Titolo: UGO MAGRI Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 11:20:54 am 7/11/2007 (7:43)
L'ultimo rodeo di Silvio O la va o la spacca La scommessa di Berlusconi sulla Finanziaria UGO MAGRI ROMA A mano a mano che l’ora della verità si avvicina, e le sue profezie sulla fine imminente di Prodi assumono sempre più le sembianze di un «bluff», e gli stessi suoi alleati della Cdl si preparano a presentargli il conto dell’ennesima sconfitta, c’è un interrogativo cui perfino i conoscitori del Cavaliere non sanno dare risposta: «Chi glielo ha fatto fare?». Per quale strana e incomprensibile ragione Silvio Berlusconi ha deciso di giocarsi un pezzo consistente di reputazione politica su una scommessa così ad alto rischio, come annunciare la caduta del governo in base a un’incerta campagna acquisti? L’unica risposta paradossale ma convincente che si raccoglie ai piani alti della Cdl ha poco a che vedere con la politica, molto invece con la psiche del leader. Berlusconi, è l’affascinante teoria, non ne ha più voglia. Settantuno anni, due volte capo del governo, destinato comunque a restare nei manuali scolastici, tanti denari da non sapere che farne: come stupirsi se al teatrino della politica lui preferisce il cabaret, quello vero? Non è un caso se il giorno in cui si spegneva Giovanna Reggiani all’ospedale Sant’Andrea, ferita a morte da un immigrato romeno, lui era al Bagaglino, dove si rappresentava il nuovo spettacolo comico di Pippo Franco e Oreste Lionello dal titolo «Vieni avanti cretino», e contribuiva al buonumore collettivo raccontando dal palco un paio di sapide barzellette delle sue. Ridiamoci su. Per cui Silvio ha puntato tutto il suo patrimonio politico sulla crisi il 14 o il 15 novembre. Basta così, o la va o la spacca. Se gli va bene, torna a Palazzo Chigi. E poco importa se qualche consigliere come don Baget Bozzo gli ha detto che sedersi oggi su quella poltrona è pura follia, «in queste condizioni caro Silvio l'Italia è ingovernabile, ti lincerebbero peggio di Prodi, per desiderare una cosa del genere devi essere un grande pazzo oppure un grande santo...». Niente da fare, Berlusconi non ascolta. Giorgio La Malfa gli ha mandato da una settimana 40 cartelle di analisi della crisi italiana per scongiurarlo di non perdere l'occasione delle riforme istituzionali prima di andare alle urne. Zero risposte. Il Cavaliere galoppa lanciatissimo verso il suo ultimo rodeo. Se lo vince «conquista la terza insalatiera», ironizza Bruno Tabacci. Torna al tavolo dei Grandi, si prende una rivincita planetaria. E se va male? Nulla fa credere che Berlusconi abbia voglia di tirare la carretta del centrodestra per un altro anno o magari due, o tre, o per il tempo che può durare un’onesta battaglia d’opposizione. Chi lo frequenta è pure portato a escludere che l'uomo si ritiri in azienda e torni a fare Caroselli, come ai tempi in cui era Sua Emittenza. Ma avverte che l'ennesimo blitz fallito avrebbe ripercussioni pesanti sul suo animo. Prima ancora che siano gli alleati (Fini, Casini, Bossi) a rinfacciargli il fiasco, sarebbe lui stesso a interrogarsi se vale la pena spendere altre energie per un Paese «che non mi merita» (sfogo all'indomani della sconfitta elettorale). E' un fatto che, rispetto al Berlusconi lungimirante, all'imprenditore geniale fattosi statista a modo suo rivoluzionario, l'orizzonte temporale del personaggio odierno sembra drammaticamente accorciato. Più che investire sul futuro, spreme quanto può dal presente. Perfino il Milan ne sta facendo le spese. E' la squadra più vecchia del mondo, ma Berlusconi non ha voluto cacciare di tasca un soldo, en attendant Ronaldinho. Quando Galliani gli ha fatto il nome di un campione come Buffon, lui ha storto la bocca. Idem nella politica: in questo caso il Ronaldinho che Berlusconi aspetta si chiama Dini, tutto il resto lo annoia. Partito unico per la destra di domani? Sì, no, boh, vedremo. Fini sarà il successore? Certo, anzi no, anzi forse. Prima Michela Vittoria Brambilla e i suoi Circoli vengono finanziati con 200 milioni di euro, poi Berlusconi congela tutto, MVB morde il freno. Una lista senza fine. La destra in Europa è laboratorio di idee, Sarkozy fa scuola. Invece la berlusconiana Officina, che dovrebbe redigere il nuovo programma, ancora non parte. E pazienza: tanto, basta ripetere il mantra delle grandi opere, del Ponte sullo Stretto, delle tasse da tagliare e al resto ci pensa il governo Prodi. Due settimane fa l'emergente britannico Cameron ha stretto un patto col governatore della California Schwarzenegger sulla politica ambientale, embrione di un'«ecodestra» mondiale. L'unico che in Forza Italia se ne occupa con proposte concrete è Tremonti. Il Cavaliere mai ha pronunciato la parola «ambiente», tranne che su Rete4 tanti anni fa, quando la Carlucci lo intervistò sulle rose del suo giardino. Ma in fondo, insistono a difenderlo i fedelissimi, tutto si gioca tra pochi giorni. «Se mi va bene», è la promessa del Cavaliere, «ne vedremo di belle». Altrimenti, venga pure il diluvio. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI - L'Udc con Berlusconi: elezioni subito Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2008, 11:07:58 am 30/1/2008 (6:45) - LA CRISI - IL GIORNO DELLA SVOLTA
L'Udc con Berlusconi: elezioni subito Napolitano: "Ora pausa di riflessione" Elezioni più vicine, oggi la decisione del Quirinale UGO MAGRI ROMA Chi faceva conto su Casini per far nascere il nuovo governo, oggi è deluso. Al dunque, l’Udc si schiera col Cavaliere. E nemmeno Baccini, il senatore centrista più insofferente della disciplina di partito, se la sente di passare da solo il confine. Dunque la crisi si avvita su se stessa, le elezioni si avvicinano. Napolitano, il quale le considera una cattiva medicina per l’Italia, non nasconde quanto sia «complicata e difficile la situazione». Diplomaticamente, ne dà la colpa alla «forte frammentazione politica» rappresentata dai 19 partiti ricevuti sul Colle per le consultazioni. Gli ultimi due (Forza Italia e Partito democratico) hanno fornito ricette diametralmente opposte. Per Berlusconi «non c’è altra strada se non quella di tornare al voto, le riforme richiedono tempo e non le può fare un governo di tregua». Secondo Veltroni, invece, votare subito sarebbe «contro gli interessi del Paese, meglio andarci tra un anno facendo le riforme» oppure, se proprio non fosse possibile, «tra qualche mese dopo aver cambiato almeno la legge elettorale». Dialogo sì, ma tra sordi. Perde quota la tesi più gettonata fino a poco fa, quella del mandato pieno a Marini per formare un governo di altissimo profilo, zeppo di personalità capaci di scompaginare i giochi: quale figura di prestigio se la sentirebbe di andare allo sbaraglio, in queste condizioni? Riprende viceversa slancio l’ipotesi di un «esploratore», che provi a capire se l’intesa è possibile anzitutto sulla legge elettorale, magari partendo dalla prima bozza Bianco come suggerisce Veltroni. Per questo incarico più delimitato (potrebbe essere conferito in giornata, e la decisione verrà «motivata» davanti al Paese) il candidato è sempre lo stesso, vale a dire Marini, sottoposto a un forte pressing da parte dell’establishment (in particolare da D’Alema, che è andato apposta a trovarlo). Napolitano pensa invece ad Amato per un governo di affari correnti, casomai sciogliesse le Camere. Dunque, Casini. Non è più l’asso nella manica di Napolitano. Il leader Udc s’è reso conto che la sua propensione a un governo di tipo istituzionale veniva sfruttata per un disegno del tutto diverso. Celava cioè il tentativo di ricomporre la stessa identica maggioranza di cui disponeva Prodi prima della crisi. A far traboccare il vaso ha provveduto una dichiarazione di Baccini, avversario interno del leader Udc. «Potrei votare un governo guidato da Marini», sono le parole che hanno gettato scompiglio nel Palazzo. Col trascorrere delle ore, la disponibilità di Baccini è sfumata. Però Casini s’è reso conto che stava perdendo il controllo delle operazioni. Da Gerusalemme ha dettato una dichiarazione che potrebbe essere la pietra tombale sulla crisi: «Tanto vale non perdere ulteriore tempo e andare verso elezioni anticipate». Oggi s’incontrerà con Berlusconi. E chissà che il Cavaliere non ammazzi per lui il famoso «vitello grasso». A raggelare Napolitano ha contribuito una dura sortita di Forza Italia. Allarmati dalle voci di un mandato pieno a Marini, i vertici azzurri hanno minacciato fuoco e fiamme: «Le ipotesi di governicchi allo sbando, alla ricerca di raccattare qualche voto, sarebbero solo un’avventura e provocherebbero una inutile radicalizzazione...». Meglio non provarci nemmeno. Oltretutto, sostengono a via del Plebiscito, nell’incontro con la delegazione azzurra Napolitano aveva parlato espressamente di un’esplorazione, e niente di più. Tanto che Berlusconi e i suoi se n’erano andati dal Quirinale con aria spensierata, lodando il Presidente per il suo tono «estremamente piacevole». Di qui l’avvertimento serale rivolto al Colle, che ha fatto crollare le azioni di un governo istituzionale e alzare la voce a D’Alema: «E’ protervia quella di chi non vuole la riforma elettorale...». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Venti partiti per un posto sull’Arca di Silvio: «Attenti, il Pd è solo Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2008, 02:57:55 pm 6/2/2008 (7:12) - RETROSCENA, OGGI PRIMO VERTICE PER LA COALIZIONE
Fini suona l'allarme "No all'ammucchiata" Venti partiti per un posto sull’Arca di Silvio: «Attenti, il Pd è solo» UGO MAGRI ROMA Se sarà il carro del vincitore, lo sapremo dopo le elezioni. Per ora il centrodestra somiglia piuttosto all’Arca di Noè, zoo galleggiante, bestiario politico dove una folla di partitini sgomita per trovar posto. Velina Rossa ha contato ben 17 sigle che vorrebbero traghettarsi nella prossima legislatura, oltre ai quattro «soci fondatori» (Forza Italia, An, Lega e Udc). Ma la stima è per difetto, un censimento più pignolo spinge il totale addirittura a quota 23, come dire 23 bocche fameliche da saziare con seggi alla Camera o al Senato. Buttare qualcuno ai pesci, come promette che farà Veltroni coi «nanetti» del centrosinistra? Berlusconi non può: nella lunga guerra contro Prodi ha firmato patti, sottoscritto cambiali che adesso vengono a scadenza. Con Dini. Con De Gregorio. Con Mastella l’«impresentabile» agli occhi di Alleanza nazionale, della Lega, della stessa Udc. Altri «mostri» il Cavaliere se li è creati con le sue stesse mani, dai Circoli della Brambilla che dovevano essere i cani da guardia del berlusconismo ma non vogliono più tornare a cuccia, alle tre mini-Dc che si contendono lo Scudo crociato (di Pizza, di Sandri e di Fiori), dai Pensionati che si sono fatti impalmare dopo un lungo corteggiamento, ai transfughi dell’Udc guidati da Giovanardi: per anni hanno agitato la fronda contro Casini, non si contenteranno al dunque di una semplice pacca sulle spalle. Il magnate di Arcore dovrà vedere e provvedere, senza penalizzare quanti gli sono stati avvinti come l’Edera di Nucara, come la Dca di Rotondi, come il Mpa di Lombardo, i liberali di De Luca, i «salmoni» Della Vedova e Taradash, alleati sempre fedeli nella buona e nella cattiva sorte. Ma non finisce qui, perché Silvio il Munifico passa gli alimenti alle famiglie politiche altrui, al matrimonio in pezzi tra Fini e Storace, tra An e la Mussolini (anche se potrebbero tornare insieme)... Non è solo questione d’onore, di parola data che un leader non si rimangia mai. E’ che i sondaggi veri, quelli di cui il Cavaliere si fida ciecamente, gli danno margini di vantaggio comodi sì ma non troppo, diciamo un 54 per cento contro il 45-46 degli avversari, coi partitini di centrodestra che tutti insieme valgono oltre un milione di voti: quanto basta a fare la differenza tra vittoria e sconfitta. E come si può chiedere di mollare al proprio destino uno Sgarbi o a chi, come Berlusconi, nel 2006 si è visto sfuggire il trionfo per soli 24 mila voti? Hanno voglia, dunque, i Maroni e i La Russa, di piantar paletti: con il primo che denuncia a gran voce il rischio di «operazioni strane», invita a «evitare grandi ammucchiate», esorta a sbarrare le porte della Cdl dove solo i magnifici quattro (Berlusconi, Bossi, Fini e Casini) hanno il diritto di posare per la foto di famiglia. Con il secondo, La Russa, che a nome di Alleanza nazionale minaccia l’esame del sangue: «Ammetteremo solo gente che firma il programma, nessuna preclusione a priori ma saremo seri e rigorosi...». Propositi della vigilia, dettati dall’ansia di non concedere a Veltroni l’arma che il sindaco di Roma già brandisce: il Pd, solo ma coerente, mai più male accompagnato, contrapposto a uno schieramento vasto e confuso, dall’Udeur a Storace, da Casini alla Fiamma tricolore. Semplificare, sfrondare, unire: a destra è un puzzle. Casini è in allarme, Fini ha già sollevato il problema, «caro Silvio non possiamo presentarci in mille partiti contro un Pd che corre da solo». In realtà il bersaglio è uno: Storace. An è pronta a sbarrargli la via, costi quel che costi. Berlusconi domani riunirà lo stato maggiore forzista, ascolterà la lista delle varie richieste compilata da Cicchitto, poi comincerà a ricevere i suoi «clientes». Spingerà (ha già iniziato nelle settimane scorse) perché i partitini si coalizzino tra loro. Al Pri ha chiesto di mettersi insieme con Dini e i liberali, magari pure con De Gregorio e con Rotondi. Ma questi piccoli sanno fare bene i conti, la soglia del 2 per cento prevista dal «Porcellum» la vedono col binocolo. La sensazione diffusa è che, eccezion fatta per Storace, verranno tutti inglobati da Forza Italia, presenteranno qualche loro personaggio simbolo all’ombra del Cavaliere. Lo stesso Mastella viene dato in quota berlusconiana alla Camera (al Senato no, nella Campania l’Udeur può fare la differenza per conquistare il premio di maggioranza). Il movimento azzurro come «refugium peccatorum», «ecoballa» se si adotta il gergo dell’emergenza rifiuti: costretto a digerire l’indigeribile e nello stesso tempo a reggere l’assalto interno della Brambilla che a buon diritto rivendica spazio per le energie fresche contro i «parrucconi». Tramonta l’ipotesi di una seconda lista berlusconiana: toglierebbe voti a Forza Italia, col risultato di consegnare al Pd la palma di primo partito. La «rivoluzione del predellino» sfuma all’orizzonte. Perfino il nome Popolo della libertà rischia di non trovare posto sul simbolo. «E’ 3 centimetri per 3», segnalano a via dell’Umiltà, «bisogna scrivere “Berlusconi presidente” e “Forza Italia”. Pdl dove lo ficchiamo?». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 09:47:20 pm 7/5/2008 (7:4) - GOVERNO - LE CONSULTAZIONI
Berlusconi prova a concludere oggi: le donne sono l'ultimo nodo Al Welfare torna Maurizio Sacconi, Prestigiacomo corre per l'ambiente, Carfagna verso le Pari opportunità UGO MAGRI ROMA Berlusconi prova a stringere i tempi. Se il colpo gli riesce, presenterà la squadra di governo a Napolitano stasera, non appena sarà convocato per l’incarico. In questo caso il suo quarto governo presterà giuramento giovedì. Il Cavaliere farebbe bella figura, e si toglierebbe di torno uno sciame di aspiranti ministri. Ieri mattina aveva già sondato l’umore del Presidente con una visita al Colle, sulla quale parecchie leggende sono circolate, ricavandone due certezze. La prima: a frenare Berlusconi non sarà certo Napolitano, nel caso che il futuro premier voglia far presto. La seconda: sul numero dei ministri il Cavaliere non deve allargarsi troppo. Dodici con portafoglio ne stabilisce la legge, e dodici dovranno essere, senza «spacchettare» la poltrona del Welfare in due o tre ministeri-sgabello. Con questi vincoli, Berlusconi ha trattato tutta la notte. A una cert’ora è andato a fare quattro passi tra le vetrine: «Mi fuma il cervello». Pare abbia sciolto la riserva sulla Giustizia: ci metterà Alfano, uno dei quarantenni rampanti di Forza Italia. Non è autorevole quanto il Capo dello Stato forse avrebbe gradito, e nemmeno ha l’esperienza che l’ex Castelli sollecita, ma sulla fedeltà non si discute. Scajola verrà impiegato (con suo sollievo) alle Attività produttive. Alleanza nazionale rinuncia al Welfare, lo prenderà il veneto Sacconi, che in fatto di rapporti col sindacato ha qualche esperienza. Per questo viene preferito alla Prestigiacomo, sulla quale aleggiano perplessità della componente «nordista» (troppo potere alla Sicilia, è l’accusa). La bionda Stefania se la batte al momento con la rossa Brambilla per l’Ambiente. La corvina Carfagna viene data invece per certa alle Pari Opportunità. Con la castana Gelmini all’Istruzione, fanno tre donne sicuramente al governo. Troppo poche per Berlusconi, che ne inserirebbe un altro paio. E qui s’innesta il braccio di ferro con An, iniziato a tarda sera. In cambio del Welfare, il partito di Fini è pronto a prendersi due ministri senza portafoglio. La trentunenne Meloni parte favorita (si occuperà nel caso di politiche giovanili). L’altra poltrona il Cavaliere vorrebbe donarla alla Poli Bortone, ma An punta su Ronchi, portavoce del partito. «Dev’essere in Consiglio dei ministri», avverte Bocchino a nome di Fini. Il neo-dc Rotondi è convocato stamane dal Cavaliere, pare voglia dargli la Solidarietà sociale. Il transfuga dell’Udc, Giovanardi, verrà premiato con l’Attuazione del programma. C’è un motivo: lì serve uno col fucile puntato, e Giovanardi è stato carabiniere. Per fargli posto, Berlusconi ha chiesto a Calderoli di traslocare. Gli ha dato dieci minuti di tempo per inventarsi qualcosa, così è nata su due piedi l’idea del ministero taglia-leggi. Calderoli (che per Gheddafi ha rischiato il posto) non lo vive come declassamento. Bossi ringhia: «La Libia? Cos’è la Libia? Senza la Lega, Berlusconi stavolta non ce la faceva», provi a far fuori Calderoli se ne ha il coraggio. Dodici ministri con portafogli, e otto senza, fanno venti in totale. Più Berlusconi, ventuno. Nove i vice-ministri: 5 per Forza Italia (grande guerra in corso), 3 per An (probabili Mantovano, Urso e Landolfi), uno alla Lega (Castelli). Sessanta è il tetto massimo per i membri del governo, quindi restano 30 sottosegretari. Qualche berlusconiano disperato propone di aumentarne il numero riducendo gli stipendi. Si completa la geografia del potere parlamentare. Vice-presidenti del Senato diventano Nania e Rosy Mauro (maggioranza), Bonino e Chiti (opposizione). Le resistenze dei Radicali, che avrebbero preferito altre caselle, alla fine sono rientrate, così come le polemiche tra Di Pietro e il Pd. Alla Camera sono passati, come vice di Fini presidente, Buttiglione e Bindi da una parte, Leone e il formigoniano Lupi dall’altra. Quest’ultimo senza i voti della Lega. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Inserito da: Admin - Maggio 25, 2008, 05:49:35 pm 25/5/2008 (7:6) - RETROSCENA
Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Anche Alessandra Mussolini con i manifestanti di Chiaiano Rifiuti, scontri con la polizia in Campania Caos rifiuti, a Napoli tornano proteste e roghi Contrari solo Sinistra radicale e Storace UGO MAGRI ROMA Si ricomincia dai tumulti, come sette anni fa a Genova per il G8. Certo a Chiaiano non si riuniscono i Grandi, la guerra è su una discarica. E tuttavia sembra destino ineluttabile del Cavaliere impattare da subito, appena riconquistatato Palazzo Chigi, con la protesta di piazza. Corsi e ricorsi. Logico che il premier, a Porto Rotondo in cerca di relax, guardi con qualche apprensione ai fatti di Napoli. Segue ora per ora la piega degli eventi, informato dal portavoce Bonaiuti. Non cambia idea: Berlusconi resta convinto che l’inflessibile fermezza sia senza alternative. Ha telefonato a Maroni per dirgli di andare avanti (così filtra dal Viminale che mette le mani avanti, casomai dovesse finir male). Gli scontri erano «prevedibili», comunque sia «la Campania non può morire sotto ai rifiuti, guai ad arretrare di un solo centimetro». Sottoscrive le dichiarazioni di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: «E’ venuto il momento che lo Stato faccia rispettare la legge e imponga tolleranza zero. Il finto solidarismo aiuta solo chi delinque». Come Berlusconi, che qualcuno dell’entourage vorrebbe pronto a ripartire per Napoli a metà settimana, la pensa l’intero centrodestra, senza smagliature degne di nota. Semmai con qualche intransigenza in più nel timore che, dopo aver riscosso applausi promettendo il pugno di ferro, il governo batta in ritirata. «Ci rimetteremmo la faccia, non possiamo permettercelo», sussurra una voce autorevole del Pdl. Ecco dunque Gasparri invocare «linea dura contro chi aizza la piazza» e Cicchitto ammonire che «lo Stato non può arrendersi davanti alla violenza organizzata». E poi Mantovano e Capezzone. Piccola vendetta di La Russa con il collega Maroni, il quale rifiuta di impiegare l’esercito: «Non commento, perché non ho competenze in materia, le questioni di ordine pubblico spettano al ministro dell’Interno». Il quale fa sapere che le aggressioni alla polizia sono «ingiustificabili». L’opposizione sta alla finestra, aspetta gli eventi. E’ una prudenza calcolata: praticamente un via libera al governo. Di certo Veltroni non mette i bastoni tra le ruote del Cavaliere quando da Milano constata, in tono quasi distaccato, che gli scontri «sono l’effetto di una politica del veto e di un atteggiamento ideologico presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra». Dal segretario Pd nemmeno una parola di biasimo verso le forze dell’ordine, alle quali promette pieno sostegno Casini invocando «pugno duro se necessario». Di Pietro glissa, se la prende con Bassolino, ma il suo capogruppo Donadi garantisce «pieno sostegno dell’Idv all’azione di governo, anche perché gli impianti individuati sono gli stessi» indicati al tempo di Prodi. Realacci, ministro-ombra del Pd, sollecita a verificare se la cava di Chiaiano è adatta alla bisogna, però aggiunge che la violenza è inaccettabile, e comunque non si tratta di rifiuti pericolosi. Disco verde, insomma. Chi è contro il manganello sta ai margini del Parlamento o addirittura fuori. A sinistra come a destra. E con gli stessi argomenti. «Le botte alla popolazione campana sono un pessimo segnale»: l’ha detto per caso l’ex ministro bertinottiano Ferrero? No, è un commento di Storace. E chi si è incontrata con i centri sociali, battendosi per far scarcerare i dimostranti? La Mussolini. Sgobio, del Pdci, invoca l’intervento dell’Unione europea, considerata forza d’opposizione al Cavaliere. La Palermi grida «vergogna!» all’indirizzo del governo. E Migliore denuncia «il silenzio sulle violenze della polizia», quasi a evocare i fantasmi della scuola Diaz. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Spunta un piano per la pace Inserito da: Admin - Giugno 24, 2008, 11:08:46 pm 24/6/2008 (7:9) - RETROSCENA
Spunta un piano per la pace Giorgio Napolitano è l'undicesimo Presidente della Repubblica, in carica dal 10 maggio 2006 La strategia del Colle: ora il regista Napolitano può chiedere al Cavaliere norme più morbide UGO MAGRI ROMA Ancora ieri mattina, il Cavaliere galoppava a briglia sciolta contro i giudici milanesi. Poi però qualcosa (o qualcuno) è intervenuto a frenarlo. Col risultato che la resa dei conti, fin qui inevitabile, forse verrà rinviata. E probabilmente non ci sarà nemmeno la devastante conferenza stampa contro i magistrati «sovversivi» che il premier aveva già in programma di tenere domani, preparando con cura le carte: c’è parecchia discussione, nel clan berlusconiano, circa l’utilità di un attacco così frontale. Addirittura si sta ragionando sulla possibilità di stemperare gli emendamenti famosi, quelli che sospendono per un anno i processi minori. Potrebbero essere riformulati in modo meno netto, restituendo uno spazio di manovra alla magistratura. Ma tutto questo è appeso a un filo parecchio esile. La tregua, mettono come condizione dalle parti di Berlusconi, dovrà essere bilanciata e controllata. Per ogni gesto distensivo che giungerà dal mondo giudiziario, la maggioranza è pronta a farne seguire uno di segno corrispondente. Sempre con la pistola pronta sul tavolo. Al momento, la tensione cala. E il merito è tutto del Colle. I consiglieri del premier non esitano a riconoscere che il Capo dello Stato sta facendo gli straordinari per svelenire il clima, «e noi gliene siamo grati» confida un leader della maggioranza alla Camera. La rampogna di Napolitano a Mancino, vice-presidente Csm, per i suoi annunci di guerra al governo, ha avuto l’effetto di ingigantire il prestigio del Quirinale agli occhi di Berlusconi. Mai in tre lustri, da quando l’uomo di Arcore s’è gettato in politica, un Presidente gli aveva fatto scudo con tanta efficacia. Col risultato che, adesso, il Presidente della Repubblica ha un credito importante da esigere con Berlusconi. Se intende esercitare sul governo la sua «moral suasion», a Palazzo Chigi diventa arduo rispondergli no. Il percorso che sul Colle qualcuno immagina comincia dunque da qui: dalla rinuncia del premier a gettare nuova benzina sul fuoco contro giudici e magistratura. Il conflitto con Nicoletta Gandus deve rientrare negli alvei istituzionali. Il Csm prenderà in esame le ragioni del premier, compresi i motivi della ricusazione, Berlusconi eviti please di rincarare le accuse al presidente del Tribunale. Secondo passaggio: il Consiglio dei ministri approvi pure, se crede, il cosiddetto lodo Schifani, quello che blocca le inchieste sui vertici dello Stato fintanto che sono in carica. La maggioranza per approvarlo in Parlamento c’è, la stessa Udc potrebbe dare un aiuto. A quel punto, è il piano che circola nei Palazzi, che motivo avrebbe Berlusconi di insistere sugli emendamenti blocca-processi? Tanto più, si fa notare, che lui ha già annunciato di non volerne trarre personalmente profitto... La speranza sul Colle, insomma, è che qualcosa accada durante l’iter di conversione del decreto sicurezza alla Camera. E non si riproduca il muro contro muro previsto per oggi al Senato (dove si vota l’intero provvedimento). Ghedini ridimensiona le attese, cancellare gli emendamenti della discordia è del tutto escluso. Però fonti bene informate assicurano: una modifica sostanziale di quelle norme, che consenta per esempio ai Tribunali di «riappropriarsi» della materia, stabilendo essi la gerarchia dei processi, è nell’ordine delle cose possibili. Purché, avvertono i berluscones, «non sia tutta una finta». Il timore a Palazzo Chigi è che Napolitano pecchi di buona fede, insomma si faccia ingannare dalla corporazione dei giudici. I quali gli hanno promesso di non dare corso alla bozza di delibera del Csm contro il governo, ma la spada di Damocle è sempre lì che pende. «Nessuno si faccia illusioni», mette in guardia il duro Cicchitto, «se il Csm ci riprova, salta la tregua. E nessuno venga a dirci che la guerra ricomincia per colpa nostra». da lastampa.it Titolo: Stefano Passigli Contro la Costituzione Inserito da: Admin - Giugno 24, 2008, 11:11:36 pm Contro la Costituzione
Stefano Passigli Bene hanno fatto il capo dello Stato e il vice presidente del Csm a precisare che al momento non esiste alcun parere dell’organo di autogoverno della magistratura sulla costituzionalità delle norme blocca-processo. La forma ha una sua rilevanza, ma non può alterare la sostanza; e sul piano della sostanza non vi è dubbio che l’aggiunta al decreto sulla sicurezza di una norma blocca-processi presenta profili di incostituzionalità, solleva interrogativi sul ruolo dei presidenti delle Camere, e appare politicamente dirompente. In primo luogo applicandosi solo ai procedimenti prima del 2002, il blocco contrasta con il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione discriminando tra ipotesi di reato identiche sulla base della mera data di avvio del relativo procedimento penale. Irragionevole appare in ogni caso il riferimento temporale adottato. Non solo meglio sarebbe stato sospendere quei processi ove la eventuale condanna sarebbe comunque coperta dal recente indulto, ma più logico sarebbe stato semmai accelerare anziché bloccare i processi più datati e quindi più a rischio di prescrizione, ritardando piuttosto i più recenti per i quali la prescrizione è più lontana. Né si dica che, essendo sospesa la prescrizione, la situazione dei processi bloccati non muterebbe. Alla loro ripresa, infatti, molti collegi giudicanti potrebbero dover essere ricostituiti per intervenuti trasferimenti o pensionamenti, con il conseguente ripartire da zero del processo e un altrettanto conseguente garanzia di impunità. La norma blocca-processi votata a maggioranza semplice dal Parlamento configurerebbe così, in buona sostanza, un’amnistia surrettizia, in spregio della norma che vuole le amnistie votate da una maggioranza qualificata. In secondo luogo, nel processo penale le parti sono tre: il Pubblico Ministero a tutela dell’interesse generale, la Parte Civile a tutela del soggetto offeso, e la Difesa a tutela dell’imputato. Ebbene ritardare - o addirittura vanificare, come spero di aver or ora dimostrato - la celebrazione del processo è certo nell’interesse dell’accusato, ma non della parte lesa e della collettività. Nel proporre la norma blocca-processi Berlusconi e il suo governo mostrano - e pour cous - di privilegiare l’interesse dell’imputato piuttosto che quello generale e delle parti lese. Ma proprio il centrodestra, per bocca del senatore Pera con il pieno appoggio dell’onorevole Berlusconi, si batté per introdurre in Costituzione la norma sull’equo processo che ne impone una «ragionevole durata»: ebbene la norma blocca-processi allungandone la durata e di fatto favorendo in molti casi la prescrizione, priva gli imputati innocenti di una pronuncia assolutoria e le parti lese di una condanna, violando così palesemente l’articolo 111 della Costituzione. Da alcuni si è affermato (Antonio Alfano, Corriere della Sera del 22 giugno) che una norma blocca-processi fu già introdotta nel 1998 dal governo Prodi, ministro della Giustizia Flick, presidente Scalfaro. Niente di meno vero, e sorprende che a un ex Procuratore Generale onorario di Cassazione la passione politica faccia velo sull’intelligenza giuridica: tale disposizione prevedeva infatti che «al fine di assicurare la rapida definizione dei processi pendenti... nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza... si tiene conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti nonché dell’interesse della persona offesa». La concreta decisione sui criteri di priorità era insomma rimessa agli uffici che ne dovevano informare il Csm, restando così interamente nel discrezionale apprezzamento dei magistrati. Cosa ben diversa da un intervento legislativo che lede profondamente un ulteriore e fondamentale principio costituzionale: quello dell’autonomia della magistratura.Al di là della forma, avanzare dubbi sulla costituzionalità di una norma blocca-processi è dunque non solo legittimo, ma anche opportuno, specie alla luce delle modalità scelte dal governo per la proposta: non un disegno di legge costituzionale - al quale lo invitano, oltre ad alcuni esponenti della maggioranza, persino (con un intervento ai limiti dell’oltraggio a un potere dello Stato quale la Corte Costituzionale) il presidente emerito Cossiga che invita anche il presidente Napolitano a rinviare la legge di conversione qualora contenesse la norma - ma un emendamento suggerito a parlamentari amici che aggiunge a un decreto legge materia estranea al testo passato al vaglio autorizzativo della presidenza della Repubblica. Chi scrive è profondamente convinto che i presidenti di Camera e Senato dovrebbero dichiarare improponibili emendamenti estranei al corpo dei decreti, evitando così di vanificare il controllo dei requisiti di necessità e urgenza compiuto dalla presidenza della Repubblica. Ma chi scrive è altrettanto profondamente cosciente che - caduta la prassi che voleva le presidenze di Camera e Senato affidate a maggioranza e opposizione e votate consensualmente - a partire dalla rottura della prassi effettuata dal primo governo Berlusconi nel 1994 l’indipendenza delle due presidenze si è inevitabilmente affievolita. Occorre dunque aiutare la presidenza delle Camere a mantenere al massimo la propria autonomia: anche da questo punto di vista, la presentazione di un emendamento blocca-processi indebolisce e non rafforza le istituzioni, ed è opportuno che sia perciò ritirato. Infine, gli aspetti più strettamente politici. A lungo, in molti abbiamo lamentato che i rapporti tra maggioranza e opposizione non fossero in Italia quelli esistenti in un «paese normale». Alla necessità di un più corretto rapporto alcuni tra noi - io ad esempio - avevamo a malincuore sacrificato battaglie che come quella per una più adeguata disciplina del conflitto di interessi, ci apparivano necessarie. Ma esistono limiti invalicabili, e princìpi irrinunciabili. Così come nel 2006 ci battemmo con successo per respingere un progetto di riforma costituzionale altamente pericoloso, oggi siamo costretti a un nuovo e deciso «no» al tentativo di introdurre norme che sentiamo lesive di un fondamentale principio non solo della nostra Repubblica ma di qualsiasi democrazia: l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Troppi indizi ci dicono che si sta preparando un nuovo tentativo di sovvertire alcuni capisaldi del nostro ordinamento costituzionale: la forma parlamentare di governo, ribadita dai cittadini italiani nel referendum del 2006; il ruolo e le funzioni delle supreme magistrature di garanzia (presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale); e infine l’autonomia della magistratura. In nessun paese gli assetti istituzionali sono immodificabili. E le modifiche vanno ricercate e fatte nel dialogo tra maggioranza e opposizione. Ma proprio per dialogare occorre non smarrire la coscienza di cosa è negoziabile e cosa non lo è. Pubblicato il: 24.06.08 Modificato il: 24.06.08 alle ore 8.24 © l'Unità. Titolo: UGO MAGRI. E il Pdl assolve già il Cavaliere. (non solo loro... purtroppo ndr) Inserito da: Admin - Luglio 03, 2008, 06:43:28 pm 3/7/2008 (7:3) - GIUSTIZIA - L'INCUBO FORZISTA
E il Pdl assolve già il Cavaliere Le persone vicine al premier lo descrivono "pieno d'amarezza" per la questione intercettazioni I suoi: «Le dimissioni sono impossibili, qualunque cosa ci sia in quelle telefonate» UGO MAGRI ROMA Qualunque cosa possa uscire da quelle intercettazioni, compresa la più grottesca e impudica, è certo che Berlusconi non andrà a nascondersi per l’imbarazzo. Anzi: quanto più l’intrusione nella sua privacy dovesse far ridere il mondo, tanto più il premier si sentirebbe martire della libertà, crocifisso perché incarna quella di tutti, che perlomeno al telefono devono potersi esprimere come latin lover. E tirerebbe avanti, garantiscono i suoi, con ancora maggiore energia. Dimissioni, dunque, è parola impronunciabile nel giro del Cavaliere. Le voci di rivelazioni osé in arrivo, su cui si scambiano pareri perfino i leader d’opposizione, non avranno l’effetto di far cadere il governo. Al massimo, complicheranno l’intimità del premier, descritto da chi lo assiste come «pieno di amarezza». Eppure, se i boatos di Palazzo dovessero mai trovare conferma, una questione di alta politica si aprirebbe comunque. Riguarderebbe il metro con cui giudicare un capo del governo trascinato, per la prima volta da noi, in quello che nei popoli puritani si definirebbe «scandalo sessuale». Scandalo pure per un’Italia che puritana non è? C’è chi nemmeno vuol prendere il caso in esame. Daniele Capezzone, già segretario radicale ora portavoce di Forza Italia, rifiuta di tradurre in politica «questioni che attengano alla vita privata di chicchessia». Laddove Emma Bonino, radicale tuttora, non è così certa che tra pubblico e privato possa ergersi un muro impenetrabile. Dipende, spiega, «se le attività private di un leader hanno o meno conseguenze di governance pubblica». Se si traducono «in business aziendale o in nomine di ministri». E mentre Capezzone si dichiara «terrorizzato» dall’idea che i magistrati possano entrare e uscire dalla vita di un personaggio anche pubblico, Bonino ricorda che «a maggiori onori corrispondono maggiori oneri». Berlusconi, al tempo delle telefonate intercettate con Saccà, guidava l’opposizione, non il governo. «Cambia poco», scuote la testa un antipatizzante del Cavaliere come Bruno Tabacci: «Le azioni private hanno lo stesso un rilievo pubblico. E, comunque, non deve mai mancare un po’ di prudenza. Nella Prima repubblica i politici non erano immuni dai vizi, ma venivano perlomeno amministrati con molta misura...». Nel caso di Berlusconi, invece? «E’ l’esibizionismo che offende, le pubbliche battute nei comizi, le ragazze sulle ginocchia... Logico prevedere come sarebbe finita». Obietta Vizzini, «laico» di Forza Italia: «Berlusconi non ha mai scritto nel suo programma che si sarebbe fatto frate francescano. Gli italiani lo giudicheranno per come saprà o non saprà risolvere i loro problemi quotidiani, altro che origliare le sue telefonate!». Gianfranco Rotondi, ministro democristianissimo per l’Attuazione del programma, arriva addirittura a ipotizzare per il premier un boom di popolarità: «Lui parla al telefono come l’italiano medio. La gente sincera e onesta scherza come lui, fa battute galanti e talvolta dice qualche porcheria. La cultura azionista di certi giornali non ha capito questo Paese. Cercano di accendere i riflettori su quelle che considerano le miserie di Berlusconi, e invece agli occhi degli elettori diventano le sue grandezze...». Vuoi vedere che stasera a Matrix il Cavaliere farà appello proprio a questo «idem sentire»? Marco Follini, esponente Pd, non per nulla è cauto: «Penso che faremo bene a girare al largo da questo argomento. La virtù dell’opposizione non consiste, almeno io credo, nel denunciare i vizi degli intercettati, sbirciandoli dal buco della serratura». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Villari non molla, scontro con Veltroni Inserito da: Admin - Novembre 18, 2008, 02:51:14 pm 18/11/2008 (7:18) - RIUNIONE TESISSIMA COL SEGRETARIO
Villari non molla, scontro con Veltroni Il Pd lo processa, il presidente della Vigilanza resiste: "Il partito è casa mia e non me ne vado" UGO MAGRI ROMA Nella grande rissa sulla Vigilanza Rai, l’unica cosa di cui nessuno tra i protagonisti pare curarsi è proprio la Rai. A fine anno avrà bruciato 25 milioni (se va bene) secondo le stime del direttore generale Cappon, nel frattempo la tivù ci imbonisce con il teatrino della politica più che in ogni altro paese europeo (fonte: Osservatorio di Pavia). Eppure il «casus belli» rimane la presidenza della Commissione parlamentare, che in sé conta meno di un posto in Consiglio d’amministrazione, ma torna utilissima al Cavaliere per seminare discordia nel campo avverso. Difatti a Palazzo Chigi se la godono, seguono gli sviluppi della lite dentro il Pd con una conoscenza dei dettagli quantomeno sospetta. Esempio: già nel primo pomeriggio i berlusconiani sapevano per filo e per segno della terribile litigata all’ora di pranzo tra Veltroni e il presidente eletto della Commissione di vigilanza, Villari. Un’ora e dieci di urla, recriminazioni, minacce. A mollare la poltrona dove è stato messo dal centrodestra, pur essendo lui del Pd, Villari non pensa minimamente. Tantomeno a lasciarsi processare. Anzi, veste i panni del pubblico ministero: «Davvero pensate che io sia una talpa? La quinta colonna di Berlusconi? Sono accuse infamanti da cui non mi avete difeso. Vergogna! Mi trattate come un venduto... Ma io ho degli obblighi istituzionali, la Vigilanza deve funzionare. Andrò avanti fino a quando non avrete trovato l’accordo su un altro nome». Oggi sarà ricevuto da Schifani, domani da Fini, pare voglia riunire la Commissione. Invano Walter, spalleggiato da Franceschini, ha tentato di metterlo spalle al muro. Inutili i richiami all’interesse superiore del partito, al danno politico che Villari sta provocando. Scuote la testa Zanda, presente alla lite: «Presiedere la commissione chiaramente non gli dispiace...». Brutte sensazioni di un gioco con molte sponde interne all’opposizione. Pannella che annuncia un nuovo sciopero della fame e della sete in difesa di Villari, definendo le pressioni per farlo dimettere «tecnicamente eversive» e tali da meritare «cinque anni di carcere». Il giro dalemiano che soffia sul fuoco dello scontento nei confronti del segretario. Latorre, vicinissimo a «Baffino», sospettato dai veltroniani di intelligenza con il nemico. Voci come quella di Follini che additano nel legame con Di Pietro la causa di tutti i guai... Villari è meno solo di quanto appare. Cosicché davanti all’aut-aut (o ti dimetti da presidente o ti buttiamo fuori dal partito), lui è insorto: «Questa è casa mia, non me ne vado. Semmai sarò io a denunciare la subalternità politica all’Idv sulla Rai e sul resto». Comunque alla cacciata, pare, non si arriverà. Il direttivo del Pd in Senato - stasera il processo - è orientato a sospenderlo, in attesa che il partito prenda provvedimenti. L’espulsione viene caldeggiata da Finocchiaro, da Zanda, perfino da un moderato come Marini, ma sarebbe un regalo alla propaganda di destra. La sospensione, invece, è sufficiente a marcare che Villari rappresenta solo se stesso, non certo il Pd. Che la ferita istituzionale rimane aperta. E dev’essere in qualche modo sanata. Già, ma come? Veltroni si ostina a sperare in una mano da Di Pietro. Se ritirasse la candidatura di Orlando, potrebbe sbocciare una rosa di nomi Pd e Udc su cui tentare l’accordo col Cavaliere. Quagliariello, buon interprete degli umori di maggioranza, apre: «Non facciamo il tifo per Villari, semplicemente non accettiamo imposizioni dalla minoranza». Il segretario del Pd ne ha ragionato al telefono con Casini, il più leale nei suoi confronti. Diversamente da Walter, Pier è molto scettico sulle intenzioni dipietriste. Occhi puntati dunque sulla conferenza stampa che l’ex eroe di Mani pulite ha convocato per stamane. Raggiunto tra un comizio e l’altro in Abruzzo, fa il sornione: «Se ritiro Orlando? Aspettate, e saprete». Titolo: UGO MAGRI Veltroni: la questione morale esiste. Ma assolve Iervolino e Domenici Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2008, 10:02:29 am 6/12/2008 (7:20) - LA QUESTIONE MORALE
D'Alema: unità nazionale per cambiare le regole Il PD deve ritrovare l'entusiasmo Veltroni: la questione morale esiste. Ma assolve Iervolino e Domenici UGO MAGRI ROMA D’Alema prova a elevare il tono del dibattito che in questi giorni l’ha coinvolto. Basta presentarlo come un livido cospiratore: la veste che predilige è quella del leader proiettato sulle grandi questioni nazionali. Eccolo dunque invocare «un grande patto sulle regole che permetta di mettere mano a una riforma complessiva delle istituzioni, compresa quella elettorale». Ed eccolo sollecitare un intervento legislativo in tema di giustizia, dove denuncia «una crisi allarmante che rischia di minare la fiducia dei cittadini». Quanta nostalgia si coglie, nelle parole di D’Alema, per la solidarietà nazionale. «Fu stagione di avanzamenti e conquiste», rammenta. Oggi andrebbe «ripresa ad esempio» recuperandone «lo spirito». Berlusconi ci ripensi, suggerisce D’Alema al suo antico interlocutore della Bicamerale, quella in fondo «fu un’occasione persa anche da lui per diventare uomo di Stato...». Il premier non commenta. Né si sbilancia il suo portavoce, Bonaiuti: «D’Alema è personaggio di prestigio, se sono rose fioriranno. Purtroppo finora la sinistra è stata sorda alle ragioni del dialogo». E per sinistra, dalle parti del Cavaliere si intende principalmente Veltroni. E’ lui il segretario, lui che si è scelto come alleato Di Pietro, che attacca il governo su tutti i fronti. Vista da Palazzo Chigi, neppure la «questione morale» che scuote il Pd è motivo di sollievo politico. Anzi. Quanto più Walter dà corda ai duri e puri del suo mondo, agli sdegni di Scalfaro, ai richiami etici di Zagrebelsky, tanto più Silvio lo vive come un pericolo e carica a testa bassa. In realtà Veltroni non è affatto preda di un raptus giustizialista, come da destra lo dipingono. Semmai prova a bilanciarsi tra due esigenze. Da una parte, favorire il ricambio interno, la selezione di una nuova classe dirigente («Il Pd è nato per rinnovare la politica»). Dall’altra, salvare quanto può di un partito che il 6 e 7 giugno sarà atteso dalla doppia prova delle europee e delle amministrative (è la data che Maroni intende proporre al Consiglio dei ministri). Risultato? Il più classico dei «ma anche». Veltroni giura che metterà al centro l’etica contro qualunque «improprio rapporto di commistione tra affari e politica». Così si pone alla testa del fronte moralizzatore che ieri ha visto in prima linea Tonini, la Finocchiaro, la Bindi. Al tempo stesso, con una saggia dose di realismo, Veltroni rifiuta di fare «d’ogni erba un fascio». Anzi, promette sostegno convinto ai due sindaci nell’occhio del ciclone per via delle inchieste giudiziarie che pendono sulle rispettive giunte di Napoli e di Firenze. La Iervolino finalmente riceve dal segretario una «lunga e affettuosa telefonata», come poi lei fa sapere tutta contenta perché «non ci saranno processi né messe al bando, né incontri a Roma martedì prossimo». Martedì no, per l’esattezza, ma mercoledì sì. Il caso Napoli verrà discusso dal coordinamento nazionale del Pd col segretario regionale e con quello cittadino. Veltroni insiste per cambiare parecchie facce nella giunta del capoluogo campano e, se potesse, per giubilare il governatore Bassolino, il quale resiste tetragono: «Io porto avanti il mio impegno». Si discuterà mercoledì pure di Firenze, altra vicenda con sottofondo di scandali. Qui la situazione è paradossale. Perché nemmeno l’assemblea cittadina del Pd è riuscita a ottenere un passo indietro dall’assessore Cioni, indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge il costruttore Ligresti e altri personaggi. Non solo Cioni rimane al suo posto in giunta, ma corre per le primarie a sindaco. Con la sottintesa minaccia che, se dovessero escluderlo dalla competizione, lui fonderebbe una lista civica. Allora sì che l’ultima roccaforte rossa potrebbe crollare. Ciò che manca al Pd, denunciano in un appello 54 deputati di ogni corrente, è un «confronto libero e limpido». Solo così si può «ritrovare l’entusiasmo». da lastampa.it Titolo: Forza Italia non è mai ricorsa al finanziamento illecito. (era già fatto prima) Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2008, 11:56:56 am 28/12/2008 (7:55) - RIFORME A GENNAIO
Berlusconi: "Se escono le mie telefonate lascio l'Italia" «Forza Italia non è mai ricorsa al finanziamento illecito.» Il Premier: subito Federalismo e Giustizia Possiamo cambiare la Costituzione da soli UGO MAGRI ROMA Se l’anno nuovo portasse con sé un Paese più unito, a Berlusconi non dispiacerebbe affatto. Sia chiaro: troppe illusioni il premier rifiuta di farsene. Confida a un gruppo di cronisti che lui è «rassegnato», ha perso la speranza, al dialogo non crede più, ormai la parola stessa è «usurata, meglio dire collaborazione, accordo sulle cose possibili». Tra l’altro nel 2009 ci saranno le elezioni amministrative ed europee, già a gennaio si voterà in Sardegna per il nuovo governatore, sarà una guerra permanente. Non è il momento della mano tesa all’opposizione. Eppure... Eppure da certe riflessioni del premier nel suo salotto a Palazzo Grazioli sembrerebbe di cogliere un’apertura di credito, lo si chiami pure spiraglio. O quantomeno, il desiderio di non esacerbare il clima, di non farsi additare come colui che dà fuoco alle polveri. E’ una novità da prendere con le pinze. Ma la frase più forte Berlusconi la pronuncia sull’Italia che si sente origliata. Pronto alla fuga «Io continuo a telefonare normalmente», assicura il presidente del Consiglio, «ma il giorno che venisse fuori una mia telefonata di un certo tipo, me ne andrei in un altro paese, scapperei via». Resta convinto che le intercettazioni vadano permesse solo sui delitti più gravi, niente da fare invece per i reati cosiddetti contro la pubblica amministrazione poiché «ci sarebbe il rischio di iper-rubricazione, il pm avrebbe mille scuse per metterci sotto controllo». La Lega era contraria a tagliar fuori reati come la corruzione, «ma io ho parlato con Bossi che ha chiamato Maroni, le sfumature stanno scomparendo». Anche la sinistra dovrebbe essere d’accordo, «specie adesso che questo sistema si è rivolto contro di lei...». Questione morale Berlusconi si guarda dall’infierire sugli avversari. Preferisce parlare di Forza Italia che «non è mai ricorsa al finanziamento illecito perché spende in modo oculato il finanziamento pubblico, e poi perché tutti sanno che casomai i soldi ce li metto io». Glissa sulle inchieste a carico della sinistra: «Non ho approfondito il tema, provo una certa allergia nei confronti di queste cose». Una parola di troppo in verità gli era sfuggita, tempo addietro, ma è acqua passata, «anzi ho manifestato l’auspicio che le accuse al Pd possano essere ridimensionate. Nei loro confronti do prova di fair-play». Sul Pd Il premier ricorda nostalgico quando provava «simpatia per la sinistra perché era garantista». Precisa di non averla mai votata: solo Pli, Dc e Psi «in quanto ero amico di Craxi». Ma con quella sinistra di una volta lui s’intenderebbe facilmente. Purtroppo oggi c’è di mezzo Di Pietro, «irrecuperabile, l’incarnazione del giustizialismo». Qualche ora prima aveva detto su Sky che «sono padre fortunatamente dei miei figli», non intendendo pronunciarsi su quello di Tonino. Il quale l’aveva presa come una «provocazione». Precisa Berlusconi davanti ai taccuini: «Non intendevo offendere nessuno, tantomeno sui figli». Comunque Di Pietro è il macigno da rimuovere se Veltroni vuole un rapporto con lui, tra i due «un divorzio è necessario». Sulla Lega Per far meglio intendere il suo pensiero, sviluppa il parallelo che segue: «Quando ho cominciato a trattare con Bossi, la Lega era indipendentista. Io ho saputo costituzionalizzarla, facendola diventare federalista. La stessa cosa dovrebbe capitare tra il Pd e l’Italia dei valori. Invece purtroppo succede il contrario, è il giustizialismo che sta permeando il Pd». Conclusione: «Devono scegliere quale identità darsi. Oggi è incerta per loro stessi. Cita «Rutelli, Marini, la Bindi». Segnali di fumo. Nessuna forzatura sulla Costituzione: si può cambiarla, ma con il consenso di tutti. Lo faremo da soli soltanto se costretti. In ogni caso, il federalismo fiscale precederà la riforma della giustizia. Crisi e auto Il Cavaliere conferma l’intenzione di promuovere la Brambilla a ministro del Turismo e Fazio alla Salute. Parla di economia, si rallegra che i consumi alimentari «vadano alla grande», riconosce una difficoltà del settore auto perché «in queste situazione la macchina è la prima spesa ad essere rinviata», si è regolato così perfino suo figlio Luigi, «al quale i mezzi non mancano». Il governo aspetta che l’Europa decida eventuali misure di sostegno, a quel punto si adeguerà. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "Lo scandalo intercettazioni è enorme" Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2009, 04:57:12 pm 25/1/2009 (6:52)
"Lo scandalo intercettazioni è enorme" Berlusconi: «Il più grande mai visto, un signore ha messso sotto controllo 350mila persone». E sulla giustizia il premier assicura: «C'è il sì di Bossi» UGO MAGRI ROMA Berlusconi riflette, abbastanza combattuto, se gli conviene accettare la proposta di Veltroni (mettere una «soglia» del 4 per cento alle prossime elezioni europee, così da far fuori i nanetti). Fa capire che nulla è gratis, caro Walter, altrimenti nemici come prima. «Ho sempre detto soglia al 5 per cento, non so se è possibile fare l’intesa», assume un’aria dubbiosa il premier in Sardegna, dove chiede voti per il suo candidato alla presidenza della Regione, Cappellacci, contro il governatore uscente Soru gratificato con elogi tipo: «Ha fallito come imprenditore, fa speculazioni edilizie, taglia gli ulivi davanti alla sua villa, è solo un venditore...». Se la risposta a Veltroni si fa desiderare, Berlusconi ne dà la colpa ovviamente agli avversari, «questi signori dicono una cosa e poi un’altra», come fidarsi? Sul segretario Pd, in particolare, Silvio non ha più il concetto positivo di una volta, perfino donna Veronica è delusa. Ma poi c’è sempre Gianni Letta a fare da citofono tra i due, si sbaglia di poco a immaginare l’Ambasciatore che decanta a entrambi le reciproche convenienze. Insomma, il Cavaliere è tentato dal più suadente degli ambasciatori. In attesa di sciogliere il dilemma, Berlusconi butta la palla avanti, lancia anzi una bomba di quelle che fanno tremare il Palazzo: «Sta per uscire uno scandalo che sarà il più grande della storia della Repubblica», annuncia dal palco di Olbia. Si tratta del cosiddetto «Archivio Genchi», raccolto negli anni dal consulente dell’ex pm calabrese De Magistris: «Un signore ha messo sotto controllo 350 mila persone, dobbiamo essere decisi a non consentire questo sistema di indagine, non deve continuare...». Lo scandalo sta nel mistero dei tabulati. Spiega il luogotenente berlusconiano Cicchitto: «Allo stato non sappiamo se il testo delle intercettazioni è stato distrutto oppure è nelle mani di chi può fare ricatti a 360 gradi». Il premier risulta tra gli spiati (insieme con Prodi, Napolitano e lo stesso capo dei servizi segreti De Gennaro). Ciò spiega in parte il suo sdegno, che lo porta a denunciare «questa cosa incredibile», sebbene poi ammetta di sapere non più di «quanto già sapete voi», a parte «altre cose che nell’ambito della politica mi sono state riferite...». Ma Berlusconi ha pure una convenienza politica immediata. In queste ore il ministro Alfano sta tentando di mettere la maggioranza d’accordo sul nodo delle intercettazioni. Il caso Genchi è l’argomento che serve al premier per forzare la mano a chi, tra gli alleati, si attarda a discutere i particolari. Sintomatico che Berlusconi colga l’attimo per annunciare «il via libera di Bossi alla riforma della giustizia». E per negare ogni conflitto con Fini, cui «verrà garantito un ruolo nel futuro Pdl» (il congresso fondativo «si terrà alla Fiera di Roma»). Anche sulla giustizia, il Cavaliere attende segnali di fumo da sinistra. Se il Pd fosse meno intransigente, allora lo «sbarramento salva-Veltroni» (come lo irridono a Palazzo Grazioli) avrebbe un’accoglienza migliore. Sul tavolo Berlusconi mette la riforma dei Regolamenti parlamentari (Gasparri ne parla apertamente). Oppure la «par condicio» televisiva, sua bestia nera di sempre. Per non dire della Rai: dove, torna a insistere il premier col pensiero a Santoro e ai comici che lo sfottono, «la situazione è veramente drammatica». Qualcosa il segretario Pd deve cedere, scelga lui il cappio. Messa in questi termini, escluso che la trattativa vada lontano. I piccoli partiti, che sperano nelle Europee per attingere al finanziamento pubblico e tirare avanti, gridano alla lesa democrazia, accusano il Pd di tradimento. E gli avversari interni di Veltroni, come Parisi, già invocano un po’ di coerenza con le decisioni di fine ottobre. Quando si disse: non possono essere cambiate le regole del gioco a pochi mesi dalle Europee. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Soglia al 4 per cento. Rivolta dei piccoli partiti. Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2009, 11:12:08 pm 29/1/2009 (7:2) - VERSO IL VOTO - DIALOGO E SOSPETTI
Europee, patto tra Pdl e Pd Soglia al 4 per cento. Rivolta dei piccoli partiti. Ferrero: «E' un colpo di Stato» UGO MAGRI ROMA Mercoledì prossimo Pdl e Pd scorderanno le inimicizie, e per la prima volta voteranno una riforma insieme, perché fa comodo a entrambi. Sarà un unico articolo, condannerà a morte i mini-partiti che non raggiungono la soglia del 4 per cento. Lo sbarramento esisteva già per il Parlamento nazionale, ora verrà esteso a quello europeo, dove oggi si può eleggere un deputato e attingere al finanziamento pubblico con meno di 300 mila voti. Nulla vieterà ai «nanetti» di coalizzarsi per superare l’asticella. Anzi, ipocritamente il «barrage» viene motivato proprio come stimolo a unirsi, specie sulla sinistra. Ma (altra trappola) per fare fronte comune i partitini dovranno depositare almeno 300 mila firme entro il 28 aprile prossimo, altrimenti niente simbolo sulla scheda. L’accordo per far fuori i piccoli a vantaggio dei partiti più grossi è stato raggiunto con rapidità fulminea: martedì i contatti del ministro Vito, ieri pomeriggio era già tutto finito. Sono d’accordo anche Idv, Udc (con qualche riserva sul 4 per cento, Casini avrebbe preferito il 3) e Lega. Bossi ha profittato astutamente della trattativa per portare a casa, col capogruppo Cota, la data di approvazione definitiva del federalismo fiscale: 13 marzo alla Camera. Nel Pd sembra che D’Alema abbia forti perplessità, tutti d’accordo invece nel Pdl alle prese con lo Statuto interno (saranno tre i coordinatori). Furibonde reazioni dai mini-partiti, com’era lecito attendersi. «Delinquenti!», è l’invettiva di Storace contro i grandi partiti. «Dittatori», esplode Mastella. «Patto bestiale», lo etichetta il socialista Nencini. «Colpo di Stato», chiama alla mobilitazione il rifondazionista Ferrero. Oggi si riunisce alla sede del Ps, piazza San Lorenzo in Lucina, il Comitato per la democrazia di cui fanno parte più o meno tutti i micro-partiti. Tenterà di coordinare la protesta con azioni politiche «eclatanti», forme di lotta drammatiche. Intanto si moltiplicano gli appelli al presidente della Repubblica, tirarlo per la giacca è lo sport nazionale. Già ieri, sommovimenti nei consigli regionali di Lombardia e Piemonte, blocco dei lavori al consiglio provinciale milanese, sit-in romano a due passi da Montecitorio animato da Verdi, Sd e «vendoliani». Ferrero è andato a urlare il suo sdegno sotto la sede del Pd, poiché perfino più di Silvio viene incolpato Walter: con lui se la prendono i compagni della sinistra radicale, la «pugnalata alla schiena» viene vissuta come un tentativo di salvarsi con l’aiuto del Cavaliere. «E’ una legge ad personam salva-Veltroni», ironizza Giordano. La Palermi: «Ormai è alla corte di Berlusconi». E Migliore: «Cosa è disposto a vendere il Pd in cambio di questo regalo?». Il pensiero corre subito a intercettazioni e giustizia, terreni ideali di «inciucio». Nel primo caso, effettivamente, Veltroni è più prudente che mai, forse per effetto del «caso Genchi» sospende il giudizio fino a quando le nuove proposte del ministro Alfano non verranno formalizzate (piccolo giallo sull’emendamento governativo che tarda, ma pare sia solo per la difficoltà di scrivere in giuridichese). Quanto alla giustizia, nulla fa pensare a una trattativa segreta. Anzi, nella durezza dello scontro, ieri il Pd ha incassato una sconfitta. Perché la sua mozione è stata bocciata alla Camera, mentre sono passate quelle dei Radicali e dell’Udc con il sostegno del centrodestra. Segno che «il Pd è isolato», si compiace Alfano, il quale ha ricevuto i complimenti del premier per la brillante operazione politica. Se poi da cosa nascerà cosa come auspica Gianni Letta (grande sarto della trama «veltruscona»), si vedrà più avanti: magari in occasione della «spartizione Rai», come già la definisce Di Pietro. Per il momento, tanto a Veltroni quanto a Berlusconi fa più comodo mostrarsi in pieno antagonismo reciproco, come in fondo facevano (sostengono i post-comunisti) i celebri ladri di Pisa, che di giorno litigavano salvo agire insieme di notte. Dunque Veltroni attacca a fondo il Cavaliere sulla Sardegna, Bonaiuti risponde a nome del principale, e avanti così fino al 6 giugno, giorno delle elezioni europee. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "La Carta va difesa", il Pd in piazza Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2009, 02:17:19 pm 11/2/2009 (6:59) - CASO ENGLARO-IL FRAGILE ARMISTIZIO
"La Carta va difesa", il Pd in piazza UGO MAGRI ROMA E’ scattata la moratoria degli insulti, nessuno grida più «assassini» agli avversari politici. Anzi, al Senato si sta cercando una base d’intesa sul cosiddetto «testamento biologico». Le distanze non sono così abissali, addirittura 4 esponenti del Pd (tra cui un big come Rutelli) hanno varcato il confine per votare la mozione di maggioranza. Ma quanto a lungo durerà il coprifuoco, è previsione impossibile. La battaglia su Eluana lascia cumuli di macerie dentro le istituzioni, lo sgombero procede lento. Il palazzo più sbrecciato è il Quirinale. Proprio lì era interessante percepire il clima, ieri mattina, alla cerimonia per ricordare un altro dramma collettivo, le foibe e l’esilio degli italiani d’Istria. E’ giunto Gianni Letta, ambasciatore del Cavaliere, col rammarico dipinto sul volto: «Oggi è una giornata triste di dolore, forse il silenzio avrebbe reso più forte anche la celebrazione del ricordo...». Il silenzio dopo gli urli dell’altra sera. Napolitano ha messo la sua autorevole firma: viviamo «un momento di dolore e di turbamento nazionale che può diventare occasione per una sensibile, consapevole riflessione comune». Parole che evocano concordia e serenità. Il premier tace, Sacconi nega conflitti col Quirinale (al massimo «possono esserci opinioni diverse»), Bossi giura che Silvio ha scelto di andare fino in fondo su Eluana «non per cercare lo scontro con Napolitano ma perché lui si identificava con la ragazza». Però Berlusconi resta un vulcano in piena attività. Follini che ben l’ha conosciuto, coglie un’insofferenza dei vincoli che potrebbe portarlo prestissimo a nuove eruzioni. A sconfessare gli attacchi dei suoi colonnelli contro Napolitano, il premier non pensa affatto. Tanto da esprimere in privato amicizia e comprensione per il suo capogruppo a Palazzo Madama Gasparri, pubblicamente rampognato da Fini per le uscite contro il Colle. E Berlusconi non è il solo: l’intera direzione di An ha riservato un applauso al «reprobo» Gasparri, quasi sconfessando il leader storico, presidente della Camera. Sono ferite difficili da rimarginare. Proprio Fini, intervistato dal Tg1, dipinge un quadro non troppo rassicurante. Tanto il presidente della Camera insiste sulla parola «rispetto» («della maggioranza verso l’opposizione, dell’opposizione verso il governo, e di tutti verso le istituzioni della Repubblica a cominciare dal Capo dello Stato») da fornire l’impressione di un mosaico ancora tutto per aria. Specie per quanto riguarda il braccio di ferro dei decreti, dove né Berlusconi né tanto meno Napolitano hanno fatto passi indietro. L’altro motivo di allerta viene dal Pd. Sull’onda dell’emozione per Eluana, aveva sospeso la manifestazione con Oscar Luigi Scalfaro in piazza Santi Apostoli. Doveva essere la risposta agli assalti berlusconiani che, accusa la Finocchiaro, volevano «sfondare con un calcio la porta del Quirinale». Ieri l’annuncio: la manifestazione rinviata si farà domani. Regola il tiro Franceschini, numero due del Pd: «Sarà a difesa della Costituzione, violentemente attaccata da Berlusconi ben oltre il conflitto con il Capo dello Stato». Il quale peraltro verrà a trovarsi in una collocazione scomoda, eroe di una parte politica contro l’altra. Allarga le braccia il centrista Rao: «Il Pd commette un errore, così finisce per scalfarizzare una figura davvero super partes, quale Napolitano». Non risulta che il Presidente abbia chiesto al Pd di tenerlo fuori dalla mischia. Napolitano osserva, pure in privato, un atteggiamento di rigido distacco dalle polemiche sul suo conto. Lo conforta la vagonata di lettere e email, decine di migliaia, piovute sul suo tavolo. I sondaggi di cui hanno preso visione sul Colle indicano una popolarità che cresce. La roccaforte quirinalizia pare ben salda, almeno nell’immagine della gente. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini-Berlusconi ... e Bossi (lo terranno a bada? ndr). Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 11:01:28 am 12/2/2009 (7:8) - RETROSCENA
Fini-Berlusconi Salva l'apparenza ma resta il gelo Bossi: “La Costituzione non si cambia” UGO MAGRI ROMA Chiudete bene la porta», s’è raccomandato Fini non appena il Cavaliere ha fatto ingresso da lui. Dovendosi chiarire, meglio allontanare i curiosi. Un quarto d’ora dopo l’uscio si è aperto. Sorrisi, cordialità un po’ affettata. «Allora ciao Gianfranco, ciao Silvio, meglio che ci siamo parlati, sì meglio...». I rispettivi entourage erano sulle spine, chissà se i due avevano fatto pace dopo gli scontri sul decreto per Eluana. Interpellando i protagonisti, l’impressione sul entrambi i fronti è risultata quella di una tregua non si sa quanto sincera. Conveniva a entrambi allentare la polemica per salvare le apparenze. Da questo punto di vista, è stato un faticoso successo per le rispettive diplomazie. Basti dire che, ancora ieri mattina, il Cavaliere recalcitrava all’idea. C’era questo convegno alla Camera per ricordare Tatarella, padre nobile di An, a dieci anni dalla sua scomparsa. La presenza del premier era annunciata, dar buca sarebbe stato uno sgarbo. Ma Berlusconi aveva letto i giornali (cosa che dice di non fare mai), e certe frasi attribuite a Fini l’avevano infastidito: «Al suo convegno io non ci vado». Grande pressione per convincerlo, da Letta a La Russa, a Bonaiuti. Infine s’è arreso sedendosi però in platea accanto alla vedova Tatarella mentre sul tavolo della presidenza c’era il suo scranno, vuoto. Quando Fini l’ha invitato a parlare, senza troppo entusiasmo Berlusconi ha riletto la vecchia prefazione di un libro. Con aria di pena si è sorbito da D’Alema, oratore nel convegno a nome di Italiani-Europei, un ripasso dell’abicì costituzionale. Non che Massimo abbia affondato i colpi, però sembrava rivolgersi al premier quando ha scandito in tono professorale: «Il valore delle assemblee elettive e del loro funzionamento può apparire, a chi abbia solo la cultura e l’esperienza del comando, un insieme di inutili...». E via bacchettando: «...si riaffaccia costantemente il rischio di un conflitto tra le istituzioni dello Stato, proprio quando le difficoltà del Paese richiederebbero il massimo di armonia». Onorato Tatarella, ecco Berlusconi nello studio di Fini, dove molto l’ha colpito un dipinto di Sironi. Visto che nessun altro c’era, mettere le virgolette sarebbe arbitrario. Ma il senso è chiaro. Per Fini il Pdl dovrà nascere nell’ambito di un bipolarismo civile, educato, rispettoso delle regole. Dunque il governo sbaglia a commettere forzature, tipo prendere di punta Napolitano sulla decretazione d’urgenza. Le riforme vanno condivise, il Parlamento sia teatro delle grandi scelte. Sì, sì, è la risposta di Berlusconi, tutto giusto, ma io devo pur governare. Se i Regolamenti parlamentari restano così, non ho altra scelta che procedere per decreto. E se nemmeno questo mi viene permesso, in quanto Napolitano arriva a bloccarmi addirittura su Eluana, allora il governo che ci sta a fare? Fin qui le due versioni combaciano. Se poi si dà retta alla campana berlusconiana, al termine del colloquio Fini avrebbe riconosciuto il problema, impegnandosi a sondare tanto il Colle che l’opposizione su qualche forma di «modus vivendi». Riformare i Regolamenti con una corsia preferenziale per i ddl del governo sarebbe l’optimum. La cartina al tornasole degli accadimenti è Bossi. Il Senatùr non spreca parole. Ieri ha dato un colpo al cerchio (Berlusconi) e uno alla botte (Napolitano). Al primo ha rammentato che il presidente della Repubblica «è una figura di garanzia, giusto che sia argine verso l’Esecutivo e sul potere di decretazione, che la carta non si cambia, il presidenzialismo si può fare solo se c’è equilibrio tra i poteri». Al Quirinale, però, Bossi rinfaccia lo «sbaglio» della lettera su Eluana perché «i ministri si sono detti: allora noi non contiamo nulla!». La via d’uscita sta nel mezzo. Ma non è stata ancora trovata. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: mai attaccato Napolitano. (il buffone scherza ancora. ndr) Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2009, 10:54:17 am 13/2/2009 (7:3) - IL CASO
Berlusconi: mai attaccato Napolitano "La Carta non è un Moloch intoccabile e può essere modificata" UGO MAGRI ROMA Poche ore prima che il Pd scendesse in piazza, Berlusconi ha fatto il solito scherzo. Indossati i panni dell’agnello, è andato in una delle sue reti tivù per bagnare le polveri degli avversari. Non solo ha omaggiato il Presidente della Repubblica, ma addirittura si è proposto lui quale paladino dell’ortodossia costituzionale. Si aggiunga che Napolitano non gradiva affatto di essere proclamato martire da una folla antigovernativa, e per i soliti canali riservati l’aveva comunicato a Veltroni: «Per favore, non tiratemi in ballo». Infine Flick, presidente della Consulta, che proprio ieri ha dato in un certo senso ragione al premier («La Costituzione non è un Moloch» ha detto riprendendone le testuali parole). La somma dei fattori ha prodotto una manifestazione così misurata, talmente alla camomilla, che i detrattori la considerano superflua. In realtà è valsa a piantare certi paletti invalicabili, più rivolta al futuro che al passato. Se dialogo sarà, non potrà che ripartire dal galateo istituzionale. Non a caso verso sera si è colta soddisfazione, ai massimi vertici della Repubblica. Per il Colle la giornata meglio non poteva andare. A parte un «ignorante» dato al Cavaliere per la famosa frase sulla Costituzione «sovietica», lo stesso oratore ufficiale della manifestazione, l’ex presidente Scalfaro, ha evitato toni da guerra civile. La Costituzione «nata con lo scopo di unire il popolo italiano e nessuno la usi per dividere», il rispettoso saluto al Presidente della Repubblica che deve restare «al di sopra delle parti», l’appello a Berlusconi perché «non ci faccia vivere con timori per la democrazia»: sono concetti tutt’altro che incendiari. Poi, si capisce, il centrodestra ha finto di indignarsi. Domenica si vota in Sardegna, e nessuno si fa sfuggire le occasioni di polemica. Per cui il capogruppo Pdl Cicchitto bolla la piazza come «un’orgia di refrattari, conservatori e giustizialisti di ogni risma», mentre Bonaiuti (portavoce del premier) dà del falso a Veltroni. Il quale a sua volta, motivando la manifestazione ai Santi Apostoli, aveva denunciato come «estranea alla Costituzione l’idea che il presidente del Consiglio abbia pensato di trasferire nelle mani di una sola persona il potere legislativo». A leggere bene, Veltroni al Cavaliere non ha dato del dittatore (come invece insiste Di Pietro, in sintonia con «The Economist»), né l’ha accusato (per dirla con la Finocchiaro) di «tramortire il Parlamento a colpi di decreto», in preda a un «delirio di onnipotenza». E’ che Berlusconi, ancora una volta, ha cambiato registro. Lui giura di no, a pranzo con alcuni ministri se l’è presa con i giornali che «mistificano» e lo presentano come aggressore, ma il giorno del no di Napolitano al decreto per Eluana l’hanno visto tutti, definirlo sopra le righe è poco. Invece ieri di buon’ora, a «Panorama del giorno», eccolo snocciolare gli articoli 77 e 138 della Costituzione per mostrare quanto lui le è aderente. Ed eccolo lusingare Napolitano sostenendo che «il presidente del Consiglio ha tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con il Capo dello Stato», una figura-chiave per la riuscita del governo. Non si trascuri il ruolo della Lega: deve portare a casa il federalismo fiscale, e già guarda a quello costituzionale. In un clima di scontro, Bossi se li scorda; ha già detto a Silvio di darsi una calmata. Resta intera l’incognita dei decreti: voleranno di nuovo scintille, la prossima volta che il governo ne farà uno? E sulla riforma delle intercettazioni: Napolitano darà retta al governo o piuttosto al Csm, che la giudica incostituzionale? Titolo: UGO MAGRI Ancora scintille tra Colle e Berlusconi Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2009, 12:10:25 pm 14/2/2009 (8:7) - LA SCONTRO SULLE RIFORME
Ancora scintille tra Colle e Berlusconi Il Presidente Napolitano: «La Carta? Teniamocela ben stretta». Il premier: «La sinistra la cambiò. E pure male» UGO MAGRI ROMA La prova che tra Berlusconi e Napolitano nulla è chiarito, viene da un acido scambio di battute. Sembrano dire la stessa cosa, in realtà sostengono il rovescio. Tutto a causa di un ragazzino. «Presidente», ha chiesto lo scolaretto durante una cerimonia, «qui in Italia abbiamo la Costituzione. Perché in Europa non c’è?». Pure l’Europa ci arriverà, ha spiegato Napolitano. Salvo aggiungere sorridendo: «In Italia per fortuna abbiamo una Costituzione, teniamocela stretta...». Se non ci fosse, è il sottinteso, sarebbe stato impossibile fare argine sul decreto-Eluana. Ma «per fortuna» la Costituzione c’è, dunque ci si potrà aggrappare pure in futuro. Interpretare una battuta è sempre arduo, ma così deve averla intesa il Cavaliere. Irritandosi alquanto. Lui sostiene che è Napolitano, semmai, a non rispettare la Carta repubblicana in materia di decreti, perciò la rivendica a sua volta: «Condivido al cento per cento quello che ha detto Napolitano, anch’io penso che questa Costituzione dobbiamo tenercela stretta», oltretutto è la sinistra ad averla «cambiata male» sul Titolo V «con 4 voti di maggioranza». Tira in ballo l’art.77 secondo comma, dove sta scritto che i decreti il governo li adotta «sotto la sua responsabilità». Visto? L’ultima parola spetta all’esecutivo. Addirittura nel caso di Eluana «è stato sostenuto che non c’era urgenza e necessità. E meno male», tuona Berlusconi in comizio a Cagliari, «è morta tre giorni dopo...». Difficile non considerarlo uno schiaffo al Capo dello Stato. E a proposito di insulti, va registrata la richiesta di archiviazione per Di Pietro. Secondo il pm di Roma Amato, il suo ex collega non ha offeso l’onore del Presidente. Escluso che si riferisse a lui quando aveva denunciato in piazza che «il silenzio è mafioso». Esulta Tonino, «adesso qualcuno mi deve delle scuse». E riparte all’attacco del Colle: Napolitano non firmi la riforma delle intercettazioni «perché incostituzionale». E’ il terreno di un nuovo potenziale drammatico scontro ai vertici della Repubblica. Il Presidente non cede sulle sue prerogative, il premier non è da meno. Sviluppa allusivo un paragone poco cortese: «Quando si tocca un’altra istituzione, anche solo con un graffio, nascono polemiche, mentre lo sport nazionale è prendersela con il presidente del Consiglio, definito Hitler, l’orco di Arcore». Veltroni lo qualifica un barzellettiere, Berlusconi mostra i denti («Quello non è mai tenero non me») e ricambia: la sinistra «dovrebbe mettere nel suo simbolo Scalfaro, l’ultimo eroe del Pd, che sappiamo il passato che ha». Battute da comizio: domani si vota in Sardegna, è testa a testa tra l’uscente Soru e il berlusconiano Cappellacci. Il premier deve guardarsi dal fuoco amico. Su «Libero» Vittorio Feltri gli sollecita un colpo d’ala perché altrimenti Silvio «così non duri», e il «Foglio» di Giuliano Ferrara già rivede lo stesso film dell’altra legislatura, quando Berlusconi passava il tempo a destreggiarsi tra Bossi e Casini. Falso, fa gli scongiuri il premier, «lavoriamo nella più grande concordia di tutti i partiti della maggioranza». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI I laici del Pdl adottano Rutelli Inserito da: Admin - Marzo 01, 2009, 10:45:23 am 1/3/2009 (7:42) - PARTENZA DIFFICILE
I laici del Pdl adottano Rutelli Biotestamento, la mediazione dell'ex ministro crea un'altra spaccatura a destra UGO MAGRI ROMA Il Pdl tenta di mettere in un angolo l’ala «pro-life» e fa propria la mediazione Rutelli. L’ex leader della Margherita esprime la più «laica» tra le posizioni cattoliche, la più «cattolica» tra le indicazioni laiche. Propone di camminare, come su un filo, tra gli opposti estremismi. La legge sul testamento biologico «non porti né all’eutanasia né all’accanimento terapeutico», è l’appello. Lo lancia al congresso del Partito Radicale, di cui fu militante qualche era geologica fa. Commozione, lacrime, alla fine applausi. In concreto, Rutelli sonda il terreno su cui potrebbero accordarsi i due schieramenti al Senato, profittando della settimana (o delle settimane) in più che il presidente Schifani è disposto a concedere. Una legge è indispensabile. Giunge conferma che pure il ministro Sacconi risulta indagato dalla magistratura nella vicenda Eluana. Papà Beppino Englaro per omicidio volontario, lui per averlo sabotato. E’ la riprova di una confusione tragica e paradossale, le Procure interpretano il vuoto normativo sull’onda di opposte emozioni. Rutelli suggerisce che «sia l’alleanza tra medico e paziente a decidere», caso per caso, come affrontare il dramma del fine-vita. L’ultima parola spetterebbe a chi ha prestato in giuramento di Ippocrate. Il testo in discussione a Palazzo Madama, viceversa, è categorico. All’articolo 2 fissa il divieto di sospendere (o non attivare) terapie, se ne può conseguire la morte del paziente. Nell’intento di tagliare la strada a qualunque forma di eutanasia, la proposta Calabrò lega le mani ai medici. L’ipotesi mediatoria ha il pregio, agli occhi dei vertici politico-istituzionali, di scongiurare guerre di religione. Sarà oggetto di discussione nei prossimi giorni, si sta già occupando di studiare la formulazione giusta il presidente della Commissione sanità al Senato, Tomassini. Conteranno le virgole: una di meno, e precipiti da una parte; una di troppo e cadi dall’altra. Né sarà facile per Pd e Pdl sottoscrivere intese mentre già divampa la campagna elettorale europea: Franceschini alza ogni giorno che passa la posta, avverte che «è in gioco il futuro della democrazia italiana», fa felici i referendari (da Guzzetta a Parisi) sottoscrivendo la loro richiesta di tenere la consultazione popolare il 7 giugno, all’«election day». E’ alquanto dubbio che il Pd possa «reggere» una mediazione. Ma il vero ostacolo al compromesso sono i falchi di entrambi i campi. Rutelli si rivolge con accenti studiatamente alti «ai fautori dell’umanesimo laico» chiedendo di «schierarsi a difesa della vita più fragile «e non di un illusorio illuminismo bioetico». Parla agli intransigenti del Pd, proprio come Cicchitto (capogruppo Pdl alla Camera) lancia una sorta di ultimatum ai fondamentalisti del suo campo. Lui, Bondi, Brunetta e lo stesso Sacconi hanno condiviso il decreto su Eluana, ma ora basta: «Una parte dei laici», ricorda Cicchitto, «ha finora mantenuto la disponibilità alla ricerca di una soluzione coi cattolici, evidentemente a patto che non ci si infili nel vicolo cieco dell’integralismo». I 53 firmatari del documento «pro life» al Senato stiano attenti a non far saltare il banco. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Riforme e laicità le cambiali di Fini Inserito da: Admin - Marzo 29, 2009, 11:12:40 am 29/3/2009 (7:3) - NASCE IL PDL - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA
Riforme e laicità le cambiali di Fini "Sì al referendum. Sul fine vita questa legge è da Stato etico" UGO MAGRI ROMA Fini conquista sul campo il diritto alla successione. Strappa ovazioni tali, al congresso del Pdl, che nessuno può competere: non Tremonti, per quanto applaudito, e nemmeno Formigoni che viene sommerso dal tripudio quando grida basta alla Lega, e basta anche coi nominati dall’alto, si torni alle preferenze. Re Silvio sembra aver scelto, sarà Gianfranco l’erede designato. Monta sul palco, bacia il presidente della Camera, gli leva in alto il braccio come si fa col pugile vincitore, gli pone infine la corona sul capo: «Questo anche per spazzare via tutte le malizie sul fatto che noi due non ci vogliamo bene e non abbiamo gli stessi ideali...». E’ la scena madre che verrà ricordata. Già prima, mentre Fini si esibiva dal palco, il maxischermo mostrava Berlusconi capo-claque: si spellava le mani, ostentava il segno okay con le dita, sussurrava parole ammirate a Donna Elisabetta Tulliani, la compagna di Gianfranco... Dopo il discorso, inno di Mameli e brindisi in privato per festeggiare. Chiacchiere di un grande accordo strategico stipulato tra i due. Se poi nell’intimo si sente minacciato, il Cavaliere lo maschera bene. Perché Fini riconosce in lui il leader del presente, gli accredita un tratto di «lucida follia». Però lo carica di «onori e oneri», come si conviene a un capo. E gli presenta da subito tre cambiali. Lo sollecita a esprimersi sul referendum elettorale, se Bossi darà di matto pazienza. Gli chiede di mettere il Pd alla prova della grande riforma costituzionale. Lo sfida a sconfessare la legge sul testamento biologico, appena approvata al Senato su input papale. Fini è abile, non solo nell’eloquio. Si propone come voce fuori dal coro, perfino minoritario dentro il partito, appassionato al dibattito delle idee che formula in tono riguardoso: «Se posso dare un suggerimento a Berlusconi...». In realtà sa bene di mietere consensi. Ne vedremo delle belle quando il bio-testamento approderà alla Camera: sono una folla i deputati che la pensano come Fini, questa legge «è più da Stato etico che da Stato laico». La laicità è un’altra cosa, prova a obiettare il presidente del Senato Schifani, certo «non può essere omissione di responsabilità». Ma dai boatos di Montecitorio la legge sembra al binario morto. Idem sul referendum, il cuore della base batte per Fini, non c’è nulla di male nel dire sì all’eliminazione dei partiti intermedi, se vincesse l’astensionismo sarebbe solo per «realpolitik» verso la Lega. Con la quale comunque, insiste il presidente della Camera, Berlusconi dovrà prendersi la briga di «discutere perché questo è il peso della democrazia». Sulle riforme, Fini compie un capolavoro. Vince le resistenze di Berlusconi presentandole come una sfida alla sinistra «per vedere se è riformatrice o nostalgica». Va incontro al premier esaltando la «democrazia che decide, non si limita a discutere», e proprio per rafforzare i poteri del governo gli consiglia di «rilanciare una grande stagione costituente» (D’Alema prontissimo se ne compiace). Commenta con arguzia il ministro Rotondi: «Tecnicamente perfetto, il mio omonimo Gianfranco apre al Pd senza darlo a vedere». Isolato? Nemmeno un po’. Anche nel campo berlusconiano c’è chi sottoscriverebbe, primo tra tutti il capogruppo alla Camera Cicchitto, ponte tra il Cavaliere e il Delfino. Il resto del discorso è declinato al futuro, Fini indica orizzonti per il paese. Un patto tra generazioni che presuppone un’Italia coesa, «con ricadute sulla previdenza anche se non sta a me dirlo...». Un secondo patto di cooperazione tra capitale e lavoro (Cossiga lo accusa di neo-corporativismo). Un terzo patto tra Nord e Sud, che significa «libertà dalle mafie e dal ceto politico dedito al sottopotere». Tutti in piedi ad applaudirlo, piccoli ras locali compresi. E l’immigrazione, «un processo storico da guidare» anche riportando l’educazione civica nelle scuole. Risultato: oggi Berlusconi faticherà a svicolare. Quando tornerà sul palco a mezzogiorno per la replica, qualcosa sulle tre cambiali dovrà pur dire. Con qualche rimpianto. Se avesse indicato tracce di futuro nella relazione introduttiva, forse il congresso avrebbe preso altri binari. Invece Berlusconi ha ceduto a Fini il compito di dettare l’agenda. E solo un grande discorso può restituirgli intero lo scettro. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI LEGA GELATA Inserito da: Admin - Aprile 11, 2009, 04:44:26 pm 10/4/2009 (7:10) - «REFERENDUM, AMMINISTRATIVE E EUROPEE LO STESSO GIORNO? PARLIAMONE».
