Titolo: MARCO NEIROTTI Una volta erano paradisi ora chi vive isolato pensa a difendersi Inserito da: Admin - Novembre 10, 2007, 10:14:29 am 10/11/2007 (8:50) - L'INCUBO
Prigionieri della villetta «La notte a ogni rumore prendo la pistola e aspetto» Fucile sempre carico, porte sbarrate, dobermann pronti ad attaccare. Una volta erano paradisi, ora chi vive isolato pensa a difendersi dalle bande MARCO NEIROTTI INVIATO AD ASTI «Sono passati due anni da quella notte. Da allora mi sveglio sempre alle tre. E ogni volta sento rumori in giardino. Ma il cane continua a dormire. Accendo la luce, prendo il fucile, aspetto». E ogni volta, fuori, solo foglie che cadono. Notte di provincia, notte di case sparse su pianure e colline, casolari, cascine, villette. Siamo nell’Astigiano ma potremmo essere ovunque: le statistiche parlano chiaro: gli arresstati per rapina nelle ville erano mille in tutto il 2006, nei primi sette mesi di quest’anno eravamo già a 907. Senza contare tutti quelli che le manette non le hanno mai viste, nonostante la caccia continua di poliziotti e carabinieri. Ha ragione il questore Antonio Nanni: i confronti dipendono dai dati inseriti, denunce fatte o taciute. Ma sta di fatto che qui la prevenzione è sfida persa. Non è difficile pattugliare le città, ma che fare di paeselli e frazioni, angoli di collina con una sola casetta, vallate con una cascina sperduta? Il problema è lo stesso in tante aree di tutta Italia: una stazione dei carabinieri ha distese di terreno da controllare, passano i vigili urbani, ma è un arcipelago di frazioni perse per strade suggestive quanto tortuose. Come si arriva a un luogo d’allarme senza neanche il navigatore? Con nomi di vie che a volte sono fantasmi? Chiedendo indicazioni ai citofoni? Vale per le uniformi, vale per le ambulanze. E’ così qui, lo è nel Biellese, terra di razzie, nel Novarese battuto prima da truffatori di pensionati ora anche da bande di rapinatori, lo è nello sparpagliato Alessandrino. Lo è nell’entroterra ligure - da Albisola a Pietra a Albenga - dove il mordi e fuggi si sta infittendo. E poi Roma, Viterbo, il Nordest. Le storie sono fotocopie, gli sguardi identici, cangianti solo fra ira e rassegnazione. I racconti «Da me sono venuti due volte. Dormivo e si sono accontentati». E’ un giovane dipendente comunale, anche buon pittore. I quadri sono ingombranti, oltre alla pelle ha salvato ciò cui tiene di più. «Da me sono entrati alle dieci di sera, mi hanno dato uno spintone, preso portafogli, oro e chiavi dell’auto». Un po’ più in là, nei paesi sulla collina che sovrasta la superstrada per Alba si sono infilati in una villetta, il proprietario, ispettore di polizia, ha mantenuto i nervi a posto, solo due colpi in aria. Ma trattorie, caffé di piazza sono popolati da Tex Willer in serie: «Ho il fucile, gli pianto due colpi in faccia». La cronaca ha già narrato mogli ammazzate perché scese a bere un bicchier d’acqua. L’esagerazione degli aspiranti bounty killer mette malinconia, paura. Questa gente, all’aperitivo dopo la messa, incontra lo straniero che fuma e si vanta: «Ho sei fogli di via e me ne frego». L’imbrunire è uno spartiacque. Vedi quei tavoli da giardino, panche, seggiole come statue. Finestre accese, porte serrate, grate. E latrar di cani. Una volta scorazzavano bastardini, ora sono pastori tedeschi, rottweiller, dobermann, pit bull e cartelli gialli: «Attenzione, cani addestrati», anche là dove non c’è nemmeno il gatto. I grossi cani hanno diritto a stare in casa, dove possono avvertire, e semmai attaccare prima di ricevere un boccone o una lama nella gola. A volte fanno paura ai padroni stessi. I truffatori E i vecchi solitari fanno i conti con falsi ispettori di ogni tipo. Qualcuno li ha cacciati con il crick o con la roncola. Altri hanno perso tutto. Collina, una vecchia Gilera nel cortile, cancellata verde, cortile di cemento, quattro muri, finestre, balconi, un terrazzino e sotto un porticato il barbecue: «E’ il mutuo di mio padre quando lavorava in Fiat. Un alloggio sopra e uno sotto. Sono sposato da quattro anni. Faccio l’autista: quando non ci sono ho paura per loro. La sera ci chiudiamo tutti in casa, e pensare che da fidanzati la chiamavamo l’oasi». Bande di slavi, romeni, albanesi, soprattutto. Vengono da altre zone, lavorano in trasferta: di qui si va a Est, da Est si viene qui. Si decide in base alla facciata, alle luci, alle vie di fuga. Ha raccontato alla «Stampa» un rumeno, con disgustoso candore: «Ho capito al processo che non avete tutti la cassaforte. Ero convinto che in casa aveste molti soldi, per comprare quello che comprate ai supermarket. Se me li davano subito non picchiavo nessuno». E’ lui la vera paura. Una volta si chiudevano porte e imposte al bisbiglio «gli zingari...». Entravano lesti e se ne andavano zitti con denaro e oro. Adesso, quando un contatto fa mancare la corrente elettrica, si pensa che là fuori c’è uno come quel rumeno, si accendono le candele e si resta chiusi. Al contatore si penserà domani. Lo misuri, il senso di angoscia, la sera: «Non vado dagli amici. Ho paura che mi aspettino quando torno». Non consola sapere che sono cambiate etnie, è cambiata la fame, ma non la ferocia: la stessa di trecento anni fa. In «Briganti del Piemonte» (Newton Compton, in libreria fra venti giorni) Alessandro Mondo racconta le imprese di tagliagole, dai Fratelli di Narzole al sanguinario Francesco Delpero. Allora tutti avevano un fucile in casa. Oggi, quel fucile sa di giustizia fai da te più che difesa. Armi pronte Pattuglie. Vogliono vedere più pattuglie. Ma ha ragione il questore Nanni quando, girando con noi per le colline, spiega: «Se fermiamo uno con randelli, nastro isolante, corde lo possiamo denunciare a piede libero. Rischia da un un mese a un anno di arresti che può convertire in pena pecuniaria: 660 euro. Nemmeno la patente gli puoi togliere». E la gente rincara: «Chiami carabinieri e polizia, e loro spesso, invece di mandare l’auto, ti chiedono nome e cognome. Così poi ti ritrovi in un verbale e l’altro saprà con chi prendersela. Non segnalo, tengo il fucile carico». Fucile carico e bocca chiusa. Ultima gabbia. Una volta erano un trionfo da esibire i funghi giganteschi: «Mi metti sul giornale?». Ora, nel bar, accanto alla stufa, ti chiedono: niente nomi. Anonimato, pena accessoria, triste come i tavoli di pietra abbandonati nei giardini, dove un tempo, in bella stagione, si chiacchierava fino a tardi al buio. da lastampa.it |