Titolo: Gianfranco D'ARONCO. NIEVO e l'enigma della Pisana a 150 anni dal capolavoro. Inserito da: Arlecchino - Novembre 30, 2017, 04:52:33 pm Sei in: Archivio > Messaggero Veneto > 2008 > 06 > 23 >
Nievo e l'enigma della Pisana a 150 anni dal capolavoro Di GIANFRANCO D'ARONCO Esattamente 150 anni fa Ippolito Nievo stava scrivendo a Colloredo di Monte Albano il suo capolavoro, Confessioni di un italiano, concluso il 16 agosto 1858, ma che lui non vide mai pubblicato avendo trovato una morte tragica nel Tirreno tre anni dopo. Un tema che ha sempre appassionato gli studiosi e i lettori riguarda il personaggio principale del libro, la Pisana: a chi Ippolito si ispirò? Era un donna vera, appartenente alla vita dello scrittore, o in essa venne delineata una figura inventata? Nel 1949 al tema il dottor Luigi Ciceri dedicò un bellissimo libro, edito dalla rivista Tesaur, nel quale indicava chiaramente in Pisana di Prampero la donna raccontata da Nievo. E su tale ipotesi disse la sua subito dopo il professor Gianfranco D'Aronco con l'intervento che qui sotto proponiamo e riapparso su Miscellanea di studi e contributi(1945-2000), libro stampato dalla Filologica friulana nel 2003. Pisana è esistita? La protagonista delle Confessioni di un italiano, dalla personalità sconcertante, dal carattere irrequieto e caldo, egoista e generoso, timido e sfrontato insieme, è stata colta dalla vita reale, o è creatura dell'estro poetico di Ippolito Nievo? Io penso che le ricerche intorno a Pisana, come quelle intorno a Maria o a Fiammetta o a Nerina o a Silvia, non interessano gran che gli esteti. Piuttosto possono fornire ai biografi nuova materia per i loro studi. Che giova sapere, per l'intelligenza del romanzo nieviano, se la Pisana era veramente Pisana di Prampero, che il poeta garibaldino conobbe negli anni della puerizia, o se fu esclusivamente creatura poetica? Senza dubbio la scelta del nome, voluto da Ippolito, dovette essere un omaggio per la compagna di scorribande fanciullesche. Ma forse nulla di indicativo per la biografia nieviana dobbiamo cercare nella figura di questo abbozzo di donna, che fu la compagna di Carlino. È vero che esistono delle rassomiglianze tra Ippolito e Carlo («in me vizi, virtù, passioni, tutto discende precipuamente dal cervello» ...), ma trattasi più che altro di pretesti, di spunti reali, da cui la creazione d'arte doveva prender le mosse. Insomma la storia di Pisana di Fratta non è la storia di Pisana di Prampero, la contessina friulana andata sposa nel 1857 a un amico di Pasteur, il dottor Luigi Chiozza. Pisana di Prampero, che era nata a Udine nel 1837 (aveva dunque sei anni di meno d'Ippolito), «aveva capelli biondi, pettinati lisci con riga al centro e raccolti sulla nuca, occhi castani, volto ovale». Così attestava un discendente della famiglia di Prampero a Luigi Ciceri, che alla Pisana e al Nievo intimo ha dedicato un volume uscito pochi mesi fa, che s'intitola appunto Pisana: ricco di riproduzioni e stampato per le edizioni del Tesaur di Udine. Oltre che sulla base delle Confessioni e del Varmo, la vita di Ippolito si può anche e soprattutto ricostruire in base alle lettere che di lui ci rimangono. Dal 1850, l'epistolario nieviano è, si può dire, giornaliero. Nel suo eterno peregrinare da Udine a Mantova, da Padova a Colloredo, Nievo si portava in tasca penna e calamaio. Viaggiava spessissimo a piedi. «Amava giungere improvviso nelle case amiche e spesso partiva di buon mattino, insalutato ospite. Era un ospite di facile accontentatura, ma di somma indipendenza. Spesso allestiva da sé il letto, e dormiva ravvoltolato nelle lenzuola, come in un sudario». In questi vagabondaggi, da questi incontri col mondo, dovette nascere Pisana di Fratta. E Pisana di Fratta, col suo carattere contraddittorio, talora di donna posata, autoritaria e dolce, non possiede certificato di nascita negli uffici anagrafici di questo mondo. Essa è nata nel mondo della poesia. Esso è la creatura ideale, costruita da Ippolito che non ebbe dalla vita una Pisana terrena – anche se amò altre come la Matilde Ferrari e la Bice Melzi –. Ma la ebbe dal suo genio. «Ogni creatura d'arte è figlia legittima solo del genio creatore, e la realtà esterna agisce al massimo come stimolo, che viene sentito, ed è artisticamente utile, a patto che trovi la sensibilità dell'autore potenzialmente inclinata»: così il Ciceri, nel suo libro asciutto, ma denso di osservazioni personali e acute. Del resto, qual è più viva oggi: la Pisana che fu, o quella che mai non visse, se non nella mente di Ippolito? Pisana di Prampero morì, come si sa, nel 1858, per lesioni tubercolari complicate dal parto. Pisana di Fratta nacque invece allora, e ancor oggi vive tra gli innamorati delle lettere. Ippolito doveva seguirla tre anni dopo: trentenne. A trent'anni molti autori prendono le mosse per produrre qualcosa di duraturo. Ippolito aveva già provveduto a lasciare l'eredità. Ma non poteva prevedere di concludere così presto e così tragicamente la sua fatica. In Sicilia doveva aver presente il cielo di Colloredo, nonostante la divisa militare che lo imprigionava e i pericoli e le preoccupazioni. «Nessuna cosa più mirabile ancora di quel lucido orizzonte» (le proprie parole dovevano rintronargli forse all'orecchio) «che fugge all'occhio per mille tinte diverse sulle sponde del Tagliamento, quando il sole, imporporando il proprio letto, accerchia in tremulo argento i molti fili di acqua scorrente come rete per vaste ghiaie». Allora comprendiamo l'ansia con cui dovette scrivere l'ultima sua lettera (del 23 febbraio 1861: novant'anni or sono); lettera piena di struggevole nostalgia della terra materna. «Meno male», scriveva, «che giovedì o alla più lunga domenica questa vitaccia sarà finita, e rivedrò Napoli e Genova e Milano. Prima della metà di marzo conterei di tentare per due o tre giorni la cura dei tortelli...». Ahimè, quelle fanciullesche pressioni, confidate alla Bice, come desolatamente dovevano naufragare! ... Nell'attimo estremo, quando le onde si accavallavano sul suo corpo giovinetto, pensò Ippolito a dei capelli biondi «pettinati lisci con riga al centro»? «Meno male che questa vitaccia sarà finita». Mancavano poco più di due mesi al naufragio. 23 giugno 2008 sez. Da - http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/06/23/GO_19_SPEB3.html |