dalmazia. A calmare le acque ha contribuito un giovane trombettista connazionale dell’orchestra di fiati cittadina suonando il Silenzio. In seguito diversi partecipanti si sono recati nella sede della CI di Pola per un rinfresco. Hanno comunicato la loro vicinanza a organizzatori e parenti delle vittime gli on. Sofia Amoddio, Tamara Bla�ina, Laura Garavini, Rosa Villecco Calipari e Giorgio Brandolin (PD) e il sen. Claudio Zin (Autonomie-PSI-MAIE). L’on. Garavini ha inoltre inviato un saluto giudicando «deprecabile il fatto che in Italia praticamente ancor oggi non si conosca, o si sappia molto poco, di un dramma tanto grande che ha colpito duramente la comunità nazionale italiana a Pola poco dopo la fine della seconda guerra mondiale». «Sembra ormai molto verosimile – ha scritto – che la morte di così tanti innocenti, radunatisi a centinaia in occasione di un evento sportivo e conviviale, non sia stata una drammatica casualità, ma l’effetto di un atto di terrorismo criminale freddamente pianificato. Ciò ne fa la più grave strage di connazionali dal secondo dopoguerra. Anche se è troppo tardi per chiedere e rendere giustizia, come deputata eletta dai connazionali residenti nella circoscrizione Estero-Europa ritengo mio dovere fare il possibile affinché le circostanze della strage vengano ulteriormente approfondite e studiate, perché l’opinione pubblica italiana prenda finalmente coscienza dell’importanza di questa tragedia e per la tutela della memoria del tragico fatto nella propria storia nazionale. Propongo di discutere insieme la possibilità di promuovere nei prossimi mesi l’istituzione ufficiale di una commissione di storici indipendenti, incaricata di fare il punto sulle cause della strage, anche alla luce delle testimonianze dei superstiti e degli importanti documenti ritrovati negli archivi inglesi solo pochi anni fa. Mi preme, infine, ribadire e confermare il mio pieno appoggio alla Vostra preziosa attività, anche in vista di prossime Vostre future iniziative». Rilevante anche il messaggio della presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani (PD). «La strage di Vergarolla, per le modalità subdole e indiscriminate con cui fu perpetrata, ma anche per la cortina di silenzio e di travisamenti che a lungo l’avvolse, è senz’altro – ha rilevato – uno degli episodi più cupi del secondo dopoguerra, paragonabile a pochi altri in Italia. Verso quei morti innocenti abbiamo ancora un debito morale, che possiamo tentare di estinguere soltanto con la pratica attiva della pietà e della condivisione del dolore. E’ tuttavia confortante verificare come il tempo, le generazioni, e soprattutto l’impegno delle donne e degli uomini raccolti nelle varie associazioni e comunità degli italiani rimasti e degli esuli abbiano saputo pervenire, giungendo da strade diverse, a questo fondamentale punto di umana comunione, che si riconosce nei morti e nell’onore che si rende loro. Pure non solo di dolore è fatta la storia di questa terra d’Istria, cui finalmente guardiamo come a una sorella ritrovata e ricongiunta nel grande abbraccio dell’Europa. Questo è un luogo di bellezza, d’ingegno e di tenacia, e per questo incitiamo e sosteniamo l’opera di coloro che qui vivono e lavorano, mantenendo vive le radici della lingua e delle tradizioni. Con lo stesso rispettoso impegno ci adoperiamo affinché abbiano giuste garanzie anche coloro che le radici ebbero strappate e videro troncata la possibilità di tramandare altro che non fosse la memoria». «La Regione Friuli Venezia Giulia ed io personalmente – ha concluso – rinnoviamo il cordoglio ai parenti delle vittime della strage di Vergarolla e auguriamo che sempre più forte si manifesti la volontà di concordia e di rinascita nel giusto ricordo». Un apprezzabile messaggio è giunto pure dal sen. Lucio Toth, presidente