Titolo: Maria Zegarelli. Prodi spinge l’Ulivo: non è irripetibile, uniti in un mondo... Inserito da: Arlecchino - Gennaio 24, 2017, 05:26:40 pm Focus
Maria Zegarelli - @mariazegarelli 22 gennaio 2017 Prodi spinge l’Ulivo: non è irripetibile, uniti in un mondo che si disgrega L’ex premier: con Trump e Brexit o si sta insieme o si finisce male. Guerini: Mattarellum mezzo migliore Quella di un centrosinistra unito non è una stagione finita, tanto più adesso. Ne è convinto il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, che dice «non penso sia un’esperienza irripetibile. Non penso sia irripetibile, soprattutto dopo quello che sta succedendo. Il punto, poi, non è se ci sia o meno un nuovo Prodi, come auspica l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani, «non mi interessa, non partecipo a questo dibattito. Io vedo che la gente, in questo mondo che si disgrega, ha bisogno di sentirsi unita, con Trump, con la Brexit, con le crepe che arrivano dappertutto. Io vedo che c’è un naturale desiderio di riunirsi ma è uno sforzo che non mi sembra impossibile». Prodi guarda all’America di Donald Trump, a quel discorso pronunciato l’altro ieri che sembrava un frullato di populismo e protezionismo. «È proprio la rivoluzione del mondo -dice-. Quando uno parte dicendo, ‘America first’ l’America prima contro gli altri, perché questo è il discorso di Trump, questo ci rende preoccupati. Io lo interpreto subito come una necessità dell’Europa di mettersi assieme perché di fronte a un’America che vuole rompere i rapporti, a un’America che mette muri è chiaro che noi o siamo uniti o finiamo male». È questo il cruccio del Prof che pensa al ruolo di un centrosinistra unito e forte in Italia e dunque del ruolo del nostro Paese a Bruxelles per porre un argine alle tentazioni populiste. Ma il cammino è tutt’altro che facile. A Milano ci sta provando Giuliano Pisapia con il suo Campo progressista, mentre a Roma Sinistra italiana si dilania e rischia, proprio su questo di implodere. E ci prova il Pd, con l’obiettivo di allargare il suo orizzonte e aprirsi ad un mondo più vasto di quello che finora si riconosce nei dem, ma l’impresa è complicata perché prima di tutto nel Pd è in atto una battaglia tutta interna. «Penso che siano parole sacrosante e che sia l’ora, per chiunque la pensi così, di metterci impegno e generosità», commenta l’ex segretario Pier Luigi Bersani facendo appello quanti vogliono costruire un’alternativa al Pd renziano. «In queste settimane – aggiunge Davide Zoggia- ci sono state diverse prese di posizione da D’Alema a Orlando, Boldrini, da ultimo Grasso». Gelido il commento di Roberto Speranza: «Per unire il centrosinistra è indispensabile rimettere al centro la questione sociale e archiviare la stagione dell’uomo solo al comando». Lorenzo Guerini, il numero due del Nazareno dice di aver «molto apprezzato le parole di Romano Prodi sul riformismo e il lavoro che attende il campo progressista. Un impegno che prosegue e trae nuova forza dall’analisi dell’ex Presidente della Commissione Europea. È per questo, ad esempio, che il Pd ritiene proprio il Mattarellum lo strumento migliore per corrispondere alla sfida dell’Ulivo». Meno ottimista e più polemico il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Ivan Scalfarotto, «scontato provare a lavorare a un centro sinistra unito. Tanto che lo facciamo dal 1996e ci è andata sempre male…». La dimostrazione, aggiunge, è l’intervista di Massimo D’Alema che «non aiuta il lavoro in quella direzione. Così come non aiutava nel 1996. Bisogna essere in due per ballare il tango, dicono gli inglesi». Dunque meglio guardare altrove per il sottosegretario, a realtà «come a Milano, con Pisapia e Sala, e Cagliari, con Zedda» anziché a chi ha lavorato «per affossare le riforme». Alla fine, di fatto, il tema resta la ferita aperta con il referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale per il quale un pezzo di Pd si è saldato con le altre opposizioni. Tanto più che ora i Comitati per il No cercano di mettere a frutto la propria struttura per tentare la scalata dentro il Pd e far fuori l’attuale segretario Matteo Renzi. La lotta intestina che si ripete dalla nascita del Pd. Ruota anche attorno a questo tema il tentativo di una buona fetta di dem di far arrivare la legislatura fino al 2018: logorare Renzi per provare a prendersi il partito prima e il governo poi. D’Alema e Bersani oggi su un obiettivo sembrano vicinissimi: riprendersi la Ditta. «Con Renzi non vinceremo mai. Dobbiamo trovare un nuovo leader», ha detto qualche giorno fa l’ex premier. Speranza punta al Nazareno, mentre per Palazzo Chigi si lavora “al nuovo Prodi “per il quale Bersani assicura di avere in mente un nome preciso. Nel frattempo tutto è sospeso nel Pd. Perché anche lo schema con cui si arriverà al voto è fortemente condizionato da quanto deciderà la sentenza della Consulta sull’Italicum. Soltanto allora si capiranno le mosse di Renzi e dunque il tavolo che si aprirà, e con chi, per una legge elettorale. Se dovesse andare come raccontano i rumors, cioè bocciatura sonora del ballottaggio, il risultato sarebbe un proporzionale con sbarramento al 3% e, se non toccato, premio di maggioranza per chi supera il 40%. Secondo il giurista Stelio Mangiameli, «la Corte può sicuramente demolire il ballottaggio. Quello che non può fare è interferire con la discrezionalità del legislatore. – spiega all’Ansa – Uno dei punti più deboli dell’Italicum, sottoposto all’esame della Corte, è quello dei capilista. Nella sentenza sul Porcellum del 2014 la Consulta aveva detto che spetta all’elettore stabilire chi eleggere: deve essere rispettata la regola della riconoscibilità dei candidati. Questo si può ottenere con collegi piccoli, tendenzialmente uninominali o con pochi candidati; oppure prevedendo il voto di preferenza, come fa l’Italicum, che però esclude da questo criterio il capolista, che è “bloccato”, indicato dai partiti e sottratto al voto di preferenza. Una scelta contraddittoria che non si giustifica». Nel frattempo tutto resta immobile. Da - http://www.unita.tv/focus/prodi-spinge-lulivo-non-e-irripetibile-uniti-in-un-mondo-che-si-disgrega/ |