LEGA GELATA E non si trova una soluzione al pasticcio del decreto sui clandestini UGO MAGRI ROMA Berlusconi si è messo ad armeggiare intorno alla bomba del referendum, e nemmeno a chi gli sta accanto è ben chiaro se il premier lo fa per disinnescarla oppure per tirarla in testa a Bossi. Qualcuno dei suoi avanza una terza ipotesi: vuole mostrarsi attento e carino nei confronti di Franceschini perché c’è un clima politico più solidale, creato purtroppo dal terremoto, e il Cavaliere come sempre prova a sfruttarlo, da cosa può nascere cosa: le riforme «da fare con l’accordo di tutti», quei maggiori poteri al premier «come nel resto d’Europa» che non si stanca di chiedere, magari il presidenzialismo... Una fiera dietrologica scatenata dalla cronista dell’«Unità» che gli chiede: perché non tenere il referendum nell’election day, come vuole il Pd? L’Arcinemico è stranamente flautato: «Ne discuteremo nel prossimo Consiglio dei ministri», risponde, «perché le motivazioni meritano di essere approfondite, vale la pena di compiere un’ulteriore riflessione». Non è un sì, ma nemmeno un no. Forse. Dipende. I referendari con Guzzetta esultano, «parole sagge». La Lega ci resta di sale. Spiazzata. Maroni telefona a Palazzo Chigi per avere lumi. Gli rispondono che vai a immaginare cosa passa nella mente del Capo. Lui sa quanto rischia. Bossi ha messo in chiaro che il referendum è una disgrazia, ne verrebbe fuori un sistema elettorale dove la Lega non conta nulla. E l’unico modo per non far scattare il quorum, suggerisce il Senatùr, è mandare la gente al mare: dunque mai tenere il referendum nello stesso giorno delle Europee, il 6-7 giugno. Meglio una settimana dopo nel disinteresse collettivo, e se si buttano 400 milioni pazienza. Pareva un discorso assodato, alla Camera era stato perfino respinto l’emendamento Pd favorevole all’«election day». Ora invece, colpo di scena, Berlusconi tende la mano verso il frutto proibito, quel referendum che gli permetterebbe di arrivare al 51 per cento da solo. Franceschini ne prende atto, prudente: «Se il governo ci ha ripensato, va bene. Ma vorremmo capire se si tratta solo di parole o seguiranno fatti concreti». Vorrebbe capirlo pure la Lega. Dietro la facciata, i rapporti sono tesi. Ieri Silvio ha speso ore con Umberto (più Maroni, Tremonti, Calderoli, La Russa e Brancher) sul rompicapo del decreto sicurezza. Brucia la bocciatura dell’articolo 5, che trattiene fino a sei mesi i clandestini nei Cie (i campi di raccolta): un migliaio di immigrati torneranno liberi il 26 aprile. Accordo generale per riparare il danno dei «franchi tiratori». Già, ma come? Il decreto è al Senato, il 21 va in aula. Per correggerlo infilandoci i Cie servirebbe un voto di fiducia, in modo da stroncare l’ostruzionismo. Poi il testo dovrebbe tornare alla Camera, però sabato 25 il decreto decade... Non si fa in tempo. Meglio affidarsi a un disegno di legge, che per evitare nuove imboscate di «franchi tiratori» riduca la permanenza dei Cie da 6 a 4 mesi. Evitando si capisce che i clandestini si dileguino nel frattempo. Con un apposito decreto-legge. Anzi no, nessun nuovo decreto, figurarsi se Napolitano lo firma. Allora «rimandiamoli di corsa nei paesi d’origine». Sì, ma molti sono tunisini, e il loro governo se ne ripiglia al massimo una cinquantina a settimana. «Ci penso io», promette Berlusconi, «parlo col Presidente Ben Alì, che è mio amico». Chissà che non accetti un rimpatrio collettivo... Il Cavaliere parla di «chiarimento con piena soddisfazione». Bossi si finge d’accordo, «con lui la soluzione si trova sempre». Ma oggi sulla «Padania» Maroni fa un’intervista per dire che, comunque vada, la frittata è fatta, non creda Berlusconi di averci messo la toppa. Il premier, a sua volta, pensa al decreto sicurezza senza ronde e senza Cie, passato l’altra sera alla Camera coi voti di Pdl, Pd e Udc: quante rogne in meno, se andasse sempre così. DA LASTAMPA.IT Titolo: UGO MAGRI Berlusconi prepara la battaglia Inserito da: Admin - Maggio 05, 2009, 11:29:42 pm 5/5/2009 (7:23) -
IL DIVORZIO - IL PREMIER TRA FAMIGLIA E POLITICA Berlusconi prepara la battaglia Consulto ad Arcore con la figlia Marina e il consigliere più fidato Bruno Ermolli UGO MAGRI ROMA Nel giro stretto del Cavaliere c’è un po’ di panico. Il terrore è che la magia sia infranta. Mancano quei sondaggi di cui Berlusconi si fida, però i primi riscontri non sono granché. Diciamo, pessimi. La gente ha puntato gli occhi sul divorzio da Veronica, la telenovela appassiona il grande pubblico, e figurarsi se l’accusa da vergogna di trescare con una minorenne poteva passare sotto silenzio. Con l’aria di chi vuole tenersi fuori, il segretario Pd Franceschini nella realtà ci inzuppa il biscotto. I dipietristi sfogliano il codice penale, le voci della sinistra cattolica (dopo la Bindi, Castagnetti) traboccano sdegno. L’opposizione fa il suo mestiere, il circo mediatico pure. Sull’Italia sta calando un esercito di corrispondenti e inviati. Non per raccontare il terremoto, non per acclamare le storiche acquisizioni di Fiat, ma per divertire il mondo con l’ultima prodezza di Silvio. La Cnn ha addirittura imbastito un talk-show. Lui, Berlusconi, ne è molto angosciato. Il G8 de L’Aquila è alle porte, altro che ruolo autorevole da giocare con i grandi del pianeta. E poi le Europee tra un mese: contava di battere il proprio record delle preferenze, nel 1999 erano state 3 milioni, stavolta voleva arrivare a 4 per spianare la via alle riforme più ardite, Costituzione compresa... Il piano è in forse per colpa di Veronica, «questa storia può farmi perdere voti» è la franca ammissione del premier nei colloqui privati, insieme al ritornello «non ho fatto nulla di cui rimproverarmi» e all’ira sempre furibonda nei confronti di quanti (giornalisti in prima fila) gli hanno stranito la moglie, l’hanno «sobillata» contro di lui. Gran consiglio ad Arcore, dove una troupe della tivù pubblica olandese staziona davanti ai cancelli. E’ stata vista entrare Marina, figlia di primo letto, quindi il «Ministro della real casa» (come viene chiamato) Ermolli. Prime sistemazioni degli affari di famiglia dopo l’annuncio di divorzio. E consulto con il legale di fiducia Ghedini sulla strategia difensiva: saranno le sue sorelle Nicoletta e Ippolita (entrambe matrimonialiste) a rappresentare il premier nella causa di divorzio. Il «nemico» si chiama Maria Cristina Morelli, è avvocato della signora Lario, secondo l’entourage berlusconiano si deve a lei se Veronica ha alzato improvvisamente il tiro sulla «diciottenne», di certo è una donna che conosce la prima linea, ha sostenuto Beppino Englaro nella prima fase della battaglia per Eluana. «Ovvio che non anticipo nulla», chiude la porta Ghedini a chi volesse curiosare. La vera preoccupazione del Cavaliere, a quanto si dice, non è spartire l'immenso patrimonio tra i 5 figli. E’ il fall-out del divorzio sulla politica, sono i contraccolpi per l’immagine di uno che ama metterci sempre e comunque la faccia. Andare in tivù? Contrattaccare in qualche programma amico? «Non commettere quest’errore, getteresti altra benzina sul fuoco», l’hanno dissuaso Bonaiuti e Letta. In attesa degli eventi vengono mandati in avanscoperta fedelissimi come Bondi (stasera a Ballarò) e Quagliariello (su La 7), poi si vedrà. Il gossip è irrefrenabile, una velina tira l’altra come successe durante «Vallettopoli», chissà se pure stavolta gli argini reggeranno. Compresi quelli tra le due rive del Tevere. Nei Sacri Palazzi vaticani vige l’ordine del cardinale Bertone, si tenga la bocca rigorosamente chiusa. Punto interrogativo viceversa sulla Cei, non è detto che i vescovi saranno altrettanto diplomatici perché di divorziati in politica ce n’è parecchi, lo stesso papà Casini che campeggia nei manifesti non fa eccezione, ma nel caso di Silvio è il secondo matrimonio che va all’aria, per giunta con grave scandalo. Non può sperare nel voto di parroci e suorine. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Adesso Berlusconi teme il complotto Inserito da: Admin - Maggio 27, 2009, 10:06:35 am 27/5/2009 (7:13) - GOVERNO - ATTACCO AL PREMIER
Adesso Berlusconi teme il complotto L'incubo: gruppi di contestatori che gli urlano contro in tv UGO MAGRI ROMA Il «trappolone» che il Cavaliere più teme, di qui alle elezioni, non consiste nelle rivelazioni osé dei «giornali nemici», come li battezza lui, gruppo «Repubblica» in testa. No, il vero incubo di Berlusconi, quello che in queste ore ne attizza gli sfoghi semi-pubblici, ha l’aspetto a lui molto familiare di una telecamera. Che l’attende al varco dopo il comizio, la manifestazione pubblica, la passeggiata tra la gente. E riprende un gruppo di contestatori, magari semplici figuranti, che spuntano fuori come dal nulla, peraltro inquadrati in modo da sembrare folle oceaniche. I quali gli gridano «pedofilo, vattene, vergogna!». E la contestazione organizzata fa subito il giro del mondo, creando l’evento simbolico della dissacrazione, come fu per Bettino Craxi il famoso lancio di monetine in via del Corso, prologo della sua fine politica. Questo raccontano dalle parti di Berlusconi. Un segnale d’allarme l’ha captato lui personalmente domenica, dopo la sconfitta del Milan contro la Roma. Le cronache riferiscono di una lunga sosta negli spogliatoi per catechizzare la squadra. Però circola un’altra cruda versione. Secondo cui in realtà Silvio avrebbe lungamente atteso nel garage di San Siro che i tifosi defluissero, per timore che qualcuno degli scalmanati, i quali avevano appena rovinato la festa d’addio a un «mostro sacro» come Maldini, gli urlasse «papi», oppure «Noemi» (in tribuna pare sia realmente successo) davanti alla famosa telecamera. Non certo targata Mediaset, si può giurare. E magari neppure di «mamma Rai». Però ci sono altre reti. Sky, ad esempio. Nell’entourage di Berlusconi si punta l’indice contro Murdoch. Qualcuno della guardia pretoria arriva ad additare il magnate australiano, l’ex alleato del Cavaliere diventato rivale acerrimo, addirittura come possibile artefice del «trappolone» mondiale, appunto. Siamo al fanta-complotto. D’altra parte, ai radar di via del Plebiscito non poteva sfuggire l’approccio parecchio sbarazzino con cui il flemmatico «Times» (proprietà di Murdoch) ha trattato Berlusconi nella vicenda Noemi, fino al punto di incorrere in un errore nell’intervista alla mamma della ragazza e doverle chiedere pubblicamente scusa. La sindrome da assedio dilaga incontrollata. Il ministro Rotondi è certissimo che la congiura esiste eccome («Noemi come Wilma Montesi e come le feste di Leone al Quirinale»). Racconta il seguente episodio: quattro giorni esatti prima della visita del premier a Casoria per la celebre festa di compleanno, «si stava predisponendo un altro agguato mediatico, che per fortuna del presidente Berlusconi non ha avuto esito. E qui mi fermo», soggiunge sibillino Rotondi... Il premier pare ne sia ben consapevole. Confida a «Libero» che queste cose «me le dicono in troppi» per non essere vere, «e mi preannunciano che non è ancora finita, c’è un piano preciso». Mostra di crederci lui stesso. In collegamento telefonico con i suoi fan milanesi (perché ormai di persona non si muove quasi più) protesta veemente, «c’è una sinistra malata di odio politico, ogni giorno mi stanno gettando del fango addosso, hanno messo in campo una ventina di giornalisti per inventare storie false e disarcionarmi...». Tutto questo mentre a Montecitorio il gossip contagia rispettabilissimi esponenti del Pdl. Dov’è stata raccolta la seguente voce (smentita dalle fonti ufficiali): Noemi sarebbe in realtà la nipote segreta del Cavaliere... Figurarsi se la Chiesa, nella sua millenaria esperienza, si lascia trascinare in un gorgo simile. Interpellato per conto della Cei su Berlusconi e le giovinette, monsignor Crociata svicola con sapienza: «Di questioni morali ce ne sono tante, occorre tenerle vive tutte senza dover esprimere giudizi a ogni piè sospinto...». Un modo intricato per dire semplicemente: «No comment». da repubblica.it Titolo: UGO MAGRI ITALIA-USA: VERTICE ALLA CASA BIANCA Inserito da: Admin - Giugno 16, 2009, 04:18:19 pm 15/6/2009 (22:54) - ITALIA-USA: VERTICE ALLA CASA BIANCA
Berlusconi apre su Guantanamo L'Italia accoglierà tre ex-detenuti Disponibilità del premier, che punta tutto sulla riuscita del G8 in Abruzzo UGO MAGRI INVIATO A WASHINGTON Mettere in sicurezza il G8. Impedire che diventi un fiasco di proporzioni mondiali. Evitare soprattutto che, oltre al grande dispiacere per un’eventuale figuraccia, l’appuntamento de L’Aquila provochi le «scosse» telluriche sul governo cui già si sta preparando D’Alema... Alle 22 ora italiana, il Cavaliere è entrato alla Casa Bianca con questi obiettivi ben chiari in mente: dal Presidente americano dipende un passaggio cruciale per la sua sorte politica futura. Preoccupazioni dettate dall’esperienza. La prima volta che dovette presiedere un G8, nel ‘94 a Napoli, Berlusconi fu centrato dal famoso avviso di garanzia, con successive dimissioni. Nel 2003, a Genova, il summit fu funestato dai Black blocs, e ci scappò pure il morto. Stavolta Silvio non può permettersi di correre rischi. Tutto dev’essere pianificato in anticipo senza improvvisazioni, a cominciare dall’agenda. Mentre il giornale va in stampa, il colloquio con Obama è ancora in corso. Seguirà conferenza stampa e visita al Congresso per una stretta di mano con la speaker, Nancy Pelosi. Niente corona di fiori al cimitero di Arlington, nessuna visita alla National Gallery: il premier è sbarcato l’altra notte nella capitale Usa con il collo dolorante, colpa dell’aereo che saltava come un cavallo per via delle turbolenze, e colpa anche dell’aria condizionata. E’ andato subito a letto senza cena, ieri mattina l’ha trascorsa nella suite dell’Hotel St Regis, in déshabillé e con il capo sul cuscino per via del torcicollo. A parte una parentesi per studiare le carte di un’azione legale nei confronti dei giornali ostili (i collaboratori la definiscono «sempre più probabile perché è stufo delle falsità su Noemi e dintorni»), Berlusconi s’è completamente immerso nei dossier del colloquio. Con l’applicazione dello scolaretto che sa di non poter fallire l’esame. Obama è un pragmatico avvocato di Chicago? Berlusconi ha messo a fuoco il personaggio e si adegua. Riveste per l’occasione i panni concreti di imprenditore della Brianza. «Siamo entrambi uomini del fare», sono i commenti del premier alla vigilia, «Obama finora non ha sbagliato una mossa, proprio come il mio governo». Lo slogan è «sono un amico dell’America, qualche che sia l’amministrazione in carica». Dunque, rivoluzione di stile rispetto ai tempi di Bush. Basta «pacche sulle spalle» che con Obama, tra l’altro, sono poco producenti. Niente battute di spirito che nel mondo anglosassone verrebbero fraintese. Bandite le barzellette e vietatissimi gli ammiccamenti sessisti. Anziché catturare la simpatia di Barak, Silvio prova a rendersi utile. Dunque il G8. Dove si parlerà di nuove regole per l’economia mondiale. Berlusconi vuole capire fino a che punto si potrà spingere, che cosa vorrà da lui l’America. Tremonti, reduce dal G8 economico a Lecce, ha fatto sapere al premier che i passi avanti nel negoziato sono notevoli, però non s’illuda di poter mettere nero su bianco un pacchetto di controlli ben definiti: al massimo delle linee guida perché gli Stati Uniti non possono passare di colpo dal liberismo più sfrenato a un sistema di «lacci e lacciuoli». Da Obama, il Cavaliere si attende indicazioni più precise. Oltre a qualche suggerimento pratico sui lavori: gradisce incontri bilaterali? Gli piace un programma ben scadenzato? Bonaiuti, il portavoce, mette in chiaro: Berlusconi ha interesse «a un G8 molto efficiente e produttivo di risultati». Dei quali, è sottinteso, potersi vantare in patria, Su tutto il resto, dalle nuove truppe per l’Afghanistan al capitolo Guantanamo, porte spalancate alle richieste Usa, come nelle tradizioni. Obama chiederà un impegno straordinario delle nostre truppe anche dopo le elezioni a Kabul? Se ne può discutere. Vuole che l’Italia si prenda carico di alcuni prigionieri islamici che verranno liberati tra breve? Siamo pronti, prontissimi. E se Obama gli dovesse rimproverare «aperture eccessive» dell’Italia all’Iran, Berlusconi ha già la risposta pronta: «Io, caro Obama, ho paragonato Ahmadinejad a un novello Hitler». Più di così... da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi incassa l'amicizia di Obama Inserito da: Admin - Giugno 16, 2009, 11:27:15 pm 16/6/2009 (6:20) - LA VISITA IN USA
Berlusconi incassa l'amicizia di Obama Accoglienza cordiale per il Premier italiano teso più che mai al cospetto del presidente Usa UGO MAGRI DALL'INVIATO A WASHINGTON Berlusconi torna in patria parecchio sollevato. Una freddezza di Obama poteva essere devastante, la conferma dell'isolamento internazionale seguito allo scandalo Noemi e alle foto sul "Pais". Invece l'uomo della Casa Bianca è stato cordiale oltre le aspettative. Ha tenuto il Cavaliere a colloquio più del previsto, gli ha dato importanza ascoltando compunto (o fingendo con quella sua aria da Sfinge) i consigli del premier su come trattare coi russi. Rotte le consegne del cerimoniale, i due hanno conversato per quasi due ore, seguite da una lunga conferenza stampa tenuta nella Sala Ovale. Le frasi che contano, alla fine, sono soprattutto gli apprezzamenti pubblici di Obama: "Tra noi è stato un ottimo inizio", e soprattutto quel "mi piace personalmente Berlusconi" che ha sciolto il sorriso sul volto del Cavaliere, mai così teso e talmente truccato di cerone da apparire perfino più "abbronzato" del presidente Usa. L'incidente che si temeva, insomma, non c'è stato affatto. Anche perché Silvio si è presentato alla Casa Bianca con atteggiamento umile e senza la spocchia di chi calca da tre lustri la scena mondiale. Quasi dimesso e un po' rigido, complice anche il torcicollo che lo perseguita. Colmo della sfortuna, Obama era seduto nel colloquio alla sua sinistra, proprio dalla parte verso cui Berlusconi fatica a girarsi. Niente barzellette, evitate pacche sulle spalle e battute grossier, l'incontro ha viaggiato su binari sicuri. Il premier si è mostrato concreto e fattivo, proprio come desidera il pragmatico Obama. Ha offerto all'America tutta la collaborazione di cui è capace. Volete che accogliamo dei detenuti di Guantanamo? Eccoci qui, siamo a disposizione. Per gli Stati Uniti è la prova del nove che siamo dei veri amici. Altri 500 soldati per l'Afghanistan? Non ci tireremo indietro. E poi, caro presidente Obama, come vogliamo organizzare i tre giorni del prossimo G8 a L'Aquila? Berlusconi ha sottoposto a Obama l'agenda dei lavori, ricevendone disco verde. Mettere in sicurezza il summit è obiettivo vitale per il premier, già reduce da brutte esperienze a Napoli nel '94 (avviso di garanzia e conseguenti dimissioni), quindi a Genova nel 2001 (scontri di piazza finiti in tragedia). Non c'è due senza tre dice il proverbio, il Cavaliere fa gli scongiuri specie dopo che D'Alema ha previsto nuove "scosse" per il governo. Con l'aiuto di Obama, Berlusconi spera di uscirne vivo. L'incontro di stanotte lo incoraggia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E ora Silvio punta sul "governo-day" Inserito da: Admin - Giugno 24, 2009, 04:27:00 pm 24/6/2009 (7:17) - ELEZIONI 2009
E ora Silvio punta sul "governo-day" Il premier sfotte l'opposizione: Voglio perdere sempre così UGO MAGRI ROMA Stavolta Berlusconi l’ha salvato il partito. Capace di vincere «nonostante» il leader. Nel momento più delicato. Per giunta alle elezioni amministrative, dove in passato il centrodestra mai aveva affondato le sue radici. Denis Verdini, che del Pdl è l’anima organizzativa, ha messo sotto il naso del Capo due cartine dello Stivale, una quasi tutta rossa (la mappa delle amministrazioni com’erano prima del voto) e l’altra quasi tutta azzurra (dopo la cura). Il Cavaliere ne è rimasto entusiasta. E quando ieri mattina ha letto sui giornali di Franceschini, che considera queste elezioni un successo del Pd, si è fatto preparare da via dell’Umiltà una dichiarazione puntigliosa e ironica. Dove segnala che il Popolo delle libertà è passato da 9 a 34 Province (più 25), mentre la sinistra è crollata da 50 a 28 (meno 22). Il Pdl rappresenta oggi 21 milioni di cittadini anziché 5, il Pd quasi 13 anziché 27. E dunque, scherza giulivo il premier, «se per l’opposizione questa è una vittoria, noi vogliamo sempre perdere così». La settimana prossima, riunione dell’Ufficio di presidenza, forse addirittura della Direzione Pdl per celebrare quella che il portavoce Bonaiuti saluta come «colossale vittoria». Ma la vita continua, i problemi si affastellano, tra 15 giorni arriva il circo del G8, la testa del premier sarà concentrata sull’evento. «Con il voto ho risolto il fronte interno, d’ora in avanti mi occuperò di quello internazionale», è il suo programma. Lunedì Berlusconi presenterà il vertice mondiale su una nave da crociera, «Msc Fantasia», ormeggiata nel porto di Napoli. Quindi sarà tutto un susseguirsi di riunioni preparatorie e sopralluoghi a L’Aquila. Prima di smarrirne le tracce, i capigruppo del Pdl si sono precipitati da lui. Grandi rallegramenti per il voto (c’erano Cicchitto, Gasparri, Bocchino, Quagliariello), e poi «Silvio, parliamo un attimo delle cose da fare». Rassegna dell’attività in Parlamento, dalla riforma universitaria a quella della giustizia, senza trascurare il capitolo intercettazioni (probabile che in Senato, per blindare il testo, venga posta la fiducia). Infine uno sguardo avanti. Berlusconi pensa che l’arma strategica delle prossime settimane sarà il piano casa. Quando matura una convinzione, impossibile fargli cambiare idea. Le Regioni, non solo quelle «rosse», oppongono resistenza? Non è un ostacolo, «l’accordo finiremo per trovarlo». Casa, e anche lavoro. Berlusconi condivide il suggerimento dei capigruppo: tutelare di più e meglio sia il popolo delle partite Iva, sia quello dei precari. Sono aree di sofferenza sociale, servono misure concrete. Il Cavaliere ne parlerà con Tremonti, il quale recalcitra alla sola idea di mettere mano al portafogli. «Però qualcosa dobbiamo fare», insistono i capigruppo capitanati nella circostanza da Cicchitto, e Berlusconi sottoscrive, perché altrimenti in autunno le Camere diventeranno un inferno, prevenire è meglio che curare. Venerdì, in Consiglio dei ministri, verrà decisa la data del seminario governativo, tutti insieme a Santa Margherita Ligure per discutere i progetti del 2010. Sul tavolo del ministro per il Programma, Rotondi, affluiscono (molto lentamente) le paginette di ciascun dicastero. Il Cavaliere vuole farne terreno di incontro con la gente. Per settembre già immagina un «Governo Day», venti ministri sguinzagliati contemporaneamente in altrettante regioni che presiedono incontri pubblici. E Berlusconi che in teleconferenza arringa le folle. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi sepolto Bush, tante lodi al presidente Usa. Inserito da: Admin - Luglio 10, 2009, 06:37:28 pm 10/7/2009 (7:25) - IL VERTICE VISTO DALL'ITALIA
Berlusconi diventa ambientalista Il premier Berlusconi alla conferenza stampa con Obama Sepolto Bush, tante lodi al presidente Usa. Che ricambia: «Una grande conduzione» UGO MAGRI L’AQUILA Obama non sa di spezzare il cuore all’Italia progressista. Però Berlusconi gli fa una corte così assidua, talmente appassionata. E poi nel G8 si mostra alleato non soltanto fedele, ma pure umile, deferente, rispettoso. Addirittura pronto a ripudiare la vecchia amicizia con Bush, pur di sedurre il nuovo padrone... Insomma, il presidente degli Stati Uniti dà spago al Cavaliere. Gli fa da scudo nel momento più periglioso. E Silvio ne approfitta. Alla grande. Ieri, nuovo passaggio televisivo insieme, con la scusa di presentare l’Istituto globale per la cattura e il sequestro di carbonio, iniziativa cui Obama tiene in modo speciale. Due palchetti piazzati fianco a fianco: uno per il presidente Usa, l’altro per Berlusconi. Che però vi resta giusto il tempo di presentare l’iniziativa e di cedere il microfono al primo ministro australiano. Abbastanza comunque perché l’Italia intera riveda la strana coppia, 24 ore dopo le immagini toccanti della visita di Obama alle macerie aquilane. Con tale sponsor, ignaro o consapevole, non stupisce che Berlusconi ritrovi il coraggio. Al punto da affrontare quei giornalisti che, chiacchierando con Vespa, definisce «una categoria di personaggi...» (sempre meglio dei politici, lo frena il conduttore di «Porta a porta», e il premier conviene: «Esistono farabutti in entrambe le categorie»). Berlusconi mantiene la calma quando viene stuzzicato sulle critiche dei media: «Ci sono due tipi di realtà», argomenta pedagogico, «quella della gente normale e quella dei giornali, che tante volte è pura fantasia. Questo G8 ne è la dimostrazione lampante». Non perde le staffe nemmeno quando l’inviato di «Repubblica» gli chiede se davvero pensa che l’immagine dell’Italia sia stata rovinata dal suo gruppo editoriale. «Non avete raggiunto il risultato che volevate», taglia corto Berlusconi. In altri momenti, sarebbe stato un circo. Giura il suo stratega della comunicazione che è tutto calcolato. Berlusconi ha scelto «di rispondere con reazioni misurate a un attacco senza misura», precisa Bonaiuti. Confermando questo feeling «che cresce» con l’amico Barack davanti e dietro le quinte. Quanto si coglie è già sufficiente. Pur di far colpo, il Cavaliere si traveste da verde, mostra un’insospettata passione per l’ambiente. Bush? Non aveva capito nulla. Sulla crisi bancaria, sui rapporti Est-Ovest, sullo scudo spaziale e neppure, precisa ora Silvio, sui cambiamenti climatici. Seppellisce George W. con tale cinismo, da far pensare che negli ultimi tempi la loro amicizia fosse di facciata: «Mentre prima l’amministrazione americana era scettica sull’utilità delle iniziative contro il riscaldamento globale, e ne dubitava anche sul piano scientifico, il presidente Obama ha preso la testa di questo movimento». Lui sì che guarda al futuro del pianeta. Silvio ambientalista e, sulla scia di Barack, pure pacifista. Ne esalta la volontà «di portare il mondo verso la negazione delle armi nucleare», ne indossa i panni di portavoce anunciando che nel corso del G8 il leader Usa «ha proposto di mettere in atto l’anno prossimo un vertice negli Stati Uniti tra tutti i paesi che dispongono di armamenti nucleari», in vista del loro più stretto controllo. Obama lo ricompensa lodando il premier per «la straordinaria ospitalità» e la grande conduzione («great coaching») del vertice. Non è l’unico, in verità. Anche i cinesi si congratulano col Cavaliere, e pure il «faraone» d’Egitto Mubarak, protagonista di un piccolo «giallo» della diplomazia. Alla cena offerta da Napolitano, doveva sedere alla sinistra del Cavaliere. Invece misteriosamente è slittato di qualche posto, perché di fianco a Berlusconi si è messo Gheddafi, quale presidente dell’Unione africana, reduce da una passeggiata a piedi lungo l’autostrada Roma-L’Aquila. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Io condizionare Feltri? Mi offende solo l’idea Inserito da: Admin - Agosto 30, 2009, 10:35:51 pm 30/8/2009 (7:19) - RETROSCENA
Per Berlusconi caso chiuso, i suoi cercano di ricucire «Io condizionare Feltri? Mi offende solo l’idea» UGO MAGRI ROMA Con chiunque si sfoghi in queste ore, Berlusconi non deflette dalla sua verità: «Certo che mi dispiace l’assalto del Giornale al direttore di Avvenire. Ma io, posso giurarlo, non ne sapevo niente di niente. E comunque sono un liberale autentico, mai che mi sia intromesso nelle scelte editoriali dei direttori Mediaset per dare la linea o suggerire servizi, figurarsi se l’avrei fatto con Feltri su una cosa del genere. Mi offende la sola idea che qualcuno possa pensarlo...». Concetti ribaditi testardamente nei colloqui e nelle telefonate agli amici, fino al momento di prendere l’aereo per Milano e di tuffarsi nel clima calcistico del derby. Oggi Berlusconi volerà in Libia, la sua attenzione sarà tutta rivolta a Gheddafi. Da domani si volta pagina, faranno irruzione i temi della ripresa d’autunno. «Vedrete», scommette Calderoli, «che non appena riapriranno le fabbriche e i cantieri, tutte le polemiche create dai giornali finiranno in secondo piano». Se questo è l’umore del premier («incazzato nero», secondo l’amico Bossi), inutile attendersi mosse riparatrici, gesti pubblici di ricucitura con la Chiesa. Nemmeno una chiamata cordiale a Boffo per esprimergli di persona la solidarietà (slanci di cui il Cavaliere sul piano umano sarebbe capace). Per lui il caso è chiuso dal comunicato di venerdì, dove si dissociava dall’attacco: e già gli pare d’aver fatto tanto, forse troppo, tanto che Letta e gli altri «saggi» del partito hanno sudato le classiche sette camicie per fargli metter giù quelle poche, stentatissime righe. Berlusconi oltre non va. Chi lo circonda ne prende atto, si augura tempi migliori, invoca polemiche più civili (Cicchitto: «Repubblica non va imitata sulla sponda opposta»), e rimanda la pace con il mondo cattolico alle prossime settimane cruciali. Le occasioni per far sorridere i vescovi sono una lista lunga così. Risulta che già alla fine di luglio Berlusconi e Letta ne avessero ragionato, in una cena riservatissima, con l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Ruini, ricevendone indicazioni molto puntuali sul piano operativo. In testa c’è la legge sul biotestamento, che attende il disco verde della Camera. Fini è contrario, e le sue riserve dal timbro schiettamente laico stavano facendo breccia in certi settori della maggioranza. Ma ora non c’è più spazio per i «distinguo». Basti vedere con che piglio Schifani, solitamente soft, consiglia al presidente della Camera di cucirsi la bocca, come del resto aveva fatto lui durante l’iter a Palazzo Madama. Addirittura circola l’ipotesi, alla quale Berlusconi non sarebbe insensibile, di una riunione al vertice del Pdl da convocarsi entro un paio di settimane per fissare la linea sul testamento biologico, e mettere in minoranza l’ex leader di An. Lupi, deputato cattolico di cui il Cavaliere molto si fida, è sicuro: «Alla fine la Chiesa ci giudicherà dalle cose che faremo». Gasparri, presidente dei senatori Pdl, spinge lo sguardo lontano, i vescovi «si renderanno conto che la sinistra, dal loro punto di vista, sarebbe molto peggio. Per cui prevarrà alla fine il buon senso e guarderanno ai fatti sostanziali, ad esempio il nodo delle scuole private». Esempio tutt’altro che casuale. Venerdì mattina, cioè nelle stesse ore in cui Roma fibrillava sul «caso Boffo», al Meeting ciellino di Rimini si parlava di finanziamenti. Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, lasciava intendere che stavolta Tremonti non farà il cattivo, e nonostante la congiuntura negativa si spera non taglierà i fondi alle scuole cattoliche. La Lega, sussurra Calderoli, non avrebbe nulla in contrario. Lui e Bossi andranno insieme in Vaticano per mettere una pietra sopra le recenti polemiche. E per dire ai vescovi: se cercate interlocutori, meglio noi di Berlusconi. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco Donald Tusk Inserito da: Admin - Settembre 02, 2009, 04:17:55 pm 2/9/2009 (7:25) - IL CASO
"Mai pagato una donna o frequentato minorenni" L'incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco Donald Tusk Attacco a Repubblica: «Ha un editore svizzero e un direttore evasore fiscale» UGO MAGRI INVIATO A DANZICA Non fosse stato per quella battuta del primo ministro polacco, Berlusconi si sarebbe limitato a minacciare l’Europa, a chiedere la testa di tutti i commissari Ue che lo criticano, a pretendere un passo indietro (in parte ottenuto) da Bruxelles. E avrebbe evitato di tornare su Noemi, Patrizia, i «festini», per poi scagliarsi sui giornali nemici, i loro direttori, i loro editori... Ma era destino. Così durante la commemorazione dell’evento più catastrofico nella storia umana, l’inizio della Seconda guerra mondiale 70 anni fa, giusto il tempo di riprendersi dalla commozione ed ecco il padrone di casa, Donald Tusk, ammiccare al Cavaliere: è tutto vero quanto scrivono i giornali sulle prodezze da «latin lover»? A Silvio cadono le braccia. Perfino qui, a Danzica, dov’è giunto pellegrino insieme con altri trenta capi di Stato e di governo, dove ha vergato sul registro dei partecipanti una testimonianza di orrore per le guerre e le dittature, ecco come lo vedono e vivono la sua presenza: tipo «Papi» in trasferta, anziché come lo statista che lui ritiene di essere. Berlusconi risponde a Tusk con tono lieve, «queste cose non sono mai successe», le famose feste tutte invenzioni, «al massimo posso aver detto qualche barzelletta piccante...». Però poi, quando esce a fare due compere tra i negozietti del centro storico e si trova davanti i cronisti, «eccoli qua» ghigna col tono dell’«ora vi sistemo io». Chissà perché, gli torna in mente Balzac che della modernità diceva «rifarei tutto tranne i giornali». E dalla memoria gli spunta un altro ricordo, anno 1939, quando le truppe germaniche invasero la Polonia «con il pretesto che aveva espulso la minoranza tedesca»: nella circostanza, segnala Berlusconi, «il Corriere della Sera applaudì Hitler titolando "Fantastica operazione umanitaria", bravi!». Vuoi vedere che ce l’ha coi giornali? Salta fuori Tusk (qualcuno ha captato la conversazione). Il Cavaliere non chiede di meglio. Parla per dieci minuti di fila, praticamente un monologo. «Purtroppo mi trovo costretto, quando incontro qualche collega straniero, a mettere i puntini sulle "i". Sì, perché fanno dei complimenti circa la mia vivacità, sul fatto che dimostro venti anni di meno, su come riesco ad avere così tanto fascino... Questo per la cattiva pubblicità all’estero dei giornali che conoscete e degli amici da loro imbeccati». «Dunque gli spiego che io non ho mai frequentato nessuna minorenne, tantomeno la signorina Letizia. Che non ho mai dovuto dare soldi a una meretrice. Che non solo non ho organizzato, ma mai ho partecipato a quelli che chiamano festini. Le poche cene fatte quest’anno, perché prima non esistevano, sono state alla presenza di 15 uomini della scorta, più una decina di uomini di servizio che cambiano continuamente, più altrettanti orchestrali... Quindi soltanto delle menti malate possono immaginare cose del genere». «Perché non ho risposto alle 10 domande di Repubblica? L’avrei fatto se queste domande me le avesse rivolte, in modo non insolente o diffamante, un giornale che non fosse un superpartito politico di un editore svizzero con un direttore dichiaratamente evasore fiscale. Invece a questa gente non rispondo. Soprattutto alla domanda se sono malato. Malato io? Sono Superman, anzi Superman a me mi fa ridere...». Fa in tempo a raccomandarsi caldamente che le sue frasi vengano riferite «col sorriso e con senso dell’ironia», poi la scorta lo sospinge sull’auto che vola verso l’aeroporto. No comment sul «caso Boffo» («mai dato giudizi bacchettoni in vita mia, evito anche ora»). La mattina, arrivando a Danzica, smentita a qualunque frizione col Vaticano («il governo non ha alcuna responsabilità per quello che è successo e nelle diatribe giornalistiche che si sono verificate»), garanzia che con la Santa Sede «i dialoghi sono quotidiani». E annuncio di una prossima riunione coi capigruppo Pdl alla Camera per «stabilire come ci comporteremo» sul testamento biologico. La «libertà di coscienza» è garantita, ma il dissenziente Fini verrà isolato. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Napolitano frena il premier "Serve moderazione" Inserito da: Admin - Settembre 05, 2009, 05:15:10 pm 5/9/2009 (7:16) - RETROSCENA
Napolitano frena il premier "Serve moderazione" Il Capo dello Stato: servono fondi certi Preoccupazione dal Colle per i tempi della ripresa UGO MAGRI ROMA Non bastava il torcicollo che perseguita Berlusconi da mesi, a fargli vedere le stelle ci si mette pure l’emicrania. Tutti gli analgesici fanno cilecca, e d’altra parte contro la discopatia servirebbe ben altro. I contraccolpi della sofferenza fisica si avvertono sull’umore. Quello del Cavaliere ora tende al pessimo. Qualunque interlocutore abbia di fronte, Berlusconi è un torrente in piena. Impone la sua versione dei fatti. Pretende complicità sul momento che sta vivendo. E guai a contraddirlo: il direttore di un periodico Mediaset, che aveva espresso cauta solidarietà di casta con Boffo, s’è sentito riprendere duramente (perlomeno così racconta) dal premier in persona. Indossiamo dunque i panni di Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio riceve Berlusconi e il ministro Bondi per i 150 anni dell’Unità d’Italia, tema che al Presidente preme assai. E nell’ora di conversazione non c’è verso: ogni due per tre Silvio torna sulla sua vicenda. Un minimo spunto e tàc, eccolo ripartire alla carica sostenendo che «io non c’entro nulla con il Giornale, non sapevo niente dell’attacco di Feltri al direttore dell’Avvenire, l’aggressione della stampa che mi presenta come il mandante è una vergogna assoluta...». Quasi un ritornello esasperato. Manca solo il «povera Italia!» esclamato poco prima davanti alle telecamere. In compenso Berlusconi prova a convincere il Presidente che la reazione a colpi di querele davvero è il minimo. Se la prende con quel giornale dove è scritto che cambierà i vertici dei servizi segreti, poi con quell’altro che gli fa mettere il Milan all’asta. Ha il dente avvelenato con quanti gli attribuiscono tra virgolette lunghe frasi di cui, nel leggerle l’indomani, respinge la paternità. Alza la voce con chi riferisce perfino il suo intervento nel Consiglio dei ministri: un luogo, tuona, che dovrebbe garantire la riservatezza... «Ogni giorno me ne combinano una», quasi gli si incrina la voce. Il Presidente della Repubblica ascolta, fa mostra di comprendere il dramma del Cavaliere, età ed esperienza in questi casi aiutano. Poi, però, dice la sua. Muovendo dal momento delicatissimo, col Paese in bilico tra recessione e ripresa, con le tensioni sociali che si riaffacciano, in un tessuto politico sempre più lacerato. Napolitano si sforza di trasmettere al premier la consapevolezza di quanto è fragile la cristalleria. Lo invita alla moderazione, all’equilibrio specie nei confronti dei giornali che fanno il loro mestiere. Esercita la «moral suasion». Berlusconi in fondo gli è debitore della tregua a cavallo delle Europee che sembrò restituirgli fiato. E magari Napolitano ci riproverà con un appello per la ripresa del dialogo. Questo è quanto filtra dal colloquio al Quirinale. Bocche assolutamente cucite, viceversa, sull’altro incontro della giornata, quello conviviale del premier con i suoi luogotenenti a Palazzo Grazioli. Il primo dopo due mesi in cui Berlusconi ha tenuto alla larga il sinedrio romano, e s’è fatto consigliare nell’enclave milanese (dove dominano le teste calde). Ebbene: se si dà credito ai resoconti, l’oggetto del colloquio è quasi surreale. Rapporti col Vaticano? No. Caso Boffo? Nemmeno. Guerra con i giornali? Per carità... Si è discusso di piccole beghe del Pdl, di «trombati» alle scorse Europee da riciclare, tutti personaggi del mondo berlusconiano. Circola poi l’altra tesi, più attendibile, secondo cui di Vaticano, di testamento biologico e di giornali si è parlato eccome. Ma soprattutto risulta che a Fini siano fischiate le orecchie. Perché il problema del Cavaliere, adesso, è come neutralizzarlo in vista del dibattito sul testamento biologico, vero banco di prova dei rapporti con la Santa Sede. Per cui, intorno al desco del cuoco Michele, c’erano solo Cicchitto e Quagliariello, Bondi, Bonaiuti e Verdini. Nemmeno un notabile di An, casomai dovesse fare la spia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Letta-Benedetto XVI la pace dietro il palco Inserito da: Admin - Settembre 07, 2009, 10:41:19 am 7/9/2009 (7:30) - RETROSCENA
Letta-Benedetto XVI la pace dietro il palco Il breve incontro con il pontefice archivia la vicenda Boffo-Avvenire UGO MAGRI ROMA Il Gentiluomo di Sua Santità che è Gianni Letta mai oserebbe fraintendere il Papa. Se dal breve incontro con il Pontefice è emerso sorridendo (dopo che vi era entrato parecchio teso in volto), addirittura fermandosi a parlarne coi giornalisti, vuol dire che per l’ambasciatore di Berlusconi è andata davvero bene, molto bene. Forse meglio di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. Al Capo, che sta ad Arcore e stamattina svelerà il suo umore in un’intervista su «Canale 5», Letta ha dato l’annuncio di scampato pericolo. Il «caso Boffo» è alle spalle. Acqua passata. Non è l’unica soddisfazione per Berlusconi. Finalmente, dopo mesi, ha potuto trascorrere una domenica lieta. Dal mondo, solo buone notizie. Montezemolo che smentisce quanti lo volevano trascinare in campo contro il Cavaliere. Napolitano che dall’Abruzzo dà atto al governo della ricostruzione post-terremoto. Noemi che rilascia una lunga intervista a Sky senza combinare disastri. Il Milan che non perde perché il campionato è fermo. Ma nulla può rallegrare Berlusconi quanto l’attestato di simpatia da Joseph Ratzinger. Il «miglior regalo», secondo il ministro La Russa. Nella Chiesa comanda il Papa, tutti gli altri (vescovi e cardinali compresi) dovranno adeguarsi. Letta, quando l’ha informato, era al settimo cielo: «Un incontro molto positivo», gli ha detto al telefono, «il Papa è stato con me quasi affettuoso». Cronometro alla mano, il colloquio è durato minuti quattro. Nella sacrestia di fortuna ricavata sotto il palco a Valle Faul. Non ci sarebbe stato modo, anche volendo, per approfondire le dimissioni del direttore di «Avvenire», o per ramanzine sulla condotta privata del premier. In casi del genere contano soprattutto il calore del gesti, il tono delle parole. Quelle del Papa nei confronti di Letta, uomo fedelissimo alla Chiesa, sono state così paterne che il sottosegretario ha quasi abbracciato Giulio Marini, sindaco di Viterbo e organizzatore dell’evento: «Oggi mi hai dato una grande soddisfazione...». Poi, davanti ai taccuini dei cronisti, ecco Letta mettere da parte il proverbiale riserbo e raccontarsi «felice, il mio sorriso vi dice tutto, il clima è sereno qui, nella città dei Papi». Preoccupato? Noooo, «i rapporti con la Chiesa sono saldi, ma, come dice il cardinale Ruini, bisogna sempre lavorare perché questi rapporti vengano ulteriormente rafforzati». Detto da lui, braccio destro di Berlusconi, è molto più che una promessa. Significa che le ragioni di parte laica, patrocinate da Fini, troveranno poco spazio nel prossimo dibattito alla Camera sul biotestamento. E tempi duri si annunciano per la pillola abortiva RU486, nel mirino della Chiesa. Per non dire dei finanziamenti alla scuola privata, su cui Tremonti si mostrerà meno avaro degli anni passati. «Business as usual», direbbero gli anglosassoni. E difatti, tira le somme il capogruppo Pdl alla Camera Cicchitto, «bisogna sempre distinguere tra incidenti occasionali e linee di fondo. Che tra noi e il mondo cattolico ci sia un rapporto positivo, non è una sorpresa ma una costante, indipendentemente dagli equilibri interni alla Chiesa e alle stesse gerarchie ecclesiastiche». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Berlusconi, tregua d'interesse Inserito da: Admin - Settembre 22, 2009, 11:51:12 pm 22/9/2009 (7:16) - RETROSCENA
Fini e Berlusconi, tregua d'interesse Il premier Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini Lo «scambio»: più peso nel Pdl per l'ex leader di An, più sostegno al governo su finanziaria e giustizia UGO MAGRI ROMA Chissà se la padrona di casa ha riproposto la stessa celebre crostata che suggellò il patto delle riforme fra D’Alema e Berlusconi. Magari no, visto che portò male. Però di certo il pranzo a casa Letta, ospiti stavolta Fini e il Cavaliere, s’è concluso a tarallucci e vino. Volèmose bene. Non facciamoci del male. Silvio a Gianfranco: «Ma figurati se ti ho mai voluto mettere in un angolo... Ma come hai potuto pensare che proprio io volessi prescindere da te... Se credi a queste maldicenze io ci resto molto male...». Almeno a parole, il presidente della Camera non sarà più snobbato. Sarà reso compartecipe di tutte le decisioni politiche importanti. Si riprenderà per intero il ruolo di co-fondatore del Pdl perché (Gianfranco a Silvio) «ricordati sempre, il Pdl l’abbiamo fatto nascere in due, mica tu e basta». Se il metro di giudizio sono le promesse, impossibile che il colloquio potesse avere un esito migliore. Uscendo dal quieto condominio di via della Camilluccia, il premier s’è cucito la bocca: «Non parlo» ha chiuso la saracinesca con i cronisti, ma qualcuno l’ha visto mostrare il pollice in su, tutto okay. E per telefono ai fedelissimi ha confidato trionfante di avere ottenuto il suo scopo «siamo andati d’amore e d’accordo su tutto, io taccio perché voglio che lo faccia sapere Fini, i problemi erano i suoi, da parte mia non ce ne sono mai stati». In effetti, dal giro della Camera vengono solo conferme: armonia pressoché totale. Anche su Vittorio Feltri. Berlusconi s’è professato ignaro degli attacchi, alla direzione del «Giornale» ce l’ha messo lui, è vero, ma per fare più copie e non per creargli problemi... Fini non ha insistito. Certo i due conservano visioni diverse, impossibile passarci sopra. Tuttavia (per dirla con l’ufficiale di collegamento Italo Bocchino) sotto l’occhio apprensivo di Gianni Letta «è stato realizzato il migliore stato di avanzamento possibile nelle condizioni attuali», di più non si poteva pretendere. Consultazione permanente tra Berlusconi e Fini? Sarà fatto. Un argine alle pretese eccessive della Lega? Idem come sopra. Le cene con Bossi del lunedì? Verranno allargate a qualcuno che rappresenti la componente di Alleanza nazionale. Gli organi del partito? Si riuniranno regolarmente per discutere di politica... Non occorre essere elefanti per ricordare che, di accordi del genere, i due ne hanno già stipulati una decina, salvo ritrovarsi a litigare. Bossi, perfido, prima dell’incontro: «Faranno la pace, c’è sempre stata...». Sempre Bocchino (reduce da un colloquio con Fini) mette le mani avanti, «ora bisogna passare dalle parole ai fatti, se sono rose fioriranno». «Certo che fioriranno», garantisce Bonaiuti, il portavoce berlusconiano. «L’incontro è andato bene davvero», ringhia il capogruppo Pdl Cicchitto. E stavolta qualcosa autorizza a credere che, per qualche mese almeno, il patto verrà onorato. Quel «qualcosa» sono le prossime scadenze parlamentari. Berlusconi è in ansia. Se Fini non dà una mano vera, lui rischia i guai. Sulla Finanziaria (è di ieri il tentativo di «blindare» Tremonti: gli eventuali maggiori introiti dello scudo fiscale finiranno in un fondo a Palazzo Chigi, inutile strattonare il ministro). E poi sulla giustizia. La mente del Cavaliere è tutta proiettata sul «Lodo Alfano», sugli scenari che si apriranno se la Corte costituzionale, tra un paio di settimane, costringerà a rifarlo daccapo. Montecitorio diventerà più invivibile di Kabul, territorio di guerriglia e di agguati. Berlusconi sa benissimo che Fini, nella veste di presidente della Camera, avrà un peso altrettanto decisivo di quando, l’anno scorso, illustrò le motivazioni giuridiche per cui non poteva concedere il voto segreto sul contestatissimo provvedimento. Ammesso che questo scambio ci sia (più peso a Fini nel partito uguale meno grane in Parlamento), sta tutto nella testa del Cavaliere. Inutile cercare conferme dal colloquio a casa Letta. E comunque tra poco, sussurra un autorevole esponente berlusconiano, «parleranno i fatti». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Schifani: "Lealtà tra istituzioni" Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2009, 12:27:23 pm 9/10/2009 (6:50)
Fini e Schifani: "Lealtà tra istituzioni" Berlusconi: eletto dal popolo, rispetto I Presidenti di Camera e Senato al Quirinale: "Il Colle ha seguito con rigore la nostra Costituzione" UGO MAGRI ROMA I risentimenti del premier (contro la Corte Costituzionale, contro i magistrati e contro lo stesso Napolitano) faticano a sbollire. Ma con il trascorrere delle ore fa progressi il tentativo di salvare, quantomeno, le apparenze. Ne sono protagonisti Fini e Schifani, presidenti delle due Camere. In veste di «pompieri», si sono recati insieme sul Colle. E dopo un’ora di conversari hanno dato atto al Presidente della Repubblica «del suo rigoroso rispetto delle prerogative che la Costituzione gli conferisce». Sbaglia dunque il Cavaliere a sentirsi «preso in giro» da Napolitano: seconda e terza carica dello Stato mettono la mano sul fuoco che davvero il Presidente non poteva fare nulla di più del poco (o troppo, secondo Di Pietro) che ha fatto per tenere in piedi il lodo Alfano. Di suo Fini va oltre, Berlusconi sia più rispettoso del Colle e della Corte Costituzionale («È un suo preciso dovere», si sbilancia in un comunicato). Però poi lo stesso Fini, molto criticato da Bondi e difeso dal solo Augello, riconosce al premier «l’incontestabile diritto di governare». E la dichiarazione sottoscritta insieme con Schifani contiene l’«auspicio che tutti gli organismi istituzionali e di garanzia agiscano, in aderenza al dettato costituzionale e alla volontà del corpo elettorale, per determinare un clima di leale e reciproca collaborazione nell’interesse esclusivo della nazione». Chi può dirsi contrario ad argomenti del genere? Non certo Napolitano. Ma nemmeno il capo del governo. Ciascuno ha la sue buone ragioni, certificano Fini e Schifani, l’importante è intendersi. Berlusconi sembra aver recepito. Incassa la solidarietà dell’ufficio di presidenza del Pdl, dove si teme un’offensiva giudiziaria in piena regola («Tiro al bersaglio», dice Bonaiuti). Riafferma a voce alta il diritto «ad essere rispettato in quanto eletto dal popolo». Ma ripone saggiamente nel cassetto l’idea che i più scatenati dei suoi gli proponevano: una grande manifestazione di piazza contro la Corte Costituzionale. Ed è già un passo avanti rispetto ai toni adrenalinici dell’altra sera, sfoderati durante il collegamento telefonico con Vespa, ripresi ieri mattina in un’intervista molto determinata al Gr1: «Andremo avanti con più grinta di prima, del resto senza il lodo abbiamo governato dal 2001 al 2006, continueremo a governare senza». Con quell’annuncio minaccioso («Esporrò al ridicolo i miei accusatori e farò vedere a loro e agli italiani di che pasta sono fatto»), ma soprattutto con il nuovo attacco al Capo dello Stato («E’ stato eletto da una maggioranza che non è più tale nel Paese, ed ha le radici della sua storia nella sinistra... Anche l’ultimo atto di nomina di un magistrato della Corte Costituzionale dimostra da che parte sta»). Napolitano c’è rimasto malissimo. Mancino, che gli fa da vice al Csm, illustra lo stato d’animo presidenziale, «la rozzezza delle accuse di Berlusconi questa volta non ha proprio un limite, escludo che tra le funzioni del Capo dello Stato ci sia quella di persuadere i giudici costituzionali». Però in fondo neppure Napolitano desidera la scazzottata, «se la lite qui finisce è meglio per tutti», sussurrano sul Colle. E’ una polemica che scopre il fianco del Presidente agli attacchi di Di Pietro. L’ex pm continua a rimproverargli di aver messo la firma al lodo. E insieme a quanto resta della cosiddetta sinistra radicale, coltiva l’idea di tornare in piazza per chiedere il voto anticipato, previe dimissioni del Cavaliere troppo impegnato a difendersi nei tribunali. «Fosse per noi del Pd», allarga le braccia Franceschini, «Berlusconi dovrebbe dimettersi tutti i giorni», ma chiederglielo è inutile, tanto non lo farà. Piuttosto il Cavaliere si guardi da nuove leggi «ad personam», se crede di aggirare la bocciatura del lodo Alfano «troverà un popolo capace di reagire». Non pare per ora questa l’intenzione del premier. Al quale Casini rivolge un consiglio «da membro dell’opposizione ma anche da amico di Berlusconi: lavori per il Paese, è stato eletto per questo. Dunque calma, calma, calma...». Le elezioni regionali sono dietro l’angolo. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il ministro scortato dai lumbard indispettisce Silvio Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2009, 06:03:03 pm 25/10/2009 (7:58) - RETROSCENA
Berlusconi furioso non cede al diktat di Giulio vice-premier Il ministro scortato dai lumbard indispettisce Silvio. Il Tesoro insiste: volete i soldi? Trovateli da soli UGO MAGRI ROMA Il tiro alla fune continua, la corda rischia di spezzarsi. Da una parte Tremonti, dall’altra Berlusconi. Uno dei due dovrà abbassare le penne. Tre ore di discussione nella reggia di Arcore, alla fine un grande gelo. Già, perché fonti vicine al premier raccontano di un Cavaliere ai limiti della pazienza. L’errore capitale di Tremonti, sostengono, è di essersi presentato all’appuntamento con il premier «accompagnato dai suoi guardaspalle»: vale a dire insieme con Bossi e Calderoli. I quali in un primo momento non erano affatto previsti, il chiarimento doveva essere a tu per tu tra i due Indispensabili, Silvio e Giulio da soli, senza Umberto e Roberto. Invece eccoli pure loro intorno al tavolo nella veste di sponsor, a parteggiare per il ministro dell’Economia, a dargli conforto politico. La scena va vista nell'ottica di Berlusconi. E’ la prima volta (forse l’ultima) che un «suo» ministro gli oppone resistenza facendo leva su Bossi. Tanto da farsene riassorbire e da diventare, ai suoi occhi, il quarto ministro del Carroccio. Nella mente irata del Cavaliere, Tremonti sta commettendo lo stesso peccato di superbia dell’Arcangelo che osò sfidare il Padreterno: il ministro dell’Economia si rivolta al presidente del Consiglio fino a rivendicare per sé un ruolo di contrappeso. Per la precisione da vice-presidente del Consiglio, se si dà retta al tam-tam che vuole Fini e l'intera nomenklatura Pdl fuori dei gangheri per questa richiesta in grado di rovesciare tutte le gerarchie celesti, che sarebbe stata avanzata (ma Tremonti nega) nel bel mezzo del pranzo. Berlusconi pare si sia ben guardato dal rispondere sì o no, limitandosi a prendere tempo e a compiere alcuni sondaggi dentro il partito, dall’esito scontatissimo: non c’è un solo gerarca favorevole alla promozione di Tremonti. Berlusconi, si stracciano le vesti i fedelissimi, «se stavolta cede viene commissariato da Tremonti e dalla Lega, che gli impongono la linea». Nel vertice, il ministro dell’Economia è stato categorico: «Non esiste una strada diversa da quella che io sostengo», il rigore in chiave europea di cui si fa paladino «è senza alternative», dunque vietato insistere su tagli dell’Irap. Addio colpo d'ala in vista delle prossime Regionali. Sarà il Tesoro a decidere il come e il quando. «Non ce lo possiamo permettere, mancano i soldi, trovateli voi se siete in grado», è il semaforo rosso del super-ministro. La nota serale di Bonaiuti, che del premier è portavoce, rappresenta il «fixing» più onesto della giornata, il punto d’equilibrio molto provvisorio che è stato raggiunto. Visto il «niet» di Tremonti, prima si faranno le riforme a costo zero, cominciando da quelle della Costituzione, quindi semmai sarà la volta delle tasse e dell’Irap demandate alla seconda parte della legislatura. Però si tratta di una fragile tregua, «potrebbe saltare da un momento all’altro», avvertono le fonti meglio al corrente. Risulta che Berlusconi si sia documentato, ieri mattina, sui 4 miliardi di euro improvvisamente «mollati» da Tremonti e da Calderoli alle Regioni, con grande soddisfazione di Errani e dei governatori di sinistra. «Ma allora i soldi ci sono!», risulta abbia tradito il suo sconcerto il premier: sulle richieste della Lega, che vanno nella direzione del federalismo, i denari saltano sempre fuori. I rubinetti si chiudono, viceversa, quando a battere di cassa sono altri ministri come la Gelmini (in stretto contatto con Draghi, l'anti-Tremonti) che si è vista bloccare la riforma universitaria. Quel che è peggio, non c’è una lira neppure per il presidente del Consiglio, il quale vorrebbe marcare il «cambio di fase», dalla crisi nera alla ripresa annunciata, con un po’ di ossigeno per le imprese. Verso sera, l'aria nel governo è irrespirabile. Chi parla con Capo, scuote la testa: «Comunque vada a finire, il suo rapporto con Tremonti ormai è al lumicino». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'incognita Tremonti sul governo Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2009, 09:51:49 am 26/10/2009 (7:51)
L'incognita Tremonti sul governo Tornano le voci di dimissioni UGO MAGRI La vera incognita è cosa farà Tremonti. Lascia? Resta al suo posto? Le intenzioni del premier, invece, sono sufficientemente chiare: guadagnare tempo. Prendere qualche giorno prima di rispondere all’ultimatum del suo ministro che, secondo la versione accreditata ai vertici Pdl, avrebbe posto al Cavaliere un aut-aut, «o divento vice-premier oppure me ne vado». Berlusconi non è in grado di dirgli sì. Avrebbe la sollevazione dell’intero partito, dove non c’è uno solo dalla parte di Tremonti. Tuttavia nemmeno è in condizione di sbattergli la porta in faccia, perché la Lega sostiene a spada tratta il ministro e manda segnali minacciosi. Dunque, Berlusconi adotta la tattica del troncare e sopire. Chi gli ha parlato ieri, racconta un premier parecchio prudente. Non si pone più come controparte del ministro ribelle, bensì come mediatore nel braccio di ferro tra Giulio e il partito. Dunque oggi riceverà ad Arcore la trojka dei coordinatori, Bondi-Verdini-La Russa. Ma non prenderanno decisione alcuna. Dovrebbero limitarsi, secondo quanto filtra, a convocare un ufficio di presidenza, sede istituzionale dove dirimere le beghe interne. Nel frattempo, il Cavaliere avvierà la sua opera di persuasione. Da una parte metterà la museruola a quanti, tra i fedelissimi, nei giorni scorsi avevano addentato i polpacci del Professore. Tremonti gli ha sottoposto un intero dossier con tutti gli attacchi ricevuti dal «fuoco amico», cominciando dal «Giornale» per finire alle controproposte di politica economica circolate sui «blog», dietro le quali il Professore intravvede la sagoma dei vari Sacconi, Brunetta, Baldassarri e Matteoli che dice: «Abbiamo bisogno di soluzioni non di nuove poltrone». Basta, dirà a tutti Berlusconi, Giulio è il migliore. Nello stesso tempo, però, chiederà a Tremonti di essere più flessibile, perché pure il partito ha le sue ragioni, e comunque l’ultima parola (come segnala Quagliariello) spetta pur sempre al premier. Il quale ha in mente, secondo il portavoce Pdl Capezzone, un cambio di passo sull’economia. Taglio dell’Irap e non solo: anche quoziente familiare, e poi riduzione dell’Irpef a due sole aliquote, suo antico pallino... Il Cavaliere proverà a convincere Tremonti che la carica di vice-premier non gli aggiungerebbe nulla, in fondo già guida da solo quattro ministeri (Tesoro, Finanze, Bilancio e Partecipazioni Statali) e gode di un potere immenso. Di cedere su questo punto, non ci pensa nemmeno. E’ il passaggio più delicato. Se le intenzioni attribuite a Tremonti fossero vere, dovremmo attenderci le sue dimissioni. Difatti un tam-tam incontrollato sostiene che potrebbe darle addirittura già oggi, con Berlusconi pronto a chiamare in campo al suo posto il governatore di Bankitalia, Draghi. Palazzo Chigi fa gli scongiuri. Però il fatto stesso che circolino queste voci, la dice lunga sull’aria che tira. Dove Tremonti è in urto praticamente con tutti. Ha litigato con Fitto e Scajola, con Gelmini e Prestigiacomo, ha fatto arrabbiare Bondi e perfino Letta. Nello stesso tempo, però, il premier sa bene che senza Tremonti si aprirebbe una crisi devastante con la Lega. Calderoli è quasi irridente: dare il ministero dell’Economia a Draghi? «Un tecnico durerebbe quanto un gatto sull’Aurelia», dunque assai poco. E Berlusconi, avverte Calderoli, non si illuda di mettere tutti in riga con la pistola del ricorso alle urne: «Più che il rischio di elezioni anticipate», taglia corto, «c’è quello di governicchi». Che non sarebbe Berlusconi a guidare. E lui lo sa. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2009, 10:59:44 am 31/10/2009 (7:28) - RETROSCENA
Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci In gioco la poltrona di Tajani UGO MAGRI Al cospetto dell’Europa rischia di andare in scena la più classica commedia degli equivoci, con finale esilarante. Già, perché di intenzioni serie dietro le quinte non se ne vede, semmai si assiste a una gara di furbizie in cui per ora vince D’Alema (ma con Berlusconi non si sa mai). Tutto nasce nei giardini di Villa Madama, due settimane fa. C’è un convegno su Fiumicino e Malpensa, Gianni Letta parlotta con l’ex ministro degli Esteri, poi gli fa stringere la mano al Cavaliere, pace fatta dopo mesi di insulti, ed è già una notizia. Salta fuori adesso che l’oggetto dei conciliaboli era proprio l’ipotesi di «Baffino» capo della diplomazia europea. Qualche giorno dopo, stavolta ad Asolo, D’Alema ci torna su con Fini. Il presidente della Camera vede uno spiraglio per una ripresa del dialogo sulle riforme, auspicata pure sul Colle. Ne ragiona col solito Letta e con lo stesso Berlusconi. Il quale peraltro, con chi gli parla ieri mattina, risulta combattuto nell’intimo, incapace di scegliere tra il sì e il no. Finché D’Alema rompe gli indugi. E verso l’ora di pranzo chiama Palazzo Chigi, «insomma che avete deciso? I giochi stanno entrando nel vivo...». Letta si precipita ad avvertire il Capo, sempre alle prese con la scarlattina. Berlusconi vorrebbe traccheggiare, però il Consigliere gli fa presente che qualcosa dovrà pur dire comunque, magari un’apertura molto cauta, in perfetto stile Prima Repubblica, così nessuno potrà accusare il governo di aver negato all’Italia un’ipotesi talmente prestigiosa, quella di avere appunto il responsabile della politica estera europea. Il comunicato che segue è un piccolo capolavoro di ipocrisia, allude senza impegnarsi. Ma non fa i conti con quel grandissimo paravento di D’Alema. Che ruba il mestiere al portavoce di Palazzo Chigi, Bonaiuti, e dà lui l’interpretazione autentica, «grazie al governo per la candidatura», come se il caro Silvio l’avesse davvero avanzata. Peccato che in serata, al telefono da Arcore, il premier risulti tuttora in dubbio: «Non ho promesso un bel niente» giura a un amico, «figurati se posso proporre io D’Alema, e poi tutta questa disponibilità socialista a sostenerlo non mi risulta affatto, anzi il contrario, ci penserà l’Europa a bocciarlo...». Come sempre in questi casi, il mondo berlusconiano si spacca come una mela. E invece di aiutare il leader nella sua scelta, i suggeritori gli confondono ancor di più le idee. Su un piatto della bilancia c’è l’ovvio desiderio di metter fine alle demonizzazioni reciproche, tra l’altro segretario Pd è appena diventato Bersani, tutto congiura per il cambio di fase. Un gesto generoso e patriottico aprirebbe un credito politico a favore del Cavaliere. Campa cavallo, obiettano i nemici di D’Alema, quando mai Massimo si è dimostrato grato? Mai fidarsi degli ex comunisti dalla lingua biforcuta. Insistono i fautori, anche autorevoli, del «via libera»: se dialogo dovrà essere col Pd, caro Silvio, molto meglio che lo conduca tu direttamente con D’Alema, sennò a tessere la tela saranno altri, magari Fini, oppure Bossi, e ti taglieranno fuori. L’argomento non lascia insensibile Berlusconi, uomo sospettoso. Però al tempo stesso molto concreto. Per insediare D’Alema, dovrebbe privarsi di un commissario europeo fedelissimo come Tajani. Che non solo gli cura dossier importanti tipo Alitalia, ma gli fa pure da sentinella contro eventuali blitz anti-Mediaset. A quel punto il Cavaliere resterebbe nudo a Bruxelles dove l’ambasciatore Feroci, ricordano nei Palazzi, fu già capo di gabinetto con D’Alema ministro. Sarebbe come mettersi due volte nelle sue mani. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, nuovo piano salvapremier Inserito da: Admin - Novembre 05, 2009, 10:17:38 am 5/11/2009 (8:17) - RETROSCENA
Giustizia, nuovo piano salvapremier Il premier ieri all'Aquila è tornato a parlare di riforme per rafforzare l'esecutivo Il Cavaliere vuole per iscritto il sostegno degli alleati prima delle candidature. E intanto corteggia Casini UGO MAGRI ROMA Par di sentirlo, il Cavaliere, mentre con voce flautata annuncia via telefono a Casini: «Sappi, carissimo, che per incontrare prima te di loro ho appena rinviato la cena di stasera con Bossi e Fini...». Mai corteggiamento politico fu più appassionato. E non solo per via delle Regionali, con l’Udc «ago della bilancia», in grado di farla pendere o di qua o di là (proprio ieri Casini ha visto Bersani, e l’esito del faccia a faccia non è stato fantastico). C’è qualcosa di più nell’insistenza con cui Berlusconi insegue i centristi, e quel qualcosa ha parecchio a che vedere con il suo stato d’animo tornato gonfio d’irritazione nei confronti degli alleati. Volendo attingere alle sue confidenze con gli amici, basterebbe affondare le mani. E si raccoglierebbero sfoghi apocalittici della serie «non ne posso più, qui è impossibile governare», con minacciose promesse di portare tutti quanti alle elezioni anticipate nella prossima primavera, altro che Regionali... L’umore è quello, tipico, che precede i colpi di testa. Casini, da autentico professionista, l’ha capito al volo. Domani si vedranno a Palazzo Chigi, ed è certo che il premier non si limiterà a parlargli del Piemonte e del Lazio, della Puglia e della Campania, ma tenterà di allargarsi, di sondare l’Udc su un possibile nuovo inizio, perché la bizzarria del destino è tutta qui: rotta l’alleanza con i centristi a causa dei loro continui «distinguo», Berlusconi è piombato dalla padella nella brace. Adesso deve dire sempre di sì alla Lega; gli tocca esercitare la propria pazienza con Fini, il quale obietta su tutto, e in particolare su ciò che il Cavaliere più di ogni altra cosa desidera: la soluzione definitiva ai suoi guai con la giustizia, l’arma finale contro i processi che lo inseguono. Chi sta molto vicino al premier la vede così: «Berlusconi è stufo di essere spremuto come un limone dai suoi cari alleati. I quali vogliono, pretendono, ma gli concedono in cambio solo chiacchiere. Alla prescrizione dei suoi processi lui può arrivare con vari escamotages, ma lo fa impazzire l’idea che gli venga negato il diritto di governare in pace...». E’ il suo chiodo fisso, ormai. E allora, spiegano in via del Plebiscito, «Silvio ha deciso di dire basta, vuole mettere le carte in tavola. La Lega reclama il Veneto? Fini chiede il Lazio? Se lo devono meritare. Il vertice dove erano sicuri di incassare, senza nulla restituire in cambio, slitta perlomeno di una settimana». Risulta in queste ore un frenetico lavorio per mettere a punto una proposta di legge che faccia le veci del Lodo Alfano. Niente a che vedere con la prescrizione breve («ghedinate», le liquida un ministro coinvolto in prima persona nella redazione del testo), ma qualcosa cui stanno lavorando le menti più creative del governo, si vocifera addirittura di Tremonti: una proposta che sia possibile difendere alla luce del sole, su cui né Fini né la Lega possano nutrire imbarazzi. Pare tragga ispirazione dalla «legge Pinto» che prevedeva, quando fu proposta, un equo indennizzo a chi subisce processi troppo lunghi. Servirà qualche giorno per rifinire la bozza. Quindi Berlusconi riunirà gli alleati, pretenderà un sì o un no definitivo. Magari per iscritto. E solo un attimo dopo la trattativa sulle Regioni entrerà nel vivo. Casini, in tutto questo, che c’entra? Se domani Berlusconi lo aggancia con le lusinghe o con le minacce (nuova legge sulla «par condicio» televisiva), nessuno dei suoi alleati è più indispensabile. «Non sono ricattabile», aveva fatto sapere due giorni fa. Ieri ha aggiunto: «Una maggioranza è compatta, se no non è più tale...». Ognuno interpreti queste parole come meglio crede. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, Fini e Berlusconi ancora lontani Inserito da: Admin - Novembre 10, 2009, 09:40:01 am 10/11/2009 (7:21) - RETROSCENA
Giustizia, Fini e Berlusconi ancora lontani Alta tensione sulla bozza tra i due leader Pdl UGO MAGRI ROMA La trattativa sulla giustizia è a un punto morto, i mediatori tra Berlusconi e Fini hanno fallito, tutto dipende dal faccia a faccia tra i due, stamane alle 9 e mezza. L’esito tocca personalmente molti italiani. Si discute infatti la sorte di 600 mila processi: entusiasmo tra gli imputati se la spunterà Silvio. Sollievo delle parti lese, se avrà la meglio Gianfranco. I due concordano sul principio ispiratore: i processi debbono avere una «ragionevole» durata. La riforma in gestazione fisserà un limite massimo di 6 anni, poi sul processo calerà la mannaia. In più verranno previsti dei «tetti» biennali corrispondenti a ciascun grado di giudizio. Fini ha il dubbio che la Consulta possa mettersi di traverso, come già è capitato al Lodo Alfano. Però qui vince la ragion di Stato: prima che la Corte costituzionale decida, passano altri dodici mesi. Nel frattempo addio processo Mills, addio anche alle inchieste Mediaset che riguardano il Cavaliere, finalmente libero dalle sue pendenze. Secondo i finiani, Berlusconi dovrebbe dirsi già molto soddisfatto. Invece no. Il suo avvocato (Ghedini) si sta battendo per introdurre pure la «prescrizione breve»: verrebbe sforbiciato di un quarto il tempo che occorre a mandare in archivio i reati, perlomeno quelli meno gravi. Dove sta l’interesse del premier? Sarebbe messo al riparo non solo dalle inchieste passate, ma pure da quelle future che dovessero scaturire dai soliti filoni milanesi. E’ come se venisse apposto il timbro «scaduto» su tutti i fascicoli che lo riguardano. La stessa regola, si capisce, varrebbe per gli altri 600 mila processi in corso. Secondo la Finocchiaro (Pd) sarebbe un’«amnistia mascherata». Il Pd, confermano Letta e Bondi, sparerebbe a palle incatenate. Fini punta i piedi. Ne fa questione di principio. Battaglia anche sull’ultimo codicillo che il Cavaliere vuole introdurre. Se si dà retta ai finiani, sarebbe una norma a vantaggio esclusivo di Mediaset. Che subì dieci anni fa un mega-accertamento fiscale con relativa multa. L’idea ora è quella di liberarsene con un’oblazione del 5 per cento. «Questo è davvero troppo», protestano dalle parti di Fini. Un macigno sulla via dell’intesa. Nei programmi del Cavaliere c’era di calare a Roma domani, con calma. La strenua resistenza dell’alleato lo costringe ad anticipare l’arrivo (già questo lo maldispone). Si aggiunga che Berlusconi è molto irritato dalle parole di Fini l’altra sera su RaiTre. Non gli va già quella battuta, «il Pdl non è una caserma», unita all’altra («un leader non è il monarca assoluto»). L’ha entusiasmato invece un commento sul «Foglio», dove Ferrara sostiene che a decidere chi governa dev’essere il popolo, non le procure della Repubblica. Di sicuro Berlusconi non si presenterà all’incontro con tono dimesso. Il partito delle elezioni anticipate ieri sera guadagnava nuovi adepti. Chi scommetteva sulla rottura senza rimedio, e chi su un soprassalto di buonsenso. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "Meglio se ti accontenti" Inserito da: Admin - Novembre 11, 2009, 10:16:34 am 11/11/2009 (7:5) - RETROSCENA
"Meglio se ti accontenti" E il premier si convince Moral suasion del presidente della Camera: «Non possiamo rischiare» UGO MAGRI ROMA C’è il Berlusconi che urla strepita minaccia. Quello che «se mi rendete impossibile difendermi allora è meglio andare alle urne», che la butta sul piano sgradevolmente personale, che tira in ballo la fiducia mal riposta e l’ingratitudine. Secondo certe ricostruzioni del suo colloquio con Fini, la recita del «Berlusconi furioso» è andata in scena per non più di quindici minuti, altri sostengono invece mezz’ora. Poi però il personaggio ha cambiato copione. Pragmaticamente ha preso atto della realtà che il presidente della Camera, senza toni ostili, gli ha fotografato. E la realtà coincide con il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Disco verde alla «ragionevole durata» dei processi, semaforo rosso alla «prescrizione breve». Spintarella finale nel burrone ai due processi (Mills e diritti televisivi) peraltro già quasi prescritti. Nessuno scudo per il premier contro le inchieste future, il suo conto con la giustizia rimane aperto, la «caccia all’uomo» continua. Inesorabile. Vista con gli occhi dei «falchi» sconfitti, di coloro che nei giorni scorsi avevano additato in Fini il nemico da battere, siamo all’eterna Incompiuta. Un po’ sorpresi dal Capo, increduli che sia tornato dal colloquio con un pugno di mosche. Agli occhi delle «colombe», invece, l’intesa è un passettino avanti, meglio l’uovo oggi. Bisogna accontentarsi. E se un domani dovessero partire da Milano o da Palermo nuovi siluri giudiziari, in quel momento si provvederà, ora è inutile fasciarsi la testa. Berlusconi sembra più deluso che rassegnato. Sperava di meglio. Dopo l’incontro niente dichiarazioni, solo una battuta poco convinta («è andata bene...»), poi fuga a Milano, giù le saracinesche. Quanto ce l’abbia con Fini, è arduo dire. Chi li ha visti mentre si congedavano assicura che i volti erano sereni, «ciao Gianfranco, allora ci rivediamo», «certo Silvio, e a presto». Qualunque cosa si siano urlati poco prima, solo Gianni Letta può saperlo, unico testimone del match nello studio di Fini a Montecitorio. La sostanza però si conosce. Dopo la sfuriata iniziale del premier, il presidente della Camera ha calato i suoi assi. «La mia lealtà», ha giurato, «è fuori discussione. Sono pronto a darti una mano perché la persecuzione nei tuoi confronti è innegabile, l’ho pure detto in tivù. Ma noi dobbiamo scegliere la strada del minor danno». Ciò che Fini ha provato a spiegare, raccontano i suoi, si riassume nella differenza che corre tra desiderio e realtà. Un conto è sognare a occhi aperti, altra cosa metterlo in pratica. Chiedere troppo sulla giustizia significa, caro Silvio, sollevare un putiferio e non ottenere nulla. Una prescrizione breve Napolitano non la permetterà mai, sotto quel provvedimento la controfirma è del tutto esclusa. Così come si illude chi pensa che il Presidente scioglierebbe le Camere su schiocco di dita del premier. Non funziona così. Già sarà tanto, ha argomentato Fini mentre Letta annuiva, se Napolitano chiuderà un occhio sulla regola dei sei anni, termine massimo per chiudere i processi. Ci sarebbero mille dubbi di costituzionalità, quando verrà giudicata dalla Consulta magari farà la fine del Lodo Schifani prima e del Lodo Alfano poi, però intanto portiamo a casa quello che si può. «E se ti copro io, è più facile che il Presidente della Repubblica metta la firma». Un inno alla ragionevolezza. Il Cavaliere non ha più obiettato. Perciò gridano vittoria i finiani della Camera e quelli del Senato. Che sostengono di avere evitato a Berlusconi una figuraccia. Addirittura, di avergli regalato sulla giustizia un progetto più ampio della pura sopravvivenza. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E in serata Berlusconi prende le distanze Inserito da: Admin - Novembre 18, 2009, 10:13:24 am 18/11/2009 (7:9) - RETROSCENA
E in serata Berlusconi prende le distanze Smentita di Palazzo Chigi, ma tutti danno per certo l’ordine del premier UGO MAGRI ROMA Tutti, nel giro che conta, danno per certa la telefonata del Sommo Capo. Il quale avrebbe ordinato personalmente a Schifani di intimidire Fini con la minaccia di elezioni anticipate, a seguito delle quali il leader di An resterebbe senza più poltrona, così impara. E il presidente del Senato si sarebbe messo a disposizione con zelo... Questa la ricostruzione più in voga, seguita a ruota dall’altra che estende il messaggio ai giudici, guai se da Palermo qualche pentito lanciasse accuse infamanti sul premier, o se a Milano si riaprisse il vaso di Pandora delle tangenti: l’ultima parola tornerebbe al popolo. Palazzo Chigi però smentisce, e lo fa nella maniera più perentoria. Bonaiuti giudica addirittura «offensivo che qualcuno possa immaginare un input di Berlusconi alla seconda carica dello Stato». Se davvero è stato lui l’ispiratore, ma il suo portavoce giura di no, sta di fatto che il Cavaliere innesta la retromarcia. Al massimo si è trattato di un ballon d’essais. E comunque, un diretto testimone della vicenda è pronto a giurare che l’attacco lancia in resta di Schifani contro Fini nasce per davvero dai mediocri rapporti tra i due: il presidente del Senato se l’è concepito da solo durante il viaggio in aereo da Palermo a Roma. Anzi, una prima stesura della dichiarazione strombazzata più tardi dal suo ufficio stampa era perfino più veemente, molto poco istituzionale, per cui è stata riveduta e corretta già prima di mettere le ruote a terra. Quale che sia la verità vera, l’immagine al Paese è di una maggioranza in piena crisi epilettica. Il solo fatto di evocare elezioni anticipate costituisce un regalo politico a Bersani, incredulo di tanta buonasorte. Anche qui, non è un caso che il solito Bonaiuti tenti di gettare acqua sul fuoco, «alle elezioni il presidente del Consiglio non pensa affatto, sono tutte ipotesi legittime ma prive di fondamento...». Si diffonde la «sindrome del bordello», definizione popolaresca di Verdini, coordinatore nazionale Pdl. Tutti vanno a ruota libera, e ne nasce un vociare sgraziato. Il lungo silenzio di Berlusconi alimenta gli equivoci: in mancanza di direttive chiare, chiunque si sente legittimato a interpretare il «verbo». Parli con i falchi, e ti danno per certo che «Silvio ha deciso, o Fini piega la testa oppure si vota a marzo». Bussi dalle colombe, e scuotono la testa, «Berlusconi non è così matto, le elezioni sono un rischio mortale, lui lo sa bene». Aggiungono che «Fini fa rima con Dini», anche nel ‘94 il Cavaliere aveva chiesto di andare alle urne ma non c’era riuscito perché l’ultima parola spetta sempre al Quirinale, Napolitano non dà maggiori garanzie di Scalfaro. Né funzionerebbero gesti estremi, come le dimissioni in massa dei deputati di centrodestra cui qualche «pasdaran» vagheggia come al martirio. Il Cavaliere ancora non ha deciso. Chi parla con lui riferisce giudizi terribili sull’ex-amico Gianfranco, la rottura sembra irrimediabile, quantomeno sul piano personale. Berlusconi non sopporta che Fini tenga «il piede in due staffe, ha voluto l’incarico istituzionale di prestigio ma adesso pretende di dettare legge nel partito, o l’una o l’altra cosa». Circolano leggende sull’umor nero del premier che la notte non dorme, assediato dagli incubi familiari (il divorzio, i figli, le liti sul patrimonio) e dunque si sveglia irascibile come mai i fedelissimi l’avevano visto in passato. Ieri aveva la testa tutta presa dagli incontri internazionali, in fondo trattare coi capi di Stato è l’attività che più lo appaga. Oggi tornerà sulla terra, vedrà i proconsoli, studierà i dossier, sviscererà i sondaggi. Se desse retta ai famosi consulenti americani, non avrebbe dubbi: al voto, al voto. Le elezioni sarebbero una pura formalità, già vinte in partenza, questo gli dicono dall’altra sponda dell’Oceano. Però Berlusconi vuol sentire cosa ne pensa la sua guru in materia, Alessandra Ghisleri. Gli hanno detto che il Pd cresce, lui vuol sapere come stanno le cose. Con Bersani in ascesa, le urne sarebbero una roulette. E poi gli interessa capire quanto vale Fini agli occhi degli elettori: due o tre punti percentuali secondo certe stime, meglio accertarsi bene prima di compiere gesti politici irreparabili. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Al Senato prove di dialogo su tutto, esclusa la giustizia Inserito da: Admin - Novembre 20, 2009, 03:29:11 pm 20/11/2009 (7:15) - RETROSCENA
Al Senato prove di dialogo su tutto, esclusa la giustizia Marcia indietro del presidente del Senato Renato Schifani: «Siamo coesi, si va avanti» Il 2 dicembre mozione bipartisan sulle riforme UGO MAGRI ROMA Bersani prende coraggio e fa un passo che gli provocherà attacchi da Di Pietro, nonché accuse di «inciucio»: autorizza Anna Finocchiaro, capogruppo in Senato, a trattare con le destre sulle riforme costituzionali. E a stilare tutti insieme una lista di quelle più urgenti, dopodiché se ne potrebbe iniziare praticamente subito l’esame in commissione. Questo elenco verrebbe scolpito sotto forma di solenne mozione comune, con tanto di firma in calce del Pd, del Pdl, dell’Udc e della Lega. E’ già fissata per il 2 dicembre la seduta del Senato in cui la mozione verrà discussa. Poi non è detto che ci si arrivi davvero. Magari nei prossimi giorni l’idea farà naufragio. Anche perché il Pd vorrebbe discutere esclusivamente quanto già stava nella famosa «bozza Violante» (riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo, Senato delle autonomie) laddove il capogruppo Pdl Gasparri sta tentando di infilarci non solo la «forma di governo», cioè l’elezione diretta del premier, ma pure il tema-giustizia. Che porta con sé i processi del premier e i suoi tentativi disperati di cancellarli con qualche legge «ad personam». Se la maggioranza insiste (per Cicchitto riforme e giustizia sono «come due binari, se si divaricano il treno deraglia»), finisce che non se ne fa più nulla. Per evitare equivoci, Bersani sceglie una strada astuta: pone come condizione che Berlusconi si rimangi il «processo breve». Sa già la risposta, «non se ne parla nemmeno». Semmai la discussione in corso da quelle parti è se il processo breve sarà sufficiente a salvare il Cavaliere dai magistrati. Tra i «pasdaran» berlusconiani c’è addirittura chi spinge per qualche ulteriore marchingegno giuridico perché il processo breve non basta (ma Bonaiuti, interpellato, nega che la mente creativa di Ghedini sia all’opera in tal senso). Dunque niente giustizia nella mozione del 2 dicembre. Il Pd sarà attaccato lo stesso da quanti dicono che «con Berlusconi non si tratta mai e su nulla, per principio». In compenso Bersani mette il cappello sulle riforme possibili. Spezza le catene che lo fanno apparire prigioniero politico di Di Pietro. Lancia un amo allettante ai centristi moderati. Offre una sponda tatticamente utile alle rare «colombe» della maggioranza. E non è un caso che il passo sulle riforme, benedetto dal presidente della Repubblica, applaudito da Schifani, sia stato concordato riservatamente nei giorni scorsi con Gianni Letta. Vale a dire con il protagonista immancabile di tutte le transazioni. Vuoi che Letta non ne abbia parlato con Berlusconi? Il Cavaliere, scettico, pare gli abbia dato via libera, «proviamoci», dialogare con l’opposizione male non fa. Anche perché il suo vero cruccio rimane la maggioranza. La minaccia di elezioni è rinfoderata tanto che Schifani, il quale si era spinto parecchio avanti sulla linea del Capo, ne prende atto: «La maggioranza è coesa, come dice il premier, per cui si va avanti senza il voto». Eppure sarebbe eccessivo parlare di pace con Fini. Chi va a trovare Berlusconi continua a raccogliere sfoghi furiosi contro i giudici, contro Veronica («Vuole portarmi via quello per cui ho lavorato tutta una vita») e contro il presidente della Camera, fonte di grande amarezza. Al massimo tra i due, precisa chi frequenta il premier, ci si può attendere una tregua armata. Gli scontri sono sospesi, ma potrebbero riprendere da un momento all’altro. da unita.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, Berlusconi pensa a un proclama (sarà flop ci pensi bene) Inserito da: Admin - Novembre 24, 2009, 06:12:11 pm 24/11/2009 (7:23) - RIFORME - MURO CONTRO MURO
Giustizia, Berlusconi pensa a un proclama Ma Bonaiuti smorza i toni: non ci sarà nessun appello tv UGO MAGRI INVIATO A DOHA E’ più forte di lui: non appena vede i giornalisti, ormai Berlusconi s’incupisce, gonfia il collo, contrae la mascella. Niente più battute scherzose tipo «sempre in giro a divertirvi, eh?», adesso solo fastidio per le domande che lo riportano inesorabili alle beghe italiane. Questi malumori sono premessa indispensabile per intendere certe sue battute smozzicate, equivoche sulla giustizia, rimbalzate dal Qatar a Roma nel bel mezzo dello scontro tra il Guardasigilli e i magistrati sul «processo breve». Qualcuno le legge come l’annuncio di imminenti proclami al Paese, il Cavaliere che si presenta in televisione a reti unificate, oppure fa irruzione in Parlamento e da lì tenta l’ultima delle forzature... Magari c’è anche questo, nella mente del premier, chi può escluderlo? L’uomo si sente braccato. E’ ai confini della sopportazione. Il suo amico produttore del cinema Tarek Ben Ammar, che nel viaggio in Arabia lo segue passo passo, ne interpreta lo stato d’animo: «Provate a mettervi nei suoi panni, invece di essergli riconoscenti lo attaccano da tutte le parti, chiunque al suo posto reagirebbe allo stesso modo». Per non dire della sfera privata con il divorzio di Veronica, e le liti tra i figli, e la divisione del patrimonio, e niente più feste con Apicella, e addio weekend in Sardegna, «mi hanno perfino tolto il piacere di coltivare le piante grasse», protesta con i fedelissimi il premier. La frustrazione si aggrava quando Silvio si muove all’estero. Riverito come una rockstar (tale lo proclama beffarda la rivista-cult «Rolling Stones» per la sua vita sopra le righe) prima a Gedda poi a Doha, l’altra sera cena col Re, ieri con l’Emiro, consultato come un guru delle cose mondiali, portato in barca ad ammirare l’isola artificiale che qui stanno costruendo a tempo di record per farci su un quartiere di grattacieli e centinaia di negozi (quanta invidia del Cavaliere, «sembra davvero di stare dall’altra parte del mondo rispetto all’Italia dove permangono difficoltà per operare e costruire»). Tutto gli sembra così scintillante e dinamico. Finché, appunto, torna in hotel e si trova davanti i cronisti. Smorfia del premier. Domanda su Brunetta che accusa Tremonti. «Non c’è nulla di meno che quieto», prova a minimizzare, «è l’esternazione di un ministro, rimane nell’ambito di una dialettica che meglio sarebbe se fosse soltanto interna...». Domanda numero due sull’opposizione che lo attacca, «a loro io non rispondo mai», fa per andarsene e arriva il quesito sulla giustizia. «Non voglio parlare di queste cose», sbuffa: «Ci sarà il momento più opportuno per spiegare agli italiani qual è la situazione in cui siamo». Rullo di tamburi, il Cavaliere prepara il proclama... Se però fa fede il portavoce del governo, Berlusconi non ha in mente alcun appello televisivo. Bonaiuti lo nega categorico, informa che la strada maestra rimane il «processo breve», Alfano ci sta lavorando sodo, il premier l’ha sentito al telefono da Doha, tutto procede come previsto, non c’è motivo alcuno per alzare i toni. Per fare il diavolo a quattro c’è sempre tempo, specie se Napolitano negherà la promulgazione, ma adesso è presto: tra qualche mese si vedrà. E per «spiegare al Paese» magari basterà un semplice «Porta a porta». Un’ora di confronto Come anticipato dal Presidente della Repubblica, e auspicato del presidente del Senato, si è svolto ieri un colloquio al Quirinale tra Napolitano e Schifani. Il «faccia a faccia» risolve così l’incidente generato dalle parole di Schifani della settimana scorsa: «Senza maggioranza, si va al voto» aveva detto l’inquilino di Palazzo Madama, paventando elezioni anticipate. Napolitano, in trasferta in Turchia, disse che non era «ossessionato da un incontro con Schifani, ma che tornato a Roma avrebbe valutato». E così ieri il colloquio durato un’oretta, nel corso del quale Napolitano ha riaffermato le proprie prerogative, anche in materia di scioglimento delle Camere. Per il resto, le due cariche istituzionali hanno parlato di giustizia, anche se brevemente visto che il testo sul processo breve giace ancora in Parlamento, e di riforme. Napolitano e Schifani hanno discusso a lungo sul calendario dei lavori del Senato di fine anno ed entrambi hanno molto apprezzato il clima bipartisan che ha accompagnato la decisione di incardinare e far ripartire a breve in Senato il lavoro sulle riforme, con priorità per quelle condivise fra maggioranza e opposizione. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI UN VENERDI' DI PASSIONE Inserito da: Admin - Novembre 28, 2009, 03:41:07 pm 28/11/2009 (7:22) - UN VENERDI' DI PASSIONE
La lunga giornata del premier Dopo le voci, arriva la smentita Berlusconi disdice gli impegni Bonaiuti: «Nessun avviso di garanzia» UGO MAGRI ROMA Somma è l’agitazione intorno al premier per l’avviso di garanzia: arriva, non arriva, forse sta viaggiando dalle procure anti-mafia... L’entourage del premier è sommerso dalle telefonate, il picco intorno alle tre del pomeriggio quando si diffonde la notizia che Berlusconi non va più a L’Aquila, rinuncia all’ennesima passerella davanti alle telecamere perché lo bloccano non meglio precisati «impegni istituzionali». Che sarà mai? Una convocazione sul Colle da parte di Napolitano? Escluso. I rapporti tra i due sono così freddi, talmente gelidi che perfino Letta viene informato del monito presidenziale quando già lo conoscono tutti. Né si può dire che Berlusconi prenda bene quell’invito salomonico alla calma, perché «i toni dovrebbero abbassarli per primi i magistrati che mi attaccano in televisione, io di mafia mi sono occupato solo per storielle», di cui ha dato un saggio raccontandone alcune a una cena con degli imprenditori. No, nessun impegno istituzionale. Ecco spargersi dunque la voce, sempre più eccitata, dell’avviso di garanzia: il Cavaliere asserragliato nel bunker di Palazzo Grazioli perché non sa che pesci prendere, è lì coi suoi avvocati che studia la strategia... Alle sette di sera Bonaiuti interviene, «escludiamo nel modo più deciso che sia in arrivo un qualsiasi atto correlato alle indagini di Firenze e Palermo. Non esiste. È fin troppo facile smentire ciò che non c’è» assicura il portavoce (il che non esclude un’iscrizione nel registro degli indagati per mafia). Pare ci siano state delle verifiche, si sarebbe mosso Ghedini, lo stesso avrebbe fatto il ministro Alfano ricevendo smentite dalle procure che contano, notizie di grande sollievo per il Cavaliere sulle spine. Tanto che a sera chi gli parla lo trova di buon umore, quasi pimpante. C’è però chi, ai vertici del partito, non sembra altrettanto ottimista. Cicchitto, ad esempio, diffida per principio. E tanti come lui pensano che qualche agguato si sta preparando, «se non è oggi sarà domani, il circo mediatico-giudiziario non molla certo la presa». Nel qual caso la reazione del premier sarebbe violenta, disperata. Pretenderebbe una difesa a spada tratta dal governo, dal partito, dagli stessi vertici istituzionali. E se non bastasse, ecco Berlusconi pronto a sganciare l’atomica: dimissioni in massa dei deputati e dei senatori, con Giorgio Napolitano obbligato a sciogliere il Parlamento senza nemmeno passare per le consultazioni di rito. Uno scenario che parte del Pd sta valutando, e che spinge il segretario alla massima prudenza perché non c’è progetto berlusconiano di cui Bersani sia all’oscuro. E che guaio sarebbe farsi sorprendere dal Cavaliere impreparati, in mezzo del guado. Ogni qualvolta Berlusconi sembra groggy, eccolo dare il meglio. Due sganassoni a Fini l’altra sera lo riportano al centro del ring. Si apprende ora che la mossa del premier era stata studiata con cura: s’era chiamato ad uno ad uno tutti i personaggi più in vista di An ponendo loro un aut-aut, «o con me o con Gianfranco». Al fianco del rivale sono rimasti Granata, la Perina, forse Bocchino, così perlomeno dicono fonti informate. Difficile che riescano a stoppare la sua immensa voglia di vendetta contro le toghe. Fini abbozza, evita di reagire, aspetta che venga il momento. Nel frattempo Berlusconi esercita, dopo mesi, un briciolo di controllo. Prova ne sia il Consiglio dei ministri ieri mattina. Incredibile: nemmeno l’ombra di una lite... Brunetta mogio a testa bassa, Tremonti affettuoso col premier, e Bossi con la mano carezzevole sulla spalla di Silvio, come a dire «qui ti proteggo io». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Sondaggio per Berlusconi, Il 70% non crede a Spatuzza Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2009, 10:20:48 am 10/12/2009 (7:7) - RETROSCENA
Sondaggio per Berlusconi, Il 70% non crede a Spatuzza La vera preoccupazione è la sorte giudiziaria dell'amico Dell'Utri, ieri dal presidente della Camera Ma sul “legittimo impedimento” teme un nuovo stop di Fini UGO MAGRI ROMA Piccolo azzardo del Cavaliere: diserterà entrambe le votazioni su Cosentino, il sottosegretario di Tremonti che i magistrati vorrebbero vedere in manette. Ha scelto di fidarsi della sua maggioranza. Anche a scrutinio segreto. Magari stasera se ne pentirà amaramente, però i segnali che gli arrivano da Montecitorio sono tutti dello stesso segno, non ci saranno agguati di «franchi tiratori» sebbene molti alleati ne avrebbero voglia, in particolare nella Lega e chiaramente i finiani. Che però si sentono osservati speciali, l’eventuale arresto del sottosegretario verrebbe politicamente addebitato a loro, il centrodestra si trasformerebbe in un ring. Letteralmente. Scherza (ma non troppo) il capogruppo Pdl Cicchitto: «Se tra di noi qualcuno fa il furbo, è la volta che gli metto le mani addosso...». Dunque stamane all’alba Berlusconi volerà a Bonn per il congresso del Partito Popolare Europeo (Ppe) dove Fini non l’hanno neppure invitato, pare che il presidente della Camera ci sia rimasto un po’ così. E invece di rientrare di corsa a Roma per Cosentino, come in origine aveva programmato di fare, il presidente del Consiglio punterà su Bruxelles, sede del Consiglio europeo. Se gli va liscia, è un segnale di ritrovata tranquillità, la sirena del cessato allarme. Già festeggia il portavoce Bonaiuti: «Sono andate deluse le speranze di quanti a sinistra rincorrevano la soluzione giudiziaria...». A rincuorare il premier provvede l’ultimo dei suoi sondaggi riservati che ogni settimana gli produce Euromedia Research. Il 70 per cento degli italiani pare non creda a una sola parola di quanto sostiene il pentito Spatuzza, definito da Gasparri «acronimo di spazzatura», bombardato da Vespa nell’ultima puntata del «Porta a porta». Domani per conferma a Palermo verranno sentiti i fratelli Graviano, ma qualunque cosa i boss di Brancaccio potranno dire sulle stragi del ‘93 non verranno creduti, così perlomeno scommette speranzoso il premier. Seria preoccupazione semmai è Dell’Utri, ieri ricevuto da Fini per uno scambio di strenne natalizie durato sette minuti d’orologio (53 quelli di anticamera): raccontano a Palazzo Grazioli che Silvio sia molto partecipe del caso processuale di Marcello e in grave apprensione per il dramma umano. Pure Previti, altro vecchio sodale, era stato condannato. Ma qui si parla di mafia, forse di carcere, altro che di affidamento ai servizi sociali. Berlusconi non può preoccuparsi egoisticamente (sospetto molto diffuso) di salvare solo se stesso. Da qualunque parte la si giri, l’intera dialettica politica ruota intorno allo scudo per difendere il Cav. Tra Pdl e Pd qualcosa sotto sotto si sta muovendo, in modo assolutamente top secret. Però l’intesa ancora non c’è. «Qualcuno nel Pd ci starebbe pure», racconta chi frequenta il premier, «ma Bersani tentenna, tra l’altro come capogruppo ha dovuto mettere Franceschini, che non ci sembra l’interlocutore più adatto». Se il prezzo politico dovesse consistere nella rinuncia al «processo breve», Berlusconi lo pagherebbe seduta stante: in fondo troppi sono i dubbi di costituzionalità, i magistrati annunciano mobilitazioni, lunedì il Csm darà il colpo di grazia. Il vero asso di Berlusconi si chiama «legittimo impedimento», niente udienze in tribunale fintanto che resta in carica. Quattro le proposte di legge che la Commissione giustizia di Montecitorio ha già iniziato a discutere, la settimana prossima si arriverà forse a un testo unificato. Purché il presidente della Camera non si metta pure qui di traverso. Fini non ha digerito lo stop al progetto di cittadinanza per gli immigrati. E ha dato disposizione ai suoi di frenare, come ritorsione, l’esame del legittimo impedimento. Che arriverà in aula a fine gennaio, annuncia Giulia Bongiorno, con la speditezza di una tartaruga. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'asso di Berlusconi: fiducia a Bersani Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2009, 10:23:29 am 20/12/2009 (6:58) - RIFORME - LA TATTICA DEI PARTITI
L'asso di Berlusconi: fiducia a Bersani Cambio di strategie del premier: «Con Pier Luigi possibili intese» UGO MAGRI ROMA La scelta strategica sta maturando. Berlusconi pare convincersi che il suo destino non dev’essere per forza quello del Caimano. Affrontando a morsi i nemici può sgominarli una, due volte, ma fatalmente verrebbe l’ora della sconfitta, e sarebbe tragica, come nel film di Moretti. Senza scomodare la Buonanima o Bettino, l’aggressione ha fatto vivere fisicamente al premier l’odio che parte della sinistra nutre verso di lui. Gli ha spalancato gli occhi. Nello stesso tempo lascia intravedere al Cavaliere una via d’uscita più degna, onorevole. Che all’atto pratico s’incarna nella bonomia emiliana disincantata e sorridente di Pierluigi Bersani: finalmente, s’è detto Berlusconi, un potenziale vero interlocutore dall’altra parte. Venerdì sera a cena, in un consesso di amici, ha scoperto le carte: «Con Bersani penso di potermi fidare. Mi sembra ragionevole, dialogante. E pure lui ha interesse a riformare la giustizia, gli serve per non farsi sbranare da Di Pietro. Ho intenzione di provarci sul serio». E sarebbe una grande svolta, poiché il vero ostacolo a qualunque colloquio coi nipoti di Togliatti finora era stato Berlusconi medesimo. Con i suoi sbalzi d’umore. Con quelle sbandate incontrollabili che D’Alema ha sperimentato sulla propria pelle, e di recente pure Veltroni. Se il dubbio nel Pd è «faremo la stessa fine?», il Cavaliere sa che questo è l’ultimo treno, non gli saranno concesse altre chances. Per cui sta apparecchiando un percorso politico dove la massima urgenza, forse addirittura prima delle leggi «ad personam», diventa quella di isolare gli «odiatori» e restaurarsi l’immagine: da qui l’irritazione manifestata a cena nei confronti del direttore generale Rai, reo di non aver messo alla porta i Santoro, i Travaglio e tutti i comici che gli guastano la reputazione. In cambio di un altro clima, Berlusconi pare orientato a gesti concreti. Si interroga, ad esempio, se è ancora il caso di trasformare le prossime Regionali in un referendum su se stesso, drammatizzandolo al parossismo. Col risultato magari di strappare alla sinistra una Regione in più, ma di affondare l’unico personaggio, da quelle parti, disposto a dargli retta: cioè Bersani. Gettarsi in prima persona nella campagna elettorale, metterci la faccia, o lasciare che se la vedano il partito e i candidati vari? La seconda ipotesi sembra, di ora in ora, la più gettonata. Non a caso, il Cavaliere ha concesso la massima autonomia in materia ai suoi tre coordinatori nazionali. E ha dato piena fiducia a Fitto, il quale se la vedrà lui con Casini per trovare un candidato comune in Puglia, casomai il Pd dovesse confermare Vendola. Tutti ragionamenti che Berlusconi ha trovato superfluo sviluppare ieri con Bossi, Tremonti, Cota e Calderoli, accolti verso sera a Villa San Martino dopo una giornata trascorsa, informa Bonaiuti, «nuovamente al lavoro, tra telefonate, visite e studio di dossier». Come sempre quando arriva l’Umberto, gare di barzellette, canzoni dialettali, grande allegria ruspante. La Lega è al settimo cielo per le storiche candidature di Cota in Piemonte e di Zaia in Veneto (quest’ultima decisa ieri). L’accordo col Pdl è stato messo addirittura nero su bianco: come in un protocollo notarile con tanto di firme in calce dei coordinatori berlusconiani da una parte, di Calderoli dall’altra. Vi si prevede quanti assessori andranno ai due partiti in caso di vittoria. E si stabilisce che il ministero di Zaia (le Politiche agricole) verrà riciclato dopo le elezioni. Se la Lega vince in entrambe le Regioni, passerà allo spodestato Galan. Viceversa, se lo terrà ben stretto il Carroccio. E a Galan il premier dovrà trovare posto in qualche ente di Stato. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Frattini: "Se vogliamo cambiare l'Italia serve una nuova Costituente" Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2009, 10:39:16 am 21/12/2009 (7:10) - INTERVISTA
Frattini: "Se vogliamo cambiare l'Italia serve una nuova Costituente" Il Ministro degli Esteri avverte: «E' giunta l'ora delle riforme» UGO MAGRI Per le riforme, ministro Frattini, davvero è arrivata l’ora? «E’ più che mai il momento. Vedo due fenomeni preoccupanti. Un’Italia che non sa parlare con una sola voce sui grandi temi internazionali, che spesso si è divisa agli occhi del mondo». Non è bello. «Proprio no. E poi vedo in azione delle minoranze politiche coalizzate tra loro al solo scopo di creare divisioni e lucrare sui contrasti tra i partiti maggiori: penso anzitutto a Di Pietro». In questo clima sembra arduo parlare di riforme condivise... «Ragione di più per avviarle, e per trovare il modo di mettere il loro cammino al riparo dalle diatribe del giorno per giorno. Esistono diversi modi praticabili, ci si sta ragionando». Qualche ex socialista rilancia la Costituente. Cossiga se ne fa portavoce. Che gliene pare? «E’ un’idea interessante proprio perché limita i contraccolpi che la lotta politica quotidiana può avere sul dialogo per le riforme. Ma soprattutto perché una formula costituente consente di mettere in campo il sistema paese, di impegnare nell’impresa tanto la politica quanto la società civile». Scusi, che c’entra la società civile? «Sarebbe un valore aggiunto. Proviamo a rispondere a questa domanda: come si fa ad affrontare il nodo del federalismo costituzionale senza coinvolgere le Regioni, il mondo delle autonomie territoriali? Ancora: come si giudica possibile delineare un nuovo quadro costituzionale sul diritto al lavoro senza ascoltare le parti sociali?». A proposito di sociale: Bersani propone un’apposita sessione parlamentare sull’argomento. Che gli risponde? «Io credo che sia uno dei capitoli da inserire nel grande mosaico delle riforme. Nel momento in cui l’Europa ci chiede di mettere al centro la competitività e la crescita, come si ritiene possibile trascurare l’apporto dei sindacati, delle imprese, dei risparmiatori? La politica e i partiti devono restare ovviamente protagonisti. Ma a mio avviso serve un respiro più ampio, che dia voce a tutte le principali componenti del sistema Italia». E lei crede davvero che siamo in tempo per mettere in moto un processo del genere? «Non siamo ancora arrivati a metà legislatura. Il tempo è sufficiente se non fa difetto quella volontà politica che, all’epoca della Bicamerale, a un certo punto mancò. Se i grandi partiti, Pdl e Pd, prendono in mano l’iniziativa. Se l’Udc non farà mancare il suo consenso...». E la Lega? La lasciamo fuori? «Al contrario. Nel momento in cui puntassimo a coinvolgere le autonomie territoriali, per costruire il federalismo costituzionale dal basso, sono sicuro che avremmo Bossi fortemente a favore di una simile svolta». Meglio partire dalla «bozza Violante», lasciata in eredità dalla scorsa legislatura, o ricominciare daccapo? «C’è un problema di metodo. La bozza Violante nacque alla Camera dalla Commissione Affari Costituzionali, e le grandi voci esterne al Parlamento non vennero ascoltate. Se noi oggi volessimo avviare un percorso sganciato dalle risse della politica quotidiana e attento alle voci del paese reale, quella base di partenza non basterebbe più». Come si potrebbe aggirare il macigno giustizia? «Non può essere aggirato. Stop. Perché rappresenta la cartina al tornasole di tutte le riforme. E’ difficile immaginare una nuova architettura istituzionale se non si sviluppa in modo equilibrato il rapporto tra potere politico e potere giudiziario. Né è possibile creare un autentico sistema federale senza modificare almeno in parte la composizione della Corte costituzionale». In che modo? «La Bicamerale guidata da D’Alema aveva individuato un meccanismo innovativo che introduceva un’importante aliquota di giudici costituzionali indicati dalle Regioni. Lo ricordo a titolo di esempio per mostrare come la giustizia non possa essere una zona franca impermeabile alle riforme». Non vede il pericolo che i tentativi di dialogo vengano stroncati dalla imminente campagna elettorale? «Purtroppo il pericolo c’è. Ma credo che Pdl e Lega debbano assumersi il rischio di un’offerta politica lungimirante. In modo da lasciare agli altri, eventualmente, la responsabilità di far cadere una proposta politica di così grande rilievo». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Mossa di Pd e Pdl "Torni l'immunità" Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2010, 04:56:49 pm 7/1/2010 (7:8) - RETROSCENA
Mossa di Pd e Pdl "Torni l'immunità" Disegno di legge al Senato presentato da entrambi i poli UGO MAGRI ROMA L’hanno presentato senza clamore, e in pochi finora se ne sono accorti. Ma ai piani alti del Palazzo non lo perdono d’occhio perché fissa un metodo «bipartisan» destinato, forse, a grandi sviluppi. Si tratta del disegno di legge numero 1942, trasmesso il 17 dicembre alla presidenza del Senato col titolo «Modifica dell’articolo 68 della Costituzione, in materia di immunità dei membri del Parlamento». Sostanzialmente propone di riportarla in vita. Non nella stessa identica versione spazzata via da Tangentopoli sedici anni fa, ma secondo un criterio appena più rispettoso dell’autorità giudiziaria. Anziché obbligare il pm a chiedere l’autorizzazione preventiva per svolgere le indagini sugli «onorevoli» (nella Prima Repubblica veniva puntualmente negata), questa nuova proposta lascerebbe procedere il magistrato senza mettergli i bastoni tra le ruote fino alla soglia del rinvio a giudizio. Dunque permetterebbe di ravanare a fondo sul comportamento del deputato (o del senatore) e di giungere ad accertamenti che, inutile dire, verrebbero comunicati passo passo all’opinione pubblica. Solo al momento di tirare le conclusioni la Camera (o il Senato) potrebbero intervenire. Come? Votando di propria iniziativa l’eventuale sospensione del processo per l’intera durata del mandato parlamentare. Un atto impegnativo, di cui la maggioranza si assumerebbe la responsabilità politica, che andrebbe ben motivato davanti al Paese. L’idea non è inedita. Riprende pari pari una pensata di Tonino Maccanico (grand commis della Repubblica, più volte ministro) che nel 1993 il Senato aveva addirittura approvato, ma non era stata convertita in legge dalla Camera per effetto della rivoluzione dipietrista, dei proclami di Mani Pulite, delle monetine a Craxi e tutto il resto. A riportarla in auge sono ora due senatori «garantisti», Franca Chiaromonte e Luigi Compagna. L’aspetto più ragguardevole è che la prima appartiene al gruppo Pd, il secondo al Pdl. Lei, figlia di Gerardo, compianto dirigente nazionale del Pci; lui, rampollo di Francesco, per gli amici Chinchino, repubblicano e grande meridionalista. Non risulta che abbiano chiesto l’«imprimatur» dei rispettivi partiti. Però si faticherebbe a considerarli degli sprovveduti, e prima di lanciarsi nell’avventura entrambi (specie la Chiaromonte) hanno fatto qualche verifica in casa propria. Tutto fa pensare che, nei prossimi giorni, non mancheranno contatti bipartisan ai massimi livelli. Berlusconi deve definire la sua strategia sulla giustizia, appena tornerà a Roma riunirà i vertici del partito per mettere un po’ d’ordine, come insiste da giorni il presidente dei suoi senatori Gasparri. E manderà avanti questo o quel provvedimento, dal «processo certo» al «legittimo impedimento», a seconda delle risposte che otterrà dall’altra sponda. Qui s’inserisce la proposta Chiaromonte-Compagna. Secondo il senatore Quagliariello, che del berlusconismo è la mente giuridica, «questo disegno di legge potrebbe rappresentare, almeno sulla carta, una valida alternativa al cosiddetto Lodo Alfano», di cui egli stesso sta studiando la nuova formulazione costituzionale, da presentare nei prossimi giorni a Palazzo Madama. Se il Pd davvero ci stesse, il contestatissimo Lodo finirirebbe nel cassetto. E «molta acqua verrebbe gettata», tende la mano Quagliariello, «su fuoco dello scontro tra politica e giustizia». Il Cavaliere aspetta segnali. Molto ha apprezzato certe aperture della Finocchiaro e ieri del dalemiano Latorre. Però non le giudica ancora sufficienti, vuole conferme dalla conferenza stampa di Bersani annunciata per oggi. Con Bonaiuti, portavoce berlusconiano, che suona una serenata. E paragona il segretario Pd a un fiume carsico: si inabissa per salvare il dialogo e rilanciarlo al momento buono, dopo le Regionali... da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "È l'unico modo per difendermi" Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2010, 05:19:10 pm 13/1/2010 (7:17) - RETROSCENA