onorario dell’ANVGD. «Noi tutti – ha scritto – ricordiamo e onoriamo, con affetto e dolore, le stragi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, di Portella della Ginestra, di Marcinelle, di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, di Ustica e della Stazione di Bologna. Ma di questi morti di Pola – città ancora italiana in quell’agosto 1946, città appartenente alla Repubblica Italiana nata da due mesi, quantunque occupata dal governo provvisorio alleato, come all’epoca l’Italia intera liberata l’anno prima – non si parla, perché furono vittime dei servizi segreti di Tito (OZNA) che fecero brillare le mine navali lasciate tra spiaggia e pineta, disinnescate dagli alleati e quindi inoffensive. Ma qualcuno il mattino del 18 agosto innescò un congegno esplosivo a distanza e le trasformò in micidiali strumenti di morte. Era un’operazione terroristica per intimidire la popolazione, che nella primavera successiva abbandonò la città con un esodo del 90%. L’Italia di oggi di questi italiani non ricorda niente, né con affetto né con dolore o indignazione. Meno italiani di altri! Meno morti di altri!». La Comunità Croata di Trieste ci aveva annunciato, riferendosi alle «povere vittime della strage di Vergarolla», che sarebbe stata presente «con il pensiero e la preghiera». «Sarò con voi con il mio cuore» ci aveva comunicato la sera prima l’empatico cantautore e attore romano Simone Cristicchi. Anche a Trieste si sono svolte il 18 agosto cerimonie analoghe promosse dalla Federazione Grigioverde (che riunisce le associazioni combattentistiche e d’arma della provincia) e dalla Famiglia Polesana (aderente all’Unione degli Istriani). La mattina si è reso omaggio in piazzale Rosmini al monumento al dottor Geppino Micheletti e alle 19 al grande cippo onorario sul colle di San Giusto, dove era presente il sindaco di Trieste e una delegazione dell’LCPE con il proprio labaro. Romano Manzutto ha scandito i nomi e le età delle 64 Vittime identificate. Don Roberto Gherbaz, esule da Lussinpiccolo, ha recitato una preghiera, dopodiché il gen. Riccardo Basile, presidente sia della Federazione Grigioverde sia della Famiglia Polesana, ha tenuto un’intensa allocuzione. «Tutti – ha affermato – sapevano in quali ambienti dovesse essere cercato l’assassino! Le Autorità convennero subito sull’ipotesi dell’attentato ma... resero presto noto di non aver trovato colpevoli, insabbiarono le ricerche e archiviarono il caso. Mentirono! Il novello Erode, spietato uccisore di bambini, e con lui i suoi complici, era stato identificato fin dai primi giorni, come pure i mandanti della strage! Ma l’ordine di scuderia, ai più alti livelli, era di tacere! Per anni, dell’eccidio di Vergarolla era meglio non parlare. Era un argomento “scomodo”, al di là, ma anche al di qua, del confine!». «Sono ormai di dominio pubblico – ha aggiunto – le generalità degli assassini, gli scopi dell’attentato e le responsabilità dei mandanti, ma la cosa pare che riguardi solo gli Esuli! In troppi ancora, specie in alto loco, fanno finta di non sapere! Vorremmo, all’ombra del Tricolore – perché, non dimentichiamolo, è per colpa della loro Italianità che sono stati trucidati quei Polesani – udire non solo lodevoli parole di auspicio ad un comune futuro di Pace e di Progresso, ma anche schiette espressioni di condanna per gli assassini e la perversa ideologia animatrice. Ancora una volta siamo qui a invocare Verità e Giustizia». E’ seguito l’ammainabandiera al canto dell’Inno di Mameli. Paolo Radivo © 2018 Arena di Pola Joomla! un software libero rilasciato sotto licenza GNU/GPL. Da - http://www.arenadipola.it/index.php?option=com_content&task=view&id=765 Titolo: VERGAROLLA deve esistere nella memoria, se vogliamo la pace. Inserito da: Arlecchino - Febbraio 11, 2018, 11:19:22 am Storia. La