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Titolo: Aria di tempesta perfetta
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 31, 2016, 02:25:11 pm
   Aria di tempesta perfetta
Se il 2016 non vi è piaciuto abbastanza è perché non avete ragionato su quanto nefasto può essere il 2017.
Eppure è almeno prematuro dichiararsi sconfitti.
Ecco qualche spunto di riflessione per chi non vuole arrendersi, o per chi vuole farlo con consapevolezza. E, in coda, gli auguri.

30/12/2016   

Se il 2016 vi è sembrato un anno preoccupante, magari è perché non avete ragionato a fondo su quanto ci aspetta nel 2017. Siamo nella stagione più instabile da anni, viviamo gli effetti del lungo e pesante sciame sismico che dal 2008 colpisce l’economia del continente, minandone la capacità politica e le potenzialità di sviluppo. 

 La crisi finanziaria (cominciata per la verità negli Stati Uniti) ha messo al tappeto le banche europee e a dura prova i debiti sovrani. Ha generato recessione e fiaccato la crescita. Ha fiaccato la fiducia e scatenato una tempesta perfetta da cui populismi e nazionalismi sono usciti drammaticamente rafforzati.

 La combinazione di tutto ciò ha spazzato via ogni vera leadership tradizionale, costringendo i governi a errori gravi, a partire dall’attacco alla Libia. La cattiva gestione delle crisi esterne, frutto della debolezza generalizzata, ha gonfiato il flusso dei migranti disperati che il solito conflitto siriano bastava a rendere allarmante e tragico. L’instabilità e l’insoddisfazione hanno favorito il diffondersi del terrorismo. Vista in prospettiva, se va male rischiamo di essere rovinati.

 Le cattive notizie si susseguono. I flussi dei rifugiati si sono fermati solo per mezzo di un pericoloso accordo a doppio taglio con l’alleato più scomodo fra quelli possibili per l’Europa, la Turchia. Il golpe antiErdogan, e la violenta reazione normalizzatrice del Sultano, hanno reso meno sicura la prospettiva che l’intesa continui a funzionare. Gli ammiccamenti con la Russia di Putin aggiungano dubbi al dubbio. I piani "migranti" approvati a Bruxelles non hanno avuto il loro naturale seguito nelle capitali, i leader hanno detto una cosa durante i vertici, e ne hanno fatta un’altra una volta tornati a casa.

Colpiti dal terrorismo, i Ventotto non hanno dato l’unica risposta che avrebbero dovuto, unirsi sino in fondo per la fare la forza. Il risultato è che i cittadini non si sentono protetti e, tantomeno, sicuri. E che premier e presidenti in carica si ritrovano sempre più sfiduciati. Nessun grande governo europeo, in questa fase, può dirsi sicuro di poter sopravvivere all’anno che arriva. Anche perché manca la crescita e ogni istituzione internazionale continua sistematicamente a tagliare le stime.

 

Qualcuno chiamerà in causa i gufi. Ma la verità è che c’è poco da ridere. Di qui a dodici mesi, salvo svolte serie, l’Ue si può ritrovare con le ossa un poco più rotte a ogni spoglio ultimato. Dopo il referendum britannico in cui si è affermata la volontà di John Bull di uscire dall’"Europa dei burocrati" - volontà che non verrà discussa ufficialmente prima di marzo e richiederà almeno due anni per essere chiarita - il calendario regala consultazioni popolari insidiose. 

Nel marzo 2017 si vota in Olanda, dove l’antislamico Wilders potrebbe conquistare la maggioranza relativa dei suffragi. Il primo passo dopo il trionfo (improbabile) sarebbe un referendum anti Europa.

Lo stesso discorso porta a maggio e alle presidenziale francesi. Anche qui la cittadina Le Pen vuole far esprimere il popolo su Bruxelles, come se Bruxelles fosse l’Europa, però la carta Fillon potrebbe ancora una volta tarparle le ali, anche se poi non è chiaro cosa succederà davvero nell’Esagono. 