"È l'unico modo per difendermi" In cambio del via libera al decreto, il Pdl può rinunciare al processo breve UGO MAGRI ROMA Tutto quanto sta scuotendo il Palazzo, compreso il decreto «blocca-processi» che il governo mette in campo, risulta inspiegabile senza un’occhiata al foglio che da giorni Berlusconi si gira e si rigira tra le mani. Porta un’intestazione: «Udienze già fissate avanti al Tribunale di Milano nei processi cosiddetti Mills e Diritti Mediaset». Sono incolonnate e suddivise per mese. Si incomincia con venerdì prossimo (Mills), poi viene lunedì 18 (Diritti), quindi si salta al 25 gennaio (ancora Diritti), di lì a venerdì 29 e a sabato 30 (Mills). Fino al giorno delle elezioni regionali, che si terranno il 28 marzo e come sempre saranno un referendum sul Cavaliere, il quale se perde si mette nei guai, vincere resta la sua condanna, di qui ad allora dunque sono ben 23 le convocazioni del premier davanti ai giudici: 5 volte entro gennaio, 9 a febbraio, altrettante in marzo prima delle elezioni... Ecco come e perché nasce il dramma politico di queste ore. Berlusconi si trova nell’insostenibile posizione di giocare a rimpiattino coi magistrati per i prossimi tre mesi, inventandosi volta a volta impegni di governo che ne giustifichino l’assenza. O viceversa, deve prendere il coraggio a due mani e presentarsi davanti ai giudici, come farebbe qualunque cittadino senza responsabilità di governo. Un dilemma di cui si discute animatamente nello staff del Cavaliere, poiché ciascuno dei due corni comporta rischi politici mortali. Berlusconi, se cedesse all’istinto, sceglierebbe decisamente il colpo di teatro. Senza preavviso, andrebbe almeno una volta in Tribunale a difendersi. Confida in privato che «sarebbe l’occasione buona per far sentire la mia voce, per spiegare al Paese come stanno davvero le cose e dimostrare a tutti tanto l’infondatezza delle accuse, quanto la persecuzione di cui sono vittima». Abile come nessuno nella comunicazione, tenterebbe di rovesciare i ruoli, ergendosi a giudice di chi prova a condannarlo. Ma soprattutto, contrasterebbe l’immagine data finora, di premier costretto a inventarsi lunghi viaggi oltremare o improbabili tagli di nastro pur di sottrarsi alla giustizia. Però Ghedini sconsiglia il blitz in Tribunale. Da avvocato, gli vengono i brividi al solo pensiero dei guasti che uno show provocherebbe sul piano processuale. Altro conto sarebbe frequentare le udienze, tutte però, non una soltanto. Come fece ad esempio Andreotti. Ma Giulio era già senatore a vita. Berlusconi, viceversa, non se lo può permettere, e lui stesso lo riconosce: «Dicono che mi dovrei difendere nei processi e non dai processi. D’accordo. Allora prendo il calendario in mano, e ne devo dedurre che dovrei smettere di governare...». Mostra il foglio ai suoi interlocutori: «Visto? Ci sono settimane addirittura con 3 udienze. Ma per partecipare ai processi bisogna studiarsi prima le carte. Ho fatto portare da Ghedini ad Arcore tutti i faldoni, occupano un tavolo intero... E allora, per essere davvero presente in Tribunale, io non dovrei fare altro nella vita». Ecco il dilemma impossibile del premier: scappare (non può più) o difendersi (nemmeno). Ed ecco perché, misurando l’impraticabilità dell’una e dell’altra via, è spuntato fuori dal suo cilindro questo coniglio del decreto «blocca-processi», Napolitano permettendo e con la mediazione di Fini (i due co-fondatori del Pdl si vedranno domani a pranzo): per Berlusconi, sarebbero tre mesi garantiti di tregua pre-elettorale. Qualcuno dice che in contraccambio il governo affonderebbe il «processo breve», cruccio del Colle. Può essere. Ma il premier non pare del tutto convinto. In mente ha un altro piano: far approvare il «processo breve» dal Senato in prima lettura, e poi tenerlo in caldo alla Camera fin dopo le Regionali, un po’ come «pistola puntata» contro i giudici, sempre pronta all’uso. Nel frattempo sarà andato avanti il «legittimo impedimento». E soprattutto, la Corte di Cassazione si sarà pronunciata sulle due condanne all’avvocato Mills. Anche qui, occhio alla data scritta sul foglietto: 25 febbraio. L’aspettativa del premier è che la Suprema Corte spazzi via l’intero processo. A via del Plebiscito coltivano la «ragionevole speranza». A quel punto, getta avanti lo sguardo Berlusconi, «potremo fare le riforme della giustizia con serenità, dopo le Regionali. E avremo quasi 3 anni di tempo, senza elezioni di mezzo, per riscrivere la Costituzione». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E ora il Cavaliere sospetta un asse tra Fini e Casini Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2010, 11:56:14 am 16/1/2010 (7:12) - RETROSCENA
E ora il Cavaliere sospetta un asse tra Fini e Casini Stretta di mano tra Berlusconi e Fini in una foto d'archivio L'Udc con il Pdl solo in Campania e Lazio grazie al patto siglato con l'ex leader di An UGO MAGRI ROMA Come al solito, fiato sprecato. Quarantott’ore dopo il loro colloquio, Fini e Berlusconi divergono esattamente come se non si fossero mai chiariti. Il risultato è che tra qualche giorno rischiano di rompere davvero, in quanto mercoledì si riunisce il Gran Consiglio del partito, vale a dire l’Ufficio di presidenza rinviato per effetto dei dissapori. E lì, nel consesso dove di finiani se ne contano 4 su 37 membri, il Cavaliere intende mettere ai voti l’ultimo «casus belli»: vale a dire se fare o meno accordi con Casini alle Regionali di marzo. Silvio vuole sbarazzarsi dell’Udc, Gianfranco lo considera uno sciagurato errore ma le tante parole spese giovedì scorso hanno avuto l’unico effetto di rendere il premier ancora più sospettoso e determinato. Tutto nasce da certe carte che il fido Denis Verdini ha consegnato al Capo. Berlusconi le ha lette nella convalescenza, arrivando alla conclusione che Casini lo sta pigliando per i fondelli. «Lui finge di essere equidistante tra i poli», s’è sfogato il Cavaliere con Mastella recatosi a fargli visita, «in realtà nelle varie Regioni dà una mano a Bersani». L’Udc correrà per proprio conto in Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Emilia Romagna. Farà alleanze col Pd in 4 regioni dove il risultato è in bilico (Piemonte, Calabria, Liguria e Marche), più la Basilicata che fanno cinque. E potrebbero diventare 6, qualora Boccia diventasse il candidato Pd in Puglia. Viceversa col Pdl, lamenta il premier, 2 sole alleanze: in Campania dove, l’ha rassicurato Mastella, l’Udc neppure sarebbe determinante (candidato Pdl sarà il socialista Caldoro, c’è il via libera del rivale Cosentino), e nel Lazio per effetto dell’accordo stipulato con Fini sul nome della Polverini. Agli occhi di Berlusconi, una semplice «foglia di fico» che l’altro co-fondatore ha concesso all’amico Pier Ferdinando. Come mai tanta generosità? Fini gli ha già spiegato che sì, in effetti, Casini è condannabile. Però averlo amico nel Lazio è meglio che niente. Inoltre le Regionali non sono la fine della storia, poi verranno le Politiche, bisogna essere lungimiranti... Berlusconi invece ha la certezza: «Con Fini forse, ma con me Casini non tornerà mai più, queste alleanze alle Regionali ne sono la prova». Tanto vale, parte al galoppo, voltare pagina subito, senza concedere a Casini ulteriori vantaggi in termini di assessorati. Pare che il premier stia tornando a ragionare intensamente sul suo oggetto del desiderio: una legge sulla «par condicio» che spazzerebbe dalla tivù i partiti minori. «Tre mesi fa aveva quest’idea», confida La Russa, «poi gli è stato spiegato che non si può fare». Il dissenso strategico con Fini, in calendario mercoledì prossimo, verte precisamente su questi nodi, assai meno sugli spigoli caratteriali. Dunque non ha faticato Berlusconi, durante una passeggiata nel centro di Roma, a smentire la solita cascata di battute autolesioniste che gli vengono attribuite, tipo «con Fini serve la pazienza di Giobbe», oppure «io sono un imprenditore, sono abituato a decidere mentre Gianfranco mi vorrebbe costringere a eterne mediazioni». Il problema tra i due è ben più serio di un’«arrabbiatura». Casini, abilissimo, alimenta la discordia nel Pdl sventolando il drappo rosso davanti al Cavaliere. Lo punge, «tutti dicono no ai due forni ma poi mi chiamano per sapere dove metteremo il nostro pane»; lo ferisce, «io a lui non devo nulla, sono parlamentare dal ‘93, prima della sua discesa in campo...». Altra grana per Berlusconi: gli sta scoppiando Forza Italia. Le candidature più prelibate sono finite alla Lega oppure ai finiani. Per giunta il Cavaliere sta meditando di lanciare in Puglia un altra ex di An, la Poli Bortone, a costo di deludere il suo pupillo Fitto, il quale vorrebbe Palese o Di Staso. Ma il Capo li ha visionati entrambi e non ne se ne dice entusiasta. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il ddl votato ieri a Palazzo Madama serve solo come "pistola puntata" Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2010, 12:12:17 pm 21/1/2010 (7:19) - RETROSCENA
Il Pdl punta sull'immunità Il ddl votato ieri a Palazzo Madama serve solo come "pistola puntata" UGO MAGRI ROMA Il paradosso del «processo breve» è che andrà per le lunghe. Tanto fulminea è stata l’approvazione in Senato, quanto lenta e ponderata si annuncia la discussione a Montecitorio. Passeranno mesi. Addirittura circola una scommessa: questa legge finirà sul binario morto. O farà passi avanti solo dopo aver perso per strada il vagone più traballante, la norma transitoria che vuol mettere Berlusconi al riparo dalle condanne. Questo si sostiene tra gli addetti ai lavori. Nel giro del Cavaliere non solo la previsione dei tempi biblici è confermata, ma si aggiungono ulteriori dettagli. Poi, come al solito, in pubblico viene argomentato il rovescio. E sulla sinistra c’è chi finge di credere alla propaganda berlusconiana perché i «falchi» di qua si appoggiano ai «falchi» di là. Ma al netto delle ipocrisie, il «processo breve» serve al premier ormai solo come ruota di scorta o (come dice lui stesso lontano dai microfoni) quale «pistola puntata» contro magistratura e alti vertici istituzionali, casomai dovessero negargli la vera ciambella di salvataggio, cioè il cosiddetto «legittimo impedimento». Proprio da qui occorre partire. L’idea di motivi legittimi per disertare i processi è alquanto spericolata. Chi l’ha proposta, il centrista Vietti, la paragona a «un ponte tibetano» sospeso sull’abisso. Il premier dovrebbe camminarci sopra per 18 mesi, tempo necessario ad approvare una riforma della Costituzione che introduca certe guarentigie per le alte cariche dello Stato. A tal fine verrebbero rinviate per legge le udienze dei processi di Berlusconi ogni qualvolta il premier fosse, per l’appunto, impedito. Vietti suggerisce casi molto tassativi. Invece gli avvocati vorrebbe allargare le maglie fino a ricomprendere, come impedimento legittimo, «ogni altra attività legata alle funzioni istituzionali», concetto generico assai. Seguendo la metafora di Vietti, sarebbe come far transitare un elefante sul ponticello: forzatura contro cui potrebbe accanirsi la Corte Costituzionale. La Consulta, si sa, è la bestia nera del Cavaliere. Già gli ha bocciato il Lodo Alfano. E nelle motivazioni della sentenza ha gettato le basi per concedere il bis su un eventuale nuovo Lodo riproposto con legge costituzionale. Che difatti Quagliariello, stratega berlusconiano incaricato della questione, si è ben guardato finora dal presentare, e forse nemmeno lo farà. In pratica la Corte, facendo leva sull’articolo 3 della Carta repubblicana (tutti i cittadini «sono eguali davanti alla legge»), potrebbe respingere ogni modifica della Costituzione stessa che fosse a esclusivo vantaggio del Cavaliere. Prende forza dunque la tesi di lasciar perdere il Lodo e di metter mano semmai all’articolo 68, iniettando nel sistema qualche dose di immunità parlamentare, come del resto esisteva fino al ’93. La Consulta, è il ragionamento berlusconiano, non oserà dichiarare incostituzionale un testo scritto di loro pugno dai Padri costituenti... Partita intricata, comunque. Ecco perché il «processo breve» resterà a bagnomaria. Potrà tornare utile al premier qualora il «legittimo impedimento» dovesse trovare ostacoli non da parte di Napolitano, che lo firmerebbe, ma della Consulta. In quel caso basterebbe un attimo a riprendere il testo già votato a Palazzo Madama. Se invece andrà in porto il «legittimo impedimento», «processo breve» addio: Berlusconi l’ha confessato, sarebbe il primo a non nutrire rimpianti. Del resto Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, invita come Mao a non distinguere tra gatto bianco o nero, «l’importante è che acchiappi il topo della giustizia politica di cui dobbiamo liberarci per sempre». E Quagliariello, a chi contesta gli zig-zag della maggioranza sulla giustizia, replica secco: «Siamo finalmente sulla strada giusta. Non è stato facile individuarla. E del resto, se lo fosse, non staremmo qui a parlarne da 15 anni...». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Silvio mandano la legge in soffitta Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2010, 09:49:39 am 22/1/2010 (7:19) - RETROSCENA
Fini e Silvio mandano la legge in soffitta Trovata l'intesa: il Pdl punta sul legittimo impedimento UGO MAGRI ROMA Può sembrare grottesco, forse lo è: nel mentre esatto che sulla pubblica arena volavano insulti anche pittoreschi tra governo e opposizione (per non dire tra ministro Guardasigilli e sindacato delle toghe), in quel preciso istante a tavola, nell’atmosfera ovattata dell’Hotel de Russie dietro Piazza del Popolo, si celebrava ieri la messa da requiem del «processo breve», madre di tutte le discordie. Veniva pattuito di comune accordo, senza sfumature apprezzabili tra Berlusconi e Fini, che la legge appena approvata in Senato verrà subito inghiottita dalla Commissione giustizia della Camera. E lì se ne perderanno le tracce, quantomeno per i prossimi due mesi. Poi, una volta celebrate le elezioni regionali in data 28 marzo, pigramente l’Aula procederà all’esame dell’articolato. Viene dato per certo che ci saranno delle modifiche, magari addirittura il «processo breve» verrà purgato della norma «ad personam» che cancella i due processi del premier. Col risultato che la legge (a quel punto senza più clamore, è chiaro) verrà rispedita alla casella del «via», cioè in Senato, senza nemmeno escludere un quarto passaggio parlamentare... Insomma, non se ne farà più nulla. Tranne che nell’ipotesi molto d’emergenza in cui Berlusconi si ritrovasse completamente inerme davanti ai giudici milanesi, privo di qualunque altro scudo contro le condanne incombenti. In quel caso basterebbe un attimo per riaprire il cassetto, tirarne fuori la legge già timbrata da un ramo del Parlamento e approvarla seduta stante. Sarebbe la classica ciambella di salvataggio, il Cavaliere stesso potendo eviterebbe di restarvi aggrappato poiché si rende conto dello sconquasso per l’intero sistema della giustizia. Ma si tratta di un rimedio da ultima spiaggia. La rotta tracciata ieri nel pranzo tra Berlusconi e Fini punta semmai sul «legittimo impedimento», l’altro cavillo escogitato per legare le mani ai giudici milanesi. La sostanza è che non potranno tenersi udienze ogni qualvolta il premier sarà impedito, appunto, da impegni istituzionali. Lunedì la legge arriverà in Aula alla Camera. Sette giorni di rinvio per definire gli emendamenti, quindi approvazione in un battibaleno. E stavolta niente «ammuina»: corsa contro il tempo al Senato, entro le Idi di marzo il «legittimo impedimento» sarà in «Gazzetta ufficiale». Quando i giudici convocheranno Berlusconi, lui potrà tranquillamente rispondere: oggi ho l’agenda piena, domani pure... Fini non solleva obiezioni. Aveva forti riserve sul «processo breve», ci penseranno i suoi a presentarla come una vittoria. Berlusconi alza le spalle, l’importante per il Cavaliere è mettersi al riparo. Poi, in realtà, molto resta da definire, certi «dettagli» sono per niente chiari. Ad esempio, si sa che l’impedimento legittimo del premier durerà 18 mesi, il tempo necessario a varare una riforma della Costituzione che impedisca ai giudici di distrarre il conducente. Ma ancora non si capisce bene quali saranno gli «impedimenti» consentiti per legge (c’è discussione se ricomprendere nella lista quelli di natura internazionale), e tantomeno in che modo la Carta costituzionale verrà ritoccata. Nei pochi minuti di ragionamento a tavola, in un clima giurano parecchio rilassato, l’idea prevalente è parsa quella di puntare sull’immunità per tutti i politici anziché sullo scudo per uno soltanto. Com’era prima del ‘93 e di Tangentopoli. A sua volta, qualunque riforma della Costituzione richiede forme di convergenza bipartisan. E’ la ragione niente affatto misteriosa per cui nella cerchia berlusconiana si ripete senza tregua il mantra del dialogo con l’opposizione. «Non crediamo affatto che la stagione delle riforme sia prematuramente finita», insiste il portavoce del premier, Bonaiuti. Bersani oggi manifesta sdegno, annuncia battaglia sul «processo breve» e pure sul «legittimo impedimento». L’interrogativo è se terrà duro anche dopo le Regionali. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: «Alle elezioni la parola d'ordine è stravincere» Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2010, 03:46:12 pm 24/1/2010 (7:11) - REGIONALI - SI ACCENDE LO SCONTO
Pdl, un Piano casa contro i feudi rossi Il convegno del Pdl ad Arezzo Berlusconi: «Alle elezioni la parola d'ordine è stravincere» UGO MAGRI INVIATO AD AREZZO Cresce l’appetito del Cavaliere in vista delle elezioni. Sta mettendo al sicuro il risultato in certe Regioni chiave. E ora prepara qualche gioco di prestigio, tipo coniglio dal cilindro per colpire la fantasia collettiva e spiazzare la campagna avversaria. Tremonti mette l’Italia sull’avviso: «Credo che il presidente del Consiglio elabori idee forti nell’interesse dei cittadini...». I denari mancano, precisa subito il responsabile dell’Economia, dunque niente mance elettorali. Pare piuttosto che Berlusconi voglia rilanciare il suo piano casa, compresa la possibilità di ampliare le cubature fino al 35 per cento. Servono leggi regionali, alcuni governatori «rossi» hanno fatto orecchie da mercante, il premier darà ordine ai suoi candidati di sottoscrivere un «Patto con gli italiani»: se saranno eletti, basta con lacci e lacciuoli, i costruttori stapperanno champagne. A 64 giorni dal voto, Berlusconi lancia la carica. Tutti i dubbi strategici sono spazzati via, obiettivo non è più vincere ma stravincere. E pazienza se la spallata dovesse abbattere l’unico possibile interlocutore sull’altra sponda, quel Bersani che non può esordire da segretario Pd con una débacle. Se sarà trionfo, segnala Tremonti, seguiranno «tre anni di tregua e di pace, il tempo giusto per fare le grandi riforme». La Terra Promessa berlusconiana passa per gli accordi regionali con l’Udc perché «dopo il 28 marzo Obama ti chiamerà per complimentarsi delle tante Regioni conquistate», racconta Gasparri di aver detto a Silvio, «non per sapere quanti sono gli assessori centristi...». Così non solo il premier rinfodera i propositi di tagliare i ponti con Casini, ma ci sta facendo business. Era in dubbio l’alleanza in Calabria? Ora è di nuovo dietro l’angolo. I centristi in Puglia guardavano a sinistra? Adesso non più, salvo una miracolosa vittoria di Boccia alle primarie Pd, i seguaci di Casini convergeranno col Pdl. Può essere che salti la trattativa in Campania, ma Berlusconi non ci perderà il sonno perché «i napoletani mi amano, lì vinceremo lo stesso». Smentisce con sdegno Palazzo Chigi che il Cavaliere voglia infarcire le liste di «veline» (ci risiamo?) ma non argina la chiacchiera opposta: stavolta i candidati maschi Berlusconi li vuole giovani e aitanti. Bocciato Palese in Puglia per ragioni televisive. «Niet» sul toscano Migliore (pingue e con la barba). Pollice verso perfino sull’intellettuale Magdi Allan, in Basilicata il premier gli preferisce l’ex parlamentare Pagliuca. Uno via l’altro, ecco sistemati gli ultimi tasselli. Il Cavaliere è certo di avere già in tasca 6 Regioni (su 13 al voto), ormai punta a fare bottino pure nelle roccaforti avversarie. «Dovremo porre rimedio ancora una volta ai guasti del malgoverno regionale della sinistra», scrive Berlusconi di suo pugno. Del proclama viene data lettura al convegno in corso ad Arezzo, vero evento politico di queste ore: tutti i boss del Pdl adunati insieme su iniziativa di Gasparri e La Russa, una platea di quasi 2 mila persone, clima inconfondibile da Prima Repubblica, quei convegnoni di corrente democristiana dov’era tutto un affollarsi al tavolo di presidenza, un tripudio di notabili, di truppe cammelate, di scorte ipertrofiche, di tavole rotonde (ieri l’ha coordinata una pugnace Bianca Berlinguer, apprezzatissima dalla destra). Qualcuno vede nella kermesse aretina i primi passi di un partito adulto che vorrebbe camminare da solo, sottraendosi alla tutela di entrambi i co-fondatori. «O cominciamo a crescere, oppure saremo ricordati come le pulci che hanno volato una stagione sotto l’ala dell’aquila», è l’immagine poetica di Quagliariello. «Siamo figli dello stesso destino», gonfia orgoglioso il petto La Russa. E si discute, e si litiga come nei partiti veri. Scajola incrocia la lama con Tremonti, Baldassarri contesta le ricette del Professore sull’economia. Urso sale sul palco per cantare il peana di Fini («Lui è la qualità, Berlusconi la quantità, Silvio porta i voti Gianfranco le idee»), Ronchi invece esorta a farla finita con questa storia di Fini bastian contrario, «chi lo dice è in malafede». Il presidente della Camera spedisce pure lui una lettera, auspica che il Pdl divenga «un grande partito plurale, capace di discussioni innovative, sintesi evolutive e di un costruttivo confronto», in pratica niente pensiero unico. Il ministro dell’Economia getta acqua sul sacro fuoco degli entusiasmi, «nel partito sta crescendo un certo tasso di democrazia, ma ho l’impressione che resti monarchico». Giusto l’impressione. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere fa spallucce e prepara il ritorno in tv Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2010, 10:48:27 am 31/1/2010 (7:44) - RETROSCENA
Il Cavaliere fa spallucce e prepara il ritorno in tv Campagna elettorale con poche cene e molte comparsate UGO MAGRI ROMA Basta un granello di sabbia per deragliare la storia. Sette giorni fa Berlusconi era ottimista, lanciatissimo sulle Regionali, già pregustava un trionfo, con gli avversari stesi al tappeto fino al 2013. Poi però domenica sera qualcosa è andato storto, non solo il derby calcistico con l’Inter, e da quel dì l’umore non è più lo stesso. Non per la questione giustizia o per la protesta di ieri dei magistrati, ma perché in Puglia i fedelissimi l’hanno tradito (così lui la vive). Nella scelta del candidato da opporre a Vendola i giochi locali si sono imposti ai desideri del premier. Peggio ancora, i gerarchi Pdl hanno solidarizzato con quella che Berlusconi considera una decisione errata, al limite dell’ammutinamento. Quella sera nel personaggio qualcosa si incrina dentro. Non la voglia di vincere, anche perché perdere sarebbe un dramma. Ma un filo di entusiasmo si smarrisce per strada. Incredibile a dirsi, il leader, anzi il Fondatore, si sente meno indispensabile, quasi accessorio. E di conseguenza cambia il suo approccio alle elezioni, perlomeno nelle intenzioni confidate in privato. A titolo di esempio, «piuttosto che scendere in Puglia per sostenere Palese, Berlusconi in questo momento si farebbe tagliare un alluce», giura un assiduo frequentatore di Arcore. Berlusconi è tuttora indispettito. Fitto, luogotentente pugliese, getta acqua sul fuoco, «veramente a me il Presidente ha promesso che ci darà una mano», magari alla fine cambierà idea, però il ministro sembra l’unico a crederci. Si interroga il presidente del Consiglio in queste ore: «Perché dobbiamo ripetere gli stessi errori che commettono dall’altra parte? E per quale motivo io dovrei avallarli, mettendoci personalmente la faccia, col risultato di caricarmi il peso di una sconfitta?». Berlusconi scenderà nell’arena, anticipano al Plebiscito, solo dove è stato reso davvero partecipe (leggi: dove ha deciso lui i candidati). Inutile che i boss locali lo pressino, la segretaria Marinella sarà selettiva, qui sì, là no, «il Presidente ha degli impegni». Per il momento ha fissato tre cene elettorali, in Lombardia perché ci mancherebbe, nel Lazio poiché se la Polverini non ce la fa Fini poi chi lo sente, nel Piemonte in quanto Cota gli sta simpatico. Punto e basta, questo è lo stato d’animo. C’è da partire in visita di Stato per Gerusalemme, dove gli israeliani vogliono contestarci il giro d’affari con l’Iran? Berlusconi parte, la campagna elettorale può attendere. Idem per il Brasile ai primi di marzo: sono in gioco ghiotte commesse militari e le decisioni del presidente Lula sull’estradizione di Battisti. Sostiene il portavoce Bonaiuti che la campagna elettorale del premier farà perno sull’azione governativa, «i nostri fatti contrapposti alle chiacchiere della sinistra». L’immagine dell’esecutivo verrà tirata a lucido. Tremonti permettendo (di spendere non se ne parla) Berlusconi lancerà qualche proposta su cui la sinistra griderà «scandalo», in modo da rubare tutta la scena. «Parleranno le azioni concrete», insiste Bonaiuti. Niente manifesti 6 per 3 a tappezzare i muri d’Italia con il sorriso standard e, magari, la mini-cicatrice dell’aggressione. Il nome del premier comparirà solo nel logo «Berlusconi per Formigoni», o «Berlusconi per Polverini», e così via. Farà molta televisione, quella sì, comparsate a raffica, e tantissima radio perché al Cavaliere come ai suoi strateghi della comunicazione non sfugge che è tornata di moda, specie quella targata Rai. Rari comizi per ovvie ragioni di sicurezza, e comunque a Berlusconi non va di perdonare, con un atto di presenza taumaturgica tra le folle, gli sgarbi del suo gruppo dirigente. Insomma, stavolta si arrangino un po’ da soli. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Ora il Cavaliere teme davvero la tangentopoli-bis Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2010, 07:42:50 pm 16/2/2010 (7:19) - RETROSCENA
Ora il Cavaliere teme davvero la tangentopoli-bis «Non voglio perdere voti per questi signori» UGO MAGRI ROMA Berlusconi scopre la «nuova Tangentopoli». Teme un bis del ‘94. Che si ripeta quel clima, tra arresti per ruberie vere o presunte, da cui la gente tragga l’idea di una corruzione politica dilagante. Proprio sotto elezioni regionali. Col risultato che a pagare il conto sarebbe lui, il Cavaliere: per una volta risparmiato dalle inchieste, ma tradito dai suoi uomini, tirato a fondo dal suo stesso partito... Può darsi che il premier ne parli stamane, quando calerà da Arcore nella Capitale per dare il là alla campagna delle candidate donna, in primis la Polverini. Ci ragiona sopra da venerdì, molto l’ha impressionato la lettura del «Mattinale» (foglio a circolazione interna e riservata del Pdl, redatto dagli strateghi più attenti). Vi si punta l’indice contro le toghe scatenate «a sostegno dell’opposizione», ma soprattutto vi si annunciano cataclismi, cupi presagi, compreso «il rischio che la situazione degeneri pericolosamente, al punto da condizionare la campagna elettorale e il risultato del Pdl». Ieri mattina, mentre di questo ragionava insieme coi fedelissimi, e dell’inchiesta fiorentina che trascina nel fango il coordinatore nazionale Verdini, e delle voci incontrollate di nuovi coinvolgimenti parecchio in alto, e del dramma di Bertolaso tuttora sull’orlo delle dimissioni, e del panico che circola nei Sacri Palazzi vaticani (leggi: Giubileo 2000), nel mezzo di tutto ciò Berlusconi è stato raggiunto dalla telefonata di un vecchio amico. Ne ha profittato per sfogarsi contro quanti orchestrano la nuova campagna di scandali, ce l’ha con i «seminatori di discordia», con i mandarini del vecchio e nuovo giornalismo... «Il mio consenso resiste, sono ancora al 67 per cento di gradimento», e quasi gli sembra un miracolo. Perché senza bisogno di consultare i sondaggi di Euromedia Research il premier capisce che qualcosa sta succedendo, da rabdomante coglie gli slittamenti d’umore sotterranei, un «mood» collettivo tendente al peggio. Ma soprattutto Berlusconi si rende conto che stavolta non sono solo complotti, teoremi delle «toghe rosse»: qui ci sono amministratori presi con le mani nel sacco, prove inconfutabili, su Pennisi addirittura fotografiche. Per quanta fede possa nutrire nell’onestà dei suoi discepoli, il Cavaliere non è nato ieri: il presidente della Provincia di Vercelli agli arresti domiciliari (concussione), l’ex assessore al Turismo in Lombardia nel carcere di Voghera, un partito del Nord che, se si dà retta a chi lo frequenta, Berlusconi raderebbe al suolo tanto è incavolato. Vede Bossi spalancare le fauci come un alligatore («Noi della Lega stiamo sempre attenti a non fare pirlaggini...»), sente Fini ergersi a paladino dei buoni costumi («Chi ruba non lo fa per il partito ma perché è un ladro, un volgare lestofante») e smarcarsi al punto da proporre il rifugio nel sistema elettorale uninominale che segnò il tracollo della Prima Repubblica. Tra gli intimi del premier vince la tesi che debba battere un colpo, magari più d’uno. «Serve un segnale forte e chiaro», supplica Letizia Moratti. Per rassicurare la Lombardia, il Piemonte, l’Italia intera. Le «liste pulite» a Milano non sono ancora abbastanza, per battere lo sconcerto Berlusconi deve metterci personalmente la faccia. Contrattaccare dando garanzie. E la prova del nove saranno le candidature: qui non si discute più di «veline» e soubrette, si parla di ras locali potenti che dalle patrie galere premono per essere ricandidati, o rivogliono il posto nonostante disavventure gravi. Al telefono col vecchio amico, il Cavaliere pare abbia detto: «Non ho mai rubato una lira, non voglio perdere voti per colpa di questi signori». Impugnerà la frusta contro i mercanti nel tempio? da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, stop al Cavaliere Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2010, 03:01:20 pm 18/2/2010 (8:11) - RETROSCENA
Intercettazioni, stop al Cavaliere La legge sui controlli telefonici dopo le regionali UGO MAGRI ROMA Grande frustrazione del Cavaliere. Vorrebbe sbloccare la legge sulle intercettazioni e mettere il coperchio sulla nuova Tangentopoli, ma non ci riesce. Esattamente come gli piacerebbe inviare un segnale forte all’Italia sofferente, con un piano per il Sud, un altro per l’occupazione, però mancano i soldi. Che rabbia. Come un pugile stretto nell’angolo, Berlusconi rischia di incassare i cazzotti della magistratura, dell’opposizione che con Bersani si fa coraggio («Accettiamo la sfida nazionale del Cavaliere, il vento sta girando») senza restituire un colpo. Il premier riunisce a Palazzo Grazioli i suoi ministri economici, Fitto e Scajola gareggiano nelle proposte per dare lustro al governo e guadagnare un po’ di voti nelle Regioni in bilico, Tremonti inflessibile gela tutti, premier compreso: «Non ce lo possiamo permettere, guai ad abbassare la guardia, ci si rende conto di cosa sta succedendo in Europa?». Muso lungo del Capo con il suo «guru» economico. Poi Berlusconi convoca l’avvocato Ghedini, chiama il ministro Alfano, a sera riunisce intorno al desco i capigruppo a palazzo Madama Gasparri e Quagliariello (più una quindicina di senatori e il musico Apicella) perché servono argini contro la melma che tracima dalle inchieste e imbratta quanto di meglio il governo ha combinato in due anni. Si batte contro i paragoni con Mani Pulite, «dovete spiegare a tutti che non c’entra nulla», ripete come in un mantra il Cavaliere, «allora avevamo un sistema illegale di finanziamento ai partiti, stavolta siamo di fronte a comportamenti singoli che vanno stroncati». E per questo alla cena con alcuni senatori a palazzo Grazioli esorta: «Siamo garantisti, ma massima attenzione a chi candidiamo». Mariuoli, li avrebbe bollati Bettino Craxi. E se fossero comitati d’affari all’ombra del pdl? Berlusconi per primo non è tranquillo, quanto viene alla luce rappresenta una sorpresa pure per lui: mai un sentore, nemmeno un segnale di preavviso dal ministro della Giustizia, da quello dell’Interno, dai vertici di Carabinieri e Polizia, per non dire dei Servizi segreti, o dormivano o chissà... Frustrazione, e inquietudine. Con gli interrogatori in corso degli arrestati. Con i verbali così ricchi di «omissis». Con le voci che, come sempre accade in questi casi, si rincorrono e creano falsi bersagli per nascondere magari quelli veri. Le intercettazioni, dunque: per Berlusconi, la fonte di tutti i guai. La legge che dovrebbe bloccarle sta lì in Senato, il 3 marzo scadrà il termine per correggerla in Commissione. Ancora una spintarella, ed è fatta. Anzi no, perché l’Aula deve prima discutere e votare altri decreti sulla Giustizia, quindi si scannerà sul «legittimo impedimento» che al premier interessa tanto quanto le intercettazioni (e forse di più). «L’approvazione è matura», sospira Gasparri. Però dopo le Regionali, perché altrimenti la campagna elettorale sarebbe invasa dai guai giudiziari del premier e del suo partito, meglio evitare. Inoltre c’è lo scoglio Quirinale. Berlusconi s’era impegnato personalmente con Napolitano a riscrivere il testo sulle intercettazioni, che somiglia troppo a un bavaglio. Per mesi è rimasto a giacere. Rispolverarlo adesso, che i magistrati affondano il bisturi, sarebbe una provocazione nei confronti del Colle, Letta per primo lo sa.Volano gli avvoltoi, nei corridoi già qualcuno scommette che Berlusconi congederà Verdini da triumviro, al vertice lascerà il solo Bondi affiancato dal finiano Bocchino. Per ora, grande lavata di capo del premier alla Carfagna, da lui fatta ministro ma colta in adorazione del presidente della Camera (vedi intervista per il settimanale «A» dove lei confida che «lo stimo da sempre e, prima di aderire a Forza Italia, ho votato Msi e An perché mi riconoscevo in Fini»). Detta in questo momento suona come un «si salvi chi può». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere soddisfatto ma solo a metà Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2010, 12:04:13 pm 26/2/2010 - ANALISI
Il Cavaliere soddisfatto ma solo a metà UGO MAGRI La ciambella del Cavaliere non riesce mai con il buco perfettamente al centro. C’è sempre qualcosa che va storto, perfino nelle giornate da segnare sul calendario. Quella di ieri è da manuale. Berlusconi avrebbe ottime ragioni per rallegrarsi della sentenza di Cassazione. Schiverà molto probabilmente una condanna che, se si dà retta alle sue menti giuridiche, il tribunale milanese gli aveva già cucito addosso. Al premier rimane una fedina penale immacolata, con la speranza di accedere in futuro ai più alti scranni della Repubblica. Nell’immediato, continuerà a frequentare i summit internazionali senza il terrore che qualche leader gli neghi la «photo opportunity». E soprattutto, con il voto tra un mese, Berlusconi non dovrà nascondersi agli occhi degli italiani. In Consiglio dei ministri di lunedì potrà alzare la voce contro la corruzione poiché, gli ruba il pensiero Quagliariello, «solo se si mettono da parte i teoremi allora finalmente riusciremo a combattere il malcostume diffuso». Peccato però che nello stesso giorno, tanto atteso dal premier, altri segnali inducano alla cautela. Alta risuona la rivolta della Consulta, lo squillo di tromba del suo presidente Francesco Amirante, con quel richiamo risoluto alle regole che nessuna volontà popolare potrebbe mai travolgere, unito all’affermazione che in via del Plebiscito viene vissuta come una minaccia neppure troppo velata: «E’ bizzarro meravigliarsi», ha detto Amirante, «quando la Consulta dichiara illegittima una legge...». Già è successo col Lodo Alfano, che doveva far scudo al premier contro i processi; la bocciatura potrebbe ripetersi sul «legittimo impedimento», pilastro della strategia difensiva berlusconiana, polizza d’assicurazione del premier fintanto che resterà al potere. C’è dell’altro. Come riconoscono nell’antica dimora dei Chigi, meglio sarebbe stata un’assoluzione di Mills dall’accusa di essersi fatto comprare. Quella condanna al risarcimento è una macchia indelebile, per la giustizia i soldi l’avvocato li prese, da chi non è difficile immaginare. Inoltre non è chiaro quando scatterà la prescrizione per il premier: c’è chi dice tra 11 mesi, sufficienti a una condanna di primo grado, altri esortano ad attendere il dispositivo della sentenza. Nubi in un cielo altrimenti radioso, con Berlusconi che evita il ko. Anzi, per la prima volta dopo mesi intravvede la possibilità di scendere in piedi dal ring. Al tappeto, sostiene il super-fedele Cicchitto, c’è finita la procura milanese: «Stavolta hanno preso una bella tranvata». Esito che personaggi autorevoli della sinistra pronosticavano alla vigilia, e di cui Berlusconi stesso aveva avuto sentore, dal momento che ne andava parlando da mesi nei vari conciliaboli: «Aspettate il 25 febbraio, e vedrete...». Infatti, si è visto. La notizia ha raggiunto il premier mentre passeggiava per antiquari. Gli avevano promesso dal Palazzaccio «saprete alle 19», verso le otto di sera lui s’è stufato di attendere in ufficio. Risulta «soddisfatto a metà, dimostrato l’accanimento ma il reato non c’era». Si può intuire quale reazione avrebbe avuto Silvio (che parlerà oggi pomeriggio al Lingotto per dare una mano a Cota in Piemonte e far felice Bossi) se la Suprema Corte gli avesse dato addosso. Fulmini e saette. Vendetta tremenda contro la magistratura. Subito la separazione delle carriere. Più il blocco alle intercettazioni. Più il processo breve e tutto l’armamentario di tortura che la fantasia dell’avvocato Ghedini avrebbe sfornato. Niente di tutto ciò. Sospirano di sollievo le colombe berlusconiane, quei personaggi dell’entourage che non hanno perso fiducia nel dialogo dopo le Regionali, da Gianni Letta a Paolino Bonaiuti. Magari s’illudono. Ma intanto la rappresaglia contro le toghe perde di urgenza. Dal processo breve verranno espunte le norme «ad personam». La riforma della giustizia prenderà il suo tempo. E in campagna elettorale si parlerà, forse, dei mali veri che affliggono l’Italia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il premier irritato per le mosse dei pm Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2010, 08:20:48 pm 28/2/2010 (7:56) - RETROSCENA
Berlusconi tace per evitare tensioni Il premier irritato per le mosse dei pm UGO MAGRI Dei vari colloqui di cui si ha notizia, non ce n’è uno, uno soltanto, in cui Berlusconi abbia ragionato di Napolitano, del suo aperto rimprovero, dell’alto invito a non offendere le altre istituzioni repubblicane. Alza le spalle? Può darsi. Risulta invece che il Cavaliere sia irritato assai col Tribunale milanese per «l’ultima che mi combina»: processo sospeso in attesa di capir meglio la sentenza di Cassazione su Mills, ma udienza già fissata il 26 marzo. Due giorni prima delle elezioni. Quando il premier sarà impegnato nei comizi di chiusura. Gasparri, che non nega di avere sentito il Capo, la mette così: «E’ una tempistica quantomeno singolare. Potevano aspettare il 31 marzo, qualche giorno non avrebbe cambiato nulla. E invece...». Il lamento è tornato con l’avvocato Ghedini all’altro capo del filo, laddove con Daniela Santanché (intima confidente del premier) i conversari hanno riguardato il partito, le sue dinamiche e, naturalmente, le reali intenzioni di Fini che giusto ieri insisteva da Vicenza sulle riforme dopo le Regionali, sul «rischio di galleggiare per i prossimi tre anni», sulla legge per l’immigrazione che lui rifirmerebbe insieme con Bossi, sulle pensioni da mettere sotto controllo, ma anche sulla «flessibilità che non deve trasformarsi in pracariato». Più bacchettata a Tremonti sul «carico fiscale eccessivo» (il ministro dell’Economia «tiene sotto controllo i conti pubblici ma taglia», segnala Fini, «anche dove non dovrebbe, sulla legalità e sulle infrastrutture»). Di tanti argomenti ha discusso ieri il premier. Ma su Napolitano, nemmeno un cenno che gli interlocutori rammentino. Bonaiuti non ha telefonato ad Arcore per chiedere istruzioni a riguardo, Berlusconi s’è ben guardato dal farsi vivo per concordare una presa di posizione. Il premier, dunque, incassa il rimprovero e tace. Ciò non significa che acconsenta. E si può immaginare il tono dell’autodifesa: l’altra sera a Torino mi sarà pure scappata qualche parolina di troppo («certi magistrati talebani sono peggio dei criminali»), ma fa parte della natura umana il lasciarsi prendere dagli sdegni... Napolitano potrebbe prendersela con questi pm... E comunque, lo difende in privato Cicchitto, «Berlusconi non è uno di quei monsignori maestri nell’arte della dissimulazione, della bugia». Circola un’altra tesi, per ora soltanto sussurrata ai vertici Pdl: che Berlusconi si sia sfogato contro le toghe titolo preventivo, in quanto le inchieste su Protezione Civile e dintorni potrebbero (ecco la diceria) portare a nuovi sviluppi già nella settimana prossima. Inutile cercare conferme. Ma ragion di più per evitare guerre col Quirinale. Il Cavaliere sa che non gli conviene. Napolitano è popolarissimo, sarebbe come attaccarsi ai fili dell’alta tensione. Inoltre l’uomo del Colle deve controfirmare il «legittimo impedimento», con lui c’è in sospeso la legge sulle intercettazioni, quale errore sarebbe prenderlo di punta. E difatti. Le dichiarazioni degli esponenti Pdl sono tutte molto educate verso il Capo dello Stato. Al miele il ministro Rotondi, «Napolitanto dispensa pillole di saggezza». Intelligente Capezzone, «non si rivolge soltanto a noi ma anche al Csm perché eviti polemiche». Se mai a Berlusconi restasse voglia di far polemica, c’è Bossi che verso sera gliela fa passare del tutto: «Sto con Napolitano. Bisogna tenere la battaglia nella politica e non coinvolgere la magistratura». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'amarezza del Cavaliere: sono sempre intercettato - (te lo meriti). Inserito da: Admin - Marzo 13, 2010, 11:17:56 am 13/3/2010 (7:8) - RETROSCENA
Berlusconi: "Non posso più parlare senza essere registrato" L'amarezza del Cavaliere: sono sempre intercettato UGO MAGRI ROMA Al confronto con la precedente tegola pugliese, di nome D’Addario, questa nuova inchiesta da Trani piove sul presidente del Consiglio come una goccia. Fastidiosa, ma nella mente del Cavaliere destinata a evaporare in fretta, già domani (così spera) non se ne parlerà più. Per cui meglio passarci sopra senza dare importanza alle accuse, specie in campagna elettorale. Al Tg4 Berlusconi ha tuonato, è vero, contro «la magistratura politicizzata che sta dettando i temi e i tempi della campagna elettorale». Però si riferisce principalmente ai giudici romani che gli hanno escluso la lista del Pdl, col risultato di mettere in forte dubbio un trionfo della Polverini, questo sì davvero un guaio. Al momento lo sforzo berlusconiano è tutto teso a recuperare il terreno perso nei sondaggi. E l’imperativo più urgente consiste nell’evitare un flop già sabato, alla manifestazione di piazza San Giovanni, che nelle aspettative del premier vorrebbe essere oceanica. Per cui alla nuova inchiesta Silvio reagisce, pare, abbastanza soft. Senza dare i numeri. La «rossa» ministra Michela Vittoria Brambilla è andata a trovarlo. Più che ira, ha colto nel suo leader disgusto. «Ormai non posso più parlare al telefono senza essere registrato, una situazione incredibile», è la geremiade. Bonaiuti (il portavoce) giura: la nuova offensiva giudiziaria non accelera i tempi della legge sulle intercettazioni che verrà affrontata a tempo debito, subito dopo le Regionali. Semmai, domanda polemico, «come mai l’autorità giudiziaria non interviene» contro la fuga di notizie? Accontentato. Raccontano che Berlusconi molto si stupisca dello stupore sulle sue telefonate a Minzolini (direttore Tg1) e a Innocenzi (commissario Agcom): «Spendono i nostri soldi per intercettare quello che di Santoro dico pubblicamente» fin dai tempi dal celebre «Editto bulgaro» che fece fuori dalla tivù pubblica un gigante del giornalismo come Enzo Biagi. In un certo senso è vero, manca la novità. Idem sul merito dell’accusa (concussione): nessun allarme speciale. Col suo cliente, l’avvocato Ghedini ostenta serenità: «Aspettiamo, vediamo, ancora nulla è chiaro...». L’altro legale, Longo, nega che siano stati recapitati da Trani avvisi di garanzia, «e poi non si capisce dove starebbe il reato». Semmai, altre sono le considerazioni che circolano nell’entourage. Ad esempio, qualcuno si domanda dove fossero le «sentinelle» del governo, e si chiede com’è possibile che per l’ennesima volta dell’inchiesta pugliese non si fosse avuto un sentore, nemmeno una voce per mettere in guardia Palazzo Chigi. «E dire», si sfoga un personaggio della stretta cerchia operativa berlusconiana, «che tramite i ministri avremmo il controllo di tutti gli apparati di sicurezza, dai Carabinieri alle Fiamme Gialle ai servizi segreti... La verità è che siamo al governo, però non controlliamo un bel niente». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: "Di nuovo obbligato dai pm a buttarmi nella mischia" Inserito da: Admin - Marzo 23, 2010, 08:56:33 am 23/3/2010 (7:13) - INTERVISTA
Berlusconi: "Di nuovo obbligato dai pm a buttarmi nella mischia" Il cavaliere: faremo l'elezione diretta del Capo dello Stato o del premier UGO MAGRI Presidente Berlusconi, siamo agli sgoccioli della campagna. Rimpianti? «No, lo stato d’animo è positivo. Naturalmente sono rammaricato che tutti questi interventi della magistratura ci abbiano impedito di ricordare agli italiani quanto di miracoloso ha fatto il governo in questi due anni, e anche i nostri progetti per i prossimi tre. E’ per questo che sono sceso in campo io personalmente». Sperava che non ce ne sarebbe stato bisogno? «Pensavo che non fosse necessario. E non lo sarebbe stato senza questi attacchi, uno dietro l’altro». Stanco? «No, anzi, in piena forma. Mi sfidi sui cento metri e se ne accorgerà». Parliamo della crisi che i governi non riescono a debellare, e il suo non fa eccezione. Dobbiamo accontentarci di evitare un default tipo Grecia? «In verità il default lo avremmo rischiato se avessimo seguito i suggerimenti irresponsabili dell’opposizione. E' un grande merito del nostro governo aver saputo gestire la crisi mantenendo i conti pubblici in sicurezza ed evitando di creare situazioni di disagio sociale». Le famiglie però soffrono, non parliamo poi delle imprese... «Lo so. Ma sono convinto che il peggio sia ormai alle nostre spalle. Abbiamo varato venerdì un decreto incentivi che ha lo scopo di rilanciare i consumi, dare ossigeno alle famiglie, aiutare le imprese a ripartire. Stiamo lavorando a un grande piano di infrastrutture. Ha cominciato proprio in questi giorni l’iter in Parlamento un disegno di legge governativo sulla semplificazione, che significherà minori costi per le imprese e i cittadini, stimati in 750 milioni di euro...». Può dare garanzia che una riforma delle aliquote entrerà in vigore entro il 2013? «Certamente sì. Dovremo graduarla, come è logico, in relazione all’andamento della situazione economica. Ma io sono convinto che una riforma delle aliquote sia anche uno strumento fondamentale per favorire la ripresa. Certo, non metteremo in pericolo la stabilità dei conti pubblici». Tra le Regioni in bilico c’è il Piemonte. Cosa cambierebbe, nei rapporti con il suo governo, se vincesse Cota anziché la Bresso? «Avremmo una Regione più impegnata a lavorare per i cittadini, e meno opposizione preconcetta al governo nazionale. Avremmo una maggioranza con le idee chiare, e non una coalizione, come quella di sinistra, divisa su molte cose. Sono emblematici i contorcimenti ai quali è stata costretta la Regione per esempio sulla questione della Tav. Cota è la persona giusta per togliere il Piemonte dall’isolamento e dalla sostanziale marginalità ai quali è stato condannato dalla sinistra». Tra un anno si vota per il Comune di Torino... «Il Pdl ha già il suo candidato. È un uomo che ama il Piemonte e ha già dimostrato di essere un bravissimo amministratore: Enzo Ghigo». Non teme che l’appetito della Lega, invece di placarsi, in futuro aumenterà sempre più? «Il problema non esiste. Bossi è un alleato leale, al quale mi unisce non soltanto una comune visione di tanti aspetti della politica, ma anche un’autentica vicinanza personale. Se la Lega si rafforzerà, questo significherà la crescita di un partito della maggioranza, e quindi il rafforzamento del governo». Comunque rappresenta una sfida... «Certo, una sfida. Ma costruttiva, alla quale dobbiamo rispondere non certo in modo polemico ma correndo come e più di loro». Le tensioni con Fini disorientano i vostri elettori. Come venirne a capo? «Di tensioni con Fini si legge soprattutto sui giornali. E’ assolutamente fisiologico che in un partito che rappresenta il 40 per cento degli italiani esistano posizioni diverse. Guai se fossimo unanimi su tutto. L’importante, però, è essere uniti. In un partito democratico, come il Pdl, ci si confronta, si discute, quando è necessario si vota. E poi, una volta deciso, tutti hanno il dovere di appoggiare lealmente fino in fondo la decisione assunta. Io stesso non ho condiviso alcune scelte, negli ultimi mesi, ma ho accettato e sostenuto quello che gli organi del Partito hanno deciso. In questo sistema anche le posizioni minoritarie hanno piena cittadinanza». Dopo di lei, chi verrà? «Trovo offensivo parlare di futuro con un leader che è, ripeto, in piena forma e con un indice di apprezzamento al 62 per cento. Ma si rendono conto o no, questi signori, di che cosa vuol dire l’approvazione dal 62 per cento degli italiani?». Lei rilancia il presidenzialismo. Ma Fini dubita che si possa realizzare entro questa legislatura... «E’ una delle cose che vedremo se vale la pena di fare, così come vedremo se andare verso l’elezione diretta del Capo dello Stato o del premier. A me sembra, sinceramente, che sarebbe un arricchimento della nostra vita democratica». Sono due anni che lei promette (o minaccia) una riforma della giustizia. Quando intende presentarla? «Subito dopo le elezioni. E non è una minaccia per nessuno. E’ piuttosto un’urgenza per il Paese. Non è più tollerabile che il lavoro di tanti magistrati seri e perbene, che sono la stragrande maggioranza, sia screditato dalle iniziative temerarie di alcune Procure al servizio di un disegno ideologico oppure da pubblici ministeri afflitti da velleità di protagonismo. Un aspetto essenziale dello Stato di diritto è la parità fra accusa e difesa, e la terzietà del giudice. Intendiamo garantirle nel modo più netto». Ci dica di Bersani: questa brutta campagna elettorale pregiudica i rapporti? «Purtroppo non possiamo sceglierci gli interlocutori. E io assisto con vera angoscia a un fenomeno grave: i leader del Pd, anche quelli che partono con le migliori intenzioni - come era accaduto con Veltroni prima e con Bersani ora - non riescono a sottrarsi all’“Estremismo, malattia infantile del comunismo”, secondo il titolo di quel saggio di Lenin... Non sono più tanto giovani, politicamente anzi sono vecchissimi, ma è una malattia dalla quale non sono ancora guariti. Non sono guariti dalla tentazione, o dalla necessità, di inseguire un rozzo demagogo giustizialista, che dopo aver disonorato la magistratura quando indossava la toga, disonora oggi la politica. Noi siamo sempre stati pronti al dialogo sulle riforme, naturalmente. Ma per dialogare bisogna essere in due, ed avere intenzioni serie e non strumentali. Con questa opposizione non è possibile». Visti i risultati, pressoché nulli, rifarebbe il decreto «salva-liste»? «Certamente sì, perché vale sempre la pena di avere la coscienza a posto, indipendentemente dai risultati. Credo che il governo, in un Paese democratico, abbia il dovere - sottolineo il dovere, non la facoltà - di intervenire quando i cittadini di aree importanti del paese rischiano di non poter esercitare liberamente il diritto di voto. Devo sottolineare la grande correttezza e l’elevato senso dello Stato e della democrazia dimostrati dal Capo dello Stato a questo proposito». Trova giusta la decisione Rai di sospendere i talk-show politici sotto elezioni? «Trovo che non si possano usare i programmi del servizio pubblico, e quindi i soldi del contribuente, per trasmissioni ideologiche, fatte di insulti, di calunnie, di falsificazioni continue della realtà. O anche semplicemente costruite per mettere in difficoltà una parte politica ed esaltarne un’altra. Come può immaginare, a me, che sono stato per molti anni soprattutto uomo di televisione, la cancellazione di un qualunque programma televisivo dà molto dispiacere. Le ricordo, tuttavia, che la decisione della commissione di Vigilanza, proposta dall’esponente radicale, intendeva soltanto sostituire i talk show con tribune elettorali per rispettare la “par condicio”. Legge non certo voluta da noi». Bossi le suggerisce di parlare meno al telefono. Seguirà questo consiglio da amico? «Sono costretto a seguirlo... D’altronde seguo sempre i consigli di Umberto, che è un uomo molto saggio. Però, che tristezza! Esiste al mondo un altro paese, che non siano gli Stati di polizia o le dittature, in cui un cittadino non possa parlare liberamente, anche di cose private, senza veder intercettate e sbattute sui giornali le sue parole, distorcendole e utilizzandole per screditarlo, per renderlo ridicolo? Cambieremo questa situazione, al più presto. E' urgente e indispensabile». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Silvio-Tonino, lite continua Inserito da: Admin - Marzo 29, 2010, 09:14:04 am 29/3/2010 (7:12) - RETROSCENA
Silvio-Tonino, lite continua Berlusconi ai seggi: «Se molliamo arriva Di Pietro». E lui: «Mi teme» UGO MAGRI ROMA Nonostante i sondaggi, che scrutano quasi fossero sfere di cristallo, tutti i leader hanno vissuto ieri una domenica di incertezza. Troppo in bilico la sorte di 4 regioni (Piemonte, Liguria, Lazio e Puglia) per cullarsi nella speranza o cedere alla disperazione. E troppo intenso lo stress per trattenere emozioni al momento di recarsi in cabina. Qualche battuta è scappata a tutti, da Berlusconi a Bersani, da Di Pietro a Bossi. Unico silente Casini, ma le alleanze Udc a macchia di leopardo gli consentono una relativa serenità. S’è presentato al seggio con la moglie Azzurra, saluti e via. Il Cavaliere, invece, è stato preda a Milano di certe sue fan non più ragazzine, «tieni duro, non mollare» l’hanno incoraggiato. E lui, «se molliamo ci ritroviamo Di Pietro...». Il quale Tonino non aspetta di meglio che essere chiamato in causa, «se dovessero vincere Berlusconi e i suoi sodali sarebbe un tuffo in un oscuro regime, quello mi nomina perché evidentemente mi teme». L’uomo di Montenero e l’uomo di Arcore, che duello a colpi di clava. Il premier non si lascia ingannare, i pacchi-bomba hanno postini anarchici però mittenti a sinistra, «il clima è quello creato da una campagna elettorale che sapete come si è sviluppata, e quali sono stati i suoi argomenti». Per fortuna nella busta a lui indirizzata c’era solo polvere innocua, forse cenere, così hanno accertato i carabinieri. Berlusconi fiuta il vento, vorrebbe capire dove tira, ma rinuncia e confessa la tipica «sindrome del candidato» che spiega: «Siccome sei sempre circondato dalla tua gente, da coloro che ti applaudono quando vai in giro, sembra che per te voti il 100 per cento delle persone», ma chiaramente non è così, anche se gli piacerebbe. Nell’accampamento opposto Bersani confida di aver dormito come un ghiro la notte prima della battaglia, frutto di una «coscienza a posto». Del resto «abbiamo fatto tutto quello che potevamo», anche di più lascia intendere all’«Unità», perché «coi voti delle Europee e le alleanze delle Politiche avremmo vinto in 3-4 regioni, con i voti delle Europee e le nuove alleanze in 6, adesso io penso che possiamo conquistare la maggioranza delle regioni» che sono 13. Pensiero dedicato a quanti mugugnano dentro il Pd. Interessante Bossi, mai nulla di scontato esce dalla sua bocca. Sui pacchi-bomba dice una verità: «Non è così che si convince la gente, ma con le riforme». A lui interessa, inutile dire, il federalismo: «L’importante è che Berlusconi vada avanti a darci i voti per farlo, tutto il resto è secondario». Silvio vuole aggiungerci il presidenzialismo e la giustizia? Vada pure, a patto che il traguardo storico della Lega non venga rinviato... Frenata sul sorpasso al Nord, «io non ci ho mai pensato, siete voi che ve lo siete inventato» accusa i cronisti allibiti, «so che prendiamo tanti voti, quello sì». Per fare il sindaco di Milano, come ha buttato lì l’altra notte? Risposta ambigua del Senatùr, «noi possiamo arrivare ovunque, e se la gente ci vuole ci manda ovunque». L’ostacolo non sarà certo il Cavaliere, «io e lui ci troviamo sempre d’accordo su qualunque cosa». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Silvio Berlusconi blinda il Pdl: Costituzione da cambiare subito Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 11:00:20 pm 1/4/2010 (7:33) - GIOVERNO - I NODI DA SCIOGLIERE
Silvio Berlusconi blinda il Pdl: Costituzione da cambiare subito UGO MAGRI ROMA Per procedere con le riforme, e non sprofondare in chiacchiere, il Cavaliere vorrebbe sgombrare il cammino dai dubbi, dai distinguo, dal «fuoco amico». Dunque entro aprile riunirà tutti gli organi del suo partito, un festival democratico mai visto nel Pdl. Comincerà il 7 con l’Ufficio di presidenza, proseguirà sette giorni dopo con la pletorica Direzione nazionale, tirerà le somme il 21 (data provvisoria) con il Consiglio nazionale, in pratica un mini-congresso. Chi vorrà dire la sua, avrà l’occasione per farlo. E chi non sarà d’accordo, libero di dissentire. Ma alla fine si voterà su che fare nei prossimi tre anni di governo, dal fisco alla giustizia, dal federalismo fiscale alle riforme della Costituzione. Giurano i commensali del premier, che ha riunito a pranzo una folla di consiglieri: non è una manovra contro Fini. Guai a pensare che Silvio voglia mettere Gianfranco con le spalle al muro. Il sussulto democratico viene presentato semmai come una mano tesa per rendere compartecipe il «cofondatore». Tra una portata e l’altra se n’è discusso in modo aperto. «Cercate di vedervi, di incontrarvi al più presto», è stato il suggerimento rivolto a Berlusconi dal capogruppo Cicchitto e dal presidente del Senato Schifani, pure lui a Palazzo Grazioli senza farsi intercettare dai cronisti. Il Cavaliere ha annuito, il faccia-a-faccia pare si tenga subito dopo Pasquetta. Nell’attesa di definire solennemente la «road map» delle riforme, chi era ieri dal premier tende a escludere che il governo approvi in quattro e quattr’otto una riforma costituzionale della giustizia: le elezioni sono alle spalle, ora basta propaganda. Tra l’altro il Senato sta già occupandosi di nuovo processo penale e, soprattutto, di intercettazioni. Qui c’è una grana per il premier. Il Quirinale (così sostengono fonti parlamentari autorevoli) pare abbia chiesto nuovamente per vie brevi di correggere la legge in questione, altrimenti niente controfirma presidenziale. Cosicché qualcosa andrà cambiato per non attirare i fulmini del Colle. Altro punto fermo: le riforme della Costituzione avanzeranno sotto forma di iniziative parlamentari, il governo in quanto tale comparirà il meno possibile. Ampi margini di manovra verranno concessi ai gruppi parlamentari, cominciando dal Senato, dove Gasparri tenterà di lanciare ami verso l’opposizione. Non che Berlusconi voglia farsi dettare l’agenda da Bersani. Anzi, ringalluzzito dall’esito elettorale, sarebbe tentato di farne a meno. Ma c’è la Lega, che con Maroni pretende riforme il più possibile condivise, in modo da aggirare l’incognita di un referendum confermativo. E comunque, il Cavaliere sa che il centrosinistra non è un monolite, certi suoi informatori gli raccontano di posizioni divaricate pure nel gruppo dirigente Pd. Agli altri big del partito l’altra notte D’Alema non le ha mandate a dire. «Visto che è in crisi il modello bipolare italiano degli ultimi 15 anni, sarà nostro compito dare una risposta sul terreno delle riforme istituzionali», ha detto. Il timore è di farsi cogliere in contropiede dal governo, magari proprio sul terreno del presidenzialismo «che rischia di avere un certo appeal nel Paese». Dunque, suggerisce D’Alema, rilanciamo senza esitare la famosa «bozza Violante». Sospettosa la Bindi, che fiuta «cedimenti culturali» alle pulsioni «populiste e autoritarie» del premier. Ma stare fermi non si può, fa notare da Palazzo Madama la Finocchiaro, «abbiamo il dovere di confrontarci». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Stato, giustizia e fisco Offensiva di Berlusconi Inserito da: Admin - Aprile 02, 2010, 08:15:00 am 2/4/2010 (7:15) - RIFORME - L'AGENDA DEL GOVERNO
Stato, giustizia e fisco Offensiva di Berlusconi UGO MAGRI ROMA Bettino Craxi, che non peccava di immodestia, si accontentò di proporre nel 1979 (25 settembre, articolo sull’«Avanti!») la famosa Grande Riforma. Silvio Berlusconi, che è più ambizioso ancora, vuole cimentarsi nelle Grandi Riforme al plurale poiché una sola, quella delle istituzioni, non basta più, suona povera, asfittica. Eccolo dunque lanciare (1 aprile 2010, via FaceBook) la nuova «trimurti» programmatica del centrodestra, valida di qui al termine della legislatura: Stato, giustizia e fisco. Le «grandi riforme», come egli stesso appunto le definisce enfaticamente. Con l’«obiettivo di fare dell’Italia una nazione più efficiente e moderna». Per conferire un tocco di solennità a quella che, viceversa, potrebbe sembrare una trovata pubblicitaria, il Cavaliere ha chiesto e ottenuto un appuntamento sul Colle dove, raccontano là in alto, ieri di buon’ora ha parlato quasi sempre lui, elencando i suoi progetti, con Napolitano in ascolto attento e disincantato. L’attuale Capo dello Stato fu tra i pochi, a sinistra, che trent’anni fa non chiusero la porta in faccia al Cinghialone. Ricorda perfettamente, tuttavia, che Craxi medesimo alla fine definì il suo tentativo «un inutile abbaiare alla luna». Ora ci prova Berlusconi. Baldanzoso. Via Internet lancia un appello-ultimatum al Pd: «Non sappiamo se l’opposizione, o almeno una parte di essa, abbandonerà finalmente i toni e gli atteggiamenti di ostilità preconcetta. Me lo auguro», fa una pausa di avvertimento il premier, «noi comunque avvieremo il percorso». Piuttosto seccato lo manda quasi a quel paese Bersani, il premier «non ce la meni con dialogo o non dialogo, dopo 50 decreti e 31 fiducie è sua l’indisponibilità a discutere». Non per questo il Cavaliere smetterà di tendere la mano, tanto più se gli verrà rifiutata. Tornerà infinite volte alla carica per poter dire (parola di Osvaldo Napoli) che il Pd si auto-condanna «a un ruolo residuale». Inoltre Berlusconi darà l’impressione di tenere salda in pugno l’iniziativa politica, di non essere semplicemente l’esecutore dei piani leghisti sul federalismo fiscale e costituzionale. Sul piano mediatico, una mossa di qualche abilità. Poi, certo, se si alza il coperchio delle Grandi Riforme berlusconiane si scopre che la scatola è ancora tutta da riempire. Il regista della comunicazione Bonaiuti va da Vespa e, con schiettezza, conferma: per il taglio delle tasse «ci vorranno almeno tre anni». Almeno, dice il portavoce. In compenso la riforma del fisco sarà «epocale», i lavoratori a reddito fisso finalmente pagheranno proporzionalmente di meno, dai e dai «anche Tremonti ne è convinto». Sulla giustizia aleggia la confusione, il ministro Alfano proverà a mettere nero su bianco gli imperativi del premier su separazione delle carriere, Csm e quant’altro. Un certo tam-tam crea fibrillazione soprattutto a sinistra, eppure nulla è giunto sul tavolo di quanti ne sarebbero al corrente, se fosse davvero questione di ore. L’unico sviluppo dietro l’angolo riguarda proprio le riforme istituzionali. Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, rivela che insieme al suo dirimpettaio del Senato Gasparri presenteranno «una proposta organica». Che terrà conto della «bozza Violante» ma non ne sarà certo «una fotocopia» perché dovrà prevedere pure qualche forma di presidenzialismo, anticipa Cicchitto. E magari l’elezione diretta del premier contro cui proprio Violante (attuale responsabile istituzioni del Pd) già minaccia un referendum letale come quello del 2006. Ma quando prenderà forma questa «proposta organica» del Pdl, anzi Grande Riforma per dirla con Berlusconi? Subito dopo Pasqua, annuncia la mente giuridica del berlusconismo Quagliariello, previa riunione dei parlamentari Pdl «per definire i dettagli» del progetto che, si intuisce, è già a buon punto di cottura. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fratti lancia l'epoca delle riforme: Superati i nodi Berlusconi-Colle Inserito da: Admin - Aprile 04, 2010, 11:19:23 am 4/4/2010 (7:2)
Fratti lancia l'epoca delle riforme: "Superati i nodi Berlusconi-Colle" "Il nostro governo è diventato un esempio di stabilità" La ricetta del ministro degli Esteri: «Usiamo anche Facebook per fare capire che tipo di Stato vogliamo» UGO MAGRI ROMA Ministro Frattini, dov’era lei il giorno delle Regionali? «A Ottawa per il G8». Come hanno preso lì il risultato? «I colleghi stranieri sono venuti a chiedermi che succede: si parlava di Berlusconi in declino, invece...». Lei cosa ha risposto? «Che la politica italiana non la decidono né l’Economist né il Financial Times. La fanno i milioni di elettori contattati uno per uno da Berlusconi con messaggi quasi personali, o convinti dalla Lega con un lavoro capillare». Altre spiegazioni? «Siamo stati a lungo un modello negativo di instabilità, governi che cambiavano di continuo... Invece negli ultimi 10 anni Berlusconi ne ha governato per 8. Ora siamo un esempio di stabilità». Se il sistema è così stabile, perché riformare la Costituzione? «E’ esattamente quello che, come prima cosa, dovremmo spiegare alla gente. Trasmettere il senso dei cambiamenti. Francamente: imbarcarci in una discussione sui massimi sistemi, dal presidenzialismo americano al semi-presidenzialismo francese al premierato britannico (che pure personalmente prediligo), ci esporrebbe al disinteresse». E dunque? «Far capire innanzitutto di cosa si parla. Usando il web, i social-network...». Pure lei sulla scia del Cavaliere? «Per la verità è un anno e mezzo che, con i miei amici di FaceBook e Twitter, dialogo sui temi internazionali. Berlusconi, giorni fa, mi aveva annunciato: ti farò una sorpresa. E ha lanciato il suo messaggio su FaceBook». Insomma, riforme dal basso. «Sul sito www.forzasilvio.it abbiamo già incominciato a porre quesiti su presidenzialismo, federalismo, giustizia. Perché non avviare una consultazione dal basso piuttosto che esercitare i giuristi su sofismi astrusi? Che ne sa una persona normale della cosiddetta Bozza Violante? Tra l’altro, a forza di parlare della Bozza Violante sembra che la riforma sia compito dell’opposizione quando, con tutto il rispetto, nel 2008 abbiamo vinto noi». Presentate una vostra proposta... «I gruppi Pdl stanno già lavorando a un testo. Anche per non dovercela prendere poi sempre con la Lega che è più svelta e ci anticipa». Napolitano si sente sereno per la nuova fase che si apre. Ne condivide lo stato d’animo? «Sono tra quanti hanno sempre considerato essenziale il rapporto con il Capo dello Stato. Anche nei momenti di difficoltà, la mia parola col premier è stata volta a un rasserenamento». Com’è andato l’ultimo incontro tra i due? «Davvero molto bene. I nodi sono stati sciolti». Anche quelli personali? «Superati. E’ un Presidente di cui ci possiamo fidare. Anzi, è interesse del governo un buon rapporto di collaborazione istituzionale. Quando Berlusconi gli ha detto che farebbe le riforme insieme all’opposizione, se ci fosse un’opposizione disponibile, è proprio il messaggio che Napolitano voleva sentire». Un passo di riconciliazione nazionale, da parte del premier, non potrebbe alleggerire il clima? «E’ difficile tendere la mano se si sa già che non verrà raccolta. D’altra parte Berlusconi è persona che non serba rancore. Confortato dal sostegno degli elettori, è capace di gesti generosi: da una richiesta di incontro a Bersani, a un messaggio come quello dell’anno scorso per il 25 aprile... Credo che saprà trovare lui il modo di riconoscere, all’avversario sconfitto, la necessità di un percorso comune». Pace anche con Fini? «La vittoria delle Regionali spinge irresistibilmente Fini e Berlusconi a trovare un modo di lavoro comune. Perché entrambi hanno compreso che il Pdl è più forte se si apre alla diversità di opinioni, a patto di arrivare a una decisione. E poi: sarebbe inimmaginabile affrontare una stagione riformatrice senza il presidente della Camera assolutamente convinto dell’importanza di collaborare. Tutti si chiedono se Bersani sarà o no d’accordo, quando Fini è colui che regola i lavori dell’Assemblea, fissa gli ordini del giorno, dà le priorità... Guai se non fosse attivamente coinvolto o remasse contro». E il dopo-Berlusconi? «Tema tramontato con la vittoria elettorale». La Lega vi fa vedere i sorci verdi... «Tanto di cappello. Li trovi ovunque sul territorio a occuparsi dei problemi della gente. Lo stesso non posso dire dei dirigenti Pdl». La morale? «Rimboccarci le maniche e dimostrarci più bravi della Lega». Altrimenti? «Le lasciamo le chiavi». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi prova a smarcarsi da Bossi Inserito da: Admin - Aprile 06, 2010, 06:28:58 pm 6/4/2010 (7:20) - RIFORME
Berlusconi prova a smarcarsi da Bossi Nella maggioranza temono che il Carroccio detti le riforme Oggi alla cena di Arcore si parlerà anche del successore di Luca Zaia UGO MAGRI ROMA Sulla premessa (vera o falsa non importa) che la Lega ha stravinto le elezioni al Nord, e il Pdl invece le ha straperse, Bossi getterà lo spadone sulla bilancia. In amicizia, per carità, perché lui e Berlusconi hanno giurato a vicenda di non litigare mai più. Però ci sono un paio di questioni in sospeso che riguardano il governo e la politica di qui al 2013. Due questioni su cui la Lega vuole parole chiare già stasera, quando Silvio e Umberto si siederanno a tavola. Anzitutto, il ministero delle Politiche agricole. Chi vive in città non si rende conto di che peso abbia, e quanti voti muova, specie in Padania. Ora lì c’è Zaia, del Carroccio, che però è stato eletto governatore in Veneto. Dovrà mollarlo. E nel «do ut des» con il Piemonte, ceduto alla Lega, quel dicastero tornerà al Pdl. In teoria ci sarebbe Galan, spodestato proprio da Zaia. Ma Galan pensa di meritare ben altro. E poi la Lega gli rimprovera di avere sparso veleni, ha consegnato a Berlusconi un dossier di interviste e discorsi dove (tolta l’accusa di sbranare i bambini) Galan imputa al Carroccio la qualunque. Per cui, una volta accomodati a cena, Bossi dirà al premier: «Noi rinunciamo all’Agricoltura, d’accordo; ma chi dei vostri sarà ministro dopo Zaia, lo decidiamo noi». Quel «qualcuno» nella testa del Senatùr ha nome e cognome, si tratta di Enzo Ghigo che i leghisti considerano amico fedele. Se Berlusconi darà l’okay, al Nord passerà il messaggio che va avanti chi è gradito alla Lega, e chi non lo è viene punito duro. Qui può nascere il mugugno, i dirigenti Pdl si sentiranno sacrificati, piangeranno calde lacrime col Capo, i finiani ne profitteranno per chiedere fermezza verso il Carroccio. Ma al dunque, fra il prendere e il lasciare, si può scommettere per cosa opteranno i «berluscones». Che spargono voci incontrollate, tipo quella di Bossi deciso a reclamare qui e subito la poltrona di vice-premier per Calderoli, in modo da sancire il diverso equilibrio nel centrodestra: ipotesi che Berlusconi aveva già soppesato un anno e mezzo fa ma poi dovette abbandonare perché i vice-premier sarebbero stati due, e nel Pdl si sarebbe scatenata la rissa tra i pretendenti. Calderoli, tra parentesi, mira più in alto: vorrebbe tracciare la rotta sulle riforme istituzionali. Ed è l’altra questione che si toccherà stasera ad Arcore, politicamente insidiosa. Bossi ricorderà al Cavaliere che ministro delle riforme, fino a prova contraria, è ancora lui. E che sua intenzione sarebbe di esercitare la delega dando credito a Calderoli. Il quale, a quel punto, tirerà fuori di tasca dei fogli con su scritta la grande riforma targata Lega: federalismo, si capisce, bilanciato dal semi-presidenzialismo alla francese. In pratica, un Capo dello Stato coi vasti poteri di Sarkozy, poi si vedrà se eletto a turno unico o a doppio turno (sistema preferito dalla sinistra italiana). Calderoli spera in questo modo di agganciare il Pd e di mettere il federalismo in cassaforte. Berlusconi verrà lusingato: «Caro Silvio, con il sistema francese potrai salire al Colle dopo Napolitano...». Se il Cavaliere non le desse retta, la Lega sarebbe pronta a tutto. Perfino a presentare in modo autonomo la sua proposta. E non sarebbe un bel segnale per la tenuta del governo. Anche qui, però: se il progetto Calderoli va avanti, il Pdl rischia di apparire l’ennesima volta a traino. Un vagone eternamente agganciato alla «locomotiva Lega». Ecco perché il gruppo dirigente berlusconiano sta lavorando a una «proposta complessiva» sulle riforme che verrà depositata in Parlamento la prossima settimana. Già domani (nell’attesa dell’incontro chiarificatore tra il Cavaliere e Fini che ancora risulta da fissare) si riunirà l’ufficio di presidenza. Che batterà un colpo sulle riforme per dire: oltre alla Lega, esistiamo anche noi. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese" Inserito da: Admin - Aprile 07, 2010, 09:35:09 am 7/4/2010 (7:18) - IL VERTICE DI ARCORE
Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese" I leghisti vogliono evitare il rischio di un altro referendum. Cresce nel Pdl l’insofferenza verso i diktat degli alleati UGO MAGRI ROMA Le cene di Arcore sono tutte uguali, chi le immagina come consigli di amministrazione è fuori pista. L’alta politica si alterna alle barzellette, un po’ si scherza un po’ si dice sul serio fino a notte fonda, quando su Bossi cala il sonno e quello che è rimasto in sospeso viene rinviato alla prossima volta, «tanto caro Umberto non c’è fretta, ogni lunedì ci si vede...». Anche ieri, identico copione. La Lega si è presentata in massa a Villa San Martino (c’era perfino Renzo, figlio del Senatùr) per mandare avanti le riforme e spingere Ghigo anziché Galan sulla poltrona di ministro all’Agricoltura, oggi occupata da Zaia. Clima ottimo, figurarsi, tanto più che le Regionali sono andate di lusso. Ma esito interlocutorio. Calderoli ha consegnato la sua bozza di nuova Costituzione. Sono mesi che ci lavora, è imperniata su federalismo e presidenzialismo in salsa francese. Più ancora dei contenuti, per lui conta il metodo, sul quale giura «abbiamo trovato la quadra»: la Lega punta sulle larghe intese perché eviterebbe volentieri di sbattere contro l’ostacolo referendario (nel 2006 fu letale). Nel negoziato dunque coinvolgerebbe il Pd, lo adescherebbe con riforme gradite. Il Cavaliere è scettico, poco ci crede, però non vuole urtare Fini (probabilmente si parleranno domani) e tantomeno Bossi, che su questo la pensa come il presidente della Camera. «Strada facendo vedremo, adesso è prematuro», prende tempo Berlusconi. Sul ministero, invece, gran discussione. Il premier difende Galan a spada tratta, nessuna voglia di mollarlo al suo destino, insiste per nominarlo ministro al posto di Zaia. Teme che l’ex governatore del Veneto possa fargli danno dentro il partito. Ma soprattutto, Berlusconi non può dare troppo l’impressione di piegarsi ai calcoli della Lega. Sotto questo aspetto, svarione tattico di Maroni, che proprio ieri se n’è uscito sul «Corsera» con un’intervista dove sventola alta la bandiera del Carroccio cui rivendica la guida delle riforme. Detta così, un ceffone in faccia al Pdl nel momento meno indicato, con l’Ufficio di presidenza convocato per oggi e il Cavaliere obbligato a tranquillizzare i suoi facendo apparecchiare pure per i tre coordinatori nazionali (Bondi, Verdini, La Russa) che in origine non erano invitati alla cena. Insomma, l’affondo pubblico di Maroni ha avuto l’effetto di rendere ardua l’operazione-Ghigo. Non solo. In privato Berlusconi s’è mostrato arrabbiatissimo. E ha dato il via libera a quanti, dentro il partito, volevano replicare al ministro dell’Interno. Uno spunto l’ha fornito senza volere il web-magazine di FareFuturo, fondazione nell’orbita di Fini. Che in un editoriale del direttore Filippo Rossi esorta il Pdl «a battere un colpo per non morire tutti leghisti». Fantastico, si sono dati di gomito Cicchitto e Gasparri, Bondi e Verdini fino a Osvaldo Napoli: ecco l’occasione per mettere le cose in chiaro pure nei confronti della Lega. Difatti si sono precipitati tutti quanti a dichiarare che non scherziamo, «l’agenda delle riforme è sempre saldamente in mano a Berlusconi, la regia appartiene al Pdl che ha fatto miracoli alle elezioni», mentre quelli di FareFuturo non si son visti, farebbero meglio a occuparsi del presente. E’ finita con Urso che, a nome della fondazione, ha preso le distanze dal sito web. Non per placare i vertici Pdl, ma per una ragione più sottile, legata alla strategia finiana. Pare che, diversamente dal premier, il presidente della Camera abbia molto apprezzato la sortita di Maroni, specie là dove prospetta il modello semi-presidenziale alla francese (vecchio «pallino» di Fini). Dunque non c’era motivo di lamentare una sudditanza Pdl verso la Lega quando, semmai, è il Carroccio che una volta tanto aderisce alle posizioni di An, e del suo ultimo leader. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi tira dritto sugli alleati Inserito da: Admin - Aprile 18, 2010, 10:18:26 pm 18/4/2010 (6:42)
Berlusconi tira dritto sugli alleati Nessuna concessione a Gianfranco UGO MAGRI ROMA Tutti i riflettori sono su Fini: tornerà sui suoi passi o se ne andrà dal partito che ha contribuito a fondare? Nessuno, nemmeno tra i fedelissimi, scommette sulle sue intenzioni. Il presidente della Camera si è preso un weekend di relax e, possiamo intuire, di ardua riflessione. Se in cuor suo non ha già deciso, Fini può concedersi 48 ore fino a martedì mattina, quando le truppe saranno schierate in attesa di ordini per la grande battaglia di giovedì, nella Direzione del Pdl. Allora sapremo se il Popolo della Libertà va incontro o no a una scissione. Scuote la testa incredulo il berlusconiano Cicchitto: «Da ex-socialista sono esperto in materia. Però mai ho visto un partito che si scinde dopo avere appena vinto alle urne». Corre voce di mediazioni altissime tra Fini e il Cavaliere. Altre chiacchiere ipotizzano un ruolo-chiave per Fini sul terreno delle riforme istituzionali: ma non c’è già Bossi ministro? Nella realtà i margini appaiono esigui. Forse inesistenti. Berlusconi è vellutato nelle parole, inflessibile nella sostanza. Pretende che Fini ingrani la retromarcia. In cambio non concederà nulla. Zero assoluto. Il suo rivale chini la testa o faccia le valigie. Terze vie non risultano. Spiegazione raccolta nel giro dei coordinatori nazionali: «Berlusconi non offre nulla perché non può. Se dovesse regalare a Fini uno spillo, puoi star certo che nel giro di pochi mesi quello spillo diventerebbe una sciabola usata contro il nostro Presidente». False le voci su La Russa pronto a farsi da parte in nome della riconciliazione: si dimetterebbe da triumviro nel solo caso in cui Fini formasse gruppi autonomi, essendo stato indicato da lui; viceversa, di rinunciare per far posto a un finiano «doc» neanche a parlarne. L’organigramma resterà tale e quale. Pure sui grandi temi la risposta sarà «no», senza complimenti. Ieri Bocchino ha rilanciato i «cahiers de doléance» finiani: basta sudditanza verso la Lega, più attenzione per il Sud, Berlusconi tuteli meglio il partito, non tratti il presidente della Camera come un dirigente qualsiasi, vieti i «killeraggi mediatici» al «Giornale» di famiglia (che ieri mattina attribuiva a Fini il «ruggito del coniglio»). Sempre il solito personaggio al vertice la mette così: «Di questione meridionale si parla dal 1861, con la Lega abbiamo a che fare da vent’anni, ora Bocchino ci ingiunge di provvedere... Quanto al partito, sta mettendo radici, Verdini ha avviato il tesseramento, ci sarebbe da rallegrarsi per l’esplosione di democrazia interna...». Come mai, allora, Fini è all’attacco? Risposta unanime del gruppo dirigente berlusconiano: «La politica non c’entra, è solo un fatto di insopportazione personale. Gianfranco odia Silvio». E così la categoria dell’odio irrompe, devastante, nel «partito dell’amore», con il premier che non se l’aspettava (giura Bonaiuti). Berlusconi di rimando tratta Fini come un dente cariato, lo disturba quel continuo controcanto, lui dice «A» e l’altro risponde «B». Proprio come faceva Follini da segretario Udc. Osvaldo Napoli rammenta bene quei tempi: «A forza di dargli retta, la coalizione si consumò nell’impotenza e perse le elezioni. C’è il rischio che la storia si ripeta...». Ma non si ripeterà perché il Cavaliere ha fatto certi conti: ritiene che se Fini prenderà cappello saranno in quattro gatti a seguirlo. Probabilmente, crede lui, neppure l’intero gruppo dei 14 senatori «finiani» che ieri, guidati da Augello, hanno invocato da entrambi i leader serietà e comportamenti responsabili, come si addice a tempi difficili. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 09:38:29 am 19/4/2010 (7:36) - CENTRODESTRA - I GIORNI DELLA CRISI
Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa Fini lima il documento che porrà ai voti giovedì. E Alemanno è pronto a fare da mediatore UGO MAGRI ROMA Vittima sacrificale cercasi. Qualcuno su cui scaricare la colpe dello psicodramma che il Popolo delle libertà sta vivendo, una testa da far rotolare sull’altare della tregua tra Berlusconi e Fini, ancora parecchio lontana (ma i mediatori non si arrendono). Quel qualcuno con cui prendersela somiglia tanto a Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. I «berluscones» furibondi lo additano quale istigatore di Fini, lui insieme ai Granata, agli Urso, ai Briguglio che ancora insistono per rompere col tiranno Berlusconi, e apertamente rimpiangono Alleanza nazionale, quanto sarebbe bello rifarla daccapo... Nel caso di Bocchino, però, è imbufalito il Cavaliere personalmente: telefonate notturne a Verdini, a Cicchitto e non si sa a quanti altri dopo lo scontro televisivo l’altra sera su RaiDue, che ha visto da una parte il giovane «guappo» finiano, dall’altra il ciellino Lupi, uno che piace al premier perché sempre così sicuro di sé. «Assurdo litigare in pubblico tra di noi», ha sbraitato Berlusconi. Pare solleciti provvedimenti disciplinari, interventi dei probiviri anche nei confronti di Urso (presente alla trasmissione) e Granata (sguaiato con Schifani). i coordinatori nazionali se ne stanno occupando, La Russa frena perché «in questo clima» incendiario ci mancherebbe solo di buttar fuori qualcuno. Ma che Bocchino resti a fare il numero due del gruppo alla Camera, questo sembra più difficile. Se tregua sarà, prima vedremo scorrere il sangue. Berlusconi, ad esempio, non ne può più della Bongiorno alla guida della Commissione giustizia a Montecitorio, considera l’avvocatessa un freno ai suoi progetti, vorrebbe sbarazzarsene. A sua volta Fini insiste per rimettere mano agli organigrammi di partito e di governo, dove si reputa sottostimato. Servirebbe una bilancia, ed eccola pronta, giovedì prossimo in Direzione nazionale: 170 dignitari Pdl, di cui 120 eletti dal congresso e gli altri lì a vario titolo, convocati alle 10 del mattino nell’Auditorium a due passi dal Cupolone per pesare i duellanti. Fini svestirà l’abito istituzionale di terza carica dello Stato e presenterà un documento da mettere ai voti, con le sue critiche al Cavaliere in bella mostra. La bozza verrà presentata con, sotto, le firme di tutti i parlamentari amici: 14 senatori (già si sono esposti pubblicamente) e un numero ancora misterioso di deputati. Dall’altra parte confermano che pure loro presenteranno un testo, si presume di adorazione del premier. Avremo dunque una maggioranza e una minoranza, svolta gravida di conseguenze politiche imprevedibili per l’Italia, poiché nel nome della democrazia interna il «movimento del predellino» finirà nella tomba, e in sua vece nascerà un partito stile Prima Repubblica, correntismo compreso. Sarà l’anticamera della scissione, quella vera? E Berlusconi, accetterà di tenersi in casa degli oppositori dichiarati? Si annuncia un salto nel buio. Che molti tra gli ex di An eviterebbero volentieri, un po’ per non finire in castigo con Fini, un altro po’ perché in ansia sulla sorte del Pdl. Dal Campidoglio giunge voce che oggi vedremo scendere in campo Alemanno, il sindaco di Roma, con un terzo documento da mettere ai voti. Di mediazione tra gli altri due. Proporrà di affrontare ad uno ad uno e con calma i temi sollevati da Fini, dedicando a ciascuno una riunione di direzione. Matteoli è d’accordo, Augello pure, così la Meloni, certo la Polverini. Contrarissimi i pasdaran di entrambi gli schieramenti, convinti che sia il caso di farla finita: due galli nel pollaio non possono coabitare, uno è di troppo. Qualche ruolo l’avrà Bossi quando, oggi o domani, vedrà il Cavaliere. Spingerà per la pace con Fini che, scommette il Senatùr, se vuol contare «avrà bisogno della Lega». Così pure Berlusconi. Il quale, confida Bossi allo spagnolo «El Pais», andrebbe volentieri al Quirinale. La conferma è autorevole. Ma c’eravamo arrivati da soli. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e Fini, scontro totale Inserito da: Admin - Aprile 23, 2010, 09:17:47 am 23/4/2010 (7:3) - PDL DIVISO
Berlusconi e Fini, scontro totale Fini dalla platea si alza per replicare a Berlusconi Alla direzione nazionale del Pdl il Cavaliere attacca: se vuoi fare politica dimettiti. La replica: altrimenti che fai, mi cacci? UGO MAGRI Il governo Berlusconi ha le gambe d’argilla perché Gianfranco Fini inaugura l’opposizione più spietata: quella dentro il partito. Il Cavaliere si ritrova un nemico in casa e un avversario elusivo nel Parlamento. Nel Pdl va in scena la guerra civile. Alle 18 e 30, quando 12 membri della direzione su 171 votano contro il documento conclusivo dove si condannano le critiche al Capo e le correnti, crolla l’unanimità di facciata. Già Fini avverte: lui e i suoi saranno leali se si tratterà di mandare avanti il governo. Tuttavia le decisioni andranno prese «negli organismi rappresentativi», non è che Silvio la mattina si sveglia e dà ordini. Sennò si ritrova al Senato o alla Camera una fronda capace di farlo piangere. Nessuno può più sapere che cosa accadrà su giustizia, fisco, federalismo... Si coglie, perfino in un duro come il capogruppo Cicchitto, cautela e preoccupazione per quanto vedremo in futuro. Ovvio che colpisca lo scontro spettacolare, fino alla scena madre: il presidente della Camera che scatta in piedi, va verso Berlusconi e quasi lo bloccano i «body guard». Tifoserie in tripudio, ciascuno dei co-fondatori mostra di avere attributi... Scene di ben altro effetto per chi le guarda da casa. Eppure il premier aveva concepito un piano per imbrigliare Fini, voleva bagnare le polveri dell’avversario prima ancora che salisse alla tribuna degli oratori, nell’Auditorium di via della Conciliazione, a cento passi da San Pietro. Interventi iniziali dei «triumviri»: di Verdini per spiegare quanto grande è stato il trionfo alle Regionali. Di La Russa per negare che Bossi la faccia da padrone. Di Bondi per dare a Fini un assaggio del trattamento in arrivo: accuse di «bizantinismo, smania di autodistruzione, cupio dussolvi». Il Cavaliere stesso (discorsetto introduttivo) aveva fatto intendere che litigare sulle riforme sarebbe stato inutile, quelle della Costituzione «si faranno solo con consenso di tutti», opposizioni comprese, una svolta a 180 gradi. Idem sulla democrazia interna: si faccia un congresso all’anno, che problema c’è? Poi sfilata di ministri per impaniare Fini, da Frattini (Berlusconi non va indebolito all’estero) a Tremonti (mai favorita la Lega con gli aiuti di Stato). Quando il presidente della Camera prende la parola, è quasi l’una. Irride come «puerile» la tattica berlusconiana. Rivendica la «necessità di fare chiarezza». Nega si tratti di «bizze, gelosie» verso il leader. Chiede se «è lecito avere opinioni diverse e organizzate dentro il Pdl». Segnala a Bondi di avere incassato «bastonature mediatiche» dai giornali della famiglia Berlusconi. Sarcastico sulle riforme condivise: l’avesse detto prima, il Cavaliere, si evitavano polemiche. Poi Fini spalanca il pozzo senza fondo della prepotenza leghista, vi attinge a piene mani. Sull’immigrazione richiama i valori cristiani del Ppe contro i medici-spia e quanti vogliono cacciare da scuola i figli dei clandestini. Nega che Tremonti sia montato sul Carroccio. Però segnala che il ministro del rigore si è prodigato sulle quote-latte. E sul federalismo fiscale domanda: va fatto a ogni costo come vuole Bossi? Morale finiana: «Siamo diventati fotocopia della Lega». Prova ne sia la disattenzione per i 150 anni dell’Unità. Berlusconi quasi non si trattiene allorché Fini cestina il programma elettorale: «Scritto in un altra epoca», va ripensato da cima a fondo. Il tappo salta poco dopo. Gianfranco alza il sipario sulle «litigate a quattr’occhi» con Silvio per il processo breve, «un’amnistia mascherata, 600 mila processi che venivano cancellati». Alto tradimento proprio sulla giustizia: il Cavaliere torna al microfono, come una furia. «Mi pare di sognare», è l’esordio. Come si può trattare con chi contesta su tutto? Poi, rivelazione per rivelazione, afferma che «davanti a Letta testimone» Fini si sarebbe detto «pentito» di aver dato vita al Pdl, avrebbe preannunciato un gruppo autonomo. Sugli attacchi di Feltri, risposta standard: io non c’entro, ho detto a mio fratello di vendere il «Giornale». Sulle celebrazioni dell’Unità «non ci stiamo occupando d’altro». La Lega va forte perché loro fanno proseliti anche il sabato e la domenica, mica vanno in vacanza. Bordata conclusiva: «Le sue critiche sono accolte, ma da uomo di partito, non da presidente della Camera». Vuol fare politica? Lasci quella poltrona. Con il durissimo documento conclusivo (i parlamentari non erano ammessi al voto) Berlusconi indica a Fini dov’è la porta, ma Gianfranco non se ne va. Resta per contestare la linea. Nemmeno abbandona la carica istituzionale, minaccia «scintille» in Parlamento. E il Cavaliere non può farci nulla. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini: "Perchè il Pdl sta a guardare?" Inserito da: Admin - Maggio 04, 2010, 10:20:45 pm 4/5/2010 (7:6) - INTERVISTA
Fini: "Perchè il Pdl sta a guardare?" Il cofondatore del Pdl: il nuovo patriottismo non è il Grande Fratello, ma quello degli onesti che vincono sui furbi UGO MAGRI ROMA Pier Ferdinando Casini ha pronta la sua nuova creatura. «Vogliamo creare un partito nuovo, lo faremo entro l’anno», ha annunciato il leader dell’Udc intervistato al Tg1, «che parli il linguaggio della riconciliazione nazionale, dell’unità della nazione». Dunque, ha assicurato, quelle su contatti con Fini o un riavvicinamento con Berlusconi sono «tutte chiacchiere», ha assicurato Casini. «Quello che c’è di vero è che sto dalla parte degli elettori», ha aggiunto, «noi siamo all’opposizione, un’opposizione seria che non vuole più litigi». Perché, ha insistito, questo «è un paese che sta morendo di litigi». Presidente Fini, non le fa un certo effetto il ministro Calderoli che snobba i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia? «Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell’unità nazionale. Però non mi meraviglia affatto». E come mai? «La Lega in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata». La Padania. «Esatto. E dunque non me la prendo con loro». Con chi, allora? «Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario?». L’hanno sottovalutato. «E non sarà, avevo chiesto, perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?». Tuttavia Bondi e Berlusconi già allora le avevano rammentato che il governo si sta rimboccando le maniche... «Ci mancherebbe altro! Do per scontato che le istituzioni siano in prima linea, specie dopo il forte impulso del presidente Napolitano. Non credo di violare un segreto se anticipo che si sta lavorando all’ipotesi di celebrare il centocinquantenario anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato». Sarebbe un momento alto della vita politica. Quindi cosa vuole di più? «Si dà il caso che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l’Unità». Va bene, ma iniziative finalizzate a cosa? Mica potete fare l’album Panini con gli eroi del Risorgimento... «Non c’è dubbio alcuno. La visione più miope e meno produttiva sarebbe quella di tipo museale, a valenza zero specie tra i giovani. Invece l’anniversario va colto come l’occasione perché tutti ci si interroghi su cose molto più serie, su ciò che vuol dire essere italiani. Oggi, non ieri». Perché, il patriottismo non è più quello di una volta? «Lei ci scherza. A me invece piace citare Renan quando diceva: la nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Aggiungo io nel mio libro “Il futuro della libertà”: un progetto in evoluzione continua, è sempre e non è mai». Come vanno celebrati questi centocinquant’anni? «Usando il meno possibile lo specchietto retrovisore e proiettando avanti lo sguardo. Puntando alle sfide del domani, alle riforme strutturali di cui abbiamo così bisogno. Tentando di riconciliare la politica con la società. Non intendo fare polemica inutile...». La polemica non è mai inutile. «E allora: se qui si continua a vivere sul quotidiano, a privilegiare ciò che è contingente rispetto a quanto sarebbe strategico, a rinfacciarsi reciprocamente colpe, torti, omissioni, come possiamo lamentarci poi se il cittadino si sente sempre meno figlio di una stessa comunità nazionale?». E’ quanto afferma, tra le righe, il cardinale Bagnasco... «Dice cose sacrosante. Se vogliamo un futuro condiviso, serve aveve una memoria condivisa, e dà lì individuare ciò che ci unisce». Volando più basso, magari servirebbe anche qualche altro soldino per celebrare degnamente il centocinquantenario. I trentacinque milioni stanziati dal governo sembrano pochi. «Sono un’inezia. Qualcuno l’ha scritto, finirà che verranno spesi solo per tagliare le erbacce intorno ai vari monumenti di Mazzini e di Garibaldi... E’ la prova della miopia di quanti nel mio partito dicono: già stiamo facendo. Ma a me preme soprattutto l’approccio culturale. Io lo capisco, non si può chiedere a un militante della Lega di sentire qualcosa nel petto durante l’Inno di Mameli o davanti a un Tricolore. Do pure atto a Bossi di aver conferito dignità politica a identità municipali e localismi che sono sempre esistiti (da ragazzo, quanto mi appassionavo a leggere «L’Alfiere» di Carlo Alianello, apologia romantica della resistenza borbonica...)». Calderoli sostiene che l’unico modo di unire l’Italia è il federalismo. «Proprio qui sta l’approccio culturale diverso! L’Italia è già unita. Lo è già come risultato di comuni sofferenze, di impeti generosi come sulle trincee del Carso dopo Caporetto, e poi come nella guerra di Liberazione, nella ricostruzione... Il federalismo non serve a unire». A che cosa, allora? «E’ un modo utile per rendere più efficiente la macchina dello Stato. Può rappresentare un valore aggiunto per il Paese». Anche il federalismo fiscale? «Siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere». Torniamo alle celebrazioni, che per Berlusconi vanno bene così e lei vorrebbe farne invece il perno di una riflessione collettiva. «Sì, perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all’indice ogni qualvolta la sollevo». Sostengono che fa scappare i voti verso la Lega. «Ma sollevarla mica vuol dire perdere di vista la difesa della legalità, la lotta all’immigrazione clandestina, la gerarchia dei doveri accanto a quella dei diritti. Significa semmai accorgersi che nei nostri contingenti di pace ci sono tante ragazze e tanti ragazzi i cui genitori non sono nati in Italia. Eppure sono là a rappresentarci in divisa. Se la Patria non coincide più con la terra dei padri, che cos’è la Patria?». Lei, Fini, sta sollevando quesiti di destra... «Ma certo! L’integrazione dei figli e dei nipoti degli immigrati presuppone l’adesione piena a valori più profondi di quelli che può cogliere un esame di lingua. E dirò pure un’altra cosa di destra tra virgolette: se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica. Diritti e doveri, credo che dovremmo tutti quanti rileggere Mazzini. Perché qui a volte si ha l’impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca». Gli esempi, anche in politica, non mancano certo... «Il ceto politico è l’espressione della società, dietro ogni corrotto c’è sempre un corruttore. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l’onestà della disinvoltura. Mi piacerebbe che il Pdl indicasse degli italiani anonimi, gente normale e meritevole, come modelli di riferimento di un nuovo patriottismo: l’artigiano che non evade le tasse, la madre che tira su i figli, i “fessi” che vincono per una volta sul mondo dei “furbi”». Ma il Risorgimento, presidente, che c’entra? «Serve esattamente a parlare di tutto questo» http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54638girata.asp Titolo: UGO MAGRI E Casini ora guarda a destra Inserito da: Admin - Maggio 08, 2010, 03:02:50 pm 8/5/2010 (8:7) - RETROSCENA
E Casini ora guarda a destra Prove di dialogo del leader Udc: senza Cavaliere, ma con l'asse Tremonti-Lega UGO MAGRI ROMA Per capire le trame del Palazzo, è sempre utile mettersi sulle tracce della volpe Casini. La quale, da svariati giorni, sta dandosi un gran daffare. Come se qualcosa di grosso sia lì lì per succedere, e lei voglia prepararsi a fronteggiare l’evento. Di che si tratta? Se si dà retta a una conversazione con Franceschini, captata senza fatica dai cronisti alla Camera, il leader Udc immagina che le contraddizioni dentro il governo possano esplodere fino al punto da trascinare l’Italia alle elezioni anticipate. Viste non come una liberazione dal Tiranno, ma come un baratro, perché in campagna elettorale Berlusconi non ha rivali: l’ha appena dimostrato alle Regionali, meglio non riprovarci subito con le Politiche. E allora, suggerisce Casini al capogruppo Pd, «studiamo insieme qualche strategia per non farci cogliere alla sprovvista come due anni fa, quando non avevamo neppure una carta di riserva per evitare le urne». Un governo ponte, una formula di solidarietà, qualunque cosa tranne che stare fermi in attesa del temporale. Fin qui sembra l’esperto Casini che spalanca l’ombrello in anticipo. Poi c’è Pier Furby, fratello gemello di Pier Ferdinando, il quale teme la sorte prematura del governo, però nemmeno esclude che per i prossimi tre anni non succeda un bel nulla: vuoi perché la fronda finiana non andrà da nessuna parte, vuoi perché la nuova Tangentopoli deluderà le attese dei più catastrofisti. Ecco allora il medesimo Casini impegnato a studiare la tattica di sopravvivenza in vista della traversata del deserto che può attendere l’Udc di qui al 2013. Ed è l’aspetto politicamente più interessante, in quanto tale tattica non esclude nulla, nemmeno una ripresa di rapporti serrati col Cavaliere. Iniziando subito da temi specifici. Il pretesto, che tale andrebbe considerato se non fosse un caso talmente serio, lo dà la Grecia. Per Casini siamo a un punto di svolta, «con la speculazione che prende di mira l’Europa è necessario che la politica italiana risponda con un supplemento di responsabilità nazionale, dia la prova di lavorare insieme per superare le difficoltà». Un soccorso al governo, una mano tesa a Berlusconi, troppo in crisi per ignorarla. Pentito di avere sbattuto l’Udc all’opposizione? Il Cavaliere di rado ammette gli strafalcioni, però l’orgogliosa presunzione del predellino sembra svanita. E difatti: Cicchitto subito apprezza lo «spirito costruttivo» dell’Udc, La Russa esorta a «mai dire mai». Raccontano che Berlusconi non veda l’ora di accoppare il vitello grasso per far festa al «figliol prodigo» Casini. Ma siccome è un campione di astuzia democristiana, il leader centrista sceglie per ora un altro interlocutore, diverso dal Cavaliere, il cui peso sta crescendo a dismisura sulla bilancia politica, cioè Tremonti. L’altro pomeriggio, mentre il ministro dell’Economia illustrava il piano per la Grecia, sui banchi del Pdl erano in tre ad escoltarlo. L’Udc, invece, a ranghi compatti. Per applaudire colui che Bossi definisce «il nostro salvatore», e Berlusconi considera scherzando «un po’ troppo leghista». Già, perché pure con la Lega Casini ha aperto un fronte di dialogo. Al punto che nei prossimi giorni Calderoli romperà gli indugi e andrà a trovarlo. Parleranno di federalismo fiscale e, giacché ci sono, di scenari futuri. «La fase della contrapposizione ideologica è finita», proclama il leader Udc. Da cosa può nascere cosa. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54762girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il presidente della Camera: disponibile solo a incontri ufficiali Inserito da: Admin - Maggio 14, 2010, 06:08:16 pm 12/5/2010 (7:50) - TENTATIVI DI MEDIAZIONE
Fini dice no agli ambasciatori di Berlusconi Il Pdl designa Verdini per trattare Il presidente della Camera freddo: disponibile solo a incontri ufficiali UGO MAGRI ROMA La trattativa tra Berlusconi e Fini nemmeno fa in tempo a riprendere, che già è in panne. Sospetti, gelosie, veti incrociati: il Pdl ripiomba nel caos. Colpa di un incontro segretissimo, quattro ambasciatori del premier (Letta, Verdini, Cicchitto e Ghedini) attesi ieri pomeriggio dal presidente della Camera per discutere una possibile tregua tra i due separati in casa. Il fatto di parlarsi, sia pure tramite intermediari, sembra già buon segno. Poi però qualcosa va storto, qualcuno chiacchiera troppo, forse per malizia. Tutti i riflettori si accendono sull’incontro, il segreto rimane solo per Pulcinella, chi non fa parte della delegazione comincia a rumoreggiare. In particolare piantano la grana quelli ex di An passati col Cavaliere (Alemanno, Gasparri, Matteoli, La Russa). Si sentono umiliati. Proprio loro, che hanno organizzato la resistenza contro Fini. «Ma come», gridano al premier, «noi ti abbiamo fatto scudo, e tu ci tagli fuori dal negoziato?». Temono che il caro Silvio, per non trovarsi col fianco parlamentare scoperto, sia pronto a usarli come merce di scambio. Circola voce che il prezzo dell’intesa con Fini, qualora mai fosse raggiunta, sarebbe la testa di La Russa, oggi ministro e pure «triumviro» del Pdl. A una delle due cariche dovrebbe rinunciare, si immagina quella di partito perché Berlusconi è già alle prese con la sostituzione di Scajola (Romani sembra il predestinato, ma il premier si attende suggerimenti dagli industriali). Scoppia dunque la rivolta dei pretoriani. Trattare con Fini in queste condizioni non è possibile. Berlusconi ordina di rinviare a oggi l’incontro, i suoi emissari inventano una scusa qualunque. Poi, durante una tragica riunione serale con lo stato maggiore, il Cavaliere perde la pazienza, con Fini tratterà il solo Verdini a nome dei tre coordinatori Pdl, così nessuno si offende. Senonché il presidente della Camera quando è notte fa sapere che non ci sta: lui vuole la sconfessione pubblica di coloro che l’hanno tradito. E’ la pre-condizione di ogni colloquio. Per cui niente Verdini. Se il Cavaliere vuole chiarirsi con lui venga direttamente, eviti di mandargli degli emissari, specie di nascosto. Non è detto che Berlusconi si tiri indietro. C’è un bel contrasto tra quanto lui dice e come poi si regola concretamente. Parla con i fedelissimi e ostenta spavalderia: «Il governo va avanti con le sue riforme, quello che contano sono i numeri in Parlamento, la nostra maggioranza è salda...». Sembra una porta in faccia a Fini ma anche all’Udc che propone formule emergenziali, di Casini il Cavaliere non sa che farsi. Poi però c’è l’altro Berlusconi. Quello pragmatico. Molto prudente. E assai preoccupato. Che cerca di rammendare gli strappi o, se l’immagine non garba, di puntellare il suo potere fin qui assoluto. Ieri, ad esempio, proprio mentre snobbava a parole i centristi, Berlusconi dava il via libera all’intesa della Polverini con l’Udc nel Lazio. A costo di mortificare qualche legittima aspirazione nel Pdl. Gli ex-dc avranno due assessorati, sull’altare dell’intesa vedremo molto probabilmente il sacrificio di Cicchetti (area Gasparri) e di Battistoni (giro Tajani). La morale? Con Casini, e a maggior ragione con Fini, il Cavaliere non disdegna affatto le intese. Potrebbero fargli troppo comodo, specie se fossero vere le chiachiere di nuove tegole giudiziarie in arrivo, che continuano a circolare alla Camera, in Senato, perfino nelle alte sfere del Csm. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54897girata.asp Titolo: UGO MAGRI I due premier, Palazzo Chigi inscena la diarchia Berlusconi-Tremonti Inserito da: Admin - Maggio 27, 2010, 06:11:40 pm 27/5/2010 (7:5) - RETROSCENA
I due premier, Palazzo Chigi inscena la diarchia Berlusconi-Tremonti Ma negli occhi del Cavaliere qualche lampo d'insofferenza UGO MAGRI ROMA Ora lo sappiamo, a comandare in Italia sono in due: Berlusconi e Tremonti. Per effetto dell’emergenza, forse il secondo più del primo. E non inganni la deferenza esibita nei confronti del premier nella conferenza stampa, la modestia ostentata dal ministro davanti alle telecamere, quel suo ripetere educato che la manovra è tutta del Cavaliere, lui l’ha anticipata a Barroso ricevendone disco verde, lui se ne assume la responsabilità dinanzi al Paese... Proprio quest’insistenza sincera, questa premura di Tremonti nel consegnare a Cesare quel che è di Cesare, fotografa i nuovi veri rapporti di forza nel governo e nella maggioranza. Dove regna ormai la Diarchia. O, se si preferisce, il Consolato: Giulio e Silvio. Al tavolo della sala stampa neo-barocca, ristrutturata dall’imprenditore Anemone con mezzi inversamente proporzionali allo spazio disponibile, ci sono loro due e basta. Cinque sedie vuote, Tremonti seduto alla destra del Padre. In prima fila, a godersi lo spettacolo, Paolino Bonaiuti e l’aiutante di campo del ministro, Marco Milanese. Manca Gianni Letta, assente Sacconi (però elogiato più volte dal collega dell’Economia), nessuna traccia di La Russa, Matteoli, Frattini, Calderoli, Rotondi, la Prestigiacomo... Bisogna parlare al Paese, fuori i secondi. La scena è tutta per la strana coppia. Con Berlusconi che esordisce leggendo un preambolo difensivo, quasi un mettere le mani avanti: «E’ stato giocoforza prendere queste misure», si giustifica, «perlomeno non abbiamo aumentato le tasse», «comunque abbiamo tagliato meno degli altri», «i dipendenti pubblici pagano il dazio ma negli anni scorsi avevano avuto di più». Parole studiate apposta per i tigì, ma in sala l’effetto viene guastato dal microfono che fa eco, sembra di ascoltare Radio Londra. Berlusconi nega dissapori con Tremonti, si dichiara «disperato» per ciò che legge sui giornali malvagi. Grande, consumato attore, il premier lo ringrazia e ri-ringrazia, medaglia pure a chi lo ha coadiuvato nell’impresa. Al termine della conferenza stampa prende il ministro sottobraccio per posare davanti ai flash come si conviene in un momento del genere, siamo o non siamo a un «tornante della Storia»? Sembrerebbe il trionfo dell’armonia. Ogni volta il ministro si appella all’autorità del premier, «come ha detto il presidente», o «come vi dirà tra poco». Non fa in tempo a spendere una battuta colta e spiritosa delle sue che già Berlusconi sorride, mostrando di saperla già, tale è la consuetudine. Ma poi si colgono certi lampi negli occhi del Cavaliere, alcuni piccoli tic di insofferenza. L’orgoglio del leader abituato a comandare in solitudine, senza mediazioni, balza fuori appena Giulio cita il programma di governo: «L’abbiamo scritto in due!», scatta il premier. O quando ricorda che l’Europa «è stata salvata da questi signori», e addita loro due, «se non intervenivamo noi era probabile una crisi rilevantissima», altro che la Merkel «sotto lo choc di elezioni perse», e comunque non è solo merito del bravo Giulio. Nonostante lo sforzo di sembrare Bibì e Bibò, le distanze emergono prepotenti. A cominciare dalla tracciabilità dei soldi dove ogni maquillage è superfluo: per Berlusconi pagare cash resta un atto di libertà, «ci sono spese delle volte che uno preferisce effettuare in contanti», meglio non indagare quali, laddove per Tremonti siamo figli dell’arretratezza, «in altri Paesi se tiri fuori le banconote chiamano l’Fbi», qui in Italia siamo assuefatti così. Ancora: il ministro è tutto orgoglioso dei giudizi dall’estero, gli applausi dell’Europa, dei mercati, delle società di rating per questo show di rigore. Il premier annuisce, però poi insiste che la salvezza sarà la ripresa, altro che i tagli, e la crescita grazie a Dio sta arrivando. Chi conosce l’uomo Berlusconi mette in guardia: la coabitazione sua con Tremonti, tra il premier di oggi e (forse) quello di domani, non può durare. Sarà un caso, ma proprio ieri il Cavaliere ha mandato messaggi di pace al terzo incomodo, cioè Fini. Con la scusa della legge sulle intercettazioni, ha convocato Augello (capo della fronda in Senato) e nientemeno che quel Bocchino di cui voleva sbarazzarsi a qualunque costo. I due si sono stretti la mano, come se nulla fosse, da veri professionisti della politica. Ma il punto non è questo: mancavano i tre coordinatori nazionali del Pdl, tenuti fuori dalla trattativa. Brutto segnale per loro, e devono essersi lamentati dell’esclusione col Capo, perché Ghedini ha dovuto smentire l’incontro con Berlusconi, è stato solo uno scambio tecnico tra giuristi (sebbene Augello e Bocchino giuristi non siano). Difatti a Palazzo Grazioli sono andati, eccome, in veste di ambasciatori. Per preparare l’incontro con Fini entro la prossima direzione nazionale del partito, tempo quindici giorni. La pace nel Pdl è matura, litigare ha danneggiato entrambi i galli del pollaio. Più deboli davanti a Tremonti, disarmati davanti a una manovra contro Roma, gli statali e il Sud, che fa sognare la Lega. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55397girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi irritato: "E' un voltafaccia" Inserito da: Admin - Giugno 15, 2010, 09:30:02 am 15/6/2010 (7:23) - IL CASO
Berlusconi irritato: "E' un voltafaccia" Il premier vuole stringere i tempi ma non si fida del cofondatore UGO MAGRI ROMA Il Pdl insiste, e che altro potrebbe fare? Arrendersi senza combattere? Se non altro, deve salvare la faccia. Non si possono rinviare all’autunno le intercettazioni dopo tutto il diavolo a quattro. Ecco perché Cicchitto e Gasparri tornano alla carica con Fini, «la legge va approvata senza ulteriori rinvii, già se n’è discusso abbastanza»... Ed è normale che al presidente della Camera venga rinfacciato l’accordo di sette giorni fa, quando l’Ufficio di presidenza del partito decise (tutti d’accordo) di procedere col testo che ai finiani adesso va stretto. Berlusconi è rintanato nella villa di Arcore, reduce dalla doppia trasferta domenicale in Bulgaria e in Libia (a Milano è sbarcato alle quattro del mattino). Lo raccontano irritato, alcuni sostengono fuori di sé contro il «voltafaccia» del cofondatore, e giurano che questa è la prova, con Fini stipulare intese è impossibile perché lui se le rimangia sotto la pressione del Quirinale e della sinistra. Dove Bersani annuncia che, in caso di forzatura, il Pdl «non sa a cosa va incontro». E Di Pietro già indica il sito web internazionale su cui verranno pubblicate le intercettazioni fuorilegge. Dunque Costa, capogruppo berlusconiano nella commissione giustizia della Camera, si batterà come un leone per mettere le intercettazioni all’ordine del giorno. E Cicchitto, presidente dei deputati Pdl, userà tutte le armi concesse dai Regolamenti per portare subito la legge in Aula, e approvarla così com’è magari grazie a un voto di fiducia. Ma sono assalti senza speranza: sul calendario dei lavori l’ultima parola spetta al Presidente che, protesta Osvaldo Napoli, fa un uso molto politico e poco istituzionale dei suoi poteri. Già si conosce la risposta di Fini: per le intercettazioni non c’è fretta, prima si discuta la manovra dei sacrifici, quella sì che è davvero urgente. Quindici giorni se ne andranno dunque sulle misure economiche. E a fine luglio Berlusconi, con il suo stato maggiore, si troverà di fronte al dilemma: affrontare lo scontro in aula con una quota di deputati che pensano già alle vacanze, o rinviare davvero tutto a settembre, dando l’impressione di cedere a Fini? Sfidare il presidente della Camera fino al punto di mettere la fiducia, o affrontare il «Vietnam» delle votazioni articolo per articolo? Un bel pasticcio. Che qualche libero pensatore dell’entourage berlusconiano non fatica ad ammettere. Individuando pure il peccato d’origine, vale a dire l’incapacità del Cavaliere di definire una linea chiara e coerente nei confronti di Fini (ma pure di Tremonti, ma pure di Casini). Se si vuole la pace, pace. Se dev’essere guerra, guerra. Non questa condizione di perenne malsano equivoco, in cui la testa suggerisce al premier l’urgenza di una tregua e la pancia gli vieta di firmarla. Per settimane Letta e Verdini, incaricati della trattativa con Fini, hanno atteso il via libera dal leader, mai arrivata però. E da giorni sul tavolo di Berlusconi ci sono alcuni fogli divisi per argomenti: le intercettazioni, la giustizia, le riforme, il partito... Sono le basi della possibile intesa dentro il partito. Di sicuro Gianfranco ha dato il suo benestare, manca quello di Silvio. Il quale ci pensa su, tergiversa, perché come ogni accordo pure quello con Fini comporta delle rinunce, e Berlusconi rifiuta di pagare il prezzo. Nello stesso tempo, esita a sferrare l’offensiva finale. Qualcuno dei più assatanati tra i suoi scommette che il Cavaliere perderà la pazienza. E se Fini rinvierà l’approvazione della legge, lui convocherà gli organi del partito per accusarlo di alto tradimento. L’umore, ieri sera, era battagliero. Domani nessuno può dirlo. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55917girata.asp Titolo: UGO MAGRI Bossi vede Fini: "Serve l'intesa con il Quirinale" Inserito da: Admin - Giugno 18, 2010, 05:05:13 pm 18/6/2010 (7:33) - INTERCETTAZIONI - DOPO IL RINVIO