strage di VERGAROLLA: 70 anni dopo, la rivelazione Lucia Bellaspiga domenica 14 agosto 2016 Il 18 agosto, settant’anni fa, era una domenica di sole. Per questo, e perché quel giorno si svolgevano importanti gare di nuoto, sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola (Istria, allora Italia) erano accalcati almeno duemila polesani, intere famiglie, molti bambini. È in mezzo a loro che alle 14 e 15 esplosero 28 ordigni. I resti di un centinaio di persone arrossarono il mare e ricaddero a brandelli sulla pineta per centinaia di metri. Erano bombe antisommergibile e testate di siluro disinnescate da tempo, al punto che i bambini ci giocavano ogni giorno a cavalcioni e le madri vi stendevano i costumi ad asciugare, ma ore prima una mano assassina le aveva riattivate. Si era in tempo di pace, la guerra era finita un anno e mezzo prima, la Repubblica Italiana era nata da due mesi e mezzo: quella di Vergarolla è dunque la prima e la più sanguinosa strage terroristica nella storia della Repubblica, più di Piazza Fontana, più della Stazione di Bologna... Ma fu subito insabbiata e per quasi settant’anni coperta da una congiura del silenzio, in attesa che il tempo eliminasse via via i testimoni e cancellasse ogni ricordo. Se per le grandi stragi successive decenni di indagini non sono bastati a fare chiarezza su mandanti ed esecutori, ancor più Vergarolla è rimasta avvolta in un sudario di omertà e oblio, e solo due anni fa, quando testimoni e indizi erano quasi scomparsi, sono usciti i primi studi di giovani storici. Ci sono ancora voci di chi può ricordare, per lo più bambini di allora, oggi ultra ottantenni, che conservano negli occhi il flash incancellabile di madre e padre ridotti in poltiglia («Di mia mamma fu trovato un dito, fu riconosciuto dalla fede»), un fratello o una sorella mai più ritrovati, «l’urlo dei gabbiani che si avventavano sul mare contendendosi i resti umani» ... Antonio Riboni sulla spiaggia di Pola Ma fino a oggi nessuno che potesse raccontare il retroscena, che fornisse cioè l’indizio prezioso per confermare di persona quanto le carte degli archivi di Londra, Washington, Zagabria, Roma e Belgrado hanno da sempre avvalorato: che dietro l’eccidio di italiani ci fossero il maresciallo Tito e la polizia segreta jugoslava. Retroscena e indizio che oggi, per la prima volta, arrivano dall’altra parte del mondo: «Chi furono i mandanti a Vergarolla? La gerarchia titina, presente a Pola in quel primo dopoguerra! E tra di loro, purtroppo, anche nomi di vecchi polesani, per ideologia comunista alleatisi con Tito», afferma dall’Australia Claudio Perucich, partito da Pola a sette anni nel 1949, due anni dopo il massiccio esodo di italiani che nel 1947 svuotò la città lasciandola agli jugoslavi. «Ho molte memorie vive di quei tre anni passati sotto l’oppressivo regime jugoslavo, ma il più dei ricordi è basato su ciò che mia madre non ha mai smesso di confidarmi per tutta la vita. In particolare la storia di suo fratello, mio zio Antonio Riboni, morto a 33 anni perché non sopportava più il peso della coscienza. Una morte da cui mia madre non si è mai ripresa, come non si riprese mai dall’odiosa permanenza di mio padre in un lager titino nel ’48 e ’49, che poi ne causò la prematura scomparsa a soli 54 anni...». Antonio Riboni era di ideali socialisti, «era anche lui membro di quella gerarchia», ma non per questo disposto a tradire l’Italia e caldeggiare l’annessione di Pola, dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, come invece altri italiani obbedienti a Togliatti. «Quel 18 agosto 1946 anche zio Antonio era a Vergarolla con amici per una nuotata, aveva 31 anni e per due anni era stato con i partigiani. Sorpreso di vedere tanta folla seduta attorno a quelle mine, suggerì agli amici di allontanarsi da lì, salvando loro la