In autunno, voto complesso in Germania, con Frau Merkel in pericolo per cose che non merita sino in fondo. I morti di Berlino non sono colpa sua, ma vallo a spiegare. Viviamo in un mondo in cui basta dire "mandiamoli a casa" per vincere le elezioni. Che poi non si dica "come" è tristemente marginale nei ragionamenti di una parte rumorosa dell’opinione pubblica.

Il negoziato per la Brexit e la gestione ordinaria delle cose interne in chiave elettorale costringerà la tribù dei governi deboli dell’Unione a guardare il dito delle cose interne e non la luna delle strategie sovranazionali. L’Europa potrebbe come conseguenza imboccare un lungo tunnel di paralisi decisionale, di attendismo. Nessuno a Bruxelles si aspetta grandi o piccole decisioni per paura degli effetti che si riverberebbe a livello locale. Posto che i problemi sono talmente grandi da non poter essere affrontati produttivamente da un paese solo, le soluzioni verrebbero a mancare, sull’occupazione come sulla sicurezza e il terrorismo. Il che alimenterebbe i populismi e indebolirebbe ulteriormente la capacità di reazione collettiva.

L’unica vera chance è quella di alzare la testa e guardare avanti. Spiegare come stanno davvero le cose, che l’Europa non è un vincolo, ma un’opportunità. Che non si fermano i migranti alzando un muro lungo il Brenta o sulla Sprea. La probabilità che abbiamo di uscire dai guai mostruosi in cui ci siamo infilati (spesso da soli) sta nell’andare avanti tutti insieme, rinunciando agli alibi e prendendo ognuno le sue responsabilità. Le grandi promesse di soluzioni istantanee hanno in genere le gambe corte e portano in nessun luogo. Occorre una strategia corale fatta di piccoli concreti passi. Sennò non ci si salva.

 

  Se l’anno prossimo vinceranno gli estremisti, i partiti che vogliono mettere la testa di struzzo nella terra della loro Patria o nazione, dovremmo concederci ancora a una ripresina, non creeremo posti di lavoro, non stabilizzeremo né noi, né quelli che ci stanno vicini. E’ questo il destino di chi impone il dialetto come punteggio extra nei conti pubblici e lo insegna a scuola in luogo delle lingue straniere che già si parlano poco. Questo il futuro di chi, invece che aggiustare le evidenti disfunzioni dell’Europa, vuole distruggerla del tutto. Come il meccanico che, davanti alla prospettiva di ingrassarsi le mani per aggiustare il motore, decidere di andare a Capo Nord a piedi. 
(Non è male andare a Capo Nord a piedi, ma ci vuole più tempo di quanto ne abbiano i più fra noi).

  Vale la pensa saperlo, riflettere sul fatto che potrebbe essere un annus horribilis, ma che la colpa o il merito delle cose è sempre di chi le fa, di chi le forma, di chi le decide. Non siamo condannati. Ma è meglio tenere presente che - se tutti non faranno il proprio dovere, dal primo all’ultimo dei cittadini, in città e oltreconfine - fra un anno potremmo anche rimpiangere questo tragico, sanguinoso e difficile Anno del Signore 2016.     

PS. Chiudo gli occhi e dal 2016 compare una telefonata alle 8 e pochi minuti da Zaventem, una a tarda sera da Torino, lo sguardo sprezzante di Robert Fico, quello umano di Jean-Claude Juncker, la notte rivoltosa degli inglesi e quella degli americani, la stretta di mano del Signor Rankin, il lampadario che trema a Roma per il terremoto di Amatrice, gli amici, gli addii e gli arrivederci, la rivoluzione personale, le altane e le ore veneziane, Walter Scott e il profilo rosso di Schiele, il Nuovo Mondo e il Vecchio Mondo. Un grande anno. Ma non come il prossimo, ovviamente, volendo. Auguri.

  Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/blogs/straneuropa/aria-di-tempesta-perfetta-79ZprtGuSctDfTvVQ96UBP/pagina.html