Bossi vede Fini: "Serve l'intesa con il Quirinale" Berlusconi indeciso se abbandonare definitivamente la legge UGO MAGRI ROMA Da certi musi lunghi a Palazzo Chigi si capisce che non è andata come doveva. Gianni Letta il tentativo lo ha fatto, non con il Capo dello Stato direttamente ma con i suoi collaboratori più fidati. Per capire se davvero Napolitano è orientato (così sostengono dalle parti di Fini) a bocciare la legge sulle intercettazioni nella versione attuale. E poi per farsi suggerire qualche eventuale modifica che plachi il Presidente. Invano, però. L’Ambasciatore pare non abbia cavato un ragno dal buco. Lassù gli hanno detto chiaro e tondo di lasciarli perdere, il Colle giudicherà la legge solo alla fine del percorso, il primo cittadino della Repubblica non vuole essere coinvolto nella rissa interna al Pdl dove si scaricano rancori personali insormontabili. Se la veda il Cavaliere direttamente con Fini, e magari pure con Bossi. Già, perché quei due adesso vanno a braccetto. Sarebbe stato istruttivo cogliere l’espressione del premier, quando il portavoce Bonaiuti gli ha riferito che Gianfranco e Umberto hanno confabulato per venti minuti alla Camera. Purtroppo Berlusconi era a Bruxelles, assorbito dal Consiglio europeo, tra l’altro imbestialito con quei giornali che tutte le mattine gli pubblicano tra virgolette lenzuolate di confidenze, vere o presunte. Insomma, lo stato d’animo si può solo intuire. E’ quello del duce accerchiato. Tradito da tutti. Attaccato perfino da Radio Vaticana, dove un docente universitario cattolico manda all’inferno la legge sulle intercettazioni in quanto contraria alla dottrina della fede... Ma quello che più brucia al Cavaliere è il faccia a faccia tra Fini e Bossi, a ruota dell’altro tra Fini e Tremonti. Nato, stavolta, per puro caso. Il presidente della Camera ha visto Bossi in Aula (così raccontano i rispettivi staff) e gli si è avvicinato per ringraziarlo di certe aperture amichevoli del giorno prima. Il Senatùr ne avrebbe profittato al volo: «Parliamo un attimo delle intercettazioni. Io sono preoccupato...». La sostanza è che di perplessità sulla legge la Lega ne ha una sporta piena. Sono quante quelle di Fini o poco ci manca. Sospettano i berlusconiani che Bossi, «istigato» dal ministro Maroni, non voglia cedere al presidente della Camera la bandiera della legalità. Qualunque sia la ragione, Umberto si nasconde anche lui dietro Napolitano: «Se il Presidente della Repubblica non firma la legge siamo fregati», dichiara ai media. Quindi occorre «parlare col Quirinale e con Berlusconi per trovare una via d’uscita», di sicuro «se si va a testa bassa non si risolvono le cose», capito Silvio? Inutile tentare forzature, tipo approvazione in agosto con voto di fiducia. La Lega non ci starebbe. Ammettono alti dignitari del premier che, a questo punto, gli restano solo due strade. O Silvio accetta la lunga lista di modifiche indicate da Fini, nel qual caso la legge sulle intercettazioni passa in un batter d’occhi. Oppure, con la scusa di rinviare la discussione a settembre perché c’è altro più urgente, chiude la legge in un cassetto e getta via la chiave. Ogni soluzione ha vantaggi e svantaggi. Nel primo caso il Cavaliere, sconfitto, metterebbe la firma a un testo che non riconosce come figlio suo, però sempre meglio di zero. Nel secondo caso, Berlusconi non avrebbe scudo contro le intercettazioni future, però potrebbe rivolgersi all’Italia: «Vedete? Ho le mani legate» (secondo l’agenzia Agi già lo va dicendo in giro). E ancora: «In questo Paese le riforme sono diventate impossibili». Scaricandone la colpa sul «dannoso» Fini, ovviamente, ma anche su Napolitano e, perché no, sull’egoismo della Lega. Al momento, non risulta che Berlusconi abbia chiaro il da farsi. Prende tempo, quello sì. E aspetta scettico che Verdini, Quagliariello e La Russa incontrino la prossima settimana Bocchino e Augello (gli emissari di Fini) per cercare l’ennesima tregua. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55994girata.asp Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, il premier in ritirata Inserito da: Admin - Giugno 23, 2010, 05:52:50 pm 23/6/2010 (7:35) - RETROSCENA
Intercettazioni, il premier in ritirata «Salvare il salvabile»: Berlusconi apre la trattativa con il Colle UGO MAGRI Sulla manovra: «Parlatene con Tremonti». Sulle intercettazioni: «Vedetevela voi». Su Fini: «Fate quello che vi pare, ma tenetemi fuori». Berlusconi con la valigia pronta per la tournèe in Sudamerica (e forse per questo motivo di umore radioso) scarica sui fedelissimi tutte le grane. E quelle di cui non può liberarsi ora, tipo la lunga marcia del Pdl verso il congresso, le scaccia con un gesto di fastidio ad agosto, «intanto voi cominciate a pensarci, ne parleremo poi...». Come se il grande disordine sotto il cielo non riguardasse lui. Dove si è nascosto il Cavaliere iper-attivo, decisionista? Se lo chiedono i suoi scudieri, preoccupati da questo inedito «laissez-faire» berlusconiano. Qualcuno lo definisce «realismo» perché in fondo Silvio non può impedire a Bossi e a Fini di azzuffarsi come ieri sulla Padania. Deve allargare le braccia davanti alle impuntature di Tremonti («Abbiamo viaggiato insieme in aereo», racconta il Capo del governo, «e mi ha descritto un quadro poco rassicurante, grandi correzioni alla manovra non saranno possibili»). Né Berlusconi può costringere Napolitano a firmare leggi contrarie alla Costituzione. Il risultato del pranzo a Palazzo Grazioli con i triumviri (Bondi, La Russa, Verdini), i capigruppo (Cicchitto, Gasparri, più il «vicario» Quagliariello), i giuristi (Alfano e Ghedini) e le «zie» (Letta, il portavoce Bonaiuti) si riassume in questa lenta deriva fatalista, quasi zen. Si prendano le intercettazioni: siamo alla ritirata. L’obiettivo diventa «chiudere il più presto possibile», accettando le correzioni del caso. L’interlocutore sarà Napolitano, come Bossi suggerisce. E a trattare col Quirinale provvederà il ministro della Giustizia. Riservatamente, perché il Capo dello Stato non vuole mercanteggiare, già sarà molto strappargli suggerimenti concreti. Ma le riserve del Colle sono note, spaziano dalla proroga ai magistrati, che verrebbero costretti a rinnovare la richiesta ogni 72 ore, fino ai divieti di pubblicare sui giornali addirittura le intercettazioni non più segretate, passando per i cosiddetti reati-spia, per gli ascolti «ambientali», per la responsabilità oggettiva a carico degli editori. Berlusconi dà carta bianca ad Alfano nella speranza di chiudere entro la prima settimana di agosto ed da evitarsi un’altra estate caliente sulla graticola del gossip. Ma se per caso la quarta lettura al Senato non arrivasse in tempo, allora pazienza: l’importante è comunque «salvare il salvabile», riconosce Silvio deluso e distratto. Idem sui rapporti con Fini. Si coglie una noia nella sua intervista a «Oggi» dove, insieme alle foto con la prima moglie Carla Dall’Oglio tornata in auge, Berlusconi parla del matrimonio politico con Gianfranco, («Fare la pace? Mai stato in guerra con nessuno»), e quasi invoca una tregua «senza strappi, senza inutili provocazioni quotidiane, senza uno stillicidio di polemiche continue». Ma lui per primo sa che non c’è verso: Fini non mollerà, anzi cercherà di rubargli consensi nel Pdl dicendo cose «di destra» sulla Patria, contro la Lega, sfruttando un sentimento diffuso dentro il partito. Per cui va bene trattare col presidente della Camera, però da Fini si rechino come Magi i tre coordinatori nazionali. Se la sbrighino loro che rappresentano la maggioranza del partito: Berlusconi non ha niente in contrario, però lui domani deve partire, Canada, Brasile, Panama, e la villa privata ad Antigua... http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/56130girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi contro le Regioni Inserito da: Admin - Luglio 01, 2010, 10:29:36 pm 28/6/2010 (8:36) - RETROSCENA
Berlusconi contro le Regioni «Adesso basta sprecare soldi» UGO MAGRI TORONTO Il gesto con le due mani congiunte è inequivocabile, Totò l’avrebbe accompagnato col suo celebre «ma mi faccia il piacere...». Solo che stavolta non si tratta del grande attore comico, bensì di Giulio Tremonti. Il quale non crede affatto che l’impegno appena sottoscrito dai Venti nella dichiarazione finale (dimezzare i deficit entro il 2013, stabilizzare o ridurre il rapporto debito-Pil entro il 2016) sia legge scolpita nel marmo. «Grandi obiettivi, grandi traguardi internazionali», glissa sorridendo. Berlusconi è d’accordo col suo ministro, il testo conclusivo G20 pecca di «ottimismo», ma in fondo se si vuole ottenere un risultato, spiega, occorre mirare sempre parecchio in alto, altrimenti non si porta a casa niente... E per l’Italia, chiedono al premier nella conferenza stampa di bilancio del summit, questo impegno che cosa cambia? «È presto per dirlo adesso - taglia corto il Cavaliere -, ora mettiamoci di buzzo buono per raggiungere il 3% di rapporto deficit-Pil che chiede giustamente l’Europa entro il 2012», poi si vedrà. Piuttosto, stiano attente le Regioni in rivolta contro la manovra dei sacrifici varata dal governo: Berlusconi sembra determinato a procedere come un panzer. Premette che «dovremo rassegnarci a diminuire le spese», per poi lanciare l’affondo: «Chi ha la responsabilità delle Regioni difende lo status quo, perché molto spesso si tratta di abolire enti e quindi di persone che dovranno trovarsi un altro lavoro». Scelte dolorose, riconosce il premier, salvo mulinare il randello sulla testa di Formigoni, Cota e gli altri governatori ribelli: «Non si può andare avanti così, a sprecare i soldi dei cittadini», esclama con l’aria scandalizzata. L’esito del G20 ha nell’insieme soddisfatto il premier, che rimarca con gioia la vittoria della propria tesi contrapposta a quella della Merkel. Poteva forse evitare questa sottolineatura, tuttavia davanti a taccuini e telecamere il Cavaliere non resiste. «La nostra posizione contraria alla tassazione delle transazioni finanziarie è stata confermata», nonostante vi fosse stata «un’espressa richiesta del Cancelliere tedesco perché l’Europa l’introducesse, anche da sola». Un braccio di ferro perso dalla Germania: «Ero stato buon profeta nel prevedere che nella dichiarazione conclusiva non ci sarebbe stato riferimento a questa tassazione». Così è andata, si compiace il premier. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/56244girata.asp Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, i falchi del Cavaliere: "Ora è guerra col Colle... Inserito da: Admin - Luglio 02, 2010, 09:44:17 pm 2/7/2010 (7:18) - RETROSCENA
Intercettazioni, i falchi del Cavaliere: "Ora è guerra col Colle. Fini si adegui" Ghedini guida l'attacco, le colombe all'angolo. Scontro tra il presidente della Camera e Bondi UGO MAGRI ROMA Napolitano ci dichiara guerra e guerra avrà», si lanciano baldanzosi nella mischia i falchi berlusconiani, quelli che «sulle intercettazioni non cambieremo una virgola», che «o Fini si adegua o verrà cacciato dal Pdl». Non aspettavano altro per suonare la diana della riscossa. Anzi, se si dà retta ai diretti protagonisti, un po’ questo scontro col Colle l’hanno proprio cercato, certi di interpretare gli umori viscerali del Cavaliere, loro santo patrono. Ghedini, per esempio: l’altro giorno era stato visto confabulare ore e ore alla Camera con il centrista Vietti, di cui si parla come possibile candidato per il Csm. Poi a sera, forse immaginando di aver acquisito qualche fantomatico appoggio Udc, ecco l’avvocato del premier dettare la linea dura, eccolo stabilire nella Consulta giuridica che il ddl intercettazioni resterà com’è, e magari alla Camera ci si metterà pure su la fiducia... Uno sgarbo a Napolitano, il quale ne ha preso atto col rammarico tipico di tutti gli esseri umani. Sia guerra, dunque. Sfidando il Colle fino alle conseguenze più estreme. Perché niente e nessuno sembra frenare la deriva muscolare del berlusconismo. Bastonate le rare «colombe» alla Letta, sistemati anche i «realisti», quelli per cui la politica è una scienza esatta, due più due fa ancora quattro e sulle intercettazioni il governo rischia di brutto, i venti di crisi tornano a soffiare impetuosi: se la maggioranza si sfalda nel voto alla Camera, potrebbe nascere ad esempio un governo tecnico. Perché correre questo rischio? Se lo domandano in «camera caritatis» coordinatori, capigruppo, vicecapigruppo, in pratica l’intero nucleo dirigente del Pdl. Dopo l’ultimo avvertimento di Napolitano, tornano in auge gli scenari catastrofisti. Eppure non c’è verso, lamentano gli ultimi «moderati» dentro il Pdl: lo scontro istituzionale sembra scritto nel libro del destino. E il rammarico dei «trattativisti» è proprio che il Presidente della Repubblica, ai loro occhi è chiaro, sia caduto nella «provocazione» dei Ghedini. Abbia commesso (così si sfoga un personaggio autorevole del Pdl) «il primo vero passo falso in una gestione della vicenda per altri versi impeccabile». Perché, dicono sempre i negoziatori sconfitti, sotto sotto si stava cercando un dialogo col presidente della Repubblica e con quello della Camera, sulle intercettazioni ma non solo. Ieri mattina s’erano visti due emissari finiani (Bocchino e Augello) con la delegazione del Cavaliere composta dai «tre porcellini» (come vengono affettuosamente chiamati nel Pdl i coordinatori Bondi, Verdini e La Russa). Un colloquio per gettare le basi del chiarimento tra Silvio e Gianfranco, con l’impegno a rivedersi altre due-tre volte entro la metà di luglio. Non era andata poi così male. Chi era presente racconta di timide reciproche aperture, fermo restando il nodo delle intercettazioni, madre di tutte le discordie interne del Pdl. Poi però è piombata da Malta la «bomba» Napolitano. «Non me l’aspettavo», sussurra fuggendo via alla Camera il presidente dei deputati Pdl Cicchitto. Era stato lui, con il sostegno del senatore Quagliariello, a battersi per anticipare la discussione della manovra economica, proprio come sollecitava il Colle. Perfino la decisione di portare in Aula le intercettazioni il 29 luglio, che Fini e il Quirinale hanno vissuto come una inutile forzatura, era stata presa con l’occhio rivolto ai Regolamenti parlamentari dove si pretende un certo anticipo, se si vogliono contingentare i tempi di approvazione magari non ad agosto, ma a settembre: «Tutte cose che al Quirinale dovrebbero ben sapere...». Per farla breve, Cicchitto ha replicato a Napolitano con gli argomenti appena descritti, facendo precedere la dichiarazione da una telefonata al premier, appena atterrato da Panama a Ciampino. Poco dopo, ciliegina sulla torta, Fini e Bondi si sono presi a male parole in un convegno. Cosicché la giornata, che doveva segnare l’alba del nuovo dialogo, è finita a torte in faccia. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56392girata.asp Titolo: UGO MAGRI Premier a due facce. Duro con Fini, elastico con il Colle Inserito da: Admin - Luglio 03, 2010, 04:11:38 pm 3/7/2010 (7:38) - RETROSCENA
Premier a due facce. Duro con Fini, elastico con il Colle E ai suoi: adesso pretendo il cambio di passo UGO MAGRI ROMA Nulla regge più. Reduce dalle Americhe, il Cavaliere ha impiegato un attimo a rendersi conto. Uno dopo l’altro, si sbriciolano i bastioni della fortezza berlusconiana. Svanita la certezza di una maggioranza parlamentare, c’è bisogno che ogni giorno Fini ne certifichi l’esistenza in vita. L’asse con la Lega è tarlato, la nomina del ministro Brancher semina discordia perfino nel partito di Bossi. E ancora: i governatori di centrodestra (quanta fatica per farli eleggere) sono in rivolta contro la manovra dei sacrifici, accontentarli è impossibile perché Tremonti lo vieta. Dilaga nel Palazzo la percezione di un Berlusconi preso in mezzo, condannato all’inconcludenza per i prossimi tre anni: la raccoglie addirittura dalla Germania il quotidiano conservatore «Handelsblatt», Silvio resta un mito però di questo passo... Urge un colpo d’ala. E la raffica di interviste serali del premier, dal Tg1 di Minzolini a RadioRai di Preziosi, intende comunicare due cose all’Italia. La prima: non si creda ai soliti giornali comunisti che hanno provato a trasformare la missione internazionale del premier in un’allegra vacanza brasileira, tra bionde assistenti e ballerine oba-oba. E’ l’esatto contrario, alle imprese italiane Berlusconi è convinto di aver spalancato le porte dell’Eldorado. Secondo messaggio urbi et orbi: aspettatevi un cambio di passo. Della serie: «Ho capito, così non va, serve una reazione, adesso vedo e provvedo». Non fra un anno o un mese, ma «subito», precisa il consigliere-portavoce Bonaiuti. Chi ha occasione di parlare col premier, è colpito in queste ore dal suo tono di voce, per niente giocoso anzi insolitamente grave e determinato. «Sto per prendere delle decisioni importanti», ripete, «a breve le annuncerò e ne darò conto ampiamente». Clima da vigilia che cambierà il corso degli eventi. E mistero assoluto su quanto dobbiamo attenderci. Per la prima volta da che esiste il Popolo della libertà pochissimo filtra da un vertice con lo stato maggiore, presenti tutti i protagonisti eccezion fatta per Bondi (reduce dalla pubblica lite con Fini) e Ghedini (parecchio irriverente col Quirinale). Non si fatica a immaginare Bocchino e gli altri oppositori interni con l’orecchio teso per captare notizie, indiscrezioni dal summit. Zero notizie anche loro, solo cellulari spenti, segreterie telefoniche, tutto molto, molto strano. Sembra quasi un clima creato ad arte. Risulta comunque che due piani vadano tenuti ben distinti nella strategia del Cavaliere. Una cosa è Fini, altra cosa completamente diversa dev’essere Napolitano. Il primo, cioè Gianfranco, Berlusconi nemmeno lo vuole considerare. Per lui è morto e sepolto. Lascia che se ne occupino i coordinatori, vedano loro come regolarsi nelle trattative con la minoranza, purché lo tengano fuori «tale è il mio disgusto». Butta davvero male, se pure Cicchitto (cui non dispiacerebbe ricucire con Fini) comincia a prospettare seriamente l’ipotesi di una «separazione consensuale», comunque preferibile a questa lite senza costrutto. Su Napolitano, viceversa, massima concentrazione del premier. L’unico dignitario berlusconiano che accetta di parlare, naturalmente anonimo, la mette così: «Berlusconi non vuole rompere con il Colle, però sulle intercettazioni sbaglia chi immagina che chinerà la testa. Col Quirinale cercherà un chiarimento vincolante e definitivo, ha in mente un’uscita per mettere tutti con le spalle al muro. Come? Prenderà iniziative autonome, prepara un colpo di teatro... All’Ufficio di presidenza del partito convocato mercoledì? No, non così tardi. La sua intenzione è di muoversi prima, tra lunedì e martedì». Un weekend di riflessione, e poi lancia in resta. Difficile che un personaggio tutto d’un pezzo come Napolitano si lasci forzare la mano dal premier. Se Berlusconi pretenderà garanzie preventive sulla controfirma presidenziale, rischia di andare a sbattere. Non è malizioso ricordare che certe cariche a testa bassa sono lanciate apposta per nascondere le ritirate (il Cavaliere non ha rivali in materia). Più ragionevole immaginare un altro scenario, di trattativa responsabile tra istituzioni. Un negoziato dove per forza tornerà in ballo la posizione di Brancher, nominato ministro da due settimane e ancora privo di deleghe. Circolavano ieri sera voci di dimissioni imminenti. Un sacrificio sull’altare del chiarimento. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56421girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere si gioca tutto Inserito da: Admin - Luglio 04, 2010, 06:22:24 pm 4/7/2010 (7:11) - RETROSCENA
Prima Napolitano, poi Fini Il Cavaliere si gioca tutto Telefonata di fuoco con Tremonti, ira per l'aumento dei pedaggi UGO MAGRI ROMA Berlusconi vuole chiarirsi personalmente con Napolitano e, una volta per tutte, pure con Fini. L’incontro al Quirinale pare sia già annotato sull’agenda del premier nella pagina di mercoledì 7 luglio. Per fissare quello col presidente della Camera sta adoperandosi Letta, diplomazia fatta persona. Al punto cui sono giunte le cose, o la va o (quasi certamente) la spacca. Il Cavaliere preferisce correre il rischio di incontrare Fini e dirsi addio, trovandosi poi con una maggioranza risicatissima, piuttosto che traccheggiare oltre. Nulla sarebbe peggio dell’inerzia, è la sua conclusione. Nel cassetto dunque la falsa litania propagandistica del «tutto va bene», è tempo di riconoscere le difficoltà cercando una via d’uscita. Una qualunque. L’oggetto del colloquio sul Colle non richiede sforzi di fantasia. Si parlerà di intercettazioni e, più in generale, dei rispettivi poteri: dove finiscono quelli del Presidente, dove incominciano quelli del premier. Escluso che Berlusconi si presenti con fare arrogante. Primo, perché con l’inquilino del Colle cascherebbe male, e poi in quanto al Cavaliere preme soprattutto di uscire dalla trappola dove s’è cacciato, cioè una legge sulle intercettazioni che l’Italia interpreta come attacco alla libera stampa anziché come vorrebbe Silvio (difesa della privacy). La pratica va chiusa il più in fretta possibile. O si individuano d’intesa con Napolitano le 3-4 correzioni in grado di sgombrare l’iter dagli ostacoli, oppure meglio lasciar perdere. Per ora l’insabbiamento è una subordinata di cui lo stato maggiore berlusconiano nemmeno vuole sentir parlare. Eppure, l’ipotesi di gettare la spugna sussiste, mascherata da rinvio a settembre. Se per rabbonire Napolitano fosse necessario sacrificare Brancher, ecco la testa del neo-ministro già sul piatto d’argento. Quanto a Fini, il Cavaliere vuole incontrarlo, se ci riesce, per litigarci e constatare che tra due caratteri così forti la convivenza è impossibile. Arrivare con Gianfranco alla «separazione consensuale» che con Veronica ancora non è nero su bianco per questioni, pare, di spiccioli milionari. Entusiasmo nell’entourage dopo l’offerta Pd di appoggiare gli emendamenti finiani sulle intercettazioni. Nonostante siano nei guai fino al collo, i «berluscones» ritrovano il sorriso, «Franceschini ci sta facendo un regalo perché mette automaticamente fuori del partito Briguglio, Granata, la Bongiorno e tutti quanti troveranno punti di raccordo operativo con l’opposizione». I finiani non sono così fessi, Bocchino tratta la profferta Pd alla stregua di un fungo velenoso. E non è detto che al presidente della Camera convenga accettare un incontro col premier che vuol buttarlo fuori dal Pdl. Però Fini nemmeno può darsela a gambe, specie se la sfida sarà pubblica. Si aggiunga che Berlusconi ha una necessità vitale di mostrare all’Italia che lui, direbbero gli americani, è ancora «in charge», tiene in pugno la situazione, resta il leader insomma. Altrimenti tutto gli sfuggirebbe di mano. Compresa la manovra economica dove le gaffe sono ormai come le ciliegie, una tira l’altra: sul condono, sulle pensioni, sulle tredicesime... Sbotta Bonaiuti, il portavoce: «Qui bisogna che stiamo più attenti prima di parlare generando inutili allarmi». Berlusconi veniva descritto ieri dai suoi come una furia, si racconta di stupore per i tagli alla busta paga dei poliziotti, di telefonate a Tremonti, di sorpresa per l’aumento dei pedaggi autostradali proprio alla vigilia del grande esodo agostano. Ecco: questa settimana servirà al premier per mettere qualche punto fermo. Quantomeno, a non lasciare nulla di intentato. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56441girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi cambia strategia ora punta tutto sul Lodo Inserito da: Admin - Luglio 07, 2010, 05:15:20 pm 7/7/2010 (7:16) - RETROSCENA
Berlusconi cambia strategia ora punta tutto sul Lodo Raduna gli ex di Forza Italia: “Il Pdl è nato contro la logica delle correnti” UGO MAGRI ROMA Berlusconi in queste ore sta realmente chiedendosi se non gli conviene fare di necessità virtù. E rinunciare a difendere l’indifendibile (la legge sulle intercettazioni) per trarne in cambio qualche vantaggio di altra natura. Un po’ come accade, non sembri irriguardoso, di sabato al banco del pesce: è meglio regalarne una cassetta per pochi soldi, e far felice un cliente, o rimettere la merce in freezer? Il «cliente» in questione, nell’ottica del Cavaliere, è nientemeno che Giorgio Napolitano. Al quale il premier attribuisce immensi poteri non solo di veto, ma pure di alto patronato politico. Il Quirinale, per Berlusconi, è come un magico semaforo: disco rosso e tutto si ferma, disco verde e l’ingorgo sparisce. Si delinea dunque un cambio strategico nelle priorità del Cavaliere. Talmente delicato che nemmeno se n’è fatto cenno durante l’improvviso summit serale: tutti i gerarchi a Palazzo Grazioli tranne Gasparri e La Russa, i quali si sono mortalmente offesi della mancata convocazione. Li hanno tagliati fuori (è la giustificazione) perché era una roba di pochissimo conto e loro tra l’altro c’entravano poco. Oggetto dell’adunanza è stato Frattini, promotore di una corrente interna (LiberaMente) insieme con la Gelmini. Berlusconi li bacchetta per la terza volta in due settimane, sebbene siano super-fedeli, in quanto alimentano il frazionismo e così autorizzano i finiani a fare altrettanto. Il Pdl «è nato», recita una nota, «per sconfiggere la vecchia partitocrazia e la vecchia logica delle correnti». Già, ma allora perché lasciar fuori dalla porta proprio due ex di An? Non è un controsenso dichiarare morte le logiche correntizie nel momento in cui si adunano soltanto i duri e puri di Forza Italia? E poi, cosa mai non dovevano sentire Gasparri e La Russa? Che la trattativa con Fini sta per riprendere sulla loro pelle? Godono, si capisce, Bocchino e tutti i nemici interni del Cavaliere: «Visto come ha trattato quei due, chi ci volesse tradire sa già di quale moneta verrà ripagato...». Un polverone. Destinato a occultare le scelte vere, di peso, che si stanno decidendo in altissimo loco. E che riguardano le intercettazioni, ma pure la «madre di tutte le leggi» (così la considera il Cavaliere), vale a dire il Lodo Alfano. Stamane alle 10,30 Berlusconi salirà al Colle accompagnato da 6 ministri e da una folla di generali. C’è il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato. Escluse intorno al tavolo divagazioni di natura politica. Però dal giro governativo insistono: il premier tenterà un abboccamento. Anche solo per pochi minuti. E per far presente al capo dello Stato che sulle intercettazioni lui è disposto a transigere. Fosse necessario, addirittura a rinviare la legge in autunno. Esclusa una discussione sul testo. Tra l’altro Napolitano è fermissimo, non intende fornire al premier alcun suggerimento che l’esporrebbe all’accusa (Di Pietro ha pronto il cannone) di aver negoziato modifiche con il governo. Tuttavia il ministro Alfano pare abbia trovato qualche interlocutore, vai a indovinare come si chiama, con cui ragionare sulle modifiche. E quel qualcuno gli sta dando indirizzi molto generali del tipo: «Orrore limitare le intercettazioni a 75 giorni. Ad esempio, se diventassero 120 più 30 di proroga, tutto sarebbe diverso...». Il Guardasigilli prende nota, corregge con la benedizione del premier. Che a sua volta considera le intercettazioni alla stregua di merce scaduta. Sognava una legge diversa, ancora più draconiana, quella sul tavolo ormai lo disgusta. Tanto vale rinunciare al poisson avariato e averne in cambio, se ci riesce, la benevolenza presidenziale sul Lodo: quello sì che gli interessa davvero. Un disegno di legge è in discussione da maggio, servono due letture al Senato e due alla Camera. Contiene la controversa estensione dello scudo ai ministri. Lascia invece senza protezione i presidenti delle Camere, Schifani e Fini. Il quale Fini rappresenta un’incognita, al pari della Corte costituzionale e del Capo dello Stato... Urge mettersi al sicuro. Questo frulla nella mente del Cavaliere, se si dà retta a chi lo frequenta. E figurarsi se Napolitano, in politica da mezzo secolo, non l’ha già capito. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56537girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, approccio con Casini Inserito da: Admin - Luglio 10, 2010, 11:25:58 am 10/7/2010 (7:35) - IL CENTRODESTRA
Berlusconi, approccio con Casini A tavola da Vespa, il Cavaliere: facciamo la nuova Dc Ma Pier: senza crisi non ci sto UGO MAGRI ROMA Crisi di governo: farla o non farla? E’ il tarlo che rode il Cavaliere dopo la cena dell’altra sera con Casini. Il leader Udc gli ha detto chiaro che di puntellare con i suoi 39 voti questa maggioranza squinternata, nemmeno a parlarne. Diverso sarebbe, ha soggiunto, se si aprisse una fase nuova, passando per le dimissioni del premier e per un nuovo «matrimonio» politico con tutti i crismi. Allora sì, i centristi ne potrebbero ragionare... Una risposta che Berlusconi già conosceva. Però una cosa è parlarne al telefono, ben più impegnativo è dirselo personalmente. E l’occasione del faccia-a-faccia l’ha fabbricata da par suo Vespa con un party di veri vip per festeggiare il mezzo secolo di giornalismo (aveva incominciato a 16 anni). Nel portone principale del palazzo su Trinità dei Monti sono entrati Silvio, la figlia Marina e Gianni Letta. Da un uscio riservato, invece, ecco infilarsi il cardinal Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, ecco il governatore di Bankitalia Draghi, ed ecco infine il super-banchiere Geronzi. Circola nel giro Udc la favola del «trappolone». Pier Furby attratto come un’ape da quel profumo sublime di incenso e di alta finanza. E lì, toh chi ti trova: pure Berlusconi! Ma di favola, appunto, si tratta. Altrimenti non avrebbero colloquiato in disparte col premier subito all’assalto, profferte di ministeri, scenari fantasmagorici, «noi due costruiremo insieme la nuova Dc», tanto Fini ormai è fuorigioco... Difesa strenua di Casini, «no, no, Silvio, non è il momento». E poi, quando il pressing del Cavaliere s’è fatto asfissiante, «ti prego, cambiamo argomento, senza crisi non ci sto». La crisi, appunto. Che significa azzerare il governo, i programmi, l’indirizzo generale. In pubblico Casini parla di «fase politica nuova». Berlusconi è tentato. Sa che in groppa a questo governo non concluderà la legislatura. L’aspetto nuovo, se si vuol credere alla versione Udc, è che durante lo sfogo a quattr’occhi bersaglio numero uno del premier non è stato Fini bensì Tremonti. Sul secondo gradino, la Lega. Solo terzo, nella «hate parade» berlusconiana, viene il presidente della Camera. Che da diversi giorni dà meno tormenti al premier (la «settimana della bontà», si compiacciono a Palazzo Chigi). Berlusconi giura che «mai e poi mai» gli è passato per la mente di cacciar via il cofondatore, Bonaiuti fa lo stesso con i giornali dove si semina zizzania. Al ministro Ronchi il Cavaliere anticipa: i presidenti finiani di Commissione verranno risparmiati, compresa Giulia Bongiorno. Con Giulio Tremonti, viceversa, resta un clima teso. Se al premier riuscisse di imbarcare l’Udc, tutti gli sarebbero utili e nessuno più indispensabile. L’uovo di Colombo. Però in cambio Casini pretende la crisi... Berlusconi prende tempo. La sua remora si chiama Napolitano. Casomai si dimettesse il governo, è a lui che tornerebbe il pallino. Silvio ancora ricorda con terrore quante il Presidente gliene ne fece passare, allorché ricevette l’incarico. Se adesso si aprisse la crisi, dopo tutte le tensioni con il Colle sulle intercettazioni e sul resto, Berlusconi non avrebbe certezza di uscirne vivo. Per cui sta meditando di ristabilire anzitutto un rapporto di fiducia col Quirinale. Riconoscono i suoi consiglieri che gli ci vorrà tempo. Molto tempo. Passerà l’estate, forse anche l’autunno. A quel punto, o nozze con l’Udc o fischio finale della legislatura. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56595girata.asp Titolo: UGO MAGRI Un "super correntone" nel partito del premier Inserito da: Admin - Luglio 12, 2010, 10:18:50 am 12/7/2010 (7:26) - GOVERNO
Un "super correntone" nel partito del premier Gli uomini più in vista del Pdl chiedono uno stop al frazionismo UGO MAGRI ROMA Di domenica, e per di più a metà luglio, mai si era visto un fenomeno simile: venti, forse trenta dichiarazioni a sostegno entusiastico di Renato Schifani, presidente del Senato, che sul Corriere della sera lancia un paio di idee giudicate dai suoi fan sagge, equilibrate, giuste, opportune, meritorie, illuminate, in uno scialo di lodi senza eguali. Tra quanti si sono pubblicamente complimentati spiccano i ministri Fitto, Sacconi e Brunetta, il capogruppo alla Camera Cicchitto, il «vicario» al Senato Quagliariello, presidenti di Commissione come Vizzini, più una folla di parlamentari la cui osservanza berlusconiana mai è stata messa in discussione: da Tomassini a Boniver, da Lupi a Bonfrisco, e poi Azzollini, Malan, Santelli, Osvaldo Napoli e tanti altri ancora... Da Bruxelles fa giungere il suo plauso a Schifani nientemeno che il Commissario europeo Tajani. Che diamine sta succedendo nel Pdl? Sta per nascere, così sembrerebbe, il correntone di quanti non vogliono le correnti. E dunque mandano al premier un messaggio molto preciso: «Caro Silvio, o metti fine al frazionismo interno, e blocchi in maniera risoluta quanti danno vita a raggruppamenti che si richiamano a te, oppure d’ora in avanti saremo costretti a organizzarci anche noi, tuoi fedelissimi, che tu lo voglia o meno». Nessuno si scopre, ovviamente, in termini così brutali. L’ossequio verso il Capo resta totale. Eppure di questo si tratta, di un messaggio mai così ultimativo rivolto al leader. Al quale viene chiesto di non fare l’anguilla sulle questioni poste da Schifani dopo lunga e tormentata (così pare) riflessione con alcuni consiglieri. In sintesi: con Fini si tenti l’accordo da persone serie, senza cedere agli umori viscerali. E basta con il movimentismo, con questa insoddisfazione perenne del Cavaliere verso il partito da lui stesso fondato, che lo porta a immaginare nuovi «predellini» per liberarsi dell’altro co-fondatore, a sguinzagliare guardie scelte come i Promotori della libertà o pretoriani come LiberaMente. Proprio questi ultimi l’altro ieri sono andati in Sicilia, terra di Schifani e di Alfano, per adunare mille persone a Siracusa sotto le bandiere degli antagonisti Prestigiacomo e Micciché: cioè una sfida aperta, quasi sfacciata, all’establishment siciliano e pure a quello nazionale. Già, perché non più tardi di martedì scorso s’era tenuta un’apposita riunione straordinaria del «Politburo»: tutti i personaggi più in vista del partito erano corsi dal Cavaliere per strappargli una parola chiara sul frazionismo interno, e l’avevano ottenuta (o perlomeno così credevano). Addirittura c’era stata una pubblica messa al bando delle correnti mascherate da fondazioni culturali, con tanto di obbligo per quelle vere di federarsi tra loro... Tempo tre giorni, ed ecco il convegno di LiberaMente, con la solita scia di polemiche e di illazioni tipo: chi c’è dietro, dove prendono questi denari, ed altre prelibatezze del genere, tipiche delle guerre civili sotto ogni latitudine politica. Adesso l’uscita di Schifani, il pronunciamento collettivo dell’intero notabilato Pdl, la minaccia sottintesa di organizzarsi a loro volta... Berlusconi come la prende? Bonaiuti, il portavoce, alza le mani: «Credo di essere stato il primo, potrei citare la circostanza, a sparare sulle correnti... Anzi, giacché ci siamo, basta pure con la ripartizione per quote tra ex-Forza Italia ed ex di An». Il Capo come suo solito è strattonato tra i realisti che lo esortano alla prudenza, perché senza i finiani la maggioranza sarebbe appesa a un filo, e gli ultrà che lo incensano, gli danno la carica, e come il sottosegretario Giro prevedono già la rottura definitiva con Fini. Dilaga tra gli stessi colonnelli il sospetto che Silvio reciti due parti in commedia, prepari il faccia-a-faccia inevitabile tra lui e Gianfranco con la riserva mentale di chi in cuor suo vorrebbe dar vita a un nuovo partito berlusconiano, il terzo in 15 anni. In fondo, pure quando sciolse Forza Italia si regolò nello stesso identico modo: coi personaggi in vista del partito negava di conoscere i club della Brambilla salvo incitare di nascosto la rossa Michela Vittoria ad andare avanti. La storia tende a ripetersi, ma la nomenklatura berlusconiana ha imparato la lezione e stavolta non vorrebbe farsi cogliere impreparata. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56641girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, a settembre la resa dei conti: o rilancio o elezioni Inserito da: Admin - Agosto 04, 2010, 07:43:58 pm 4/8/2010 (7:21) - RETROSCENA/1
Berlusconi, a settembre la resa dei conti: o rilancio o elezioni Rebus autosufficienza: i dubbi del Colle se non si superasse quota 316 UGO MAGRI ROMA Salvo ripensamenti notturni (sempre possibili, dato il carattere imprevedibile del personaggio) Berlusconi adotterà oggi la tecnica dello struzzo. Fingerà di non vedere che al suo governo manca la certezza dei numeri, che pezzi della presunta maggioranza vanno a braccetto con le opposizioni, che di fatto egli si ritrova alla guida di un esecutivo balneare. Il Cavaliere ficcherà la testa sotto la sabbia, questo si scommette nella sua corte romana, rifiutando il gesto delle dimissioni in quanto non intende rischiare il vero chiarimento adesso. Prima ha cose più urgenti da fare: rimettere in asse il partito, rilanciare il programma di governo. Gli servirà l’intero mese di agosto. Poi, a settembre, Berlusconi calerà le carte. O rilancio, oppure elezioni anticipate entro fine anno. Ma adesso no, per la resa dei conti è troppo presto. Cosicché, proprio mentre ieri a Montecitorio impazzavano le voci di crisi alle porte, e si raccontava nei capannelli del Transatlantico di un Cavaliere furioso per l’astensione di Fini su Caliendo, deciso a cacciare i ministri e i vice-ministri di An, pronto perfino a salire sul Colle (se non fosse che Napolitano è già partito ieri sera per Stromboli dove trascorrerà le sue ferie), mentre dunque andava in scena questo psicodramma, lui aveva la testa tutta concentrata altrove. Si occupava di scenari futuri, si scervellava su riforme capaci di togliere la patina opaca dal profilo del governo, e soprattutto si dedicava al partito. Qui si annuncia il vero cambio, radicale. Se sono vere le intenzioni manifestate a certi interlocutori di fiducia, Berlusconi mira a fare piazza pulita del gruppo dirigente nazionale in tempi brevi, forse brevissimi. Non per gettare la croce addosso a Verdini, assalito da un nugolo di inchieste, e tantomeno a Bondi, pronto a sacrificarsi per il leader, o al fedele La Russa. Semmai profitterà della cacciata di Fini per dare una verniciata di nuovo al Pdl; coglierà la palla al balzo per mettere in pista una gestione giovane e (a quanto pare) collegiale dove sia ben rappresentata l’area di An rimasta fedele, però vi prevalgano i volti giovani e freschi, proiezione ideale del Capo, su cui non aleggi il ricatto della questione morale, e insomma Fini non possa alzare mai più il dito per ergersi a giudice del Bene e del Male, questa legge sì e quest’altra no... Si annunciano in agosto lunghi conciliaboli del premier con Tremonti, onde chiarirsi a fondo e ritrovare sintonia operativa sui (pochi) denari da spendere: questo sussurrano tra Palazzo Grazioli e Palazzo Grazioli. Scenari proiettati in avanti, con i quali una crisi a rotta di collo non ci azzecca affatto: non sta nei piani del Cavaliere. Specie ora, che i sondaggi non giocano a suo favore. Poi, si capisce, la santabarbara può saltare su qualunque scintilla. Sull’atteggiamento dei ministri e vice-ministri finiani, ad esempio. Anche loro si asterranno sulla fiducia al collega di governo Caliendo (ricevuto verso sera dal Cavaliere insieme col Guardasigilli Alfano), oppure voteranno contro la mozione del Pd, come li pungola Cicchitto? Quale lealtà avrà la meglio, quella al premier o quella verso il presidente della Camera? Gasparri racconta che uno di questi finiani governativi «in preda alle convulsioni» si è rivolto a lui, chiedendo consiglio. E il capogruppo Pdl giura di averlo mandato con Dio: «Regolati come Marzullo, fatti una domanda e datti una risposta...». Quando c’è la volontà, una foglia di fico si trova sempre. Eppure nessuno tra i «berluscones» nutre illusioni: il governo è in ginocchio. La formazione di un centro politico sotto l’egida di Casini viene vissuta con grande preoccupazione. Addirittura qualcuno solidarizza col Pd, casomai dovesse subire a sua volta emorragie (Bonaiuti, portavoce del Cavaliere, è stato visto colloquiare fitto fitto con il segretario Pd Bersani), segno di convergenze bipolari: l’avversario comune sta in mezzo. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57317girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma Napolitano consiglia "prudenza e testa fredda" Inserito da: Admin - Agosto 05, 2010, 03:40:56 pm 5/8/2010 (6:58) - RETROSCENA
La furia di Berlusconi "Al voto in novembre" Ma Napolitano consiglia "prudenza e testa fredda" UGO MAGRI Berlusconi ha toccato con mano il disastro, s’è reso conto che il suo regno ha le settimane contate. Non gli serviva un pallottoliere per scoprire che «opposizione più astensioni uguale governo in minoranza». Ma un conto è ragionare di numeri in astratto, altro è viverli nell’emiciclo: questione di adrenalina, di percezioni fisiche tipo quelle che prova chi si trova a sedere sotto lo scranno del rivale... Subito dopo il voto, Berlusconi è una furia. Si sfoga con gli amici, non trattiene il fiume dello sconforto: «Una cosa del genere», ripete scuotendo la testa quasi fosse un automa, «non l’avrei mai immaginata. Eravamo il governo più forte e stabile del continente, un punto di riferimento all’estero da tutti invidiato. Ora guardate in che stato siamo ridotti, giudicate voi che devastazione ha prodotto Fini. Con l’aggravante che non se ne riesce a comprende la motivazione, per quale motivo l’abbia fatto». Non si dà pace il premier, e l’impatto con la cruda realtà spazza via tutte le false illusioni, gli ottimismi di maniera sparsi a piene mani la sera prima durante un cocktail nel castello di Tor Crescenza. Con le deputate a lui rimaste fedeli il Cavaliere era stato prodigo di anelli e bracciali, ma soprattutto rassicurante: «Il mio governo andrà avanti, non c’è spazio per soluzioni tecniche che falserebbero la volontà degli elettori, le elezioni sono solo un’extrema ratio perché l’Europa ci chiede stabilità, ce la chiedono le agenzie di rating, una crisi avrebbe percussioni molto negative sulla nostra economia». Ora, dopo il voto su Caliendo, il clima appare radicalmente cambiato. Altro che rosee prospettive di governo, Berlusconi è il primo a non crederci più. Le elezioni anticipate tornano ad essere la sua principale e, forse, unica opzione. «Teniamoci pronti» dice a sera ai deputati. E poco parla di Fini, e del caso Montecarlo, senza citarlo mai: «C’è qualcuno che nutre speranze nei confronti di un leader che è al centro di notizie poco chiare e che dovrebbe spiegare». Riunito con i gerarchi nel bunker di Palazzo Grazioli, il premier studia all’ora di pranzo i piani di battaglia. Non uno dei presenti, da Cicchitto a Quagliariello allo stesso Tremonti, giudica percorribile la via della tregua armata con Fini. Semmai Berlusconi assiste alla gara tra chi è più falco e intransigente. Esemplare il discorso di Gasparri, presidente dei senatori: «Quali sono le alternative al voto anticipato? Io non le vedo. A settembre ci ritroveremo nelle stesse condizioni di adesso, forse peggio. Dovremo negoziare qualsiasi cosa con Fini, il cui obiettivo strategico è solo il nostro smantellamento, attraverso nuove leggi elettorali o governi istituzionali...». Nessuno sfoglia il calendario, ma è chiaro che metà novembre (magari il 19) sarebbe la data ideale per chiamare gli italiani alle urne. Chi ha avuto contatti col Pd (Tremonti, Bonaiuti) riferisce al Capo le preoccupazioni di Bersani: le elezioni coglierebbero di sprovvista anche loro, al Botteghino le eviterebbero volentieri, però sono impotenti, mica possono sostenere il governo nelle leggi «ad personam» sulla giustizia. Letta ha sentito il Presidente della Repubblica, ne ha colto dalla viva voce la preoccupazione. Da Stromboli, Napolitano raccomanda «prudenza e testa fredda», si sa che non accetterebbe crisi di governo fuori del Parlamento, bisogna quantomeno aspettare che le Camere riaprano a settembre, sperando che il time-out serva a chiarire le idee di tutti i protagonisti. Di qui ad allora, Berlusconi proverà a dare la scossa al partito, preparandolo alla battaglia finale. Via la vecchia guardia di generali stanchi e sfiduciati, come l’ultimo Bonaparte anche Silvio ama i giovani e gli entusiasti. Vorrebbe sostituire i «triumviri» (Bondi, Verdini e La Russa) con facce più televisive, e chi l’ha sentito l’altra sera a Tor Crescenza è sicuro di aver individuato i prescelti: sarebbero Alfano, la Gelmini e (per dare rappresentanza alla truppa ex-An) la Meloni. Sennonché il desiderio del leader cozza con la realtà, perché deludere La Russa significherebbe regalare altri 30 deputati e senatori a Fini proprio nel momento più delicato. Grande è la confusione sotto il cielo. Per i centristi la situazione è eccellente. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57344girata.asp Titolo: UGO MAGRI La rivincita di Berlusconi "Felice come una Pasqua" Inserito da: Admin - Agosto 09, 2010, 10:07:41 am 9/8/2010 (7:14) - RETROSCENA
La rivincita di Berlusconi "Felice come una Pasqua" Ma i fedelissimi temono le elezioni e cercano il dialogo con i finiani UGO MAGRI ROMA Contento «come una Pasqua». Il Cavaliere, lo descrivono gli scudieri, «si gode il suo trionfo». Era tempo, aggiungono, che non assaporava una vendetta così zuccherosa: Fini costretto a giustificarsi «in modo debole, goffo, inefficace» su accuse di profilo morale. Nello stesso tempo però Berlusconi risulta «offeso a morte, inferocito». Perché il presidente della Camera «mi attacca in modo insultante», ringhia Silvio coi suoi fedeli. Dichiarazioni pubbliche zero. Il portavoce Bonaiuti addirittura smentisce in anticipo chi stamane metterà commenti in bocca al premier, rintanato ad Arcore dove «sta lavorando al programma di governo per la ripresa». Ma come può uno scoglio arginare l’oceano? Difatti dall’entourage è tutto un fluire di giudizi berlusconiani più o meno apocrifi, certamente inverificabili, ispirati al sarcasmo per il rivale, «che autogol», «in confronto Scajola s’è dimesso per molto meno», «a questo punto pure lui se ne dovrebbe andare», «non può restare terza carica dello Stato»... Chi prendesse per oro colato tutte queste voci, non avrebbe che da recitare un requiem per la legislatura. Sipario sui tentativi di incollare i cocci del centrodestra, se il disprezzo tra i due monta fino a questo punto tanto vale andare direttamente alle urne, allarga le braccia Osvaldo Napoli. Capezzone, Giro, la Santanché maramaldeggiano su Fini nel suo giorno più nero, a Camere chiuse c’è chi già prepara la raccolta di firme tra i deputati per dare in settembre lo sfratto a Gianfranco, qualora non lasci con le sue gambe la presidenza della Camera. Una frenesia quasi selvaggia anima i pasdaran del Cavaliere. Altro clima si respira invece nello stato maggiore berlusconiano. Qui nessuno gode, anzi regna un palpabile sconcerto. La corsa a rotta di collo verso le elezioni viene vissuta come un suicidio di massa, la balena Pdl «spiaggiata» senza un vero perché. Da giorni è in atto tra le rare menti pensanti un disperato tentativo di separare il grano dal loglio, di ricondurre lo scontro personalistico tra i due co-fondatori nell’alveo della politica razionale. Passo dopo passo il «sinedrio» Pdl (triumviri, capigruppo, ministri eminenti) sta cercando di tessere un dialogo. Il «programma dei quattro punti» da presentare in Parlamento dopo le ferie, su cui chiedere la fiducia, nasce proprio per far prevalere nonostante tutto il buon senso. Cosicché ieri mattina Cicchitto da una parte, Urso dall’altra fingevano di litigare sulle parole, nella sostanza si scambiavano segnali di fumo: ragionare insieme sul nuovo programma di governo è giusto, è auspicabile, ma voi non fate scherzi, però non fateli nemmeno voi... Finché su questi minuetti gentili è piombato nel pomeriggio il macigno della dichiarazione finiana, con il suo carico di imbarazzo e di antiberlusconismo: per il premier felicità e rabbia mescolate insieme. Consultazione rapida tra i gerarchi del Pdl. Tra i quali nessuno crede che avrebbe senso spingere gli avversari alla disperazione. Meglio accontentarsi della loro debolezza per chiudere la trattativa sui quattro punti del nuovo programma, senza inutili spargimenti di sangue. Gasparri, solitamente sanguigno, stavolta brilla per prudenza. «Fini è stupefatto per il cognato? Lo sono anch’io. Ma qui mi fermo. Perché questo è il momento di mostrarsi responsabili, di tenere il confronto sui temi della politica. Poi, sulla casa di Montecarlo, ognuno si farà il suo giudizio». Un altro stratega berlusconiano si strappa i capelli: «Il bailamme è totale, ogni giorno ce ne regala una nuova, dobbiamo navigare a vista. E nessuno tra noi riesce a immaginare come può finire». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57457girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere tentato dal "colpo di grazia" Inserito da: Admin - Agosto 11, 2010, 10:56:13 am 11/8/2010 (7:10) - RETROSCENA
Il Cavaliere tentato dal "colpo di grazia" La stretegia: schiacciare Fini sotto il perso degli "interessi privati" UGO MAGRI ROMA Vai a immaginare che, un giorno, perfino Berlusconi avrebbe indossato i panni del Torquemada. Eppure questo risulta stia accadendo dalle parti di Arcore: il Cavaliere col piglio del moralista, scatenato contro Fini per via della casa di An venduta a quattro lire, e per la debolezza nei confronti della famiglia Tulliani, e per il terribile discredito gettato sulle istituzioni, e per le dimissioni che al posto di Gianfranco lui certamente avrebbe già dato da presidente della Camera... Villa San Martino da giorni è terminale di mille pettegolezzi (anche il solo riferirne sarebbe da querela). Non c’è risvolto di cui Silvio venga tenuto all’oscuro. E non c’è interlocutore al quale il Cavaliere neghi lo stupore scandalizzato per una vicenda che egli giudica grave, anzi intollerabile sul piano etico, politico, forse addirittura penale. Augurandosi un moto di sdegno collettivo (bene le firme raccolte da «Libero», dal «Giornale», però ancora non basta) e magari pure qualche aiutino dal fronte investigativo. Di che si tratta? Ne parla apertamente Mario Mantovani, sottosegretario all’Istruzione, frequentatore assiduo del premier quando i consiglieri «romani» sono in vacanza. Premette l’uomo di governo: «I beni di un partito non sono certo soldi pubblici, ma sono comunque proprietà di un organo di rilevanza costituzionale, i cui bilanci sono approvati dal Parlamento», dunque con l’eredità Colleoni non si doveva scherzare. E fatta la premessa, Mantovani svela l’arma segreta berlusconiana: «Se dalle indagini in corso emergesse un qualche coinvolgimento di persone riconducibili all’entourage del presidente della Camera, ci troveremmo di fronte a evidenti agevolazioni di interessi privati». Sarebbe il colpo di grazia, Fini adieu. A quel punto, ghigliottinato il leader, i 34 deputati transfughi tornerebbero con la coda tra le gambe all’ovile Pdl. Il Cavaliere porterebbe a termine senza sussulti la XVI legislatura. Con qualche variante minore, ecco il «piano A» che fa brillare gli occhi al premier e sognare la curva degli «ultrà» berlusconiani. Qualche stratega scettico prova a insinuare: ammesso che le rogatorie vadano a segno, perché dei magistrati non c’è da fidarsi, passeranno mesi, forse anni. Nel frattempo Fini resterà al suo posto sempre più deciso a vendere cara la pelle... Meglio, suggeriscono, il «piano B»: dare la caccia a qualche finiano in crisi, o ramazzare cani sciolti nell’Udc e perfino nell’Idv (se ne conta una manciata), in modo da far tornare i numeri alla Camera. O, al limite, accontentarsi del «piano C»: stipulare a settembre un accordo onesto con i finiani, sui 4 punti del nuovo programma. Chi fa questi discorsi terra-terra è certo di conquistarsi l’antipatia del Capo: esattamente come quanti gli smontano la tesi delle elezioni anticipate perché, primo, non è detto ci si arrivi, più facile che dalla crisi nasca un governo tecnico e poi, secondo, per vincere al Senato servirebbe un miracolo, meglio non provarci. Berlusconi finge di dar retta, ma spinti fuori della porta i consiglieri riattacca con Fini che se ne dovrebbe andare chiedendo scusa, e i suoi pasdaran gareggiano nel fargli eco. Di qui la fucileria disordinata contro i finiani, fuoco a volontà da Brambilla e Capezzone, da Corsaro a Santelli, mentre dall’altra parte si replica con pari foga. Bocchino grida dalla trincea: «Se insistete per le dimissioni di Fini rischiate una crisi istituzionale». Cicchitto alza le spalle: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso, bisognava pensarci prima...». A questo punto le rare «colombe» Pdl spengono i telefonini. «Visto il clima», dicono, «è inutile cercare un’intesa, se ne riparlerà dopo Ferragosto o per la fine del mese». Se a quel tempo la spallata contro Fini avrà avuto successo, caso risolto. Altrimenti pure Silvio dovrà farsi un bagno di realismo. E accettare senza più storie la via della mediazione. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57519girata.asp Titolo: UGO MAGRI E il Cavaliere evoca la rivoluzione di piazza Inserito da: Admin - Agosto 12, 2010, 04:49:31 pm 12/8/2010 (7:7) - IL CASO
E il Cavaliere evoca la rivoluzione di piazza Messaggio indiretto dall'entourage del premier al Quirinale «No ad avventure istituzionali pericolose» UGO MAGRI ROMA Una rivoluzione. E’ ciò che prepara il Cavaliere, casomai Fini e Bersani gli confezionassero lo «scherzo» del governo di tregua. Berlusconi farebbe il diavolo a quattro, urto frontale nel Parlamento e nel Paese. Scenderebbe in piazza al suo comando la «maggioranza chiassosa», i palazzi romani verrebbero cinti d’assedio con oceaniche manifestazioni. Cicchitto tratteggia per conto del premier uno scenario apocalittico, «l’Italia andrebbe incontro a una fortissima destabilizzazione». Per cui «riteniamo», alza la voce l’esponente Pdl in modo da essere udito fino a Stromboli da Napolitano, «che nessuna personalità responsabile aderirebbe a un’autentica avventura, molto pericolosa per le nostre istituzioni...». L’avviso ai naviganti corona una giornata talmente confusa, così rissosa e scombinata, che il portavoce del premier Bonaiuti è stato sommerso dalle telefonate: tutti parlamentari, addirittura ministri, ansiosi di sapere se siamo all’epilogo della legislatura. Non ancora, è stata la risposta, perché ai cannoneggiamenti del mattino tra «berluscones» e finiani è subentrata verso sera una sorta di coprifuoco, «basta, basta, smettiamola per carità» hanno implorato dalle due sponde. Il primo passo l’hanno compiuto i «ribelli» del Senato: una dichiarazione distensiva dove agosto viene bollato come «il mese delle polemiche sterili e dannose», ma per fortuna il calendario ci regalerà settembre che «deve portare responsabilità e fatti concreti. Noi ci muoveremo in questa direzione», promettono i finiani di Palazzo Madama. Evviva, applaudono Gasparri e Cicchitto dalla cabina di regia. Poco dopo, Berlusconi in persona rompe il silenzio. Qualcuno chiaramente l’ha avvertito della novità. E da Arcore, dove il premier ha trascorso una giornata distratta, tende per la prima volta la mano al nemico. La nota del premier è scritta in puro burocratese. Nondimeno va letta, poiché è un cocktail di lusinghe e di avvertimenti: «Al di là delle irresponsabili e a volte farneticanti parole pronunciate da taluni contro il governo e contro la propria stessa maggioranza, se vi sarà questo spirito costruttivo contenuto nelle dichiarazioni di alcuni senatori del centrodestra, che accolgo con grande soddisfazione e disponibilità, sarà certamente possibile ritrovare quell’unità che, ove mancasse, non potrebbe che portare a scelte dolorose e definitive». Cioè alle elezioni anticipate, nei desideri del Cavaliere. Si può discutere a lungo se l’apertura di credito è sincera, o viceversa è il solito furbo tentativo di scremare i finiani, di dividerli in buoni e cattivi. Chi conosce l’animo del premier propende più per la seconda ipotesi. Sta di fatto che il presidente della Camera non abbocca. E fa rispondere ai suoi: bene Silvio, il segnale è positivo, speriamo che serva a recuperare «rispetto per le istituzioni, da valorizzare e non dimissionare con richieste peraltro irricevibili...». Insieme alla firma di Viespoli e di Moffa c’è pure quella di Bocchino il Guastatore. Che su «Repubblica» è arrivato al sacrilegio: Silvio sì che se ne dovrebbe andare, visto che «è imputato in più processi, e con lui per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso», non certo Fini vittima di un’aggressione... Botte da orbi con Bondi, con Osvaldo Napoli, col sottosegretario Giro, in un crescendo di contumelie dove si sono distinti da una parte la Santanché (Fini si dimetta prima che «imbarazzanti verità lo costringano») e Briguglio dall’altra: «Berlusconi ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia...». «Storie vecchie e muffite», scrollano le spalle nell’entourage del Cav, «non è così che ci metteranno paura». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57550girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma è la vicenda Mills il vero cruccio del Cavaliere Inserito da: Admin - Agosto 21, 2010, 04:01:02 pm 21/8/2010 (7:21) - LA NORMA SUL PROCESSO BREVE PER SALVARSI A MILANO
Ma è la vicenda Mills il vero cruccio del Cavaliere Il premier: indispensabile approvare apposite norme a riguardo La sentenza prevista per marzo UGO MAGRI ROMA L’unica cosa che davvero preme a Berlusconi è nascosta tra le pieghe del documento finale, sotto la voce «Giustizia». Consiste nel passaggio (soppesato parola per parola nel vertice a Palazzo Grazioli) sulla ragionevole durata dei processi. Sarà «indispensabile», sostiene il premier, «approvare apposite norme» a riguardo. Un testo c’è già, ed è quello licenziato a Palazzo Madama prima dell’estate. Se passerà così com’è pure alla Camera, il Cavaliere riuscirà a salvarsi dalla condanna che incombe sul suo capo a Milano (vicenda Mills). Bisogna però che la legge proceda al galoppo, perché l’avvocato Ghedini prevede la sentenza in arrivo tra marzo e aprile. Ma soprattutto, dal punto di vista del premier, è necessario che nessuno modifichi la norma transitoria, cucita su misura per far saltare i suoi processi. Se Fini ci sta, e pone la sua firma sotto il processo breve, la crisi può considerarsi virtualmente conclusa. Se invece non ci sta, «alle urne perché anche se la Lega va forte io vinco uguale...». Questa è la sostanza della giornata. Tutto il resto è stato detto (in conferenza stampa del premier) e scritto (nel documento di 10 pagine) solo in quanto un vertice era convocato, mica si poteva più disdire, il punto politico andava tenuto, e così è stato, secondo copione. L’unico vero «fuor d’opera» è la risposta che Berlusconi ha dato all’Ansa, sulle elezioni da tenersi a dicembre nel caso in cui la crisi dovesse precipitare. Passi per la tesi, enunciata all’inizio del documento, secondo cui l’ultima parola spetta al popolo e non al Capo dello Stato. Ma perlomeno sulla data delle elezioni il Cavaliere poteva trattenersi: rientra infatti nelle prerogative del Quirinale, netta è l’invasione di campo. I collaboratori provano a giustificarlo, «in fondo Silvio che altro avrebbe potuto rispondere alla domanda?». Silenzio dal Colle, un po’ per non gettare altra benzina sul fuoco, ma soprattutto in quanto le posizioni di Napolitano sono ben note, chiare in merito all’eventuale scioglimento delle Camere, dunque «non cambiano», osserva un consigliere presidenziale, «poiché trovano fondamento nella Costituzione». Resterà deluso chi immagina chissà quali discorsi dietro le quinte del vertice. A quanto risulta, i partecipanti hanno passato ore sul testo, chi aggiungendo una riga, chi tagliandone un’altra. Le correzioni di Tremonti sono state minime, altri ministri si sono esercitati con più passione. Il risultato finale non si discosta molto dalla bozza scritta alla vigilia da Bonaiuti, che il Cavaliere si è portato in tasca dalla Sardegna, irritatissimo per aver dovuto interrompere la sua breve vacanza. Al telefono con un vecchio amico, ieri mattina, letteralmente smoccolava. Ovvio che fra le quattro mura si sia ragionato di numeri, e che ciascuno abbia detto la sua. Conclusione collettiva: al momento della fiducia, 10-12 deputati potranno tranquillamente aggiungersi ai 308 di cui Berlusconi già dispone sulla carta. Si tratterebbe, pare, di centristi a spasso, di cani sciolti, anche di finiani in crisi. Ma senza particolari «campagne acquisti» per non esasperare lo scontro col presidente della Camera. Contro il quale Berlusconi poteva lanciarsi alla carica, stuzzicato dai giornalisti. Invece dalla sua bocca è uscita solo qualche frase smozzicata, ardua da interpretare. E’ un silenzio che parla da sé. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57819girata.asp Titolo: UGO MAGRI «Con Casini vedrete che riusciremo ad accordarci» Inserito da: Admin - Agosto 22, 2010, 09:05:16 pm 22/8/2010 (7:47) - RETROSCENA
Sondaggi con i centristi: non per farli entrare, ma per trovare un puntello. «Con Casini vedrete che riusciremo ad accordarci» UGO MAGRI ROMA Perfino nei momenti più drammatici si insinua il virus della comicità. Così qualche genio della politica ha suggerito a Berlusconi di cambiar nome ai suoi galoppini e di ribattezzarli con formula altisonante: «Squadre della libertà». Col risultato che nel gergo corrente diventeranno «squadristi». Peggio di un insulto: un autogol da metà campo. Ma questo accade perché nel Pdl vanno di moda quanti gettano il cuore oltre l’ostacolo, e vogliono distinguersi agli occhi del Capo con la retorica guerriera, si sarebbe detto un tempo, degli «otto milioni di baionette». Dunque gara a chi la sparava più grossa, ieri a Palazzo Grazioli, nella riunione conviviale voluta dal Cavaliere in vista, non si sa mai, di elezioni anticipate. Grandi discussioni preliminari sugli inviti, La Russa contrarissimo a coinvolgere circoli e club («Mica vorremo perdere tempo con questi...», è stato udito vociare), Valducci e la Brambilla che invece premevano per esserci, alla fine tutti quanti intorno al desco del cuoco Michele, da Dell’Utri (molti circoli fanno capo anche a lui) a Mantovani, da Bonaiuti alla Santanché. L’uovo di Colombo cui sta pensando pure Bersani consiste nel mettere tre-quattro attivisti su ciascuna delle 61 mila 202 sezioni elettorali sparse in Italia, che in media raccolgono 7-800 votanti. Come un tempo il vecchio Pci, gli «squadristi» berlusconiani dovranno spulciare gli elenchi, bussare alle porte, premere sugli indecisi, contattare chi va alle urne per la prima volta. Serve un esercito di gambe (più un bel mucchio di soldi). Dove pescarli? I denari non sono un problema. Quanto ai militanti, «io ne metto in campo 30 mila», «noi invece saremo almeno 40 mila», in un crescendo vertiginoso, con Berlusconi ad ascoltare estasiato e il solo Verdini (l’uomo-macchina Pdl) a riportare tutti coi piedi per terra: «Guardate che i numeri non sono mica questi...». Alla fine decisione del leader: gli «squadristi della libertà» faranno capo al partito, nella persona di Verdini. Pure Silvio si rende conto che non sono maturi i tempi per farne una milizia separata. Tra una pietanza e l’altra Berlusconi ha confidato il suo vero animo. Andare avanti senza elezioni sarebbe ottimo, però «senza farmi prendere per i fondelli» da Fini e dai suoi, ha ringhiato. Bocchino, che si dichiara d’accordo sul 95% del programma estratto venerdì dal cilindro, manda il premier letteralmente ai pazzi. Mormora al telefono con voce preoccupata Cicchitto: «Alcuni di questi, purtroppo, non hanno capito nulla. Siamo davvero appesi a un filo, perché Berlusconi è determinatissimo, e la pressione della Lega per andare subito al voto è altrettanto forte. Se i finiani credono di cavarsela votando la fiducia al governo e subito dopo, sul processo breve, di rifare a Berlusconi lo scherzetto che gli fecero sulle intercettazioni, si sbagliano di grosso». Il capogruppo Pdl sospira: «In quel caso il governo cadrebbe tempo tre ore». Sarebbe, si appella alla storia Cicchitto, «la pistola di Sarajevo» da cui si scatenò la Prima Guerra mondiale. Le elezioni verrebbero pretese dal Quirinale (e spiegate al popolo) come conseguenza di «un tradimento della fiducia appena espressa». «E l’Italia sarebbe dalla nostra parte», ostenta sicurezza Bonaiuti, «non si può mandare all’aria un programma di rilancio serio e concreto». Piccolo retroscena: pare che Berlusconi stia premendo con impazienza su Tremonti per farsi suggerire entro agosto qualche misura di alleggerimento fiscale. Così da spargere, quantomeno, l’illusione di un dividendo collettivo generato dalla ripresa dietro l’angolo. Nello stesso tempo, col suo spiccato senso pratico, il Cavaliere sta cercando i voti in Parlamento per tirare avanti altri 3 anni. Gli basterebbe raggiungere alla Camera «quota 320», così ripete ai gerarchi. Quattro o cinque deputati centristi (oltre ai finiani pentiti) sono nel suo mirino. Ma Berlusconi non esclude di ottenere dall’Udc di più e di meglio. «Sono fiducioso che con Casini riusciremo a concordare un percorso», ripete in queste ore. Niente che possa allarmare Bossi, dunque la maggioranza resterà la stessa. Però emissari di seconda fila gli hanno riferito che Casini potrebbe sostenere alcuni punti del programma, e nel segreto dell’urna magari addirittura una norma salva-premier. Prima di vendere la pelle, il Caimano le tenterà tutte. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57843girata.asp Titolo: UGO MAGRI Nessuna alleanza con l'Udc ma patto su giustizia e riforme Inserito da: Admin - Agosto 23, 2010, 05:51:04 pm 23/8/2010 (6:59) - RETROSCENA
Nessuna alleanza con l'Udc ma patto su giustizia e riforme Il Cavaliere convinto che Bossi darebbe il via libera per salvarlo UGO MAGRI Con Umberto alla fine ci siamo sempre trovati d’accordo», rassicura i suoi Berlusconi, «gli parlerò tra breve, cercherò di far capire a lui e alla Lega in che modo Casini può essere utile ai nostri piani, e vedrete che andrà bene anche stavolta...». Dunque il Cavaliere ha intenzione di insistere, la prima reazione di Bossi non lo turba più di tanto. Quando Silvio cavalca un’idea risulta difficile fargliela abbandonare. E la sua idea non è affatto di inglobare i centristi, i quali tra l’altro fuggirebbero a gambe levate. Per come ne ha ragionato il premier nelle ultime riunioni, dapprima venerdì poi nuovamente sabato, il Cavaliere ha in testa un riavvicinamento strategico sotto le insegne del popolarismo europeo cui si richiamano tanto il Pdl quanto l’Udc. Tempi lunghi ma non eterni. Nella prospettiva di tornare alleati, tramite un patto federativo, alle prossime elezioni politiche. E nel frattempo, di ottenere da Casini una mano nei passaggi parlamentari più delicati. Per esempio, nella fiducia sul nuovo programma in cinque punti? No, lì Silvio spera di farcela con le sue forze, raccattando un po’ di parlamentari qua e là. E i toni sopra le righe di queste ore, con il richiamo teatrale alle urne dietro l’angolo, servono appunto per spaventare qualche finiano in crisi, un po’ di cani sciolti, e raggiungere quota 320 deputati alla Camera (la maggioranza è di 316). Dai centristi il Cavaliere si aspetta un altro genere di aiuto. Per esempio, una mano sulla giustizia, utilissima quando si tratterà di votare uno «scudo» (magari a scrutinio segreto) per il capo del governo assediato dai pm. Ma l’interesse di Berlusconi per Casini va perfino oltre. E’ opinione corrente, tra i consiglieri dei Principe, che «una volta salvato il governo sia altrettanto necessario portare a casa la legislatura». In altre parole, occorre dotare il premier di una base politica più larga, meno asfittica, in grado di sorreggere le riforme. Altrimenti tra tre anni il fiasco, soggiungono, sarà garantito. Messa in questi termini Bossi potrebbe dare via libera, in quanto pure lui è interessato a fare il federalismo. L’Udc rema contro, però mai dire mai. E comunque, quali alternative ha il Cavaliere? Tuffarsi in un bagno elettorale? Sotto questo aspetto nulla è cambiato, assicura Quagliariello, resta valido il documento varato tre giorni da dal vertice Pdl: «O c’è una maggioranza autosufficiente, nel qual caso si va avanti, altrimenti le elezioni diventano inevitabili. Tutto qui. Forzature in un senso o nell’altro sarebbero sbagliate». Non inganni dunque il linguaggio tonitruante del messaggio berlusconiano ai Promotori della libertà, coordinati da una Michela Vittoria Brambilla di nuovo sugli scudi e regista del nuovo movimentismo, come ai tempi del predellino: potendo, Berlusconi sceglierebbe mille volte di evitare le urne. Nel qual caso sarebbe pronto a lanciare una campagna mediatica durissima contro i «traditori» interni, anziché contro i soliti «comunisti». Una svolta anticipata ieri da Arona («non mi regolerò come in passato...») e illustrata così dal portavoce Bonaiuti: «Chi dovesse venir meno al proprio mandato elettorale sarebbe certamente libero di farlo, salvo poi doversi giustificare dinanzi ai propri elettori». Minacce e pressioni psicologiche, accompagnate da una fitta azione di «intelligence» o, se si preferisce, di spionaggio. Tutto quanto accade nel campo finiano viene monitorato giorno e notte dai «berluscones», ieri in agitazione per la voce seguente: il presidente della Camera farà certamente il suo partito, al 90 per cento lo annuncerà nel discorso di Mirabello il 5 settembre prossimo, e come segretario metterà il moderato Urso. Qualcuno tra i fedelissimi del premier ci vedrebbe un timido disgelo, altri invece alzano le spalle: «Tanto tra i finiani la regia resterebbe comunque ai Granata e ai Bocchino...». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57862girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma per ora Berlusconi punta a evitare il voto Inserito da: Admin - Agosto 25, 2010, 03:57:11 pm 25/8/2010 (7:0) - CENTRODESTRA
Ma per ora Berlusconi punta a evitare il voto Oggi il vertice Pdl-Lega UGO MAGRI L’incontro tra Bossi e Berlusconi, se si dà retta ai rispettivi staff, riempie le cronache politiche, ma è senza storia. L’esito pare fatalmente già scritto. Il Cavaliere illustrerà all’Umberto tutte le ragioni per cui andare alle urne non conviene a se stesso e all’Italia. Il Senatùr scuoterà il capo, pure lui si è fatto un’idea (che non è quella del tirare a campare), ma prenderà atto dei voleri di Silvio, e gli dirà: se proprio ne sei convinto, fa come vuoi. L’appuntamento è poco prima di mezzogiorno a Villa Campari, il gioiello immobiliare che Berlusconi s’è comprato due anni fa a Lesa, sulle sponde del Lago Maggiore. Il premier sperava di tenere al largo i paparazzi, invece pure qui l’hanno beccato subito dopo Ferragosto con una dama incappucciata: poco se n’è parlato solo perché il gossip era tutto su Fini. Pare che i due, Berlusconi e Bossi, ragioneranno un’oretta a tu per tu, senza testimoni. Verso l’ora di pranzo sono attesi il governatore del Piemonte Cota e il ministro Calderoli. C’è chi dice che Tremonti arriverà con loro. Altri scommettono invece che il titolare dell’Economia parteciperà ai colloqui fin dall’inizio. Del resto succede sempre così, nelle rimpatriate tra il Cavaliere e la Lega: non si sa mai chi vi partecipa, nel clima di grande fraternità può capitare che «il Trota» (Renzo Bossi) si accomodi accanto al premier e scateni una discussione di calcio. O che la riunione politica si concluda con una gara di sapide barzellette (è successo, capiterà ancora). Insomma: in via Bellerio, dove il Senatùr ieri s’è visto con Giorgetti e l’onnipresente Calderoli, già prevedono la carta che Berlusconi calerà stamane. Sarà della serie «l’Italia ci chiede di andare avanti per completare le riforme, se possibile dobbiamo provarci con convinzione...». Già, ma i finiani? Silvio allora tirerà fuori il documento dei quattro punti, diventati cinque venerdì scorso. Ripeterà a Bossi che saranno «un prendere o lasciare», la mozione di fiducia conterrà l’esplicito riferimento ai disegni di legge più importanti, cominciando dalla Giustizia e dal «processo breve». Non ci faremo gabbare da Bocchino, sarà il senso. E Berlusconi annuncerà alla Lega l’intenzione di prendere personalmente la parola in Aula, alla Camera e al Senato, per creare il giusto pathos, cosicché ciascuno sia messo di fronte alle proprie responsabilità. Come segnala Cicchitto, la ricreazione è finita. Bossi conosce l’amico Silvio come le sue tasche. Dunque, assicurano i suoi, ha già in mente che cosa rispondergli.«Stai attento a non farti logorare», lo metterà in guardia. «Pensaci bene», aggiungerà, «perché adesso c’è lo scandalo di Montecarlo, c’è il cognato di Fini e tutto il resto, ma la gente dimentica in fretta e, se perdi l’attimo giusto per andare alle urne, poi potresti pentirtene amaramente...». Discorsi a futura memoria. Del resto Bossi si rende conto che la maggioranza non può certo auto-affondarsi: o i finiani votano contro la fiducia (scenario molto improbabile), oppure addio elezioni anticipate. Si parlerà pure di Casini. La Lega e Tremonti sono contrarissimi a riportarlo nel governo, Berlusconi invece sarebbe tentato (lunga conversazione domenica al telefono con l’amico Pier, al quale ha confidato tra l’altro di aver passato un’estate abbastanza triste, in solitudine). Ma oggi il Cavaliere procederà con passo circospetto. Non vuole sbattere contro il muro di Bossi. E poi, sparge prudenza il portavoce Bonaiuti, «una cosa per volta», adesso c’è da salvare la legislatura attraverso frontare un duro confronto in Parlamento. Più avanti si vedrà se e come allargare la base politica del governo. Berlusconi non ha fretta, e i centristi nemmeno. Mai si sono sentiti così desiderati tanto a destra quanto a sinistra. Per tenersi in equilibrio, confida spiritoso uno di loro, «siamo costretti a un frenetico immobilismo». Da veri democristiani. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57911girata.asp Titolo: UGO MAGRI Alleati in pressing su Berlusconi "Ora basta liti" Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:21:25 pm 30/8/2010 (7:16) - GOVERNO, IL NODO RIFORME
Alleati in pressing su Berlusconi "Ora basta liti" La soluzione del conflitto nel Pdl passa da un accordo: stop alle epurazioni, ma voto compatto sul processo breve UGO MAGRI ROMA Riavvolgere il film delle ultime settimane: chissà se Berlusconi, potendo, accetterebbe la raccomandazione che gli viene da amici di lunga data. Azzerare tutto. Rimangiarsi l’espulsione per decreto di Fini. Condannare le aggressioni dei suoi giornali alla famiglia Tulliani. Cucirsi la bocca nei confronti del Quirinale. Insomma, prendere atto una volta per tutte che le cariche a testa bassa non lo liberano dai guai. Semmai, peggiorano la condizione... Sono tanti, nelle ultime ore, quelli che cercano di spingere il Cavaliere a più miti consigli. Non solo «pacifisti» alla Gianni Letta. Praticamente l’intero gruppo di vertice del Pdl, la vecchia guardia, è su questa lunghezza d’onda. Ma pure alleati ruvidi come Umberto Bossi. E addirittura «colombe» insospettabili come l’avvocato Ghedini, il quale sa perfettamente che solo in un clima di autentica pacificazione con Fini potrebbe strappare un «salvacondotto» giudiziario per il suo cliente, alle prese con processi (vedi Mills) vicini a concludersi con la condanna. E’ un coro, ormai. Eccezion fatta per il gruppo di amazzoni (la Rossi, la Brambilla, la Ravetto, la Santanchè) da cui il premier ama farsi applaudire, nessuno s’illude più. Contro Fini l’offensiva è fallita, si combatte nel fango, avanti di questo passo perderà pure la guerra nella vana attesa dell’«arma segreta» (qualche rivelazione choc sull’appartamento di Montecarlo) che forse non arriverà mai. Quindi occorre trattare adesso, quando ancora è possibile in condizioni onorevoli. Ascoltando che cosa vuole Fini, e se si tratta di proposte fondate sul buonsenso accettarle. Rinunciando nel frattempo a bombardare il presidente della Camera, a chiederne le dimissioni, a epurare i suoi uomini, a tentare di spaccargli il gruppo. In una parola, Berlusconi viene invitato ad attendere che cosa Gianfranco dirà domenica a Mirabello, quando si rivolgerà al Paese (come anticipano i finiani) «e lì fisserà i suoi paletti». In che cosa consistano questi «paletti», nessuno sa dirlo. Ma agli ambasciatori leghisti (Cota e Calderoli) qualcosa Fini ha lasciato intuire. Il presidente della Camera metterà radici nel centrodestra, deludendo quanti vorrebbero spingerlo nel Terzo Polo casiniano. E dirà più o meno al Cavaliere: se desideri governare fino al 2013, non hai che due chances. O ti rimangi l’editto in cui mi dichiari «incompatibile» dal Pdl. Oppure garantisci un’alleanza elettorale al partito che, fuori dal Pdl, dovrei fondare. A te, caro Silvio, la scelta... Se davvero Fini pronuncerà l’aut-aut, come scommettono queste fonti leghiste, nel campo berlusconiano si aprirà la bagarre. Qualcuno suggerirà al Cavaliere di rispondere «m....» proprio come il generale Cambronne a Walterloo. Altri (sulla scia di Giuliano Ferrara) suggeriranno di «resettare» le polemiche, restituendo a Fini la «compatibilità» e a Bocchino la carica di vice-capogruppo vicario. Altri ancora sosterranno, invece, che un via libera al partito finiano sarebbe in fondo il male minore (è la soluzione preferita da Bossi). Ma tutti, proprio tutti, inviteranno Silvio a tener duro sul processo breve. Come minimo Fini dovrà provare la sua lealtà sostenendo la legge che, nelle pieghe della disciplina transitoria, cancella i processi contro il premier. Sintomatico ieri il capogruppo Pdl Cicchitto, che pure passa per un trattativista: «L’eccesso di furbizia su questo argomento può provocare disastri», ammonisce Bocchino & C, «servono impegni precisi». Come al solito, gli schizzi della faida interna tendono a lambire il Colle più alto. Ed è curiosa la sincronia delle due sponde. Da una parte i finiani sostengono che il vero ostacolo al processo breve non sono loro, bensì Napolitano, dunque il Cavaliere se la prenda con lui. Dall’altra Berlusconi mostra di crederci. E non perde occasione, nei colloqui privati, per lamentarsi del Quirinale sempre poco compiacente. Si sfoga così spesso, in tono talmente acuto, da farsi udire ovunque e da rendere inutili le successive smentite del portavoce Bonaiuti: come raccogliere il mare con un cucchiaio. Napolitano a sua volta non ama farsi tirare per la giacca. Si può comprendere, dunque, l’irritazione presidenziale. Ma il vero dramma è che le sue riserve al processo breve, ben note dalle parti di Palazzo Chigi, non hanno ancora prodotto alcuna rettifica. Fonti berlusconiane si sentono di escludere che Ghedini e il ministro Alfano stiano preparando emendamenti, o addirittura qualche nuova scappatoia giuridica per il premier: «Il testo è quello», dicono, «e tale resterà». Neppure frena Berlusconi la prospettiva che Napolitano, una volta approvata la legge, possa rinviarla alle Camere per un riesame. «Pazienza, in quel caso la riapproveremo tale e quale», alzano le spalle i pretoriani. L’enorme «rospo» di Fini si può ingoiare, aggiungono, ma a patto che Berlusconi venga sottratto una volta per tutte alle grinfie dei «giudici comunisti». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58053girata.asp Titolo: UGO MAGRI Cota il mediatore adesso spaventa i "berluscones" Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:29:46 pm 29/8/2010 (9:2) - RETROSCENA
Cota il mediatore adesso spaventa i "berluscones" Temono un'intesa che il Cavaliere non può accettare UGO MAGRI ROMA Il mediatore della Lega di nome fa Roberto, ma in realtà sono due (Cota e Calderoli) in quanto curiosamente tutti i colonnelli di Bossi, compreso Maroni, si chiamano allo stesso modo. Hanno l’incarico di ricucire con Fini e, per quanto tengano le bocche chiuse come si conviene ai negoziatori, qualcosa filtra sulle loro mosse. Per esempio, si sa che entrambi hanno sentito al telefono il presidente della Camera, e ne è scaturito un calendario di massima. Questo calendario non brilla per l’ansia di concludere, e già la tempistica fa pensare che gli inviati di Bossi tutto abbiano in mente, tranne che di afferrare Fini per il bavero urlandogli (come certi berlusconiani vorrebbero) «brutto traditore, rispondi seduta stante». Con calma, invece, e per piacere. Dunque, questa settimana verrà lasciata scorrere perché il presidente della Camera deve pronunciare un discorso importante domenica a Mirabello. Così, nell’attesa che Fini pianti i suoi paletti, si arriva al 5 settembre. Il Parlamento riapre l’8, a quel punto Gianfranco incontrerà la coppia di ambasciatori. Nemmeno quell’abboccamento però (se si dà retta ai finiani) sarà conclusivo, perché a metà mese prossimo si voterà la fiducia sulla famosa mozione dei 5 punti, e i «ribelli» non negheranno il sostegno al governo, salvo mantenere i loro «distinguo» sulla giustizia. Solo a quel punto la trattativa entrerà nel vivo. E tra i consiglieri del premier comincia a farsi strada il sospetto che non ci sarà da attendersi nulla di buono. Definirli preoccupati è poco. Qualcuno di loro addirittura maledice il giorno (mercoledì 25 agosto 2010) in cui Berlusconi ha dato il via libera alla mediazione leghista. Si domandano come ha fatto, un uomo di tale astuzia, a segnare un autogol del genere. In pratica, sostengono costernati questi personaggi, «Silvio ha messo in mano a Bossi un pistolone carico, che Umberto punterà addosso a noi». Proviamo a immaginare lo scenario catastrofico (per il Cavaliere) che vedono a settembre. Tentativi di dividere i finiani andati a vuoto. Rivelazioni sulla casa di Montecarlo (l’«arma segreta» in cui Silvio confida) non pervenute. Dubbi crescenti del Quirinale sul «processo breve». Sentenza della Corte costituzionale in arrivo sul «legittimo impedimento», con probabile conseguente ripresa del processo Mills che potrebbe tradursi in primavera nella condanna del premier... Fini potrà dire ai due Roberto: faccio un mio partito e voglio l’impegno, nero su bianco, che stringerete alleanza elettorale con me. Oppure anche: voglio rientrare nel Pdl nelle condizioni di dignità che mi sono state negate. In cambio (è sempre la previsione dei «berluscones» più pessimisti) Fini concederà una tregua nei «distinguo» e un salvacondotto giudiziario per il premier. A quel punto i mediatori torneranno dal Cavaliere e gli chiederanno: quale delle due soluzioni preferisci? Berlusconi vorrebbe rifiutarle entrambe. Però si è messo nelle mani di Bossi consegnandogli il pistolone, appunto, delle elezioni anticipate. Se lui si ribella, quello spara e si va al voto, altro che alleanza con l’Udc. Col Pdl che perde mentre la Lega raddoppia i seggi nel Nord. Se invece Silvio accetta una delle due soluzioni (questo temono, strappandosi le vesti, i «berluscones» del gruppo dirigente), ancora peggio: sarebbe il trionfo di Fini e di Bocchino. Il quale in queste ore confida, non a caso: «Siamo molto, molto interessati alla mediazione leghista». Ma allora, si dispera a voce alta un colonnello ex-An, «per quale diavolo di motivo Berlusconi ha iniziato questa guerra? Perché ha tentato di cacciare Fini? Come mai ha forzato di suo pugno tutti i documenti? Che senso aveva alimentare le campagne aggressive?». Tenta una risposta pro-Cavaliere Osvaldo Napoli: «Un successo della mediazione avrebbe in Berlusconi il primo artefice. Un insuccesso, invece, resposabilizzerebbe Bossi e i finiani». Ma siamo già all’inventario dei danni. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58037girata.asp Titolo: UGO MAGRI Giustizia, in campo Ghedini e Bongiorno Inserito da: Admin - Settembre 01, 2010, 03:02:14 pm 31/8/2010 (7:36) - GOVERNO, SETTIMANA DECISIVA
Giustizia, in campo Ghedini e Bongiorno Mediazione difficile Berlusconi: non mi faranno fare la fine di Craxi UGO MAGRI ROMA Non ne vuole nemmeno sentir parlare. Chi ci prova, va a sbattere contro un muro di gomma perché Silvio Berlusconi trattiene a stento il «disgusto» (così si esprime privatamente il premier) per questo tira-e-molla con i finiani. Svanita l’illusione di disintegrare il rivale, ostenta personale disinteresse per i risvolti della trattativa con l’altro fronte che esiste, eccome, e viene mandata avanti lungo sentieri più o meno inesplorati. Ne sono protagonisti in particolare Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno: avvocati entrambi, nonché parlamentari e super-consulenti in materia di Giustizia, il primo a tutela del premier, la seconda il nome e per conto del presidente della Camera. Oggetto di questi conversari sono, ovviamente, la posizione giudiziaria del Cavaliere e le norme capaci di sottrarlo alla probabile condanna sulla vicenda Mills, casomai la Corte Costituzionale a dicembre dovesse negargli lo scudo del «legittimo impedimento». In particolare sembra che i due legali stiano lambiccandosi alla ricerca di possibili soluzioni diverse dal «processo breve», che cancellerebbe i processi di Berlusconi ma pure parecchi altri, centinaia di migliaia secondo i magistrati, sollevando le riserve fortissime di Fini e dello stesso Quirinale. L’alternativa in discussione consisterebbe nel diverso calcolo delle prescrizioni, vale a dire degli anni che occorrono perché un reato non venga più perseguito, da inserire nella riforma complessiva del processo penale. Modificando il calcolo, Berlusconi si troverebbe al riparo. E’ una strada più lunga e tortuosa del «processo breve», che fa storcere il naso ai fautori delle scorciatoie giuridiche. Né vi è certezza che i due legali riusciranno adintendersi, in quanto il negoziato «tecnico» si intreccia strettamente con quello politico, in vista della fiducia al governo che verrà votata intorno al 15 settembre nell’aula di Montecitorio. E se la trattativa dovesse fallire? Sparge camomilla il portavoce, Bonaiuti: «Gli italiani sono tornati a lavorare e così pure il governo, gli incendi estivi sono quasi spenti...». Peccato che l’altra sera a Milano, con gli amici in un noto ristorante, il premier non fosse altrettanto tranquillo. Alcuni commensali giurano che Berlusconi ha riproposto la sua vecchia idea di un discorso incendiario rivolto all’Italia, da pronunciare non in Parlamento ma tramite la tivù a reti unificate, per spiegare «la persecuzione di cui sono vittima». Addirittura Silvio accarezza l’idea (alla Farnesina se ne parla da mesi) della lettera indirizzata a tutti i ministri europei della giustizia, per denunciare «da cittadino» le colpe della magistratura italiana. Propositi da cui si evince l’animo più vero del premier: “Non mi faranno fare la fine di Craxi”. Berlusconi oggi si trattiene nella Capitale, ma sbaglia chi immagina una girandola di incontri con i gerarchi, ancora ieri sera in attesa di convocazione a palazzo Grazioli. L’unica riunione di cui si ha notizia è quella convocata dai due capigruppo Pdl al Senato, Gasparri e Quagliariello: tutti i cervelli del partito invitati a confrontarsi da lunedì prossimo alla Summer school di Frascati sul tema «Pdl un anno dopo: ha ancora un senso?». La risposta non è affatto scontata. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58083girata.asp Titolo: UGO MAGRI Silvio e il prezzo della pace Inserito da: Admin - Settembre 04, 2010, 09:36:09 am 4/9/2010 (7:15) - RETROSCENA
Silvio e il prezzo della pace Risponde al richiamo del Colle ma occupa una poltrona che voleva tenersi libera UGO MAGRI ROMA Una giornata intera spesa per far pace col Colle, o quantomeno provarci. Il lato positivo è che, tra note comunicati e dichiarazioni-fiume, Berlusconi è riuscito un po’ a distrarsi, ingannando l’attesa di quanto dirà domani sera Fini da Mirabello: nemmeno ha avuto il tempo di metterci la testa, giurano nell’entourage. Per cui niente di nuovo dal fronte interno al Pdl. L’aspetto negativo, invece, è che per placare le ire quirinalizie Berlusconi si trova adesso a dover sciogliere in sette giorni il nodo (successione di Scajola) fin qui sempre rinviato. Rinviato da lui, non da Napolitano. Al quale invece i «ventriloqui» del Cavaliere rimproverano di aver messo i bastoni tra le ruote, fino al punto di respingere la candidatura di Romani a suo tempo avanzata dal premier. Questa tesi è stata esposta, papale papale, dal deputato Pdl Stracquadanio, con tanto di indice puntato nei confronti del Presidente. Il Quirinale ha preso cappello proprio come accadde due mesi fa per un oscuro parlamentare toscano, Bianconi, perché anzitutto dev’esserci rispetto, la forma diventa sostanza. Telefono rovente con Palazzo Chigi, e nota finale di Berlusconi: falso che Napolitano gli avesse messo un veto, mai era stato fatto il nome di Romani. In realtà, nemmeno questa versione è esatta al cento per cento. Berlusconi il nome in questione l’aveva sussurrato all’orecchio del Presidente nell’ambito di una verifica riservata preliminare, come sempre si fa in casi del genere. E il Presidente della Repubblica gli aveva mosso certe obiezioni (legate, pare, a un conflitto d’interessi del candidato ministro) su cui il Cavaliere aveva promesso di fornire rapidi chiarimenti. Salvo dileguarsi senza più dare notizie di sé. La ragione non è affatto un mistero: con la scusa di Napolitano contrario, Berlusconi voleva tenersi libera la poltrona, casomai Casini avesse deciso di tornarsene in maggioranza. Insieme col vitello grasso, per festeggiare il figliol prodigo, Silvio avrebbe sacrificato volentieri la pedina dello Sviluppo. Sennonché, passa un mese passa l’altro, l’intesa con i centristi non matura. Ci si mette di mezzo la Lega, Bossi pone il veto sull’Udc, e nel frattempo monta la pressione per colmare il «vuoto di governo». Basta. Il Cavaliere alza bandiera bianca. Ieri mattina annuncia finalmente la nomina, sperando di normalizzare i rapporti col Colle da lui stesso logorati attraverso battute e giudizi antipatici. Pronunciati tra quattro mura, però puntualmente rimbalzati all’esterno. Napolitano che «mi rema contro», che «non si capisce a che gioco sta giocando», anzi «si comprende benissimo: aiuta Fini». Superlavoro del portavoce Bonaiuti con smentite a raffica, «mai pronunciate né pensate cose del genere», ma inutilmente perché sul Colle hanno le loro antenne, insomma grande irritazione presidenziale per quei commenti del premier così poco istituzionali. Ora il Cavaliere spera di averci messo, come si dice, una pietra sopra. Però è davanti a un bivio. Strategico. Se tornerà dal Presidente e insisterà sul nome di Romani (corredato dai chiarimenti richiesti), Napolitano alzerà le braccia. Sarà il segnale (sussurrano ai vertici del Pdl) che il premier non rinuncia a tenere l’uscio socchiuso per Casini. Romani è un fedelissimo, il giorno che Berlusconi gli chiedesse di rientrare nei ranghi per far posto a un centrista, risponderebbe di sicuro «obbedisco». E la via per allargare la maggioranza sarebbe più agevole. L’alternativa di cui si parla a Palazzo Grazioli è Galan. Potrebbe essere «deportato» allo Sviluppo per rendere felice la Lega, che a quel punto tornerebbe in possesso dell’Agricoltura oggi affidata all’ex-governatore del Veneto. Inutile dire che Bossi vedrebbe invece con qualche sospetto la promozione di Romani, oggi vice-ministro. Se dunque il Cavaliere vuole coprirsi le spalle con Bossi qualunque cosa accada, non ha che da spostare Galan. Salvo doversi difendere nel partito, e non solo dai finiani: troppo potere alla Lega, gli verrebbe rimproverato, «di questo passo ci mangiano vivi». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58207girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere prova a trattare con Futuro e Libertà Inserito da: Admin - Settembre 12, 2010, 08:59:17 am 7/9/2010 (2:13)
La mossa di Berlusconi e Bossi: "Fini incompatibile, intervenga Napolitano" Il premier e il Senatùr chiedono le dimissioni del presidente della Camera. Il leader leghista: "Comunque si andrà alle urne". Il Cavaliere prova a trattare con Futuro e Libertà ma il Carroccio spinge per le elezioni anticipate UGO MAGRI Nel drammatico vertice notturno, vince la tesi del Senatùr: con il presidente della Camera che rema contro, è impossibile fare le riforme, federalismo addio. Dunque delle due l’una. O Fini si toglie di torno, oppure tanto vale andare alle urne subito, anche a novembre... Siamo dunque a un passo dalla crisi istituzionale. Il premier, spalleggiato da Bossi, dichiara «incompatibile» con il suo ruolo la terza carica dello Stato. E sollecita a Napolitano un incontro dove gli chiederà un gesto che esula dalle sue prerogative: cacciare il presidente della Camera. Pare che Bossi sia pronto a premere lui stesso il grilletto delle elezioni anticipate. La Lega si asterrebbe sul documento programmatico del governo, un auto-affondamento in piena regola per dichiarare chiusa la XVI legislatura repubblicana. Se questo esige il Carroccio, Berlusconi può solo alzare le braccia in segno di resa. Già, perché di resa si tratta. Potendo, il Cavaliere eviterebbe le urne. I suoi sondaggi riservati sono tutt’altro che esaltanti. E comunque, le poche chances di ripetere il trionfo 2008 sarebbero castigate da un passo falso. Tipo: precipitare il Paese verso elezioni che la gente si spiegherebbe solo come effetto di una faida privata, frutto malato di scontri caratteriali, risultato inevitabile di mosse mal calcolate. «Non è che io abbia paura del voto», è l’argomento speso nella notte dal Cavaliere con Bossi, «ma la rottura definitiva dovrebbe avvenire su questioni che interessano la gente, capaci di coinvolgerla direttamente...». In assenza di giustificazioni vere, più che una campagna elettorale sarebbe una corsa al massacro. Ecco perché ieri mattina, in gran segreto, due esponenti finiani erano stati ricevuti nella villa di Arcore: il presidente dei senatori Fli, Viespoli, e il coordinatore dei gruppi parlamentari, Moffa. Berlusconi li aveva accolti insieme col sottosegretario Augello («pontiere» tra il premier e i dissidenti). Voleva capire se il suo governo ha ancora uno spiraglio di futuro, oppure la maggioranza è già dissolta, come sostiene Bossi. «Con Fini io, personalmente, non parlerò neanche morto», era stata la premessa del Cavaliere, «provateci voi». Verificate, aveva aggiunto, in che cosa consisterebbero le richieste finiane per stipulare quel patto di legislatura evocato domenica dal presidente della Camera. Lasciando intendere che le avrebbe esaminate con cura, perché non siamo più al brusco «prendere o lasciare» di qualche giorno fa. Se le pretese fossero appena appena ragionevoli, aveva soggiunto, i cinque punti della mozione di fiducia potrebbero essere aggiustati, ritoccati... E’ sottinteso che Moffa e Viespoli si erano mossi da Roma non prima di avere informato Fini. E non c’è bisogno di aggiungere che, di ritorno da Arcore, avevano subito messo al corrente il loro leader. La premessa col Cavaliere era stata, del resto, molto esplicita: «Basta coi tentativi di spaccarci, di dividerci in buoni e cattivi, altrimenti non possiamo metterci nemmeno a sedere». Insomma, poche ore prima che Bossi gettasse lo spadone sulla bilancia, si consumava l’ultimo disperato tentativo di pace. Che se fosse andato in porto sarebbe stato coronato, nella mente del Cavaliere, da un documento, un preambolo, un incipit (le idee non sono ancora chiarissime) concepito come «Patto di lealtà verso gli elettori». Dunque con l’impegno solenne dei parlamentari finiani a non pugnalare sui provvedimenti chiave il governo e la legislatura. Come mai Silvio, violentando il suo personaggio, aveva accettato di piegarsi a una trattativa sempre sdegnosamente rifiutata? Perché quando si sente stretto in un angolo, l’uomo sa essere realista. Nel pomeriggio erano andati a trovarlo il capogruppo Cicchitto e colui che ha monitorato la «campagna acquisti» tra i deputati, cioè Verdini. Purtroppo per Silvio, la caccia di onorevoli senza patria né bandiera ha fin qui prodotto risultati alquanto modesti. Nel voto di fiducia sui cinque punti, una maggioranza forse ci sarebbe pure senza i finiani. Però tra quanti hanno la testa sulle spalle nessuno osa mettere la mano sul fuoco. E comunque (vedi Prodi) non si fanno grandi riforme, anzi nemmeno si governa, con due-tre voti di scarto. La Lega proprio questo sostiene. «Se Berlusconi dava retta a me», sospira Bossi al Tg2, allo scioglimento delle Camere si sarebbe già arrivati. Ora va da sé che, con la richiesta a Napolitano di dichiarare Fini incompatibile, si spezza anche l’esile filo del negoziato sottobanco. Il buonsenso è maturato tardi, quando il gong era già suonato. Ora non resta che allacciarsi le cinture. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58300girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Berlusconi teme ritorsioni in aula e si prepara alle urne Inserito da: Admin - Settembre 23, 2010, 05:48:01 pm 23/9/2010 (7:13) - RETROSCENA
Ora Berlusconi teme ritorsioni in aula e si prepara alle urne Il premier ai suoi: «Alla prossima si va tutti a casa» UGO MAGRI ROMA Un governo soccorso dai «franchi tiratori» finora non s’era mai visto. Né si ricorda a memoria d’uomo un’opposizione pugnalata nel segreto dell’urna. Il voto di ieri su Cosentino va ascritto dunque per intero alle anomalie del berlusconismo, su cui volgeranno l’occhio gli storici. Nell’immediato il Cavaliere flette i muscoli; infligge ai finiani quella che il capogruppo alla Camera Cicchitto, senza mezzi termini, considera una «disfatta»; dà la sensazione di poter superare giovedì prossimo l’asticella fatidica dei 316 voti, maggioranza autosufficiente. Un bilancio che sarebbe al 100 per cento positivo, se Berlusconi non lasciasse dominare ogni sua mossa dall’ansia irrazionale (ricambiata) di distruggere Fini. A costo di sacrificare se stesso come il calabrone, che pur di pungere soccombe felice. E’ un fatto che tre giorni fa il Cavaliere aveva pranzato con il gruppo di vertice del «Giornale» (mentre ieri a palazzo Grazioli ha ricevuto Antonio Angelucci, senatore del Pdl ed editore di «Libero»). Ed è un altro fatto che l’altra sera, adunati i suoi colonnelli, aveva dato l’annuncio: «Domani leggeremo il documento che incastra Fini». Ieri mattina (anticipato pure da Dagospia) ecco in edicola il famoso «scartafaccio» sulle società off-shore da tempo sul tavolo del Cavaliere, mostrato ai vari visitatori come il più ambito dei trofei. Senonché la reazione politica per ora risulta esattamente contraria a quella che l’alchimista Silvio intendeva ottenere: il presidente della Camera non si dimette affatto, in compenso si adira moltissimo. E fa annunciare ai suoi scudieri guerra totale, aperta, senza prigionieri. In pratica, Fini condanna a morte la legislatura a costo di uscire lui stesso di scena. Cosicché l’urlo di vittoria si è strozzato in gola ai generali berlusconiani. Nella gara di auto-lesionismo, non immaginavano di subire il pareggio. Ora, tra i più consapevoli dei «berluscones», si guarda con ansia al dibattito sulla fiducia. Perché il timore è che nemmeno basti più raggiungere il minimo sindacale a «quota 316». Bonaiuti stima che il voti favorevoli saranno 320, Verdini (incaricato di tenere il pallottoliere) è calato a 319 dopo la defezione di Catone. Ma un conto è aggiungere il sostegno, per giunta gratuito, di Fli e autonomisti siciliani come sarebbe avvenuto senza i dossier. Altra cosa è trovarsi tutti scatenati contro. La tanto agognata autosufficienza si trasformerà in incubo. Maggioranza alla mercè di frange incontrollabili. Cinque, forse sei commissioni a Montecitorio controllate dall’opposizione, con l’impossibilità di spingere avanti le iniziative del governo (ne sapremo di più il 7 ottobre, quando le presidenze verranno rinnovate in base ai nuovi equilibri). E l’arbitro dei lavori, con i suoi super-poteri di indirizzo parlamentare, che rema apertamente contro il governo, senza possibilità di cacciarlo via... L’esito ineluttabile, fa intendere la Lega, si chiama «elezioni anticipate». Nella primavera prossima, perché a votare entro l’anno ormai non si farebbe più in tempo. Magari previo intermezzo di governo tecnico. Il Cavaliere ne è consapevole. Prima di tornare a Roma ha presieduto l’ennesima «sala crisi» del Pdl, il comitato informale di pasdaran come Mario Mantovani, Valducci e Rampelli, dove si gettano le basi della prossima campagna elettorale. Ha dato ordine di bruciare i tempi, perché al prossimo serio scivolone parlamentare «si va tutti a casa», e il partito sembra in coma. Certi sondaggi del premier lo danno in crollo verticale, 9 punti persi negli ultimi tre mesi. Lui, Berlusconi, viene descritto in preda a umori contrastanti. Da una parte sprezzante del pericolo: «Salta la trattativa sul Lodo? Pazienza. Meglio tirare avanti senza scudo, piuttosto che cedere ai ricatti di quello...». Dall’altra, Napoleone pare rendersi conto della Beresina. E abbozza addirittura una marcia indietro: «Io ero e resto garantista», commenta gli ultimi sviluppi, «se Fini dimostrerà che con Montecarlo non c’entra, ne prenderò atto». Ma a tempo scaduto. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58785girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora il premier pensa di evitare la conta Inserito da: Admin - Settembre 27, 2010, 09:36:34 am 27/9/2010 (7:25) - GOVERNO. LA STRATEGIA DEL PDL
Ora il premier pensa di evitare la conta Il voto sui 5 punti potrebbe non determinare le sorti dell'esecutivo UGO MAGRI C’era una volta la mozione di 4 punti, poi cresciuti a 5, su cui Berlusconi avrebbe chiesto la fiducia solenne del Parlamento, e in caso non l’avesse ottenuta saremmo andati di corsa alle urne perché è tempo di fare chiarezza. Adesso non se ne parla più perché lungo la strada un po’ di solennità si è persa, dalle parti di Palazzo Grazioli la mozione di fiducia viene giudicata eccessiva, al chiarimento basterà il discorso del premier seguito dal voto su una risoluzione dove sarà sintetizzato il programma da perseguire. Oppure su cinque risoluzioni distinte per ciascun capitolo (giustizia, Mezzogiorno, fisco, sicurezza e federalismo). Ma aleggia un’ulteriore ipotesi, maturata dopo il videomessaggio in cui Fini ha smorzato i toni: quella che mercoledì alla Camera non si voti del tutto. In questo caso Berlusconi pronuncerebbe il discorso («volerà sopra le polemiche contingenti», rassicura tutti il portavoce Bonaiuti), dopodiché ogni gruppo direbbe la sua. E se i finiani garantissero un appoggio così convinto, talmente leale al governo da rendere superflua la conta, a quel punto tanto varrebbe soprassedere... Un finale a tarallucci e vino che lascerebbe l’Italia a bocca aperta, ma permetterebbe al Cavaliere di dire: «Ho vinto, mi reggo su una maggioranza autosufficiente, dunque tiriamo avanti». E nello stesso tempo consentirebbe ai finiani di sostenere l’esatto contrario, «abbiamo vinto noi, saremo decisivi per la sopravvivenza del governo», senza timore di essere smentiti dai numeri. Quale sarebbe il vantaggio per entrambi? Rinviare la resa dei conti. Lasciare che gli animi si plachino un altro po’. E, nel caso, ricominciare a tessere la trama per salvare la legislatura. Inutile dire che le «colombe» caldeggiano il dibattito senza voto proprio per guadagnare tempo, laddove i «berluscones» duri e puri preferirebbero farla finita e contarsi. A decidere sarà il Capo, che studia la situazione da Arcore scettico e, a quanto dicono, piuttosto distaccato. Nei confronti di Fini il risentimento del premier resta sopra i livelli di guardia (ricambiato peraltro). Sarà uno spettacolo studiare i volti dei due protagonisti dopodomani, quando il Cavaliere prenderà la parola in aula con il Nemico alle spalle: il presidente della Camera arbitra infatti i lavori dallo scranno che sta esattamente sopra quello del premier. L’incidente clamoroso è sempre in agguato. Ma resistere in sella fino al 2013 in fondo a Silvio non dispiacerebbe affatto, tantomeno disprezzerebbe uno scudo contro i processi: entrambi traguardi che richiedono qualche forma di condiscendenza da parte del rivale. Dunque per il momento Berlusconi dà corda ai suoi negoziatori, per vedere cosa portano a casa. Sono attesi per le prossime ore approfondimenti del capogruppo Pdl Cicchitto e ulteriori ambasciate del solito Gianni Letta, onde verificare fino a che punto l’appoggio finiano potrà essere forte e convinto, cominciando dai temi della giustizia dove il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini alzano la posta: «Serve una riforma di rango costituzionale». Un primo banco di prova si avrà stasera da Vespa. E’ in programma che nel salotto televisivo si accomodino Gasparri e Bocchino. Difficile che finisca in rissa poiché i due si conoscono troppo bene, vita morte e miracoli. Ma se il capogruppo finiano alla Camera rilancerà i «distinguo», insisterà con le critiche al Cavaliere, insomma darà spettacolo, è chiaro che vinceranno i «falchi», mercoledì si andrà alla conta e amen. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58889girata.asp Titolo: UGO MAGRI Sarà fiducia, i finiani verso il sì Inserito da: Admin - Settembre 29, 2010, 11:37:41 am 29/9/2010 (7:12) - LA GIORNATA
Sarà fiducia, i finiani verso il sì Decisione di Berlusconi, ma per stare tranquillo in futuro deve superare quota 316 senza i "ribelli" UGO MAGRI ROMA Il Cavaliere smonta la trappola che stava scavandosi con le sue mani, e chiede la fiducia del Parlamento. Sarà votata stasera alle 19 nell’aula di Montecitorio, domani replica a Palazzo Madama. Il colpo di scena Berlusconi s’è reso conto che, se non avesse messo sul piatto la sopravvivenza del governo, molti dei potenziali sostenitori ne avrebbero profittato per sfilarsi, per distinguersi, per eludere la scelta di campo. Dunque niente più voto su una risoluzione, che avrebbe permesso soprattutto ai finiani di pretendere la loro firma in calce al documento (o in alternativa di presentarne uno loro pressoché identico). In conclave coi maggiorenti Pdl, il Cavaliere ha capito l’errore e rovesciato la strategia. Quella nuova è semplice: o la va o la spacca. Più probabile la prima delle due. Il voto finiano Bocchino fa sapere che, se nel discorso Berlusconi non darà di matto, Futuro e libertà sarà disposto a sostenerlo pure senza la propria firma in calce alla mozione. Però l’appoggio non è garantito per sempre. Superata la fiducia, potrà mancare su questioni importanti. Per esempio, non appena si voterà la mozione Pd per cacciare Bossi dopo gli sproloqui sui «porci» romani. Dunque occhio stasera al tabellone luminoso: per avere qualche chance di tirare avanti il premier dovrà superare quota 316 (la maggioranza più uno dei deputati) al netto dei «ribelli», e magari pure degli autonomisti siciliani di Lombardo. Ce la farà? La «compravendita» Mentre nei giorni scorsi tenevano banco i Tulliani, svelti emissari del premier sfruttavano la distrazione collettiva per lavorare indisturbati. Così adesso l’«autosufficienza» del governo sembra davvero a un passo. «Abbiamo fatto bene i conti», assicura Frattini. Lasciano ufficialmente l’Udc i 5 del gruppo Mannino. Fonderanno il Pid (Popolari per l’Italia di domani) e contano di aggregare ulteriori misteriosi peones. Casini è convinto di sopravvivere anche meglio, perché si libera di certi personaggi chiacchierati assai. L’Api di Rutelli perde a sua volta due pezzi, il campano Cesario e l’imprenditore veneto Calearo, già fiore all’occhiello della lista veltroniana nel 2008. Più Pdl, più Lega, più partitini vari, il centrodestra può arrivare a 313 voti. Si asterranno i tre altoatesini della Svp che nel 2008 avevano votato contro: non vogliono fare da stampella al premier, dicono, però una mano gliela stanno dando. Spargono la voce i finiani che Berlusconi chiede la fiducia perché il «calciomercato» ha fatto flop. Bersani, più realista, teme il successo di un’«operazione che prelude al governo Berlusconi-Bossi-Cuffaro», e invoca l’intervento della magistratura con questo argomento niente affatto trascurabile: «Se si promette la rinomina o uno stipendio questa è corruzione». Stasera comunque sapremo se il Cavaliere è «autosufficiente» o no. La bozza del discorso Da chi l’ha letta viene definita «corposa», cioè densa di promesse all’Italia. E «zuccherosa», in quanto priva di asprezze. Animata dallo «spirito alto e nobile di Onna» (riferimento al tono ecumenico che il Cavaliere sfoderò il 25 aprile 2009). Nel testo redatto da Bonaiuti, Fini non viene mai citato, né in bene né in male. Però chissà quanti ritocchi subirà la bozza entro le 11 di stamane, quando Berlusconi prenderà la parola in Aula. Letta preme per un atto di generosità politica e istituzionale. Sicuramente verrà incensato Napolitano, per non dire del Papa. Un approfondimento in extremis è stato chiesto a Maroni perché il capitolo sicurezza pareva smilzo. Sulla giustizia per ora è previsto un fugace cenno all’importanza di stringere i tempi, senza espressi riferimenti al «processo breve». Non si parla di Lodo, che cammina sulle sue gambe. Oggi in Senato Vizzini presenta un testo che fa scudo solo al Capo dello Stato e al premier, proprio come desiderano i finiani. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58941girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Alfano frena sulle intercettazioni Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2010, 09:17:12 am 9/10/2010 (7:41) - GOVERNO. IL BRACCIO DI FERRO