vita. Mio zio conosceva gran parte delle persone rimaste uccise quel giorno, era tutta gente nostra e questo lo devastò dentro. Voleva sapere, voleva capire chi era stato e iniziò a indagare nei suoi ambienti, essendo lui connesso al comando filo titino di Pola». Il farmacista Antonio Rodinis fotografò il tragico "fungo" dell'attentato Proprio per questi suoi legami, e per aver suggerito agli amici di allontanarsi dagli ordigni, nonostante tutti sapessero che erano stati disinnescati e più volte controllati dagli artificieri anglo-americani, lui stesso entrò nella lista dei sospetti del governo militare alleato, che subito aveva aperto un’inchiesta. Ma Antonio Riboni non si diede per vinto e di nascosto dai compagni di partito continuò a indagare, finché ottenne la verità che cercava «e quello che seppe lo lasciò distrutto», riferisce il nipote. «Si sentiva in parte responsabile per la miserabile sorte della sua Pola e per quegli orrendi eventi. Aveva perso la voglia di vivere...». Un anno dopo non resse più. «Prima di morire, però, rivelò tutto a mia madre, ammonendola di non riferire a nessuno ciò che aveva scoperto, pena minacce di morte per tutta la famiglia, anche se quei suoi compagni di ideologia erano stati suoi amici fin dai tempi della scuola». Come non bastasse, proprio lui che aveva sempre avuto un cuore socialista veniva ora marchiato come “fascista” «dal nuovo comando di Pola, che loro chiamavano Pula, in quanto italiano». Laggiù a Melbourne Perucich non dimentica nulla, la sua casa è un forziere di foto, libri, cimeli. «Mia madre era l’enciclopedia di storia della famiglia, la voce di tanti racconti tra i polesani che qui, esuli e lontani da casa, si riunivano. Non voleva che la verità andasse perduta... Ora io, dopo settant’anni di schiaffi e tre parenti morti perseguitati o di disperazione, sciolgo il peso portato tutta la vita sulle spalle. Anche se fa amarezza che l’Italia in questi settant’anni non abbia mai mostrato interesse per questa tragedia nazionale né abbia voluto sapere». Che non si trattò di incidente, ma di attentato terroristico fu chiaro da subito a Scotland Yard che indagava (Pola nel ’46 era sotto un governo militare anglo-americano che la proteggeva dai titini in attesa che a Parigi le grandi potenze decidessero se lasciarla all’Italia o cederla alla Jugoslavia), ed era evidente a tutti, pur senza rivendicazioni, che il mandante era Tito, ma oggi per la prima volta il racconto di Perucich consente di andare oltre le ipotesi e offre la testimonianza concreta che mancava. Con un eccidio tanto efferato, che colpiva la popolazione civile in un giorno di festa e uccideva decine di bambini, Tito spezzava il sogno di una cittadinanza ancora convinta che Pola sarebbe rimasta italiana. Non scordiamo infatti che solo tre giorni prima, il 15 agosto 1946, migliaia di giovani erano accorsi nell’Arena romana per una manifestazione patriottica cantando Va, pensiero e sventolando i tricolori... E che il 17 agosto, giorno precedente la strage, a Parigi si chiudeva la sessione plenaria della Conferenza di pace e ci si accingeva a decidere sui confini adriatici d’Italia, dunque i giochi non erano chiusi e i polesani speravano ancora. Vergarolla segnò la fine di Pola e l’inizio dell’esodo, ma fu anche la prova generale della guerra fredda a livello internazionale e dello stragismo d’Italia nei decenni a venire. Tito, dittatore comunista, ma avversario di Stalin, andava blandito e così l’Occidente (Italia compresa) archiviò la mattanza. Mai un presidente della Repubblica su quella spiaggia, mai una pagina sui libri di scuola, Vergarolla non esiste. E non esisterà, nemmeno in questo anniversario, sui giornali e nei notiziari. © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - https://www.avvenire.it/agora/pagine/vergarolla-1 |