Ora Alfano frena sulle intercettazioni Il ministro: prima discutiamo la riforma costituzionale complessiva della giustizia UGO MAGRI ROMA Un ministro della Repubblica, il finiano Ronchi, comunica il benservito al premier. Non subito: nel 2013, quando la guida del governo toccherà al presidente della Camera, «unico candidato naturale del centrodestra» secondo Ronchi, essendo le ipotesi alternative «soltanto il frutto di scemenza mentale». Berlusconi da Putin Pare sia localizzato in una dacia tra Mosca e San Pietroburgo: impossibile sapere come l’abbia presa. Forse lo capiremo oggi, quando il presidente del Consiglio si farà vivo per telefono con il convegno democristiano di Rotondi a Saint-Vincent. Difficile che i tre anni concessi dal suo ministro costituiscano per lui motivo di sollievo. Però il nodo esiste, prima o poi verrà al pettine. I finiani tranquillamente ammettono: lo slalom per evitare elezioni anticipate potrà durare un anno, un anno e mezzo al massimo; poi, per quanti esercizi di equilibrismo si possano fare, la legislatura andrà a sbattere non appena si comincerà a porre l’interrogativo: chi sarà il prossimo candidato premier? Fini è più pessimista dei suoi. Mette in conto che Berlusconi, o la Lega, tenteranno di uccidere in culla Futuro e libertà, dunque le urne sono dietro l’angolo. «Per il Paese sarebbe il momento meno adatto, ma nel caso valuteremo», risulta abbia detto in una riunione a porte chiuse di militanti, a Palermo. Fini contro Tremonti L’altra sera era andato da Santoro, gesto in sé blasfemo agli occhi del Cavaliere. Ieri, prima telefonata di solidarietà alla Marcegaglia (sottinteso: entrambi siamo vittime dello squadrismo mediatico), poi colloquio col governatore siciliano Lombardo, artefice di una giunta che lascia il Pdl solo soletto all’opposizione. La terza carica dello Stato fa impallidire il predecessore Bertinotti (che con stile lo rimarca) quanto a dinamismo politico. Tiene alta l’attesa per una nuova legge elettorale rivendicando «ai cittadini la scelta dei propri parlamentari». Concorda con Lombardo un forcing parlamentare per buttare all’aria la Finanziaria di Tremonti, nel mirino soprattutto certi tagli specie nel comparto scuola. Fa sognare gli autonomisti siciliani quando avverte che il percorso dei nuovi decreti attuativi sul federalismo fiscale «è appena cominciato»: vuoi vedere, si chiedono allarmati nel Carroccio, che lungo la via Fini si prepara a mettere qualche bastone tra le ruote? La riforma della Giustizia Diversamente da quanto il Cavaliere aveva minacciato due sere fa, il ministro Alfano precisa: di intercettazioni e di processo breve si discuterà dopo, con calma. Prima andrà in scena la riforma costituzionale della Giustizia: dalla separazione delle carriere per i magistrati, al nuovo Csm. Questioni impegnative assai, su cui è le toghe alzeranno barricate. «Ma sono temi presenti nel programma di governo votato dagli elettori, lo sanno tutti», sottolinea Bonaiuti, portavoce del premier. Non si prevedono vertici di maggioranza per discutere le grandi linee in quanto, stavolta è Quagliariello a parlare, «nel governo ci sono esponenti di Futuro e libertà», per l’appunto Ronchi, «ed avranno modo di pronunciarsi nella sede propria, il Consiglio dei ministri». La mossa del Guardasigilli è, da punto di vista finiano, alquanto subdola. Se quelli di Futuro e libertà ci stanno, faticheranno a presentarsi poi quali paladini della magistratura aggredita dal Cav («Questione morale e legalità» sono, insieme col Sud, le bandiere sventolate da Fini a Palermo). Se invece rompono sulla riforma costituzionale, rischiano di venire additati dalla propaganda berluscoiana come i traditori del patto elettorale. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59240girata.asp Titolo: UGO MAGRI La parabola di Brunetta, il ministro tuttofare che ha perso lo slancio Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2010, 12:06:42 pm 14/10/2010 (7:38) - ANALISI
La parabola di Brunetta, il ministro tuttofare che ha perso lo slancio Ha dato il meglio di sé nel primo anno, adesso ha poca esposizione mediatica UGO MAGRI Nessuno più di Renato Brunetta incarna la parabola del governo Berlusconi. Scattato con passo da centometrista, lungamente primo in testa al plotone ministeriale per visibilità e popolarità che ne consegue, primo anche nel varo di riforme (sulla carta) destinate a restare scolpite nel marmo, come quella «anti-fannulloni» datata 2009. Poi però, una volta tagliato il traguardo del primo anno, è come se il titolare della Pubblica Amministrazione avesse dato il meglio di sé. Dire che da allora ha fatto perdere le tracce sarebbe falso. Ogni giorno inonda le redazioni di comunicati e conferenze stampa. Inoltre Brunetta rimane, perfino a detta degli avversari, un personaggio tra i più intelligenti della politica, una colonna del governo, una risorsa del centrodestra. Eppure... Non sembra più quel fenomeno che si tirava dietro le telecamere. In Italia ci si abitua in fretta. Gli stessi colleghi ministri quasi rimpiangono con nostalgia certi scontri epici con il grande antagonista Tremonti, del quale Brunetta mai si è sentito da meno, forte della cattedra di Economia e di un concetto di sé inversamente proporzionale alla statura («Avrei vinto il Nobel qualora non mi fossi dato alla politica», rivelò un giorno). Tremonti, se è autentica la testimonianza, durante un summit governativo minacciò addirittura di prenderlo a pedate. Acqua passata, comunque. Così come sembrano reperti archeologici quei video su YouTube dove Brunetta si azzuffa con la Bignardi, mostra i denti a Mentana, litiga con Cazzullo e querela in diretta il conterraneo Stella: era la stagione d’oro in cui tutti i giorni Renato guadagnava la prima pagina, un fuoco pirotecnico di trovate e provocazioni intellettuali, di salve polemiche contro «gli insegnanti assenteisti e i supplenti incapaci», contro «i perditempo difesi dai sindacati», contro «Calabria e Campania senza cui l’Italia sarebbe prima in Europa», contro i «bamboccioni» da cacciare di casa per legge a 18 anni e poi più su, sempre più su, fino a bombardare i salotti buoni del potere, l’«élite di merda che ha la puzza sotto il naso e pensa solo a far cadere il governo, vadano a morire ammazzati». Reazioni con la bava alla bocca, perfino Calderoli una volta ebbe a dire: «Renato l’ha fatta fuori dal vaso». Apri adesso il Blog di Brunetta e trovi le ragnatele. C’è l’attacco a Tremonti, ma chi clicca il link scopre che è lì da un anno, quando a Giulio rinfacciò «un potere di veto cieco, cupo, conservatore, indistinto», e Berlusconi dovette intervenire tramite Bonaiuti da Gedda per calmare le acque. Nei sondaggi il suo indice di gradimento permane elevato, solo Maroni gli dà una pista; però l’esposizione mediatica in calo (con l’eccezione di Crespi) deprime gli indici. Brunetta non potrebbe di nuovo vantarsi «sono come la Cuccarini, il più amato dagli italiani». Due le spiegazioni tra gli addetti ai lavori. La prima psicologica: questo personaggio laborioso, competente, capace, per troppi anni è stato tenuto tra i rincalzi berlusconiani. Quando finalmente il Cavaliere gli ha dato la chance di cimentarsi nella sua «mission impossible» (ammodernare la burocrazia, emblema di tutti i nostri mali), lui ha scaricato un’energia contratta, quasi repressa che espandendosi in un Big Bang l’ha ingigantito politicamente e non solo (mitica la caricatura del comico Crozza, nelle vesti di Brunetta su una poltrona smisurata). Fino al giorno della primavera scorsa in cui egli ha coltivato l’ambizione di clonarsi, ministro e pure candidato sindaco nella sua città, Venezia. Stracciato al primo turno da un carneade lagunare, Orsoni. Una botta tremenda al suo «ego», capace addirittura di indire un concorso a premi per la vignetta più feroce. Dicono le malelingue che non si sia ancora ripreso. L’altra spiegazione è tutta politica. Brunetta, figlio di un venditore ambulante, esprime l’indole popolare del berlusconismo, forse più ancora del Cavaliere medesimo. Ma soprattutto ne interpreta l’anima «rivoluzionaria», liberale e meritocratica, di cui Brunetta è stato nella prima fase il ta-tze-bao vivente. Sennonché questa stagione pare al tramonto per mancanza di soldi, di coesione, forse di idee. Non sempre, del resto, le rivoluzioni sono all’altezza delle aspettative che suscitano tra la gente. Se l’interpretazione è esatta, si applica dunque a Brunetta la stessa sfida che vale per il premier: saprà ritrovare lo slancio delle origini? L’unica certezza è che il tran-tran non fa per lui.I sondaggi qui sopra rappresentati si riferiscono a rilevazioni effettuate ogni settimana da Istituto Piepoli mediante interviste telefoniche con metodologia CATI su un campione di 500 casi rappresentativo della popolazione italiana maschi e femmine dai 18 anni in su, segmentato per sesso, età, Grandi Ripartizioni Geografiche e Ampiezza Centri proporzionalmente all’universo della popolazione italiana maggiorenne. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59404girata.asp Titolo: UGO MAGRI La partita si gioca su Cota: se salta lui, cade il governo Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2010, 12:16:30 am 17/10/2010 (8:13) - RETROSCENA
La partita si gioca su Cota: se salta lui, cade il governo Il Carroccio pronto a denunciare il golpe e a "staccare la spina" UGO MAGRI ROMA Altro che tentativo di metter pace tra i due litiganti... Dice in pratica Calderoli: la situazione è fuori controllo, al volante non c’è nessuno. La rappresentazione plastica si è avuta giovedì: un Consiglio dei ministri per decidere l’austerità, con il premier assente per malattia. E Tremonti assistito da Brunetta davanti alle telecamere, come se Berlusconi fosse il passato e in sua vece ci fosse un governo tecnico... Così non si va avanti, lancia l’allarme la Lega, l’incidente è dietro l’angolo. Già c’eravamo vicini giorni fa, quando il Senato stava bocciando il documento cardine della politica economica, e solo una sterzata dei finiani in extremis aveva evitato il burrone. Quella sarebbe stata la classica goccia, il popolo padano non avrebbe esitato un attimo, per bocca dei suoi rappresentanti, a chiedere nuove elezioni subito. Ma ogni momento ce n’è una, l’ultima è questa manifestazione Fiom che per la Lega significa scontro sociale durissimo. La prossima mina saranno i giudici. E quando il Carroccio se la piglia coi magistrati, non ha in mente le «toghe rosse», le inchieste su Berlusconi oppure le altre che puntano a incastrare Letta... No: guarda a Torino, al Tar del Piemonte, al riconteggio delle schede regionali su cui la Bresso nutre così forti speranze. Perché lo sanno tutti, Cota è il «figlioccio» di Bossi. Se venisse detronizzato dal giudice in base a qualche cavillo, l’Umberto ci metterebbe un attimo a denunciare il «colpo di mano», a proclamare morta la democrazia in Italia, perché «se un organo amministrativo può invalidare la volontà del popolo allora qui non regge più nulla, la legislatura è in coma, meglio staccare la spina» (il Presidente della Repubblica pare che ne sia bene al corrente, e tenga perciò un occhio allarmato sul caso Piemonte). Perché «basta con la finzione di un governo impotente, che non sa farsi prendere sul serio», dicono in via Bellerio a Milano. Della decomposizione in atto la Lega vede due colpevoli, Silvio e Gianfranco: «O si incontrano e stringono un nuovo patto», insiste Calderoli, «oppure meglio chiuderla qui». Non è una proposta di pace. Semmai un ultimatum, forse addirittura un «de profundis» della legislatura, in quanto nessuno meglio del ministro in cravatta verde sa che un faccia-a-faccia tra Berlusconi e Fini sarebbe quanto di più improbabile. Calderoli è andato personalmente a trovare entrambi, illuso lunedì scorso dalla loro stretta di mano davanti alle bare dei quattro alpini caduti. Salvo trovarsi davanti a un muro. Se prima si odiavano, adesso di più. Il presidente della Camera (nonostante i tentativi di dialogo Ghedini-Bongiorno) pare non abbia la minima voglia di offrire riparo al premier contro i pm: solo norme costituzionali, che entrerebbero in vigore col Cavaliere già condannato... Se quelli insistono, la Lega rompe. Con tutti e due. Per correre alle elezioni da sola, e sfruttare a fondo la crisi del Pdl, mai così nera. Mercoledì è convocato un ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli. Grande battage mediatico per presentarlo come una svolta, diventerà un partito democratico promette Bondi. Il piano è studiato da Verdini, prevede che coordinatori regionali e vice saranno sempre nominati dal Cavaliere. Tuttavia, nel caso di designazioni pressoché unanimi (servirà il 75 per cento), d’ora in avanti Berlusconi si limiterà a mettere il timbro. Partirà il tesseramento, come in tutti i partiti degni del nome. Disco verde ai congressi comunali e provinciali, dove (lì davvero) sarà lecito scannarsi per le poltrone. E grandi speranze verranno riposte nei «team della libertà», da reclutare in base a un indirizzario che conta 1 milione e mezzo di nomi. Berlusconi, in tutto questo, si ritempra. Chi l’ha sentito ieri giura che quando tornerà sulla scena lo troveremo «in forma e più giovane». Ci manca solo che abbia fatto un lifting... http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59521girata.asp Titolo: UGO MAGRI Alfano prova a convincere Fini Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2010, 11:58:50 am 19/10/2010 (7:41) - GOVERNO. LA MAGGIORANZA
Alfano prova a convincere Fini Oggi il ministro illustra ai presidenti delle Camere la riforma della giustizia UGO MAGRI ROMA Fino a domattina Berlusconi se ne starà ad Arcore, e raccontano che sia tutto preso dalla preparazione dei prossimi appuntamenti internazionali (vertice Nato a Lisbona, G20 a Seul). La figlia Barbara lo attendeva a un party con molti invitati vip, ma lui non si è concesso. Gli umori berlusconiani sono un mistero agli intimi, figurarsi per gli americani. Corre voce di ambienti d’Oltreoceano che, cautamente, vanno in giro chiedendo notizie, informandosi con alcuni nostri opinion leader sui possibili sbocchi del duello con Fini... Da Villa San Martino al momento filtra solo un grosso fastidio del premier per i riflettori accesi sulle sue ville, e dubbi tardivi circa l’intervento a gamba tesa di Ghedini per fermare «Report». Alfano «esploratore» Nell’attesa che Berlusconi torni a occupare la scena, sarà lui il protagonista. Difatti stasera il ministro presenterà a Fini la «grande, grande, grande riforma della Giustizia» (definizione del Cavaliere), perlomeno nelle sue linee-guida. Dall’accoglienza che il Guardasigilli riceverà a Montecitorio capiremo meglio la sorte della XVI legislatura. Da parte «futurista» per il momento non affiorano veti, anche perché Alfano presenterà la sua riforma a Fini (ma pure a Schifani) come un cantiere aperto, anzi apertissimo. E dunque non si impiccherà su «dettagli» tipo: con quale maggioranza la Consulta potrà bocciare le leggi incostituzionali? Invece si può scommettere che, quando Berlusconi gli chiederà com’è andata, per prima cosa Alfano parlerà del Lodo, e riferirà l’atteggiamento di Fini, sullo scudo processuale. Big bang nel Pdl Sostengono gli ottimisti che domani sera, all’Ufficio di presidenza, nascerà il nuovo partito, quanto meno scoccherà la scintilla che dovrebbe portare prima o poi a rivoluzioni tipo elezione democratica dei dirigenti e addirittura del coordinatore unico, l’Erede Designato. Si assiste a un vortice di incontri conviviali, ma soprattutto è in atto una scomposizione delle vecchie alleanze interne che rimodella la mappa del mondo berlusconiano. Prevale la spinta centripeta, la tendenza a cercare compromessi. Addirittura qualcuno vede prendere corpo in queste ore un nuovo grande «correntone» centrale, all’ombra del Cavaliere si capisce, con la benedizione di due personaggi esterni, Letta e Confalonieri. Ne farebbero parte praticamente tutti i berlusconiani di buona volontà: dagli ex-An Gasparri e La Russa fino ai «picciotti» siciliani di Alfano, passando per i pretoriani di LiberaMente. «Macchè correntone», sorridono altri più scettici, «al massimo qui c’è solo il grande attivismo della Gelmini che organizza incontri a tutto spiano... La verità», aggiungono, «è che al Capo di tutta questa agitazione non importa un fico». Bossi e Casini Il primo abbassa i toni, il secondo li alza. Al Consiglio federale della Lega prevale la prudenza, tanto che il presidente dei deputati Reguzzoni ora sostiene: se il Tar del Piemonte boccerà Cota, non ci saranno contraccolpi sul governo (esponenti autorevoli del Carroccio sostengono il rovescio). Forse la Lega aspetta il verdetto del Consiglio di Stato, che si pronuncerà stasera. Casini invece sente odore di bruciato, le urne sono sempre dietro l’angolo, e rafforza il profilo centrista dell’Udc: mai, dice, con una sinistra che insegue la piazza. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59574girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Berlusconi tende la mano all'Udc di Casini Inserito da: Admin - Novembre 01, 2010, 12:06:13 pm 1/11/2010 (7:49) - GOVERNO, A UN PASSO DALLA CRISI
Ora Berlusconi tende la mano all'Udc di Casini Raccomanda ai suoi: non sparate su Pierferdinando. Obiettivo: non lasciare spazi a un esecutivo tecnico UGO MAGRI ROMA Sarà un caso, oppure è tutto fiuto giornalistico: chi può dirlo? Sta di fatto che proprio ieri Vespa ha anticipato certe pagine del suo prossimo libro-strenna con le dichiarazioni che il Cavaliere gli ha reso dieci giorni fa. E sono tutta una tirata contro l’ipotesi di governo tecnico che Berlusconi sente nell’aria mai come in questo momento, con Fini sul punto di staccargli la spina. Berlusconi paragona il mondo senza di lui senza di lui a «un rovesciamento della democrazia», e con formula retorica esclude che Napolitano «potrebbe mai consentire un ribaltamento del risultato elettorale», con quanti hanno vinto le elezioni sospinti all’opposizione. E in effetti, tutti gli indizi portano a escludere complotti del Quirinale per far fuori il premier, anzi: il Capo dello Stato pare sia piuttosto freddo con chi immagina maggioranze senza Pdl e Lega. Più che le trame da Prima Repubblica, Berlusconi deve temere il collasso della propria immagine, il ridicolo che la vicenda Ruby gli sta rovesciando addosso, addirittura i contraccolpi sul piano giudiziario della famosa telefonata in Questura. Ieri l’avvocato Ghedini ha messo sottosopra il Palazzo con quel riferimento a «ipotesi di reato» che qualcuno starebbe studiando per dare a Silvio il colpo di grazia. Possiamo immaginare cosa accadrebbe se la pm Ilda Boccassini, per fare un esempio, dovesse inquadrare il premier nel suo mirino. Sarebbe l’equivalente del celebre «avviso di garanzia» che colpì Berlusconi nel lontano ‘94. Né è scongiurato il rischio, per il Cavaliere, che dall’alto del loro magistero i vescovi gli mettano un quattro in condotta, già l’avevano avvertito di non dare scandalo. Perfino un amico fedele anche di nome, come Confalonieri, gliel’ha detto pubblicamente: se lui continuerà ad avvitarsi su se stesso, una crisi verrà vissuta come liberatoria anzitutto dal suo partito. E ci siamo vicini assai... Pare che Berlusconi stia cercando occasioni per mettere in mostra una gran voglia di «fare». Sui rifiuti della Campania «e non solo», anticipa il portavoce Bonaiuti. Il «passo indietro» chiesto da Fini, inutile dire, non sfiora nemmeno lontanamente il pensiero del premier. Che nei suoi sfoghi domenicali ha confermato quanto di peggio sul presidente della Camera (così perlomeno giurano i suoi interlocutori), incentivando gli attacchi frontali tipo quello portato da Osvaldo Napoli contro Fini («L’imbarazzo? Un sentimento che gli è sconosciuto...»). Nello stesso tempo Silvio raccomanda di non sparare contro Casini in quanto, sostiene, «lui potrebbe darci una mano». E dal momento che l’Udc chiede a gran voce le sue dimissioni, viene da chiedersi se il Cavaliere non abbia perso per caso un po’ di lucidità. Chi sta addentro alle strategie berlusconiane giura che no, Berlusconi non è affatto impazzito. L’aiuto che si attende dai centristi (in cambio, pare, di qualche patto declinato al futuro) consisterebbe nella garanzia del loro a ipotesi «tecniche», appunto. Perché senza l’apporto di Casini nessun «ribaltone» avrebbe successo e si andrebbe di corsa alle elezioni anticipate. Insomma, pare ci siano contatti con l’Udc (non è ben chiaro a quale livello) con l’obiettivo di dissuadere anzitutto Fini. Della serie: «Caro Gianfranco, se tu domenica davanti al tuo partito premerai il grilletto, sappi che si andrà al voto e tu ti dovrai acconciare al ruolo di numero due del terzo polo». Mentre Berlusconi coltiva questi disegni, i suoi seguaci molto concretamente ammucchiano sacchi di sabbia nelle trincee della Camera e, soprattutto, di Palazzo Madama. Perché in caso di crisi la partita si deciderà lì, per un pugno di voti. Sotto stretta osservazione 4-5 senatori contattati dal Pd per votare un’eventuale mozione di sfiducia al premier. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60038girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere barcollante teme che arrivi il peggio Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:31:48 pm 2/11/2010 (7:38) - RETROSCENA
Il Cavaliere barcollante teme che arrivi il peggio E tra i suoi torna la paura della “bomba” sulle stragi di mafia UGO MAGRI In giornata Berlusconi dovrebbe vedere Bossi a tu per tu, e questo loro colloquio non si annuncia giocoso come le vecchie cene di Arcore, tra canti e barzellette, peraltro esaurite da un pezzo. Stavolta ci sarà poco da ridere. Il Cavaliere è stretto nell’angolo, al «caso Ruby» si aggiunge adesso il filone palermitano, destinato a saldarsi con quello milanese magari nella persona di un pm che non fa sconti, Ilda Boccassini. Il portavoce Bonaiuti l’ha messo al corrente poco dopo la siesta pomeridiana, non appena sui siti web è filtrata qualche primizia. Escluso che l’umore del Capo ne abbia tratto giovamento. Consultazioni immediate con il team legale e con il ministro Brunetta, tirato in pista suo malgrado. Ma c’è di ben peggio in arrivo, a quanto pare. Ambienti berlusconiani sempre attendibili sono certi che i magistrati siciliani stiano per lanciare «ad horas» contro Palazzo Chigi l’«atomica» di nuove rivelazioni (vere o presunte) sulle stragi mafiose, da Falcone a Borsellino... Un assalto giudiziario mai visto, «siamo al regolamento di conti finale», è il commento che si raccoglie ai vertici Pdl, dove preparano una resistenza disperata. Dunque, il faccia-a-faccia con Bossi. Mai Berlusconi vi era arrivato così barcollante. Una spintarella del Senatùr, una sua mezza frase bofonchiata ai giornali, sarebbero sufficienti per stenderlo al tappeto. Basterebbe in particolare che la Lega prendesse in considerazione l’ipotesi di governi diversi, e tanti saluti a casa. Non pare che l’amico Umberto stia per giocargli un tiro del genere. Qualche sospetto, in verità, era circolato a Roma, ma poi Maroni e ieri Calderoli con fin troppa veemenza hanno ribadito: se cade il governo, tutti alle urne, non esistono soluzioni «tecniche», anzi si tratterebbe di un vero e proprio golpe contro cui la Padania scenderebbe in piazza. A scanso di equivoci, per Berlusconi resta vitale farsi ribadire l’appoggio personalmente da Bossi, magari guardandosi reciprocamente negli occhi per capire ciascuno fino a quale limite può spingersi la lealtà dell’altro. La buona notizia di ieri, per Silvio si capisce, è che Fini non staccherà la spina al governo domenica da Perugia, nel discorso di lancio del suo nuovo partito. Siamo al solito gioco del cerino; il presidente della Camera non vuole essere quello che si scotta causando la crisi e, magari, le elezioni anticipate. L’altro ieri aveva lanciato il sasso facendo sapere che, casomai Berlusconi avesse fatto pressioni per Ruby sulla Questura, si sarebbe dovuto dimettere. Ieri Fini ha nascosto la mano; o meglio, ha fatto dire al super-fedele Bocchino che Futuro e libertà non intende abbattere il governo, semmai pungolarlo. Nel mezzo c’è stata un’astuta mossa del Pdl, una nota a firma di Cicchitto e Quagliariello dove si dice in sostanza: caro Gianfranco, Silvio non si dimetterà mai sua sponte; se proprio vuoi che cada, devi votargli tu contro con una mozione di sfiducia... Fini se ne guarda bene. «L’equilibrio politico per ora regge», è il commento soddisfatto di Quagliariello. Su tutto però incombe il macigno del «bunga-bunga» presidenziale. Berlusconi è inciampato a Napoli sul «caso Noemi», a Bari sulla D’Addario, a Milano su Ruby, e in attesa che da altre località si facciano avanti, saltano fuori dalla Sicilia altre sedicenti ospiti a Palazzo Grazioli o a Villa La Certosa di festini privati che a questo punto tanto privati non sono, poiché sollevano scandalo politico in Italia e all’estero, addirittura configurano un filone giudiziario dove si indaga per sfruttamento della prostituzione. Col Cavaliere ancora nei panni dell’«utilizzatore finale» (celebre espressione dell’avvocato Ghedini). Ma la somma delle vicende tende a delineare, lo si ammette perfino nell’entourage berlusconiano, un problema di ordine pubbblico. Le feste del Cavaliere configurano ormai un caso serio di ordine pubblico. Il «ventriloquo» berlusconiano più pugnace, Osvaldo Napoli, già mitraglia l’«asse tra Milano e Palermo», sinonimo di complotto giudiziario. Ma per quanto ancora può andare avanti così? http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60066girata.asp Titolo: UGO MAGRI Bossi: "Basta, rovesciamo il tavolo" Inserito da: Admin - Novembre 03, 2010, 10:04:37 pm 3/11/2010 (7:43) - GOVERNO - GIORNI DECISIVI
Bossi: "Basta, rovesciamo il tavolo" Il leader leghista spinge Berlusconi: se Fini decide di uscire dal governo, è il momento giusto. Oggi il premier, che continua a non volere la crisi, riunisce la direzione del Popolo della libertà UGO MAGRI ROMA Siamo piombati in un tale abisso di assuefazione che personaggi parecchio in vista, del Parlamento e del governo, reagiscono con annoiata indifferenza alle ultime da Palermo: «Ah sì? Pure questa Nadia mette a verbale di essere stata alle feste del Presidente? E dov’è mai la notizia...». Una escort di più, una di meno, a questo punto fa poca differenza. E chissà quante altre si faranno avanti nelle prossime settimane, è la scommessa rassegnata dell’entourage berlusconiano. Anche perché si è innescato un meccanismo mediatico infernale: colei che «confessa» ai magistrati, poi ha la chance di diventare una celebrità (vedi Ruby) con interviste ai giornali, comparsate televisive e magari, un domani, la particina in qualche cine-panettone. Pelose preoccupazioni per il «povero Lele» e per il «povero Emilio», vale a dire Mora e Fede, che si ritrovano una muta di pubblici ministeri alle calcagna. E molti interrogativi su come potrà reagire Brunetta, ministro particolarmente esposto nelle trattative sindacali, al tentativo di coinvolgerlo nei festini... Ma se le disgrazie fossero tutte qui, il clan berlusconiano vivrebbe queste giornate con ben altro spirito perché, appunto, c’è un’Italia che non riesce più a indignarsi, anzi addirittura si diverte alle gag del Cavaliere sui gay. Circolano a Palazzo Chigi sondaggi da cui risulta che una chiara maggioranza degli elettori è indifferente, distratta, propensa al non voto casomai fosse chiamata alle urne; interessata soltanto a misure economiche di cui non si vede traccia (e lì Berlusconi sa di rischiare parecchio, molto più che per le Procure). Ciò che tiene davvero col fiato sospeso, ai vertici del governo, è la regia finiana della crisi politica, un thriller che si dipana con arte sadica nei confronti del Cavaliere, una doccia scozzese continua: l’altro giorno pareva che il presidente della Camera gli desse qualche speranza, ieri invece è cresciuta l’ipotesi di un «appoggio esterno». Futuro e libertà farebbe dimettere dal governo i suoi rappresentanti e si limiterebbe a votare volta a volta, secondo gli estri del momento... Può essere che l’annuncio venga dato da Fini domenica, alla convention di Perugia; secondo alcuni futuristi è quasi certo, altri come al solito gettano acqua sul fuoco. In casa berlusconiana sono scattate tutte le sirene perché sarebbe un altro metro di miccia consumato, e la deflagrazione del governo sarebbe devastante. Il detonatore si chiama Bossi. Ha ripetuto chiaro ieri al Cavaliere quando si sono visti a Grazioli (presente il figlio Renzo detto il Trota): «Se Fini decide l’appoggio esterno, questa è l’occasione buona per buttare all’aria il tavolo, andare alle elezioni e scaricare su di lui la colpa». Com’è noto, dalle urne la Lega avrebbe tutto da guadagnare, Berlusconi tutto da perdere. Finora il Cavaliere era riuscito a prendere tempo; ma se Gianfranco domenica servirà a Bossi l’occasione di aprire la crisi, figurarsi se l’Umberto se la farà scappare... Dunque nel Pdl si respira l’aria delle grandi e decisive vigilie. Stamane ne discuterà il premier con il giro stretto dei fedelissimi perché domani c’è Direzione nazionale del partito, Berlusconi dovrà presentarsi al suo parlamentino con un’idea, un piano, una linea che non sia la consueta sparata propagandistica (tale la considerano ormai perfino dalle sue parti) contro i giornali e contro le «toghe rosse». I suoi consiglieri sono divisi. Qualcuno lo esorta a sparare, dal pulpito della Direzione, un colpo d’avvertimento; ad avvisare Fini che un appoggio esterno sarebbe insopportabile, dunque ci pensi bene prima dell’irreparabile, e magari torni sui suoi passi (di qui a domenica c’è ancora tempo). Altri suggeritori del premier, invece, insistono per trattare a oltranza, e magari far finta di niente. In fondo, argomentano, si dimetterebbe Ronchi dalle Politiche comunitarie: mica sarà quel dramma... E Berlusconi? Lui la pensa come i trattativisti. Vorrebbe tirare avanti, si giudica inostituibile. Ma con Bossi ha stretto un patto del diavolo. E gli toccherà onorarlo fino in fondo http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60103girata.asp Titolo: UGO MAGRI Dimissioni? Piuttosto la guerra civile Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 03:22:47 pm 12/11/2010 (7:34) - VERSO LA CRISI/ REAZIONI
"Dimissioni? Piuttosto la guerra civile" Berlusconi si sfoga nella notte di Seul con i vertici del partito riuniti dopo l'incontro Fini- Bossi UGO MAGRI INVIATO A SEUL «Non mi dimetterò mai», quasi grida al telefono Berlusconi dal ventunesimo piano dell’Hotel Hyatt, e dall’altro capo del filo lo ascoltano tramite interfono tutti i gerarchi del suo partito, riuniti a 8962 chilometri di distanza. Il tono di voce è concitato, «Fini vuole eliminarmi, mi vuole morto fisicamente per la storia di Montecarlo, è convinto che gliel’abbia montata io. Ma se questi faranno il governo tecnico noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s’immaginano...». Per tre volte il presidente del Consiglio si collega con il vertice Pdl, l’ultima quando in Corea è già l’una di notte, e sarebbe il momento di calare il sipario su una giornata bestiale: atterraggio a Seul dopo la notte passata in volo, il Cavaliere con la faccia gonfia di sonno e due fessure al posto degli occhi, colloquio in albergo con il premier vietnamita Nguyen Tan Dung, unico «bilaterale» di Berlusconi laddove in queste prime battute del G20 è stato tutto un fiorire di meeting, protagonisti Obama, il britannico Cameron, la tedesca Merkel. L’Italia a zero. O meglio: non si sa. Magari di incontri ad alto livello ce ne saranno stati, per esempio durante la cena tra i capi di Stato e di governo che, tutti insieme, cercano una via d’uscita alla grande stagnazione. Però il nostro premier s’è ben guardato dal renderne edotti i propri concittadini. Subito dopo il dolce, ciao ciao con la mano ai cronisti e via di corsa in albergo per farsi ragguagliare sull’unico incontro di cui davvero gli importasse qualcosa, quello a Roma tra Fini e Bossi. Che fosse la sua grande preoccupazione, lo s’era capito dal tentativo di farne partecipe perfino il rappresentante di Hanoi. La scenetta è un autentico cammeo. Berlusconi che si avvicina confidenziale a Nguyen Tan Dung e, tardando l’interprete, gli annuncia nel suo inglese non proprio oxfordiano: «I have some difficulties in this moment», ho qualche problemuccio a casa, perdonami caro amico del Vietnam se la testa è altrove... Dunque Berlusconi torna dalla cena ufficiale, si chiude in camera col fido Bonaiuti e fa chiamare di corsa Cicchitto, nel cui studio alla Camera è adunato l’intero gotha del Pdl, da Bondi a Quagliariello, da Fitto a la Russa, da Romani alla Gelmini. Vuole sapere, Berlusconi, com’è andata veramente tra Umberto e «quello là» (Gianfranco). Vengono messe a confronto le versioni di Bossi, di Maroni e di Calderoli, risulta chiaro che non collimano affatto. Qualcuno sente puzza di bruciato e lo dice. Silvio ribadisce alto e forte, «di Bossi io mi fido al 99 per cento», tuttavia aleggia la sensazione che siano in atto strani giochi per rimpiazzare il premier con chiunque purché non sia lui. E che la Lega sotto sotto stia valutando tutte le strade nel proprio interesse... Un incauto (o un’incauta?) propone al Capo di dimettersi come chiede Fini, salvo riavere subito l’incarico dal capo dello Stato. Coro di «noooo, troppo pericoloso, sarebbe come mettere la testa tra le fauci del leone», e poi da qualche giorno il Presidente spara a raffica sul governo, come fidarsi di Napolitano? Mentre si parlano da un capo all’altro del pianeta, arriva in diretta la notizia che nemmeno la versione di Bossi è oro colato, anzi lo stesso Fini la smentisce. Si decide perciò di troncare gli indugi: basta così, «o Berlusconi oppure elezioni» riassume il ministro Matteoli in rima baciata. Viene stilato un documento, il premier se lo fa leggere, gli piace, lo approva. Il suo prossimo passo consisterà nel rimpasto, via il ministro Ronchi (finiano) e dibattito in Senato per rinnovare la fiducia: quanto alla Camera poi si vedrà, perché lì governo rischierebbe la bocciatura. E non sta scritto da nessuna parte che in assenza di dimissioni del premier debbano pronunciarsi entrambi i rami del Parlamento, uno potrebbe anche bastare... Tocco surreale: mentre Berlusconi per tre ore al telefono coi suoi tenta di esorcizzare i governi tecnici, i due personaggi più titolati a guidarli si trovano pure loro a Seul. Uno, Tremonti, se l’è portato da Roma in aereo, per risparmio si capisce, e ha partecipato alle riunioni dei ministri economici. L’altro, il governatore Draghi, ha gustato addirittura la cena dei Grandi nella sua veste di presidente del Financial Stability Board. Obama e gli altri non immaginano, ma seduti di fronte avevano il presente e, forse, il futuro della politica italiana. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60371girata.asp Titolo: UGO MAGRI La missione impossibile, anche contro il parere di Bossi Inserito da: Admin - Novembre 16, 2010, 05:29:07 pm 16/11/2010 (6:47) - VERSO LA CRISI- MOSSE E CONTROMOSSE
"Resistere, resistere". Berlusconi spera ancora nel contro-ribaltone La missione impossibile, anche contro il parere di Bossi UGO MAGRI Il Cavaliere ancora spera di farcela, anche al fotofinish, pure con due voti di maggioranza. Anzi, perché due? Per tirare avanti con il governo uno solo gli basterebbe, ci metterebbe la firma con entusiasmo... Tutto il groviglio istituzionale di queste ore, con il rischio di scontro tra Camera e Senato, con il presidente della Repubblica costretto a fare da arbitro come su un ring, è figlio di questa ostinata e (perfino nel giudizio di alcuni suoi scudieri) irragionevole resistenza berlusconiana. Condotta sul presupposto di non dover e non poter mollare la presa. Spiega sconsolato chi gli vive al fianco: «Silvio è convinto che, non appena lui cessasse di essere premier, subito qualche pm ne chiederebbe l’arresto, la Camera lo concederebbe. Proprio così, teme di finire in manette...». Sembra enorme, incredibile, pazzesco, e forse neppure Di Pietro arriva ad augurarsi un epilogo così choccante per la democrazia italiana. Eppure, questi sono gli spettri che (sempre nel racconto dei fedelissimi) si agitano nella mente del nostro premier, spingendolo a una sorta di comportamento per lui del tutto innaturale. L’uomo che ha sempre scelto di rivolgersi alla gente, che ha saputo costruire la sua fortuna politica spiazzando i giochi del Sinedrio, eccolo vestire adesso i panni dell’azzeccagarbugli, scartabellare Regolamenti, tuffarsi nelle casistiche parlamentari, perorare la tesi secondo cui la fiducia al governo andrebbe discussa prima al Senato anziché prima alla Camera. Sul presupposto (tutto da dimostrare) che ciò gli permetterebbe di sfangarla non solo a Palazzo Madama, cosa abbastanza probabile, ma pure a Montecitorio. L’impresa è giudicata dai più quasi impossibile. Pare sia rimasto a crederci Berlusconi, unico e solo. Parli con i suoi luogotenenti e ti sussurrano che sperare in un contro-ribaltone è pura follia, mai si sposteranno abbastanza deputati da colmare un gap stimato in 12-13 voti. E poi, soggiungono, «nemmeno ce lo auguriamo, poiché nessun governo potrebbe sopravvivere più di qualche mese se si trovasse in bilico su ogni votazione, se venisse continuamente battuto sulle sue leggi, sui suoi decreti...». Sarebbe solo un supplemento crudele di agonia, un accanimento terapeutico. Meglio farsi bocciare, è il sottinteso, e puntare diritto alle urne, dove le speranze di vittoria del centrodestra restano alte nonostante Fini. Oppure meglio tentare la carta di un nuovo governo, si è sforzato invano di argomentare Bossi ieri pomeriggio nella villa di Arcore (che certi buontemponi Pdl hanno ribattezzato per assonanza Hardcore, ammiccando alle imprese amatorie che lì si sarebbero consumate). Bossi non è isolato. Tra i giovani leoni berlusconiani prevale la tesi che, se il Capo si dimettesse come chiedono Fini e Casini, poi Napolitano non potrebbe che ridargli l’incarico e insomma, tanto varrebbe provarci, alla peggio resterebbe la carta delle elezioni... Niente da fare, però. Non c’è verso. Il Cavaliere a dimettersi non ci pensa nemmeno lontanamente. Cosicché si va cercando in queste ore un punto di compromesso tra lui, decisissimo a presentarsi in Senato, e Fini, il quale tenta di fucilarlo immediatamente alla Camera. Napolitano, vecchio saggio, pare voglia favorire una soluzione salomonica, tipo: dibattito sulla fiducia contestuale nei due rami del Parlamento. Sarebbe l’«uovo di Colombo» capace di placare tutti, e Gianni Letta («sul Quirinale garantisco io», ripete da giorni) ha fatto da tramite tanto nei confronti del premier, quanto nei riguardi di Schifani. Il quale in teoria potrebbe accordarsi direttamente con Fini, essendo suo dirimpettaio; ma è noto come i due non amino rivolgersi la parola, e dunque metterli in contatto richiede un supplemento di diplomazia. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60480girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: crisi ora? È da irresponsabili Inserito da: Admin - Novembre 26, 2010, 05:36:29 pm Politica
26/11/2010 - GOVERNO- IN VISTA DELLA FIDUCIA Berlusconi: crisi ora? È da irresponsabili Ma si mostra tranquillo sulla fiducia. La Carfagna ritira le dimissioni UGO MAGRI ROMA Si sta delineando un esito paradossale della crisi. O perlomeno: tutti ne parlano («vox populi» secondo il portavoce berlusconiano Bonaiuti), segno che qualcosa di vero dev'esserci. Questa voce dà per sicura la fiducia al governo quando Camera e Senato si pronunceranno, martedì 14 dicembre. Ma attenzione, non è altrettanto certo che questa fiducia sia sufficiente per governare. Anzi, somiglia moltissimo a un trappolone studiato dalla coppia Fini-Casini per evitare le elezioni, e nello stesso tempo far divorare lentamente il premier dalle formiche rosse. Il piano anti-Silvio Consiste nel garantirgli in Parlamento una maggioranza così striminzita per cui Berlusconi non sarà in grado di far passare nessuna delle sue riforme (tranne quelle che interessano agli altri due). In pratica un governo con le mani legate, come si è visto in questi giorni sull'Università, al punto che la ministra Gelmini è dovuta recarsi con un foglietto in mano dal capogruppo del Fli Bocchino, pregandolo di salvare almeno quei pochi articoli da lei indicati... Altri tre-quattro mesi così, finché Berlusconi getterà la spugna, e avanti un altro premier. Perché il bersaglio è lui. Un governo di minoranza E' lo scenario di cui si parla per il 14 dicembre. Maggioranza a quota 309-310, laddove servirebbero 316 voti per la metà più uno dei deputati. E tra gli oppositori una dozzina almeno di assenze strategiche per abbassare il quorum, onde consentire a Berlusconi di farcela volente o nolente. Debolissimo. Stremato. Però il Cavaliere non potrà neppure ribellarsi e dimettersi, come la Santanchè scommette che lui farà immediatamente in quel caso, perché Napolitano potrebbe dirgli: «Caro Silvio, una maggioranza sia pure minima ce l'hai, dunque come faccio a scioglierti le Camere? Cerca piuttosto di governare». Poi, certo, lui potrà sempre sostenere che Fini e Casini non hanno il coraggio di staccare la spina. Bossi già argomenta qualcosa del genere: «Mi sa che la fiducia Berlusconi l'avrà. Non solo dalla destra ma anche dalla sinistra. Hanno paura di andare al voto». Non sarà comunque un bello spettacolo, e magari sarà proprio la Lega, un bel giorno, a pronunciare il fatidico «basta». Il Cavaliere incerto A parole lui va come un treno, «il 14 contiamo di avere la fiducia, altrimenti andremo al Colle per chiedere le elezioni», salvo poi frenare, «andare alle elezioni in questo momento è da irresponsabili, speriamo di andare avanti, io sono ottimista». Annuncia per martedì prossimo la riforma della Giustizia e, se non l'avesse già promessa innumerevoli volte, verrebbe da pensare che cerca (politicamente, si capisce) la bella morte sul campo, falciato mentre sventola la sua bandiera. Però poi, udito il suo discorso nell'ufficio di presidenza Pdl, molti fedelissimi ammettono: «Non abbiamo ben capito che cosa intende fare realmente». Rompere? Abbozzare? Ritirarsi? Contrattaccare? Boh. Movimenti «futuristi» Anche qui corrono voci, secondo cui i finiani potrebbero articolare a giorni una nuova proposta, in pratica chiedendo una diversa legge elettorale e più apertura nei confronti delle forze sociali. In quel caso, aprirebbero uno spiraglio al premier. Dal campo tremontiano si fa notare che il Piano per il Sud di cui oggi discute il Consiglio dei ministri già viene incontro a molte richieste Fli sull'economia. «Il nocciolo vero è che non possiamo trattare», allarga le braccia un gerarca Pdl, «finché loro continuano a farci la guerriglia nel Parlamento: non ci fidiamo». Sipario sulla Carfagna Due ore di colloquio col premier, poi con Bondi e Verdini. La ministra rientra nei ranghi ringraziando Silvio per aver obbligato i vertici del Pdl campano (Cosentino) a darle retta. Si delinea la sua candidatura a sindaco di Napoli. «Tutto risolto», volta pagina il Cavaliere. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/377525/ Titolo: UGO MAGRI Porcellum e rimpasto Il premier ora tratta Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2010, 06:36:09 pm Politica
02/12/2010 - IL CASO Porcellum e rimpasto Il premier ora tratta Il Cavaliere offre ai finiani una modifica della legge elettorale UGO MAGRI ROMA Le voci di trattativa segreta fanno tale e tanto chiasso che il segreto, ormai, è solo quello di Pulcinella. Si racconta che Gianni Letta abbia finalmente ottenuto da Berlusconi un via libera ai colloqui coi «futuristi». Che il Cavaliere stia addivenendo a più miti consigli perché l'offensiva congiunta del Fli e dell'Udc lo pone con le spalle al muro, dunque avrebbe preso paura. Si aggiunge che nei panni alati di Ermes, il messaggero divino, starebbe facendo la spola Angelino Alfano, ministro Guardasigilli. Si specifica che compito dei negoziatori sarebbe quello di soppesare che cosa vuole e non vuole Fini in cambio di un'astensione tra 12 giorni, quando si voterà la fiducia al Senato e alla Camera la sfiducia. La coppia Alfano-Letta sarebbe specialmente incaricata di sondare il presidente della Camera su come mettere mano al «Porcellum» (che è la legge elettorale vigente), perché lì starebbe a quanto pare la chiave dell'enigma, ovvero la madre di tutte le questioni: tanto Fini quanto Casini vogliono togliere il «premio» che garantisce una maggioranza di deputati a chi prende anche solo, per dire, un 25 per cento dei voti. Ma mentre Pierfurby col Cavaliere non tratta (almeno per ora), e addirittura brucia sul tempo Gianfranco annunciando una mozione centrista contro il governo, viceversa alcuni finiani sarebbero pronti ad accettare una soglia, uno sbarramento piazzato intorno al 45 per cento, in modo che Pdl e Lega da soli non ce la facciano a conquistare il premio, infischiandosene di tutti gli altri. Cos'altro trasmette il tam-tam di queste ore? Si dà per certo che Berlusconi vorrebbe una soglia più bassa, non del 45 ma del 40 per cento, anzi meglio ancora del 35, superata la quale scatterebbe il famoso premio. E vista in quest'ottica non sarebbe una trattativa così impossibile poiché sui numeri ci si intende, come sempre avviene nei suk o nel commercio dei cammelli; molto più difficile invece è accordarsi sulle poltrone, in quanto si dà per scontato che da cosa nascerebbe cosa, una volta gettate le basi di un nuovo patto per la legislatura a quel punto l'intero governo andrebbe ristrutturato, con Berlusconi inamovibile a Palazzo Chigi ma gran girandola di ministri i quali (quelli in carica) sono preoccupatissimi, già circolano foglietti con nuovi organigrammi tipo via questo e via quello, agli Esteri ci mettiamo Casini mentre Frattini lo spediamo al partito dove farebbe il coordinatore unico Pdl, Matteoli a casa e al suo posto un finiano... Questo è quanto circola nel Palazzo. Resta da capire che cosa ci sia di autentico, di credibile. Fonti bene addentro la mettono giù così: non è tutta invenzione, ma nemmeno bisogna prendere le chiacchiere come oro colato. Parlare di trattativa con tutti i crismi sarebbe eccessivo; c'è «qualcuno che si vede in questi giorni con qualcun altro», e naturalmente «si scambiano delle idee sui potenziali scenari». Risultati concreti al momento non ve ne sono. Personaggi molto autorevoli dubitano che possano mai arrivare. Però Fini ha una sua convenienza, e Berlusconi pure. Il primo tiene buone le sue «colombe» (sono 4 o 5) mostrandosi laicamente aperto a eventuali sviluppi; il secondo, idem. Siamo insomma nel regno dei giochi tattici, e chissà quanti ne vedremo di qui al 14, giorno del giudizio. Chi davvero si muove nella penombra, e non fa parlare di sé, sono i protagonisti del «calciomercato», il tira-e-molla per convincere un pugno di deputati incerti. Il Cavaliere resta convinto che, se riuscisse a ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento, anche per un voto soltanto, avrebbe il coltello dalla parte del manico. Casomai non dovesse farcela, la sua posizione (confida un gerarca) «si guasterebbe assai». Da tener d'occhio dunque la pattuglia di deputati liberal-democratici e autonomisti. E' su di loro che si stanno consumando i giochi. Quelli veri. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378324/ Titolo: UGO MAGRI "Evitare la conta". Letta in campo per uscire dalla crisi Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2010, 12:26:16 am Politica
04/12/2010 - GOVERNO L'EX MAGGIORANZA IN TILT "Evitare la conta". Letta in campo per uscire dalla crisi Il sottosegretario cerca una mediazione in vista della fiducia ma anche nel Fli c'è chi teme di diventare subalterno all'Udc UGO MAGRI ROMA Arriva liberatorio il gong della domenica che permetterà ai pugili di tirare il fiato e, forse, di riordinare le idee. Tanto Berlusconi quanto Fini sono provati, l'ultimo scambio di colpi ha il sapore della scazzottata più che di un match per il titolo dei massimi. Nessuno dei due trova il colpo del kappaò, anzi più minacciano sfracelli e più nascondono la propria debolezza. Lo sanno? Certo che lo sanno. E a questo barlume di consapevolezza si aggrappano quanti (cominciando da Gianni Letta) le proveranno tutte nelle prossime ore, testardamente, per scongiurare che il voto di fiducia del 14 dicembre si trasformi nella rissa finale davanti agli occhi di un Paese allibito. Il Cavaliere non è saldo sulle gambe, anzi si regge a malapena. Per quante cortine fumogene sparga il fidatissimo Verdini, una maggioranza alla Camera lui non ce l'ha. A fronte dei famosi 317 di Bocchino, le sue truppe per ora si fermano sulla soglia dei 310 deputati. Berlusconi ne deve «pescare» perlomeno 4 tra le fila dell'opposizione. Ci aveva già provato senza successo a fine settembre, non si capisce perché dovrebbe farcela adesso. Il capogruppo Pdl Gasparri, che osserva gli spostamenti di truppe dalla roccaforte di Palazzo Madama, esorta alla calma: «Il Parlamento è molto più complicato di come lo fate voi giornalisti», ammonisce, «ci sono vaste zone grigie, gente che viene e non viene, calcoli di natura personale... E i nomi di quelli in bilico li scoprirete all'ultimo». Ma, per l'appunto, di sorpresa si tratterebbe. A bocce ferme, Silvio se ne va a casa. Per non dire che «Wikileaks» continua a penzolargli sul capo come una lama affilata: è opinione corrente nell'entourage che, purtroppo per lui, l'onda delle rivelazioni non sia finita qui. Però nemmeno Fini se la passa bene. Perché, tornando sui numeri, gli mancano quelli del Senato. A esorcizzare la prospettiva di elezioni non serve strattonare Napolitano che dovrà muoversi (in caso di crisi) lungo i binari fissati dalla Costituzione. E se una maggioranza alternativa non si materializza in fretta, Fini rischia di farsi risucchiare suo malgrado nell'orbita elettorale di Casini, che del Centro è il leader. Col risultato che, da co-fondatore del primo partito italiano, il presidente della Camera dovrebbe accontentarsi di fare da numero due del Terzo Polo. Politicamente parlando, lo stuzzica Osvaldo Napoli, «nulla di cui potersi pavoneggiare». Non a caso il leader futurista voleva tenersi le mani libere fino all'ultimo, anzi aveva accettato la proposta del capogruppo Pdl Cicchitto («colomba» dai modi burberi) di sospendere i lavori della Camera fino al giorno 13: una tregua non dichiarata per consentire agli ambasciatori di fare la spola. Sennonché Pierfurby (cioè Casini) gli ha tagliato la via annunciando la mozione di sfiducia Udc, e costringendo dunque Fini a fare altrettanto. Con l'inevitabile reazione di Berlusconi, che molti più aggettivi avrebbe speso se non avesse letto davanti alle telecamere un testo limato dai suoi consiglieri e previo colloquio con Letta. Proprio Letta, nonostante le carte americane che gli complicano i rapporti col Cavaliere, non si rassegna a un esito apocalittico. Se c'è un filo da tessere, si può star certi che lo farà poiché la situazione finanziaria è troppo grave (non solo nel suo giudizio) per affidare la soluzione della crisi politica a una conta irrazionale, dove determinanti potrebbero risultare alla fine certe assenze dettate da calcoli individuali: «un'assoluta follia», riferisce il pensiero di Letta chi ha modo di sentirlo. La sua speranza è fermare il conto alla rovescia, impiegare i giorni che restano per intavolare una trattativa su cui, dietro le quinte, si continua a ragionare, molto seriamente. E non arrivare nemmeno al voto di fiducia del 14 perché «la soluzione va trovata prima»: dopo, è la tesi del Mediatore, sarebbe troppo tardi per sottrarre l'Italia dalle grinfie della speculazione internazionale. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378614/ Titolo: UGO MAGRI "Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2010, 03:44:51 pm 05/12/2010 - RETROSCENA
"Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere Febbrili contatti per «conquistare» una maggioranza UGO MAGRI ROMA Dunque pare confermato: i numeri per tenere in vita il governo al momento non ci sono. Quanti sostenevano il contrario come un dogma incontestabile ora si mostrano più prudenti. Al massimo sperano, confidano, formulano l'auspicio che i voti mancanti saltino fuori di qui al giorno della fiducia... Il primo a non fidarsi affatto risulta proprio Berlusconi. Con l'atteggiamento di chi «adesso me ne occupo io perché altrimenti finisce male», il Cavaliere ha avocato a sé tutti i contatti con quei deputati di opposizione che martedì 14 dicembre, gli hanno suggerito Verdini e la Santanché, potrebbero saltare il fosso. Tra l'altro con il primo dei due Berlusconi è imbufalito assai per quel «ce ne freghiamo» riferito a Napolitano, offeso sul piano personale. Non c'era momento meno indicato per indisporre l'arbitro della crisi: quello ti fischia contro un rigore e tu te ne vai a casa. Berlusconi non ama l'uomo del Colle, però lo teme, e perfino a lui l'uscita di Verdini è sembrata un fuor d'opera. Dunque, siamo adesso al «ghe pensi mi». Weekend di contatti che nell'entourage certe gole profonde confermano e di certo Silvio negherà, poiché ufficialmente lui non si abbassa a corteggiare i «peones» e in effetti sono faccende vischiose (due mesi fa Razzi, deputato Idv, sostenne che qualcuno aveva promesso di pagargli il mutuo di casa se avesse cambiato sponda). Berlusconi si attaccherà personalmente al telefono, come già fece per Ruby con il questore di Milano, perché qui c'è da decidere in fretta: un conto è se lui può sperare di farcela, altra cosa sarebbe se dai sondaggi il destino risultasse segnato, e lui stesso lo toccasse con mano. Nel qual caso prenderebbe forza il partito di quanti, nel Pdl, scongiurano il Cavaliere di trattare un armistizio prima del patatrac. E' un partito che lievita di ora in ora e si richiama alla saggio mandarino cinese, Gianni Letta. Che cosa sostengono queste «colombe»? Non certo di sostituire il premier con Tremonti oppure con Letta medesimo (sebbene qualcuno in cuor suo ne sarebbe lieto). Berlusconi deve restare premier. Su tutto il resto si può intavolare qualche ragionamento. Fini chiede una nuova agenda economica, di riscrivere la legge elettorale, ovviamente di mettere mano alla struttura del governo per far posto ai centristi Udc. La controproposta dovrebbe essere, secondo i fautori del negoziato: parliamone e vediamo. I conti pubblici non consentono margini di manovra, figurarsi come reagirebbe Tremonti! Però qualche forma di patto sociale potrebbe risultare di aiuto, e comunque darebbe una soddisfazione d'immagine ai futuristi. Quanto alla legge elettorale, cambiare il «Porcellum» non è tabù, una cautissima disponibilità viene manifestata da Cicchitto, che mai parla a vanvera. Tutto sta a capirsi: Berlusconi forse accetterebbe di mettere un tetto al premio di maggioranza, purché questo scatti quando una coalizione supera il 35 per cento, al massimo il 40, non certo il 45 che chiede Fini. Perché in quel caso sarebbe scoperto il disegno di stravolgere il bipolarismo a danno dell'asse tra Pdl e Lega. Ma l'ostacolo più serio alla trattativa è rappresentato dal rimpasto. Ristrutturare il governo onde far posto all'Udc vorrebbe dire, per Berlusconi, rimettere mano agli equilibri del suo partito. Dove si scatenerebbe l'inferno. La componente ex-An verrebbe penalizzata, tra La Russa e Matteoli uno dei due dovrebbe lasciare necessariamente il governo, e non sarebbe un addio indolore. Chi tra i ministri teme di trovarsi a piedi grida, all'unisono col premier: o la fiducia o le elezioni. Per cui, contrapposto al fronte trattativista, si va coagulando l'esercito «guerrafondaio». Che ieri ha messo a segno un punto per merito di Rotondi: l'area post-dc rappresenta in Senato una decina di voti, sufficienti a impedire «qualunque governo di centrodestra che non abbia come premier Berlusconi». Il quale, inutile dire, benedice l'iniziativa. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378683/ Titolo: UGO MAGRI Ma Cicchitto apre uno spiraglio "Cambiamo la legge elettorale" Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2010, 09:19:09 am Politica
06/12/2010 - INTERVISTA Ma Cicchitto apre uno spiraglio "Cambiamo la legge elettorale" Messaggio a Fli e Udc: altro che passo indietro, serve un Berlusconi-bis UGO MAGRI ROMA Nella ornitologia del Pdl, di cui lei Cicchitto è presidente dei deputati, dobbiamo considerarla «falco» oppure «colomba»? «Né l'una né l'altra cosa. Io mi iscrivo alla vecchia scuola del realismo politico». Le sembra realistica una tregua in extremis tra quei due, Berlusconi e Fini? «Difficilissima, non impossibile. Ma a condizioni molto diverse da quelle che indicano i terzopolisti». Chi sarebbero i terzopolisti? «Fini e Casini. I quali, ritenendosi furbissimi, si sono cacciati in un vicolo cieco». Quale vicolo? Ci faccia capire. «Fini aveva detto che il 13 dicembre avrebbe deciso se presentare o no una mozione di sfiducia. Invece, d'accordo con Casini, ha bruciato i tempi e l'ha presentata di corsa». Che cambia, mi scusi? A chi non vive la politica sembrano tutti dettagli procedurali per addetti ai lavori. «Anticipare i tempi implica una scelta netta di rottura, e anche un cambio di collocazione politica e anche di alleati. Nel senso che la loro mozione sarà votata anche da Pd e Idv. Per chi viene dalla storia della destra, ed è stato eletto nelle liste su cui era scritto Berlusconi presidente, un bel salto nel buio. Se io fossi in loro mi augurerei che Berlusconi ce la facesse ugualmente, magari di strettissima misura». Lei non vorrà scherzare. Machiavellici fino a tal punto? «Sì, perché altrimenti andremmo diritti a elezioni anticipate». Anziché le elezioni, potrebbe nascere un governo tecnico... «Ma via! Sarebbe tecnico solo con una presenza di Pdl e Lega. Invece senza di noi diventerebbe politico e a elevato livello di provocazione, che qualunque persona dotata di equilibrio si guarderebbe bene dallo sponsorizzare. Lei s'immagini che cosa scatenerebbe nel Paese un eventuale governo Fini-D'Alema, con l'intermediazione di Casini...». Però qui nessuno sta parlando di governo Fini-D'Alema. «Appunto. Dopo aver coperto Berlusconi di contumelie, i terzopolisti gli chiedono adesso non una ma due cortesie. Di togliere spontaneamente il disturbo prima del dibattito in Parlamento. E di dar vita a un governo presieduto, per non far nomi, da Letta, o da Tremonti, o da Alfano». Quindi Silvio si fa da parte e al suo posto va uno dei tre... «Non funziona. Il vero obiettivo sarebbe, con tutta chiarezza, quello di far fuori Berlusconi. E nel Pdl non si presterebbe nessuno». Quindi l'unica alternativa alle urne rimane un Berlusconi-bis... «Il governo Berlusconi, che faccia due passi avanti, altro che passo indietro. Il primo sull'economia, visto che qui la situazione peggiora: si potrebbe recepire quel tanto di convergenza che è stata realizzata da Confindustria e sindacati, cercando di coniugare insieme rigore e crescita. In questo senso si sono già mossi Berlusconi, Fitto e Tremonti con il Piano per il Sud». L'altro passo? «Riprendere il filo delle riforme istituzionali. Superare il bicameralismo, più poteri al premier, meno parlamentari. Il tutto collegato a un'eventuale riflessione sulla legge elettorale». Quindi lei conferma che, pur di far pace, il sistema di voto non sarebbe più un tabù... «Il punto discriminante è mantenere il premio di maggioranza. Perché significa bipolarismo e significa anche possibilità per i cittadini di scegliersi il premier. Ma viste come sono messe le cose, Fini e Casini sarebbero disposti a rinunciare al loro attuale antiberlusconismo?». Già. E Berlusconi con tutto questo sarebbe d'accordo? «E' chiaramente una domanda che dovreste rivolgere a lui. Ma prima devono rispondere quegli altri due». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378784/ Titolo: UGO MAGRI I finiani trattano e il Terzo Polo rischia già nella culla Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2010, 07:19:29 pm 09/12/2010 - RETROSCENA
I finiani trattano e il Terzo Polo rischia già nella culla Intanto il premier incassa oggi una visita da Bertone UGO MAGRI ROMA Bocchino è un combattente, dal suo leader ha ricevuto la consegna del silenzio. Quindi neppure sotto tortura ammetterebbe l’incontro dell’altro ieri col Cavaliere, quando nulla è stato deciso; eppure già il fatto stesso che abbiano parlamentato mette a nudo la debolezza di entrambi, ma particolarmente di Fini, l’estrema difficoltà di un passaggio che martedì prossimo lo spingerà per sempre fuori del centrodestra (se gli ex-camerati del Fli voteranno la sfiducia al governo insieme con gli ex-compagni del Pci) o per sempre con Berlusconi (se perderanno l’occasione di mandarlo a casa). Si affacciano in queste ore formule equivoche tipo «appoggio esterno» del Fli al governo, che erano tipiche della Prima Repubblica, anzi della sua fase ultima e decadente: sono indice a loro volta del dramma finiano, testimoniano il tentativo faticoso di sottrarsi alla scelta inventando in extremis una terza via provvisoria... A leggere sui giornali dell’incontro «segreto», Casini non è rimasto contento. Chi parla con Rao, il più sveglio fra i suoi interpreti, percepisce un freddo distacco, «i conti si faranno il 14 in Parlamento, adesso è presto per tirare le somme», calma e sangue freddo. Se Fini confermerà l’intenzione di rompere con Berlusconi, il Terzo Polo rimarrà per i centristi un progetto da costruire insieme. Qualora viceversa i «futuristi» tornassero all’ovile con la coda tra le gambe, beh, mai più contare su di loro poiché un «tradimento» (quello del 2008, quando Casini fu espulso dal centrodestra con l’okay di Fini) può essere perdonato, ma due sarebbero troppi pure per un cattolico abituato a porgere l’altra guancia. A proposito: pur di dare una mano a Gianfranco, Pier ha disatteso le indicazioni ecclesiastiche, in special modo quelle del cardinale Ruini, pagando insomma un prezzo alla sua lealtà politica. Guarda combinazione, proprio oggi all’ora di pranzo il Cavaliere incontrerà il Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, il quale gli presenterà dieci nuovi porporati di fresca nomina: un segno molto netto della benevolenza papale. Dunque, il Terzo polo rischia la morte prima ancora di nascere. Per Fini, equivarrebbe a perdere l’ultimo treno per la fuga da Berlusconia. Balzarci sopra, tuttavia, implica il rischio di cadere tra i binari. Cresce la sensazione che Silvio possa farcela comunque, per un pugno di voti alla Camera e molti di più in Senato. Oggi è annunciato l’«outing» di tre, quattro, forse cinque deputati di opposizione che annuncerebbero in conferenza stampa l’appoggio al governo. Secondo una voce insistente, Berlusconi potrebbe pescare un deputato addirittura nelle file del partito democratico. Nel qual caso la conta girerebbe a favore del premier. Rendendo generosa ma vana (come per i Seicento di Balaklava) la carica dei finiani. Già, perché un pugno di deputati futuristi, più l’intero gruppo o quasi dei senatori, avevano sottoscritto la mozione di sfiducia al governo sul presupposto che mai l’avrebbero votata in quanto Berlusconi si sarebbe dimesso prima del 14, aprendo la «fase nuova» chiesta da Fini. Sennonché il Cavaliere non molla di un’unghia, su tutto il resto transige tranne che su se stesso, a dimettersi non ci pensa nemmeno, specie ora che la compravendita genera profitti: e questo l’altro ieri comunicò a Bocchino. L’ultima chance di crisi pilotata con reincarico (entro 72 ore, si sbilancia a immaginare il capogruppo Fli, usurpando secondo Napoli le prerogative del Quirinale) è svanita con l’intervista di Fini l’altra sera a «Ballarò»: «Visto?», pare abbia gridato Berlusconi, «appena io accettassi di dimettermi quello mi darebbe il colpo di grazia, altro che reincarico». Il risultato? Le «colombe» finiane non vogliono sacrificarsi inutilmente, se trattativa dev’esserci vogliono condurla loro. Ecco dunque Moffa alzare la testa, contraddire Fini, annunciare che il premier non deve per forza dimettersi. Plaude dalla sponda berlusconiana Augello, si compiace Gasparri, e a sera il meteorologo Bonaiuti dirama il suo bollettino: «Venti forti di bonaccia, ma la situazione permane altamente variabile». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/379193/ Titolo: UGO MAGRI Siglato il patto Casini-Fini-Rutelli Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2010, 03:49:29 pm Politica
16/12/2010 - LA GIORNATA Siglato il patto Casini-Fini-Rutelli Nasce subito il Polo della Nazione Via al coordinamento di oltre cento parlamentari delusi. Scontro Bondi-presidente della Camera sulla sfiducia UGO MAGRI ROMA Si annuncia un mesetto tranquillo perché chi ha avuto ha avuto, e adesso tutti debbono molto riflettere. Berlusconi si dedicherà allo shopping (non quello natalizio) che buoni frutti gli ha già dato, però non basta a governare l’Italia. L’opposizione profitterà della pausa per darsi una strategia in vista di elezioni sempre dietro l’angolo. E il «terzo polo» muoverà i primi passi lungo la strada che addita Casini, leader sul campo di questo nuovo soggetto politico: nessuna resa al Cavaliere, sono le sue direttive, ma basta per ora scontri all’arma bianca con le truppe berlusconiane. Difatti l’esame alla Camera del decreto «munnezza», su cui erano annunciati sfracelli, per ora fila via liscio. Il governo ha ceduto a qualche richiesta, su altre si è impuntato senza farsi battere, oggi la controprova. Fini in sordina Dopo mesi, non è al centro del ring. Ha provato a trascinarcelo di forza Bondi con una lettera al Capo dello Stato, ma il presidente della Camera ha risposto con una nota del portavoce Alfano: falso che la sfiducia a Bondi sia stata messa all’ordine dei lavori per ritorsione, trattavasi di decisione già presa da tempo. Fini incassa con dignità le ironie del premier che fa il gradasso (Gianfranco «dice che non ho vinto? Ognuno si consola come può... Dovrebbe dimettersi da presidente della Camera? La scelta attiene alla sua dignità»), e compie un atto di realismo accettando che al volante si metta l’amico Pier Ferdinando. Il quale non ci pensa due volte. Lo slalom di Casini Promuove una riunione urgente dei terzopolisti, che nel pomeriggio si infilano all’Hotel Minerva: da Fini a Rutelli, dai liberal-democratici ai repubblicani, dagli autonomisti di Lombardo al battitore libero Guzzanti. Pomposamente qualcuno declama la nuova ragione sociale, «Polo della Nazione» pare vorrà chiamarsi, ma non è questo il punto. Casini vuole dare piuttosto un’immagine di compattezza poiché, spiega il colto Buttiglione citando Franklin, «o stiamo tutti insieme o ci impiccano uno per uno». Uniti anzitutto per far passare la nottata, col Cavaliere-vampiro a caccia di deputati. E poi per mettere tra parentesi gli eccessi di futurismo, di improvvisazione, di violenza verbale. Di rientrare nel governo non se ne parla, a ritornare sotto padrone nessuno ci pensa; tuttavia bisogna fare i conti con la Chiesa, dove eminenti porporati sollecitano prudenza. Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, segnala come «ripetutamente» gli italiani si siano espressi «con un desiderio di governabilità» cui corrispondere da parte di tutti. E pure se non fossero i vescovi a pretendere prudenza, Casini stesso la praticherebbe perché nuove elezioni restituirebbero il pallino al Cavaliere, meglio andarci piano con gli assalti frontali: se falliscono è un male, ma se riescono è perfino peggio... Insomma, la parola magica è «responsabilità». I terzopolisti sono «pronti a confrontarsi su provvedimenti che siano nell’interesse generale». Impegno collettivo a evitare la Babele, prima si concorda la linea poi la si comunica: perfino nelle invettive al premier i «futuristi», d’ora in avanti, dovranno darsi una regola. Silvio prende fiato E si pavoneggia in Europa, dove sbarca oggi per il Consiglio europeo sbandierando il «Financial Times» che celebra il suo successo. Ammette di averla scampata bella: «Abbiamo sconfitto una manovra di Palazzo», anzi «il ribaltone». E adesso? «Allargherò la maggioranza. No, non all’Udc ma a singoli parlamentari che militano in partiti di cui non condividono la linea. Abbiamo diversi posti liberi nel governo», annuncia senza complessi il premier, «e già in diversi mi hanno offerto la loro collaborazione...». Sarà vero? Parrebbe di sì, che in effetti il rischio del Cavaliere sia di imbarcare troppa gente, compresa quella sbagliata, capace solo di creargli guai. «Lasciamo sedimentare questa vittoria», consiglia prudenza Quagliariello. Ma Berlusconi vuol battere il ferro, finché scotta.Scontro verbale a Strasburgo tra le europarlamentari Sonia Alfano (Idv) e Licia Ronzulli (Pdl). E così succede che anche all’Europarlamento sbarchi la parola «vajassa», termine tipicamente partenopeo, già sdoganato dal ministro Carfagna. È in corso la riunione plenaria e l’esponente del partito di Di Pietro prende la parola in dichiarazione di voto. E ai colleghi europei riferisce che ieri in Italia è stata «festeggiata la prima giornata della legalizzazione della corruzione» dopo che «il corruttore Berlusconi» aveva comprato il voto di alcuni parlamentari. Alfano cita anche i casi Mills e Mondadori e fa riferimento alle «costanti violazioni della Carta da parte del governo italiano», riferendosi «all’accordo Italia-Libia» e alla «legge bavaglio». A quel punto Licia Ronzulli tenta di interromperla, dandole sulla voce, chiedendole di tacere, di «non raccontare falsità e di non usare le dichiarazioni di voto per raccontare menzogne al Parlamento europeo». Ed è allora che l’esponete Idv dice: «Ci sono vajasse anche al Parlamento europeo» e si rivolge al presidente di turno che ammonisce la Ronzulli e chiede di far concludere l’intervento. Botta e risposta in aula, poi in un comunicato Sonia Alfano definirà «inqualificabile» il comportamento della Ronzulli, e la accuserà di averla minacciata in quanto avrebbe detto «ti spacco la faccia». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380166/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: il governo continuerà ... Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2010, 08:56:22 pm Politica
30/12/2010 - IL CASO Berlusconi: il governo continuerà «Tra i parlamentari finiani c'è un grande disagio, molti torneranno da noi» UGO MAGRI ROMA E’ come se Bossi non avesse aperto bocca: il Cavaliere galoppa per la sua strada senza nemmeno fermarsi ad ascoltare l’ultimo scudiero fedele. Si collega per telefono a una manifestazione Pdl a San Vitaliano, praticamente Napoli, e ripete parola per parola il «numero» della conferenza di fine anno, quando in diretta tivù aveva sostenuto che la «munnezza» è ancora in strada perché qualche comunista gli rema contro, che la truppa finiana si va sfaldando giorno dopo giorno, che l’Italia non potrebbe desiderare un governo migliore del suo. E la «palude romana» di cui parla Bossi addirittura quale mandante delle bombe a Gemonio? E l’allarme della Lega per i numeri che non ci sono, chi approverà le riforme in Parlamento? Berlusconi gira la testa dall’altra parte. Fa appello all’ottimismo anche perché i pessimisti, sostiene, non combinano niente di buono. Guarda nella sfera di cristallo, il nostro premier, e vede un 2011 ricco di soddisfazioni. Anzi, pure il 2012 e il 2013 si annunciano promettenti: «Abbiamo lavorato bene e credo che il governo potrà lavorare altrettanto bene fino al termine della legislatura». Sull’emergenza rifiuti garantisce che scenderà in campo personalmente «per risolvere il problema in pochi mesi» (mentre lui ne parla al telefono da Arcore, a Palazzo Chigi c’è Letta che cerca di inventarsi una soluzione). Resta da sistemare la faccenda dei 3 voti di maggioranza, che alla Camera (riconosce Berlusconi) non sono affatto sufficienti. Però insiste che «diversi parlamentari di Fini si trovano in una condizione di assoluto disagio. Sono saliti su un convoglio che va verso sinistra, un po’ come prendere un treno per Parigi e ritrovarsi a Istanbul, per cui tra loro c’è una certa delusione». Spera di riportarne qualcuno all’ovile, e non ne fa troppo mistero, «molti torneranno nel Pdl». Quanti? Lo scopriremo a metà gennaio. Per ingannare il tempo, tra i pochi colonnelli berlusconiani rimasti su piazza si favoleggia sul ritorno di Casini, che al momento se ne sta sotto una palma delle Maldive, in veste di soccorritore. Nessuno si illude più che l’astuto Pier voglia entrare nel governo di Berlusconi: la nuova vulgata è che, per non deludere i Sacri Palazzi vaticani, il leader Udc acconcerebbe il partito a un appoggio esterno. In pratica i centristi voterebbero tutte le leggi più importanti, limitandosi a bastonare qualche provvedimento di minor conto. Si citano a sostegno certe dichiarazioni di Cesa e del professor Buttiglione, i quali lasciano aperto l’uscio in cambio di leggi per la famiglia. Sennonché quelle leggi costano. Giusto ieri Tremonti (che al pari di Bossi guarda con diffidenza ai maneggi politici della Capitale) ha spedito una lunghissima circolare ai ministri per rammentare che lo Stato è povero, per cui nessuno avanzi strane richieste, anzi se possibile bisognerebbe tirare la cinghia di più... Allarga le braccia desolato Gasparri, capogruppo Pdl a Palazzo Madama, che pure sarebbe con Alfano, Cicchitto e Quagliariello tra i più convinti fautori della mano tesa a Casini: «Le esigenze politiche sono chiare, poi ci sono i vincoli europei». In pratica, non ci sono soldi. Da segnalare lo strano caso del sondaggio su Bondi. «Dovrebbe dimettersi da ministro?», era il quesito apparso sui siti dei Club della libertà che fanno capo a Valducci. Dopo poche ore trionfavano i sì. Poi dev’essere successo qualcosa, perché la bilancia s’è piegata d’improvviso dall’altra parte, e Bondi vince col 75 per cento. Ma scoprire che il 25 per cento dei «berluscones» lo dimetterebbe volentieri è già una notizia. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/381818/ Titolo: UGO MAGRI UNITA' D'ITALIA, Berlusconi e i ministri restano a casa Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:45:59 pm Politica
08/01/2011 - UNITA' D'ITALIA, GRANDI ASSENZE Berlusconi e i ministri restano a casa L’esecutivo era rappresentato dall’onnipresente Gianni Letta UGO MAGRI ROMA Con il governo appeso a tre voti, figurarsi se Berlusconi farà il gesto ardito di contrariare Bossi, sgomitando per mostrarsi in prima fila alle celebrazioni dell’Unità d’Italia. E difatti ieri, a Reggio Emilia, il Cavaliere s’è ben guardato perfino dall’inviare un messaggio, una lettera, una delegazione in sua vece. A parte l’onnipresente Letta, che incarna il galateo della Repubblica, è come se i ministri si fossero passati la voce: meglio snobbare l’evento. Alla festa del Tricolore non se ne è vista traccia. Alcuni ministri in privato si giustificano, «l’invito del Quirinale era di routine, nessuno ha fatto sapere che Napolitano ci teneva», quasi che fosse necessaria una speciale supplica del Colle. Tutte scuse, rispondono da lassù. Il vero nodo politico del Centocinquantenario che non decolla sta nella Lega. Sempre più padrona del campo, padrona anche delle idee. Ma c’è dell’altro che motiva il disinteresse del premier, perennemente distratto quando Bondi e La Russa (con quel pizzetto risorgimentale che molto richiama Bixio) hanno posto il problema, mesi fa persino in Consiglio dei ministri, però con scarso successo. La prima spiegazione suggerita dai consiglieri del Principe è quasi antropologica. Berlusconi, imprenditore brianzolo votato al «fare», aborre l’«ipocrisia» delle ricorrenze poiché ritiene che rimboccarsi le maniche giovi all’unità d’Italia più di mille pompose orazioni. Completano il pensiero i soliti detrattori, segnalando che forse è meglio così, perché mai Silvio si è appassionato di storia patria. E quando ha ritenuto di cimentarsi (con l’eccezione del discorso alto e nobile il 25 aprile 2009), dalla sua bocca sono usciti simpatici lapsus tipo «Romolo e Remolo», oppure gaffes involontarie sul papà dei sette fratelli Cervi, che lui sarebbe andato volentieri a trovare se non fosse morto 30 anni prima come ben sa Napolitano, il quale ieri ha reso visita alla casa-museo. Non deve fare scandalo. La ricca bibliografia sul Cavaliere concorda che il segreto della sua leadership sta proprio nel «pensiero debole». Berlusconi guarda ostentatamente avanti, e considera il passato come un fardello, una malinconia. Infine c’è l’ultima spiegazione, che riporta alla battaglia politica e al complicato ménage con Bossi: il nostro premier ritiene che la maniera più stolta per frenare la Lega è quella di farci a zuccate. La tattica più astuta consiste viceversa nell’ignorarne le «mattane», specie quando evocano Roma Ladrona, il separatismo e, dio non voglia, i fucili. Come con i pargoli maleducati, «bisogna far finta di nulla». E’ un precetto che i gerarchi berlusconiani confessano di avere sorbito decine di volte: «Più noi ribattiamo a Bossi, più facciamo il suo gioco». Sulle celebrazioni del Centocinquantenario, che s’intrecciano pericolosamente con l’ultimo miglio del federalismo fiscale, il Cavaliere ha deciso: la Lega dica quello che vuole, «noi non reagiremo». Non risulta che si sia speso per allargare il budget delle manifestazioni pubbliche. Solo l’impegno di La Russa e Bonaiuti ha permesso di mandare in onda uno spot targato presidenza del Consiglio. Nè pare che Berlusconi abbia insistito con Bossi perché intervenga personalmente a qualche evento celebrativo, se non altro per far contento «il vecchio del Colle». E d’altra parte, osserva un consigliere accorto come Quagliariello, «tutto sommato la Lega sta dimostrando una capacità di tenuta, come forza di governo, che molti mai avrebbero sospettato. Bossi contribuisce a tenere unito il Paese in una fase difficile. Pensiamo da dove arriva, e quanta strada ha fatto, prima di pretendere che intoni l’Inno di Mameli...». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/382788/ Titolo: UGO MAGRI Il premier alla battaglia finale. E spunta l'ipotesi dimissioni Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2011, 10:03:57 pm Politica
17/01/2011 - IL RETROSCENA Il premier alla battaglia finale. E spunta l'ipotesi dimissioni Potrebbe lasciare ed evitare il voto indicando un successore appoggiato dall'Udc di Casini UGO MAGRI ROMA Il mondo berlusconiano è in preda al panico. Pochi sanno che cosa c’è davvero nelle 400 pagine inviate dai magistrati alla Camera, ma chi vi ha dato uno sguardo non trova parole per raccontare. Lo stesso premier ha trascorso l’altra notte sfogliando le carte e ne è rimasto «profondamente sconvolto». Per il linguaggio crudo, da fare arrossire qualche scaricatore di porto, con cui le ragazze intercettate descrivono i festini di Arcore. E per i giudizi spietati, gonfi di sprezzo, che mandano in briciole il suo ego, che trasformano il Cavaliere umanamente in un mostro. A questo punto l’aspetto penale verrà dopo. Non per nulla gli avvocati Longo e Ghedini nemmeno sanno dire così, su due piedi, se il loro cliente dovrà appellarsi a qualche cavillo legale per schivare le domande della più terribile tra le inquisitrici, Ilda Boccassini. Prima della difesa legale, per Berlusconi viene quella urgente, urlata, disperata, della propria dignità di politico, di imprenditore, di padre e di nonno. Da domani sapremo quali orrendi segreti stanno nel plico su cui, ironia del destino, metterà la sua firma Fini da presidente della Camera. Ma soprattutto misureremo le reazioni collettive di indifferenza o di sdegno, e dunque le chances del Cavaliere di sopravvivere come in altri frangenti gli era miracolosamente riuscito. Una parte dei suoi ci crede ancora. Da Micciché alla Gelmini, da Bondi a Sacconi, da Cicchitto a Frattini, tutti si dichiarano pronti a immolarsi nell’ultima resistenza. Lo seguirebbero perfino all’inferno. Eppure, proprio nella guardia scelta berlusconiana si diffonde la sensazione di una battaglia inutile, senza speranza, senza la minima prospettiva strategica. Perché nessuno crede seriamente che basteranno trovate mediatiche come quella di ieri, l’annuncio nel videomessaggio dell’anima gemella, per arginare una marea di fango. In altri momento sarebbe stato tutto un darsi di gomito, «hai visto Silvio che grande genio della comunicazione? Ha già fatto passare in secondo piano l’inchiesta»; ora invece solo sorrisi a denti stretti, e dubbi («cosa dici, funzionerà?») oppure sarcasmi velati («ma questa donna esiste davvero?»). Tra i collaboratori più intimi del premier non ce n’è uno, uno soltanto, che possa dire: io la conosco, ne ero al corrente. Se Berlusconi voleva tenere il nome della fortunata al riparo della curiosità (e dei pm), c’è riuscito fin troppobene. Ma forse l’annuncio è solo un modo per far sapere al mondo: «Ho messo la testa a posto. Tutto quello che leggerete nei prossimi giorni è acqua passata, appartiene al vecchio Silvio che non c’è più, morto e sepolto». E’ la prima linea difensiva. La seconda barricata del premier consiste nel negare in via preventiva, nel contestare ancora prima che diventino pubblici i racconti boccacceschi delle ragazze, nel presentarli come vanterie, fanfaluche, bugie da comari, del resto tante se ne dicono al telefono quando mai si penserebbe di venire ascoltati. La terza trincea del premier sta nell’orgogliosa rivendicazione della sua privacy. A chiunque lo chiami, ripete come un vecchio 33 giri in vinile: «In casa mia io ho il sacrosanto diritto di fare quello che credo, guai se si entra nelle camere da letto, se mi va di fare regali li faccio, nessuno può obbligarmi a perquisire le mie ospiti perché non scattino foto». Nel passaggio più scabroso della sua quasi ventennale carriera, Berlusconi sfodera perfino con gli amici la solita sfrontata sicurezza. Sostiene che l’indagine su Ruby «fa acqua da tutte le parti, manca la prova per incastrarmi». Salvo precipitare poi nel patetico quando sempre in privato confida: «Solo un uomo terribilmente solo, tutto questo succede perché vivo in questa condizione da cinque anni, ogni tanto anch’io sento il bisogno di una festa, desidero vedere gente... Invitavo quelle ragazze per scambiare un rapporto di affetto, con loro sono stato sempre paterno, a una ho fatto imparare l’inglese, un’altra l’ho fatta assumere a Mediaset...». Mai che abbia pronunciato, finora, la parola fatale: dimissioni. Eppure chi gli circola intorno giura che sta bene al centro dei suoi pensieri. Aleggia come uno spettro nella villa di Arcore. Qualcuno comincia a parlarne, sottovoce si capisce. Fa testo il giudizio di un ministro tra i massimi, che naturalmente non vuole essere nominato: «Il danno internazionale è insopportabile. Fosse Berlusconi accusato di violazione dell’articolo 2550 del codice civile, all’estero direbbero che è una storia italiana. Ma in questo caso si parla un linguaggio universale, sesso con una prostituta minorenne, lo capiscono anche in Cina. Tentare difese tecniche o andare in tivù è semplicemente ridicolo». Perfino tra i colonnelli più fedeli si va spargendo il dubbio: non sarebbe preferibile un passo indietro ora, subito, prima che tutto precipiti? L’argomento ha una sua forza seduttiva. Rinunciando a Palazzo Chigi, Berlusconi potrebbe contestualmente indicare un successore, quantomeno condizionare pesantemente la scelta di Napolitano. E poi restare dietro le quinte a difendersi dai processi, a tirare i fili della politica con un potere pur sempre smisurato. I vecchi leader democristiani, quelli immarcescibili, loro sì sapevano quando uscire di scena per ritornare al momento giusto. Tremonti, Alfano, Letta... Nessuno dei tre faticherebbe a trovare appoggi nell’Udc. Specie il primo, sarebbe la migliore garanzia per la Lega. Resistere a oltranza, invece, a che pro? Tra gli strateghi Pdl si fatica a trovare una risposta convinta. Qualcuno (Osvaldo Napoli) scuote la testa: «Qui non si fanno prigionieri, possiamo solo combattere, andrà come dio vuole». Ipiù tacciono, sospirano, fremono e se la cavano con un «aspettiamo di leggere le carte, vediamo che cosa succede». Conun leader «sputtanato» non si può certo correre alle urne, questo risulta chiaro ai gerarchi del Cavaliere. Allora sì che Bossi diventerebbe padrone del Nord... Qualcuno più pessimista si spinge a paventare l’esilio di Bettino nella Tunisia. Anzi, «di questo passo Silvio farà la fine di Ben Ali». La sensazione è che in pochi giorni si consumerà tutto. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384624/ Titolo: UGO MAGRI Nel Pdl c'è un'ampia zona grigia inquieta Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2011, 05:21:11 pm Politica
23/01/2011 - IL CASO Il premier mostra i muscoli ma teme lo smottamento Nel Pdl c'è un'ampia zona grigia inquieta UGO MAGRI ROMA Vedrai che ce la faccio, vedrai adesso come io ribalto la situazione», insiste Berlusconi con qualche amico preso da scoramento. Convinto che la battaglia sia anzitutto mediatica, il premier alza i decibel ogni giorno di più perché vuole apparire sicuro del fatto suo, ben saldo in sella, consapevole che al minimo cenno di insicurezza reparti interi del suo esercito se la darebbero a gambe.. Aspettiamoci dunque dal premier una dose quotidiana di adrenalina. Tra la gente il martellamento produce effetti. Non c’è sondaggio svolto dopo l’avviso di garanzia che registri un crollo di consensi del Pdl, anzi. Lo stesso premier perde relativamente poco negli indici di gradimento. Il pronunciamento ecclesiastico potrà forse cambiare qualcosa, sebbene dalle rilevazioni di Euromedia (agli occhi di Berlusconi le uniche attendibili) risulti addirittura come i più disposti al perdono siano proprio i cattolici. Insomma, se si andasse oggi alle urne il Cavaliere conserverebbe buone chance di vittoria. Qualche analista arriva a scommettere che nemmeno una condanna in primo grado sovvertirebbe il pronostico. Però domani potrebbe sempre accadere qualcosa capace di mutare gli umori collettivi. Di creare un moto vero di insofferenza verso il premier. Ad esempio, se la Procura milanese mostrasse una prova orribile e al tempo stesso inoppugnabile. Nessuno tra i politici ha la certezza che i pm dispongano dell’arma finale; tuttavia sono veramente pochi quanti si sentono di escluderlo. Questo è il timore che aleggia su Palazzo Grazioli, sebbene Berlusconi non sia al corrente di slavine imminenti, tantomeno lo sono i suoi avvocati. Ciò determina in Parlamento un clima malsano, di attesa nevrotica che qualcosa faccia pendere il piatto della bilancia. Nel frattempo tutto rimane sospeso. Chi doveva aggiungersi ai «Responsabili», ora se ne guarda bene. Per cui la maggioranza alla Camera resta 3-4 voti sopra la linea del galleggiamento. S’immagini con quale ansia il ministro Bondi affronterà da domani il dibattito sulla sfiducia: basta qualche assenza, e lui torna nel partito a tempo pieno. Magari la scampa perché lo scrutinio è palese, tra i «peones» nessuno vuole esporsi. Altrettanto è possibile che governo e Comuni trovino un compromesso onesto sul federalismo fiscale, cosicché le opposizioni farebbero più fatica a mettersi di traverso. Ma questo senso di incertezza sta creando vaste zone grigie nel partito del premier. Gente che a tutti i livelli non vede una prospettiva chiara, si domanda a cosa serva resistere a oltranza, e saluterebbe con sollievo una crisi se fosse preludio a formule capaci di salvare il salvabile. Un governo tecnico insomma, o guidato da chiunque non sia Berlusconi. Se la posizione giudiziaria del Cavaliere peggiorasse ancora un tantino, ogni votazione a Montecitorio diventerebbe l’occasione buona per lo smottamento finale. Con Bossi arbitro della XVI legislatura. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385496/ Titolo: UGO MAGRI La commedia umana va in scena ad Arcore Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2011, 10:05:47 pm Politica
24/01/2011 - LA STORIA La commedia umana va in scena ad Arcore Tra meteorine, cene, video degli incontri internazionali e balli MATTIA FELTRI ROMA Lo schema a trama circolare è previsto e infatti il giorno in cui il Cavalier Silvio Berlusconi, inaugurando un centro commerciale e la sua carriera politica a Casalecchio di Reno, accordò la preferenza a Gianfranco Fini su Francesco Rutelli nella corsa al Campidoglio, Karima El Mahroug, al secolo Ruby Rubacuori, aveva ventidue giorni di vita (un gioco di flashback sosterrebbe efficacemente le tesi dei detrattori). Una passione lolitesca ma, in questo falò delle vanità, bruciano tutte quelle a disposizione nella commedia umana. Guardate per esempio i ruffiani, o concorrenti esterni in meretricio (la presunzione d’innocenza è qui presupposta per tutti). Ferventi prosseneti Lele Mora, omosessuale, pressoché maitresse, procura le femmine e le istruisce, consiglia un abitino da infermiera e uno stetoscopio per l’ironico preambolo: anche le trascrizioni sono gravide di entusiasmo (e contrappeso all’imbarazzata eclissi di oggi). Di altra pelle è Nicole Minetti, anche lei ricopriva il ruolo di reclutatrice e di trainer, nelle baldorie di Arcore dava il via alle danze; tiene ancora la testa alta, reclama innocenza e, ai reporter voraci, un po’ di rispetto. Piuttosto, che figura letteraria è quella di Roberto Formigoni, accusato dai radicali di aver falsificato le firme per mettere la pupa del capo nel listino bloccato? Il listino permette al governatore di trascinarsi in Consiglio regionale i collaboratori fidati. Va bene le firme, ma la domanda vera concerne le competenze minettiane: a quali Formigoni non si sente di rinunciare? Splendori e miserie Le ragazze uscendo dalla procura si proteggono con occhiali scuri, sciarpe, veli. Le ragazze, tampinate dal cronista di inflessibilità compiaciuta, fuggono a testa bassa e a colpi di tacco sul selciato, come Enrico Cuccia con quelli di Striscia. Le ragazze scendono dal Suv e contrattaccano, muso alla telecamera e scariche di oscenità. Le ragazze vanno in tv a dire che il vecchio sporcaccione in realtà è come Gandhi (nelleintercettazioni, per Ruby è Gesù). Le ragazze vanno nel salotto di Alfonso Signorini, che è stato definito il contraltare melodrammatico dei tribunali popolari alla Santoro, dove il rancore è il sentimento dominante e c’è Daniela Santanché che barcolla se le ricordano un suo lontano epitaffio: Berlusconi noi donne ci vuole orizzontali. Sabina Began dice: il bunga bunga sono io. Il catalogo delle madamine non trascura alcun prototipo. Ci si deve immaginare le donne del Pd toscano in piazza, le donne del Pd ligure in piazza, le donne del Pd davanti a Montecitorio, le donne dell’Idv ovunque. I protagonisti migliori ricompaiono, in prestito da romanzi precedenti. Il fratello di un’amica di Noemi dice: «Non ci siamo fatti corrompere». Patrizia D’Addario dice: «Tante di quelle ragazze erano con me a Palazzo Grazioli». Nadia Macrì esplode di vita nel raccontare ad Annozero come si noleggiò. Sedotte e sfrattate Sui cartelli stradali, l’umorista ha camuffato da “r” la “l” e la dimora Olgettina è diventata la dimora Orgettina. Ci abitano quattrodici ragazze delle feste di Villa San Martino. Sono state sfrattate perché gli altri inquilini intendono preservare il decoro dello stabile. A partire da giovedì, otto giorni di tempo per sgombrare. Gli zelanti direttori delle cancellerie hanno sottoscritto lo sfratto nello loro stanze buie. Otto giorni non si danno nemmeno agli occupatori di case. Marysthelle Garcia Polanco ha una bambina e non sa dove andare. C’è una differenza soltanto fra realtà e finzione: la realtà prevede più spesso che l’intransigenza sfumi in proroga. Buoni, brutti e cattivi Sollecitati, hanno espresso sconcerto l’Avvenire, Famiglia cristiana, l’università dei focolarini, i frati di Assisi, l’Azione cattolica, i cattolici del Pd. Il parroco di Antrosano, frazione di Avezzano, ha affisso manifesti a lutto per la morte della morale. Un sondaggio attribuisce al Partito du Pilu, di Cetto La Qualunque, subito il 2.3 per cento dei consensi, se si presentasse alla elezioni. In prospettiva, il target sarebbe del nove per cento. Piero Ostellino rivendica il diritto delle donne di vendere il loro corpo («è un principio liberale, non un invito a darla»). Natalia Aspesi e Marco Travaglio rivendicano il diritto di preferire quelle che si concedono secondo presupposti etici. L’altra domanda è: c’è un diritto a svergognare le prostitute? In questo su e giù, il miglior ruolo in commedia spetta ai padri, ai fratelli - ai congiunti vari delle congressiste carnali - che incitano figlie e sorelle a conquistare spazi nelle disponibilità affettive ed economiche del premier, a darci dentro, a non farsi scavalcare e, sola lacuna in una trama che procede secondo il capriccio del grande scrittore d’appendice, mancano le cere delle madri e dei padri che non sapevano nulla. E’ stato il maggiordomo E poi, il colpo di scena. Lele Mora ed Emilio Fede si mettono d’accordo per spillare denari a Berlusconi. L’intercettazione telefonica fa capire che Fede otterrà un milione e due per Mora, che Mora già progetta di non restituirli, e che Fede ne tratterrà 400 mila per onorario. L’abile mossa si accompagna esteticamente ai balletti verdi con berretto e manette della polizia. Qui ci sono i frontalieri di Luino, le belle di Lodi. Berlusconi beve Sanbitter, vintage anni Ottanta. C’è odore di tinello e Vermouth. Madoff di periferia tessono trame col dottor Vermilione: un po’ Billionaire un po’ Drive In. Nella pensione Vauquer si spettegola ancora. E la neolingua arcoriana, di cui si è parlato, non è una neolingua. Forse nemmeno slang: amo o amo’. Tutto sommato, considerato il contesto, turpiloquio contenuto. Più del neologismo c’è la sana tradizione fantozziana: «Non sii timida», dice la Minetti all’amica. A completamento, non sbaglia un congiuntivo Giuseppe Spinelli, non dà del tu a nessuno, non fa domande, non fa la cresta, non si allenta la cravatta, paga quel che c’è da pagare. Il buon partito Sono fidanzato, ha detto Berlusconi. Alle cene sedeva anche la mia fidanzata, ha aggiunto. Figurarsi se declinavano all’orgia. L’identità della fidanzata è ignota. Si indaga fra veline, coloradine, vitamine, naufraghine e schedine. Sarà autentico finale quando le meteorine cederanno le notti ai lunghi coltelli. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385610/ Titolo: UGO MAGRI Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2011, 06:12:40 pm Politica
29/01/2011 - RETROSCENA Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto Dodici posti vacanti, e anche Bondi potrebbe rientrare nel partito UGO MAGRI ROMA Il grande Gaber che cantava «far finta di essere sani» torna in mente quando si ascoltano i piani di riscossa berlusconiana. Il Cavaliere vuole far credere che nulla è perduto, si procede esattamente com’era deciso allargando la maggioranza, riformando la giustizia, esorcizzando la crisi. I suoi discorsi privati non si scostano di una virgola dagli sfoghi pubblici, l’ultimo ieri col video-messaggio anticipato qualche ora prima in Consiglio dei ministri. Con Berlusconi che intorno al tavolo ovale prende subito la parola e, tra sguardi interdetti, giura: tutto procede al meglio, «abbiamo vinto in Parlamento 7 volte consecutive». Il governo scoppia, ma di salute. Nessun accenno di autocritica, un vero panzer. «Procede a tutto vapore», tenta di stargli dietro Bonaiuti. E Ruby, come la spiega agli intimi? Anche con loro il Cavaliere sbraita: «E’ tutto un complotto, solo una montatura». Quando l’altra sera un gerarca ha buttato lì che forse la Chiesa meriterebbe qualche cenno di attenzione, magari la promessa di stare più attento in futuro, non l’avesse mai detto! Silvio s’è irrigidito con occhi furenti: «Io non ho nulla da rimproverarmi, le mie cene sono sempre molto eleganti». Nessuno ha insistito più. Ora ha in mente di cominciare con il rimpasto. I posti vacanti sono 12, alcuni di molto peso: 2 ministri, 3 vice ministri, 7 sottosegretari. Vuole usare le poltrone per acchiappare qualche altro deputato. Però deve procedere con cautela. Se decidesse di assegnare le caselle tutte in una volta, soddisferebbe certi appetiti, senza dubbio, però scatenerebbe l’ira degli esclusi, e ciò non gli conviene. Per cui farà solo qualche nomina, in modo da mostrare che dà le carte e scatenare dunque una specie di riffa per le poltrone rimaste. Già la prossima settimana potrebbe premiare la Destra di Storace con un posto da sottosegretario per Musumeci, cosicché tanti altri aspiranti (lui conosce l’animo umano) non tarderanno a mostrarsi. Nel frattempo forse si chiarirà la sorte di Bondi, che resta dubitoso sul proprio futuro, medita di tornare al partito. Nel qual caso si libererebbe una cadrega in più da mettere all’asta. C’è chi studia proposte ambiziose, e lui le incoraggia: dal ritorno all’immunità parlamentare, alle primarie obbligatorie per legge (un modo per far scoppiare le contraddizioni nella sinistra, povero Bersani). Altri vellicano gli istinti del Capo suggerendo bagni di folla che poi però abortiscono, tipo la manifestazione del 13 febbraio a Milano: cento pullman da riempire in quattro e quattr’otto, salvo contrordine perché le manifestazioni contro i pm a favore della Minetti non piacciono al Colle, tantomeno a Bossi (i suoi in piazza non ce li porta sicuro). Viene in mente Gaber poiché i primi a non credere nella propaganda sono proprio i berlusconiani. Quelli ai posti di comando. Compresi ministri di rango. Si adeguano ai voleri del Capo, nessuno certo lo tradirà, quantomeno adesso. Non c’è un 25 luglio dietro l’angolo, con l’arresto di Mussolini. Però aleggia lo stesso disfattismo, la stessa sensazione di una guerra perduta. «Per ora piove forte, anzi diluvia», è l’opinione di molti, «ma tra poco arriverà la grandine». Foto. Intercettazioni. Dio non voglia, retate. Si salvi chi può. E «in quelle condizioni al voto non potremo di certo andare». Il fantasma del governo senza Berlusconi torna a volteggiare. Mentre l’astuto Casini, guarda un po’, torna a difendere la dignità della politica contro le invasioni di campo dei pm: una scialuppa per chi si vorrà salvare. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/386529/ Titolo: UGO MAGRI Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2011, 04:06:16 pm Politica
14/02/2011 - Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura Il partito: «La confusione tra poteri dello Stato può aggravare le difficoltà» UGO MAGRI ROMA Mentre Fini lo sfidava da Rho, mentre la rivolta al femminile riempiva le piazze, ieri il Cavaliere se ne stava in Sardegna con la testa altrove, tutto fuorché preso dagli accadimenti politici. Poche telefonate di routine, commenti con sbadiglio sul congresso Fli, silenzi gonfi di sprezzo per le manifestazioni di donne, via libera ai capigruppo Pdl che molto insistevano per una risposta secca a Napolitano, e mettere dei paletti (o perlomeno provarci) circa il potere presidenziale di sciogliere le Camere. Che cosa vada maturando nella mente del premier lo capiremo stamane, quando Berlusconi si collegherà con il programma condotto su Canale 5 da Belpietro, il quale è anche direttore di «Libero», giornale di punta nella polemica contro il Capo dello Stato. Questa scelta di confidarsi con lui, anziché ricorrere ai soliti videomessaggi, viene considerata già parecchio indicativa degli orientamenti berlusconiani. Quello che pensano i gerarchi, invece, è illustrato nel lungo, puntiglioso comunicato diffuso con firma in calce di Cicchitto, Corsaro, Gasparri e Quagliariello. Due i passaggi da segnalare. Il primo, dove si dice che siamo in presenza di un «governo legittimo» con tanto di «sostegno della maggioranza parlamentare» come si è dimostrato nelle ultime votazioni; l’altro, dove si afferma: «Alimentare il senso di confusione tra i poteri dello Stato rischia di aggravare le difficoltà piuttosto che contribuire alla loro soluzione». Con chi ce l’ha, il Pdl? Con un signore domiciliato in via del Quirinale, che l’altro ieri aveva minacciato di mandare tutti a casa casomai si aggravasse lo scontro nelle istituzioni. I capigruppo ribattono: caro Napolitano, attento, perché così il gioco si fa pesante, se proseguirai lungo questa strada non esiteremo a darti prima o poi del golpista... Confida l’estensore materiale del documento: «Abbiamo scelto un tono grave e misurato anche perché ci siamo confrontati con Letta», il quale notoriamente è una super-colomba e incarna il galateo delle istituzioni, mai avrebbe consentito attacchi senza creanza al primo cittadino della Repubblica. Però non si fa mistero, nel Pdl, che l’uomo del Colle ha preso una piega decisamente ostile. E senza scavare sui veri perché (circolano al riguardo parecchie ipotesi più o meno fondate), scatta subito il riflesso pavloviano di spianare i fucili, se non i cannoni. Non è un caso che torni in auge l’ipotesi, lungamente accarezzata dal premier ma sempre rinviata, di promuovere una grande manifestazione nazionale, i muscoli della destra contro quelli della sinistra, in un braccio di ferro dagli esiti avventurosi, e tuttavia sempre più inevitabile nella logica degli strateghi berlusconiani: «Perché noi non possiamo porgere l’altra guancia ai pm, a Fini, a Di Pietro, ora anche a Napolitano, senza mai reagire»; soprattutto, «non possiamo perdere la piazza e scomparire come vorrebbero i nostri avversari». E’ una logica cieca, disperata, senza prospettiva, ma tant’è: se prendono piede questi propositi, si annunciano mesi di enorme stress per le istituzioni. Rispetto a venti giorni fa, i dubbi sembrano spariti. Anche chi manifestava disagio per la condotta del leader (nella cerchia ristretta praticamente tutti) ora se ne sta ben allineato e coperto. La falange berlusconiana in apparenza è compatta, pronta allo scontro finale. Unico motivo di apprensione resta la Lega. Perché non è sfuggita l’offerta di Fini, federalismo in cambio di una nuova legge elettorale, elezioni tra un anno con un governo diverso... Se i terzopolisti hanno un piano, Fini l’ha messo in chiaro: corteggiare Bossi. Poi, certo, la storia mai si ripete identica, Napolitano non è Scalfaro, escluso che il Capo dello Stato voglia promuovere ribaltoni. E poi l’Umberto mai si farebbe traviare, mette la mano sul fuoco Osvaldo Napoli, «dei Fini e dei Casini lui mica si fida». Eppure... Un brivido ha solcato la schiena a molti, nel quartier generale Pdl, quando Maroni ieri se n’è uscito dicendo: «Napolitano ha ragione, per la legislatura il rischio è reale». Se la Lega cambia idea, non c’è piazza berlusconiana che tenga: avanti un altro e tanti saluti ad Arcore. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Vertice con Bossi che lo rassicura: non ci sarà nessun voltafaccia Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2011, 04:45:29 pm Politica
16/02/2011 - RETROSCENA Più delle toghe il premier teme un ribaltone leghista In serata vertice con Bossi che lo rassicura: non ci sarà nessun voltafaccia UGO MAGRI Per uno strano scherzo del destino Gabrielli, l’erede di Bertolaso a capo della Protezione civile, era sul posto ieri mattina quando Berlusconi è stato colpito a Catania dall’ultima calamità politica, processo immediato per Ruby e per concussione. Ma pure Maroni stava lì e, volendo, potrebbe raccontare la reazione del premier: letteralmente impassibile. Il Cavaliere non ha battuto ciglio. Giusto la mascella gli s’è irrigidita un po’, ma niente di più. La notizia che fa il giro del mondo lui, evidentemente, in cuor suo la dava già per scontata; anzi si sarebbe stupito se quelle «toghe rosse» l’avessero tolto dai guai... Tutt’al più Berlusconi immaginava che la botta da Milano sarebbe arrivata qualche ora dopo, «nel pomeriggio» gli avevano assicurato, o addirittura stamane, anziché pochi minuti prima della conferenza stampa convocata sull’emergenza profughi. Che fare, tenerla ugualmente per sentirsi chiedere dai cronisti che cosa ne pensa dei magistrati e della probabile condanna, o invece eludere le domande dando forfait? Risposta facile facile: Berlusconi, d’istinto, avrebbe gradito presentarsi davanti alle telecamere. Per ripetere quanto tutti già sappiamo: che è solo una manovra politica tesa a farlo fuori. Che le sue feste sono state sempre parecchio chic. Eccetera eccetera. Però da Roma le «vecchie zie», Letta e Bonaiuti, si sono subito precipitate a frenarlo. «Silvio non lo fare» gli hanno detto con tono d’implorazione, poiché lo sfogo pubblico sarebbe stato due volte da matita blu. Avrebbe inasprito i rapporti (già pessimi) col Capo dello Stato, il quale ha raggiunto il limite di sopportazione ed è pronto a sciogliere le Camere se giudici e politici continueranno la zuffa. Ma soprattutto, una conferenza stampa sguaiata sulla giustizia avrebbe avuto l’effetto-boomerang di «oscurare» la spedizione a Catania, studiata apposta da Berlusconi per mostrare all’Italia un governo operoso che prova ad arginare gli sbarchi dei clandestini. Insomma: alla fine Berlusconi ha rinunciato. Quanto a malincuore, nessuno può dirlo. Nè dalla sua bocca sono usciti commenti una volta sbarcato a Roma. Ore e ore chiuso a Palazzo Grazioli con l’avvocato Ghedini. Hanno studiato insieme le mosse ma senza decidere nulla, perché ancora non è ben chiaro come mandare avanti il ricorso (conflitto di attribuzione, nel linguaggio giuridico) davanti alla Corte costituzionale, onde statuire che Milano è incompetente, toccherebbe invece al Tribunale dei ministri... Ma soprattutto, confida un’autorevole personaggio, Berlusconi e il suo legale hanno passato ai «raggi x» le tre donne del collegio giudicante: chi sono queste signore? Berlusconi che cosa deve aspettarsi da loro? Niente di buono, pare sia stata la triste conclusione. Non perché risulti un orientamento politico ostile. Nessuna delle tre domenica è scesa in piazza contro il Cavaliere sventolando bandiere. Però è bastato informarsi sulle loro sentenze (parla chiaro il curriculum) per capire che si tratta di tre magistrate «toste», implacabili. Il che non promette davvero nulla di buono. Qualche chiacchiera è circolata a Montecitorio su una presunta tentazione del premier: dimettersi, per cedere il testimone a Letta e in prospettiva ad Alfano. Ma di chiacchiere si tratta, appunto: Silvio non molla. Lo condannano? Lui tira dritto. E se la tegola giudiziaria lo colpirà prima del G8 in Francia (fine maggio), proverà a giustificarsi coi Grandi come sempre ha fatto finora, qualche barzelletta e via... Diverso il caso se gli mancasse la maggioranza. Se la Lega decidesse di staccare la spina. In questo caso (e solo in questo) per Berlusconi scenderebbe davvero il sipario. Ecco perché grande allarme ha suscitato nel governo l’intervista a Bersani comparsa ieri mattina sulla «Padania». Tutti si sono chiesti che cosa volesse significare. «Niente di speciale», strizzano l’occhio alla Lega. Nell’incontro serale con Calderoli e Rosy Mauro in via del Plebiscito, Bossi ha personalmente escluso a Berlusconi qualunque voglia di ribaltone: «Non preoccuparti per le voci che circolano, sto con te». Inoltre, pare che il Senatùr abbia confidato: «Abbiamo ospitato sul nostro giornale Bersani, ma non so se abbiamo fatto bene o male». Però la sensazione diffusa dalle parti del premier è che il Carroccio abbia iniziato una lunga marcia. E che Bossi scruti intensamente oltre Berlusconi. Dove, lui solo lo sa. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Per Berlusconi la forza dei numeri in Aula è soltanto un'illusione ... Inserito da: Admin - Marzo 02, 2011, 06:47:23 pm Politica
02/03/2011 - IL RETROSCENA Per Berlusconi la forza dei numeri in Aula è soltanto un'illusione ottica Il premier vuole mettere in moto il conflitto tra poteri dello Stato: ma il risultato resta un'incognità UGO MAGRI ROMA Qualche indizio fa pendere la bilancia sul piatto di Berlusconi. Fini che coinvolge la Giunta del Regolamento (tagliando fuori l’Ufficio di presidenza dove il Cavaliere sarebbe messo in minoranza) fa immaginare che lo sbocco conclusivo della querelle del conflitto di attribuzione possa essere l’Aula di Montecitorio, come desidera il premier. Tra parentesi, secondo l’ex responsabile Giustizia del Pd Tenaglia, in fondo è giusto che a pronunciarsi sia l’assemblea della Camera anziché Fini personalmente. Così molti danno per scontato che Berlusconi riuscirà a far valere la forza dei numeri, stoppando la Boccassini e gli altri pm milanese decisi a processarlo per Ruby Rubacuori. In realtà, è solo un’illusione ottica, le cose stanno diversamente. Semmai l’impressione tra gli addetti ai lavori è che venga messa in moto dal Cav una macchina infernale, il conflitto tra poteri dello Stato, senza la minima certezza su quale potrà essere l’esito. E infatti: 1) non è detto che la Corte Costituzionale ritenga ammissibile la richiesta eventuale della Camera, in quanto potrebbe pure rigettarla senza prenderla in esame (così ha fatto intendere, salvo rimangiarselo, qualche fonte in alto loco) e la vicenda morirebbe lì; 2) nessuno può giurare che la Consulta, una volta ammesso il conflitto di attribuzione, sposerebbe nel merito le ragioni del premier dichiarando competente il Tribunale dei ministri; 3) non esiste certezza che i giudici milanesi, in pendenza del giudizio davanti alla Corte costituzionale, sospenderebbero il processo immediato su Ruby (potrebbero farlo, volendo, per rispetto della Corte, ma la loro scelta sarebbe discrezionale); 4) se i tre giudici mandassero avanti comunque il processo, la sentenza di primo grado arriverebbe prima che si pronuncino i “vecchioni” della Corte costituzionali, abituati a ponderare con cura le loro decisioni. Nel frattempo il caso Ruby verrebbe sopravanzato da altre emergenze giudiziarie berlusconiane, in quanto la probabile condanna del Cavaliere per il caso Mills è attesa tra pochi mesi, al massimo dopo l’estate. Insomma, la montagna del conflitto di attribuzione rischia di partorire un topolino. E forse nemmeno quello. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier Inserito da: Admin - Marzo 19, 2011, 11:05:08 am Politica
19/03/2011 - RETROSCENA Libia, Napolitano: "Non possiamo restare indifferenti alla repressione" Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier UGO MAGRI ROMA La decisione di aggiungersi ai «Volenterosi», e di recidere l’ultimo legame col Tiranno Gheddafi, è stata presa giovedì sera dal governo Berlusconi. Su questo non ci sarà dubbio, un domani, tra gli storici. Quando il Cavaliere si rende conto che l’Onu sta per decidere la «no-fly zone», in pratica l’intervento militare, di corsa provvede a emendarsi. La scena è quella di un retropalco dell’Opera dopo il «Nabucco», presenti ministri, diplomatici e generali: lì matura la svolta, e il Presidente della Repubblica (che si trova a teatro) viene reso immediatamente partecipe con un invito alla riunione informale. Questa è la sequenza dei fatti. E tuttavia, una volta dato a Silvio quel che è di Silvio, nessuno degli sviluppi successivi sarebbe stato possibile senza l’intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle «decisioni difficili» attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’appello a valori più alti della pura realpolitik («non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo») hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare. Senza le parole del Presidente, Bersani forse non avrebbe offerto con altrettanta prontezza quel vasto ombrello parlamentare che il governo nemmeno s’è premurato di chiedere in prestito. L’astensione della Lega, a quel punto, sarebbe risultata paralizzante, con conseguenze immaginabili... E del resto, quando fa sapere di aver concordato passo passo ogni valutazione col Capo dello Stato, in fondo Berlusconi manifesta una gratitudine che non gli è molto abituale. Per lui si tratta di un passaggio intimamente contrastato. Si vede a occhio nudo che intervenire contro Gheddafi non lo convince per niente. Intendiamoci: il mitico baciamano, con i dubbi del Cavaliere, c’entra poco. Chi vive di fianco al premier giura che sopra Gheddafi ha messo una croce, troppo grossa l’ha combinata l’amico Muhammar per considerarlo ancora tale. Piuttosto Berlusconi si adegua alle decisioni Onu in quanto costretto, forzato dalle circostanze, senza l’ìntima convinzione di chi sventola una bandiera ideale, e senza neppure la certezza di fare la scelta giusta. L’intervento militare non lo persuade per i rischi annessi e connessi. Perché «chi lo dice che ci sbarazzeremo in fretta di Gheddafi?». Perché l’arrivo di profughi sulle nostre coste può assumere proporzioni bibliche. E poi per quel surplus di instabilità politica collegato al malessere della Lega. Chi ha sentito l’intervento di Calderoli, unico rappresentante del Carroccio nel Consiglio dei ministri, lo riassume così: «Un conto è mettere a disposizione le nostre basi, e già non facciamo i salti di gioia; altra cosa sarebbe mandare aerei e soldati, il che ci sembrerebbe davvero troppo». E poi: «Attenti a non infilarci in un’altra Somalia», bisognava fare come la Germania e starne fuori... Berlusconi in cuor suo la pensa come Bossi, come Calderoli. Ma allora, perché sposa la coalizione dei «volenterosi»? La spiegazione sta nelle parole di Frattini in Consiglio dei ministri: «Capisco tutte le perplessità, ma non possiamo restare tagliati fuori». Il terrore è che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia caccino Gheddafi e poi, presentandosi come benefattori, sistemino le cose in Libia secondo i propri interessi. La Francia in special modo. Dilaga nel Palazzo una vera e propria psicosi di sospetto verso i cugini d’Oltralpe. Come se Sarkozy, avendo perso posizioni strategiche in Tunisia causa rivoluzione, stesse brigando per mettere un piede in Libia spodestando le nostre aziende, in special modo l’Eni. La cui posizione finora è stata privilegiata assai. Oggi il Cavaliere si precipita al vertice europeo con i Paesi arabi e africani convocato proprio da Sarkozy: in termini calcistici parleremmo di marcatura a uomo. Tra Roma e Parigi volano avvertimenti. Tremonti si è premurato di spiegare all’ambasciatore de La Sabliere che, se la francese Lactalis insiste per papparsi Parmalat, e l’azienda energetica Edf vuole a tutti costi Edison, potremmo adottare in Italia le stessi leggi protezioniste francesi che impedirono a noi di acquisire Danone... In Libia, stessa storia: siamo pronti a combattere Gheddafi, dopo averlo blandito, per difendere il «nostro» petrolio. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere equilibrista salda l'asse con il Colle Inserito da: Admin - Marzo 20, 2011, 03:27:05 pm Politica
20/03/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere equilibrista salda l'asse con il Colle Il capo del governo in bilico tra le richieste dei lumbard e la necessità di non essere tagliato fuori dall'operazione UGO MAGRI ROMA Berlusconi consulta in continuazione il Capo dello Stato, come sarebbe normale in fondo, ma nel suo caso tanto normale non è. La prima cosa che ha fatto, tornando in ambasciata dopo il vertice di Parigi, consiste nella telefonata al Presidente della Repubblica per ragguagliarlo sui suoi colloqui. Napolitano non gli ha fatto mancare un pubblico incoraggiamento, che mette il governo automaticamente al riparo sul fianco sinistro, dove molto aveva lavorato nei giorni scorsi pure il ministro degli Esteri Frattini, scegliendosi astutamente come interlocutore D’Alema. Sul fianco destro (cioè la Lega), Berlusconi sa di poter stare relativamente tranquillo, nonostante le intemperanze serali di Bossi. Non risulta a Silvio che l’Umberto possa o voglia farlo cadere. A patto però di non tirare bombe su Tripoli. Berlusconi è sospeso su un filo perché, dunque, anche volendo la Lega gli vieterebbe di sguinzagliare i Tornado (La Russa scalpita, anche troppo secondo certi consiglieri del premier: meglio andarci piano con le parole). Nello stesso tempo il Cavaliere deve impedire che l’Italia venga tagliata fuori dal gruppo di comando delle operazioni. Oltre che uno smacco d’immagine, sarebbe rischioso per i nostri interessi laggiù, casomai la vittoria baciasse gli insorti. E la linea decisa con il Colle non è affatto quella di restare inerti dinanzi al massacro delle popolazioni civili. Per il momento Berlusconi pare sia riuscito nel suo scopo: formalmente l’Italia è tra i 5 partecipanti all’operazione «Odissea all’alba», quella anti-contraerea, che fa capo al comando Usa di Napoli-Capodichino. Le 7 basi messe a disposizione dal governo e dal Parlamento sono state giudicate sufficienti per entrare a pieno titolo nella coalizione dei «volenterosi». Ancora ieri mattina non ve n’era alcuna certezza. Un margine di dubbio ancora sussisteva, secondo il personale diplomatico di supporto al premier, perfino quando l’Airbus di Stato con Berlusconi a bordo ha decollato da Parigi sulla via di casa. Nella capitale francese il Cavaliere era andato apposta: aveva tirato in disparte Cameron e la Clinton, si era raccomandato col cuore in mano che il comando delle operazioni fosse assunto dall’Alleanza atlantica, dove ci sentiamo meglio garantiti anche nella prospettiva di costruire un dopo-Gheddafi favorevole all’Eni e alle nostre imprese. Di traverso ci si era messa la Francia. Con i cugini d’Oltralpe i motivi di incomprensione da un po’ di tempo si moltiplicano, sebbene fonti di governo super-qualificate tengano a chiarire un potenziale equivoco: l’iniziativa del ministro Tremonti per difendere dallo shopping parigino le nostre imprese (quelle strategiche, non le «commodities») «nulla c’entra con le questioni libiche». La coincidenza è stata solo temporale, i due piani sono «completamente diversi». Quale fosse ieri l’atteggiamento di Sarkozy, lo si è colto anche plasticamente. Accogliendo i leader stranieri all’Eliseo, il Presidente francese è sceso e risalito dai 12 gradini del portone per ricevere la Clinton e, con tanto di abbraccio, il britannico Cameron. Con tutti gli altri (Berlusconi compreso), Sarkozy ha risparmiato la fatica degli scalini, attendendo gli ospiti lassù. Quindi il Cavaliere è stato snobbato dal padrone di casa: gli incontri sono stati solo con Hillary, col canadese e col britannico. Silvio è rimasto in compagnia della Merkel. Con una differenza, però: la Germania ha deciso di tenersi fuori dalle operazioni militari, proprio come vorrebbe fare Bossi. Il quale teme (lo ha detto quasi con la bava alla bocca) che di immigrati i bombardamenti «ce ne mandino milioni», oltretutto con lo status di rifugiati di guerra. Come dire che non potremmo nemmeno rimandarli a casa, andrebbero accolti punto e basta. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Un'altra rivolta nel Pdl Inserito da: Admin - Aprile 01, 2011, 10:35:31 pm Politica
01/04/2011 - REPORTAGE Un'altra rivolta nel Pdl A ribellarsi sono i fedelissimi di Silvio Gli ex di Forza Italia contro Ignazio, l’anello debole del "triumvirato" dei coordinatori che vogliono rovesciare UGO MAGRI ROMA C' era una volta il mulino bianco di Forza Italia, cieli azzurrini, tanta felicità. Poi nel 2008 sono arrivati gli ex fascisti. Brutti sporchi cattivi. Abbiamo dovuto accoglierli in casa nostra...». Questa è la favola politica che si racconta nel partito di Berlusconi. Agli occhi degli ex forzisti La Russa, il ministro del «vaffa», incarna l’Ospite Indesiderato. La fa da padrone, sporca il salotto, ma soprattutto saccheggia il frigo. Lui e i «camerati» amici suoi (ecco il lamento) arraffano il 30 per cento dei posti nel partito, nel governo, nel sottogoverno, e ciò nonostante Fini abbia tolto il disturbo, dunque in percentuale la componente ex An dovrebbe pesare di meno. Con soli due consiglieri regionali in Lombardia, invece, beccano altrettanti assessori e uno è Romano, fratello di La Russa. Così succede dovunque... Prosegue la favola che si raccontano i deputati azzurri: «Adesso ci tocca fare posto pure ai Responsabili. Sono ancora più brutti, più sporchi e più cattivi. Altro che frigorifero, quelli svuotano la cantina. Mentre noi, i fedelissimi, i sempre-presenti, pronti a dare il sangue per Silvio, non veniamo ricompensati della nostra lealtà. Anzi, un bel calcio nel sedere». Già sanno che nel rimpasto di governo non è il turno loro, per qualche strapuntino dovranno mettersi in fila. Un delirio di rabbia e di frustrazione che, pesando le parole, Piero Testoni prova a spiegare così: «Ci sono nel partito e nella classe dirigente delle energie, delle personalità, delle capacità che non sono ancora state messe a regime». C'è chi, in preda al pessimismo, già scommette che alle prossime elezioni gli verrà chiesto di farsi da parte, perché la candidatura serve a compensare qualche «responsabile». Non c'è niente di vero, giura Verdini, «anzi ci sarà gloria per tutti». Eppure è tutto un pianto, tutto un malessere. Vai alla Camera e vedi Scajola, che il giorno avanti aveva apostrofato duro La Russa, solcare il Transatlantico con un codazzo di venti, forse trenta deputati, neanche fosse il Messia. Ti sposti in buvette e osservi Bonaiuti (il Portavoce) mentre cerca di placare gli animi di «peones» azzurri in processione. A «quelli» tutto, a noi le briciole, Silvio non ci ama più... Un senso di abbandono che cova da mesi ora si sfoga su La Russa, parafulmine umano. «Peperino» Pepe, deputato costretto a trasferirsi tra i Responsabili per fare massa, dichiara impertinente: «La Russa è un po’ stanco, non si possono occupare di questi tempi due cariche come ministro della Difesa e coordinatore nazionale». La Armosino è stata «placcata» mentre raccoglieva firme tra i colleghi per farlo dimettere: come se il macigno del rinnovamento Pdl, scuote la testa il senatore Augello, si affrontasse così... Ma più delle dichiarazioni «grida» il silenzio dei vertici Pdl. Non uno che giustifichi La Russa o perlomeno gli poggi la mano amica sulla spalla. Sembra che nel partito l'unico estremista sia lui, tutti gli altri invece dei lord britannici a cominciare dal premier. Il quale rimprovera nei conciliaboli al suo ministro di fargli perdere voti, specie quando col suo vocione grida in tivù, «troppe apparizioni» da Floris e da Santoro i quali, furbi, lo invitano apposta... Silvio, con La Russa, ha un rapporto duplice: tanto è profonda la stima politica, quanto è viva l’antipatia personale. «Dei suoi modi non se ne può più», è la battuta che gli attribuiscono i cortigiani. Però poi ingrana la retromarcia quando Ignazio minaccia di pigliare cappello e andarsene con una sessantina di deputati. Su questo terreno fertile s’innesta la congiura. Certi potentati Pdl vedono in La Russa l'anello debole, su cui far leva per rovesciare il triumvirato con Bondi e Verdini. Diverse le finalità, però tatticamente si salda un vasto fronte che dalla Sicilia (gruppo di Miccichè) passa dalla Liguria (Scajola) e giunge in Lombardia (formigoniani). Con il supporto logistico del gruppone ministeriale, dove rientrano Alfano e Frattini, Sacconi e Brunetta, Romani e la Gelmini. Alcuni di questi personaggi si sono riuniti l’altra sera, segretamente. «Abbandonare la faccia feroce», è la parola d’ordine. L'obiettivo far dimettere La Russa per far cadere pure Verdini. Magari non ora perché Denis ha in mano le pratiche del «calciomercato», la settimana prossima sono attesi 7 nuovi acquisti dall'opposizione, altri 5-6 nelle settimane successive... Ora agli occhi del Capo Verdini è intoccabile: meglio sfidarlo dopo le amministrative di maggio. Per piazzare al posto dei Triumviri un coordinatore unico, di fatto il Delfino. Manovre da vecchia Dc. Peccato che non tutti i personaggi ne abbiano lo spessore. da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI Responsabili arruolati per la prova di forza Inserito da: Admin - Aprile 05, 2011, 10:29:38 pm Politica
05/04/2011 - Responsabili arruolati per la prova di forza Stamane alla Camera e in diretta tv il conflitto di attribuzione UGO MAGRI ROMA Il Cavaliere chiede un ultimo sforzo alle sue truppe, mercenari compresi. Ancora una vittoria, e poi sarà compiuto o quasi quello che la sinistra denuncia in piazza come sfregio della legalità e della democrazia. Se il piano avrà successo, mezza impunità sarà garantita al premier: per l’altra metà Berlusconi dovrà attendere il voto del Senato sul processo breve (e l’esame «puntiglioso» che della legge farà Napolitano), i pronunciamenti della Corte costituzionale per quanto riguarda il caso Ruby. Questo pomeriggio diretta tivù dalla Camera perché si vota il conflitto di attribuzione. Da domani, al massimo da giovedì, di nuovo in Aula il processo breve che contiene al suo interno norme (prescrizione abbreviata) capaci di azzerare il processo Mills. Tutti «precettati» Bombardamento di sms, che ciascun gruppo ha spedito ai propri deputati per obbligarli alla presenza senza accampare scuse. Stufi di sembrare quelli che votano a gettone («prima vedere poltrona, poi sostenere governo...»), anche gli onorevoli «responsabili» hanno deciso di esserci compatti. Anzi, corre voce che sarà l’occasione buona per far venire allo scoperto qualche nuovo acquisto (uno o due) del calciomercato berlusconiano. Pare vengano dall’Mpa, altri dicono dai liberal-democratici che ieri molto si agitavano. Sulla carta, Berlusconi non dovrebbe correre rischi: la Camera domanderà alla Consulta di stabilire chi è competente a occuparsi del processo per concussione e induzione alla prostituzione minorile. «Noi», dicono al Tribunale di Milano; «no, il Tribunale dei ministri», sostiene Silvio. Nel secondo caso ci sarebbe un «filtro» parlamentare, e la maggioranza ce l’ha in pugno Lui. La mossa su Ruby Chi sta addentro alle segrete cose, sostiene che la Consulta davvero potrebbe dare ragione al premier. Ma i giudici della Corte non erano tutti «comunisti», come dicono ad Arcore? Tra breve cambierà il presidente. E nella giostra degli equilibri interni, magari il centrodestra si troverà in vantaggio... Nell’attesa di scoprirlo (ci vorranno mesi), il Cavaliere potrà minimizzare il processo Ruby, che domani si inaugura a Milano: vadano pure avanti i giudici meneghini, tanto tra un po’ verrà tutto annullato. Un’operazione mediatica che gli verrà consentita proprio dal voto di oggi. Allarga le braccia disgustato Della Vedova (capogruppo Fli), «per questa settimana Berlusconi ne avrebbe fatte abbastanza». E invece no. Sprint sul processo breve Non è ancora del tutto esclusa l’ennesima forzatura (inversione dell’ordine del giorno) per scavalcare i provvedimenti già all’esame dell’Aula. Qualcuno di questi verrà approvato al volo per toglierlo di mezzo, la responsabilità civile dei magistrati sarà rispedita in commissione. Oltretutto per il Csm lede l’autonomia dei magistrati. A quel punto verrà presa la decisione sul calendario, sapendo che gli onorevoli hanno il volo di ritorno a casa prenotato per venerdì sera: se non s’inverte l’ordine del giorno, il voto finale slitta a martedì, ma Berlusconi vuole chiudere ora la partita su Mills... Napolitano riceve stamane il sindacato dei magistrati per ascoltarli e anche per sconsigliare forme di protesta (tipo sciopero) dall’impatto molto dubbio sulla pubblica opinione. S’offende il ministro Alfano per due paroline («arrogante», «servile») del segretario Pd Bersani: «Mi insulta». Chi ha un’età, ne ha sentite di molto peggio e, suvvia, il linguaggio forte è il sale della dialettica. Com’è logico, l’opposizione protesta. Oggi tre manifestazioni, quella del Pd al Pantheon (ore 18), del Popolo viola davanti a Montecitorio, infine Notte bianca ai Santi Apostoli. Risponderà con lo stesso metro il Cavaliere lunedì davanti al Palazzo di giustizia a Milano. La Santanchè gli sta «cammellando» gente perché la volta scorsa erano in pochi e tutti anziani. da - lastampa.it/politica/ Titolo: UGO MAGRI Alfano dopo Silvio, Pdl in rivolta Inserito da: Admin - Aprile 15, 2011, 04:38:59 pm Politica
15/04/2011 - CENTRODESTRA: LA LEADERSHIP Alfano dopo Silvio, Pdl in rivolta Notabili della coalizione a Palazzo Grazioli. Berlusconi smentisce ma conferma: non mi ricandido UGO MAGRI ROMA Berlusconi smentisce. Che tra due anni rinuncerà a candidarsi premier per la sesta volta? No. Questo intendimento, anticipato alla stampa estera, il Cavaliere non se lo rimangia affatto. Cos’altro, allora, corregge delle sue dichiarazioni: che lui vorrebbe ritagliarsi un ruolo di «padre nobile»? Che al massimo farebbe il capolista Pdl, ma ruoli operativi mai più? Niente di tutto questo. Riceve a Palazzo Grazioli una folla di notabili (vertici Pdl, delegazione dei Responsabili, capigruppo della Lega), e sorvola. Evita proprio di parlarne. Viceversa nega di avere mai detto ai corrispondenti stranieri che Alfano sarà il successore. Lo smentisce, questo sì, perché nel partito s’è scatenata l’iradiddio. Chi non ama Alfano e chi ambisce per sé. Chi si sente mortificato e chi chiede qualcosa in cambio. Chi piange e chi telefona... Basta così. Circola una battuta del premier: «Sarebbe il massimo che, oltre a tutto quanto mi attribuiscono, ora prendessi anche la colpa per chi verrà dopo di me...». Il successore, è la promessa, lo sceglieremo tutti insieme. Però di successione, appunto, si sta ragionando. Cioè della possibile futura metamorfosi di Berlusconi. Da giocatore sul tavolo verde della politica a croupier (che distribuisce le carte agli altri). Parlandone coi generali berlusconiani, tutti privatamente ammettono che lo scenario è reale. Alcuni semmai contestano al Capo la tempistica dell’annuncio, proprio a ridosso delle amministrative fra 4 settimane. Il rischio, sostengono, è di inoculare tra gli elettori un senso di abbandono. «Silvio poteva aspettare un altro po’». Ecco dunque Bonaiuti spargere dubbi e sinonimi, le intenzioni attribuite al premier sono «semplici ipotesi, ragionamenti, magari deduzioni» a loro volta «forzate, spesso deformate, talvolta addirittura fantasiose». Ed ecco i capigruppo (Cicchitto, Gasparri) scommettere che Berlusconi non lascerà nel 2013 (quando avrà «solo» 77 anni). Bersani dal versante Pd sottoscrive: «Padre nobile? Poi farà il nonno nobile... La verità è che non molla». Chi ne esce un tantino ammaccato è Alfano. Gettarlo in pasto alle belve non è stata una mossa lungimirante. Si è beccato le unghiate della Lega, causa la sua parlata sicula (è di Palermo); corre voce addirittura che Bossi si sia fatto vivo col Cavaliere per ringhiare i suoi dubbi. Regisce dal Pdl Osvaldo Napoli: «Nell’anniversario dell’Unità d’Italia, mi sembra riduttivo giudicare un uomo politico dalla regione di provenienza». Un osservatore esterno quale il centrista Rao azzarda: «Berlusconi ha esposto Alfano come bersaglio, non si sa se del tutto in buona fede». Il giovane Guardasigilli non vuol credere alle ipotesi più maliziose. Ieri da Berlino ha passato ore al telefono con l’Italia. Resta convinto che Berlusconi l’abbia tirato in ballo, davanti ai corrispondenti stranieri, per essere «gentile nei miei confronti: ciò che avrebbe detto appartiene alla sua generosità e al suo affetto». Ciò chiarito, «se dovessi parlare con lui del futuro, gli consiglierei almeno 5 nomi che ho in mente, e che non dico per non danneggiarli», in quanto subirebbero lo stesso suo trattamento. Basti citare la ruvida reazione del collega di governo Matteoli (ex-An): «Stimo molto Alfano, ma nessuno lo può “investire”, nemmeno un autorevole premier... Berlusconi può indicare chi crede, ma ovviamente ci sarà un congresso e saranno i delegati a votare». Prove di democrazia interna nel partito più carismatico. Ieri sera la «cena di decantazione», promossa dai soliti Cicchitto e Gasparri, scatenati nel ruolo di pompieri. Invitati tutti i membri del governo (ma Tremonti era via) e pure il bastian contrario Scajola, nell’intento di stabilire una tregua tra le fazioni. Infatti il capogruppo alla Camera parla poi di «calumet della pace, il gruppo dirigente si è stretto intorno al premier». E tregua sarà: però armata. Basti dire che alla riunione dell’ex-ministro, dimissionario per la nota vicenda della casa al Colosseo, due sere fa si sono presentati in 53 tra deputati e senatori Pdl. Un forte gruppo di pressione che per ora non si trasforma in gruppo parlamentare autonomo. Era già pronta la sigla («Azzurri per Berlusconi»), però Silvio ha chiesto di soprassedere visto che la Camera è già un Vietman. Continua l’equivoco coi Responsabili. Al loro rappresentante Sardelli, che insisteva per il rimpastino subito, il Cavaliere ha risposto: la prossima settimana ne parliamo. E Sardelli è corso fuori ad annunciare: «La prossima settimana si fanno le nomine». Ma non è la stessa cosa. da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI L'ora più buia del Cavaliere lasciato solo dai fedelissimi Inserito da: Admin - Aprile 20, 2011, 04:28:06 pm Politica
20/04/2011 - RETROSCENA L'ora più buia del Cavaliere lasciato solo dai fedelissimi Arrabbiatissimo con l'aut aut della Moratti: a Berlusconi non è affatto piaciuta la gestione del caso dei manifestanti anti PM anche se non ha speso una parola per condannare il candidato Pdl Lassini Si sfoga con gli amici: "Sto malissimo, mi fanno intorno terra bruciata" UGO MAGRI ROMA «Sto malissimo...». Con l’umore a terra. La voce che è un lamento. A metà mattina il Cavaliere viene informato: «Tra poco la Moratti annuncerà che o lei o Lassini», autore dei manifesti anti-giudici. E Silvio, al telefono con un amico di quelli veri, si lascia andare: «Ecco, vedi? Mi fanno intorno terra bruciata», napalm sui pretoriani più coraggiosi. L’ ondata di condanne lo disturba. Capisce di essere lui il bersaglio per interposta persona. In fondo l’ex sindaco di Turbigo si era limitato a riempire i muri con quello che il premier vomita sui magistrati pubblicamente («cellule rosse») e in privato («brigatismo giudiziario»). Difatti gli è chiaro con chi ce l’avesse Napolitano l’altro giorno, quando ha fulminato i manifesti con la sua scomunica: «Se l’è presa con me, quando la vera vittima sono io. Basti vedere tutte le porcate che questi pm mi fanno, e mai che il Quirinale spenda una parola di esecrazione...». Da Napolitano, però, in fondo se l’aspettava. Molto più dispiacere gli fanno quanti, nel Pdl, sono corsi dietro all’uomo del Colle. Facendo propria l’indignazione presidenziale. La Moratti in primo luogo. Che bisogno c’era di mettere l’aut aut? Quando più tardi si sono sentiti al telefono, Berlusconi è stato elusivo perché Letizia ha le sue convinzioni di donna e di sindaco, inutile recriminare. Ma Schifani, presidente del Senato: perché venire perfino lui allo scoperto? Addirittura commettendo, agli occhi del Capo, il sacrilegio di dare solidarietà ai vertici del sindacato magistrati, molto apprezzata da Palamara. Lunga è la lista di quanti nel Pdl hanno bastonato Lassini (da Cicchitto, che pure sull’uso politico della giustizia ha scritto libri, a Rotondi); pochi (la Santanché, Mantovani) hanno osato difendere la causa persa. Ed è qui la radice del malessere berlusconiano, del suo sentirsi il morale sotto i tacchi: per la prima volta Silvio ha scoperto l’esistenza di un limite, di un confine invisibile oltre il quale neppure il grosso dei suoi pare disposto a seguirlo. Il «caso Lassini» è importante perché fissa le Colonne d’Ercole nella guerra ai giudici, varcate le quali il Cavaliere resterebbe da solo. Gli stessi generali pronti a battersi per far passare entro l’estate alla Camera la riforma Alfano (una «mission impossible»), rifiutano di assecondare in futuro certe mattane del leader e di chi lo sobilla. Berlusconi capisce che qualcosa non quadra. Avverte una presa di distanze, coglie il gelo dei fedelissimi. Non teme il golpe interno perché mai nessuno di questi ci proverebbe. Tuttavia guarda sospettoso il proliferare di cene e di incontri correntizi nel partito che un tempo era il suo, ora assai meno. Un po’ lo fa sorridere e un po’ impazzire l’idea che questi personaggi (lui li considera cloni, risplendenti di luce riflessa) possano sperare di vivere una vita autonoma senza di lui, riunendosi, accordandosi, riposizionandosi per il «dopo». Coi promotori di queste cene Berlusconi è furioso, specie se si tratta di ministri. Si racconta di un «liscia-e-bussa» alla Gelmini per avere scatenato il correntismo allorché lei e Frattini fondarono LiberaMente. Altri negano la lavata di capo a Mariastella, però confermano che il premier ce l’ha a morte con i «banchettanti» (così li definisce), con quanti «si vedono a cena per litigare l’uno con l’altro»; e peggio ancora se si incontrano per stipulare una moratoria delle liti, proponendosi come gruppo dirigente unito, capace in prospettiva di sopravvivere a Lui: «dove credono di andare?». Bondi, ventriloquo del Capo, boccia i timidi conati di democrazia interna, esalta in sua vece il metodo della cooptazione quando a esercitarlo, assicura, è «un leader illuminato». Bonaiuti, il portavoce, prova a metterla in positivo: «Basta stare a tavola nelle cene, ora il momento di battersi per prendere voti». Piacciono al Cavaliere i tipi come la Brambilla, che gli organizzano circoli di nuova specie, a metà strada tra sezioni di partito e Caf, dove si erogano servizi ai cittadini insieme con i «santini» di propaganda, e non costano una lira alle sue tasche perché pagano i Comuni, paga l’Erario. Raccontano dalle sue parti che stia preparando una macchina da guerra prodigiosa, una campagna in grande stile per vincere le Politiche casomai si dovesse votare in autunno: ipotesi che Berlusconinon desidera, anzi teme, però non si sente di escludere del tutto dal momento che tra giugno e luglio il clima parlamentare si farà torrido, tra leggine ad personam e scontri col Quirinale può succedere la qualunque. Pure che la maggioranza perda i pezzi faticosamente messi insieme dal fido Verdini. I Responsabili sono stufi di farsi prendere per il naso. Mesi di gogna politica e mediatica, dipinti come quelli che hanno saltato il fosso per bassi motivi, sottogoverno e poltrone. Sempre più numerosi ma anche impazienti perché il caro Silvio due mesi fa disse: «Tra dieci giorni faccio il rimpasto, tutti i posti disponibili toccheranno a voi». Un mese dopo nuovo incontro, solita promessa, «praticamente ci siamo, la mia moralità è essere di parola». Invece nulla. O meglio: ministero a Romano, che minacciava di andarsene. Strapuntino da sottosegretario a un uomo di Storace (Musumeci) perché la Destra fa troppo comodo alle Amministrative. E gli altri a bocca asciutta. Perfino Pionati, che per Berlusconi si taglierebbe un dito, allarga le braccia: «Solo chi ricatta riesce a trovare ascolto. Avanti così non può durare». da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi ora promette: rimpasto dopo Pasqua Inserito da: Admin - Aprile 21, 2011, 06:03:55 pm Politica
21/04/2011 - RETROSCENA Berlusconi ora promette: rimpasto dopo Pasqua Ma per dieci posti ci sono 60 pretendenti. Gasparri: avanti con la riforma Alfano UGO MAGRI ROMA Noi non chiediamo poltrone», esordisce il portavoce dei Responsabili Sardelli nel salottino del premier, «ci interessa semmai un riconoscimento politico visibile». Eccolo qua, si danno di gomito i dignitari berlusconiani fin a quel momento annoiati (perché i «vertici» spesso si risolvono in una rassegna delle grane in sospeso): per essere visibile, il riconoscimento dovrà tradursi in poltrone... Faccia seria e grave del Cavaliere che ascolta Sardelli, di quando il quando annuisce. Si provveda, dunque. Rivolto a Verdini: «Quand’è che ti vedi coi Responsabili per definire i dettagli? Così nel primo Consiglio dei ministri dopo Pasqua faremo le nomine». Ci vediamo martedì, promette Verdini; e a quel punto la riunione si scioglie, a parte qualche ragionamento sulla Giustizia che Gasparri riassume così: «Vogliamo procedere sulla riforma costituzionale di Alfano per dare la prova che c’è un disegno di ampio respiro», non solo leggi per Berlusconi. Sardelli comunica agli altri Responsabili (se ne aggira un manipolo nella Camera deserta) la notizia, «allora è fatta», fine della snervante attesa. Ma Silvio manterrà davvero gli impegni, o s’inventerà qualche nuova scusa? A normativa vigente, nel governo c’è posto per 9 sottosegretari e un vice-ministro. Andrebbe calcolata pure la «cadrega» delle Politiche Europee, e l’intramontabile della Prima Repubblica Enzo Scotti vorrebbe sedersi, ma risulta già prenotata: apparteneva a Ronchi che si dimise per seguire Fini, viene tenuta vacante casomai lui e Urso tornassero subito dopo le amministrative. Dunque, 10 poltrone da distribuire. I pretendenti sono una sessantina, ai Responsabili si aggiungono quelli del Pdl e pure la Lega, perché Bossi reclama la sua porzione. Altri potrebbero aggiungersi se è vero che una vittoria a Napoli e a Milano, dove il Cavaliere terrà comizi e s’infilerà nelle cassette postali, spalancherebbe la porta a nuovi arrivi, tutti chiaramente da compensare. Il governo proporrà dunque di allargare la compagine tramite un apposito disegno di legge che richiederà mesi. Ma non è che le poltrone si possano moltiplicare all’infinito; ogni due pretendenti, Silvio sa di doverne mortificare uno. Per una maggioranza così esile, il passaggio è delicato, dunque il Cavaliere traccheggia. Pare voglia tornare sul Colle e chiedere a Napolitano cosa ne pensa, forse nella speranza che il Presidente gli metta i bastoni tra le ruote, onde poter dire a Sardelli e agli altri: il ritardo non è colpa mia. Se Berlusconi lo spera, resterà deluso. Il Capo dello Stato si terrà fuori dalla partita. L’altro giorno il premier gli aveva chiesto la controfirma sulla nomina di Musumeci, e Napolitano subito ha provveduto. Se la dovranno sbrigare Silvio e Verdini. Che ai Responsabili offrono 4 poltrone, quelli invece se ne aspettano sei. Qualcuno (Calearo) mette condizioni: o mi danno un incarico di tipo economico, oppure fa niente. Da volto noto del tigì, Pionati si sentirebbe a suo agio nel ramo comunicativo. C’è Razzi da accontentare, e non sarà facile, c’è Scilipoti e c’è la Melchiorre... Previsione sottovoce di chi gestisce la trattativa: dei 10 posti ne verranno assegnati solo 6-7. Gli altri tenuti lì, pronti, come esca per chi volesse aggiungersi alla maggioranza in extremis, e come carota per chi già tira il carro del premier. da - lastampa.it/politica/sezioni Titolo: UGO MAGRI Il Pdl lo attacca ma Tremonti ora è più forte Inserito da: Admin - Aprile 23, 2011, 05:26:14 pm Politica
23/04/2011 - GOVERNO: LO STALLO Il Pdl lo attacca ma Tremonti ora è più forte Smentita anche la voce su Grilli in via XX Settembre, Cicchitto spera in Bossi per ammorbidire il ministro UGO MAGRI ROMA Più cercano di mandarlo giù, e più Tremonti si tira su. L’esito paradossale (ma fino a un certo punto) degli attacchi contro il super-ministro è stato quello di rafforzarlo. Fa testo l’umore: ottimo, nel giudizio di chi ieri ha sentito Tremonti. Non certo lo stato d’animo di chi si sente ridimensionato. Poi qualcuno dirà che la sua vittoria è frutto degli autogol avversari, che la partita non finisce qui, che i nemici del professore dentro il Pdl e dentro il governo torneranno alla carica tra un paio di settimane, appena passate le Amministrative... Tutto vero. Intanto però, è giudizio pressoché unanime, uno a zero e palla al centro. Con Berlusconi obbligato dalle circostanze a manifestare solidarietà. Non solo: anche condivisione per una politica economica di cui privatamente dice peste e corna, quasi autorizzando la fronda nei confronti del suo ministro. Ora il Cavaliere si trova suo malgrado appiattito su Tremonti. E il «merito» (involontario) va riconosciuto a Galan. Il titolare della Cultura ha dato voce a quanto temono quasi tutti i ministri: «A forza di tagli, perderemo le prossime elezioni». Sennonché la sua intervista al «Giornale» è caduta proprio a tre settimane dal voto, quando di solito i governi cercano di mostrarsi compatti mettendo la sordina alle liti. Che altro poteva fare, il Cavaliere, se non tentare un rammendo? L’altra sera l’ha pure detto a Galan: un rimprovero mite, affettuoso, tutt’altro che una lavata di capo, però sempre di ramanzina si tratta secondo la versione del colloquio che Berlusconi ha diffuso tra i dignitari del Pdl. La colpa principale di Galan, ai suoi occhi, è proprio quella «di avermi obbligato a difendere Tremonti» per evitare catastrofiche dimissioni del ministro, laddove Silvio si preparava a metterlo sotto pressione. Il premier non vede l’ora di annunciare una riforma del Fisco che tagli le aliquote, come sta scritto nel capitolo più disatteso del suo programma elettorale. Tutto quanto è riuscito a ottenere da Tremonti consiste invece nella leggera pioggia di incentivi e di semplificazioni tributarie che verranno annunciate la prossima settimana: dalle proroghe del piano casa al sostegno per le reti alberghiere, al bonus fiscale per la ricerca. Sempre meglio di niente, però molto meno di quanto il Cavaliere si sarebbe atteso. Non è il primo assalto a Tremonti che fa un buco nell’acqua. Due anni fa, alla vigilia delle elezioni Regionali, ci fu una manovra coordinata e molto ben organizzata per fargli allargare finalmente i cordoni della borsa. Al ministero di via XX Settembre ancora ricordano il vasto schieramento ostile: coordinatori nazionali del Pdl, capigruppo, vicecapigruppo, ministri, tutti uniti come una falange macedone. Avevano quasi stretto Giulio alle corde. Poi però scoppiò la crisi in Grecia, e nessuno ebbe il coraggio di insistere. Oggi non è che stiamo molto meglio, avverte Bonaiuti, trait-d’union tra Berlusconi e Tremonti, presente alla loro lunga reciproca «spiegazione» di due sere fa: «La realtà è quella di una crisi finanziaria internazionale che non sta ancora alle nostre spalle. Come si fa a non tenerne conto?». Per cui non è con i complotti, le cene tra ministri o le cariche frontali che se ne può venire a capo. Tra le smentite su cui il Cavaliere s’è dovuto esercitare, c’è la chiacchiera rilanciata da Dagospia, il sito di gossip politico che Tremonti legge (o qualcuno gli segnala, fa lo stesso): si prepara un cambio al dicastero dell’Economia, il candidato di Berlusconi è Grilli, direttore generale del Tesoro... Anche se ci avesse davvero pensato, il premier sarebbe costretto a negarlo. Meglio, molto meglio una strategia flessibile, tipo quella che (tra le righe) suggerisce Cicchitto: convincere Tremonti con le buone maniere e, soprattutto, con l’aiuto di Bossi. Sostiene il capogruppo Pdl alla Camera, che sempre più spesso prende il comando delle operazioni: «Bisogna fare di tutto per aprire una nuova fase che contenga gli elementi di crescita possibili e realistici; c’è l’interesse di fondo del Pdl e della Lega». Da cui Tremonti non vorrà isolarsi. da - lastampa.it/politica/sezioni Titolo: UGO MAGRI Ma Berlusconi tira dritto "Vinco le amministrative" Inserito da: Admin - Maggio 07, 2011, 06:32:40 pm Politica
07/05/2011 - RETROSCENA Ma Berlusconi tira dritto "Vinco le amministrative" Risposta al Quirinale delegata ai capigruppo: "Nuova fiducia? Non c’è problema" UGO MAGRI ROMA La rispostaccia al Quirinale è il segno di quanto i berlusconiani adesso si sentano al sicuro, dell’euforia un po’ ribalda che negli ultimi giorni ha preso il posto dei musi lunghi e rassegnati. Piaccia o non piaccia, il Cavaliere è convinto di avercela quasi fatta: per brindare allo scampato pericolo, magari in una delle sue feste eleganti, attende solo il voto delle amministrative. E poi, se avrà vinto tanto a Napoli quanto a Milano, si troverà la strada tutta in discesa fino al termine della legislatura. Per cui Napolitano che si ritrae schifato dal «rimpastino», che punta l’indice contro il trasformismo e che non accetta di farlo passare sotto silenzio, al premier causa tutt’al più irritazione ma non allarme, tantomeno sorpresa poiché quegli stessi concetti Napolitano li aveva anticipati personalmente in uno dei recenti incontri. Prova ne sia che a Palazzo Grazioli nessun vertice è stato convocato per soppesare le virgole. Addirittura, Berlusconi è arrivato al punto da delegare la replica ai suoi capigruppo, «sbrigatevela voi» gli ha detto. Il linguaggio spigoloso, il richiamo alle tante volte che si è già misurata la fiducia al governo per cui non si capisce quale senso abbia insistere col termometro, il tono generale di fastidio per un richiamo vissuto ai vertici Pdl come «pretestuoso», tutto ciò è farina del sacco di Gasparri e di Cicchitto. Dà il primo una sua interpretazione: «Dopo aver bacchettato la sinistra dichiarandone l’inadeguatezza, forse al Quirinale hanno pensato di riportare il dibattito sulla destra...». Ringhia Cicchitto, che pure di Napolitano è amico: «Questa volta non ci ha convinto per niente». Se poi l’opposizione pretendesse a tutti i costi un dibattito, nel campo berlusconiano si dichiarano pronti, «un nuovo voto di fiducia non potrebbe che rafforzare il governo». Nessuno che scorga nubi nere all’orizzonte. Anzi le cose per il Pdl stanno prendendo una piega che nemmeno i più ottimisti avrebbero mai sperato. Sostiene Quagliariello, numero due berlusconiano a Palazzo Madama: «Siamo usciti molto meglio di quanto noi stessi prevedevamo dalla crisi libica, dalle difficoltà con la Lega, dal rimpasto». Il vero banco di prova sarà tra 8 giorni, alle Amministrative. E i segnali che giungono al Cavaliere dalle città contese sono tutti favorevoli. Nel suo giro si discute se la Moratti e Lettieri passeranno al primo turno o se invece servirà il ballottaggio: ma la vittoria di entrambi non è in discussione, quantomeno nei dati in possesso del Cavaliere (Napolitano ne ha di molto diversi). E «se facciamo bingo in quelle città, non ce n’è più per nessuno», già pregusta il trionfo Osvaldo Napoli. E i processi, che terrorizzavano il premier? Non c’è più il timore di una pronta condanna per Ruby, per Mills? L’entourage assicura di no, ci informa che è tutto svanito. A liquidare il processo Mills provvederà, spiegano sottovoce, la prescrizione breve che il Senato si appresta a timbrare; sull’accusa di favoreggiamento della prostituzione minorile pensa invece una leggina (non ancora presentata ma pronta) che impone ai giudici di sospendere il dibattimento nelle more dell’attesa che la Corte costituzionale si pronunci sul conflitto di attribuzione… Ma la mossa che più entusiasma l’« inner circle» berlusconiano, gli scudieri al Cavaliere più fedeli, è l’investitura di Tremonti quale «successore in primis». La considerano vincente per una somma di ragioni proiettate al futuro (una fattiva collaborazione tra Silvio e Giulio, dicono, farà fiorire la riforma fiscale e le misure per lo sviluppo in vista delle Politiche nel 2013) e di altre motivazioni molto tattiche, più legate al presente. Una su tutte: Berlusconi finalmente riprende a fare politica e delinea per se stesso una «exit strategy», una via d’uscita, che obbliga tutti a rifare un po’ i conti. Opposizione compresa. Che senso ha prendere a testate il Cavaliere se tre due anni il candidato del centrodestra magari non sarà lui? E quale logica avrebbe un governo tecnico, se il compito di guidarlo toccasse proprio a colui che Berlusconi indica quale premier dopo di sé? «Il governo tecnico è defunto», se la ride Bonaiuti, «e dopo le amministrative ne vedremo di belle…». da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/ Titolo: UGO MAGRI Pdl-Berlusconi, interessi diversi Inserito da: Admin - Maggio 10, 2011, 12:04:43 pm Politica
10/05/2011 - AMMINISTRATIVE VERSO IL VOTO Pdl-Berlusconi, interessi diversi Nelle comunali di domenica l'imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli Qual è la posta in palio alle prossime elezioni? Un’analisi partito per partito per capire chi, e in quale occasione, potrà cantare vittoria. A cominciare dal Pdl: il partito che Berlusconi è pronto a sacrificare pur di salvarsi UGO MAGRI Per la prima volta gli interessi del Pdl coincidono solo in parte con le fortune elettorali del Fondatore (una volta erano in due, ma l’altro ha fatto la fine di Remo). Mai come ora Berlusconi è parso pronto a sacrificare il partito pur di salvare se stesso. Nelle Comunali di domenica l’imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli. Espugnare entrambe al primo turno sarebbe una prova di salute politica inaspettata; ma pure vincere i ballottaggi all’ombra tanto del Vesuvio che della Madunina gli andrebbe di lusso. E in fondo in fondo perfino un pareggio, che equivarrebbe a riprendersi solo Milano lasciando Napoli alla sinistra, darebbe al Cavaliere la chance di tirare avanti con il governo, ammaccato ma ancora vivo, fino al capolinea della legislatura (primavera 2013). Se tra sette giorni Berlusconi avrà centrato almeno uno di questi obiettivi, potrà dire: «Io cado sempre in piedi». Per il Pdl è diverso. Quasi l’opposto. Nell’ansia di sfangarla, Silvio mette in secondo piano la sorte della sua creatura politica. Anziché aiutarla a crescere, a piantare radici sul territorio, a tirar su una nuova classe dirigente, in qualche caso Berlusconi la trascura; in altri la sacrifica senza pietà. Col risultato che il Pdl affronta il voto con la gioia del cappone sotto Natale, quasi vittima designata dal padre padrone. E’ possibile, per fare un piccolo esempio, che la decisione berlusconiana di correre capolista a Milano possa rappresentare una spinta alla candidata Moratti. C’è chi ne dubita e anzi teme l’effetto-boomerang della campagna ossessiva contro i magistrati, questo eccesso di personalizzazione sul premier tirata al punto che gli spot radiofonici pro Cavaliere implorano: «Se mi vuoi bene, votami». Berlusconi teme la scarsa affluenza, l’astensionismo. Il suo nome si perde in fondo alla scheda, bisogna cercarlo con cura... Sta di fatto che Silvio si comporta come un’idrovora, asciuga lo stagno delle preferenze (se ne può esprimere al massimo una), i candidati Pdl boccheggiano tutti tranne l’unico che non dovrebbe nemmeno figurare in lista, quel Lassini venuto alla ribalta coi manifesti anti-pm. Ma il vero conflitto d’interessi tra il premier e il suo partito riguarda essenzialmente Bossi. Per quieto vivere, il Cavaliere consentì mesi fa alla Lega di presentarsi con candidati propri, contrapposti a quelli del Pdl, dove meglio credeva. In pratica, Berlusconi diede il via a una sfida dove i suoi campioni sono destinati al massacro. Per il semplice motivo, dicono in via dell’Umiltà, «che noi combattiamo con le mani legate». Bossi fa una campagna spregiudicata, ormai si distingue su tutto, specie sulle decisioni impopolari, da Parmalat al nucleare. Il caso più eclatante? La Libia, che provoca al premier vistosi cali di immagine. Il Carroccio non si fa scrupoli di condannare la guerra. Il Pdl invece non ha scampo, può solo trangugiare le scelte governative, subendone gli alti (pochini) e i bassi (parecchi). Ricapitolando con le parole di Osvaldo Napoli il quale, tra l’altro, da domenica sarà vicepresidente vicario Anci e di contese locali ne capisce: «Tolte Milano e Napoli, che sono affare di Berlusconi, tutto il resto andrà in carico al partito. Ed è lì che il Pdl dimostrerà di esserci o no». Specie nel confronto diretto con la Lega. A Bologna. A Trieste. In quello che sta diventando il simbolo della disfida, con Bossi che vi comizia un giorno sì e l’altro pure, cioè Gallarate. Guerra crudele perché, se al primo turno la spunta il candidato sindaco del Pdl, poi non è detto che la Lega dia un sostegno compatto nel ballottaggio, specie a Trieste. E comunque lo scontro fratricida è destinato a spingere in alto i padani nel voto di lista, a detrimento di chi si capisce. In generale la prospettiva del Pdl è grama. Ben che vada al partito del Cavaliere, può liberare Rimini dai «comunisti», e allora giù il cappello. Tuttavia rischia di perdere Latina, mai a sinistra negli ultimi 90 anni, comprendendo l’era del Fascio. Ai vertici Pdl si spera in un colpo di reni a Catanzaro e a Cosenza, si teme invece per Reggio Calabria... I triumviri Pdl (Verdini, Bondi, La Russa) incrociano le dita ma sanno già come va a finire: salvo miracoli, Berlusconi darà la colpa a loro. da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/401447/ Titolo: UGO MAGRI "Partito da rifare" Berlusconi prepara il capro espiatorio Inserito da: Admin - Giugno 01, 2011, 06:12:36 pm Elezioni 2011
29/05/2011 - AMMINISTRATIVE: LA POSTA IN GIOCO "Partito da rifare" Berlusconi prepara il capro espiatorio È tornato a Villa Certosa, come ai vecchi tempi e lascia filtrare l'ipotesi di un predellino-bis UGO MAGRI L'unica vera forza del Presidente del Consiglio è di non avere un vero e proprio partito alle spalle. Perché se il Pdl fosse l’erede della vecchia Democrazia cristiana, già domani sera una folta delegazione di notabili andrebbe da Berlusconi a dirgli: «Nell’interesse di tutti, farai un passo indietro». Ma Silvio conosce i suoi polli, e sa già che nessuno ne avrà il coraggio. In fondo se li è fabbricati così. Né gli risulta che Bossi voglia aprire nell’immediato una crisi senza aver chiari gli sbocchi. Per cui il Cavaliere va incontro alla probabile doppia legnata a Milano e a Napoli relativamente certo di sopravvivere pure stavolta. Si narra che stia trascorrendo in letizia questo weekend a Villa La Certosa, come ai vecchi tempi. Inutile immaginarsi dunque un remake (l’ennesimo) de «Gli ultimi giorni di Pompei»: certe atmosfere decadenti nel centrodestra richiamano semmai il pasoliniano «Salò e le 120 giornate di Sodoma». Insomma, per quanto incredibile possa sembrare, a Berlusconi il ballottaggio aggrava l’umore fino a un certo punto. Perdere le elezioni, soprattutto in casa, piacere non gli fa, questo è scontato; pare che ieri sera coltivasse ancora qualche speranziella di recuperare, specialmente a Milano gli hanno raccontato che l’aria è cambiata, a Napoli vai a capire. Ma molto più importante ai suoi occhi è che nessuno stacchi immediatamente la spina, cosicché comunque vada lui possa farsi qualche altro giro di giostra. I Responsabili sbandano, la Melchiorre se ne va? «La sua uscita non ci aggiunge nulla e non ci toglie nulla», alza le spalle il portavoce Bonaiuti. La figuraccia politica? Lo smottamento di immagine? «Chi spera che il Cavaliere vada a nascondersi rosso di vergogna proprio non lo conosce», scuotono il capo nel suo giro stretto. Pare abbia già trovato un capro espiatorio: il partito, appunto. Il Cavaliere ne parla con sprezzante distacco. Dice: «Loro» riferendosi ai gerarchi; oppure «voi» (quando ce li ha davanti, cioè il meno possibile). Ha «scaricato» la Moratti e Lettieri senza nemmeno attendere il verdetto degli elettori, la colpa è di chi ha spinto per candidarli, lui più di tanto non poteva fare. E lascia circolare la voce di un secondo «predellino», azzerare tutto, tabula rasa per ricominciare daccapo con un partito nuovo di zecca, via la vecchia insegna che in fondo non gli piaceva, avanti con un altro nome (ce ne sono diversi allo studio, il marketing ha le sua regole). Poi magari non ne farà nulla poiché spostare una sola pedina nel Pdl significherebbe compromettere la maggioranza alla Camera che si regge su pochi voti. Ma intanto Berlusconi potrà mettere sotto accusa il suo gruppo dirigente. E non è che manchino gli argomenti. Pare l’abbia molto colpito la descrizione visiva dei suoi «gazebo», confrontati con quelli di Pisapia: questi ultimi colorati e traboccanti di depliant, volantini, manifesti; quelli della Moratti tristi, sconsolatamente vuoti di volontari e di materiali propagandistici (a proposito, che fine hanno fatto con tutto quello che gli son costati?). Nel Pdl circolano altre idee. Nessuno crede che tutto continuerà come prima. «Business as usual» per Berlusconi, forse, ma non per quelli che sono diventati onorevoli grazie al premio di maggioranza, se tra due anni vince la sinistra addio: tenerli in riga sarà un’impresa. Qualunque deputato, avendo poco da perdere, alzerà il suo prezzo o si guarderà intorno. Le menti più fini del Pdl invocano un colpo d’ala, una ripresa d’iniziativa politica. Quagliariello, capogruppo vicario in Senato, giura che il Pdl non tradirà, sostiene convinto che «la risposta semmai debba venire anzitutto dal governo e dall’economia», un modo elegante per chiamare in causa Tremonti. Osvaldo Napoli ci crede meno, e immagina un partito che perlomeno «abbia il coraggio delle sue idee», e sappia tenere posizioni diverse dal governo «ad esempio sul nucleare, sui servizi pubblici locali, sui rapporti con la Lega...». Berlusconi ascolta tutti i discorsi e sbadiglia. Giorni di lavoro del «sinedrio» per suggerirgli di puntare su riforma del fisco e Mezzogiorno; sembrava persuaso, invece poi è andato da Obama a parlargli dei suoi processi. L’uomo è così, prendere o lasciare. da - www3.lastampa.it/focus/elezioni2011/ Titolo: UGO MAGRI Lo sgambetto di Bossi, l'incubo di Berlusconi Inserito da: Admin - Giugno 06, 2011, 12:51:12 pm Politica
06/06/2011 - GOVERNO - DOPO IL KO ELETTORALE Lo sgambetto di Bossi, l'incubo di Berlusconi Oggi a pranzo, vertice decisivo ad Arcore. Pressing su Tremonti perché si ammorbidisca UGO MAGRI ROMA Oggi a pranzo la Lega rivolgerà a Berlusconi tutte quelle domande che aveva fin qui rinviato. Va bene tirare avanti altri due anni, gli chiederanno anzitutto, ma facendo che cosa? La riforma del fisco, okay, però con quali soldi? E la manovra per pareggiare i conti entro il 2014, non è che farà perdere al centrodestra le prossime elezioni? Non sarà il caso di andare alle urne l’anno prossimo, prima che i tagli producano i loro effetti? Bossi vorrebbe capire qual è la rotta, l’incontro è fissato proprio per discuterne a cuore aperto. Si vedranno col Cavaliere ad Arcore, come di consueto. Garantita la presenza al vertice del segretario Pdl in pectore, Alfano. Bossi porterà con sé Calderoli e Maroni. Non mancherà Tremonti, anzi tutto lascia immaginare che sarà lui il grande protagonista. Tremonti non ci sta a recitare la parte del cattivo. Sembra che sia lui a negare i soldi per abbassare le tasse. Il superministro sostiene invece che la manovra da 40 miliardi in tre anni è la conseguenza del pareggio di bilancio promesso da Berlusconi. Ce la impone l’Europa e, prima ancora, serve per tenere l’Italia fuori dal mirino della speculazione. Non pare disponibile a fare sconti, sebbene una scuola di pensiero molto prossima al Cavaliere sostenga che oggi «Giulio verrà messo in mezzo, dovrà subire la pressione congiunta di Berlusconi e dello stesso Bossi in quanto pure la Lega sta perdendo voti per colpa della pressione fiscale, insomma Silvio e Umberto hanno lo stesso interesse ad ammorbidirlo». Per il momento Tremonti rimane parecchio rigido. E quale sia il suo atteggiamento lo conferma paradossalmente una smentita. Ieri il quotidiano «Libero» aveva dato per plausibile il taglio delle tasse sulla base del compromesso tecnico di cui si vocifera da giorni (sforbiciata alle agevolazioni fiscali per abbassare Irpef ed Irap). Tremonti poteva lasciar correre, far finta di non aver letto i quotidiani domenica; invece è subito intervenuto: l’articolo «è lievemente privo di fondamento economico e politico», ha fatto precisare dal Tesoro. Come dire: siamo lontani assai da un accordo sulla materia. Chi colloquia con Berlusconi lo descrive «prudente e preoccupato», racconta che in queste ore Silvio «riflette» senza sbilanciarsi sulle sue prossime mosse. Dicono anche che il premier appare «consapevole che la strada è stretta» e per la prima volta «nutre dei dubbi sulle reali intenzioni della Lega». La quale Lega oggi gli chiederà di allargare la maggioranza ai centristi, o quantomeno di provarci, perché con 10 voti di maggioranza il governo andrà incontro a un autunno tragico. Pionati per telefono ha suggerito a Berlusconi il rovescio, «non ha senso andare appresso a Casini, noi Responsabili saremo una garanzia». Osvaldo Napoli non ha parlato col premier, però scuote il capo e spiega: «Se le condizioni dell’Udc restano quelle che conosciamo, anzitutto le dimissioni del governo e di Berlusconi, mi sembra inutile farsi troppe illusioni su un’apertura ai centristi». E’ molto probabile che il Cavaliere, con la Lega, voglia adottare una linea soft. «La maggioranza c’è ed è salda, possiamo fare tutte le riforme che vogliamo», dirà senza affatto convincere i suoi interlocutori. Salvo aggiungere qualcosa del tipo: «Non ho niente in contrario a fare un passo verso l’Udc, Alfano l’ho nominato segretario apposta per ricucire i rapporti… Anzi provateci pure voi. Ma ho servi dubbi che sia sufficiente. E certo io non posso aprire una crisi di governo in questo momento senza nemmeno la garanzia che possa servire…». E’ convinzione profonda del Cavaliere, sostiene chi gli sta intorno, che senza di lui la Lega non andrebbe da nessuna parte. Con un Pd trascinato a sinistra dalla vittoria di Napoli e di Milano, il Carroccio non ha più sponde. Un modo per rompere le sue catene, si mette nei panni di Bossi il centrista Rao, sarebbe quello di imboccare la via della riforma elettorale. Quagliariello (Pdl) ne dubita, cambiare il «Porcellum» gli sembra un’arma spuntata. Fatto sta che la Lega è inquieta. Da Berlusconi si attende risposte. Né si fida delle parole. Di morire per Silvio in via Bellerio non se lo sogna nessuno. da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/405624/ Titolo: UGO MAGRI Fisco, vertice notturno tra Pdl e Lega. Inserito da: Admin - Giugno 08, 2011, 04:22:02 pm Politica
08/06/2011 - GOVERNO Fisco, vertice notturno tra Pdl e Lega. Bossi a Berlusconi: abbassate le tasse All'incontro anche Tremonti UGO MAGRI Sarà pure andata «benissimo» come cerca di far credere Berlusconi, ma dopo l’incontro di lunedì con Bossi e Tremonti i problemi erano rimasti tutti sul tavolo. Ingarbugliati. Il risultato è che stanotte, senza preavviso, si sono rivisti quei tre: il Cavaliere, il Senatur e il Super-ministro, col concorso di Calderoli, e nulla hanno lasciato trapelare dei loro discorsi. Perché grande è il disordine sotto il cielo. Il taglio delle tasse si farà più avanti, certamente, anzi forse, e comunque adesso si deve tirare la cinghia; sopravvivere fino al 2013 sarebbe l’intenzione del governo, però la vox populi parla di elezioni già il prossimo anno; Alfano vorrebbe lasciare la Giustizia per diventare segretario del Pdl (ieri ha avuto una folla di incontri), sempre che Berlusconi scelga il suo successore. Chi ieri si è recato in visita dal Cavaliere riferisce che ha le idee chiarissime solo sulle «primarie»: Quagliariello gli ha studiato una legge che le rende obbligatorie per sindaci, presidenti di provincia e di regione, non per il candidato premier. Berlusconi vi scorge l’inizio di un nuovo movimentismo, la scintilla di una seconda rivoluzione dopo quella del «predellino». Bilancio in rosso Dice Bossi: «Lunedì ero ad Arcore e assicuro che la nostra volontà è di andare avanti». Sul taglio delle tasse: «Si farà di tutto per arrivarci». Su Tremonti sotto assedio: «Fantasie di voi giornalisti...». Peccato che il Bossi parlante in questo caso sia Renzo, per gli amici «Trota». Suo padre invece fa discorsi che mettono a nudo l’impasse: «Sono Berlusconi e Tremonti a dover trovare la quadra» sul fisco, per ora la stanno cercando. Rincara Bossi (senior): «Bisogna essere cauti, ma alla fine Tremonti dovrà trovare il modo di ridurre un po’ le tasse per le famiglie e per le imprese». È l’ammissione onesta che siamo ancora al carissimo amico. Spiega privatamente Tremonti: «L’importante era confermare l’obiettivo del pareggio di bilancio per una questione di sopravvivenza. Poi più avanti vedremo...». Agli occhi del ministro molto dipende da come evolverà la crisi dell’eurozona, da ciò che farà la Grecia in settembre. Prima di allora Berlusconi e Bossi non debbono fargli proposte indecenti. Lo sfogo di Silvio Napolitano vuole mettere bocca su tutto», si lamenta con l’entourage il premier, «quando gli ho parlato del successore di Alfano alla Giustizia, mi ha detto chiaro che ne devo discutere prima con lui...». E in effetti la settimana scorsa, quando Berlusconi fece visita al Colle, ci fu un rapido cenno sull’argomento. Nel senso che il Cavaliere stava incominciando a snocciolare una fila di nomi per sondare l’atteggiamento del Presidente. Napolitano però fu rapido nello stopparlo: «Adesso», disse all’incirca al premier, «sarebbe fuor di luogo svolgere una disamina dei candidati. Lei si chiarisca e ne riparleremo con calma. Sappia», aggiunse Napolitano nell’occasione, «che mi deve portare una proposta adeguata all’incarico di Guardasigilli», mica può ricoprirlo chicchessia. Per primo Berlusconi si era rivolto a Cicchitto, capogruppo alla Camera, ricevendone un no risoluto. Adesso pare che nemmeno Lupi voglia prendersi la grana, perché di grana si tratta: riparte al Senato l’esame del processo breve, con la norma ad personam sulla prescrizione. Il nuovo ministro si insedierà giusto in tempo per trovarsi nell’occhio del ciclone. Lupi: «Non sono interessato, non farò il ministro della Giustizia». Crescono le chances della Gelmini, ammesso che gradisca traslocare dall’Istruzione. Nel frattempo circola una scommessa: Alfano resterà in via Arenula chissà ancora per quanto. Fini torna a destra Dinanzi alla crisi del berlusconismo, spiega ai suoi il presidente della Camera, «bisogna cancellare ogni residua ambiguità politica» e spiegare bene d’ora in avanti che «non siamo una costola della sinistra». Botte di Bocchino in testa ai Briguglio e (soprattutto) ai Granata: «Fli è ancorato a destra, altre strade sono velleitarie e fallimentari». da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/406032/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi teme un nuovo '92 Inserito da: Admin - Giugno 20, 2011, 08:31:18 am 16/6/2011
Berlusconi teme un nuovo '92 UGO MAGRI Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen. La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta. A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...». Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto. Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe». Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai». da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/ Titolo: UGO MAGRI E il premier: la missione in Libia finisce a settembre Inserito da: Admin - Giugno 21, 2011, 09:48:37 am Politica
21/06/2011 - RETROSCENA E il premier: la missione in Libia finisce a settembre Riunione notturna, Berlusconi verso l'intesa con il Carroccio UGO MAGRI ROMA Un ministro dell’Interno che rimbecca il Capo dello Stato ancora mai si era visto nella galleria degli orrori istituzionali. Ieri la lacuna è stata colmata: sulla guerra libica Maroni ha sostenuto il rovescio esatto del Presidente, che tra parentesi è il comandante supremo delle Forze armate. Logico che al Quirinale non ne siano lieti. Ma il vero attentato politico è contro il primo ministro. La richiesta di una data, entro cui sganciarsi dalla missione, innesca una bomba sotto la poltrona del Cavaliere; pare di udirne il «tic-tac». Può esplodere entro il mese, quando il governo dovrà rifinanziare le missioni. Oppure lo scoppio può tardare fino a settembre, se nel frattempo Gheddafi non si sarà arreso. La speranza del Cavaliere è proprio questa, che il Colonnello tolga il disturbo. Oggi pomeriggio in Senato venderà come certezza questo suo desiderio: sicuramente tutto sarà finito, dirà il premier nel «discorso della verifica», prima ancora di dover chiedere al Parlamento ulteriori denari (quelli stanziati bastano per tre mesi). E se invece il Colonnello per dispetto si ostinasse a restare oltre quella data? Maroni, con lui la Lega, vuole che Berlusconi dica qui e subito: comunque vada, a settembre l’Italia si sfila. Molla gli alleati e stop ai bombardamenti. Un impegno solenne. Pur di tirare avanti, Berlusconi è disposto a prenderlo. Oggi annuncerà che il nostro impegno militare scade a settembre, così come fu stabilito in sede Nato. Proverà a convincere Napolitano nel Consiglio Supremo di Difesa il 6 luglio. Gran consiglio fino a notte nello studio del Cavaliere. Ogni singola parola del discorso l’hanno soppesata in dieci, capigruppo ministri e «consigliori». Escluso che Berlusconi dica cose scioccanti (leggenda messa in giro dalla Zanicchi e ancora ieri propalata da ministri); chi ha lavorato al testo giura «non ce n’è traccia». Tono alto e nobile, rammarico per una legislatura iniziata con altre ambizioni e declinata in peggio, elogio a Tremonti per aver tenuto i conti pubblici in sicurezza, forte consapevolezza del momento drammatico, impegno strenuo per le riforme tra cui quella della giustizia scivola in fondo alla lista, verrà solo accennata... Il discorso è un patchwork di apporti coordinati da Bonaiuti. Chi ne ha letto l’ultima stesura vi scorge l’impronta stilistica prevalente di Giuliano Ferrara. Poi, si capisce, Silvio vi ha messo del suo. Di rado, garantiscono i suoi, Berlusconi è apparso così presente a se stesso, altrettanto conscio che la barca lentamente affonda, non fa in tempo a turare una falla che un’altra se ne apre. Alle 11 del mattino l’hanno chiamato da Roma (lui stava ancora ad Arcore): «Alemanno pianta una grana sui ministeri al Nord». Stupore e irritazione del premier, lo dava per capitolo chiuso, «che bisogno c’è di riaprirlo se perfino Bossi a Pontida non ha calcato la mano?». Corsa di Cicchitto a parlamentare col sindaco in Campidoglio, trattative con la Lega per una mozione in grado di «parare» quella del centrosinistra senza mandare in briciole il Pdl. Lunghe discussioni intorno al tavolo notturno, presente Calderoli, per stabilire se è opportuno che Berlusconi ne parli in Aula. Alla fine la decisione: Silvio dirà che, purtroppo, l’articolo 114 della Costituzione vieta di trasferire ministeri al Nord, la Capitale è Roma come è scritto pure nella legge n.42 sul federalismo fiscale, fortemente voluta dalla Lega, dunque gli organi istituzionali lì debbono risiedere. A meno che non si voglia cambiare la Costituzione. Ma sarebbe un processo lungo. «Nel frattempo emanerò un decreto», pare orientato a dire il premier, per trasferire al Nord certi uffici di rappresentanza, compreso «il personale di diretta collaborazione» (segretarie, portaborse) e quello che accetterà di spostarsi... Sondaggi fatti sul Colle confermano che tale formulazione non incontrerebbe ostacoli presidenziali. Insomma: il governo sui ministeri pare in grado di sfangarla. Ma è il clima generale che inquieta il premier. E come potrebbe stare sereno con Maroni che svillaneggia Tremonti? «Ho impegni più piacevoli che vedere lui», è la battuta rimbalzata fino a Lussemburgo, dove si trovavano il Professore e Frattini. «La verità», sospira un dirigente tra i massimi del Pdl citando il poeta Ungaretti, «è che si sta come d’autunno sugli alberi le foglie... Oggi ci siamo, domani chi può dirlo?». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/408049/ Titolo: UGO MAGRI Metamorfosi di Tremonti da ragioniere a mediatore Inserito da: Admin - Luglio 01, 2011, 06:38:51 pm Politica
01/07/2011 - RETROSCENA Metamorfosi di Tremonti da ragioniere a mediatore Il ministro sorprende il premier e gli sfila il ruolo di pontiere Sorrisi con Brunetta, spiegazioni alla Meloni, sintesi con Bossi UGO MAGRI ROMA Nella distrazione collettiva, è in corso un trasferimento di poteri. In apparenza resta un uomo solo al comando, cioè Berlusconi: è lui l’Onnipresente che assume tutte le decisioni. Ma se si dà retta a chi ne conosce la genesi, apprendiamo che il Cavaliere sempre meno le adotta. Nel Consiglio dei ministri di ieri, riunito per mettere il timbro sui sacrifici, «deus ex machina» è risultato Tremonti. Il quale inaugura una linea duttile, flessibile di cui pochi lo ritenevano capace, che non è più quella del ragioniere arcigno, preoccupato di difendere solo l’equilibrio dei conti, semmai del politico capace di mediazione e di sintesi. Ha vestito i panni che dovevano essere del premier. Il più sorpreso, alla fine, è risultato Berlusconi. In privato si è detto deluso, «in questa manovra manca il timbro del sogno, io non l’avrei fatta così»; in pubblico ha ringraziato Giulio «per la pazienza» dimostrata. Gli ha perfino riconosciuto lo «spirito di collaborazione con i colleghi di governo» di cui si è avuta prova sui tagli ai costi della politica. Immaginiamo la scena: Consiglio dei ministri interrotto a metà, tavolo «tecnico» convocato su due piedi, riuniti personaggi che con Tremonti una settimana fa si sarebbero presi a botte. Invece niente. Addirittura sorrisi tra il superministro e il suo competitor più agguerrito, Brunetta. L’unica discussione sgradevole ieri è scoppiata sul commercio estero, protagonisti il titolare dello Sviluppo (Romani) nervosissimo, «ho tutti gli industriali addosso», e quello della Farnesina Frattini (al quale verranno conferiti in dote i dipendenti dell’Ice). Tremonti se n’è tenuto estraneo. Due ministre, la Meloni con la Carfagna, gli si sono lanciate contro come Erinni per sapere dove aveva nascosto i fondi per la tutela della donna, ma il Professore ha replicato affabile, «ne parleremo con calma, vi spiegherò». Alla scuola niente amputazioni, la Gelmini (che nel Pdl ha un certo peso) è stata graziata. E il malcontento della Lega si è scaricato senza danni sul parafulmine-rifiuti: protesta vibrata di Calderoli contro il decreto salva-Napoli, Bossi ha pure fatto la scena di andarsene un paio d’ore, ma la sensazione è quella di una «combine». L’unico argomento su cui ieri la Lega poteva piantare la grana, i tagli ai Comuni, è filato via liscio. Osvaldo Napoli, che nell’Anci fa funzioni di presidente, è disperato per il miliardo di euro in meno nel 2012, 2 miliardi nel 2013. Invece il Carroccio niente, al massimo qualche rimostranza. Tremonti se la cava rivedendo per i Comuni virtuosi il Patto di stabilità, come chiedeva Bossi. Un tempo era Berlusconi che metteva pace tra Giulio e il resto del pianeta; stavolta Silvio non ha toccato palla, il ministro ha gestito la mediazione in proprio trovando appoggi altissimi. L’uscita di Napolitano da Oxford, quando il Presidente l’altro ieri ha certificato che la concentrazione dei sacrifici nel 2013 e 2014 corrisponde ai «desiderata» europei, toglie il ministro dal mirino di Bersani. Ma soprattutto smentisce i «berluscones», che vantavano stoltamente lo slittamento dei tagli come una loro conquista. La verità crudele narrata nelle segrete stanze è quella di un premier «evaporato», distratto, addormentato spesso in senso tecnico. Capita con una frequenza che nei fedelissimi allarma e fa quasi tenerezza. Berlusconi con gli occhi chiusi, la testa poggiata sul mento, durante il vertice a Palazzo Grazioli di martedì; poi di nuovo l’altro ieri nella riunione a Montecitorio dopo la bocciatura del decreto comunitario; e ancora ieri, semi-assopito a tratti nell’incontro con Regioni ed Enti locali sui rifiuti in Campania. Unico trasalimento verso la fine, quando Berlusconi è ritornato nei panni del «ghe pensi mi», correrò sotto il Vesuvio una volta ogni settimana, in un anno e mezzo del problema non resterà traccia... Nel governo il pallino ce l’ha Tremonti. E oggi un quarantenne che sa gestire il potere come i vecchi draghi democristiani, Alfano, prenderà l’intero mazzo nel Pdl. In queste ore Angelino ha respinto l’assalto dei capicorrente che volevano metterlo sotto tutela, il «niente direttorio» è stata la sua prima vittoria. Oggi l’investitura da circa mille delegati ed eletti, «per certi aspetti vale perfino più di un congresso», annota Quagliariello. Berlusconi come la prende? «Ah, mi sa che dovrete cercarvene un altro, io ormai sono vecchio...», sospirava ieri con la civetteria di chi si attende dal popolo un coro di «nooo, non ci lasciare». Ma il tempo passa per tutti, compreso lui. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/409506/ Titolo: UGO MAGRI Da dieci giorni il Quirinale chiedeva spiegazioni al Cavaliere Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:29:52 pm Politica
27/07/2011 - RETROSCENA Da dieci giorni il Quirinale chiedeva spiegazioni al Cavaliere Il premier ora lamenta: "Il Colle vuole costringermi a litigare con la Lega" UGO MAGRI ROMA Prima di prendere carta e penna, il Presidente le aveva tentate tutte. Addirittura sabato, prima che a Monza andasse in scena la cerimonia dei ministeri, tramite il centralino del Quirinale aveva cercato Letta. E col braccio destro del premier Napolitano era stato di una chiarezza adamantina: un trasferimento al Nord sarebbe «fuori delle regole e dei parametri costituzionali», davvero non si può fare. Ma già prima il Capo dello Stato ne aveva parlato direttamente con Berlusconi, l’ultima volta lunedì 18 luglio, quando il Cavaliere era andato a sciorinargli una lista lunga così di candidati per la poltrona di Guardasigilli... Parole al vento, tuttavia, perché Bossi e Calderoli, con Tremonti e la Brambilla, hanno dato vita ugualmente a quella che la sinistra e un po’ di destra considerano una «pagliacciata». Che cosa doveva fare, a quel punto, Napolitano? Far finta di niente, e magari ricevere oggi o domani Berlusconi per la nomina di Nitto Palma a ministro della Giustizia? L’uomo del Colle non è certo tipo da farsi prendere in giro. Il testo della sua lettera resta riservato. Nel comunicato ufficiale tuttavia si parla di «rilievi e motivi di preoccupazione». In che cosa consistano le preoccupazioni è facile intuire: Napolitano teme la proliferazione delle rappresentanze ministeriali, dopo il Nord anche al Sud. Una volta incrinato il principio di Roma Capitale, è come se un fiume rompesse gli argini, ogni governo aprirebbe sedi dove gli pare. Napolitano vuole impedirlo. Poi, spiega il comunicato quirinalizio, la lettera contiene svariati «rilievi». Osservazioni di natura costituzionale. Pare che i consiglieri del Presidente, sempre così «puntigliosi» (definizione del premier), stavolta abbiano superato se stessi. Scoprendo certi mostri giuridici, tipo quello contenuto nei decreti che Calderoli e Bossi hanno emanato l’uno per l’altro, dove eleggono la Villa Reale di Monza a «sede distaccata di rappresentanza operativa» per i rispettivi ministeri. Fanno notare dalle parti del Colle: le sedi distaccate sono previste dall’ordinamento, così pure quelle di rappresentanza. Ma «distaccate», «di rappresentanza» e al contempo pure «operative» è un controsenso inaudito. Berlusconi deve chiarire subito il pasticcio. O sono sedi dove si lavora, oppure semplici salottini per ricevere gente: entrambe le cose insieme non è possibile. La Costituzione lo vieta. Napolitano si attende per le prossime ore una risposta univoca dal presidente del Consiglio. Spostiamoci dunque dal Quirinale a Palazzo Chigi. Bonaiuti, portavoce berlusconiano, molto flautato assicura che la lettera presidenzialeè «valutata con attenzione e con grande rispetto». Né lui né Letta la prendono sottogamba, questo è sicuro. Altro atteggiamentoquello del Cavaliere. E’ tornato dalla Sardegna con un chiodo fisso, quasi una paranoia: il maxi-assegno a De Benedetti. In aereo parlava di questo, e dell’altra che gli è capitata: visto che dispone di liquidità sufficiente per risarcire l’Ingegnere, pure la servitù ora ne profitta per battere cassa. Pare che i più stretti collaboratori di Arcore, dal maggiordomo all’autista, chiedano al premier aumenti dello stipendio, molto meno lauto di quanto si pensi. Berlusconi se n’è lamentato pure con Lino Banfi, ricevuto a Palazzo Chigi subito dopo il sindaco di Napoli De Magistris (col quale Silvio ha trovato, dicono, un’intesa naturale venata di simpatia). Diversamente dalle «vecchie zie» (Letta e Bonaiuti), il premier è tentato di snobbare la lettera del Presidente. Vi scorge un’insidia politica: Napolitano «vuole costringermi a smentire Bossi e Calderoli sui ministeri, a dire che Monza è solo una messinscena, insomma a litigare con la Lega». Disegno che il Quirinale persegue con pervicacia, secondo il Cavaliere, sin da quando Napolitano gli fece sapere che mai e poi mai avrebbe consentito il trasferimento dei ministeri in Padania per decreto-legge. Il barometro politico torna a indicare maltempo. E chi rischia di farne le spese è Nitto Palma: la sua nomina a Guardasigilli sembrava fatta. Ma prima di metterci la firma, Napolitano pretende risposte alla sua lettera. E venerdì sera il Presidente parte per le vacanze. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413212/ Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere medita: torno a Forza Italia Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:32:33 pm Politica
28/07/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere medita: torno a Forza Italia "Si riparte. Mi aspetto altri colpi legali ma non ci fermeranno" UGO MAGRI ROMA Il futuro berlusconiano è un ritorno al passato, il sole dell’avvenire un carico di nostalgia. Qualcuno della cerchia di Arcore sussurra che l’amore con Veronica non si sia mai spento e gli amanti del gossip vagheggiano un impossibile ritorno di fiamma con la non ancora ex moglie: sai che colpo di teatro sarebbe, specie se si andasse presto a votare... Di certo Berlusconi prepara un altro clamoroso ritorno, quello della creatura politica più amata, Forza Italia. Il «secondo predellino» da tanti invocato consisterebbe, per uno dei paradossi di cui Silvio è recordman, nel ripudio del predellino numero uno, quando stufo della nomenklatura interna Berlusconi decise a Piazza San Babila di fondare il Popolo della libertà. Da allora quattro anni sono trascorsi, ma il Pdl non ha ancora attecchito tra gli elettori. «Pensate», è il ragionamento svolto da Berlusconi a tavola con un gruppo di Governatori fedeli, «che nel Sud d’Italia addirittura declinano la sigla al femminile, “la” Pdl anziché “il” Pdl». Orrore, sacrilegio. Ma pure la dimostrazione che l’acronimo proprio non va. Scientifico, il premier ha fatto svolgere dei sondaggi. Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) glieli ha confezionati in segreto. E, insomma, alla fine ecco saltar fuori la sorpresa: «Potremmo tornare a chiamarci come una volta», Forza Italia appunto. Oltretutto, argomenta da giorni il premier, «la fusione con Alleanza nazionale ormai è digerita, non ha più senso continuare nella logica che portava a spartire gli incarichi di partito nella percentuale del 70 e 30». Chi era d’ostacolo (Fini) se n’è andato per la sua strada. E quanti restano (gli ex An) sono ormai più berlusconiani dei vecchi forzisti... Insomma, proprio nel giorno in cui Alfano si dimette da ministro e diventa segretario del partito a tutti gli effetti, Berlusconi torna a vestire i panni del Padre Fondatore. Gelosia? Pentimento? Dalle parole del premier non si direbbe. Ad Angelino dedica sperticati elogi, se lo coccola, indubbiamente lo sostiene. Però si capisce che al Cavaliere non va di interpretare la parte di Tutankhamon (il nomignolo della mummia già circola nel partito e pare gli sia giunto all’orecchio). Tutankhamon continua a ritenersi indispensabile per il partito, insostituibile nel governo. Usa coi Governatori riuniti intorno al desco (dalla Polverini a Caldoro, da Chiodi a Scopelliti) l’apologo ipocrita della immensa gioia che provarono Blair, Bush e Aznar quando lasciarono il potere («il giorno più bello della loro vita, mi hanno confidato») per aggiungere con un sospiro che a lui questa fortuna purtroppo non è ancora toccata, e deve dunque sobbarcarsi la fatica di mandare avanti l’Italia. «Si riparte», è l’atto di fede del Cavaliere. Prevede «altri colpi, nuove azioni legali» dopo il maxiassegno a De Benedetti che gli ha sottratto «i risparmi di una vita». Però «non ci fermeranno». Tremonti è sotto tiro? «Non si dimetterà», garantisce ai Governatori. Le categorie economiche reclamano una svolta, un passaggio di mano al governo; invece Berlusconi rinsalda la sua fortezza, completa la squadra ministeriale, lancia in pista Nitto Palma che gli apre relazioni nuove con certi vecchi ambienti giudiziari della Capitale. Chi se ne intende prevede scintille tra il Guardasigilli e l’avvocato Ghedini, due galli nello stesso pollaio, «porto delle nebbie» contro «rito ambrosiano», l’eterna dialettica che si ripropone all’ombra del Cavaliere. Alfano è riuscito a chiamarsi fuori dalle guerre sulla Giustizia con stile e con un tocco da Prima Repubblica (quando ha definito la carica di ministro «incompatibile con un così rilevante incarico politico», quello di segretario del partito). Si è subito spellata le mani una claque dove spiccano le congratulazioni per il «nobile gesto» da parte di Cicchitto e di Frattini, di Capezzone e di Rotondi, di Napoli e di Paniz, di Fitto e di Formigoni: segno che il giovane Angelino ha già un seguito nel partito, c’è chi scommette apertamente su di lui. «Potrà concentrarsi a tempo pieno sul partito», si compiace Berlusconi con tono paterno e paternalista. Sottinteso: se Alfano ha i numeri, d’ora in avanti lo dovrà dimostrare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413380/ Titolo: UGO MAGRI Inserito da: Admin - Agosto 02, 2011, 11:51:50 am Politica
02/08/2011 - RETROSCENA Alfano e gli emergenti del Pdl spingono Silvio al tutto per tutto Bypassati Bossi e Tremonti, che non sapevano nulla UGO MAGRI ROMA Questo sperano quanti si sono battuti per convincere un premier riluttante, solleticandone l’ego («solo tu puoi farcela»), rilanciandone le ambizioni («Sarkozy e la Merkel hanno saputo osare»). Tra i fautori del rischiatutto si segnalano numerose agguerrite ministre, il neosegretario del Pdl Alfano, il titolare dello Sviluppo Romani e, sotto sotto, colui che nel Pdl tutti indicano come il potenziale rimpiazzo di Tremonti, casomai la sua posizione dovesse precipitare, vale a dire Sacconi. La loro tesi spericolata (ma non sono tempi normali) ha prevalso su quella dei consiglieri «pavidi» o semplicemente «prudenti», primo tra tutti Gianni Letta. I quali temono viceversa che se dopo il discorso del premier lo spread dovesse allargarsi, e magari crollasse di nuovo la Borsa, allora sarebbe chiaro urbi et orbi che il problema ha un nome (Silvio) e un cognome (Berlusconi). Un fiasco parlamentare sarebbe la piattaforma politica ideale per l’ultimo assalto dall’opposizione, dove affilano i coltelli. Rutelli già prevede che Berlusconi «sarà costretto a un passo indietro per una pressione drammatica dei mercati». La sorte del governo italiano può essere realmente decisa tra Londra e Hong Kong, in base al calcolo della speculazione. E Bonaiuti, portavoce berlusconiano, con onestà ammette: «Il mercato finanziario è sempre una gran brutta belva». L’azzardo del Cavaliere non si esaurisce qui. Ha preso la decisione di parlare davanti alle Camere senza nemmeno informare a) il principale alleato di governo, vale a dire la Lega, e b) il ministro dell’Economia. Ieri mattina Bossi, Calderoli e Tremonti erano a colloquio nella sede milanese del Carroccio. Raccontano a via Bellerio che d’improvviso è piombata la notizia, Berlusconi andrà in Parlamento. I tre si sono guardati in faccia, nello sbalordimento. Telefonata seduta stante al presidente del Consiglio per dirgli che è una vera follia, che è come infilare la testa sotto la ghigliottina, che per mettere le cose a posto bastava attendere giovedì i dati (positivi) sul Pil, che l’idea del campus estivo per trattare con le parti sociali quella sì è la strada giusta, che sarebbe una tragedia nella tragedia se dopo il dibattito alla Camera venisse per caso approvata qualche mozione contraria al governo... Pare che dall’altro capo del filo Berlusconi abbia risposto balbettando un «posso ancora tornare indietro», o giù di lì: cosa che poi comunque non ha fatto perché a questo punto il dado è tratto, o la va o la spacca. Falso che sia stato Napolitano a pretendere un suo intervento in Aula: tutt’al più il Presidente gli ha chiesto per le solite vie diplomatiche di mostrarsi presente e vigile, cosa alquanto diversa. L’insistenza è venuta dal partito, dalla pressione forte di un Pdl che non ne può più di morire lentamente, e tenta di sterzare anche sulla scia degli eventi in America, dove Obama e i Repubblicani hanno stretto l’accordo antidefault dopo una battaglia dura ma corretta. E’ sembrato, allo stato maggiore Pdl, che Berlusconi possa pretendere da Bersani, Di Pietro e Vendola, o quantomeno da Fini e Casini, la stessa ruvida lealtà. «Sfidiamoli», è la parola d’ordine, «dimostriamo che il governo agisce concretamente ed è pronto a discutere le loro proposte, casomai ne abbiano». Quelle del governo sono state anticipate da Alfano, 7 miliardi di euro in grandi opere pubbliche da decidere domattina nel Cipe, basta con il tremontismo che strangola l’economia, si cominci a investire sullo sviluppo. Superfluo aggiungere Tremonti come l’ha presa (malissimo). Ma quello che da lontano può sembrare un pasticcio, una commedia degli equivoci, nell’ottica dei protagonisti è il limpido disperato tentativo di scaricare l’« uomo del no» profittando del caso Milanese, altrimenti nel 2013 non ci sarà storia, «andremo tutti a casa» ammette uno stratega del Pdl nuova gestione. Prova del nove sarà il discorso alla Camera e poi in Senato: per metterlo nero su bianco Berlusconi chiederà un contributo a Giulio, e magari a Grilli, direttore generale del Tesoro? Oppure se lo confezionerà oggi da solo, con i suoi ghost-writer e la consulenza di Sacconi? A Palazzo Grazioli ancora non è dato sapere. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/414048/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, Letta e Tremonti «convocati » da Napolitano Inserito da: Admin - Agosto 12, 2011, 09:10:01 am Politica
12/08/2011 - RETROSCENA Berlusconi: spalmare la manovra tra tutti Berlusconi, Letta e Tremonti «convocati » da Napolitano Il braccio di ferro notturno con Bossi "annacqua" i provvedimenti UGO MAGRI ROMA Berlusconi cerca di trasformarsi nel Mago Otelma: la manovra c’è ma, oplà, non si vede. Tra tutti i sacrifici che il Consiglio dei ministri potrebbe adottare, il Cavaliere sceglierà solo quelli «invisibili», di cui la gente meno si accorge. Perché mascherati. Perché diluiti nel tempo. Perché li pagano in tanti, una goccia ciascuno... Per esempio, nella sua mente sarebbe stato perfetto un aumento dell’Iva. «Un punto percentuale in più, due al massimo», va sostenendo da giorni il premier, «porterebbero nelle casse dello Stato 12 miliardi di euro, cosicché la manovra chiesta dall’Europa sarebbe in buona parte già fatta». In questa logica Silvio benedice i tagli, specie quelli alla politica che gli suggerisce la mente insonne di Calderoli, perché tanto lui non ha bisogno di finanziamenti pubblici, né gli interessa mantenere folle di galoppini. Berlusconi accetta perfino qualche imposta mirata per le classi più alte, una sorta di eurotassa alla Prodi, come spruzzatina di equità, in quanto la considera utile per imbonire le parti sociali: a Napolitano l’ha data per certa, così come sicuro è l’aumento delle imposte sulle rendite finanziarie. Berlusconi, viceversa, assolutamente non vuole che domani i giornali titolino sulla «stangata». È l’unica sua vera e grande ansia. Infatti pare stia pensando a un videomessaggio per spiegare agli italiani le sue ragioni. Si finge sereno, ma tanto tranquillo non è. Sente che la maggioranza rischia di sfaldarsi nel Parlamento. Se la manovra verrà percepita come «macelleria sociale», altro che elezioni nel 2013... La Lega non riuscirebbe a reggere, si andrebbe alle urne nella prossima primavera. Ecco perché i capelli si rizzano, sulla testa del Cavaliere, al solo proporgli una patrimoniale. Idem per interventi drastici sulle pensioni. Su questa linea lo sostiene a spada tratta il partito. L’intero gruppo dirigente comprende che qui si gioca il futuro del Pdl. La parola d’ordine collettiva è «spalmare» la manovra tra i vari ceti sociali secondo quella logica interclassista che fu tipica della Dc. Peccato che Tremonti non sia d’accordo. O perlomeno: il titolare dell’Economia recalcitra all’idea berlusconiana secondo cui «due punti in più di Iva, e passa la paura...». Si è opposto perché un aumento delle imposte indirette avrebbe l’effetto di frenare la domanda interna, ma gli avversari interni (vedi Crosetto) sospettano che Giulio giochi al tanto peggio tanto meglio. Una delegazione del partito, guidata dall’attivissimo Alfano e composta dai capigruppo, ha tentato invano a sera di convincere l’uomo di via XX Settembre. Il braccio di ferro è proseguito a notte, con il premier sempre più pressante e con Tremonti in una condizione di solitudine aggravata da un paio di fatti. Il primo: Berlusconi ha avuto l’astuzia di farsi «commissariare» in sede europea. Quello che a sinistra è motivo di biasimo, per il premier costituisce l’ancora di salvezza. Nei diktat della Bce, lui cercherà giustificazione agli occhi degli elettori: «L’ho dovuto fare, non avrei voluto...». E nella persona di Draghi, Berlusconi sta trovando un contrappeso allo strapotere di Tremonti, fin qui assoluto. Una leva per piegare il ministro. La prova? Mai si era visto finora un premier «commissariato », e al tempo stesso felice ieri pomeriggio di ricevere il «commissario», cioè il futuro presidente della Bce. Un incontro definito a Palazzo Chigi «cordiale », anzi di più: «amichevole». Pare che Draghi abbia dato a Berlusconi graditi consigli e qualche utile conteggio sulla manovra, questo va bene e quello no. Dicono pure che l’incontro tra i due non abbia ben disposto Tremonti che considera Draghi, nei conciliaboli privati, alla stregua di un agente tedesco sotto mentite spoglie (Cicchitto l’ha duramente rimbeccato). Tutto ciò spiega, secondo il circolo stretto berlusconiano, come mai il Professore fosse teso al punto, ierimattina nell’audizione alla Camera, da dare pagelle a tutti, leader dell’opposizione compresa: altra circostanza che lo rende politicamente più debole. Il risultato finale è praticamente a somma zero. Il vertice notturno con Bossi ha deciso di non decidere, in fondo come gradisce il premier: niente aumento dell’Iva, però nemmeno interventi risolutivi sulle pensioni (il governo ne caverà al massimo un miliardo). Il grosso dei risparmi promessi all’Europa viene affidato alle due deleghe, quella fiscale e l’altra assistenziale, ancora senza impegni chiari. Si torna alla casella di partenza. Ora la domanda è: chi glielo va a dire, ai mercati? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415476/ Titolo: UGO MAGRI Casini: Berlusconi osi senza subire i veti di Bossi. ... Inserito da: Admin - Agosto 22, 2011, 04:17:46 pm Politica
22/08/2011 - INTERVISTA Casini: "Berlusconi osi senza subire i veti di Bossi. Il Parlamento lo sosterrà" "La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo: ormai la previdenza deve adeguarsi alla durata della vita" UGO MAGRI ROMA Berlusconi la smetta di giocare a nascondino. Prenda l’iniziativa. Rifiuti di subire i veti della Lega. E se troverà il coraggio di chiedere all’Italia i sacrifici necessari con misure veramente serie ed eque, allora troverà pure i voti che gli servono in Parlamento», assicura Pier Ferdinando Casini, leader del Terzo Polo. Un momento, scusi: la manovra del governo non è già abbastanza severa? Qui si parla di 45 miliardi levati dalle nostre tasche... «Intanto faccio notare che le tensioni interne alla maggioranza rischiano di rendere tutto quanto inutile, sacrifici compresi. L’Europa ci tiene d’occhio, certi atteggiamenti divaricati non sfuggono. Hanno fatto di corsa la manovra per dare un segnale ai mercati e a chi compra i nostri titoli di Stato, in primis la Bce. Ma oggi la babele di linguaggio nella maggioranza è tale che rischia di azzerare i vantaggi della rapidità». Fantastico. E poi? «La manovra è iniqua. Colpisce quanti non evadono nemmeno un euro. Non si capisce perché chi circola in yacht con un reddito dichiarato di 30 mila euro non debba pagare niente, e lo Stato se la prenda con i soliti che è più facile spennare». Cioè i redditi sopra i 90 mila euro. Però il governo pare intenzionato a salvare chi ha figli a carico. «Il quoziente familiare mi va benissimo, ma è la tassa che va levata. Colpisce il ceto medio e finisce per rendere addirittura più equa la patrimoniale». Quindi pure lei la pensa come Montezemolo... «Con tutto il rispetto per Montezemolo, già due mesi fa in Parlamento io dissi: chi più ha più deve dare. La patrimoniale è un nome odioso, ma un prelievo sulle grandi ricchezze sarebbe la cosa giusta». Allora anche la Chiesa dovrebbe pagare l’Iva, dicono dal fronte laico... «Ma che laicismo, questo è anticlericalismo d’accatto. Si ignora la straordinaria dimostrazione giornaliera di solidarietà da parte del volontariato, la supplenza che viene svolta nei confronti di uno Stato assente. Via, non si può considerare la Chiesa alla stregua di un imprenditore immobiliare...». Torniamo alla manovra. Dove trovare le risorse per renderla più equa? «Si potrebbe agire sull’Iva, piccolissimi aggiustamenti a livello di decimale sull’aliquota del 20 per cento. Oppure, meglio ancora, si possono fare quelle riforme strutturali che l’Europa ci chiede, e sono assenti da questa manovra. Incominciando dalle pensioni. L’adeguamento dell’età pensionabile alla durata della vita è ormai ineludibile, per uomini e donne». Lei si sta attirando i fulmini della sinistra. «Dire "le pensioni sono tabù" è l’argomento più conservatore e retrogrado che possa esserci. Abbiamo messo al sicuro i diritti acquisiti, tutelato chi è già in pensione, levato i lavori usuranti... Adesso dobbiamo farci carico dei giovani, dei non garantiti: c’è un problema di equità nei loro confronti. Non capisco perché la sinistra sia così reticente». Anche Bossi fa muro sulle pensioni... «La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo. Perché le province non si sono ancora cancellate? Perché non si sono liberalizzati i servizi pubblici locali? Bossi si oppone a tutti i fattori di modernità». Lo dice perché l’altra notte Bossi le ha scagliato un insulto... «No, quello fa parte del folklore e poi in un certo senso è un regalo, in quanto fa capire la differenza tra chi fa politica seriamente e chi urla slogan da osteria. Il vero dramma è che chi usa questi toni da bar sport tiene in ostaggio l’Italia grazie a un’alleanza che il Pdl ha coltivato in modo dissennato». Berlusconi, dunque, dovrebbe superare i veti di Bossi e procedere sulle pensioni... «Il presidente del Consiglio non può continuare a fare lo spettatore, oppure giocare a scaricabarile con Tremonti. Vuole portare avanti il tema dell’età pensionabile? Vuole gradualmente abolire le province, ma tutte e senza quella buffonata di togliere solo le più piccole? Ebbene, abbia il coraggio di dire quello che pensa. Si presenti alle Camere, faccia un discorso lineare, limpido e chiaro, e una maggioranza la troverà». Perché dovrebbe trovarla? «Perché a quel punto anche l’opposizione non potrà che fare una scelta a favore della nazione. Ma ciò richiede da parte del premier una chiarezza d’intenti, una coerenza di propositi che per ora si fa fatica a vedere». Mettiamo che non accolga il suo suggerimento. «Non si meravigli poi se il fossato tra il governo e il Paese crescerà ancora». Berlusconi l’ha mai chiamata per dire: affrontiamo uniti questa emergenza? «L’unico che ha usato la cortesia di farsi sentire è stato Alfano, persona che stimo, ma che si trova a sbrogliare delle contraddizioni tutte addebitabili a Berlusconi: un compito poco invidiabile, il suo». Napolitano denuncia le semplificazioni propagandistiche e le visioni consolatorie... «Il Presidente ci invita a parlare il linguaggio della verità. A smetterla con le furberie, con gli spot elettoralistici, con i tentativi di compiacere la gente. Questo è il momento delle scelte impopolari troppo a lungo rinviate». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416445/ Titolo: UGO MAGRI Tagli ai dicasteri in vista per far quadrare i conti? Inserito da: Admin - Agosto 31, 2011, 11:55:04 pm Politica
31/08/2011 - RETROSCENA Buco miliardario nella manovra: i ministri temono di pagare loro Il ministro Tremonti si è detto soddisfatto dell'esito del vertice di Arcore che ha modificato al manovra Sindaci in corteo a Milano contro la manovra Tagli ai dicasteri in vista per far quadrare i conti? UGO MAGRI ROMA Un brivido corre lungo la schiena dei ministri, specialmente di quelli «con portafoglio». Pure tra loro comincia a diffondersi il timore che ci sia un problema serio di copertura; che dopo le ultime correzioni decise ad Arcore si sia aperto un «buco» da 5 miliardi nei conti; e che Tremonti, per farvi fronte, abbia in serbo qualche strana sorpresa. Lui, il Professore, è a Lorenzago, il suo telefono non ha campo per cui risulta irraggiungibile (altra circostanza sospetta). Vuoi vedere, cominciano a domandarsi i suoi colleghi di governo, che il caro Giulio sta già pensando di rifarsi su di noi? Scommettiamo, si sfogano sommessamente, che alla fine presenterà il conto sotto forma di tagli aggiuntivi ai nostri ministeri? Voci incontrollate dalla Ragioneria generale dello Stato fanno sapere che questa preoccupazione non è del tutto infondata, anzi. Ma pure senza l’ausilio dei tecnici, il problema si coglie ad occhio nudo: la Lega non regge la stretta sulle pensioni. E' lì che si sta aprendo una falla grossa così. Quando Calderoli aveva dato via libera, nel vertice dell’altro ieri, pensava che il divieto di computare gli anni di studio e di leva riguardasse soprattutto il Sud, invece pure in Padania sono tanti quelli arrabbiati. Stamane ci saranno incontri al ministero del Lavoro, però già ieri era tutto un turbinio di ipotesi su come porre rimedio, dove trovare altri denari casomai la retromarcia sulle pensioni fosse obbligata. Persone vicine a Tremonti buttano lì, non si sa se per scherzo o per gusto di provocare: «Beh, nel caso saltino le pensioni non c’è problema: rimettiamo nella manovra il contributo di solidarietà...». Cioè proprio la tassa che ieri Berlusconi si vantava su «Studio Aperto» di aver cancellato. Però c’è pure chi, nel Pdl, torna alla carica sull’Iva, «potremmo aumentarla di un punto e saremmo a posto»: come se sette ore di discussione ad Arcore fossero trascorse invano. Mettere nero su bianco le decisioni del vertice sarà un’impresa pure sul piano tecnico. «Nella stesura degli emendamenti si rischia», ammettono autorevoli fonti parlamentari, «un gigantesco pasticcio». Non a caso giovedì alle 9 e 30 è convocato il Consiglio dei ministri per apportare in corsa eventuali ulteriori variazioni. E ancora: ai piani alti del governo si teme, senza dirlo pubblicamente, un intervento a gamba tesa del Quirinale. Il terrore che Napolitano scateni i suoi consiglieri giuridici e faccia a pezzi la manovra spiega lo zelo con cui viene perorata, specie dal presidente del Senato Schifani, la teoria del dialogo con l’opposizione: un modo per far contento l’uomo del Colle. In pratica l’intenzione è di non mettere la fiducia sul decreto, accogliendo qualche proposta dall’altra sponda. Bonaiuti, portavoce del premier, la mette come sfida in positivo a Pd e Udc. Ma c’è il rischio che, senza fiducia, perfino al Senato nella maggioranza si scateni la fiera del distinguo. Alemanno, sindaco di Roma, sollecita già la quarta versione della manovra, suscitando l’ira del premier («vuole scaricare sul governo la colpa delle sue difficoltà»). Invocazione raccolta ai vertici del Pdl: «Che il Cielo ce la mandi buona» da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417544/ Titolo: UGO MAGRI Sulle pensioni è stato fatto un errore, Sacconi indiziato numero uno. Inserito da: Admin - Settembre 01, 2011, 08:38:15 am Politica
01/09/2011 - RETROSCENA "E' stata colpa di Sacconi" "Sulle pensioni è stato fatto un errore", Sacconi indiziato numero uno. "No a inasprimenti, adesso dobbiamo far pagare a tutti le tasse" UGO MAGRI ROMA Berlusconi ammette l’« errore» del governo sulle pensioni. Ma, ancor più della ricaduta in patria, lo preoccupa l’immagine internazionale. Teme che i mercati giudichino il governo allo sbando. Oggi profitterà del summit parigino sulla Libia «per tranquillizzare l’Europa e la Bce sulla serietà della manovra». Appena Berlusconi si troverà davanti il presidente della Commissione Ue Barroso e tutti gli altri capi di governo, dirà loro «che siamo impegnati a rispettare i saldi finali, dunque non devono preoccuparsi delle notizie dall’Italia perché, in collaborazione con Tremonti, abbiamo saldamente in mano la situazione». Stessi concetti, anticipa un premier parecchio determinato, esprimerà oggi per telefono ai vertici Bce coi quali il rapporto è strettissimo da prima di Ferragosto. Furono proprio loro, svela Berlusconi, «ad avvertirci che avevano notizia di un nuovo attacco speculativo cui stavolta si sarebbero associate grandi banche e pure certi fondi d’investimento d’oltreoceano». Momenti difficili e concitati, in cui da Francoforte lanciarono il famoso ultimatum: «Noi possiamo aiutarvi, però prima dovete anticipare di un anno la manovra già decisa». A tal fine, tramite Bankitalia, «ci diedero un elenco di misure» con cui far fronte all’emergenza, «raccomandandosi di procedere in tutta fretta, perché nel weekend dovevano riunire i governatori che a loro volta avrebbero informato i rispettivi governi» sull’anticipo dei sacrifici in Italia. Il governo «fece del suo meglio» ma, invoca ora comprensione il premier, «avemmo meno di 4 giorni per fare la manovra». E sebbene «io avessi lavorato 20 ore al giorno sui provvedimenti», alcuni aspetti lo lasciarono insoddisfatto. L’idiosincrasia del Cavaliere per la parola «tasse» è a tutti nota. Non si stenta a credere, dunque, che davvero il cuore gli «grondasse sangue» quando varò il contributo di solidarietà. Da subito decise di cancellarlo. Ma come riuscirci a saldi invariati? La via maestra sarebbe stata alzare l’età pensionabile, riconosce. Peccato che ci fosse «il no assoluto» della Lega. Sennonché, colpo di scena. Durante il vertice di lunedì ad Arcore, «arriva a Tremonti la telefonata del ministro Sacconi che gli dice: Cisl e Uil potrebbero accettare un intervento limitato agli anni dell’università e del servizio di leva». A nome della Lega interviene a quel punto Calderoli e annuncia «lo possiamo accettare», cosicché la misura entra nel comunicato finale. Confessa candidamente il premier: «Pensavamo che riguardasse poca gente, invece poi abbiamo scoperto che riguardava oltre 600 mila persone, compresi quanti avevano già pagato». Una misura «troppo odiosa», chiaramente non poteva reggere, tra l’altro «Calderoli è stato completamente sconfessato dagli altri leghisti». Berlusconi nega che ora sussistano problemi di copertura. Pure lui, come Tremonti, è convinto che la lotta all’evasione darà grandi frutti. Ieri si sono visti Befera (direttore generale delle Entrate) e Ghedini (avvocato del premier) per studiare misure efficaci, un giro di vite spiegato da Berlusconi con queste parole mai udite prima dalla sua bocca: «Al punto cui siamo arrivati, non si può bastonare chi già paga le tasse. E’ tempo che tiri fuori i soldi chi non le ha mai pagate». Lotta senza quartiere all’evasione, dunque. Senza esagerare, tuttavia, poiché «mica possiamo precipitare in un sistema di polizia tributaria», dove si applicano strumenti di tortura alla Torquemada. Al momento il «buco» da colmare viene stimato dal premier in un paio di miliardi o poco più, perché Tremonti sta lavorando alacremente alle coperture, molte le ha già trovate e altre ne troverà. Ma può accontentarsi l’Europa di quxeste promesse? Come reagirà la signora Merkel, sempre così scettica sui nostri impegni di maggior rigore? Come la prenderanno i mercati? Il Cavaliere ritiene che facciano molto danno all’estero certe dichiarazioni, di Casini in particolare, su un governo in stato confusionale. Tuttavia è sereno perché ritiene di avere un asso nella manica. Si chiama «clausola di salvaguardia» e l’idea, in verità, non è sua ma è nata nella mente fervida di Calderoli. Consiste nell’impegno a varare un aumento dell’Iva nel caso malaugurato in cui la lotta all’evasione non desse i frutti sperati. L’aliquota del 20 per cento «salirebbe al 21 o anche al 22», in modo da garantire entrate rispettivamente per 4 e 8 miliardi. Potrebbe anche trattarsi di un aumento dell’Iva solo temporaneo, per 3-6-12 mesi. L’importante è che in Europa possano fidarsi di noi, e sappiano che «abbiamo un paracadute» sempre disponibile in qualunque momento. Spera di vincere così le inevitabili diffidenze. I mercati si chiedono anche quando verrà approvata la manovra definitiva. Qui però Berlusconi ha un vincolo: «Ho già detto in maniera chiara che le misure non sono fisse e intoccabili». Casomai se ne dimenticasse durante l’esame parlamentare del decreto, provvederebbe il Presidente della Repubblica a rammentargli il metodo del dialogo che significa, concretamente, niente approvazione a tappe forzate oppure a colpi di fiducia. Ma anche disponibilità all’ascolto nei confronti dell’opposizione e delle parti sociali. L’impegno del premier parrebbe sincero. «Siamo aperti a esaminare al Senato qualunque proposta migliorativache fosse avanzata da chiunque». Il governo intende procedere «non più in una logica di divisione partitica ma sulla base solo del buonsenso». Tutto può essere cambiato, ad eccezione dei saldi finali. In caso contrario, l’esame parlamentare del decreto da 45 miliardi si trasformerebbe nell’ennesimo assalto alla diligenza. In conclusione: Berlusconi mastica amaro per la cattiva figura sulle pensioni di cui ritiene colpevole Sacconi (il ministro a sua volta ritiene di essere stato a sua volta illuso da Bonanni e da Angeletti, altrimenti mai si sarebbe mosso). Comunque il premier è convinto di avere l’occasione per riscattare il prestigio internazionale del governo. «Alla Bce e all’Europa oggi dirò che la nostra è una manovra seria, e che manteniamo lo stesso impegno di due settimane fa a rispettare tutti gli obiettivi di risanamento». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417717/ Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere accerchiato sente aria di ribaltone Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 11:42:23 am Politica
03/09/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere accerchiato sente aria di ribaltone Sconvolto dall’inchiesta di Bari, teme un governo tecnico UGO MAGRI ROMA Berlusconi è sotto schiaffo nel momento peggiore, mentre la speculazione accerchia l’euro e martella l’Italia (anello debole). Lo sfogo telefonico sul «Paese di m...» sta girando il mondo, ne parla pure la Cnn, e non accresce il nostro prestigio né quello del governo. La mente del premier è quasi totalmente assorbita dall’inchiesta Tarantini-Lavitola; dall’ansia per l’interrogatorio di Marinella, più che una segretaria quasi una figlia. Lo solleva in parte la certezza che «lei è fortissima», reggerà lo stress; lo snerva la prospettiva di doversi accomodare a sua volta davanti ai pm per vuotare il sacco su «Mignottopoli». «E’ l’ennesimo tentativo di farmi fuori», si sfoga con chi lo chiama al telefono per parlar d’altro, principalmente di manovra. L’amarezza lo porta a commettere errori tragici, come l’insulto agli oppositori («criminali» è sbottato l’altra sera da Parigi) che fa inviperire proprio quando dovrebbe chiedere loro una mano. «Fa d’ogni erba un fascio, non distingue più tra Woodcock e Bersani», tenta di giustificarlo un amico. E una ministra a lui fedelissima: «Temiamo le conseguenze di questa sua condizione umorale». Nel pieno delle tempesta abbiamo un premier col cartello «fuori servizio». Intorno a lui trionfa la solita doppia verità. In pubblico tutti dicono «non c’è problema, i conti tornano». Nella vulgata governativa, le acque si calmeranno non appena il Senato avrà messo il timbro, una questione di giorni, una settimana al massimo. In privato, viceversa, si riconosce che i tempi parlamentari sono eccessivi, che nella maggioranza regna un bel caos, oltre a sindaci e governatori sono sul piede di guerra i ministri del Pdl, forti di una nota della Ragioneria in cui si definiscono (così vanno dicendo) «insostenibili» i tagli già decisi per i loro dicasteri. Ma l’ansia più grave sono le Borse, i mercati. Dalle stanze governative si seguiva ieri con trepidazione l’impennata dello spread coi titoli tedeschi. Ministri importanti si domandavano a che gioco sta giocando la Bce, non era impegnata a sostenerci? La «manina» o «manona» di Draghi perché non fa più incetta dei nostri poveri Btp? Nei corridoi di Palazzo Chigi trionfa il complottismo. Si colgono «strane coincidenze» che a chiunque sfuggirebbero, tipo la nuova cascata di rivelazioni sull’Italia da Wikileaks. Si ipotizzano complotti della finanza anglosassone per seminare caos e svaligiare il Belpaese. Semina il panico nel Palazzo l’eventualità che il «caso Milanese», oggi dormiente, possa ridestarsi per effetto delle solite fughe di notizie dalle procure, investendo Tremonti proprio mentre sta negoziando coi partner europei. Già, perché tra una settimana si riuniscono i ministri delle finanze Ue, e sarà un passaggio da brivido. Metti caso che il differenziale con i titoli tedeschi salga ancora di più, ben oltre la quota 326 toccata ieri: c’è il rischio che l’Europa ci ingiunga di fare le persone serie, di prendere misure feroci perché non basta neppure la terza manovra, ne serve una quarta... Anche qui, ufficialmente valgono le garanzie di Tremonti sulla copertura della manovra, col portavoce berlusconiano Bonaiuti polemico contro quanti alimentano dubbi «da 500 milioni o al massimo un miliardo rispetto a un decreto che di miliardi ne vale 45». Calderoli brandisce come una clava contro i giornali le dichiarazioni rasserenanti del portavoce di Angela Merkel. E casomai dovesse proprio servire, è pronta la carta di riserva sotto forma di aumento dell’Iva. Poi però, negli stessi ambienti governativi, circola la domanda: «Come mai D’Alema e Bersani si dicono pronti a sostenere un governo tecnico? Perché improvvisamente l’ex banchiere Profumo dà la propria disponibilità a impegnarsi in politica?». Risposta: «C’è puzza di bruciato», il Cavaliere è sulla graticola, c’è chi punta a seminare il panico, alla crisi, per poi mettere in piedi un ministero tecnico che nel clan berlusconiano ha già un nome: sarebbe il governo Monti-Scilipoti. Perché a quel punto i Responsabili nessuno li fermerebbe più. Pur di non andare a casa, sosterrebbero qualunque governo. Come hanno già dimostrato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418415/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi-Tremonti, tornano i sospetti poi il chiarimento Inserito da: Admin - Settembre 04, 2011, 05:24:51 pm Politica
04/09/2011 - IL CASO Il premier Silvio Berlusconi Il ministro dopo gli attacchi del Pdl: sei tu il regista? Il premier: non c’entro. Alfano: nel 2013 Silvio leader UGO MAGRI Una buona notizia: tra Berlusconi e Tremonti ritorna il sereno. Deve far piacere a tutti perché, se continuassero le tensioni dei giorni scorsi, sarebbe come viaggiare a bordo di un jet mentre i piloti si prendono a sberle. Perlomeno adesso sappiamo chi sta alla cloche nella tempesta finanziaria, cioè Tremonti. Berlusconi pare gli abbia garantito quei margini ampi di manovra che il Professore aveva sempre avuto, ma che gli erano stati erosi dall’attivismo di Alfano. Non per nulla ieri mattina i giornali traboccavano di polemiche targate Pdl nei confronti del ministro. Il quale ha chiamato Arcore, si è fatto passare il padrone di casa e gli ha chiesto, sostanzialmente: a che gioco giochiamo? Sei tu il regista degli attacchi nei miei confronti? Parliamone un momento... La smentita del premier «Io non c’entro nulla», ha protestato con veemenza. Tra l’altro la sua testa è realmente altrove, assorbita dall’ultimo exploit di porno-politica, l’inchiesta Tarantini-Lavitola che Berlusconi considera un’«aggressione assurda» nei suoi confronti, «con la scusa di difendermi in realtà quei pm vogliono mettermi in mezzo». Di manovra il premier si sta occupando, tiene i contatti coi capigruppo e con le commissioni, però «Giulio stai sereno, ti sto aiutando nei limiti del possibile». Tremonti ha avuto il sentore (raccontano amici suoi) che Berlusconi fosse sincero. E a rafforzare l’impressione sono intervenuti due fatti. Prima una nota del portavoce Bonaiuti, per spiegare che certe cose il premier non solo non le ha dette ma «nemmeno pensate». Poco dopo, Alfano in persona ha manifestato fiducia nell’operato di Tremonti, dichiarazione che non è parsa casuale. Silvio forever A fare però rumore è stata una previsione del segretario politico Pdl: alle elezioni del 2013 «Berlusconi sarà nuovamente candidato», quindi non avrebbe molto senso fare le primarie «per sapere che lui è il leader». Ha pure escluso, Alfano, che Berlusconi miri al Colle più alto. Bene, evviva, hanno manifestato giubilo dirigenti del partito e ministri. Spiegano sottovoce a via dell’Umiltà: Alfano vuole scrollarsi da dosso il sospetto (circola nella corte di Arcore) che lui voglia fare le scarpe al Capo profittando del suo momento no. Angelino è sinceramente devoto a Berlusconi, questo chiacchiericcio lo disturba, di qui l’uscita. Si è aperto così un dibattito che al leghista Calderoli sembra un filo surreale, in quanto «al 2013 penseremo dopo esserci arrivati, nel presente affrontiamo e superiamo la crisi». Oppure, per usare la cautela diplomatica di Frattini, «sarà Berlusconi a decidere se candidarsi e non altri», nemmeno i suoi fan più scalmanati. Tra l’altro, non si è appena fatto sfuggire il premier che vorrebbe andarsene da questo «Paese di m...»? Perplesso Bersani, segretario Pd: «Stanno fantasticando sull’orlo dell’abisso». Sarcastico Enrico Letta: «Berlusconi si ricandida? Che bella notizia per noi...». Indignato Bocchino: «Stupisce che Alfano ricandidi Berlusconi proprio mentre emerge che il premier e Lavitola usavano metodi da criminalità organizzata». L’«ora della verità» Scatterà domani, all’apertura dei mercati finanziari quando capiremo se e fino a che punto regge l’impianto della manovra. Dovesse impennarsi lo «spread» oltre una certa quota, dice Rutelli alla festa dell’Api, «l’avvitamento della situazione economica potrebbe cambiare l’agenda politica», aprendo la via a un altro governo. Per certi versi concorda nella diagnosi Cicchitto, capogruppo Pdl, il quale lancia una sorta di «avviso ai naviganti»: cari amici del partito che protestate contro il decreto, fate bene attenzione perché «il quadro internazionale resta assai grave», potrebbero farne le spese l’Italia e il governo. Intanto mettiamo gli egoismi da parte, poi per fare i conti ci sarà tempo... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418518/ Titolo: UGO MAGRI Senato, governo tentato dalla fiducia Inserito da: Admin - Settembre 06, 2011, 03:17:17 pm Politica
06/09/2011 - MANOVRA LE MISURE Senato, governo tentato dalla fiducia Il presidente del Senato, Renato Schifani, si è pronunciato per un percorso parlamentare della manovra senza forzature Le condizioni del Pd per ritirare gli emendamenti: via i tagli ai Comuni e la norma sui licenziamenti UGO MAGRI ROMA Casini dice che «dovremmo fare come in Germania, dove in momenti difficili le forze agli antipodi si sono unite». Il leader del Terzo Polo si spinge a proporre un governo di responsabilità nazionale, con tutte le energie migliori di questo Paese. L’idea è suggestiva, ma in attesa che maturi prepariamoci a una giornata di alta tensione in Senato sulla manovra. Pareva che questa venisse approvata senza l’ennesimo voto di fiducia, in quel clima di responsabilità collettiva che il Presidente della Repubblica invoca. Viceversa c’è il rischio di assistere all’ennesima prova di forza (o di impotenza) da parte del governo, perché i tempi stringono, per rispettare il calendario imposto dai mercati e la manovra deve essere approvata entro domani sera: così reclama con forza il ministro Tremonti. Venerdì se la dovrà vedere con i colleghi del G7 e teme di presentarsi a mani vuote. Ma le procedure parlamentari sono tali, per cui si può far presto solo in un clima di sostanziale concordia tra gli schieramenti. Bisognerebbe che tutte le opposizioni ritirassero gli emendamenti, o tenessero solo quelli concordati con l’altra sponda, in modo da affrettare le conclusioni del dibattito in aula. Il Pd sarebbe disposto. C’è una dichiarazione della capogruppo Finocchiaro molto esplicita e molto seria al riguardo. Piccolo particolare: il Pd chiede in cambio alla maggioranza di rinunciare ai tagli nei confronti degli enti locali, ma soprattutto di cancellare il famoso articolo 8, quello che da sinistra viene inteso come facoltà di licenziare e da destra come flessibilità del mercato del lavoro. Che Bersani avanzi queste richieste, non deve stupire. Il segretario Pd, leader del maggior partito di opposizione, non può farsi scavalcare nella protesta contro la manovra da sindaci e presidenti di Regione, oltretutto targati Pdl. Ieri, in una sala vicino alla Camera, è partita una maratona oratoria non-stop inaugurata proprio da un discorso di Alemanno, cui sono seguiti gli attacchi violentissimi contro il governo da parte di Formigoni (C’è il rischio di una rivolta sociale») e della Polverini («Non ho più intenzione di prendere schiaffi, questa manovra è un pasticcio»). Una rinuncia del governo ai tagli per Regioni e Comuni è il minimo, a questo punto, che Bersani possa esigere, se non vuole fare la parte del complice di Berlusconi. Idem sull’articolo 8: come potrebbe il Pd mollare la presa proprio nel giorno in cui la Cgil tiene il suo sciopero generale? Impossibile. Altrettanto difficile, tuttavia, è che il Pdl faccia marcia indietro su quei due punti. Quagliariello, capogruppo vicario al Senato, definisce le richieste dal Pd «paradossali», sarebbe come pretendere che il governo rinunci alla manovra. Ma se il Pdl rimarrà sulle sue posizioni, allora anche il Pd conserverà i suoi 390 emendamenti. Col risultato che non si farà in tempo a votare il decreto entro domani sera, come vorrebbe Tremonti. Il quale ieri s’è visto in via Bellerio a Milano con Bossi e con Calderoli. Si è vociferato che avessero discusso di manovra, ma una smentita da via XX Settembre ha chiarito: solo amicizia e rapporti personali. Insomma, nonostante il personale impegno del presidente di Palazzo Madama Schifani per creare il clima parlamentare adatto, nonostante il capogruppo Pdl al Senato Gasparri voglia evitare il ricorso del governo alla fiducia («Avevamo sempre detto che non l’avremmo messa»), ieri sera la sensazione era che proprio alla fiducia, inesorabilmente, si andasse a parare. Per inerzia. Per mancanza di una regia politica. L’intervento serale di Napolitano, con la richiesta di rafforzare la manovra, è volto proprio a suscitare un sussulto di responsabilità nei protagonisti, e a evitare un finale della vicenda che sembra già scritto. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418874/ Titolo: UGO MAGRI La grande paura di Berlusconi: perdere la pazienza davanti ai pm Inserito da: Admin - Settembre 11, 2011, 03:38:22 pm Politica
11/09/2011 - RETROSCENA La grande paura di Berlusconi: perdere la pazienza davanti ai pm Silvio potrebbe aggredire verbalmente Woodcock Per questo starebbe lavorando a un memoriale UGO MAGRI ROMA Berlusconi va in Europa per schivare i pm, questo è sicuro. Le dimissioni del consigliere Bce Stark, che sarebbero la scusa del viaggio, sono intervenute quando lui aveva già chiesto a Barroso di incontrarlo a Strasburgo proprio martedì, in modo da poter dire ai pm napoletani: non ho il dono dell’ubiquità, la crisi ha precedenza. Uno strano mutismo del suo entourage accompagna la mossa, forse perché pure la lealtà ha un limite. Però qualcosa filtra. Silvio cerca di guadagnare tempo perché spera di trovare un codicillo giuridico che gli consenta di scansare per sempre certe domande. L’avvocato Ghedini pare stia valutando se il suo cliente potrà negarsi all’interrogatorio in quanto già imputato a Milano di reato connesso: sarà Ruby, non sarà la D’Addario, ma sempre di «bunga-bunga» si tratta... Vorrebbe cavarsela, il Cavaliere, con un memoriale. Qualche pagina per illustrare ai pm la sua verità: da Tarantini niente ricatto, l’aiuto da 850 mila euro fu generoso e spontaneo. Più della minaccia di manette seduta stante, casomai gli si allungasse il naso, Silvio teme se stesso, quello che potrebbe uscire dalla sua bocca quando si trovasse davanti Woodcock. Potrebbe aggredire verbalmente il pm anglo-partenopeo, rinfacciargli le fughe di notizie, sebbene alcuni dei suoi strateghi l’abbiano messo in guardia: nemmeno i magistrati hanno un controllo pieno e totale, il segreto istruttorio a Napoli è un colabrodo, nessuno ferma più la pioggia di indiscrezioni. Comprese quelle più devastanti, i cui echi sono giunti perfino sul Colle più alto, dove i consiglieri quirinalizi tremano al pensiero di come reagirebbe la Merkel, se davvero il premier avesse detto su di lei quanto viene riportato dal «Fatto quotidiano» e a Berlino stanno già traducendo in tedesco, sebbene il gossip sia irriferibile. Da mettersi le mani nei capelli: proprio mentre la Cancelliera si sta battendo per aiutare l’Italia, ecco che da Roma la centra un insulto goliardico... E qui scatta la grande paura del clan berlusconiano: il viaggio in Europa, concepito per evitare le domande su Tarantini, rischia di diventare un boomerang. L’incontro con Barroso avrà luogo al Parlamento europeo quel giorno particolarmente affollato, poiché il gruppo socialista designerà a futuro presidente dell’Assemblea una vecchia conoscenza di Silvio, quello Schulz al quale il Cavaliere aveva dato del «kapò». Anche se il cerimoniale eviterà al premier un passaggio in Aula, facile immaginare che transitando in un’adunata di socialisti l’accoglienza sarà memorabile. L’incidente è garantito al limone. Il meno preoccupato di tutti dicono sia lui. A chi è andato a trovarlo ieri (a parte Letta e Ghedini) non ha fatto che ripetere con tono di chi conosce l’Italia: «Le intercettazioni? Bah... La gente ormai è assuefatta, faranno rumore un giorno tutt’al più». A fare un passo indietro non pensa neanche, addirittura ha presieduto una riunione di partito sulle modalità di svolgimento dei congressi comunali e provinciali, roba da pisolino e invece lui nemmeno uno sbadiglio. Proclami affidati alla trasmissione di Vespa: «Siamo sicuri che resteremo fino a fine legislatura, come è logico che sia». Non va scambiata per boutade, lui lo pensa sul serio. Gli hanno riferito che qualche altro «responsabile» potrebbe passare in maggioranza, così Berlusconi pensa che (a parte i fastidi giudiziari) tutto proceda a gonfie vele. E’ il solo a vedere rosa. Chi gli sta intorno, si sente all’ultimo atto della commedia. Secondo Osvaldo Napoli, che assorbe gli umori del centrodestra, «era tutto calcolato, si sapeva che l’assalto giudiziario sarebbe ripartito dopo le vacanze». Nessuno avrebbe immaginato il leader a contatto con certa gente, dire certe altre cose al telefono, addirittura pensarle. Un generale della vecchia guardia si sfoga in privato: «Di questo passo, Berlusconi va incontro alla rivolta, la rivolta del disgusto. Parlamentari che nemmeno si presentano a votare, e il governo va sotto su qualche legge importante, pur di girare pagina». Guarda caso, l’astuto Casini tende la mano, «disponibile a concordare l’agenda di fine legislatura» a patto che il Cav si ritiri. Un paracadute per il gruppo dirigente Pdl. Dove c’è chi pensa di mandare Casini per premio tra due anni sul Colle più alto. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419618/ Titolo: UGO MAGRI Lo sfogo del Cavaliere "Sul viaggio in Europa tutte menzogne" Inserito da: Admin - Settembre 12, 2011, 04:01:06 pm Politica
12/09/2011 - RETROSCENA Lo sfogo del Cavaliere "Sul viaggio in Europa tutte menzogne" Il premier Berlusconi andrà prima a Bruxelles e poi a Strasburgo per spiegare ai vertici europei la nostra manovra, saltando così l'incontro previsto con i pm di Napoli che volevano interrogarlo sul caso Tarantini UGO MAGRI ROMA Berlusconi è parecchio rammaricato (un eufemismo) per come i giornali in special modo, ma tutti i media in generale, presentano la sua trasferta di domani a Bruxelles e a Strasburgo. «Cose da non credere!», è lo sfogo accorato del premier, «io vado dai leader europei in un momento difficile a spiegare la manovra, a chiarire che abbiamo rispettato per filo e per segno tutte le richieste della Bce, a riparare i danni che un certo modo di fare opposizione ha causato all’immagine del nostro Paese, e cosa leggo invece? Che gli incontri con Van Rompuy e con Barroso sono tutta una messinscena per non farmi interrogare...». Il Cavaliere nega nella maniera più assoluta di essere in fuga dai magistrati: «L’incontro non sarà martedì, sarà un altro giorno di questa o della prossima settimana, non è che caschi il mondo se viene ritardato. Tra l’altro ho già chiarito che fisseremo un nuovo appuntamento, d’accordo con la Procura di Napoli». Nello stesso tempo, però, il capo del governo non è convinto che sia giusto sedersi in veste di testimone, specie dinanzi a Woodcock. Anzi, con tono molto deciso ripete di continuo: «Non vedo affatto perché io debba rispondere alle domande». Agli occhi suoi e dell’avvocato Ghedini sussistono «seri dubbi sulla reale competenza territoriale della Procura partenopea»,visto che gli eventi in oggetto si sarebbero svolti ovunque tranne che all’ombra del Vesuvio. Poi non è detto che lui possa essere ascoltato quale persona informata dei fatti, nel momento in cui già deve difendersi da accuse in qualche modo connesse, per esempio per la vicenda di Ruby Rubacuori. Qualunque cosa dica ai magistrati napoletani potrebbe essere usata contro di lui nel processo di Milano. Insomma, Berlusconi contesta in radice l’iniziativa della Procura. Argomenta:«Vogliono a tutti i costi ascoltarmi come vittima presunta di un’estorsione che io ho chiarito di non considerare tale». Ai suoi occhi, un memoriale sarebbe bastevole. Comunque sia, «in questo momento la crisi finanziaria deve avere la precedenza su tutto il resto», è questo che secondo Berlusconi l’Italia dovrebbe capire. Tra l’altro, «se invece di spiegare all’Europa gli sforzi che stiamo facendo io dedicassi la giornata di martedì all’incontro coi magistrati, subito mi accuserebbero: per colpa delle sue vicende giudiziarie, Berlusconi non può assolvere ai doveri internazionali di premier...». Fin qui lo sfogo, accorato ma senza un filo di autocritica. E senza ammettere, per dirne una, l’errore di un viaggio alla chetichella, guai se i giornali lo fossero venuti a sapere, salvo che poi ne ha dato per caso notizia il ministro Romano, titolare dell’Agricoltura, perché niente si riesce a tenere segreto in un mondo di chiacchieroni. Di qui il pasticcio comunicativo che si aggiunge a tutti gli altri, anzi forse è il meno grave. Perché ce n’è uno, ben più serio, di cui si parla nei circoli politico-finanziari. Questo «pasticcio», stando al racconto di fonti troppo autorevoli per prendere abbagli, Silvio se l’è costruito con le sue stesse mani. Tutto viene fatto risalire ai giorni dello scontro tra Berlusconi e Tremonti. Siamo alla vigilia di Ferragosto, lo spread schizza alle stelle. Invece di far pace col suo ministro, il Cavaliere lo scavalca. E forte del suo eccellente francese, chiama direttamente Trichet, presidente della Bce. Gli chiede indicazioni, suggerimenti. Così facendo attira la famosa lettera che viene redatta a Roma (Draghi) con tutti i sacrifici da fare. Quando Berlusconi la riceve, scopre che le richieste europee sono molto più dure di quanto lui si aspettasse; capisce di essere finito in trappola; per due settimane tenta di svicolare, viene inchiodato da Francoforte. Nel frattempo lo spread torna sopra i livelli di guardia, con la manovra già «bruciata» e senza garanzia che gli aiuti Bce saranno decisivi. Più delle telefonate a Tarantini, avvertono dunque figure chiave della politica economica, conviene tenere d’occhio la «curva dello spread, che solo tre mesi fa ci vedeva allineati a Francia e Germania». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419752/ Titolo: UGO MAGRI Domani la fiducia, nel Pdl aumentano i dubbi: non basterà Inserito da: Admin - Settembre 13, 2011, 10:37:13 am Politica
13/09/2011 - MANOVRA IL GOVERNO Domani la fiducia, nel Pdl aumentano i dubbi: non basterà Il premier oggi in Europa per rassicurare Bruxelles E manda a Napoli un memoriale sul caso Tarantini UGO MAGRI ROMA La giornata Domani sera la Camera metterà il timbro sulla manovra senza correggere nemmeno una virgola. C’è il voto di fiducia, e pure chi nella maggioranza ha crampi allo stomaco (vedi il «responsabile» Scilipoti) alla fine dirà sì per non far cadere il governo. L’urgenza è motivata con la pressione dei mercati. Vero che tutta l’Europa è sotto tiro, ma intanto la Borsa di Milano va a picco, e supera i livelli di guardia lo spread con i titoli di Stato tedeschi. Vuoi vedere che questa manovra ancora non è approvata e già non basta? Che ci verranno richiesti dall’Europa nuovi sacrifici? Il dubbio serpeggia nel Palazzo. Tremonti, forte del rapporto con Bossi che ha coltivato pure ieri, lavora a un pacchetto di misure sul lato della crescita: sente ministri, concorda iniziative anche con quelli a lui meno amici, organizza seminari per valorizzare il patrimonio pubblico, chiede ai banchieri generosità nel foraggiare le imprese. Però domina lo scetticismo. Perfino nelle file del governo qualcuno scuote la testa, «di questo passo servirà ben altro», cioè tutto quello che la maggioranza non è stata in grado di decidere. Un intervento sulle pensioni. Una bella patrimoniale... «Ghe pensi mi» Si è sparsa voce che Berlusconi acquisterebbe titoli pubblici di tasca sua per 100 milioni di euro. Non basterebbero ovviamente ad accorciare lo spread tra Bund e Btp che, prende atto il portavoce Bonaiuti, «risente purtroppo del rischio Grecia». Però il «beau geste» darebbe un segnale di fiducia, perché se Silvio rischia di suo significa che è un affare (guarda caso, i rendimenti sono al top). Il Cavaliere oggi sbarca a Bruxelles e poi a Strasburgo, ufficialmente per spiegare all’Europa quanto efficace sarà la manovra governativa. Ripeterà a Van Rompuy e a Barroso i concetti illustrati ieri mattina su Canale 5: «Per la prima volta in 135 anni manterremo i saldi in pareggio, qualunque altro governo ne sarebbe rimasto schiacciato». L’opposizione gli prepara un bel «comitato di accoglienza»: sono pronte per il premier contestazioni davanti al Consiglio europeo e nella sede del Parlamento di Strasburgo, il cui presidente Buzek concederà a Berlusconi «un paio di minuti». Verrà presentato come un uomo in fuga dai magistrati ai quali, invece di riceverli per fare chiarezza sul presunto ricatto di Tarantini, farà recapitare oggi dall’avvocato Ghedini un memoriale. La versione di Silvio «Non credo sia reato aiutare chi ha bisogno», nella fattispecie «una famiglia con figli piccoli, una madre a carico, passata dall’agiatezza alla miseria anche per colpa dei magistrati». Quindi zero timore (a parole) del faccia a faccia coi pm napoletani, la trasferta europea è caduta nello stesso giorno mica per malizia ma solo perché non era possibile organizzare diversamente l’agenda... Il suo entourage rimane con le antenne dritte, si attende che da un momento all’altro possano uscire dai cassetti le famose intercettazioni del premier al telefono con Tarantini. Compresa quella in cui, spera non sia vero Buttiglione, «il capo del governo italiano si esprime in modo sprezzante e volgare sulla Merkel». A proposito di centristi: il Cavaliere respinge al mittente la loro offerta, dimissioni in cambio di un salvacondotto giudiziario. «Ma quali garanzie possono darmi, figuriamoci» pare sia stata la sua risposta quando il fido Confalonieri è andato a riferirgli le avances di Casini. Il quale Casini non ha contattato solo lui e Gianni Letta, ma svariati altri personaggi del Pdl, generando così negli interlocutori l’impressione di una disponibilità troppo ostentata per essere vera. Primarie per legge A discuterne si sono ritrovati nella sede del «Secolo d’Italia» Veltroni, Augello, Ferrara e Quagliariello. Nel Pdl l’argomento primarie sta diventando un modo educato per dire a Silvio: resta pure fino fino al 2013, ma poi basta così. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419952/ Titolo: UGO MAGRI Il patto Silvio-Maroni che inquieta Inserito da: Admin - Settembre 17, 2011, 04:29:15 pm Politica
17/09/2011 - L'ESECUTIVO, GLI EQUILIBRI Il patto Silvio-Maroni che inquieta L'intesa tra i due risalirebbe al 30 maggio scorso Berlusconi di buonumore: "A Umberto ci penso io" UGO MAGRI ROMA Umberto Bossi e Angela Merkel non hanno nulla in comune. Eppure tanto il fondatore della Lega quanto la Cancelliera di Germania sono offesi a morte col Cavaliere. Il primo per un articolo su «Panorama» che racconta la moglie del Senatùr presentando lui come uno zimbello laddove lei, Manuela Marrone, fa e disfa le trame della politica. Chi se ne intende conferma: molto, effettivamente, ruota in Padania attorno a questa donna energica. Ma non è questo il punto. Bossi crede che a ordinare il ritrattino della moglie «matrona, patrona e un po’ terrona» sia stato l’editore del newsmagazine, tal Berlusconi Silvio. Il quale fa tanto l’amico e poi, sotto sotto, manda i sicari a colpirlo negli affetti più profondi... Anche qui, la verità è più semplice, «Panorama» ha fatto un’inchiesta senza chiedere il permesso, Berlusconi «non c’entra un fico» convergono tutte le fonti interne mondadoriane. Il premier ha perfino diffuso una nota costernata per scagionarsi agli occhi dell’alleato. Tutto inutile, però. Con il passare delle ore l’ira di Bossi cresce anziché sbollire, come si è ben colto dai discorsi esagitati di ieri. Qualcuno poi è corso a sussurrargli nell’orecchio che Berlusconi ha stretto un patto segreto con Maroni per farlo fuori, addirittura gli hanno fornito la data presunta in cui fu stipulato l’accordo, il 30 maggio scorso durante una visita di Stato a Bucarest. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno si chiusero in una stanza, vi restarono un’ora a quattr’occhi e da quel giorno Bobo iniziò ad alzare la cresta dentro il partito. Che strano. Quanto alla Merkel, anche lei disgustata da Silvio: poteva non leggere ciò che strillano i giornali tedeschi? In una telefonata con Tarantini, Berlusconi avrebbe detto cose «irriferibili» sul suo conto. Fonti berlinesi assicurano che Angela nemmeno ha voluto indagare a fondo sulle frasi esatte attribuite al nostro premier (tra l’altro sarebbe arduo tradurle dalla lingua di Dante a quella di Goethe). Aggiungono nella capitale tedesca che la Cancelliera vuole «guardare oltre» la vicenda, mica intende ritirare l’ambasciatore da Roma come certi ambienti del Pdl ieri temevano. Però incontrando personaggi autorevoli del nostro Paese, la Merkel non ha trattenuto in privato il giudizio seguente: «L’Italia deve cominciare a essere molto più seria». Si riferiva al premier, all’economia o a entrambe le cose? Berlusconi, interpellato più volte dal suo entourage, nega di essersi mai sbilanciato sulla Merkel, «non mi ricordo affatto» giura. La famosa intercettazione con Tarantini non è ancora uscita e, incrociano le dita a Palazzo Chigi, mai uscirà dalle carte baresi, resterà annegata nei cassetti per carità di patria. Cosicché il Cavaliere non dovrà porgere alla Cancelliera delle scuse che, magari, gli verrebbero rifiutate. La preoccupazione principale del premier, in questo momento, è sopravvivere allo tsunami di porno-politica. Voleva contrattaccare con una conferenza stampa, bordate a destra e a manca; la sua lettera a più mani che viene pubblicata stamane dal «Foglio» è l’imbuto entro cui l’hanno convinto (Letta, Bonaiuti, gli stessi avvocati) e convogliare la sua ira. Aspettiamoci tuttavia numeri da circo lunedì quando, invece di volare a New York, Berlusconi andrà in Tribunale a Milano per il processo Mills. Dicono che abbia rinunciato alla sessione Onu sulla Libia perché l’avevano messo in fondo alla lista degli iscritti a parlare; in verità pare resti in Italia perché ha qualche conto da regolare coi magistrati. Cicchitto anticipa il tema: «Siamo in un regime di illegalità prodotto da un nucleo di magistrati». Berlusconi lo svolgerà come sa fare lui. Sbaglia però chi lo immagina in preda all’angoscia. Anzi, si mostra di ottimo umore. Garantisce ai deputati Pdl: «State sereni e tranquilli, arriveremo al 2013, a Bossi ci penso io». L’altra sera è andato ospite alla festa del parlamentare ed editore Angelucci nella villa sontuosa che fu della Loren sui Castelli Romani. Nessuno è risultato più allegro e gigione. Barzellette, aneddoti, si è perfino inginocchiato per celia davanti al padrone di casa. La serata ha avuto il suo top con meravigliosi fuochi d’artificio, inframmezzati da musiche di Strauss e di Morricone. Sono così tanto piaciuti al premier, che ha subito contattato la ditta per uno spettacolino in Sardegna, quando riceverà qualche leader straniero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420585/ Titolo: UGO MAGRI Silvio stupito: “In fondo che ho fatto di male?” Inserito da: Admin - Settembre 18, 2011, 04:22:22 pm Politica
18/09/2011 - RETROSCENA Silvio stupito: “In fondo che ho fatto di male?” La strategia del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: resistere ad ogni costo e soprattutto non pentirsi mai Sabina Began «l'ape regina» indagata a Bari A un’amica confida: sfido chiunque a non provarci con la Arcuri UGO MAGRI «Che ho fatto di male, in fondo?». Berlusconi in queste ore si mostra esterrefatto dello stupore collettivo. Confidenza del premier a un’amica: «Ci ho provato con la Arcuri, è vero, ma alzi la mano quell’italiano che al posto mio si sarebbe comportato diversamente». L’unica vera distinzione, nell’ottica del Cavaliere, è tra chi può e chi non può permettersi certe cose. Zero autocritica, insomma. Tanto che l’altro ieri, quando ha mandato la sua lunga lettera al «Foglio», si è molto indispettito. La bozza scritta a più mani conteneva per la prima volta una sorta di ammissione, Silvio peccatore sì ma pentito, voglioso di farsi perdonare in futuro. E invece niente. Appena l’ha letta, con un colpo di penna Berlusconi ha cancellato tutto ciò che suonava come onesto «mea culpa». Della bozza originaria è rimasto soltanto l’attacco ai magistrati. I capoccia del Pdl hanno capito l’antifona, cosicché neppure sotto la grandine delle porno-telefonate se la sentono di andargli a chiedere un passo indietro. Primo, perché tanto lui non lo farebbe; per quanto assurdo possa sembrare, il Cavaliere si sente lanciatissimo. A un vecchio sodale diceva ieri: «Io vado avanti, tanto dall’altra parte non c’è nessuno... Sì, quello di Bari con l’orecchino, quell’altro di Piacenza, come si chiama? Ah, Bersani. Dai, non vanno da nessuna parte». E comunque, vai a trovare chi, dei tanti cooptati, avrebbe il coraggio di dirgli «dimettiti». Falsa la voce che Confalonieri e Letta si siano spinti così avanti. Semmai gli hanno riferito un’ambasceria di Casini della serie: se tu mandi avanti Alfano al posto tuo, potremmo tornare alleati... «Non se ne parla nemmeno», tagliò corto con Gianni e con Fidel il premier. Tornarci su sarebbe tempo perso. Come pensano di regolarsi, dunque, ai piani alti del partito e del governo? E’ sensazione diffusa che le intercettazioni siano un pozzo senza fondo. A Bari ne restano quasi 100 mila non ancora trascritte, ma qualche avvocato (gli imputati sono 8) potrebbe frugare tra i brogliacci e passare ai giornali la merce più imbarazzante. Poi, calcolano in via dell’Umiltà, c’è tutto il filone Lavitola su cui la procura di Napoli non ha scoperto le carte. Infine a ottobre ecco il processo Ruby, con la sfilata di miss vogliose di raccontare... Sospira un gerarca: «Possiamo soltanto tentare di mettere tra parentesi Berlusconi, far vedere che nonostante lui il governo lavora e il Pdl si dà da fare». Tenerlo lì come la mummia di Tutankamon, nel frattempo preparare il futuro con Casini. Già, perché tutti gli sguardi speranzosi si appuntano sull’Udc. E’ convinzione, tra gli strateghi orfani del premier, che alla fine Pier dovrà per forza allearsi con loro. Non subito, ma alle elezioni politiche, quando saranno. Osserva Quagliariello: «Bersani e Di Pietro ci hanno fatto due enormi favori. Il primo, prendendo impegni con Sel e Idv che renderebbero superfluo il Terzo Polo. L’altro, definendo i centristi le escort della politica. Dobbiamo cogliere la palla al balzo per costruire il fronte dei moderati». Attendiamoci avances sulla riforma elettorale, sulla bioetica, sulla qualunque. L’incognita è la Lega. L’ira di Bossi con Berlusconi non è svanita, dalle sue parti cresce la voglia di votare a marzoaprile 2012. Così non si farebbe l’eventuale referendum elettorale, non verrebbero abolite le province e non sarebbero dimezzati gli onorevoli e i senatori... Il voto sull’arresto di Milanese, giovedì alla Camera, difficilmente farà cadere il governo. Tremonti sente odore di bruciato, ma nei colloqui privati è nettissimo: «Si illude chi pensa di farlo arrestare per ottenere le mie dimissioni. Io non proprio ho nulla da temere». Quel voto, tuttavia, sarà la cartina al tornasole per capire che cosa si agita nella Lega. Un sì all’arresto di Milanese vorrebbe dire che una parte del Carroccio ha deciso, così non si va avanti, in primavera tutti quanti alle urne. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420674/ Titolo: UGO MAGRI "Gli italiani mi amano". Ma ora Berlusconi teme il referendum Inserito da: Admin - Settembre 19, 2011, 12:04:51 pm Politica
19/09/2011 - GOVERNO- L'AUTUNNO CALDO "Gli italiani mi amano". Ma ora Berlusconi teme il referendum La raccolta delle firme per il referendum ha registrato un'accelerazione che preoccupa il premier, secondo cui la Lega non vuole tornare al Mattarellum Nel partito del Cavaliere si studia una riforma elettorale: proporzionale alla tedesca per compiacere Lega e Udc UGO MAGRI ROMA «La gente mi ama», resta convinto Berlusconi, e siccome al cuor non si comanda «tornerebbe a votarmi» nonostante ormai risulti dalla sua inconfondibile voce (certe intercettazioni si possono ascoltare on-line) che tanto «eleganti» quelle feste di Arcore proprio non erano, e il bunga- bunga che vi si praticava è un po’ come tutti l’abbiamo sempre immaginato. «L’Italia continua a volermi bene e sarebbe pronta a difendermi», insiste incrollabile il premier con quanti riescono a parlargli, non troppi in verità: ieri black-out quasi totale.Nella villa sul lago dove ultimamente si rifugia, Berlusconi s’è studiato le carte del processo Mills, dove stamane potrebbe fare uno show, e non certo per annunciare le dimissioni. Le uniche telefonate domenicali del premier hanno avuto per oggetto la Lega. Nemmeno lui ha ben chiaro dove voglia spingersi l’Umberto. Da quando Bossi è offeso per un articolo di «Panorama » sulla moglie, i due non si sono più parlati, né risulta che abbiano in programma di vedersi a breve. Di rimbalzo, il Cavaliere ha appreso due notizie, una buona (per lui) e l’altra decisamente meno. La prima, che la Lega per ora non fa cadere il governo, che ilmalessere padano prescinde dalle vicende giudiziarie passate e future del premier, che è una questione molto più di fondo; la seconda (quella cattiva) è che Bossi torna alle origini, il federalismo non gli basta più, siamo di nuovo all’apologia della secessione.Ciò costituisce, oggettivamente, un problema politico. Come si può fare alleanza con i centristi (senza di loro, dimostrano tutti i sondaggi, la partita elettorale sarebbe persa in partenza) e al tempo stesso restare a braccetto con un partito che vuole dividere l’Italia? Chiaramente non è possibile. A complicare il puzzle ci si mette pure il referendum lanciato da Parisi, quello per tornare al Mattarellum, un sistema elettorale che sta alla Lega come la Kryptonite per Superman. Se la raccolta di firme avrà successo (ce ne sono già 450 mila, tra i sottoscrittori anche esponenti Pdl come Vizzini), può accadere che la Corte costituzionale dia disco verde, dunque si voti in primavera sul referendum. Pur di evitarlo, la Lega potrebbe giocare d’anticipo e mandare tutti alle urne, non sul sistema elettorale ma per le Politiche. Il verdetto della Consulta sulla ammissibilità dei quesiti arriva di regola ai primi di gennaio, con un timing perfetto. Come impedire la catastrofe già scritta? Tra le teste pensanti del Pdl comincia a farsi largo una pazza idea:buttare a mare il «Porcellum». Cioè il sistema elettorale attuale che prevede un candidato premier e un premio di maggioranza. Per adottare al suo posto un altro sistema che solletichi Casini, piaccia alla Lega ma soprattutto sterilizzi gli effetti politici del referendum.Un testo scritto ancora non c’è, siamo a livello di sobrie enunciazioni come quelle di Alfano e di Cicchitto ieri a Cortina: nell’ambito delle riforme istituzionali bisognerà pensare a «qualche modifica» del sistema attuale. Però a microfoni spenti il tema viene declinato sotto forma di modello spagnolo o di sistema tedesco. In pratica, si immagina un ritorno al proporzionale della Prima Repubblica con certi correttivi tipo lo sbarramento o un meccanismo di assegnazione dei seggi che impediscano la frammentazione in mille partitini (di fatto resterebbero sulla scena 5-6 soggetti politici). Il bipolarismo andrebbe in soffitta, rimpiazzato da un sistema di coalizioni, dove per vincere non sarà più necessario affidarsi a «uomini della Provvidenza »... Il problema riguarda molto da vicino il partito del premier: alPdl conveniva il maggioritario quando aveva un Leader con la maiuscola, ma adesso chi garantisce che resterebbe un affare? Sarà interessante la reazione di Berlusconi, quando i suoi colonnelli prenderanno coraggio, e gliene andranno a parlare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420803/ Titolo: UGO MAGRI Tremonti: non mi dimetterò mai Inserito da: Admin - Settembre 24, 2011, 11:47:02 am Politica
24/09/2011 - RETROSCENA Tremonti: non mi dimetterò mai Il ministro dell'Economia, Giulio tremonti, e Berlusconi: i rapporti tra i due sono sempre altalenanti, ma nell'ultimo periodo sono diventati sempre più tesi La tentazione del ministro sotto attacco è lasciare che il premier se la cavi da solo contro la crisi UGO MAGRI ROMA La grande tentazione di Tremonti, in queste ore, è prendere sul serio Berlusconi. Cioè lasciare che in futuro il premier agisca di testa sua, senza mai più puntare i piedi, senza mettersi di traverso o minacciare le dimissioni come accadeva in passato, quando Silvio metteva becco nelle faccende economiche. Il titolare dell’Economia si trova a Washington, immerso nel G20 sulla crisi. Apprende dalle rassegne stampa (gliele inoltra il nuovo portavoce Pippo Pepe) che Berlusconi lo metterebbe al muro tanto è arrabbiato con lui perché giovedì non era in aula a votare su Milanese. È rimasto senza parole, Tremonti, nel leggere che Berlusconi lo accusa di denigrarlo ogniqualvolta si reca all’estero. Mai accaduto, giura il ministro, «tra l’altro, se lo facessi indebolirei me stesso agli occhi degli interlocutori», specie quelli anglosassoni. Ha letto pure di una telefonata tra lui e il premier («in realtà non ci siamo parlati, chi non ci crede controlli i registri delle chiamate»), nel corso della quale Berlusconi gli avrebbe ingiunto di partire per l’America dopo e non prima del voto alla Camera, prendendo l’Airbus governativo anziché il volo di linea. «Fantastico, così loro stessi mi avrebbero accusato di buttare 100 mila euro per salvare dal carcere il mio ex-collaboratore», è la replica privata del ministro. Il quale ha la certezza che si sarebbe trovato nel mirino comunque; se non fosse andato a Washington, per aver disertato il summit; se ci fosse andato dopo le votazioni, per avere sprecato cherosene di Stato; e avendo preso invece l’aereo di linea, per avere scaricato sugli altri onorevoli l’ingrato compito di difendere Milanese. Rispetto al quale Tremonti ammette una leggerezza: quella di avergli delegato tutte le seccature, cosicché Milanese col tempo è cresciuto secondo la nota legge di Peters fino al livello della propria incompetenza, esercitando un potere cui non era abituato, per esempio in materia di nomine negli enti che l’ex braccio destro «ormai trattava direttamente con Gianni Letta». Quanto ai famosi 4mila euro in nero per la casa in affitto, affiora nel ministro il dubbio di essere stato eccessivamente prodigo, sebbene i soldi non gli manchino e da tributarista ne avesse guadagnati un po’. Berlusconi invece pagherebbe di tasca propria per licenziare Tremonti. A Vespa, ricevuto nel suo salotto, il premier ieri confidava che purtroppo non ha il potere di cacciare i ministri, la Costituzione andrebbe rifatta. E Giulio non ha la minima intenzione di spianargli la strada («Berlusconi non può dimissionarmi, io non mi dimetto»). I due sono destinati a convivere. Come sempre, senza volersi bene. L’unica vera novità è che adesso il Cavaliere vuole mettersi al volante. E che l’altro a sorpresa da Washington gli dice «prego, fai pure». Si sente troppo debole per resistere, o magari non ne ha più voglia, o infine (è una supposizione) pensa che tanto la legislatura durerà ancora pochi mesi, si voterà in primavera, tanto vale laissez-faire, laissez passer. Il capo del governo vuole esercitare finalmente il suo ruolo? Pretende di coordinare le annunciate misure per la crescita? Vuole avvalersi di consulenti prestigiosi per non dipendere in tutto e per tutto dal suo ministro? Tremonti stavolta gli risponde: prego si accomodi, ci mancherebbe altro, ma... Ci sono alcuni «ma». Per «fare la crescita», come spiegano molto molto in alto al Tesoro, ci sono due soli modi. Il primo consiste nell’abbattere le tasse, investire denari, insomma spendere e spandere. Purtroppo questa strada «ci è drammaticamente preclusa» dalle condizioni di bilancio, con l’obbligo del pareggio nel 2013 «che Berlusconi, non Tremonti, ha sottoscritto davanti all’Europa». Tra l’altro c’è da tagliare subito 6 miliardi di euro ai ministeri, andrà fatto con un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio), dunque il Cavaliere ci metterà la firma. «Se ne vuole occupare personalmente? Vorrà dire che toccherà a lui una volta tanto la parte del cattivo, non avrà nessuno su cui scaricare la colpa». Berlusconi immagina un grande piano di dismissioni patrimoniali che permetta di abbassare il debito pubblico dal 120 per cento del Pil giù giù fino a quota 90. Però «sbolognare i gioielli di Stato (Eni, Enel) con corsi azionari così sfavorevoli, sarebbe un regalo alla speculazione, lo capirebbe un bambino». Griderebbe la Corte dei conti, piomberebbero i caramba con le manette. L’altro modo per fare sviluppo, aggiungono le stesse fonti del Tesoro, sta nelle liberalizzazioni. Nel dire basta privilegi, basta corporazioni, basta lacci e laccioli. Questo tipo di riforme «non costa e funziona. O meglio, funzionerebbe se qualcuno avesse il coraggio di procedere per davvero». Nel decreto anti-crisi c’era un articolo che cancellava gli ordini professionali; Tremonti l’aveva infilato prevedendo le reazioni. «È venuto giù il mondo». E il primo a opporsi indovina chi fu? «Proprio Berlusconi...». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421786/ Titolo: UGO MAGRI Offerta al Pd: sfiduciate Tremonti Inserito da: Admin - Settembre 26, 2011, 09:35:10 am Politica
25/09/2011 - RETROSCENA Offerta al Pd: sfiduciate Tremonti "Mozione dall'opposizione, noi pronti a sostenerla" Berlusconi dubbioso UGO MAGRI ROMA Pur di levarsi di torno Tremonti, un folto gruppo di deputati Pdl sarebbe pronto a tutto, perfino a commettere (politicamente, si capisce) suicidio. Corre voce, ad esempio, che nelle famose votazioni di giovedì alla Camera su Milanese i «franchi tiratori» della maggioranza non fossero solo quelli accertati col pallottoliere, ma parecchi di più, e tutti accecati dalla voglia di colpire trasversalmente Giulio. Ne sono risultati soltanto cinque perché, spiega un’autorevole fonte Pdl, in soccorso di Milanese (e di Tremonti) sono giunti sottobanco almeno altrettanti voti dal centrosinistra, forse addirittura una decina, «tanto a scrutinio segreto chi li vede?». In questo modo «si è scongiurata una crisi che il Pd, nonostante le chiacchiere, non desidera affatto: altrimenti Bersani sarebbe obbligato a sostenere qualche governo tecnico che massacra le pensioni...». Insomma, l’assalto a Tremonti è andato a vuoto. Però i suoi nemici, guidati dal sottosegretario Crosetto, non perdono la speranza. E tornano alla carica proprio coi vertici del Pd. Dove sono stati recapitati messaggi del tipo: «Se voi presentate alla Camera una mozione di sfiducia contro il ministro dell’Economia, parecchi di noi ve la firmano, e lo mandiamo a casa...». I destinatari dell’ambasciata sono rimasti a bocca aperta dinanzi a tanta disinvoltura. E può darsi che stavolta nel Pd ci facciano un pensierino, alla tentazione di far cadere il governo non si resiste in eterno. Berlusconi è combattuto. Non sa bene se alzare il piede o pigiare il pedale dell’acceleratore. Come al solito manifesta umori diversi a seconda di chi parla al telefono. Correva voce ieri di comunicazioni molto perturbate tra Washington (dove si trova Tremonti) e Roma (prima che il Cavaliere partisse per la Sardegna), che se ne fossero detti di tutti i colori. Falso. In realtà i due non comunicano da giorni. L’unico tramite è Gianni Letta, parafulmine di tutti gli sfoghi. Con il ministro si è sentito venerdì notte, per via dei fusi orari, e di nuovo stamane all’alba, senza particolare gioia ma con toni sempre civili. Il filo non si è spezzato del tutto. Nessuno sa per quanto tempo ancora potrà reggere. C’è nell’entourage chi sostiene che Berlusconi abbia una tecnica sopraffina per scaricare sugli altri la colpa di ciò che non va. Qualcosa di simile era già accaduto con altri capri espiatori, l’Udc prima, Fini poi. Colpa loro se non si sono fatte certe riforme. Corsi e ricorsi della storia: c’è la crisi? L’Italia ne soffre? Prendetevela con Tremonti che ha sbagliato, ma d’ora in avanti «ghé pensi mi»... Berlusconi mostrerà che si fa carico in prima persona delle scelte economiche, senza più deleghe in bianco al super-ministro. I suoi strateghi pensano che si limiterà a esautorarlo nei fatti, senza pretendere dimissioni che Giulio tra l’altro non darebbe, e senza profittare dell’eventuale mozione Pd che sollecitano i suoi «pasdaran». In fondo a Berlusconi ciò che più preme è durare. E casomai tutto precipitasse, il Cavaliere punterebbe direttamente al voto, con la speranza di farcela una volta di più. Sbaglia chi pensa che Silvio abbia in mente chissà quale piano sofisticato per rimontare nei sondaggi, tipo patti di alleanza con i centristi. Basti dire che la riforma elettorale allo studio nel Pdl non è affatto una mano tesa al Terzo Polo. Il sistema alla spagnola che lo «chef» Verdini gli sta cucinando serve solo a evitare il referendum elettorale, cambiando le carte in tavola. Al posto del Porcellum arriverebbe un sistema ancora più bipolare, che spazzerebbe via i centristi. Casini ha mangiato la foglia, non a caso ha dato una rispostaccia al segretario berlusconiano Alfano, che voleva far credere il contrario. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421869/ Titolo: UGO MAGRI Ma il sogno proibito si chiama condono Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 10:43:16 am Politica
26/09/2011 - RETROSCENA Ma il sogno proibito si chiama condono Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sempre più sotto il fuoco a micodel Pdl. Non è piaciuta ai compagni di partito (e al premier in particolare) la sua assenza nel giorno del voto sull'arresto del suo ex braccio destro, Marco Milanese Il Cavaliere anticipa il rientro a Roma e in serata sente Letta UGO MAGRI ROMA Ieri sera Berlusconi è calato a Roma. Di solito dalla Sardegna, dove trascorre i weekend fino a quando regge il clima, si dirige su Milano per sbrigare certe sue faccende private. Se d’improvviso il Cavaliere ha cambiato programma, dev’esserci per forza una ragione di speciale importanza. Qualcuno dello staff la collega alle due telefonate di ieri, la prima a Cuneo e la seconda a Bisceglie, in cui Berlusconi ha sparso la sensazione di volersi tuffare nelle misure per lo sviluppo e per la crescita che «esamineremo» in settimana, ha detto. Pare abbia già incontrato Gianni Letta, suo braccio destro. E si prepara una mattina di fuoco, riunioni con i fedelissimi prima di tornare ad Arcore, perché c’è da decidere il «chi», il «come», ma soprattutto il «che fare». Domanda numero uno: che fare con Tremonti? Berlusconi non ha deciso se licenziarlo o invece no. Se dar retta a chi (la lista è lunghissima, ma sicuramente la guidano Galan e Crosetto) gli suggerisce di «cacciare Giulio addebitandogli la colpa delle decisioni sbagliate» e chi (vedi Fitto, ma pure anti-tremontiani come Cicchitto, per non dire di personaggi prudenti tipo Letta e di Bonaiuti) invitano il premier a considerare il momento, sarebbe da pazzi scatenare una guerra col titolare dell’Economia proprio adesso che lo «spread» con i bund tedeschi viaggia intorno ai 400 punti. Tra l’altro il Professore, che ieri è tornato a Pavia direttamente da Washington, non ha la minima intenzione di dimettersi. E casomai vi fosse costretto dalle circostanze, vale l’immagine colorita di un ministro economico: «Sarebbe come avere nel governo un kamikaze con il giubbotto pieno di esplosivo: Giulio salterebbe in aria, ma tutti noi con lui...». Meglio evitare. Non per caso a sera Bossi, che nonostante la salute vede più lontano di molti, annotava: «Tremonti non è in pericolo». E dovendolo «sopportare» al Tesoro, meglio ottenere la sua collaborazione per fare in fretta questo decreto sullo sviluppo, di cui ancora nulla è nero su bianco, solo poche idee (avrebbe detto Flaiano) ma confuse. Il libro dei sogni berlusconiano punta a «quota 90», il rapporto tra debito pubblico e Pil che quasi per incanto crolla di 30 punti dall’attuale 120 per cento, riportandoci tra i paesi semi-virtuosi. La bacchetta magica si chiama «dismissioni», in pratica la vendita di asset pubblici, immobiliari e non. Guai però a toccare Eni ed Enel, avverte Osvaldo Napoli, in quanto fruttano soldi freschi all’Erario, venderli sarebbe un autogol. Ci sarebbe l’immenso patrimonio immobiliare. Verdini ha consegnato a Berlusconi un dossier ricco di numeri e di proposte. Lo stesso Tremonti ha convocato per giovedì un incontro sull’argomento, si chiamerà «seminario» in modo che nessuno immagini decisioni rapide, né tantomeno svendite dei gioielli di Stato. Se ne potrebbero ricavare centinaia di miliardi, però il demanio è passato agli enti territoriali, ci va di mezzo il federalismo, il groviglio legislativo è pressoché inestricabile. Ma il vero pozzo di denari cui tutti pensano, perlomeno nel Pdl, si chiama condono. Fiscale o edilizio, parziale o tombale, non ha importanza, purché vi si attinga senza falsi pudori... L’armistizio con Tremonti dovrebbe consistere, secondo quanto va maturando in queste ore, in una sorta di compromesso: il partito cessa di attaccarlo, mette la sordina a Brunetta e agli altri critici del Professore; in cambio lui finge di dare ascolto ai colleghi di governo, e consente qualche operazione di finanza straordinaria fin qui negata. Per dirla con un personaggio ruvido ma sincero come Cicchitto, «per andare avanti servono grandi decisioni, bisogna prendere di petto il debito pubblico». Altrimenti, tutti a casa. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421973/ Titolo: UGO MAGRI Bagnasco, l'attacco dopo il mancato "mea culpa" del premier Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 11:25:17 am Politica
27/09/2011 - RETROSCENA Bagnasco, l'attacco dopo il mancato "mea culpa" del premier Il capo dei vescovi avrebbe anche telefonato a Letta UGO MAGRI ROMA C’ è sempre una goccia che fa tracimare il vaso, e nel giro berlusconiano credono di sapere precisamente quando lo sdegno del cardinal Bagnasco ha rotto gli ultimi argini. Pare sia stato una decina di giorni fa, dopo che il «Fatto quotidiano» se ne uscì raccontando il «porno-sacrilegio» (neologismo di Paolo Flores D’Arcais) commesso durante una festa di Arcore: spogliarello della Minetti vestita da suora, parodia a luci rosse del film «Sister Act», e benedizione goliardica di Silvio, col crocifisso di legno annegato poi tra i seni della consigliera regionale... Così perlomeno racconta una testimone, o sedicente tale, nel processo su Ruby che si aprirà il 3 ottobre a Milano, e tante altre ne sentiremo sulla falsariga o peggio. Cosicché nessuno si è mai dato pena di smentire il «Fatto». Narrano a Palazzo Grazioli di una telefonata non a Berlusconi personalmente ma a Letta, nella quale Bagnasco avrebbe manifestato tutto il suo sdegno. Ieri la «mazzata pazzesca» del presidente Cei, come la definiscono nel Pdl. Dove se la sentivano piombare addosso e, se si dà ascolto a personaggi molto influenti della cerchia berlusconiana, avevano fatto di tutto per scongiurarla, o comunque per evitare che prendesse le sembianze di una condanna all’Inferno. Il Cavaliere come al solito ci ha messo del suo, rifiutando qualunque gesto di pentimento, perdendo perfino l’occasione di emendarsi che Ferrara gli aveva servito sul piatto d’argento con la famosa lettera al «Foglio»... «Non ho nulla da rimproverarmi»,è l’auto-difesa cocciuta berlusconiana. Anziché cospargersi il capo di cenere, Silvio sostiene che in fondo «qualunque italiano, con le mie possibilità economiche, in casa sua si comporterebbe allo stesso modo». Il ministro Rotondi coglie con vena ironica il paradosso quando definisce Berlusconi «santo puttaniere» che comunque, aggiunge, «passerà alla storia da grande statista». I cattolici del Pdl si stracciano le vesti. Telefonate sul filo della disperazione al segretario Alfano. Sfoghi del tipo «la nostra sopportazione ha un limite», «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», «verremo mangiati vivi da Casini», il quale negli ultimi sondaggi riservati è l’unico che guadagna voti. E ancora: «Dovrebbe chiedere scusa all’Italia come Strauss-Kahn, anzi dovrebbe annunciare il passo indietro come Zapatero». Bisogna vedere poi in concreto chi avrà il coraggio di dirglielo. Come nel congresso dei topi, tutti sono d’accordo che al gatto andrebbe messo un campanello al collo, salvo che nessuno glielo va a legare... Insomma la sensazione, nonostante tutto, è che nulla si muoverà. E che in attesa degli eventi vincerà la tesi minimalista, secondo cui Bagnasco ha detto «quanto ci si poteva attendere», in fondo la Chiesa non combatte il peccato? E comunque si sa, «il presidente della Cei non ha mai amato il Nostro, si lascia tirare la tonaca da sinistra, forse addirittura assistiamo a una faida interna nella Chiesa, dove il bersaglio vero non è Silvio ma il moderatissimo cardinal Bertone, o forse è addirittura più in alto, molto più in alto...». Voci blasfeme ipotizzano che la Cei «con cinismo» abbia incassato l’esenzione dell’Ici per i beni immobili ecclesiastici anche di uso commerciale, «salvo darci il calcio dell’asino», bella riconoscenza. In questo gorgo di passioni, pochi strateghi berlusconiani sanno restare freddi. Quei pochi annotano che il cerchio si stringe. La scomunica Cei arriva dopo il pronunciamento di Confindustria. Manca solo l’America per fare en plein dei poteri forti. E guarda un po’, in certi colloqui privati l’ambasciatore Usa si domanda quanto potrà resistere Silvio all’assedio del mondo intero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422204/ Titolo: UGO MAGRI Governo in stallo sulla nomina di Bankitalia Inserito da: Admin - Settembre 29, 2011, 05:30:08 pm Politica
29/09/2011 - LO SCONTRO Governo in stallo sulla nomina di Bankitalia Berlusconi non sceglie tra Grilli e Saccomanni. Bossi appoggia Tremonti. Draghi sale al Colle UGO MAGRI ROMA La politica sfoga i più bassi umori alla Camera, dove il ministro Romano scampa alla mozione di sfiducia per 315 voti a 296 in un clima ben poco educativo per le scolaresche ammesse in tribuna. L’«alta» politica, invece, si cimenta su Bankitalia con qualche chance di causare danni irreparabili. L’ultimo lusso che ci possiamo permettere è una bella lite sul successore di Draghi: esattamente quello che si sta verificando. Non solo c’è discordia sul nome, ma ogni giorno la matassa si ingarbuglia sempre di più. Grande il nervosismo del Quirinale, perché la tregua concessa dai mercati (tra i nostri Btp e i Bund germanici lo «spread» è sceso intorno ai 360 punti) potrebbe rompersi da un momento all’altro. I nostri risparmi viaggiano sulle montagne russe. Consultazioni di Draghi Il futuro presidente della Bce (entrerà in carica il 1° novembre) si è recato da Berlusconi: non alla residenza privata ma nella sede del governo, come è giusto. Poi è salito da Napolitano. Ha parlato ovviamente della sua successione alla Banca d’Italia, ed è a tutti noto che Draghi fa il tifo per la soluzione interna nella persona di Saccomanni. Però a Palazzo Chigi si è visto pure Tremonti, il quale sponsorizza invece Grilli, che del Tesoro è il direttore generale, dunque non sarebbe un governatore all’insegna della continuità e gradito all’establishment di Via Nazionale. Il braccio di ferro Tremonti-Draghi va avanti da mesi, ma ormai siamo al dunque perché la nomina deve scattare entro il 31 ottobre, possibilmente prima perché non ci si può ridurre proprio all’ultimo. Berlusconi è in stallo, non sa a chi dare ragione tra i due. I poteri del premier Si lamenta sempre, il Cavaliere, di averne troppo pochi. Ama descrivere se stesso come un profeta disarmato. Però in questo caso nessuno gli contesta il potere decisionale; anzi, tutti si aspettano che lo eserciti in fretta, tra l’altro la legge parla chiaro, è a lui che compete la designazione, mica a Tremonti. Con Draghi e con Napolitano si era sbilanciato per Saccomanni, a un certo punto sembrava fatta, specie quando Giulio pareva sopraffatto dalla vicenda Milanese. Sennonché il ministro sembra aver superato illeso il cerchio di fuoco, e ieri alla Camera l’hanno visto allegro come non mai, altro che piume basse. Bossi come al solito gli dà manforte, «io come governatore preferisco Grilli, non fosse altro perché è di Milano». Tutto il fronte anti-tremontiano viceversa istiga il premier a fare il rovescio di ciò che vorrebbe il Tesoro, insomma a scegliere Saccomanni. Il risultato è che Silvio tentenna. Gli tirano la giacca da tutte le parti. E dinanzi al suo sbandamento si compie il miracolo della nota congiunta Bersani-Casini, giunta dopo un colloquio tra i due con i quali pure si è consultato Draghi: «Nel mezzo di una tempesta finanziaria, invece di offrire certezze e stabilità, il governo continua a tenere pericolosamente in bilico il Paese». La crescita può attendere Nel senso che slitta il decreto con le relative misure: non verrà varato domani in consiglio dei ministri. Serve tempo per metterlo nero su bianco, almeno una settimana ancora. «Abbiamo messo su un gruppo di lavoro», annuncia Bossi dopo la cena dell’altra sera col premier. Ceffoni del Senatùr ai vescovi («dovrebbero dire più messe») e dito medio agli industriali («devono svegliarsi, mica possiamo prendere i soldi ai pensionati per darli a loro»). Il governo arriva al 2013? «Speriamo». «Vado in tivù e...» «...lì esplodo», minaccia il premier privatamente. Ce l’ha coi soliti magistrati «che mi danno la caccia». Il Cavaliere si accorge, per dirla con Cicchitto, che «il fronte giustizialista registra una battuta d’arresto», dopo che Milanese e Romano sono stati salvati (a sinistra i sei deputati radicali hanno rotto lo schema non partecipando al voto e sventolando il cartello «amnistia»). L’idea è andare da Vespa, ma alla fine sceglie di evitare Porta a Porta. Sconsigliato dai suoi stessi avvocati, da Letta e Bonaiuti, il premier sembra si sia convinto per non trovarsi in difficoltà dopo le pesanti dichiarazioni del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422549/ Titolo: UGO MAGRI Banca d'Italia, si va verso la nomina di Bini Smaghi Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2011, 05:58:29 pm Politica
20/10/2011 - VIA NAZIONALE, LO STALLO Banca d'Italia, si va verso la nomina di Bini Smaghi Il premier ne ha già parlato a Napolitano, presto l'annuncio UGO MAGRI ROMA Il terrore di presentarsi domenica a Bruxelles senza aver ancora spostato Bini Smaghi dalla Bce, e di dare perciò la netta impressione alla Francia di avere raggirato «monsieur le Président» Sarkozy, spinge il nostro premier a rompere gli indugi. Berlusconi promette che entro oggi imbucherà la lettera al Consiglio superiore di Bankitalia con il nome del futuro Governatore. E pare che si tratti appunto di Bini Smaghi, disposto a lasciare Francoforte solo per la poltrona più prestigiosa di via Nazionale. In latinorum si direbbe: «promoveatur ut...». Il Cavaliere non ha pronunciato pubblicamente il nome dell'economista fiorentino. «Sono tenuto al segreto», si è giustificato dopo un incontro con il Presidente della Repubblica durante il quale «non abbiamo certo parlato di calcio» (pur essendone appassionati entrambi). Fonti governative autorizzano a ritenere che Berlusconi abbia cercato la comprensione di Napolitano e forse anche un sostegno alla candidatura di Bini Smaghi. Le medesime autorevoli fonti aggiungono che il premier è intenzionato a procedere nonostante il fuoco di sbarramento. Talmente intenso che ieri sera la partita risultava ancora aperta, e la situazione parecchio confusa. Il fronte del no E' guidato dal tandem Bersani-Casini, autori di una dichiarazione congiunta per sostenere, neppure tanto tra le righe, la candidatura di Saccomanni (ben gradito all'establishment di Bankitalia): «Auspichiamo che il premier proceda rispettando l'autonomia dell'Istituto». Silvio ne è rimasto colpito, non tanto per l'auspicio quanto per la firma congiunta, segno che tra Pd e centristi sboccia qualcosa di serio. Ha mandato qualche fedelissimo a indagare meglio sui perché. Lui si è dedicato invece a Tremonti, la sua spina nel fianco. Il titolare dell'Economia ha sempre insistito per nominare Governatore Grilli, che è suo direttore generale al ministero. Osteggia viceversa Saccomanni, che piaceva molto a Draghi (verbo al passato, perché il neo-presidente della Bce pare abbia fatto sapere ieri al mondo politico che pure Bini Smaghi in fondo sarebbe okay). Ambienti vicini a Tremonti assicurano che il Prof ha appreso senza alcun dramma l'orientamento del premier su Bankitalia; altri, invece, giurano che Giulio stia piantando una grana gigante con l'aiuto di Bossi incontrato nel pomeriggio. Idem sulle misure per lo sviluppo. Un vertice a Palazzo Grazioli per entrare nel merito sarebbe finito, secondo il tam-tam parlamentare, a pesci in faccia, con le proposte di Romani e Matteoli bocciate una per una da Tremonti. Comunque i tre si incontreranno di nuovo stamane, segno che nulla è accaduto di irreparabile. Aspettando il decreto «Se fosse così facile l'avrei fatto in quattro e quattr'otto», si giustifica Berlusconi. Scatto di orgoglio rispetto a chi gli rinfaccia di non avere più leadership: «Non credo che l'imprenditore più capace degli ultimi decenni, da premier sia diventato improvvisamente incapace di decidere». Nemmeno gli altri leader europei se la stanno cavando meglio, insiste il Cavaliere, perché siamo di fronte a «un vero e proprio impazzimento dei mercati finanziari». Silvio spera di «annunciare qualcosa in settimana, ma se non c'è la possibilità di mettere in questo decreto fondi importanti, chiaro che ci sono dei problemi da risolvere...». Per esempio, potrebbero esserci pezzi di maggioranza che gli dicono ciao. Miccichè minaccia la crisi se si tolgono fondi al fotovoltaico, il trio Urso-Ronchi-Scalia dice no a un decreto «a costo zero». Sconsolato il berlusconiano Bondi: «La verità è che i soldi non ci sono...». DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/425652/ Titolo: UGO MAGRI I radicali tentano Berlusconi Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2011, 11:18:46 am Politica
22/10/2011 - GOVERNO-GLI EQUILIBRI I radicali tentano Berlusconi Sulla legge elettorale apertura del premier per un «bipolarismo all’americana» UGO MAGRI ROMA Qualcuno ha fuorviato Berlusconi (oppure ha capito male lui) dicendogli che il referendum elettorale riguarda le preferenze: il «Porcellum» le abolì, però alla gente piacciono, bisognerebbe resuscitarle. Cosicché il premier, profittando del congresso di Scilipoti, ha ritenuto di andare incontro al popolo. «Un milione 700 mila cittadini hanno dato indicazione per reintrodurre i candidati... Serve una variante della legge elettorale che consenta la scelta». Solo dopo ha capito l’equivoco: il referendum non è sulle preferenze, le firme sono state raccolte per tornare al sistema maggioritario, che diavolo c’entra la libertà di scelta? Senza indugio il Cavaliere ha autorizzato una rettifica di Quagliariello, mente giuridica del Pdl: le parole del premier non vanno intese come ritorno «alla vecchia pratica in cui veniva eletto chi spendeva di più». Incidente chiuso. Però l’aneddoto è indice di confusione. Berlusconi (il quale sbadiglia vistosamente ogni qual volta si toccano queste materie) ha una sola chiara preferenza: per il sistema elettorale che può farlo vincere. Se Casini fosse disposto ad allearsi con lui, allora Silvio non si opporrebbe alla legge semiproporzionale che piace ai centristi. Però siccome gli ex-dc non ne vogliono sapere di fare comunella, il Cavaliere propende per un sistema che li costringa a scegliere, o di qua col centro-destra, o di là con i «comunisti ortodossi» (come li ha definiti da Scilipoti). Se i fautori del dialogo con l’Udc non gli suggerissero cautela, Berlusconi avrebbe già optato per un sistema alla spagnola, dove non c’è spazio per terzi poli. Sintomatico un passaggio del discorso di ieri: «Gli Usa ci indicano la strada, e cioè il bipolarismo, perché una democrazia funziona bene se ci sono due forze in campo». Dove si coglie l’eco di quanto gli aveva detto due sere fa Pannella. E’ una volgarità pensare che i Radicali siano andati da lui a vendersi. Continueranno a votare come sempre contro il governo, mette in chiaro Rita Bernardini. Però, dal momento che le loro battaglie non riscuotono la minima attenzione nel Pd, è giusto sentire che cosa ne pensa il premier: così funziona sul mercato della politica. La «delegazia» radicale ha trovato un Berlusconi tanto interessato quanto indeciso. Tipo «vorrei ma non posso». Sull’amnistia «bisogna fare qualcosa», ha riconosciuto, «ma è difficile trovare in Parlamento la maggioranza richiesta dei due terzi». E quando Pannella gli ha magnificato il presidenzialismo all’americana, grande sospiro del Cavaliere: «Se proponessi la Repubblica presidenziale, mi accuserebbero di voler fare il dittatore, quando in realtà non ho poteri, io non conto niente», solita lamentela con una variante: di Napolitano ora il Cavaliere parla pubblicamente bene, «è un Capo dello Stato intelligente e puntuale, i suoi interventi sono sempre precisi». Pannella, congedandosi, gli ha dato una dritta: «Il Pd aveva inserito nel programma la legge elettorale maggioritaria, non importa se a uno o due turni. Silvio, approfittane! Rilanciala tu e loro non potranno dirti di no, essendone i proponenti...». Il Cavaliere sarebbe tentato, ma nel partito convivono idee diverse, lui non sa decidersi. Alza le spalle il centrista Rao: «Tanto sono divisi, che nemmeno riescono a fare una proposta». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426003/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi s’aggrappa all’Ue Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2011, 05:41:56 pm Politica
28/10/2011 - LA CRISI GOVERNO ALLE STRETTE Berlusconi s’aggrappa all’Ue Il Cavaliere prova a rilanciarsi. Ma è giallo su una lettera dei frondisti vicini a Pisanu UGO MAGRI ROMA Prodi, che in politica vede lontano, non scorge più con certezza elezioni a Primavera. «Ogni giorno qui cambia lo scenario», bofonchia il Prof. E ha ragione: le decisioni prese in Europa cambiano tutte le carte in tavola. Certi calcoli sono da rifare. E’ stata approvata l’altra notte a Bruxelles una lettera d’intenti che Berlusconi sta cercando in queste ore di sfruttare in un crescendo propagandistico per rilanciarsi (dopo «Porta a Porta» e «Tg1», stamane sarà pure a Canale 5). L’offensiva del premier Berlusconi vorrebbe accreditare la tesi che l’Ue ha dato l’okay non a una lista di cose urgentissime, bensì «a un programma di governo da 18 mesi», guarda caso proprio quanti gliene mancano per arrivare alle elezioni del 2013. Il timbro di Bruxelles fornisce al Cavaliere una scusa per tirare avanti, e un’arma per difendersi da chi vorrebbe sloggiarlo: chiunque dovesse mai andare al suo posto, osservano a Palazzo Chigi, dovrebbe farsi carico degli stessi impegni presi nel summit europeo. Non è che un altro premier potrebbe ricontrattare tutto daccapo. Di qui la domanda: ma il Pd, la sinistra, le forze sindacali, realizzerebbero quelle politiche, una volta rispedito ad Arcore il Cavaliere? Oppure al momento di formare un governo tecnico tenterebbero di sfilarsi? «Per le opposizioni è l’ora della verità», fotografa il problema Casini, reduce da un nuovo interlocutorio colloquio con Bersani. Guarda caso, i capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri accolgono con entusiasmo la richiesta da sinistra di un bel dibattito in Parlamento, magari con diretta televisiva, sulla lettera alla Ue: occasione ideale per suonare un altro po’ di grancassa filo-governativa e mettere a nudo le incertezze dell’opposizione. Il patto col diavolo Pur di tirare avanti, però, Silvio ne ha sottoscritto uno. Tra gli impegni assunti con l’Europa c’è quello che potrebbe decretare la fine del suo governo. Si tratta dei «licenziamenti facili» e della mobilità coatta nel pubblico impiego: lui stesso avrebbe evitato di ficcarli nel programma, se la Lega non gliel’avesse imposto in cambio della finta novità sulle pensioni (a 67 anni nel 2026 ci si andrà comunque in base alle leggi che già esistono). C’è il rischio di uno scontro sociale terrificante, e il premier prova a metterci una toppa: «Non abbiamo tagliato i dipendenti pubblici come in Grecia, vogliamo solo un mercato del lavoro più efficiente e moderno». Però non si fatica a capire come mai Tremonti sia stato così «defilato» (espressione di Bossi) durante la stesura della lettera all’Europa. Un «caso Tremonti»? Il suo entourage nega che vi sia. Il ministro, spiegano in via XX Settembre, ha collaborato dall’inizio alla fine, sua è l’ispirazione specie sul Mezzogiorno, nella cena decisiva di martedì ha dato il via libera con qualche correzione subito applicata. Il risultato finale lo lascia «abbastanza soddisfatto», sebbene non abbia sgomitato per metterci la firma e il ministro Galan vada dicendo: «Finalmente Giulio conta di meno». La novità entusiasma l’ala anti-tremontiana del Pdl, e magari ci sarà del vero. Ma di sicuro, quando il clima in piazza si farà rovente, nessuno potrà rinfacciargli dentro il partito di avere promosso la «macelleria sociale». E comunque, con un gruppo di banche a rischio fallimento e con altri 15 miliardi da reperire in fretta, Tremonti non faticherà a riconquistare il centro della scena. La fronda si agita Un gruppo di senatori Pdl (difficile calcolare se si tratti solo di Saro e Pisanu o molti di più) pare abbia messo nero su bianco la famosa attesa lettera al premier dove lo si invita a farsi da parte. Alfano rifiuta di prendere in considerazione «fantomatiche» dissidenze, almeno fino a che non verranno allo scoperto. La vera novità, però, pare sia un’altra: dai malpancisti si sta staccando il gruppo di Scajola. Dopo un lungo tira-emolla, risulta che un accordo sia dietro l’angolo, con tanto di riconoscimento visibile al ruolo dell’ex ministro. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426912/ Titolo: UGO MAGRI E Bossi attacca: «Dubito che l’Italia possa durare» Inserito da: Admin - Novembre 01, 2011, 11:45:12 am Politica
01/11/2011 - LA CRISI PALAZZO CHIGI Berlusconi cerca "un colpo d’ala" da portare al G20 Pdl all’assalto di Tremonti: Bini Smaghi al suo posto E Bossi attacca: «Dubito che l’Italia possa durare» UGO MAGRI ROMA La giornata Mancano quarantott’ore ore al G20 (una specie di super-governo mondiale) che si occuperà di noi. Il vertice può rappresentare l’ultima spiaggia, perché ieri lo spread coi titoli tedeschi viaggiava oltre i 400 punti. Si aggiunga il tonfo della Borsa, la disoccupazione al galoppo, la ripresa dell’inflazione... Secondo Bossi siamo alla frutta, il «fallimento» incombe, «così il Paese non può durare». Si vorrebbe dunque immaginare il nostro premier e i suoi ministri impegnati in riunioni febbrili, tecnici che sfornano proposte, contatti al massimo livello. E invece? Niente di tutto ciò. Un tragico destino fa coincidere la vigilia del G20 con il Ponte dei Morti. La politica, direbbe Pansa, piange i suoi «cari estinti». AAA, idee cercansi Il Cavaliere sta rintanato ad Arcore, da dove filtra la sua irritazione contro «Report» per la puntata dell’altra sera che non è piaciuta affatto al proprietario della Mondadori. Il presidente del Consiglio, giurano nell’entourage, lavora sodo alla preparazione del vertice. Gli piacerebbe presentarsi a Cannes con un’alzata d’ingegno, una «mandrakata» la definirebbero a Roma, così da tranquillizzare un Paese dove cresce la paura e nessuno mobilita le coscienze. Per cui Silvio chiede suggerimenti qua e là, interpellando «personaggi di livello», finanzieri, banchieri. Certi ministri che gli danno una mano sono sparsi purtroppo all’estero, Romani in India, Brunetta a Shanghai, Fitto a Londra... L’unico su piazza, e pure parecchio attivo, si chiama Tremonti. Il titolare dell’Economia ha tenuto ieri contatti all’altezza del dramma in corso, consultandosi col Quirinale, con referenti europei, con Berlusconi medesimo. Anche lui è alla ricerca di colpi d’ala, e magari pure dei soldi che servirebbero per smorzare l’impatto della delega fiscale in arrivo (qualche esperto di via XX Settembre si spinge a ipotizzare un ulteriore aumento dell’Iva). Ma il suo contributo viene messo in discussione da quello che personaggi equilibrati del governo considerano un «turbine di follia». «Dàgli a Giulio» Se si dà retta al tam-tam del Pdl, le ore di Tremonti ministro sono contate. Domani si terrà un ufficio di presidenza dove cercheranno qualche misura già pronta da inserire nella legge di stabilità (è all’esame del Senato) in modo da dare all’estero una buona impressione; ma soprattutto, la riunione servirà a processare il ministro. I più gentili tra i «berluscones» (vedi Cicchitto per il quale «non sono i mercati a fare i governi») gli chiederanno di allinearsi, altri meno oxfordiani di defilarsi, altri ancora di levarsi di torno. Vera o falsa, torna in circolo la voce della mozione individuale di sfiducia, supportata dai deputati anti-tremontiani più scalmanati. Chi al posto del prof? Berlusconi avrebbe pronta la soluzione Bini Smaghi, prendendo due piccioni con la stessa fava perché si sbarazzerebbe di Tremonti e libererebbe alla Francia il posto nella Bce. La ricetta di Montezemolo È un governo di salute pubblica, più presto che si può. In una lettera a «Repubblica» l’ex presidente degli industriali suggerisce un programma d’emergenza: tagliare i costi della politica, più flessibilità nel lavoro, tassa sulle grandi fortune, via le pensioni d’anzianità, mercati più aperti. Plaudono i centristi, che viceversa bocciano l’idea consegnata da Di Pietro alla «Stampa»: una contro-lettera delle opposizioni all’Europa, con ricette diverse. «Aumenterebbe la confusione», taglia corto Casini. «La confusione c’è già», condivide Bonaiuti a nome del premier. «L’Italia è in pericolo, Berlusconi se ne deve andare», non ha mancato di ripetere pure ieri Bersani. Che chiama sabato la gente in piazza a sventolare Tricolore e Costituzione. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/427551/ Titolo: UGO MAGRI Governo alla conta, Berlusconi resiste Inserito da: Admin - Novembre 08, 2011, 10:03:10 am Politica
08/11/2011 - LA GIORNATA Governo alla conta, Berlusconi resiste Oggi il Rendicondo dello Stato passerà con le astensioni "Voglio vedere chi mi tradisce" UGO MAGRI ROMA Stasera il Rendiconto dello Stato avrà il timbro del Parlamento. L’opposizione intera si asterrà, dunque per assurdo ad approvarlo basterebbe un singolo voto. Berlusconi salvo? Niente affatto. Anzi, nonostante la sua ostinata resistenza, non si vede come possa tirare avanti. Il governo ha un febbrone da cavallo, e le votazioni di oggi saranno il termometro. Se sul Rendiconto la maggioranza non darà prova di essere tale, può accadere addirittura che Berlusconi debba salire sul Colle a dimettersi già questo pomeriggio. Glielo chiede l’intero Pdl con una rimarchevole eccezione (lui). E da ieri pure la Lega vorrebbe che Berlusconi in quel caso gettasse la spugna. Se il Cavaliere facesse finta di niente, e provasse a tirare avanti lo stesso, l’opposizione gli lancerebbe contro un’apposita mozione di sfiducia da discutere subito in Parlamento, prima ancora che la Camera si pronunci sulla manovra per l’Europa (in gergo si chiama «maxi-emendamento alla legge di stabilità»). La decisione, sceglie la prudenza Bersani, verrà presa stasera in base alle votazioni. Il passo indietro Ferrara ieri mattina lo dava per imminente. E siccome molti credono che lui sia il «consigliori» del premier, ecco spargersi l’eccitazione: «Se ne va, se ne va!». Calo immediato dello spread, giubilo della Borsa. Successiva doccia fredda dal direttore del «Foglio», Berlusconi mollerà l’osso un attimo dopo aver chiesto e ottenuto la fiducia al maxi-emendamento. Nemmeno a quello però pensa in realtà il Cavaliere. Da lui raffiche di smentite fino a tarda sera: «Non capisco come siano circolate queste voci, noi andiamo avanti, non sono attaccato alla cadrega ma voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi, se si arrivasse a un ribaltone non sarebbe una democrazia». Neppure Calderoli, spedito come messaggero da Bossi alla villa di Arcore, è riuscito a fargli cambiare idea. Gli suggeriscono dalla Lega di salire dal Presidente della Repubblica e di contrattare, in cambio delle dimissioni, l’incarico di fare un nuovo governo al segretario Pdl Alfano. Ipotesi invero complicata perché, una volta aperta la crisi, il Capo dello Stato fa come vuole, incarica chi meglio crede dopo le consultazioni di rito. Grande pressing Berlusconi verrà convinto (forse) a dimettersi solo ed esclusivamente se i «sì» al Rendiconto dello Stato saranno talmente scarsi da togliergli anche l’ultimo barlume di speranza. Altrimenti come al solito dirà che è andata benissimo, e impiegherà i prossimi giorni cercando di riacchiappare qualche deputato del Pdl fuggito dal recinto. Già ieri, denuncia il centrista Rao, colui che dovrebbe reggere le sorti del Paese telefonava ai transfughi Pdl con ogni sorta di lusinga. L’uomo è un combattente nato. Impossibile dunque fare previsioni fino al momento in cui nell’Aula di Montecitorio si accenderà il tabellone luminoso: la discussione sul Rendiconto inizia alle 15,30 e ci vorrà un’oretta almeno. Della Vedova, capogruppo Fli, fissa un’asticella: «Sotto i 316 voti sarebbe acclarato che il governo non ha più nemmeno la maggioranza numerica, ci aspetteremmo che Berlusconi e i suoi ne prendessero atto». Il pallottoliere A bocce ferme il Cavaliere può contare su 312 voti. Ci si arriva così: 316 erano quelli ottenuti all’ultima fiducia. Salgono a 317 perché, essendo morto Franzoso che mancava da diverse sedute, gli è subentrato D’Alessandro, capo ufficio stampa del Pdl. Però i «berluscones» scendono a 314 in quanto sono passati armi e bagagli all’Udc Bonciani, la D’Ippolito e Gabriella Carlucci. Antonione ha reso pubblico che si asterrà, proprio come l’opposizione; Nucara (Pri) vorrebbe tanto esserci per sostenere ancora il governo, ma ragioni personali glielo impediscono. Ecco dunque perché 312. Alza le spalle Cicchitto, presidente dei deputati Pdl: «Non vedo questo clima da rompete le righe o si salvi chi può». Smentisce di avere la valigia in mano Pianetta, idem Cazzola e l’ex olimpionica Manuela Di Centa. Negano di converso un ritorno all’ovile Bonfiglio e Sardelli. Pecorella, già avvocato di Previti, non anticipa come voterà ma considera Berlusconi a Palazzo Chigi «un danno per il Paese». La Bertolini vedrà stamane il premier insieme con Stracquadanio, mentre Stagno subordina il suo voto favorevole a stanziamenti per Giampilieri, colpita dalla disastrosa alluvione del 2009 e, come spesso accade in quest’Italia, subito dimenticata. In sintesi: 312 voti sarebbero già un disastro, ma a Berlusconi potrebbe andare perfino peggio... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/428711/ Titolo: UGO MAGRI La rassegnazione incrociata del Cavaliere e del Pd Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2011, 04:28:58 pm Politica
03/12/2011 - Retroscena La rassegnazione incrociata del Cavaliere e del Pd Berlusconi ai suoi allarmati su Ici e patrimoniale: cosa potremmo fare adesso? Ugo Magri Roma Ieri sera qualcuno ha messo in allarme il Cavaliere. Guarda, gli sono corsi a dire, che sulla manovra circolano indiscrezioni tremende: c’è la patrimoniale che tu non volevi, torna l’Ici che il tuo governo aveva abolito, aumentano le aliquote Irpef che invece volevamo abbassare, scatta addirittura il divieto del contante sopra i 500 euro, tutto ciò che all’elettorato del Pdl provoca l’orticaria... Come ha reagito Berlusconi? Lungo imbarazzato sospiro (così giura chi l’ha sentito al telefono). Quindi flebile tentativo di sminare il campo: «Non abbiamo nessuna certezza che saranno davvero questi i provvedimenti, Alfano deve ancora parlarne personalmente con Monti, vi ricordate quante volte anche a noi avevano attribuito intenzioni non vere?». Infine, ragionamenti sul filo della rassegnazione che suonano all’incirca così: pure nel caso in cui lunedì arrivasse la stangata sui ceti che votano centrodestra, «che cosa potremmo fare noi?». Sfilarsi, secondo Berlusconi, a questo punto sarebbe impossibile. I presidenti delle due Camere, Fini e Schifani in nobile gara tra loro, hanno promesso che entro Natale la manovra avrà il timbro del Parlamento. Per rispettare la tabella di marcia, sarà giocoforza procedere a colpi di fiducia. E sulla fiducia non esistono mezze misure... «Sentirò Angelino, sentirò Tremonti, vedremo», fine della telefonata. Nell’altro accampamento, quello del Pd, si respira un’aria straordinariamente simile. Sulla carta, a Sant’Andrea delle Fratte dovrebbero essere soddisfatti. Perfino un cieco vedrebbe che vengono prese di mira le classi alte, nell’immaginario collettivo identificate con i proprietari di super-yacht; e poi la lotta all’evasione prenderebbe nuovo slancio dai pagamenti elettronici, come sempre hanno chiesto a sinistra... «Sì, sul piano dell’equità registriamo passi avanti», confida sottovoce un dirigente tra i massimi. Però poi c’è la partita aperta delle pensioni, e lì vai a indovinare come finirà. Nessuno se la sente di mettere la mano sul fuoco. Il rischio è che Monti voglia «menare in egual misura a destra e a sinistra», che faccia piangere i ricchi e pure quelli che abbienti non sono. Altra confidenza dal Pd: «In realtà sappiamo troppo poco, le grandi linee vabbè sono quelle, ma il diavolo è nei dettagli... La partita si giocherà nel weekend». A dirla tutta, non sono affatto tranquilli. Bersani sarà l’ultimo a bussare stasera da Monti: ore 21, perché le rispettive agende non collimavano. Insisterà perché, prima di mettere mano alle pensioni, il governo cerchi di raggranellare miliardi altrove, per esempio da un’asta sulle frequenze tivù. Alfano e la delegazione Pdl si presenteranno a mezzogiorno per implorare il Prof di andarci piano sulla patrimoniale, sull’Irpef e sul limite ai contanti. Casini (che appoggia il governo senza se e senza ma) a quell’ora sarà già andato via perché l’appuntamento col Terzo Polo è alle 10,30. Monti aveva invitato pure Di Pietro. Tonino confessa di essere rimasto sorpreso «dal garbo e dalla cortesia», comunque l’Idv si tiene alla larga perché «un governo tecnico non deve frammischiarsi ai partiti», e poi in quanto parlare col premier significa entrare nella logica del «do ut des», legarsi le mani. All’ex-pm le mani servono per brandire la clava, «se tutto si riduce a prendere i soldi agli italiani, non c’era bisogno di fare un governo di professori: ne bastava uno di malfattori...». Però alla fine Di Pietro, precisamente come Berlusconi, si ritroverà a votare i sacrifici. Il centrista Rao scommette che tutti faranno «di necessità virtù». Il capogruppo Fli Della Vedova alza le spalle: «Grandi turbolenze, ma non esistono alternative e tutto si calmerà». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/432838/ Titolo: UGO MAGRI - Lo humour del Professore infastidisce il Cavaliere Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2011, 06:09:15 pm Politica
17/12/2011 - retroscena Lo humour del Professore infastidisce il Cavaliere Il capo del governo tiene il punto per tutelare la sua credibilità Ugo Magri Roma Nella polemica col Cavaliere, Monti è stato tirato per i capelli. Non poteva far altro che reagire. Se avesse ignorato gli attacchi del giorno prima, il presidente del Consiglio avrebbe avallato la tesi berlusconiana che lo dipinge in preda alla disperazione, praticamente alla canna del gas. Sarebbe stata un’ammissione grave di debolezza. I mercati avrebbero fatto due più due, e addio sforzi per trasmettere all’estero l’immagine di un Paese finalmente governato. Per cui il Professore ha dovuto puntualizzare in Parlamento che disperato lui non si sente né punto né poco, anzi è «pieno di speranza», l’Italia ce la farà, ce la sta già facendo. Nel dirlo, tuttavia, Monti ha condito il suo discorso alla Camera con quel filo di humor britannico che alle orecchie del predecessore suona tanto come sfottò (nulla disturba Silvio più della garbata presa in giro: al confronto il via libera del governo all’asta sulle frequenze è solletico). Il presidente del Consiglio ha confidato di essersi fatto, leggendo i giornali della mattina, «un rapido esame di coscienza», giudicandosi «per un attimo colpevole di non sentirsi affatto disperato». Però poi, ha proseguito con lieve ironia, «riflettendoci sopra quella parvenza di colpevolezza è sparita del tutto» poiché «non c’è motivo di disperazione». Come dire elegantemente: Berlusconi ha preso un bel granchio. Insomma, ieri in Aula Monti ha scelto di tutelare la propria credibilità dentro e soprattutto fuori i confini nazionali. Ha dato la netta impressione di non farsi intimorire e di tirare dritto per la sua strada. Ha raccolto di conseguenza l’ovazione del Pd e del Terzo Polo. Però proprio questo insistito, gioioso applauso, unito al gelo del centrodestra, gli ha fatto intendere che forse a sua volta aveva gettato ulteriore benzina sul fuoco (nel cerchio stretto berlusconiano lo accusano di avere avviato lui la polemica col precedente governo, intervenendo tre sere fa in Commissione). Reagire alle provocazioni è umano; proseguendo tuttavia di ripicca in ripicca si romperebbe presto l’incanto di un governo fondato sulla responsabilità dei più. Per cui si racconta che Monti, appena finito di parlare,abbia subito scritto un biglietto al Cavaliere, onde chiarirsi e calare il sipario sulle tensioni nel nome diuna fattiva collaborazione futura. Molto hanno lavorato i «pontieri» per spegnere le fiamme. Il segretario Pdl Alfano, colloquiando col premier a margine delle votazioni sulla fiducia, ha segnalato in chiave costruttiva che il coordinamento non è più bastevole, il governo dovrebbe lavorare a contatto di gomito con i partiti, farsi suggerire, consigliare. Il Pdl non è contento del metodo, nemmeno nel Pd sprizzano felicità. Fanno testo gli interventi in aula, almeno in questo sovrapponibili, di Franceschini e di Cicchitto: sembrava quasi che i due vecchi nemici si fossero messi d’accordo. Monti ha perfettamente chiaro il problema. E tutto il suo discorso di ieri va letto come lo sforzo onesto di puntualizzare che lui fa il possibile, addirittura l’impossibile, per onorare il patto col Parlamento. «So che non devo dire noi e voi», ha sorriso rivolto al capogruppo Pd che gli imputa di contrapporre i «tecnici» ai «politici». E non è vero che il governo ha un tono «strafottente», come sostiene il presidente degli onorevoli Pdl. Profluvio di ringraziamenti a tutti, compresi quanti hanno avanzato critiche alla manovra, la Lega, Di Pietro: «Tutti abbiamo lo stesso obiettivo di operare per il bene dell’Italia». Ostentato omaggio del premier al lavoro della Commissione Bilancio, di cui «ho già avuto modo di riconoscere il grande contributo, il lavoro prezioso, l’approfondita riflessione che merita profondo rispetto...». Il Professore arriva a vestire i panni dello studente modello che ha preso «moltissimi appunti» durante il dibattito sui sacrifici, perché «il lavoro di dialogo è appena iniziato, nelle prossime settimane ci saranno interventi più meditati e organici» sul versante della crescita. Chi vorrà dare una mano sarà il benvenuto, non mancherà l’occasione per dimostrare che la politica è viva e vegeta, la democrazia non è sotto tutela. L’importante è che le riforme si facciano, a cominciare dalle privatizzazioni: «Bloccarle sarebbe una responsabilità grave». Perché non siamo fuori pericolo, alza la voce Monti per non farsi sovrastare dagli schiamazzi in Aula della Lega: «Il rischio è stato massimo, e ancora lo è». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434795/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e il voto a maggio I suoi: “Non è mica matto” Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2011, 04:28:51 pm Politica
18/12/2011 - Berlusconi e il voto a maggio I suoi: “Non è mica matto” L’ex premier Silvio Berlusconi Il Cavaliere: “Se avessi avuto Monti al posto di Tremonti...” UGO MAGRI Roma E’ convinzione, ai piani alti della Repubblica, che Monti abbia superato un gigantesco scoglio. E dopo il voto sulla manovra ci sia motivo per ben sperare. Fanno da bussola le parole del Presidente. Napolitano liquida («non so come sono andate le cose») la polemica sulle troppe assenze nel voto di fiducia. Devono dispiacere certo, sono un brutto spettacolo. Però guai a perdere di vista la «grande prova del Parlamento». L’uomo del Colle lo sottolinea in quanto l’esito positivo non era per nulla scontato. E se si parla con i protagonisti della maratona a Montecitorio, si coglie lo stesso stupore, quasi incredulità per l’impresa che tanto a destra quanto a sinistra e al centro ritengono di aver compiuto. Confida un autorevole esponente Pd (a patto di non dirne il nome): «Ci siamo trovati a varare i provvedimenti con un governo ancora senza rodaggio e con una maggioranza composta da partiti che fino al giorno prima si coprivano di insulti. Nonostante ciò», segnala questo personaggio di primo piano, «i tre maggiori partiti sono riusciti non solo a varare misure altamente impopolari, ma addirittura a correggere profondamente il decreto sull’Ici e sulle pensioni, con il governo costretto a seguire la sua maggioranza». Domani la manovra passa in Senato, dove si annunciano nuove proteste della Lega, ulteriori motivi di tensione che la stampa internazionale non si farà sfuggire. Comunque sia, i senatori non toccheranno nemmeno una virgola del decreto, entro venerdì avrà il timbro del Parlamento. E’ stato inaugurato un metodo, e questo metodo a quanto pare funziona. A dare il là sono i «tre tenori» (Alfano, Bersani, Casini): i capi-partito si parlano, discutono, trovano l’accordo. Quindi tocca ai capigruppo (Franceschini, Cicchitto, Della Vedova) cantare e portare la croce. Sulla manovra ci sono riusciti al punto da indicare certe vie d’uscita allo stesso governo. Fa testo l’episodio capitato martedì, quando la maggioranza decise di sforbiciare gli stipendi agli alti papaveri ministeriali. Scoppiò l’iradiddio, i capi gabinetto entrarono in rivolta. Piombò in Commissione Giarda (ministro per i rapporti col Parlamento e longa manus di Monti): «Questo taglio non si può fare». Franceschini, racconta un testimone, lo guardò perplesso: «In che senso?». «Nel senso che il governo non è d’accordo», rispose secco il ministro. Sguardo d’intesa fra Cicchitto e Franceschini, che a quel punto sorrise: «Bene, vorrà dire che darete parere contrario, e noi lo approveremo lo stesso...». Il taglio ai burocrati è stato varato, così come è passato in Aula un ordine del giorno della Lega su cui il governo si era espresso contro, ma la maggioranza era d’accordo. C’è assonanza perfino nel linguaggio. Il centrista Rao: «Riprendere l’iniziativa conviene ai partiti e conviene al governo». «Le formule contano poco, l’importante è che il gatto acchiappi i topi», sfoggia una citazione di Mao il berlusconiano Bonaiuti. A proposito del Cavaliere: nulla di più falso che voglia votare a maggio, «mica è matto» giurano i suoi strateghi, «con questi sondaggi sarebbe un massacro». Se Monti non gli piace, Silvio se lo fa piacere. Un attimo prima che il presidente del Consiglio polemizzasse con lui, alla Camera, Berlusconi stava sussurrando ad Alfano: «Ah, se al posto di Tremonti avessimo avuto lui, non ci saremmo trovati in questo guaio...». Perfino dopo che il Professore l’ha bacchettato, Berlusconi è rimasto impassibile. «Non rispondergli male», ha raccomandato al segretario Pdl che stava per prendere la parola. Sintetizza Quagliariello: «Finché farà bene, da noi Monti non dovrà temere nulla». Quanto al Pd, Enrico Letta ricorda che gennaio e febbraio saranno «mesi da brivido» per le aste sui titoli di Stato. Per una resa dei conti, il momento più sbagliato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434872/ Titolo: UGO MAGRI Un attacco a Tremonti dietro le proteste del Pdl alle verifiche Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2012, 11:22:29 am Politica 07/01/2012 - restroscena Un attacco a Tremonti dietro le proteste del Pdl alle verifiche Ugo Magri Roma C’è quasi un senso di liberazione, nella gioconda ferocia con cui il Pdl sta attaccando Befera. Da tre giorni il partito del Cavaliere martella l’uomo che dirige Equitalia e l’Agenzia delle Entrate. Gli rimproverano di avere esagerato con il blitz delle Fiamme Gialle a Cortina d’Ampezzo, da cui è risultato un certo numero di finti poveri immersi nel lusso. Nei suoi confronti gli addebiti sono molteplici. Qualcuno (Cicchitto) contesta a Befera una smania di protagonismo che lo porta a comportarsi «come un leader politico ad alta intensità mediatica». E poi, chiede polemico il presidente dei deputati Pdl, come mai solo adesso Befera si sbilancia in tivù contro Berlusconi quando nei tre anni precedenti era stato prudentemente zitto? Altri (Capezzone), imputano al numero uno delle Entrate di voler combattere l’evasione con armi improprie tipo «ipoteche, pignoramenti e blocco dei conti correnti». Altri ancora lo accusano di sfogare contro i ricchi un autentico odio di classe: «Non è criminalizzando la ricchezza che si combatte l’evasione», protesta veemente la Santanché. Befera «opportunista», Befera «illiberale», Befera «comunista»... «Dovrebbe dimettersi», insiste la Santanché. Per ora lo sostiene soltanto lei. Ma l’impressione è che l’intero Pdl non vedrebbe l’ora di congedarlo in quanto, agli occhi dei «berluscones», il presidente di Equitalia incarna al peggio l’eredità tremontiana. Parlando con i protagonisti, si scopre che colpiscono Attilio per sbarazzarsi del fantasma inquieto di Giulio. Con lui in Via XX Settembre, i due avevano collaborato molto strettamente, come ricordato dal Pd Fassina. Capezzone non dimentica «i debordanti poteri concessi a Equitalia anche con il precedente ministro dell’Economia, purtroppo». Nunzia De Gerolamo resta convinta che senza il placet di Tremonti, Befera non sarebbe potuto restare al tempo stesso «controllore e controllato», capo di quella Equitalia su cui dovrebbe vigilare come direttore delle Entrate. Ma queste sono pecche veniali rispetto alla grande «colpa» di entrambi: è per effetto dei loro metodi, gridano ai piani alti del Pdl, che «è iniziata la nostra spirale discendente». La vicenda risale alle ultime elezioni amministrative, un tonfo per il centrodestra (Lega compresa). Anziché darne la colpa a Berlusconi, indebolito dalla lite con Fini e dalla vicenda Ruby, i pretoriani del Cavaliere decisero che la batosta traeva origine dalle «ganasce fiscali». Vano fu il tentativo di allentarle. Addirittura Tremonti mandò la Finanza a Lugano (sua fu l’idea) per riprendere con le videocamere gli italiani che andavano a versare capitali nelle banche svizzere. Ora che all’Economia non c’è più Tremonti bensì Monti, il Pdl grida al popolo delle partite Iva: a difendervi siamo di nuovo noi... «Ci vorrebbe una commissione d’inchiesta sui poteri di Equitalia», tuona Crosetto. Si volta pagina, si torna all’antico. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437210/ Titolo: UGO MAGRI E i partiti tirano un sospiro di sollievo Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2012, 05:12:06 pm Politica
13/01/2012 - reazioni E i partiti tirano un sospiro di sollievo Il cosiddetto Porcellum è il modello elettorale attualmente in vigore in Italia. E’ un sistema proporzionale cui viene riconosciuta un’ampia maggioranza alla coalizione vincente, grazie a un premio del 55% dei seggi per chi ottiene più voti. Le liste sono bloccate, non si possono esprimere preferenze. Legge elettorale, le proposte già alla Camera Senza il pungolo della consultazione, si fa più difficile l’addio al “Porcellum”, le posizioni sono molto distanti UGO MAGRI Roma Nonostante il coro dei volenterosi, i quali promettono di fare in Parlamento quello che la Consulta non ha voluto o potuto, liberarci del «Porcellum» sarà parecchio difficile. Per fare la nuova legge elettorale, bisognerebbe che i partiti fossero d’accordo; e per spingerli ad accordarsi, superando le diverse impostazioni, servirebbe un fucile puntato alle loro spalle. Questo fucile poteva consistere in un dispositivo della sentenza (molto se n’è parlato alla vigilia) dove la Corte costituzionale dicesse: il referendum non è ammissibile, però il sistema elettorale vigente cozza contro i principi della nostra Carta repubblicana. Una semplice postilla, sufficiente però a mettere i partiti con le spalle al muro, poiché non si potrebbe certo andare alle urne con una legge incostituzionale. Cambiarla, grazie alla postilla, sarebbe diventato un obbligo... Purtroppo non è andata così. Nelle motivazioni della sentenza, quando verranno rese note, anziché l’arma da fuoco troveremo una raccomandazione, al massimo un monito affinché si tolga il premio di maggioranza. Sarà come appellarsi al buon cuore dei partiti, al loro senso del bene comune. Potrà bastare a vincere i rispettivi egoismi? Napolitano conosce il problema e non a caso s’è attivato immediatamente con i presidenti delle Camere, quasi pretendendo uno scatto di dignità da parte del Parlamento. I politici tutti agiscano perché, viceversa, crescerebbe il discredito nei loro confronti (dai sondaggi riservati a disposizione dei leader risulta che la fiducia nei partiti oscilla in questo momento tra il 2 e il 3,5 per cento). Però qui sorge l’ulteriore ostacolo: per rifare la legge elettorale, è indispensabile che la legislatura prosegua almeno fino all’autunno, e in un clima costruttivo di «impegno nazionale». Fino a pochi giorni fa sembrava scontato che questo governo avesse carburante bastevole fino al 2013; addirittura la riforma elettorale veniva considerata un utile passatempo per i partiti nell’attesa che Herr Monti se la vedesse con la Merkel e con lo spread... Ora queste certezze d’improvviso svaniscono perché Berlusconi e Bossi si sono riavvicinati, complice la battaglia parlamentare sull’arresto di Cosentino. Rozzamente si sostiene (anche nel giro Pdl) che quei due abbiano stretto un vero e proprio patto segreto: niente manette all’ex-sottosegretario in cambio di elezioni presto, prestissimo, forse addirittura a maggio. Di sicuro il Cavaliere ne ha ragionato coi suoi, suscitando entusiasmo nei Matteoli, La Russa, Verdini e Santanché, grande costernazione invece nel «politburo» romano (Alfano, Cicchitto, Gasparri, Frattini) che conosce i sondaggi e teme una Waterloo. Dando corpo alle voci, subito dopo la sentenza Bossi ha dichiarato beffardo: «La migliore legge elettorale? E’ quella che c’è, perché non si impiegherà tanto tempo ad andare al voto». Quanto a Berlusconi, dalla sua bocca è uscita una sorprendente difesa del Porcellum, l’unica che si sia levata ieri: «E’ una buona legge che mira alla governabilità del Paese», al massimo si può «migliorare» estendendo al Senato il premio nazionale di maggioranza che vige alla Camera. Cioè l’esatto rovescio della raccomandazione in cantiere al Palazzo della Consulta. Ma non si rendono conto, Silvio e l’Umberto, della batosta cui andrebbero incontro? Sospira un alto dignitario Pdl: «Credono di avere doti magiche di recupero elettorale. Inoltre, questa legge permetterebbe a entrambi di scegliersi chi portare in Parlamento e chi no. Pure in caso di sconfitta, terrebbero l’opposizione sotto il loro controllo...». C’è chi, perfino nel Pdl, prova a smarcarsi. Quagliariello ribadisce che «il Pdl ha già manifestato la propria disponibilità a modificare il sistema di voto in un quadro di riforme istituzionali», mica si può cambiare linea ogni due per tre, e dal Pd lo applaudono. A Palazzo Madama si intrecciano prove di dialogo, forse già la prossima settimana verrà definita una bozza comune di riforma dei Regolamenti parlamentari. Ma decisive alla fine saranno le trattative sulla «fase due» della manovra e sulle liberalizzazioni. Con il sistema elettorale non c’entrano nulla, però un no di Monti alle richieste di Alfano e del Pdl porterebbe acqua al mulino del Cavaliere e dei suoi «pasdaran». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438021/ Titolo: UGO MAGRI Monti chiede l’appoggio dei leader Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2012, 11:36:19 am Politica
16/01/2012 - LA CRISI LA PAROLA AI PARTITI Monti chiede l’appoggio dei leader Pranzo con Alfano, Bersani e Casini: sul piatto il sostegno delle Camere per la battaglia in Europa UGO MAGRI Roma Quando alle 10 di stamane Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, varcherà il portone di Palazzo Chigi, per quell’ora già sarà chiara la reazione dei mercati. Avranno ignorato le bocciature inflitte da Standard & Poor’s? O viceversa l’euro si troverà alle prese con uno tsunami? La conversazione tra Monti e il suo ospite prenderà le mosse dall’andamento dello spread. Ma poi certamente il colloquio farà perno sull’appuntamento cui tutti guardano: il Consiglio Ue del 29 gennaio. E’ lì che andranno prese le decisioni anti-crisi. Non solo quelle volte a rafforzare la disciplina di bilancio (il cosiddetto «fiscal compact»), ma anche le politiche su cui innestare un cammino virtuoso di crescita. Van Rompuy confida assai nella competenza del professor Monti e nelle sue proposte per accrescere il dinamismo del Vecchio Continente. Fonti governative assicurano che l’incontro avrà carattere operativo, e contribuirà a definire l’agenda del Consiglio Ue. Giusto il tempo di congedare Van Rompuy; poi Monti dovrà precipitarsi a ricevere altri ospiti. Per pranzo infatti a Palazzo Chigi sono attesi «A-B-C» (Alfano, Bersani, Casini) che per la prima volta si appaleseranno tutti insieme, senza raggiungere Monti attraverso cunicoli sotterranei come accadde due mesi fa a Palazzo Giustiniani. Oggetto dell’incontro, come suggerisce la presenza del ministro per gli Affari europei Moavero, è proprio la condotta da seguire in vista del 29. Ciascuno dei tre segretari porterà le proprie ricette che in gran parte coincidono. Per tutti il problema è rappresentato dalla posizione tedesca ed è incarnato da Frau Merkel. L’uno, l’altro e l’altro ancora sostengono che Monti non dovrà avere timidezze nel tutelare la posizione dell’Italia che ha fatto i compiti a casa e perfino S&P in qualche modo lo riconosce. Quelli del Pdl sostengono: batta i pugni sul tavolo. Ma pure nel Pd lo esortano a trascurare, se proprio occorresse, l’etichetta e le buone maniere. Monti li ascolterà con la solita aria attenta, sebbene da ex commissario Ue non gli manchi consuetudine con l’ambiente comunitario. L’interesse della colazione, in ogni caso, non risiede nei suggerimenti dei partiti al Prof. Conta il segnale politico, l’immagine plastica di un Paese compatto quando viene in gioco il destino collettivo; e di una maggioranza che, perlomeno su temi così alti, non prova vergogna di qualificarsi tale. Se l’incontro avrà successo, non sono esclusi sviluppi ulteriori. Il 24 alla Camera, e l’indomani al Senato, si preparano dibattiti sulle scelte europee perché, come ricorda spesso Bersani, «il Parlamento non ce l’hanno soltanto i tedeschi». Per il momento si procede su mozioni separate anche se convergenti (Franceschini-Goti e Cicchitto-Frattini a Montecitorio, di Finocchiaro e di Gasparri a Palazzo Madama) ma non è da escludere che il presidente del Consiglio solleciti oggi il passo politicamente impegnativo della mozione comune. Sarebbe una svolta rilevante per la politica italiana e utile per le agenzie di rating le quali, testimonia Prodi, non capiscono granché delle nostre vicende. Il pranzo era fissato da giorni. Risulta che sia stato Monti a prendere l’iniziativa. Ma l’appuntamento ha rischiato di saltare dopo il voto salva-Cosentino, perché Berlusconi (ringalluzzito) è tornato a parlare coi suoi di elezioni a breve. Pare che Monti, messo al corrente delle voci, se ne sia dispiaciuto. Nelle ultime ore, comunque, dietrofront del Cavaliere che di fronte al precipitare della crisi ha dato via libera ad Alfano, il quale potrà sedersi finalmente a tavola con gli ex-avversari. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438415/ Titolo: UGO MAGRI Si presentano insieme ma alla fine vanno via alla spicciolata Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2012, 05:50:06 pm Politica
17/01/2012 - Il premier ironizza: "Vi ho sistemati proprio come in Parlamento..." E i partiti si fanno piacere il boccone del Professore I tre capi si presentano insieme ma alla fine vanno via alla spicciolata CARLO BERTINI e UGO MAGRI Roma I partiti si piegano all’emergenza nazionale. Sono disponibili perfino a scrivere una mozione sotto dettatura del governo, pur di non litigare tra loro. Fingeranno di mettere certi paletti alla trattativa con l’Europa: una «linea del Piave» oltre la quale Monti sarà vincolato dal Parlamento a rispondere con un no secco, nel caso in cui la Germania ci obbligasse a un risanamento insostenibile. Chiaro che sarà una mezza finta, poiché in caso di veto italiano agli accordi lo spread balzerebbe a mille, dunque non si può. Ma tutto serve in questo momento per trasmettere ai mercati l’immagine di un Paese compatto: di qui il primo «vertice» di maggioranza nell’era Monti. Ecco dunque i leader dei tre partiti presentarsi insieme a Palazzo Chigi senza più sotterfugi. Come unica accortezza, dopo tre ore di colloquio, «A-B-C» se ne vanno alla spicciolata. Chi esce dal portone principale, chi dal retro evitando una «photo opportunity» politicamente poco opportuna. Né le telecamere vengono ammesse nella sala da pranzo al terzo piano, dove si accomodano da una parte del desco rettangolare Monti e il ministro per l’Europa Moavero, dall’altra i tre ospiti. «Vi ho sistemati come in Parlamento», sfodera humour il padrone di casa, «Alfano a destra, Bersani a sinistra e Casini in mezzo...». Addio pennette tricolori in salsa berlusconiana: il menù da Quaresima del professor Monti prevede riso, fettina e acqua minerale. Clima rilassato, discussioni zero, anche perché i cibi piccanti (liberalizzazioni e Rai) non vengono serviti in tavola. Unica interruzione quando al telefono chiama Frau Merkel, Monti si alza per andare a rispondere. Sarkò invece non si fa vivo, ma la vera delusione dei commensali è che nemmeno verrà a Roma venerdì per il «triangolare» italo-franco-tedesco. Però giustificano il rinvio alla luce del declassamento francese,che può scatenare reazioni incontrollate al di là delle Alpi, insomma l’inquilino dell’Eliseo ha i suoi bei grattacapi. Il terzo convitato di pietra è Berlusconi. Da giorni fa sapere che «in dieci minuti potrei mandare a casa il governo». Monti non ha parole. Alfano rassicura tutti, Silvio «è stato frainteso», anche il Cavaliere è convinto che si debba arrivare al 2013, la lealtà Pdl è fuori discussione. Capitolo archiviato. Si ragiona della mozione che il Parlamento approverà il 25 o il 26 gennaio, a ridosso del Consiglio straordinario europeo. La «piattaforma nazionale», per dirla con Bersani, aiuterà il governo nelle trattative europee senza legargli troppo le mani. Confida un protagonista della colazione: «Occorre un testo sufficientemente flessibile, per cui Monti non venga costretto a sbattere la porta del negoziato se nel patto europeo mancano quelle due-tre paroline...». Spiega ai cronisti Casini: «La mozione verrà scritta in raccordo con Moavero che contatterà i responsabili esteri dei partiti». Per il Pdl, anticipa Alfano, scenderà in campo l’ex ministro Frattini. In calce al documento parlamentare ci sarà la firma dei leader? «Questo lo vedremo», fugge via Angelino che (a sentire i pasdaran berlusconiani) s’è già spinto fin troppo avanti. A Palazzo Grazioli vorrebbero un esplicito riconoscimento di quanto realizzò il Cavaliere in Europa, dalle parti di Bersani non ne vogliono nemmeno sentir parlare, Moavero cercherà di mettere tutti d’accordo. Arrivati alla frutta, grande condivisione sulla politica che dovrebbe autoriformarsi, anzitutto abbattendo i suoi costi. A-B-C si rivedranno prossimamente per mettere in moto il cantiere della legge elettorale e «noi del Pd forzeremo», promette Bersani, «così risulterà chiaro se qualcun altro non vuole andare avanti». Sarà inevitabile trattare pure il taglio dei parlamentari e le Camere-doppione. Tutti soddisfatti alla fine. Da Palazzo Chigi filtra che Monti lo giudica un incontro «proficuo» anche perché Napolitano insisteva da settimane per inchiodare i partiti alle loro responsabilità. Ancor di più dà sollievo, al capo del governo, la reazione composta dei mercati all’anatema di S&P’s. Il Professore ha trascorso serenamente il pomeriggio facendo esami: davanti a lui sono sfilati i massimi dirigenti di Palazzo Chigi, tutti trepidanti perché nessuno di loro può sapere se verrà riconfermato o meno. Non era mai accaduto che un nuovo premier, appena arrivato, spalancasse le finestre per far circolare un po’ di aria nuova. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438594/ Titolo: MAGRI. Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’UDC Inserito da: Admin - Gennaio 27, 2012, 03:30:15 pm Politica
27/01/2012 - RETROSCENA Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’Udc Tra gli ex An sale la voglia di fare opposizione con la Lega UGO MAGRI Roma Candidamente Berlusconi ammette che, se volesse far cadere il governo, oggi come oggi gli mancherebbe un pretesto. E Monti sarà pure agli occhi suoi l’Usurpatore, tuttavia al momento «sta agendo con prudenza e credo sia difficile avanzare critiche fondate» nei suoi confronti. Per cui, tornando indietro al giorno delle dimissioni, il Cavaliere le ridarebbe nuovamente, «le ragioni sussistono ancora». Parole accompagnate dal voto di fiducia sul «milleproroghe» che l’ex-premier reca personalmente al governo. E viene da chiedersi, allora, come mai nei giorni scorsi avesse fatto immaginare il contrario manifestando pubblicamente scontento, ipotizzando addirittura in privato elezioni a maggio. Dalle sue parti spiegano che i motivi sono tre. Il primo motivo si chiama Bossi. Il leader della Lega domenica scorsa aveva lanciato un aut-aut, «a casa Monti o a casa Formigoni», praticamente una pistola puntata contro gli ex-alleati del Pdl. Dove non l’hanno presa bene, anzi con il suo ultimatum Bossi ha ottenuto l’effetto contrario. E ieri come se nulla fosse ha peggiorato la situazione accusando Silvio di essere «una mezza calzetta che ha paura» di far cadere il governo. Mezza calzetta a Berlusconi non l’aveva ancora detto nessuno. Sdegno del segretario Pdl Alfano, «non facciamo né accettiamo provocazioni né ultimatum». Tra l’altro: se la Lega silurasse Formigoni in Lombardia, per vendetta il Pdl potrebbe fare altrettanto con Cota in Piemonte e nel Veneto con Zaia... Le uscite dell’Umberto spingono Berlusconi a separare, semmai, le rispettive strade. «Esistono le ragioni della convenienza e quelle della responsabilità», scuote la testa il Cavaliere. E lui, lo difende il portavoce Bonaiuti, «fin dall’inizio di questa vicenda ha scelto le seconde». Berlusconi sotterra l’ascia di guerra per altre due buone considerazioni. Anzitutto, sussurrano a Palazzo Grazioli, le forze che si scatenarono contro di lui in autunno tornerebbero all’assalto se solo Silvio si azzardasse a tirar fuori la testa. Meglio lasciar perdere, almeno adesso. E poi, il Cavaliere è stato molto lavorato ai fianchi da quanti nel Pdl considerano il governo Monti un autobus. Diretto dove? Verso la nascita del Partito popolare europeo, sezione italiana. Passando attraverso un patto di alleanza elettorale con l’Udc. Non è mistero che Alfano ci stia lavorando sodo. E’ andato lunedì dalla Merkel, presentato da Frattini. E direttamente da Berlino i due hanno telefonato ad Arcore per riferire il giudizio tutto sommato benevolo della Bundeskanzlerin («Berlusconi ha il merito storico di avere fatto chiarezza nella politica italiana, creando un’alternanza che prima non c’era. Bene il suo appoggio al governo»). Il Cavaliere, avido di riconoscimenti, ne è stato lusingato e confortato nella linea filo-Monti. Tra gli «sminatori» Pdl, che cercano di agevolare il cammino del Professore, c’è sicuramente Cicchitto. Non è sfuggita la discussione molto accesa in piena Aula con il collega di partito La Russa, che gli rinfacciava di aver dato una mano a cancellare le multe ai partiti per i manifesti affissi fuori posto. «Non potevamo essere i soli a difendere l’illegalità», ha reagito il capogruppo, mandato a quel paese dall’ex-ministro. L’episodio è la punta dell’iceberg. Specie gli ex di An (ma pure alcune «pasionarie» berlusconiane) non vedono l’ora di galoppare insieme con la Lega nelle praterie dell’opposizione. Berlusconi, in una delle solite riunioni notturne, ha provato a calmarli («No alla crisi ora, perderemmo la faccia; Bossi tornerà con noi, sono assolutamente sereno...») . Però il fossato tra le due anime si va allargando al punto che circolano sondaggi di quanto prenderebbero Forza Italia e gli ex di An, se corressero alle prossime elezioni divisi. Si allunga sul partito l’ombra di una scissione. C’è chi già rinfaccia ad Alfano la prossima batosta alle amministrative («Su 28 capoluoghi ne perderemo 23»), e chi non vede l’ora di divorziare («La Russa e gli altri tornino pure a fare i missini, l’intesa con Casini sarà più semplice»). da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440001/ Titolo: UGO MAGRI Monti: noi decisionisti? Non c’è alternativa Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2012, 06:25:45 pm Politica
28/01/2012 - la crisi - parla il premier Monti: noi decisionisti? Non c’è alternativa Le contestazioni sono avanzate dalle categorie, non dai cittadini Ugo Magri Roma Monti procede con piglio inatteso. Aveva una certa immagine da accademico tra le nuvole, invece marcia come un treno e «non lo ferma più nessuno», confida entusiasta un personaggio della cerchia più ristretta. Adesso Monti lo teorizza pure: «Siamo considerati un governo decisionista», dichiara in conferenza stampa, un po’ giustificandosi («non c’era molta scelta per le condizioni in cui ci siamo trovati»), un po’ rivendicando la prontezza nell’agire («a noi piace prendere decisioni molto veloci, in poco più di 2 mesi siamo al terzo provvedimento importante»). Le contestazioni? «Non sono avanzate dalla generalità delle categorie», è la risposta al direttore del Tg1 (c’è chi legge l’intervista come un via libera alla proroga di Maccari). Il Paese, nella visione di Monti, «è dalla parte delle liberalizzazioni e avremo il plauso dei cittadini. Cercheremo di convincere chi protesta, comunque procederemo». Non ha affatto l’aria di chi si sente braccato. Messaggio ai partiti Anche nei loro confronti, il Prof comincia a muoversi con disinvoltura. Continua a lisciarli per il verso del pelo quando definisce «cosa gradita» che le forze politiche lo incalzino. Però al tempo stesso comincia a esercitare un ruolo di leadership; da uomo dell’emergenza prova a trasformarsi nel capo di una coalizione. La definisce «maggioranza innovativa», diversa da tutte quelle che abbiamo conosciuto finora perché incarna solo il top di destra e sinistra: «Il mio governo si muove in continuità con le cose migliori viste negli ultimi anni... Sulle liberalizzazioni il punto di partenza è quello del governo Prodi con il ministro Bersani nel 2006; sul contenimento della finanza pubblica, ma anche su università e semplificazioni, ci muoviamo in continuità con il governo Berlusconi e con i ministri Gelmini e Brunetta». Fibrillazioni Non vanno mai trascurate. Oltre che sulla nomina al Tg1, i partiti si guardano in cagnesco sulla cittadinanza ai figli degli immigrati (soprattutto Fini vorrebbe accordarla, il Pdl fa muro) e, inevitabilmente, sulla giustizia. Voci dal centrodestra prevedono burrasche politiche nel caso in cui il Cavaliere venisse condannato per Mills l’11 febbraio prossimo. Bersani e il Pd, dichiarandosi favorevoli a una riforma della giustizia, si collocano intelligentemente ai margini del ciclone in arrivo; ma dentro il Pdl la guerra con le «toghe rosse» darà una mano al fronte degli esagitati, quelli che cercano pretesti per «mandare a casa il governo». L’altra notte a Palazzo Grazioli, dopo una lunga e un po’ lugubre celebrazione dei 18 anni di Berlusconi in politica, le anime del partito si sono nuovamente scontrate. Alfano ha imposto un cessate il fuoco, promettendo però che «entro 10 giorni decideremo che fare». Dopo il Porcellum... Cresce nei due maggiori partiti la voglia di intendersi su un sistema misto, un po’ tedesco e un po’ spagnolo. Ceccanti (Pd) ha depositato una proposta di legge al senato, Quagliariello (Pdl) la trova okay. Molto in soldoni, è un sistema che premia i partiti maggiori. I piccoli ottengono meno seggi di quanti ne dovrebbero avere in proporzione ai voti, invece i grandi ne ricevono di più. È lecito dubitare che un sistema siffatto possa piacere ai centristi. Difatti Casini non ha fretta, della legge elettorale (dicono all’Udc) si può discutere con calma più in là. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440181/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, contrattacco per smarcarsi dalla Lega Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2012, 10:58:19 am Politica
06/02/2012 - CENTRODESTRA FINE DI UN’ALLEANZA Berlusconi, contrattacco per smarcarsi dalla Lega L'ex premier: «Dobbiamo dialogare con il Pd. E non solo sulla legge elettorale. Bisogna lavorare con loro anche sulle altre riforme» Cerca la sponda col Pd sulle regole elettorali, via alle consultazioni UGO MAGRI Roma Berlusconi scodella in un’intervista (a «Libero») quanto andava sostenendo da qualche giorno nel conciliaboli di partito, con tutti che gli dicevano «Silvio, vacci piano con questi discorsi...». Piano, perché il Cavaliere è arrivato alla convinzione che la salute della Repubblica passi attraverso un’intesa tra Pdl e Pd. Vale a dire con gli odiati «comunisti» per i quali prova adesso una sorta di innamoramento. Non è la prima volta. Anche nel 2006, subito dopo la striminzita vittoria elettorale di Prodi, Berlusconi aveva teso la mano, salvo ritirarla due anni dopo, quando in sella ritornò lui. La novità dell’intervista, raccolta da Salvatore Dama, consiste nel tono alto, quasi una palingenesi per la democrazia italiana, tale da far esclamare l’exministro Rotondi: «Berlusconi ragiona da statista!». Il senso è: governare con queste regole è una tragedia, quindi «tornare a Palazzo Chigi con l’attuale architettura istituzionale sarebbe inutile»; meglio lanciare in pista Alfano, «giovane bravissimo». Il dialogo con Bersani & C serve a rimettere il Paese sulle gambe, «bisogna lavorare con loro sulle riforma istituzionale». Anche sulla giustizia? «Perché no», conferma Berlusconi, «in fondo 40 loro deputati hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati...». E’ uno scenario da «governissimo»: non adesso, perché alla guida del governo c’è Monti, il quale «è molto bravo». La prospettiva rigurda un domani ancora tutto da costruire. E non a caso la precisazione «soft» messa a punto da Bonaiuti, portavoce del premier, ridimensiona l’intervista a ragionamento «sul filo del paradosso, proiettato verso un futuro non facilmente prevedibile». Insomma, nulla che riguardi il presente. In verità, un riscontro con l’oggi ci sarebbe. Berlusconi indica nella legge elettorale il terreno su cui «il dialogo non può non essere col Pd». Perché i due partiti più grossi, insieme, possono rimettere tutti gli altri al posto loro. Attualmente il voto degli italiani «si disperde tra una miriade di sigle» che elenca: la sinistra radicale di Vendola, i grillini, Di Pietro, i Radicali, Fini, l’Udc di Casini, la Lega... Tutti guastafeste che confondono le idee alla gente, difatti «il 46 per cento non sa chi votare e se andare a votare». Per questo, butta lì, «sarebbe opportuno alzare la soglia di sbarramento». Berlusconi la immagina parecchio in alto; talmente lassù, che nemmeno Casini ci potrà arrivare. I centristi dovrebbero preoccuparsi, invece col segretario Udc Cesa rispondono un filo sfottenti (bene, bravo, finalmente pure il Cavaliere «capisce che i comunisti non esistono più»). Sono sereni in quanto Bersani non ha intenzione di reggere il sacco all’uomo di Arcore. Il segretario Pd è già di suo parecchio nervoso per le «provocazioni» subite in materia di Rai e di giustizia, ieri ha invitato il Pdl «a darsi una regolata». Addirittura, l’uscita di Berlusconi pare abbia permesso a Bersani di guadagnare punti con Casini promettendo che la riforma elettorale sarà rispettosa del Terzo Polo, con cui il Pd si vorrebbe alleare. Cicchitto, capogruppo berlusconiano alla Camera, è corso ai ripari sostenendo che pure il Pdl vuole tanto bene ai centristi, con loro vorrebbe costruire addirittura un soggetto politico insieme. Ma l’intervista a «Libero» rischia di danneggiare pure l’iniziativa importante che verrà sviluppata in settimana da Quagliariello e da La Russa: vere e proprie consultazioni sulla riforma del Porcellum, a partire da domattina con la Lega e nel pomeriggio con il Pd. I due esponenti Pdl non sottoporranno alcuna proposta specifica, tenendo la porta aperta a tutte le soluzioni, pur privilegiando il modello spagnolo. Se sotto sotto puntavano a qualche intesa privilegiata con il Pd, in danno di tutti gli altri, Berlusconi ha reso scoperto il gioco. A questo punto nessuno ci cascherà più. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441321/ Titolo: UGO MAGRI Casini: "Governo di armistizio per altri 5 anni" Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2012, 11:23:49 pm Politica
07/02/2012 - RIFORME LE REGOLE DEL VOTO Casini: "Governo di armistizio per altri 5 anni" Pierferdinando Casini pensa che il governo tecnino resterà ancora in carica per altri 4 o 5 anni Legge elettorale, al via le consultazioni del Pdl C’è l’ipotesi di un vertice tra tutti i capigruppo UGO MAGRI Roma Nel Pdl cercano di riparare i danni causati dal Cavaliere con le sue profferte nei confronti dei «comunisti». Non erano fatte, giura Cicchitto, per fare ingelosire Bossi o Casini. Il quale Casini fa mostra di infischiarsene: se Berlusconi crede di spaventarlo con una soglia di sbarramento elettorale esagerata, lui accetta la sfida perché tanto nel 2013 «contiamo di avere la maggioranza relativa...». E comunque, mica si voterà per cambiare governo, «chi pensa che Monti possa risolvere i problemi in un anno e mezzo vive sulla luna, questa formula di armistizio deve durare 4-5 anni». Così tanto ci sarebbe da fare, che lungo la via delle riforme si rischia l’ingorgo. Per evitarlo, si va verso il chiarimento politico. Cosa fare? E come? E con chi? Per iniziativa del Pdl i partiti cominceranno a parlarne, nuova legge elettorale ma non solo, in un round di colloqui nelle sale dell’Hotel Nazionale e dell’Hotel Minerva (un tantino più accoglienti delle botteghe politiche). Quagliariello e La Russa vedranno oggi le delegazioni della Lega e del Pd. Domani, Terzo Polo e Sel. Sapremo giovedì, dopo gli ultimi colloqui con la Destra e (forse) con l’Idv, se si sarà registrato qualche passo da tramandare ai posteri. Nel frattempo scendono in campo i presidenti delle due Camere. Fini e Schifani debbono stabilire in fretta dove indirizzare le riforme, nell’uno o nell’altro ramo del Parlamento. La questione è delicata, senza una decisione concorde può divampare la guerra, «questa è materia mia, no è mia»... Prende corpo in queste ore l’idea di un vertice, tutti i capigruppo di Montecitorio e di Palazzo Madama che si riuniscono insieme per mettere qualche punto fermo. Fini ne ha ragionato con Schifani, alla luce di una richiesta formulata giorni addietro dal Pd, e pare che il summit possa tenersi in tempi abbastanza brevi. Sarebbe un semaforo verde importante perché, scommette Della Vedova (Fli), «una volta messo in moto, il motore delle riforme stavolta non si ferma più». Non si spegnerà in quanto, spiega il presidente dei deputati Pd Franceschini, «sta maturando una generale consapevolezza: se il Parlamento non facesse nulla, pur avendo un anno davanti, darebbe una prova drammatica di impotenza». Sarebbe il colpo di grazia alla politica. A rigor di logica, l’intera materia delle riforme dovrebbe essere appannaggio del Senato. Così perlomeno fu deciso nel 2008, all’inizio delle legislatura. In quel momento, però, di cambiare il Porcellum non si parlava nemmeno; successivamente, una trentina di proposte per rimpiazzarlo con altri sistemi elettorali si sono ammucchiate sul tavolo di Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali. A quel punto è apparso chiaro che non si può cambiare il sistema di voto se, prima, non viene fissato il numero dei parlamentari (oggi sono troppi), e se non si impedisce che le due Camere continuino a pestarsi i piedi a vicenda. Insomma, la riforma elettorale porta con sé quella istituzionale. Col risultato che ora c’è troppa carne al fuoco, il Senato da solo non ce la farebbe mai a cucinarla tutta da solo, Schifani ne è ben conscio: occorre ripartire i compiti con la Camera. Fini è impegnato a trovare la soluzione. Tra l’altro, questo confronto sull’architettura dello Stato lo colloca al centro esatto della scena politica da adesso in avanti. Non va dunque letto in chiave ironica il suo plauso a Berlusconi, che «ritiene il Pd un interlocutore di primaria importanza per un’eventuale riforma della legge elettorale»: la nuova fase può riservare grandi sorprese politiche. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441484/ Titolo: UGO MAGRI Riforme e lavoro, sette giorni decisivi Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2012, 04:27:58 pm Politica
20/02/2012 - IL PUNTO POLITICO Riforme e lavoro, sette giorni decisivi Bozza costituzionale e articolo 18. La maggioranza prova a chiudere prima della campagna elettorale UGO MAGRI Roma In settimana la maggioranza proverà a chiudere quel poco (o quel tanto) di intese messe in cantiere. Si registra nei tre maggiori partiti una certa fretta, perché dai primi di marzo in poi la politica sposterà tutta l’attenzione sulle prossime amministrative, la campagna elettorale prenderà il sopravvento, ed è piuttosto difficile che forze politiche in concorrenza vogliano stipulare accordi proprio alla vigilia del voto… Quindi dobbiamo attenderci che la bozza di riforma della Costituzione, cui stanno lavorando gli “sherpa” nella distrazione generale, venga definita nei dettagli entro la fine del mese, in modo che l’iter parlamentare incominci prima del peggioramento meteo-politico. Qualcuno dei protagonisti sostiene che un testo nero su bianco sarà pronto già in settimana. Discorso analogo per quanto riguarda i temi del lavoro: cresce nei partiti l’aspettativa che i primi giorni di marzo possano rappresentare l’ora della verità. Se la decisione del governo su articolo 18 e dintorni dovesse tardare, per le varie anime della maggioranza impegnate nei comizi sarebbe ancora più duro accettarla. Quindi aspettiamoci sette giorni di frenetici negoziati sopra e sotto il banco. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443239/ Titolo: UGO MAGRI: Il silenzio del Pdl sull'art.18 per avere garanzie su Rai e giustizia Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2012, 11:25:14 am Politica
23/02/2012 - LAVORO Il punto: Il silenzio del Pdl sull'art.18 per avere garanzie su Rai e giustizia L'asse Berlusconi-Monti regge: nessuna polemica con i democrat in cambio di una doppia apertura sui temi più cari al Cavaliere UGO MAGRI Roma A riprova degli ottimi rapporti tra Monti e il Cavaliere (che ieri è stato ospite del premier a colazione), si segnala l'atteggiamento del Pdl sull'articolo 18. Anziché seguire i propri istinti belluini, il partito di Berlusconi sta facendo l'unica cosa che può essere di aiuto al governo in questo frangente: stare fermo e zitto. Perché qualunque cosa faccia o dica, avrebbe come effetto sicuro quello di infiammare una trattativa dall'esito ancora incerto. Si immagini quale immenso putiferio sarebbe scoppiato se Silvio, uscendo da Palazzo Chigi, avesse ripetuto le parole della Marcegaglia sui sindacati che proteggono ladri e fannulloni: qualunque modifica alla disciplina sui licenziamenti si sarebbe subito trasformata (agli occhi di Camusso, Fassina e di mezzo Pd) in un cedimento intollerabile alla destra berlusconiana. Per cui davanti al desco imbandito dalla signora Elsa, il Cavaliere si è limitato a condividere la battaglia della ministra Fornero, senza infierire contro Bersani. In cambio della complice prudenza, tuttavia, Berlusconi ha lasciato sul tavolo di Monti un paio di piccole cambiali politiche. Una è la «governance» Rai, in quanto non è chiaro che cosa accadrà tra un mese quando il vertice di Viale Mazzini verrà a scadenza; l'altra è la giustizia, vecchio pallino dell'uomo di Arcore. Su entrambe le questioni, il Cavaliere pretende garanzie: la tivù pubblica deve restare sotto il controllo dei partiti, la Severino farebbe bene a ricominciare il pressing nei confronti dei magistrati... Se Monti ha firmato o no le due cambiali, lo capiremo meglio nei prossimi giorni. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443687/ Titolo: UGO MAGRI Il punto: Monti l'equilibrista resiste al pressing dei partiti Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2012, 05:04:17 pm Politica
24/02/2012 - Il punto: Monti l'equilibrista resiste al pressing dei partiti Il premier deve chiudere in fretta i cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro) se non vuole rischiare di sbilanciarsi Ugo Magri Roma Un effetto perverso delle Amministrative dietro l'angolo è che Monti viene costretto a barcamenarsi. Intendiamoci: il premier vi provvede con stile; sempre si sforza di interpretare, come stella polare, gli interessi generali; inoltre pone dei limiti invalicabili alle richieste di questo o di quello. Però la sensazione generale è, appunto, di una crescente pressione dei partiti sull'esecutivo dettata da calcoli elettorali, nonché di uno sforzo del Professore per evitare di sbilanciarsi e cadere. La politica, del resto, è una scienza esatta. A ogni spinta, ne corrisponde un'altra dal segno uguale e contrario. Due giorni fa il Cavaliere aveva fatto irruzione a pranzo dal presidente del Consiglio, sottoponendogli i temi a lui cari (televisioni, giustizia). Inoltre Berlusconi aveva trasmesso l'idea di un'intesa destinata a proiettare Monti ben oltre il 2013, magari fino al 2018, sotto la sua ala protettiva. Il precario equilibrio su cui poggia il governo ne è risultato compromesso. Dunque nessuna sorpresa che, al fine di ristabilirlo, prima Rutelli a nome del Terzo Polo, e poi lo stesso Bersani, abbiano sentito il bisogno di colloquiare vis-à-vis con il presidente del Consiglio. Certe vere o presunte concessioni strappate dal Pdl sul decreto liberalizzazioni sono state immediatamente compensate da promesse di più intenso dialogo sulla riforma del mercato del lavoro. Stessa storia sulla «governance» Rai. La morale, sempre che ve ne sia una, qual è? Che Monti deve affrettarsi a chiudere i due cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro). Perché quanto più la scadenza di maggio sarà vicina, tanto più la campagna elettorale gli renderà difficile mantenersi in equilibrio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443861/ Titolo: UGO MAGRI Riforme, stretta sulla bozza: meno onorevoli, più poteri al premier Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2012, 05:31:42 pm Politica
28/02/2012 - LA GIORNATA POLITICA Il punto- Riforme, stretta sulla bozza: meno onorevoli, più poteri al premier Bocchino, insieme a Violante, Quagliarello e Adornato è uno dei quattro saggi della maggioranza che lavora al pacchetto riforme I saggi della maggioranza limano il testo che entro dieci giorni sarà sul tavolo dei leader: resta fuori soltanto la nuova legge elettorale UGO MAGRI Roma Entro stasera, al massimo domani mattina, la bozza delle riforme costituzionali sarà completa. Mancano solo certi dettagli, e i quattro «saggi» della maggioranza (Violante, Quagliariello, Bocchino e Adornato) si vedranno apposta per queste ultime limature. A quel punto il testo finirà sul tavolo dei rispettivi leader, i quali avranno dieci giorni di tempo per soppesarne i pro e i contro. Ci saranno sicuramente altri incontri, in particolare diamo per certo che riservatamente prima o poi si riuniranno «A, B e C» (Alfano, Bersani e Casini) per discuterne tra di loro. Ma il clima di condivisione è tale che, al momento, i «saggi» si lanciano in una scommessa: a metà marzo la riforma sarà «incardinata» nella commissione Affari costituzionali del Senato. Cosicché, volendo, entro fine anno potremmo avere una seconda parte della Carta repubblicana riveduta e corretta. Meno onorevoli sebbene ancora tanti (500 deputati e 250 senatori), più poteri al capo del governo (potrà sostituire i ministri, chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere, pretendere l'approvazione dei provvedimenti a data certa), basta andirivieni delle leggi tra Montecitorio e Palazzo Madama (una sola «lettura» salvo espressa richiesta dell'altro ramo del Parlamento), sfiducia costruttiva come in Germania (in queste ore i saggi cercano di inserire qualche congegno anti-ribaltone). Resta esclusa per ora la legge elettorale. Non che manchi una base di intesa: tutti i protagonisti ammettono che si potrebbe andare agevolmente verso un sistema misto, un po' spagnolo e un po' tedesco. Ma prima di legarsi le mani reciprocamente, i partiti della maggioranza aspettano di capire se e come abbandonare il «Porcellum» sulla base - si capisce - delle proprie convenienze. Contano di scoprirlo tra un paio di mesi, alle prossime elezioni amministrative: sarà l'ultima occasione per misurare sul campo, e non solo sulla base dei sondaggi, lo stato di salute dei partiti. A quel punto ciascuno si farà bene i suoi calcoli e dalla teoria (forse) passeremo alla prassi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444362/ Titolo: UGO MAGRI Riforme, la vera rivoluzione di Monti Inserito da: Admin - Febbraio 29, 2012, 04:38:19 pm Politica
29/02/2012 - il punto politico Riforme, la vera rivoluzione di Monti Come potranno i partiti ricandidare mezze figure e riproporre i vecchi modelli conflittuali se partiranno liberalizzazioni, lotta all'evasione, modifiche della Costituzione? Ugo Magri Roma Dunque, anche le liberalizzazioni stanno imboccando la via che porterà il governo Monti a marcare un ulteriore successo: dopo la manovra anti-crisi varata a dicembre, che ha consentito di alleggerire lo spread, si allenta pure la stretta sull'economia di corporazioni e interessi coalizzati. L'aspetto politicamente di maggior rilievo è che pure questa riforma marcia ora più spedita con il voto dei tre maggiori partiti. Non sono mancate le tensioni, certi compromessi sono stati una vera sofferenza; tuttavia in qualche passaggio la regia congiunta dei partiti ha addirittura permesso di migliorare il testo governativo, cosicché il risultato finale sta comodamente nell'alveo del riformismo possibile. Aspettiamoci ora che qualcosa di molto simile possa accadere per la riforma del mercato del lavoro (dove si registrano i primi timidi segnali di convergenza), e ancora di più sulle modifiche alla seconda parte della Costituzione. Sempre con il concorso di forze politiche fino a quattro mesi fa alternative, costrette dalle circostanze alla ricerca di un minimo comune denominatore. Ciò deve fare riflettere in prospettiva. Se dovesse proseguire fino al 2013 una collaborazione, sia pure dettata dall'emergenza, capace di rimettere ordine nella finanza pubblica, nella lotta all'evasione fiscale e alla disoccupazione, di riscrivere la Carta repubblicana nei suoi passaggi chiave e nientepopodimeno che la nuova legge elettorale, se insomma tutto questo dovesse avverarsi, non sarebbe semplice per i partiti tornare a proporre come se nulla fosse modelli politici conflittuali, alleanze sbilanciate verso le estreme o comunque fondate sulla reciproca delegittimazione. Non è tutto: nella scelta del personale politico candidato a governarci, solo personalità dotate di competenza e spessore morale potranno scendere in campo per i partiti, non più mezze figure che risulterebbero, nel confronto con i «tecnici», del tutto inadeguate. La vera «rivoluzione», forse, sta proprio qui. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444502/ Titolo: UGO MAGRI Riforme: arriva il Senato "federale" Inserito da: Admin - Marzo 02, 2012, 10:56:32 am Politica
01/03/2012 - il punto politico Riforme: arriva il Senato "federale" I quattro "saggi" che lavorano alle riforme costituzionali prevederebbero per le due Camere competenze diverse: a Palazzo Madama le Regioni a Montecitorio lo Stato centrale Ugo Magri Roma Niente comunicati ufficiali, zero conferenze stampa. Anzi, bocche cucite perché qualunque squillo di tromba manderebbe a monte il progetto. Che adesso è nero su bianco, sotto forma di articoli, pronto per essere consegnato forse già stasera ai leader della maggioranza. Si tratta della riforma costituzionale, cui stanno dando gli ultimi ritocchi (corrette formulazioni giuridiche) i quattro «saggi» incaricati dai rispettivi partiti: Violante per il PD, Quagliariello per il Pdl, Adornato per l'Udc, Bocchino per Fli. Forse per sviare l'attenzione, il «mantra» dei saggi è che non vi sono rivoluzioni rispetto a quanto della bozza già si sapeva. Dunque più poteri al presidente del Consiglio, meno deputati e senatori, basta sovrapposizioni tra Camera e Senato. In realtà, sottovoce un «saggio» confida che qualche novità ulteriore dobbiamo aspettarcela, anzi nemmeno da poco. Pare che questa novità riguardi il bicameralismo e rimetta ai segretari dei partiti la scelta finale. La proposta nota, tra virgolette, consisterebbe nel far vestire ai presidenti delle due Camere i panni di vigili del traffico legislativo. Si riunirebbero per decidere, ogni tot mesi, di che si occuperebbe Montecitorio e di che Palazzo Madama. A quel punto una legge approvata in un ramo del Parlamento potrebbe essere richiamata nell'altro ramo solo in casi straordinari. Col risultato di guadagnare tutti quanti un bel po' di tempo. L'alternativa di cui invece ancora non si sapeva è ben più raffinata. Consisterebbe nell'affidare al Senato la competenza prevalente sulle materie che coinvolgono le Regioni ex articolo 117 della Costituzione, e alla Camera la competenza prevalente sugli argomenti che riguardano lo Stato centrale. Cosicché verrebbe a crearsi una ripartizione dei ruoli più in sintonia con quel poco o tanto di federalismo introdotto in Italia negli anni recenti. Ci si potrebbe appellare in buona fede al modello tedesco (piuttosto simile). Verrebbe forse in parte accontentata la Lega, che finora si è tenuta polemicamente ai margini della trattativa sulle riforme, permettendole di rientrare nel gioco. Ma soprattutto non si darebbe agli italiani la (brutta) impressione di voler mantenere due Camere a prestarsi reciprocamente i piedi solo perché non si ha sufficiente coraggio per smantellarne una delle due. Che ne diranno, i segretari dei maggiori partiti? Metteranno il timbro per consentire alla riforma di iniziare in fretta il suo iter in Parlamento? Per il momento Alfano Bersani e Casini sono assorbiti dalla preparazione delle liste per le prossime Amministrative; in particolare li appassiona da morire il caso di Palermo. Ma prima o poi alzeranno la testa e si occuperanno pure dei temi, alti e nobili, che ci riguardano tutti. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444626/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi medita il grande ritorno Inserito da: Admin - Marzo 02, 2012, 11:29:31 pm Politica
02/03/2012 - IL PUNTO Berlusconi medita il grande ritorno Spunta il cartello "Tutti per l'Italia" L'ex premier scarica Alfano: "Bravo, ma gli manca un quid". Poi arriva la solita smentita UGO MAGRI Roma Gli occhi della politica oggi sono tutti puntati sul Pdl, dopo quello che ieri Berlusconi ha detto su Alfano. Descritto come un bravo figlio, al quale tuttavia mancherebbe «un quid». Battuta pronunciata a Bruxelles davanti ai giornalisti ma lontano dai microfoni, dunque destinata alla più ipocrita delle smentite. Puntuale è arrivato un comunicato di Palazzo Grazioli dove si sostiene che Silvio non ha mai neppure lontanamente pensato quanto i cronisti gli attribuiscono sul segretario del Pdl («Sosterrò Alfano alle primarie»). Precisazione inutile, perché tanto nessuno ci crede. Tutti hanno capito che le critiche ad Alfano servono per preparare il campo a un grande rientro. Il suo. È come se Berlusconi dicesse: «Siccome Angelino non mi sembra in grado, sono costretto a farmene nuovamente carico io». Se si dà retta a Ferrara e alla Santanchè, il Cavaliere avrebbe in mente l'ennesima «rifondazione», addio Pdl per lanciare in sua vece un cartello elettorale, «Tutti per l'Italia». Sono settimane che questa idea circola, tra indiscrezioni e smentite. Qualcosa di vero ci deve pur essere. Questioni interne del centrodestra? Mica tanto. Un ritorno in pista del Guastafeste metterebbe a rischio l'equilibrio politico e di governo. La sua ingombrante presenza è tale da rendere l'aria irrespirabile al Pd e allo stesso Terzo Polo. Con Alfano, Bersani e Casini possono stipulare intese: col Cavaliere non accetterebbero neppure di vedersi. Più Berlusconi abbraccia Monti, con l'intenzione dichiarata di allungargli la vita politica, e più gliela accorcia... Chi credeva di avere iniziato un capitolo nuovo, forse ha avuto troppa fretta di voltare pagina. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444761/ Titolo: UGO MAGRI Primarie con polemiche a Palermo Inserito da: Admin - Marzo 05, 2012, 04:24:12 pm Politica
05/03/2012 - IL PUNTO Primarie con polemiche a Palermo Nel Pd Bersani finisce sotto accusa Sconfitta la linea del segretario che appoggiava Rita Borsellino UGO MAGRI Roma Per una settimana hanno tenuto banco le sventure del Pdl, partito in caduta libera nei sondaggi e perfino nella considerazione del suo Fondatore. Le primarie di Palermo accendono ora i riflettori sulle disgrazie del Pd, dopo la sconfitta della candidata «ufficiale» Rita Borsellino. Aspettiamoci giorni di polemiche a sinistra e di «tiro al Bersani», contro il quale certamente si sfogheranno parecchie frustrazioni interne. E a ben vedere, il principale partito riformista italiano non scoppia di salute. Il suo male oscuro è questa distanza, che si va trasformando in un baratro, tra le scelte centrali e la realtà dei territori. Una separatezza capace di fornire puntualmente le risposte sbagliate, di determinare costanti errori nella valutazione dei candidati, per cui quelli adottati dai vertici del Pd sono sempre destinati a sicura sconfitta. In questa chiave è lecito discutere il meccanismo delle primarie e domandarsi se in fondo non stiano trasformandosi, da strumento di democrazia, in un terreno di lotte intestine. Ci si può interrogare anche sul peso crescente dell'antipolitica, che premia senza dubbio i più «arrabbiati». Ma la verità sotto gli occhi di tutti è che dalla Puglia a Milano, da Napoli a Torino, da Genova a Palermo, il gruppo dirigente del Pd mette sempre il cappello sulla soluzione perdente. Mai che ci azzecchi, una volta. A salvare Bersani, la sera del 7 maggio prossimo, quando sui tigì compariranno i risultati delle Amministrative, sarà il conto delle bandierine. Su 28 Comuni capoluogo, il Pdl ne aveva 18 e stavolta gliene resteranno ben pochi. Cosicché il Pd potrà cantare vittoria. Ma non occorre la sfera di cristallo per prevedere che ben pochi dei sindaci eletti saranno diretta emanazione del partito, e che i voti di lista subiranno un'erosione a vantaggio delle liste civiche e dei diretti concorrenti, da Vendola a Di Pietro. Insomma, il gruppo dirigente avrà ben poco di cui rallegrarsi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445070/ Titolo: UGO MAGRI E nel Pdl regna ormai il caos Inserito da: Admin - Marzo 09, 2012, 11:39:16 am Politica
06/03/2012 - il punto politico Partiti sempre più in crisi E Monti procede sereno Si aggrava il quadro dopo il voto alle primarie per il Pd E nel Pdl regna ormai il caos Ugo Magri Roma I partiti non scoppiano di salute, e ciò si sapeva. Il quadretto di queste ore aggrava la diagnosi. Bersani è tornato nel tritacarne per il «caso Palermo», gli viene fatto carico di una candidatura alle primarie (Rita Borsellino) in contraddizione con l'alleanza regionale in Sicilia; ma soprattutto gli si rimprovera, dentro il Pd, una rotta incerta per quanto riguarda le alleanze future (con Di Pietro e con Vendola? con il Terzo Polo? con gli uni e con gli altri?). Da qualche settimana i sondaggi segnalano piccole smagliature, la marcia verso quota 30 per cento sembra temporaneamente rinviata. A destra, di male in peggio. Da quando al Cavaliere è tornata la voglia di fare politica, nel Pdl regna il caos. Da segnalare una risposta molto dignitosa di Alfano, che nei giorni scorsi era finito nel mirino del Leader, a una domanda proprio su Berlusconi: «Ho chiaro che il compito delle persone serie e oneste sia di svolgere quello per cui sono state chiamate...». Della serie, io vado avanti per la mia strada. Però su di lui pende una puntata di Porta a porta, due ore domani sera di domande e risposte al Cavaliere, da cui può venir fuori la qualunque sul partito, sul governo, sull'Italia. A descrivere la condizione della Lega bastano (e avanzano) le parole fuori misura di Bossi sul presidente del Consiglio. La faida interna con Maroni è ancora lontana dall'epilogo. E in fatto di discordie intestine, guai a sottovalutare quelle del Terzo Polo. Per quanto ben mascherate all'esterno, le relazioni tra Rutelli, Fini e Casini (tre galli nello stesso pollaio) risultano tutt'altro che prive di tensioni. I leader dei partiti non sembrano neppure in grado di tenere la riunione conclusiva sulle riforme costituzionali, dove la bozza sarebbe pronta e solo da licenziare: se ne parla, se ne ragiona, ma nessun appuntamento risulta ancora fissato. Ci sono grane più urgenti, le liste per le amministrative, le mille beghe locali... Il risultato è che per il momento Monti non ha nulla da temere dalla sua strana maggioranza. E se continua così, a Palazzo Chigi metterà le radici. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445249/ Titolo: UGO MAGRI Monti si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale Inserito da: Admin - Marzo 16, 2012, 04:49:09 pm Politica
16/03/2012 - IL PUNTO POLITICO Ma la maggioranza c'è, eccome Monti si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale C'è un accordo sostanziale su giustizia e articolo 18 Ugo Magri Roma Ricapitolando. In quattro mesi si sono messi d'accordo sulle misure anti-crisi, su quelle per lo sviluppo, sulle liberalizzazioni, sulle semplificazioni. Alla lista delle intese già raggiunte tra «A-B-C» ( Alfano, Bersani, Casini) stanotte se ne sono aggiunte altre due, che sono: il lavoro comprensivo di articolo 18 sui licenziamenti, e un'agenda di riforme impegnative sulla giustizia. Per il momento è rimasta fuori dai patti la Rai, dove si lotta per le poltrone agli amici e agli amici degli amici. Ma perfino su questo si annuncia prossimamente un vertice chez Monti, dove tutto lascia pensare che qualche arrangiamento verrà trovato. Resterà l'attuale «governance» della tivù pubblica, in compenso il premier bilancerà le nomine con mano sapiente in modo da non deludere nessuno. Il Professore si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale del termine. Per cui viene da chiedersi come mai Alfano e Bersani (non Casini, almeno in questo più schietto) rifiutino di considerare «politica» una maggioranza dove la condivisione è praticamente su tutto, compresi quegli argomenti tabù che per anni erano stati terreno di battaglia. La risposta ha a molto che vedere con le scadenze elettorali delle Amministrative, tra neppure due mesi, e delle Politiche, tra 12 suppergiù. I partiti si sforzano nei limiti del possibile di tener vive le differenze agli occhi degli elettori e delle rispettive tifoseria, altrimenti verrebbero meno le ragioni per sostenerli. Attendiamoci dunque che l'accordo di stanotte sulla giustizia venga seguito oggi da puntualizzazioni, prese di distanze, distinguo. Idem sull'articolo 18. Ma la «road map» è tracciata. E a mano a mano che Monti farà strada, sarà sempre più difficile per i tre partiti negare la realtà di una consonanza sostanziale sul da farsi. Dal che possono derivare grandi e imprevedibili conseguenze sul piano politico. Prepariamoci tra un anno a uno scenario tutto cambiato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446669/ Titolo: UGO MAGRI Lavoro, la riforma giunta da lontano Inserito da: Admin - Marzo 19, 2012, 10:39:05 pm Politica
19/03/2012 - il punto politico Lavoro, la riforma giunta da lontano Ugo Magri Roma Due o tre circostanze possono aiutare a orientarsi nella convulsa fase finale della trattativa con le parti sociali (oggi gli ultimi contatti tra sindacati e governo in vista del match finale domani pomeriggio a Palazzo Chigi). Primo: la riforma Fornero non spunta dal nulla. è la traduzione in italiano di una direttiva che ci viene dall'Europa. Più precisamente, dalla Bce che sollecitò una maggiore flessibilità in uscita nel nostro mercato del lavoro già ai tempi del Cavalier Berlusconi. Il richiamo era contenuto nella famosa lettera nella quale aveva ottenuto consiglio da Draghi e da Trichet, sperando di ricavarne una ricetta alternativa a quella di Tremonti. Gli dissero chiaro e tondo di intervenire sulle pensioni (ha provveduto Monti) nonché, appunto, sul nodo dei licenziamenti. Secondo: fin dalle dichiarazioni programmatiche in Parlamento, il Professore non ha mai fatto mistero di voler applicare il diktat europeo. Ancora più esplicita è stata la ministra del Welfare, attraverso quelle che sulle prime potevano sembrare gaffe, e cosi sembrarono perfino in altissimo loco, in realtà corrispondevano alle vere intenzioni del presidente del Consiglio. Ribadite non più tardi di giovedì scorso durante il vertice con i segretari dei partiti. Terzo: dinanzi alla impuntatura del sindacato, quantomeno di Cgil e Uil, i leader della maggioranza e Bersani in particolare possono senz'altro chiedere a Monti di rendere meno drammatico lo scontro finale, evitando risposte punitive nel caso di mancato accordo. Lo stesso governo in fondo non ha interesse a scatenare un'ondata di protesta sociale tale da rendere inutili i benefici che una riforma dell'articolo 18 probabilmente avrebbe sull'andamento dello spread. Ma al netto di tutto ciò, i partiti non possono fare altro che caricarsi delle proprie responsabilità. Una volta spesa tutta l'influenza di cui sono capaci al fine di trovare un minimo comune denominatore, l'ultima disgrazia per la politica (già così depressa agli occhi degli italiani) sarebbe quella di mollare Monti al proprio destino. Anche solo per una questione di dignità, un esito così traumatico sembra al momento improbabile. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446994/ Titolo: UGO MAGRI Cresce il malcontento nel Pd Inserito da: Admin - Marzo 21, 2012, 04:59:22 pm Politica
21/03/2012 - IL PUNTO Ora la Rai diventa un campo di battaglia Cresce il malcontento nel Pd UGO MAGRI Roma L'accordo mancato provoca nel Pd un fortissimo maldipancia. È sensazione diffusa tanto ai vertici quanto alla base che le politiche di Monti, e specialmente il suo modo rigido di amministrarle, stiano facendo pagare al partito un prezzo politico troppo elevato. Prima lo «strappo» con Cgil sulle pensioni, motivato dall'emergenza finanziaria; adesso quello, altrettanto doloroso, sull'articolo 18 e sul tabù dei licenziamenti. Con due aggravanti. Tutto questo avviene a ridosso delle elezioni amministrative, dove il Pd non ne sarà certo avvantaggiato; il presidente del Consiglio nulla ha fatto per addolcire la pillola. Anzi. Anche sull'altra sponda hanno inghiottito dei rospi. Nella prima manovra, dovettero mandar giù il ritorno dell'Ici (ora si chiama Imu) che annullava una promessa solenne del Cavaliere; sulle liberalizzazioni il Pdl nulla ha potuto per impedire che tassisti, farmacisti e altre categorie amiche finissero nel mirino del Professore. Pure nella riforma del lavoro i «berluscones» subiscono un ruvido trattamento per le piccole e medie imprese, che del centrodestra rappresentano il serbatoio elettorale. Ma sul piano simbolico non c'è dubbio che il prezzo più elevato venga pagato a sinistra. Ciò non resterà privo di conseguenze politiche. Il Pd pretenderà qualche forma di risarcimento immediato. E comunque, non potrà tollerare altre sconfitte di immagine, o che tali possano apparire agli occhi della propria gente. Sulla riforma della giustizia, per esempio; a maggior ragione sulla Rai, dove Bersani ha buttato il cuore oltre l'ostacolo promettendo che il suo partito non si renderebbe complice di un rinnovo ai vertici di Viale Mazzini che non fosse preceduto dalla riforma della «governance». È del tutto escluso che, specie in questa sua battaglia, il segretario Pd possa riscuotere comprensione da parte di Alfano. Voleranno scintille. Chi è appassionato di lotta politica, si prepari a un crescendo di polemiche arroventate. Con il presidente del Consiglio che, dopo la rottura con la Camusso, non potrà più dire: «Me ne lavo le mani». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447259/ Titolo: UGO MAGRI Riforma del lavoro: niente decreto Inserito da: Admin - Marzo 22, 2012, 04:00:35 pm Politica
22/03/2012 - IL DIBATTITO Riforma del lavoro: niente decreto Il governo sceglie la linea morbida No del Pd, dubbi sull’estensione dell’art. 18 agli statali UGO MAGRI Roma I contraccolpi del mancato accordo sul lavoro stanno mettendo sotto duro stress il governo. Per la prima volta dal Pd arrivano esplicite prese di distanze, insieme con l’avvertimento che andare avanti così proprio non si può. Manco a dirlo, dall’altra parte si schierano con Monti e contro la Cgil. Cosicché il passaggio delle prossime ore si annuncia alquanto stretto. Il presidente del Consiglio ufficialmente non ha rinunciato a varare domani la sua riforma (sebbene il tam-tam politico-sindacale ipotizzi un rinvio a quando tornerà dal lungo viaggio in Estremo Oriente). Però un conto è se presenterà questa riforma alle Camere come un «prendere o lasciare», altra cosa se il Professore si farà umile e terrà conto del futuro dibattito in Parlamento. Dal Pd un po’ gli intimano un po’ lo scongiurano di imboccare questa seconda strada, in modo da apportare con calma le correzioni necessarie, specie sull’articolo 18. Diversi segnali lasciano intendere che alla fine sarà proprio questa la scelta di Monti. Dunque niente decreto legge, che verrebbe interpretato a sinistra come una inaccettabile forzatura (lo stesso Napolitano negherebbe la controfirma). E con ogni probabilità Monti non opterà nemmeno per un disegno di legge, dove comunque andrebbe subito inserito nero su bianco il pomo della discordia legato alla cosiddetta «flessibilità in uscita» (leggi: meno vincoli ai licenziamenti). Il presidente del Consiglio sembra al momento orientato verso una legge delega. In altre parole, il governo sottoporrà al Parlamento alcuni criteri di riforma molto generali, altamente condivisibili e politicamente inoffensivi, riservandosi di definire i dettagli concreti attraverso, appunto, i decreti delegati. Che potranno arrivare in un momento successivo, per esempio una volta scavallate le elezioni amministrative di maggio. Capiremo meglio stasera, dopo la riunione tra Monti, Fornero e parti sociali. Il Capo dello Stato fa intendere che, tra tutte le soluzioni sul tavolo, lui preferisce la più dialogante. L’assedio nei confronti del premier è tale che perfino il ministro Barca (Coesione territoriale) esprime dubbi sulla nuova formulazione dell’articolo 18. Dal Pd è in atto un vero e proprio martellamento. Di prima mattina sono scesi in campo i capigruppo Finocchiaro e Franceschini per sbarrare la strada all’eventuale decreto. Più tardi ha fatto rumore uno sfogo a voce alta, in modo che i giornalisti lo udissero, del segretario Bersani con l’ex-ministro Damiano: «Se devo concludere la vita dando il via libera alla monetizzazione del lavoro, non lo faccio... Per me sarebbe inconcepibile». Più tardi il segretario è andato da Vespa a spiegare che ci sarebbero ancora margini di intesa con Cgil, qualora per i licenziamenti dettati da ragioni economiche si usasse lo stesso metro di quelli disciplinari (intervento del giudice). Ma il vero colpo di avvertimento l’ha sparato a sera Rosy Bindi, presidente del partito: «Il governo e il presidente del Consiglio vanno avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche» (altrimenti di strada se ne fa poca, è il sottinteso). E il Pdl? Con Alfano difende la riforma, «si è trovato un buon punto di equilibrio dal quale non si dovrà arretrare in Parlamento». Tuttavia nessuno pretende un decreto, al massimo viene auspicato. E quasi tutti al vertice Pdl sono ormai rassegnati alla legge delega che, sotto sotto, evita pericolose radicalizzazioni. Tra l’altro pure l’alleato leghista promette lotta dura contro la riforma. Di Pietro annuncia il ricorso alla piazza e addirittura un «Vietnam parlamentare». Intanto scoppia un caso-statali. Secondo il Dipartimento della Funzione pubblica, infatti, le nuove regole sui licenziamenti senza giusta causa saranno applicate anche ai lavoratori pubblici «poichè a loro si applica lo Statuto dei lavoratori». Quindi, in teoria anche un impiegato di un ministero, un dipendente di un Comune, di una Asl, di una Provincia o di una Cominità montana potrebbe essere licenziato, magari per motivi economici. Questa soluzione però non piace a Cgil, Cisl e Uil che ieri hanno subito alzato le barricate. Il ministero della Funzione pubblica, in um primo momento non si sbilancia e mostra cautela («valuteremo gli effetti sugli statali una volta definiti i testi») ipotizzando poi l’adozione di norme specifiche per questo comparto senza escludere esplicitamente la possibilità di licenziare più liberamente anche nel pubblico. L’ultima parola è quella del ministro Patroni Griffi che cerca di chiudere la vicenda: «Le modifiche all’articolo 18 non riguarderanno gli statali». Fine delle polemiche? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447336/ Titolo: UGO MAGRI Governo, l'incantesimo si è spezzato Inserito da: Admin - Marzo 23, 2012, 11:09:43 pm Politica
22/03/2012 - IL PUNTO Governo, l'incantesimo si è spezzato Il Pd scontento di Monti per le trattative sul lavoro UGO MAGRI Roma L'incantesimo si è spezzato, incollare i cocci sarà impresa ardua (per non dire impossibile). Sulla riforma del lavoro, il Pd ha reagito con toni di autentica insofferenza. Rosy Bindi sostiene chiaro e tondo che così non si può andare avanti. Ma neppure Bersani ieri sera da Vespa è stato particolarmente tenero. Per la prima volta da quando il governo è nato, entra in crisi il rapporto di fiducia non con questo o quel ministro, ma con Monti personalmente. Il principale partito della sinistra, partner essenziale della maggioranza, è molto scontento di come il Prof ha condotto la trattativa. Super-rigido, poco flessibile. È la brusca fine di un idillio, che genera inevitabile la domanda: quali conseguenze politiche avrà l'incidente sull'articolo 18? Già prima che scoppiasse, il Pd non sembrava granché persuaso dagli argomenti di Casini, il quale va sostenendo che l'esperienza del governo Monti è troppo utile al Paese per interromperla nel 2013. Dopo le elezioni si torni alla normale dialettica, diceva da giorni Bersani, sottintendendo che del Prof non ci sarà più bisogno. A maggior ragione lo penserà adesso, sull'onda del disincanto. Per certi aspetti, sussurrano esponenti Pd di altissimo profilo, Monti è perfino più a «destra» di Berlusconi, è un vero liberale conservatore. Tra 12 mesi sarà indispensabile, aggiungono, dirgli «arrivederci e grazie». L'ala veltroniana dovrà mettersi il cuore in pace. Capitolo chiuso. Da rivedere anche gli altri scenari di fanta-politica, tipo quelli che già scommettevano su Monti prossimo inquilino del Quirinale. Perfino condurre in porto la legislatura diventa adesso più difficile. Come contraccolpo anche psicologico dell'articolo 18, il Pd sarà portato a pretendere compensazioni su altri terreni, ogni questione in sospeso diventerà un campo di battaglia. Fino al 7 maggio la politica verrà pesantemente condizionata (in peggio) dalla campagna per le amministrative; e dopo l'estate, da quella per le politiche. Nessuno, nella strana maggioranza di governo, sarà più disposto a cedere di un millimetro. Occhio allo spread: se all'estero se ne accorgono, tornerà a salire. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447383/ Titolo: UGO MAGRI Delusi sia il Pdl che il Pd Tempi lunghi, esito incerto Inserito da: Admin - Marzo 24, 2012, 02:58:00 pm Politica
24/03/2012 - il caso Delusi sia il Pdl che il Pd Tempi lunghi, esito incerto I berlusconiani volevano il decreto, i democratici un testo più morbido UGO MAGRI Roma Sul lavoro Monti ha trovato l'equilibrio perfetto, deludendo tanto gli uni quanto gli altri. Il Pd resta furente sulla sostanza (licenziamenti più facili); il Pdl perde le staffe sul metodo (disegno di legge senza urgenza). Il risultato è un destino incerto: anzitutto per la riforma. A credere che in Parlamento verrà approvata, non sono così tanti. Le Commissioni diventeranno un bazar, l'Aula un «Vietnam» (promette Di Pietro). Se per avventura il ddl arriverà in porto, ciò accadrà tra molti mesi, più facilmente dopo l'estate. E c'è dell'altro. Il cammino della riforma promessa ai mercati incrocerà tutte le varie questioni (alcune nobili altre no) su cui i partiti si stanno azzuffando, dalla Rai alla giustizia. A Monti verranno chiesti capolavori di tenacia e anche di astuzia. Da Grande Decisore, il Prof rischia di trasformarsi nel Grande Mediatore. Oggi parlerà a Cernobbio, e capiremo se la futura veste gli andrà comoda o stretta. Di sicuro, Monti non ha retto l'urto di Bersani. Il segretario è riuscito a esternare la rabbia del suo partito con una «vis» di cui certi detrattori interni non lo ritenevano in grado. Un crescendo di sarcasmi sui tecnici («molta gente può essere arrivata lì non essendo pratica della materia»), di battute corrosive («il Parlamento lo chiudiamo, così i mercati si rassicurano...»), di chiari avvertimenti («sosteniamo Monti per generosità, poi torni la politica») che poi D'Alema ha ripreso con la sua solita vena di simpatia («Monti starà qui un po', dopodiché verranno altri governi»). Bersani temeva di trovarsi davanti a un «prendere o lasciare». Vale a dire un decreto del governo seguito dal voto di fiducia in Parlamento, la procedura standard di questi primi quattro mesi; il suo fuoco di sbarramento è stato tutto volto a ottenere un disegno di legge, tenero e malleabile per sua natura. Nella disperata battaglia, accompagnata epicamente dai giovani del Pd con il coro di «Bella ciao», il segretario ha trovato supporto in Fini, che a tu per tu con Monti l'altro ieri aveva consigliato di non insistere col decreto, laddove invece Schifani ha sostenuto pubblicamente il contrario, seconda e terza carica dello Stato su opposti fronti. Rutelli, in sintonia con Fini, ha bastonato l'ipotesi di decreto; però sotto sotto Casini, che del Terzo polo è il leader, sarebbe stato abbastanza a favore del provvedimento d'urgenza, in modo da calare in fretta il sipario e guardare oltre; Bocchino, d'accordo con Pier ma una volta tanto in dissenso da Gianfranco, ha suggerito a Monti la linea dura. Insomma, confusione totale. Fino a quando Napolitano ha chiuso i giochi. E' parere unanime che l'ultima parola sia stata del Presidente; forse anche la prima, giacché Napolitano ha sempre perorato in pubblico e privatamente le ragioni del dialogo coi sindacati, Cgil compresa. Ieri mattina non ha fatto che ribadirle quando con una mano ha sostenuto Monti («è una riforma da fare»), con l'altra lo ha quasi sospinto lungo la strada del ddl («in Parlamento si confronteranno preoccupazioni e proposte»). Forse era proprio ciò che il Professore desiderava. In partenza a sera per Milano, veniva descritto dai suoi come «stanco ma soddisfatto». A riprova di quanto cangiante sia la politica, l'alta tensione si è spostata da sinistra a destra. Fino a metà pomeriggio i «berluscones» non stavano nella pelle dal godimento, che spettacolo ai loro occhi la rivolta del Pd contro i «tecnici»... Quando invece da Palazzo Chigi è arrivata notizia del «cedimento», cioè non sarà decreto ma ddl, tutta l'ala capitanata da La Russa, quella che preferisce perdere le elezioni subito anziché languire un anno nel limbo, si è lanciata all'assalto con furore. Non si è associato però, si badi bene, il segretario Alfano. In questi giorni mai, dalla sua bocca, era uscita la parola «decreto». Solo un paio di polemiche da caffè, proprio il minimo sindacale. Angelino sa che l'articolo 18 non è il terreno ideale su cui dare battaglia. Metà degli elettori Pdl è terrorizzata dai licenziamenti facili; la Lega scatenata contro. Per dare retta ai suoi «falchi», il segretario dovrebbe farsi insultare da Bossi sulle piazze del Nord. Quanto a Berlusconi, la parola «licenziamenti» non gli è mai piaciuta. E comunque, sussurrano dalle sue parti, da una trattativa serrata può venir fuori qualcosa di buono per lui, sulla giustizia o sulle tivù, buttalo via... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447628/ Titolo: UGO MAGRI Il vertice A-B-C salva le apparenze Inserito da: Admin - Marzo 28, 2012, 03:08:11 pm Politica
28/03/2012 - IL PUNTO Il vertice A-B-C salva le apparenze Via libera a un'intesa al ribasso ma il voto a ottobre è più lontano UGO MAGRI Roma È presto per dire se davvero si porteranno a termine le riforme, della Costituzione e della legge elettorale. Né si può scommettere che, dopo il summit di ieri a Montecitorio, le tensioni sull'articolo 18 verranno presto smaltite. Possiamo tuttavia ragionare con certezza al contrario. Immaginando che cosa sarebbe successo se i segretari della maggioranza avessero rifiutato di incontrarsi e di dare il via libera a un'intesa praticamente già scritta, tra l'altro niente affatto ambiziosa e semmai troppo modesta, minimo comune denominatore di quanto tutti i maggiori partiti sostengono ormai da anni (riduzione del numero dei parlamentari, più poteri al presidente del Consiglio, eccetera). In quel caso sì che ne avremmo ricavato pessimi auspici per l'ultimo scorcio di legislatura. La prospettiva di elezioni prima della scadenza sarebbe diventata parecchio concreta per la soddisfazione di quanti a sinistra e a destra sperano nella rapida consunzione del governo tecnico. Viceversa A-B-C si sono visti e la prossima settimana, nelle loro intenzioni, concederanno il bis per studiare al microscopio il testo delle riforme. Giacché ci sono, magari forse ne profitteranno per ragionare più a fondo di articolo 18 e dintorni. Tradotto in concreto, cosa significa? Che scompare definitivamente dai radar la possibilità di elezioni anticipate prima dell'estate: a questo punto, anche volendo, ne mancherebbero i tempi tecnici. E per votare in autunno dovrebbe accadere l'apocalisse tra fine luglio e inizio di agosto: evento possibile ma non più probabile. Tra l'altro, il vertice di ieri ci segnala che i partiti hanno interesse a salvare quanto meno le apparenze. Vogliono offrire l'illusione ottica della concordia. Nello scontro sulla riforma del lavoro, l'autorevolezza del governo è uscita alquanto ammaccata, ma nessuno dei segretari si sente ancora abbastanza forte per scrollare il ramo e raccogliere i frutti. Potrebbe cadere l'albero, e travolgere l'incauto sotto il peso delle conseguenze. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448150/ Titolo: UGO MAGRI Alfano-Bersani-Casini, ancora fumata nera sull’articolo 18 Inserito da: Admin - Marzo 31, 2012, 10:07:53 pm Politica
31/03/2012 - retroscena Il rito dei vertici a tre Ma il vero rebus resta la riforma del lavoro Alfano-Bersani-Casini, ancora fumata nera sull’articolo 18 UGO MAGRI Roma Sette giorni fa erano tutti e tre a Cernobbio, dai commercianti; stamane eccoli di nuovo insieme, Alfano Bersani e Casini, dagli agricoltori a Taormina. Altro pubblico dibattito condotto con la solita civiltà dei toni, ciascuno conoscendo già a memoria gli argomenti e le battute degli altri due, come in ogni compagnia di giro che si rispetti. Poi, prima di ripartire, si infileranno in una stanza per quello che un tempo sarebbe stato definito pomposamente dai media «vertice di maggioranza», ma ormai è quasi affettuosa routine (di Pierluigi e di Angelino ieri Pier Ferdinando confidava cose stupende, «ho il grande privilegio di collaborare con queste due personalità importanti che dimostrano quotidianamente di tenere la barra dritta, nonostante sia nel Pdl sia nel Pd c'è chi vorrebbe tornare all’antico...»). Nemmeno è sicuro che il loro colloquio si protrarrà a lungo, tra l'altro avendo tutti i cronisti dietro la porta. Eppure, politicamente, sarà un passaggio da non perdere. C'è da riannodare il filo spezzato prima dallo scontro sull'articolo 18, poi per il grande scandalo suscitato dal giudizio di Monti sui partiti. Nessuna agenda precisa, ma i temi sono quelli lì: legge elettorale, giustizia, lavoro. Tutto si tiene per un gioco di equilibri dove nessuno può rimetterci la faccia (tra un mese si vota in 27 Comuni capoluogo). E allora, come procedere? Da dove ricominciare? Sulla riforma del «Porcellum» non sembra difficile. L'impianto è deciso, restano in sospeso un paio di questioni molto da addetti ai lavori (recupero dei resti e assegnazione dei premi) su cui non è detto che i segretari sappiano o vogliano cimentarsi. In compenso potranno decidere se rivedersi a stretto giro per chiudere l'accordo, magari a cavallo di Pasqua. Escluso che i tre litighino sulla giustizia. O perlomeno, non oggi. La miccia che prima o poi darà fuoco alle polveri è stata allungata e di tanto dal ministro Severino, la quale procederà d'ora in avanti col metodo dei colloqui separati, come usa con arabi e israeliani; dunque «confesserà» i partiti a uno a uno prima di tirare le sue conclusioni. Così è stato deciso ieri nell'incontro coi capogruppo, da cui sono uscite voci le più allarmistiche, segnali di grande tensione, come se là dentro fosse successo chissà che. Niente di tutto questo, se si dà retta al capogruppo Fli Della Vedova, persona attendibile. «E' stata una discussione molto seria e senza fronzoli, mi sembra che nessuno avesse intenzione di far saltare il banco». Il vero nodo che i leader non possono eludere si chiama lavoro. Qui la situazione è parecchio seria. Non sul piano «tecnico» dove un papocchio sempre si troverebbe, e chi se ne intende conferma che basterebbe poca scienza per venirne a capo. La difficoltà è tutta politica, per l'esattezza di immagine. Perché da una parte Bersani non può apparire come colui che cede sui diritti dei lavoratori laddove, ha denunciato ieri il segretario Pd, nemmeno si riesce a scalfire una legge come quella Gasparri sull'emittenza tivù. Dall'altra parte Monti non può uscirne, nella considerazione dei mercati e degli investitori stranieri, come un presidente del Consiglio a sovranità limitata, dal prestigio calante. Con grande sollievo è stata accolta nei Palazzi la lettera di Monti al «Corsera», garbata retromarcia nelle critiche ai partiti. Molto ci tenevano sul Colle più alto, perché al rientro del Professore lunedì dall'Asia quantomeno si potrà discutere al netto degli equivoci e, forse, senza strascichi nei rapporti personali. Ma la sostanza resta un macigno, e Monti l'ha ribadita: urge fare in fretta, senza passi del gambero. L'ipotesi di una fiducia, fin qui smentita, resta nell'aria. Cosicché le esigenze confliggono. Se vince il Prof perde Bersani, e viceversa. La stampa anglosassone (vedi il «Financial Times») già sente l'odore del sangue. La speculazione è in agguato. Come salvare capra e cavoli? La soluzione, ammette un segretario della maggioranza, ancora non è stata trovata, «per cui a Taormina bisogna che ne parliamo». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448496/ Titolo: UGO MAGRI Legge elettorale a rischio "premietto" Inserito da: Admin - Aprile 03, 2012, 05:24:57 pm Politica
02/04/2012 - il punto politico Legge elettorale a rischio "premietto" Il pericolo è quello di tenersi il "Porcellum", con i partiti che oggi hanno interessi divaricati Ugo Magri Roma L'ultimo miglio, anche nelle riforme, è sempre il più difficile. Quando si tratta di chiarire certi dettagli, ecco che la trattativa imbocca puntualmente il binario morto, e lì rimane... Sulla nuova legge elettorale il rischio c'è. Perché domenica mattina su «l'Unità» è apparsa un'intervista a Violante dove si formula un'ipotesi legata appunto ai dettagli ancora da definire. L'ipotesi riguarda il «premietto» in termini di seggi che, sulla base degli accordi già raggiunti a livello di segretari, dovrebbe essere attribuito al partito più votato. Se vince il Pdl, il premietto lo prende il Pdl, se vince il Pd lo prende il Pd e avanti così. Violante tuttavia ipotizza che questo modesto gruzzolo di seggi (ancora da definire) possa essere spartito tra il vincitore e i suoi alleati sommati insieme. O più precisamente, tra quanti hanno sottoscritto lo stesso programma nonché indicato lo stesso candidato premier. In altre parole, sarebbe sufficiente che Di Pietro accettasse di designare ad esempio Bersani quale capo del governo, accettandone il relativo programma, per sommare ai fini del conteggio i voti del Pd e quelli dell'Idv. Lo stesso potrebbe fare Vendola. Col risultato che a sinistra le chance di conquistare il premio sarebbero molto elevate. Già, perché il Pdl da quattro mesi ha rotto con la Lega; né è riuscito nel frattempo (forse mai ci riuscirà) a costruire un'alleanza con il Terzo Polo. Correndo in totale solitudine, nessuno scommetterebbe un cent sulla sua capacità di battere l'intero fronte delle sinistre coalizzato insieme; l'assegnazione del premietto non avrebbe storia. E guarda caso, letta l'intervista di Violante, il capogruppo del Pdl Cicchitto è insorto chiarendo che allora non se ne parla nemmeno, il premio deve essere conteso dai singoli partiti lasciando perdere le alleanze. Aggiungendo minaccioso: «Tutto ciò vuol dire che il confronto sul merito della legge elettorale è tuttora aperto». Sembra una questione da poco, ma non lo è affatto. In questo sottintende una diversa filosofia politica, oltre che interessi elettorali divaricati. I futuri governi della Repubblica dovranno continuare a far perno su alleanze definite in anticipo? Se la risposta è sì, vince la tesi Violante; se la risposta è no, prevale la linea Cicchitto; se la risposta al punto interrogativo è «non so», va a finire che ci teniamo il Porcellum... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448724/ Titolo: UGO MAGRI Bersani, Casini e Alfano uniti nella battaglia sull'articolo 18 Inserito da: Admin - Aprile 03, 2012, 05:28:50 pm Politica
03/04/2012 - il punto Sul lavoro Monti si ritrova accerchiato Bersani, Casini e Alfano uniti nella battaglia sull'articolo 18 Ugo Magri Rientrato ieri dall'Asia, il nostro presidente del Consiglio trova un clima diverso da come lo aveva lasciato. Per certi aspetti migliore, per altri no. Bersani si è dato parecchio da fare sulla riforma del lavoro, cosicché c'è adesso sul tavolo una sua proposta di mediazione che prevede la possibilità di reintegro per chi verrà licenziato dall'azienda in difficoltà (la Fornero resta contraria). A decidere tra risarcimento e reintegro sarebbe il giudice (altra circostanza che non piace al Prof). Casini risulta favorevole, e perfino Alfano sembra d'accordo per effetto dell'astuta mossa del segretario Pd, il quale cederebbe in cambio qualcosa sulla cosiddetta flessibilità in entrata, cui tiene in special modo il Pdl. Insomma: tornando in Patria, Monti si è trovato un piattino già pronto che, nelle intenzioni di «A-B- C», lui dovrebbe semplicemente gustare, magari asserendo che gli piace assai. Nelle prossime ore scopriremo se le cose hanno preso davvero la piega del quieto vivere. Ma sembra difficile che Monti possa rompere l'accerchiamento. Anche perché, se il capo del governo volesse impuntarsi rifiutando il reintegro e il «Lodo Bersani», nella sua maggioranza si scatenerebbe una reazione a catena. Il mancato accordo sul lavoro farebbe saltare pure le potenziali intese su Rai e Giustizia. Ne risulterebbe una maionese politicamente impazzita che non ci aiuterebbe agli occhi dei mercati. Senza parlare dei contraccolpi in termini di scioperi e di tensioni sociali. È lo strano paradosso di queste ore: pur di ottenere un articolo 18 più gradito agli investitori internazionali, Monti dovrebbe esercitare una forzatura politica che li metterebbe in fuga... Sembra improbabile che voglia spingersi a tanto. Anche perché il Professore, impuntandosi, entrerebbe in rotta di collisione non solo con i suoi clienti politici, ma soprattutto con colui che l'ha così fortemente voluto a Palazzo Chigi, nominandolo oltretutto senatore a vita: Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica non fa mistero di gradire un'intesa sul lavoro che segni un'epoca, e che nasca in un clima «costituente», sottoscritta perfino da Cgil. Potrebbe Monti negargli questo traguardo? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448898/ Titolo: UGO MAGRI Sul lavoro prove di "governissimo" Inserito da: Admin - Aprile 04, 2012, 05:08:05 pm Politica
04/04/2012 - il punto Sul lavoro prove di "governissimo" Come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno? Ugo Magri Un interessante articolo del «Financial Times» ci rammenta stamane che non siamo affatto fuori dai guai. E che i mercati saranno più sereni nei nostri confronti solo quando avranno la certezza che, dopo Monti, ci sarà Monti medesimo (o un premier il quale molto gli somigli). Addirittura argomenta, il corrispondente del quotidiano britannico, che agli occhi sospettosi degli investitori internazionali certe riforme contano meno della serietà proiettata nel tempo. Insomma, tenerci Monti pure dopo il 2013 sarebbe più importante del tasso di rigore sull'articolo 18 e sui licenziamenti... Non si può non cogliere una sintonia tra questi giudizi e il nocciolo dell'intervista di Mario Calabresi al presidente del Consiglio su «La Stampa» di oggi: chiunque lo guidi, sostiene il Prof, all'Italia serve un governissimo di lunga durata. L'accordo che si è definito stanotte sul lavoro va letto in questa prospettiva. Monti sacrifica qualcosa sul piano del rigore in cambio di più coesione sociale e politica. Non sarà contenta al cento per cento la ministra Fornero, eppure il presidente del Consiglio così dimostra che i grandi partiti possono sottoscrivere insieme non solo le misure per l'emergenza o le riforme della Costituzione, ma pure cambiamenti epocali in tema di diritti, vero grande spartiacque tra destra e sinistra d'antan. E il rimescolamento non sembra finire qui. Perché da cosa nasce cosa, un tabù tira l'altro, cosicché potrà accadere che Alfano, Bersani e Casini si accordino in breve tempo su Rai e Giustizia. Cavaliere permettendo. Ma allora è lecito chiedersi come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno, dopo avere fraternamente condiviso un passaggio così impegnativo della vita italiana. Cosa mai potrà rappresentare un discrimine? La previsione di Monti ha la forza delle profezie che si autoavverano. Tra l'altro con la pistola puntata dei mercati: casomai qualcuno facesse finta di dimenticarlo, provvederebbe lo spread a rinfrescargli la mente... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449022/ Titolo: UGO MAGRI Anche Monti consulta i sondaggi Inserito da: Admin - Aprile 09, 2012, 05:26:10 pm Politica
09/04/2012 - IL PUNTO Anche Monti consulta i sondaggi Il Professore: io avrò perso consensi, ma per quanto meno popolare il mio governo è messo meglio di "altre entità" UGO MAGRI La puntata di Monti in Medio Oriente, per giunta a cavallo di Pasqua, non sposta ovviamente i termini del dibattito in Patria. Tuttavia certi giudizi del Professore, formulati ieri sera a margine di un incontro con il presidente israeliano Peres, sono il termomentro di un cambio di passo, quantomeno sul piano dell'autostima. Il presidente del Consiglio è intimamente convinto di avere fin qui svolto un eccellente lavoro, al punto da giudicare "forse meritati" gli elogi che raccoglie durante la visita. Difende la "sua" riforma del lavoro, addirittura la definisce vantaggiosa per le imprese che la contestano. Ma le notazioni politicamente più interessanti riguardano il rapporto con i partiti della maggioranza. Monti in apparenza non è geloso del dialogo tra Alfano, Bersani e Casini; anzi, se ne attribuisce il merito, grazie al governo ci siamo messi alle spalle una stagione di bipolarismo aggressivo. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio segnala che ancora tanta, di strada, i partiti debbono percorre prima di potersi riproporre alla guida del Paese. Dice: io avrò perso consensi per effetto di misure durissime, ma per quanto meno popolare il mio governo resta comunque messo assai meglio di "altre entità" (espressione pudica che sembra riferirsi a Pd, Pdl e Terzo Polo). La battuta più rivelatrice è quella sui sondaggi. Io non dovrei nemmeno guardarli, riconosce il Prof, "però a volte capita che lo faccia", aggiunge sorridendo. Il tema del consenso, insomma, non gli è affatto estraneo. E casomai qualcuno avesse in animo di scaricarlo, Monti ricorda che sarebbe un azzardo. Perché "non sono un politico e non devo concorrere alle elezioni", è il suo leit-motiv; ma se per caso cambiasse idea, o fosse indotto dalle circostanze a cambiarla, allora i partiti si troverebbero un competitor parecchio agguerrito e capace di sconvolgere qualunque pronostico. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449492/ Titolo: UGO MAGRI Monti deve recuperare Alfano per sfaldare il fronte ostile Inserito da: Admin - Aprile 12, 2012, 03:37:31 pm Politica
12/04/2012 - Monti deve recuperare Alfano per sfaldare il fronte ostile UGO MAGRI Roma Se Monti non interviene in fretta, sulla riforma del lavoro rischia di saldarsi un fronte ostile. Non più solo Confindustria e la Marcegaglia: adesso pure il Pdl, col suo segretario Alfano, sembra deciso a puntare i piedi. Guarda caso, Emma e Angelino dovrebbero incontrarsi stamane. Dovrebbero, in quanto nulla è chiaro e tutto perennemente in fieri; comunque ieri sera a via dell’Umiltà erano fiduciosi che la presidentessa degli industriali avrebbe accolto l’invito, in modo da concordare insieme gli emendamenti anti-Fornero. Sarebbe una svolta politica di qualche allarme per il Prof. Perché nessuno al momento è in grado di farlo cadere, non la Marcegaglia che tra poco più di un mese concluderà il mandato, e tantomeno il partito del Cavaliere (che in caso di elezioni andrebbe incontro a una sicura sconfitta, specie con la Lega in ginocchio); tuttavia Marcegaglia e Alfano uniti nella lotta potrebbero complicare assai la vita al governo, e rendergliela quasi impossibile. Marcegaglia, secondo i collaboratori di Monti, ha già mostrato di cosa è capace scatenando la stampa internazionale contro i «cedimenti» sull’articolo 18. Le sono andati dietro giornali influenti come il «Wall Street Journal» e lo stesso «Financial Times»... Invece Alfano, volendo, è in grado di insabbiare una dopo l’altra quelle rivoluzioni che nell’ottica del Professore dovrebbero rifarci l’immagine agli occhi del mondo. Non solo la riforma del lavoro, ma pure la legge anti-corruzione, e una giustizia più spedita. Questo dicono in tono di minaccia ai vertici del partito. E aggiungono che qualora il Pdl optasse per una forma di resistenza passiva, ne avrebbe i numeri tanto in aula quanto nelle commissioni, sia alla Camera sia in Senato. Un vero muro di gomma. Abbatterlo sarebbe impossibile. Perfino nel caso in cui Monti volesse imporre il voto di fiducia, non potrebbe chiederlo per ciascun articolo in discussione (il solo testo sul mercato del lavoro ne contiene una settantina). Qualche forma di compromesso col Pdl sembra inevitabile, se il governo non vuole girare i pollici nei prossimi dodici mesi. Guarda caso, Alfano chiede udienza al presidente del Consiglio. L’appuntamento è in sospeso, ieri sera l’agenda di Monti non era definita. Nel Pdl hanno fretta, l’incontro vorrebbero che si tenesse oggi perché poi il segretario parte per la campagna amministrativa e fino a giovedì prossimo non rimetterà piede a Roma. Nessuno mette in conto che Monti possa sottrarsi al colloquio. Un po’ parleranno di Imu, un altro po’ di lavoro. Alfano aveva dato via libera alla riforma Fornero, salvo sentirsi accusare dentro il partito di non essere stato abbastanza pugnace. Per cui ha indurito i toni ed ora esige correzioni sulla cosiddetta flessibilità in entrata. Dirà a Monti che il partito è in rivolta, non si può fare altrimenti. A capo della protesta c’è Cicchitto, estensore materiale di un comunicato durissimo contro la riforma e fiero avversario di Monti da quando venne sbertucciato per la famosa telefonata a Tokyo, che impedì al premier di guastarsi gli elogi di Obama. In politica le inimicizie nascono spesso così. Potranno restare fuori dal colloquio la Giustizia e la Rai? Impossibile. Se Monti riceverà Alfano, se le ritroverà sul tavolo. Nel primo caso l’intesa è vicina. Ieri la ministra Guardasigilli Severino ha dato buone speranze a Ghedini, il legale del Cavaliere: l’anticorruzione viaggerà a braccetto con le intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati, sennò si fermerà tutto. Quanto alle tivù, il mandato di Angelino è talmente chiaro che nemmeno avrà bisogno di illustrarlo al premier. Berlusconi non vuole scherzi sulle frequenze. Dunque non si azzardi il governo a procedere per decreto, come sembra deciso a fare. Specie se l’intenzione è di levarle al Biscione... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449837/ Titolo: UGO MAGRI Alfano, Bersani e Casini collaborano tra loro, con Monti un pò meno Inserito da: Admin - Aprile 13, 2012, 11:42:21 am Politica
13/04/2012 - il punto Alfano, Bersani e Casini collaborano tra loro, con Monti un pò meno Nonostante le amministrative in vista, i tre maggiori partiti mostrano intesa e coesione. Rapporti tesi col governo tecnico Ugo Magri Si registra da qualche giorno un fenomeno politico singolare: accade il rovescio di quanto sarebbe lecito aspettarsi. Sulla carta, con l'avvicinarsi delle Amministrative (mancano tre settimane) e ancor più con le Politiche in vista (tra neppure un anno) dovrebbe schizzare alle stelle la tensione nell'ambito della strana maggioranza che sorregge il governo; secondo i manuali del machiavellismo classico, «A-B-C» sarebbero obbligati a darsele di santa ragione. E sempre in base alle teorie degli scienziati, i tre maggiori partiti dovrebbero fare a gara nel sostegno a Monti, in modo da assorbirne una po' di luce riflessa. In sintesi: pessime relazioni tra loro, ottime con il presidente del Consiglio. Si sta verificando l'esatto contrario... Sfidando le leggi gravitazionali che regolano la politica, i partiti collaborano alacremente. Grandi sforzi comuni, in queste ore, per spingere avanti e in fretta la leggina sulla trasparenza dei bilanci. Via libera definitivo al pacchetto di riforme della Costituzione. Intesa di massima sui nodi della giustizia, compresa la responsabilità civile dei magistrati e addirittura le intercettazioni. Sulla legge elettorale permane incertezza, ma è palese lo sforzo di trovare un minimo comune denominatore (lo stesso Berlusconi, dicono nel Pdl, si sarebbe convinto da ultimo a rompere gli indugi). E sulla riforma del lavoro, chiaro appare l'intendimento di non farsi troppo male a vicenda. Alfano si è ben guardato dall'esasperare le difficoltà di Bersani sull'articolo 18, ora si attende che il segretario Pd usi lo stesso garbo nei suoi confronti. Con Monti le relazioni, viceversa, appaiono un tantino tese. Almeno per quanto concerne i due più grossi partiti, è palese la freddezza nei confronti del premier. Nel Pd non sono ancora del tutto dissipate le scorie del faticoso accordo sulla flessibilità in uscita; nel Pdl cresce il nervosismo sulla flessibilità in entrata. Risulta che l'incontro di ieri tra il Professore e Alfano non sia andato nel migliore dei modi possibili. Ed è sintomatico che nessun partito abbia accolto la disponibilità governativa a intervenire con un decreto nella materia del finanziamento pubblico: segno evidente che i «Tre Moschettieri» hanno preferito fare da sé. Dei tecnici si fidano, ma fino a un certo punto e, ultimamente, parecchio meno. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450018/ Titolo: UGO MAGRI E il Cavaliere si sfoga: "Scene assurde e inventate il copione ... Inserito da: Admin - Aprile 17, 2012, 12:02:52 pm Politica
17/04/2012 - retroscena E il Cavaliere si sfoga: "Scene assurde e inventate il copione è scritto da altri" UGO MAGRI Roma Ghedini si è fatto vivo nel bel mezzo dell’udienza, con la voce scossa, anzi quasi incredula: quelle ragazze «stanno raccontando di tutto e di più», ha messo in guardia Berlusconi. Il quale a sua volta non voleva crederci, «hanno riferito ai giudici particolari assurdi, scene palesemente inventate, cose che proprio non esistono», è lo sfogo pomeridiano con gli amici. Al Cavaliere sembra tutta una follia, anzi parecchio di peggio perché nelle accuse delle «fanciulle» (così insiste a chiamarle dopo tutto quanto è successo) l’ex premier vede l’esatto contrario di un testimonianza sincera, semmai una lezioncina mandata a memoria, «come se stessero recitando il copione scritto da altri», e chi siano questi «altri» non sembra difficile immaginare. Giura di non essere preoccupato per l’esito del processo, insiste di avere lì pronti «settanta ospiti in grado di dimostrare che le mie famose cene erano distinte e gioiose», non quei festini a luci rosse che misero in fuga, scandalizzate, Imane Fadil e le altre testimoni dell’accusa. Quanto a Ruby, ostenta sicurezza: «Ho le carte per provare che ne parlai con Mubarak, gli chiesi espressamente se con la ragazza ci fosse una parentela», e l’allora presidente egiziano «non lo smentì. Tra l’altro in quei giorni «l’Italia stava mediando per la liberazione di due svizzeri detenuti a Tripoli», nel ginepraio nordafricano era meglio tenerseli tutti amici, libici, egiziani... Per farla breve, è la giustificazione quasi disperata di Berlusconi, «solo dopo scoprii che era tutta una bugia, a cominciare dalla nazionalità di Ruby, marocchina altro che egiziana. Da quel momento smisi di occuparmene». Chi parla con Berlusconi lo descrive «a pezzi», un uomo in autentica difficoltà. L’uomo, appunto, non il politico. Perché l’ex presidente del Consiglio ormai si difende soprattutto (così assicura) per salvare la reputazione ammaccata da queste «intrusioni nella mia privacy». Tornare in sella per la quinta volta è un sogno al passato. «Non mi candiderò più, come lo debbo ripetere?», ripete. Se il fine era cacciarlo da Palazzo Chigi, quasi implora, «inutile che insistano»: obiettivo raggiunto. Nello stesso tempo aggiunge: «A questo punto mi difendo solo ed esclusivamente per l’onore della famiglia, voglio tutelare i figli, i nipoti, questa macchia non deve esistere. Ho giurato che a casa mia mai si è svolto alcun atto di sesso, nulla di quello che viene detto...». Le vicende giudiziarie lo assorbivano da premier, figurarsi adesso che la politica è in mano ad altri. Risponde di rado alle telefonate da Roma, invano lo cercano per trascinarlo nelle faide interne di partito, i contatti con Monti si sono diradati. Eppure qualche idea Berlusconi se l’è fatta. Per esempio, spiega da giorni ai suoi, «temo che la riforma elettorale alla tedesca non andrà in porto perché Bersani e il Pd troveranno più conveniente andare subito alle urne dopo la debacle delle Lega, anche con questa legge». Scommette: «Vorrebbero votare in ottobre» per vincere a mani basse «con l’aiuto di Casini». E correndo da solo, non si dà pace il Cavaliere, l’Udc «dividerà il fronte moderato; se ciascuno va per conto suo, non potremo mai vincere contro la somma delle sinistre». Per cui Silvio tende a procrastinare la resa dei conti, preferirebbe che la legislatura giungesse alla naturale scadenza del 2013 e cerca di mostrarsi duttile, responsabile. «Io ci provo, evito di creare problemi sebbene il governo stia seguendo una linea troppo filo Merkel e fondata su un incremento delle tasse che aggrava la recessione». Cerca di tenere i nervi saldi, spiega, per non cadere nelle provocazioni causando il voto anticipato. «Però non tutti sono responsabili diversamente dal sottoscritto», sospira. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450408/ Titolo: UGO MAGRI L'ombra del Cavaliere sul vertice Inserito da: Admin - Aprile 18, 2012, 03:59:58 pm Politica
18/04/2012 - Retroscena L'ombra del Cavaliere sul vertice Domani Berlusconi pranza dal premier. Bersani irritato. Tregua armata sulle frequenze tv UGO MAGRI Roma Un’ora di diapositive: così è incominciato il vertice di Monti con i tre segretari. E come spesso in questi casi, grandi sbadigli perché sullo schermo non sono state proiettate belle fotografie, tipo quelle del Professore in viaggio nel Medio Oriente tra Gerusalemme e le Piramidi, bensì tabelle e diagrammi illustrati dal ministro Passera circa i possibili interventi per la crescita. Con una serie di anticipazioni del Programma per le riforme che verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri. Grande la folla di buoni propositi ma soldi per implementarli pochi, anzi praticamente zero se si dà retta alle voci da dentro. Le quali sussurrano che la discussione si è poi animata, perché «A-B-C» gareggiano nel chiedere più crescita e in fretta, dopo i sacrifici la gente vorrebbe scorgere la luce in fondo al tunnel. Quindi spingono per qualche sforzo finanziario tangibile, altrimenti il rischio è di fare solo chiacchiere. Laddove il presidente del Consiglio, spalleggiato dal viceministro Grilli, è meno preoccupato dal consenso e più dai mercati che attendono un passo falso del governo per poter dire «ecco i soliti italiani, hanno già abbandonato il rigore...». Alla fine commenti soddisfatti, almeno sulla crescita l’intesa pare sia stata raggiunta: da un incontro durato quasi sei ore, era il minimo che ci si potesse aspettare. Su tutto il resto, meglio andarci cauti. La carne al fuoco era tanta, alla fine i protagonisti sono scappati come saette, solo oggi capiremo come se la sono cavata. A cominciare da Bersani, che s’è presentato da Monti con i guantoni del pugile. Deciso a strappare qualche denaro per i Comuni, un po’ di sostegno dalla Cassa depositi e prestiti, insomma segnali concreti di stimolo all’economia perché «così le cose non vanno», dicono nel suo giro, di troppo rigore l’Italia potrebbe morire. Inevitabili le scintille con Grilli e pure una certa freddezza nei confronti del Professore. Il quale ha fatto rendere noto, sul sito del governo, un incontro fissato per domani a pranzo con Berlusconi. Addirittura, se sono vere le voci dal Plebiscito, sarebbe stato Monti a sollecitarla (sebbene pure Berlusconi non chiedesse di meglio). Misteriosi i perché. Qualcuno azzarda che il presidente del Consiglio senta puzza di bruciato, avverta il rischio di elezioni a ottobre, dunque cerchi sponde dove è certissimo di trovarle, cioè nel Cavaliere preoccupato dalla prospettiva delle urne. Però questo incontro mette doppiamente in difficoltà Bersani. Figurarsi come reagiranno nel suo partito se domani Monti farà felice Silvio sulle frequenze: chiederanno al segretario Pd che cosa è andato a fare ieri notte a Palazzo Chigi, se poi le decisioni vere Monti le prende direttamente col Cavaliere perfino su temi come l’emittenza tivù. E Bersani si domanderà a sua volta se può considerare Alfano un interlocutore , dal momento che poi Angelino viene scavalcato senza scrupoli di sorta dal fondatore di Forza Italia. Non è solo una questione di immagine. Siamo al paradosso per cui un ultrà berlusconiano come l’ex ministro Romani ha tentato ieri mattina di dettare al segretario Pdl l’agenda del vertice, creando un caso sull’asta delle frequenze e accusando il governo, Passera in particolare, di avere preso nottetempo accordi con il Pd per mettere fuori gioco Rai e Mediaset; però nel giro di Bersani si nega la circostanza, «nessun incontro con il ministro». E curiosamente perfino nello staff del Cavaliere qualcuno ipotizza che Romani abbia semplicemente voluto farsi bello col Capo, mostrandosi vigile e reattivo su una materia (le tivù) che ad Arcore notoriamente interessa. Fatto sta che, all’incontro da Monti, della questione frequenze non si è nemmeno parlato. Solo di crescita e un po’ di Giustizia per mettere il timbro ufficiale sui patti già raggiunti dalla ministra Severino con i partiti della maggioranza. E con l’avvocato Ghedini. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450617/ Titolo: UGO MAGRI Monti andrà fino in fondo ma sotto l'egida di Bersani Inserito da: Admin - Maggio 08, 2012, 04:41:57 pm Politica
08/05/2012 - IL PUNTO Monti andrà fino in fondo ma sotto l'egida di Bersani Così il voto delle amministrative cambia le prospettive dei partiti Ugo Magri Roma Visto con gli occhi stranieri, ad esempio quelli solitamente attenti del «Financial Times», il risultato delle Amministrative in Italia merita un colonnino basso a pagina 4 con il titolo «Spostamento a sinistra». Dove si annotano l'avanzare della protesta nonché le «sostanziali perdite» del Pdl berlusconiano (ma senza le esagerazioni nostrane di giudizio). E dove si registrano le difficoltà di Monti, unica cosa che in questo momento all'estero interessi. Per cui vale la pena domandarsi se davvero il Prof corre pericoli, e di che tipo. Finché a destra prevale la ragione sulla disperazione, da quella parte il governo non deve temere nulla. Berlusconi sa meglio di tutti che, se si votasse in autunno, verrebbe spazzato via. Dunque farà qualunque cosa per impedirlo diventando volta a volta concavo e convesso. Abbaierà senza possibilità di mordere nella speranza di arrivare a fine legislatura. A che gli serve guadagnare tempo? Per esempio a ricucire un blocco di alleanze con la Lega maroniana, e a capire le intenzioni del Terzo Polo, le cui ambizioni non sono state certo premiate dal voto del weekend. Le impuntature nei confronti del governo (sulle tasse e non solo) avranno sapore propagandistico, senza mai arrivare però alle conseguenze estreme. Sarà un «vorrei ma non posso». Situazione rovesciata a sinistra, dove Bersani potrebbe mettere fine all'esperienza dei «tecnici», e a sentire alcuni gli converrebbe pure; però lui non vuole giocare d'azzardo, il segretario Pd non è proprio il tipo. Inoltre lo spostamento a sinistra (nella interpretazione del «Financial Times») gli permette di farsi portare dalla corrente senza remare troppo. Potrebbe essere l'Hollande italiano. Per cui, fintanto che il governo darà retta al Pd, nemmeno da quella parte Monti avrà nulla da temere. Ma sarà sufficientemente flessibile, il Professore, da prendere atto che lo stallo politico da cui il suo governo nacque non è più tale? E che la «golden share» a questo punto ce l'ha. Il Pd? Tutto fa ritenere di si. Per cui, più che elezioni a ottobre, sembra lecito attendersi un altro anno di legislatura con Monti a Palazzo Chigi, però sotto l'egida di una sinistra che si prepara a governare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453373/ Titolo: UGO MAGRI Per la legge elettorale è tutto da rifare Inserito da: Admin - Maggio 09, 2012, 02:39:04 pm Politica
09/05/2012 - il punto La bozza non supera il test del voto Per la legge elettorale è tutto da rifare Pierluigi Bersani, leader Pd, è tornato alla proposta originale del doppio turno. Punta a trasformarsi nell'Hollande italiano Pd e Pdl pronti ad archiviare la riforma per puntare a vincere Per i centristi una doccia gelata UGO MAGRI Roma Sulla legge elettorale è tutto da rifare. Un mese e mezzo fa la riforma sembrava a portata di mano in virtù della cosiddetta bozza Violante, escogitata dall'ex presidente della Camera. Trattavasi di un mix tra sistema spagnolo (fortemente maggioritario) e modello tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento). In pratica un ritorno all'antico, alle dinamiche della Prima Repubblica con qualche sostanzioso correttivo a vantaggio dei grandi partiti. Ebbene: questa bozza di riforma non ha superato il test delle Amministrative. Né il Pd né il Pdl sembrano più intenzionati a mandarla avanti. Si sono accorti che, invece di risolvere i loro problemi, finirebbe per aggravarli. Anziché porre un freno alla proliferazione dei partiti, la riforma su cui stavano per mettersi d'accordo avrebbe avuto l'effetto di scatenare altre spinte centrifughe. E d'altra parte, a cosa servirebbe mettere una soglia di sbarramento quando i famosi buoi sono già scappati dalla stalla? Oltre a Pd e Pdl, si contano ben cinque partiti in grado di superare l'asticella: Lega, Sel, Idv, Grillo, Udc e forse pure Fli... Così non può andare, si sono detti tanto Bersani quanto Alfano. Cosicché il primo è tornato alla proposta originaria del doppio turno, nella prospettiva di incarnare tra un anno l'Hollande italiano. Quanto al secondo, non è ben chiaro su un quale modello potrebbe attestarsi (nel Pdl le voci sono tante e discordanti), ma di sicuro non gradisce più un modello proporzionale che favorirebbe la fuga degli elettori Pdl verso altri lidi. Contatti sono in corso tra i due maggiori partiti per tessere una nuova tela. Ieri sembrava addirittura che i «berluscones» fossero disposti a convergere sul modello francese, in modo da accaparrarsi gratis nel secondo turno una quota di elettorato leghista e Udc. Però il Cavaliere non si fida dei suoi «tecnici», sogna ancora di vincere e ritiene che questo sistema sarebbe più vantaggioso per gli avversari. È possibile che alla fine si trovi un compromesso su qualche variante della legge attuale, il famigerato Porcellum. Ad esempio introducendo le preferenze o i collegi al posto delle attuali liste bloccate; inoltre aggiustando il premio di maggioranza in Senato. Ai vertici dei due partiti maggiori li considerano dettagli tutto sommato secondari. L'importante, dicono, è salvare il bipolarismo. Per i centristi in particolare, si tratta di cattive notizie. Non solo sono rimasti delusi da un turno amministrativo dove avevano riposto tante, troppe aspettative. Adesso si trovano schiacciati su un governo che giorno dopo giorno perde gli iniziali connotati di popolarità; debbono competere con una folla di partiti più o meno della loro stazza; e come se non bastasse rischiano di votare nel 2013 con una legge elettorale molto diversa da quella che li aiuterebbe. Una morsa si va stringendo su Casini, Fini e Rutelli. Tra l'altro sempre meno uniti: nella campagna delle Amministrative, nemmeno un comizio insieme... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453505/ Titolo: UGO MAGRI I "falchi" di centrodestra smentiti dal Cavaliere Inserito da: Admin - Maggio 11, 2012, 12:13:13 pm Politica
11/05/2012 - il punto I "falchi" di centrodestra smentiti dal Cavaliere Ugo Magri Roma Un confuso vociare proveniente dal Pdl aveva fatto credere per tre giorni che il governo Monti fosse sull'orlo della crisi. Lo accusavano di tutto e di più, in particolare di aver preso misure incompatibili con l'elettorato di centrodestra sulle tasse in generale, sull'Imu in modo speciale. E poi di avere depresso l'economia (lamentela comune al centrosinistra). Inoltre di non avere battuto abbastanza i pugni sul tavolo a Bruxelles. Insomma, era colpa del Professore e delle sue politiche se le Amministrative erano state una mezza catastrofe... Martedì sera, in una riunione notturna da Berlusconi, quasi tutti i gerarchi Pdl avevano fatto a gara nel dare addosso al governo. Al punto da allarmare Gianni Letta il quale (nel racconto di un testimone) era dovuto piombare a Palazzo Grazioli come il Settimo Cavalleggeri per dire in sostanza: «Mica sarete così matti da fare cadere il governo in queste condizioni!». Tutti avevano invocato una parola dal Cavaliere, e la parola ieri sera è arrivata. Molto diversa, tuttavia, da quella che i più scalmanati si aspettavano dal Capo. Anziché bombardare Monti e il governo, Berlusconi si è esibito in un concerto di flauti e violini. Ha sostenuto l'urgenza di fare le riforme della Costituzione insieme con il Pd. Addirittura, con una ricostruzione che lascerà interdetti gli storici del futuro, Silvio ha sostenuto che le sue dimissioni ebbero luogo proprio per favorire questo dialogo. Dunque l'esatto rovescio di quanto i «falchi» Pdl avrebbero voluto ascoltare. Diversamente da molti dei suoi, Berlusconi non si fa trasportare dagli istinti animali. Sa perfettamente che, se in questo momento provocasse la crisi e le elezioni, il centrodestra verrebbe spazzato via dalla politica italiana per un lungo lasso di tempo. Dunque se ne guarda bene. Per Monti il pericolo non viene da destra. E molto probabilmente neppure da sinistra. Sembra nelle condizioni per continuare un altro anno il suo lavoro. L'unica sua cautela dovrà consistere nel non farsi trascinare nelle dinamiche di una lunga campagna elettorale, appena incominciata. Ma nessun vero fantasma di crisi gli impedisce di portare avanti il suo piano di riforme. Quanto alle critiche, fanno parte del gioco, e nessuno se ne deve offendere più di tanto... La lettera al Capo dello Stato, con l'impegno a realizzare con determinazione il mandato ricevuto, è la prova che pure il Professore se ne va convincendo. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453760/ Titolo: UGO MAGRI La stagione di "Abc" è già alle spalle Inserito da: Admin - Maggio 24, 2012, 10:42:32 am Politica
22/05/2012 - IL PUNTO La stagione di "Abc" è già alle spalle Il voto amministrativo moltiplica le nevrosi. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo UGO MAGRI Su Monti i ballottaggi hanno uno scarso impatto. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo tecnico. Nè i partiti della maggioranza se la sentiranno di staccargli la spina. Tuttavia il voto amministrativo avrà l'effetto di moltiplicare le nevrosi. Per cui il Prof andrà avanti fino al termine del suo mandato, su questo è difficile dubitare, però tra mille ostacoli e un'infinità di «distinguo». Anche ammesso che il suo carnet preveda ulteriori impegnative riforme, metterle in pratica non sarà una passeggiata. La buona notizia per Monti è che nessuno vuole mandarlo a casa. Bersani, cioè colui che da eventuali elezioni anticipate avrebbe maggiormente da guadagnare, è uscito relativamente bene dal test locale. La «cura Monti» è sopportata dal suo popolo con paziente rassegnazione. Il tempo lavora per il segretario Pd che non deve fare nulla, semplicemente lasciarsi trascinare dalla corrente verso la vittoria del 2013. Escluso che, per ansia o ingordigia, Bersani voglia prendersi il rischio di mandare tutto all'aria. Identico discorso (ma rovesciato) per Alfano e Berlusconi: dal momento che la sconfitta alle Politiche sembra inaluttabile, i due non hanno alcuna ragione per affrettarla. Mai si sono visti i capponi che smaniano per festeggiare il Natale. Una corrente di pensiero interna al Pdl sostiene che, aspettando la primavera 2013, per il centrodestra le cose potranno soltanto peggiorare, meglio dunque interrompere l'agonia. Il Cavaliere, però, non la pensa così. Come Andreotti, anche Silvio è convinto che tirare a campare sia meglio di tirare le cuoia. Neppure da lui Monti deve temere sgambetti. Tuttavia il Pdl (sia pure soltanto per onore di firma e nella speranza di perdere almeno con dignità) sarà obbligato a puntare i piedi ogni qualvolta i provvedimenti governativi andranno a ledere gli interessi del suo elettorato di riferimento. Sulle tasse in particolare il centrodestra diventerà intrattabile. Così come difficilmente il Pd (esposto alla concorrenza grillina e dipietrista) sarà disposto a concessioni su questione morale e giustizia. La breve stagione di «A-B-C» sembra già alle spalle. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/455160/ Titolo: UGO MAGRI La sorte del governo si gioca in Europa Inserito da: Admin - Giugno 06, 2012, 05:04:10 pm Politica
06/06/2012 - IL PUNTO La sorte del governo si gioca in Europa Bersani conferma l'impegno a votare nella primavera 2013. Berlusconi contrario alle elezioni anticipate. Ma aumenta l'insofferenza verso Monti Ugo Magri Roma Le smentite di Bersani (una sola non è bastata) allontanano per il momento le urne. Il segretario Pd conferma l'impegno a votare nella primavera 2013 invece che tra quattro mesi, come aveva ipotizzato il responsabile economico del suo partito, Fassina. Né Monti deve temere agguati dal Pdl. Dove cresce, è vero, l'insofferenza nei confronti del governo; però Berlusconi è contrario al voto, e finché Silvio non darà il benestare da quelle parti nessuno avrà il coraggio di compiere l'affondo decisivo. Qualora non bastasse, sul Colle vigilia Napolitano che, notoriamente, considera sciagurata l'ipotesi di elezioni prima della scadenza. La sua «moral suasion» già da sola è sufficiente a frenare i propositi di crisi. Ciò significa che Monti può considerarsi al riparo da brutte sorprese? In tempi normali la risposta sarebbe sì, il governo non avrebbe nulla da temere. Purtroppo i tempi che viviamo tanto normali non sono, per motivi indipendenti tanto dal Cavaliere quanto da Bersani. Siamo a ridosso di un voto in Grecia (17 giugno) che potrebbe spalancare la strada alla dissoluzione della moneta unica. Se la nuova maggioranza ad Atene non sarà disposta a onorare i patti con l'Europa, ondate di panico si propagheranno sui mercati finanziari. Non solo il Portogallo o la Spagna si troveranno seriamente nei guai, ma pure l'Italia vivrà momenti terrificanti. Obama allarmatissimo preme perché l'Europa, e la Germania in particolare, si diano una mossa, tirino fuori qualche idea prima che sia troppo tardi. Decisivo sarà il G20 in Messico (18-19 giugno), e ancor di più importante il Consiglio europeo di fine mese. C'è da fare gli scongiuri. Qui torniamo alla vicenda italiana. Perché se, dio non voglia, la crisi dovesse avvitarsi, e se lo spread per conseguenza schizzasse a livelli record, pari o superiori a quelli che misero in ginocchio Berlusconi, gli argomenti a favore del governo tecnico sarebbero politicamente indeboliti assai. Risulterebbe chiaro che l'epicentro del terremoto finanziario sta in Europa; che tutto sia quanto si poteva fare in casa nostra è stato già fatto (comprese riforme lacrime e sangue come l'aumento dell'età pensionabile); che insomma a questo punto si tratta di negoziare molto duramente con la Germania una via d'uscita dal tunnel, stabilendo le giuste alleanze sul piano internazionale. Crescerebbe la pressione politica su Monti, gli si chiederebbe di sbattere i pugni sul tavolo. E casomai il Professore non lo facesse, nell'ora dell'emergenza sicuramente a qualcuno verrebbe in mente di invocare nuove elezioni in tempi brevi, così da avere un governo pienamente legittimato dal popolo ad alzare la voce in Europa. Sono scenari disperati che nessuno si augura, ma dietro le quinte (nonostante le smentite) se ne discute. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/457141/ Titolo: UGO MAGRI Alfano: no alla fiducia sulle toghe Inserito da: Admin - Giugno 18, 2012, 04:52:05 pm Politica 16/06/2012 - GIUSTIZIA, IL NUOVO FRONTE Alfano: no alla fiducia sulle toghe L'altolà del segretario Pdl sulla responsabilità civile dei giudici. Poi annuncia: "Ho invitato Vittorio Feltri alle primarie" UGO MAGRI Roma Alfano estrae dalla fondina la Colt e la punta contro il governo. Guai se si azzarderà a imporre una mediazione sulla responsabilità civile dei magistrati, nel qual caso partirebbe un colpo. Meglio che il Prof se ne tenga alla larga... Sulla falsariga del duro discorso di Cicchitto alla Camera, ma con il piglio autorevole del segretario, Angelino invita Monti «a non porre la fiducia» perché, «se ci sarà da scegliere di stare con il governo o dalla parte dei cittadini, il Pdl sceglierà i cittadini e non voterà la fiducia». Cioè manderebbe tutto all’aria in nome del principio che «chi sbaglia paga, e devono pagare pure i magistrati». La resa dei conti non sembra dietro l’angolo, la ministra della Giustizia Severino giudica «prematuro» addirittura parlarne, certo non ha fretta di trasformare il Senato in un saloon. Più urgenza semmai ha il Pdl di restituire le sberle incassate alla Camera sull’anti-corruzione, e soprattutto di mostrare al proprio pubblico che non è l’ombra di se stesso, come certi sondaggi farebbero immaginare. Secondo la Swg, la creatura berlusconiana sarebbe crollata al 15 per cento, come dire che dimagrisce al ritmo di un punto a settimana. Altri istituti di rilevazione danno il Pdl un po’ più in carne, tra il 16 e il 19 per cento, nessuno però oltre il 20. Alfano si batte come può, convoca la Direzione del partito per il 27 giugno, alla vigilia del vertice Ue; la prossima settimana lancerà una serie di proposte economiche cui lavora alacremente l’ex ministro Brunetta (si era ipotizzato il contributo di 4 premi Nobel, nessun apporto richiesto invece a Tremonti). Grande attenzione al vivaio, con la Meloni che lascia la guida del movimento giovanile (potrebbe correre nelle primarie), al suo posto il trentenne Perissa e, quale portavoce, la piemontese Montaruli. Ma su tutti gli sforzi del segretario incombe sempre l’incognita Berlusconi. Perfino chi rifiuta di inseguire i pettegolezzi non può non registrare uno sciame sismico di voci che, solitamente, preludono a qualche grosso sconquasso. Silvio pare sempre più scontento del partito dato in gestione un anno fa, considera l’attuale dirigenza come una «Zattera della Medusa» persa tra le onde, dove ognuno mira solo a salvarsi senza una vera meta. È certo che non ha per niente messo da parte il progetto, bocciato da Alfano & C durante l’ultimo ufficio di presidenza: una fioritura di liste civiche le più variopinte, fatte come e con chi dice lui. Da quella «rivoluzionaria» che Sgarbi ha già presentato, a quella animalista della Brambilla; dal progetto ancora in gestazione che dovrebbe vedere in campo l’ex capo della Protezione civile Bertolaso, nel contesto della candidatura udite udite di Gianni Letta a sindaco di Roma, per finire con l’ultimo colpo di genio della Santanché. La quale sta organizzando una sua lista che punta al 10 per cento, e ha sondato una firma tra le maggiori del giornalismo italiano, Vittorio Feltri, casomai si candidasse. La notizia si è diffusa via Twitter. Lui è tentato, ma non ancora convinto. Se si farà vivo Berlusconi, in quel caso valuterà. Nel frattempo guarda caso l’ha già chiamato Alfano per invitarlo a correre, semmai, nelle primarie del Pdl. Però Feltri assicura che l’invito non c’è stato, solo una telefonata per professare amicizia e stima. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/458649/ Titolo: UGO MAGRI Il premier a partiti e sindacati: informo ma non contratto Inserito da: Admin - Luglio 05, 2012, 11:50:07 am Politica
03/07/2012 - RETROSCENA Il premier a partiti e sindacati: informo ma non contratto Si torna alla linea usata per la riforma delle pensioni UGO MAGRI Roma Monti prova a surfare l'onda del successo europeo per riprendere slancio in Italia e superare le resistenze delle corporazioni, dei sindacati, dei partiti. Tornato da Kiev (deviazione di cui forse, col senno di poi, avrebbe fatto a meno), il Prof è concentratissimo sulla «spending review». Dei tagli di spesa il governo ha maledetta urgenza, anzitutto per evitare l'aumento dell'Iva (scatta il 30 settembre), ma anche per pagare il conto del terremoto in Emilia. Lancerà due assalti a ondate successive. Il primo venerdì, in coincidenza con il prossimo Consiglio dei ministri, o al massimo entro questo weekend, per definire i tagli immediati dell'anno in corso. L'altro assalto, attraverso misure che a Palazzo Chigi qualcuno definisce «più strutturate», seguirà a ruota e riguarderà i risparmi degli anni successivi. Qualcosa di meglio ne capiremo oggi, quando Monti vedrà parti sociali e rappresentanze degli enti locali. Escluso tuttavia che il premier intenda scoprire le carte. Anche se volesse, non potrebbe: la riunione interministeriale di ieri non ha sciolto tutti i nodi, ai ministri serve un supplemento di ingegno per venirne a capo. Ma la vera ragione che vieta a Monti di spiattellare l'intero pacchetto di tagli è una questione di metodo. E il metodo, mettono in chiaro fonti accreditate, non sarà certo quello della contrattazione coi sindacati, tantomeno coi partiti. Più che di cercare preventivamente un consenso politico e sociale, il presidente del Consiglio si sforzerà di far intendere a tutti l'alternativa secca, l'aut-aut ineludibile tra tagli e nuove tasse, tra risparmi di spesa e aumento della pressione fiscale a livelli insopportabili. Informerà per grandi linee e quindi procederà, stavolta per decreto, niente disegno di legge aperto a tutte le modifiche. Scottato in parte dall'esperienza sul mercato del lavoro (riforma snaturata a furia di emendamenti), Monti è deciso a tornare all'antico, perlomeno così lo descrivono i collaboratori più stretti, cioè al «prendere o lasciare» che ebbe successo sulle pensioni: messi alle corde, sindacati e partiti furono costretti a inghiottire il rospo. D'altra parte, come intendere diversamente il «basta tirare a campare» pronunciato ieri sera dal presidente del Consiglio? Poi, si capisce, per quanto «tecnico» Monti è politicamente tutt'altro che sprovveduto. Prima di mettere il timbro sul decreto, i contatti non mancheranno né con le centrali sindacali né con le segreterie dei partiti. Da Palazzo Chigi è già arrivata a via dell'Umiltà e a San'Andrea delle Fratte la richiesta di indicare i nomi degli ufficiali di collegamento cui sottoporre in segreto le bozze di riforma. Sebbene non abbiano ancora ricevuto convocazioni, Alfano Bersani e Casini danno per probabili colloqui separati con il premier alla vigilia del varo, si tengono pronti per giovedì. Nel Pdl qualcuno più ottimista scommette che i tagli faranno più male a sinistra che a destra. Di sicuro dalle parti di Bersani c'è parecchio disagio, causa le voci di intervento sugli statali e ancor più di salasso al bilancio delle Regioni. «Ci riserviamo di cambiare e correggere in aula il decreto», anticipa il responsabile economico Fassina. Meno ansia di essere convocati si coglie nei centristi, dove Rao (fedele interprete di Casini) denuncia i rischi di «una trattativa formale che si tradurrebbe nella voglia di piazzare bandierine». Però questo pericolo, garantiscono dalle parti del premier, non verrà corso. La «spending review», aggiungono, vedrà la luce senza estenuanti mediazioni. Se vuole strappare all'Italia gli ultimi sacrifici nel nome dell'Europa, Monti sa che deve cogliere l'attimo, il momento è ora o mai più. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/460980/ Titolo: UGO MAGRI L'idea di firmare un impegno con l'Ue fa tremare Pdl e Pd Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 11:13:35 pm Politica
11/07/2012 - RETROSCENA L'idea di firmare un impegno con l'Ue fa tremare Pdl e Pd I primi effetti dell'annuncio del Professore UGO MAGRI Roma Prima ancora che Monti ribadisse la sua decisione di lasciare tra 9 mesi, da destra e da sinistra gli avevano già intimato lo sfratto. «Io penso che l'Italia abbia il diritto di essere una democrazia come le altre», era quasi insorto Bersani, per una volta in sintonia con il suo rivale Renzi («Se vuole rifare il premier, Monti deve essere votato»). Di Pietro non ne parliamo, i tecnici «riconsegnino il paese alla politica»: proclama condiviso da vaste aree del Pdl. Un coro, insomma, per dire a Monti che non gli saltasse in mente di affezionarsi al ruolo di salvatore della patria. Finché da Bruxelles è arrivata la nuova puntualizzazione del Prof, il quale «esclude di considerare un'esperienza di governo che vada oltre le prossime Politiche», così il processo alle intenzioni di Monti si è un po' acquietato. In compenso grande inquietudine sta suscitando, nei palazzi romani, un altro spettro evocato dal presidente del Consiglio subito dopo l'Ecofin: il fantasma del Memorandum. Monti non ha per nulla escluso che, nel caso di spread fuori controllo, l'Italia possa chiedere soccorso al Fondo salvastati; anzi, per la prima volta ieri ha dato l'impressione che prima o poi ciò potrà accadere. Precisando che per l'Italia non sarebbe comunque un'umiliazione: a differenza della Grecia dovremmo sottoscrivere con l'Europa una lista di impegni molto meno gravosa, in pratica la conferma di quanto stiamo facendo, appunto «un memorandum in versione light». Ed è qui che nei partiti, oltre che nelle sedi istituzionali più nobili, si è subito accesa la spia rossa di allarme. Per quanto possa essere «light» e dunque dietetico, un Memorandum siffatto risulterebbe comunque indigesto a parecchi. Secondo le fantasie più scatenate di queste ore, potrebbe addirittura provocare un «Big Bang» della politica italiana, destrutturando i poli da una parte e dall'altra. Proviamo a immaginare lo scenario, così come lo descrive un esponente del Pd tra i massimi: «Figurarsi se la Germania darebbe via libera agli aiuti senza prima avere avuto precise garanzie che non stracceremo i patti subito dopo le prossime elezioni». Proprio come accadde in Grecia, l'eventuale Memorandum dovrebbe essere sottoscritto non solo dal Parlamento uscente, ma da tutti i leader impegnati nella campagna elettorale... Logico domandarsi come potrebbe reggere, a quel punto, la famosa «foto di Vasto» (Bersani con Di Pietro e Vendola). E come farebbe Bersani a firmare il Memorandum, per poi tenere comizi insieme con chi contesta la linea dei sacrifici. Ai piani alti del Pd c'è già chi giudica, semmai, più probabile un'alleanza con Casini. Oppure (dipenderà dalla legge elettorale) larghe intese pure per gli anni a venire... Identico discorso a destra. In caso di Sos dell'Italia all'Europa, ragiona il centrista Rao, «Berlusconi e i suoi non potrebbero certo andare in tivù per promettere l'abolizione dell'Imu». Né stringere patti con la Lega. La stessa eventuale candidatura del Cavaliere verrebbe giudicata molto negativamente in Europa se è vero che a un pranzo di ambasciatori nordici a Roma suscitava proprio ieri angoscia la semplice ipotesi di un ritorno di Silvio, specie dopo le sue ultime annotazioni euroscettiche. Lui, Berlusconi, non ha ancora in tasca la decisione definitiva. Per non farsi assillare dai suoi, prende tempo fino alla fine di agosto: «Sono dimagrito di 4 chili, non faccio più la vita disordinata di prima, però voglio capire bene se la mia età mi consente di tornare in pista, se me ne rimane la voglia...». Pure dalle sue parti può accadere di tutto. Circola addirittura voce che Tremonti, ormai in un'orbita lontana dal Pdl, stia soppesando l'ipotesi di dar vita a un partito, che certamente riscuoterebbe più credito nelle Cancellerie europee. E siamo solo agli inizi... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461959/ Titolo: UGO MAGRI L'ultimo azzardo per evitare la catastrofe Inserito da: Admin - Luglio 12, 2012, 05:04:07 pm Politica
12/07/2012 - retroscena L'ultimo azzardo per evitare la catastrofe Da una parte il rifiuto di uscire di scena senza un "colpo di teatro"e dall'altra la consapevolezza che anche il suo impero rischia di cadere UGO MAGRI Roma La voglia di tornare al centro del ring è incontenibile, né qualcuno ha la forza di sbarrargli la via. Sembra dunque scontato che alle prossime elezioni Berlusconi ci sarà. Aveva detto e ripetuto il contrario? Si cambia idea nella vita, e Silvio la aggiorna di continuo. Per cui magari potrebbe addirittura accadere che tra una settimana, o un mese, lui annunci: «Ci ho ripensato, non mi candido più...». Bonaiuti, che col Capo ha trascorso l’intera giornata di ieri, prudentemente evita di sbilanciarsi, «al momento di tratta solo di ipotesi, la decisione finale dev’essere ancora presa». C’è tempo fino alla fine di agosto. Comunque è un fatto che a una festa di compleanno ieri sera Berlusconi abbia detto: «Tutti gli imprenditori desiderano il mio ritorno», e un altro fatto è che l’altra sera così si sia rivolto ai suoi discepoli riuniti intorno al desco di via del Plebiscito: «Sono disponibile a farmi carico del partito alle prossime elezioni, io mi batterò per recuperare gli incerti, Angelino sarà al mio fianco per parlare ai giovani, insieme saremmo un ticket fortissimo». In verità pare che nella testa del Cavaliere frulli tuttora l’idea di mettersi al fianco una donna, la Santanché si sente quella predestinata. Né sembra sicuro al cento per cento che Alfano sia disponibile a un ruolo di comprimario, dopo avere quasi toccato con mano l’incoronazione nelle primarie. Consiglierà diplomaticamente di fare a meno del ticket perché un grande condottiero come Berlusconi non ne ha bisogno. Se vuole tornare a comandare, guidi l’esercito fino alla battaglia finale... Nel partito adesso tutti dicono: «Ci avrei scommesso...». Il ruolo del «padre nobile» a Silvio va stretto per definizione. Uscire di scena senza nemmeno un colpo di coda, senza avere ricordato al mondo chi è, di che cosa è ancora capace a quasi 76 anni, non sarebbe all’altezza della sua fama. Osvaldo Napoli è stupito dello stupore, «chi immaginava Berlusconi a scrivere le sue memorie dimostra di non conoscerlo». Tra l’altro «si stanno rivalutando tante cose che lui ha fatto nel corso degli anni», assicura Gasparri, e voi che l’ex-premier non coltivi il sogno umanissimo di venire richiamato a furor di popolo? Però poi circolano spiegazioni ulteriori del ritorno in campo, che con la vanità c’entrano molto poco. Semmai riguardano le fortune private di Berlusconi, gli interessi economici, le sue aziende, ma anche la famiglia, i figli in nome dei quali si è rivisto recentemente a Macherio con la quasi ex-moglie Veronica (falsa la chiacchiera di un riavvicinamento, pare che lunedì si chiuda la separazione consensuale tra i due sebbene l’avvocato Ghedini rifiuti di confermare o smentire: «Mi è inibito qualunque commento»). Insomma, c’è tutto un universo le cui sorti sono legate a doppio filo con quelle del Cavaliere. Al quale la politica è sempre servita da scudo, secondo alcuni pure da ariete, in un intreccio ben noto come «conflitto d’interessi». Certi numeri parlano da sé. La cassaforte Fininvest ha registrato nel 2011 un utile di 7 milioni e mezzo. Erano ben 160 nel 2010, oltre 600 nel 2009: un crollo verticale. Hanno pesato, è vero, la crisi economica e gli oltre 500 milioni versati per risarcimento all’arci-nemico De Benedetti, ma non è solo quello. Le azioni Mediaset valevano quasi 20 euro ciascuna tre anni fa, adesso un euro e qualcosa; il patrimonio si è assottigliato al punto da rendere importante l’esposizione del Cavaliere con il mondo bancario, stimata in oltre due miliardi di euro. Certi maligni sostengono che Berlusconi non potrebbe, nemmeno volendo, permettersi di staccare la spina al governo senza temere contraccolpi nocivi (di qui il convinto appoggio a Monti, che non tutti nel Pdl hanno ben compreso). Il partito dunque gli serve per continuare a contare, l’ex-premier non può permettere che si sciolga davanti ai suoi occhi. E d’altra parte, il gruppo dirigente nel suo complesso non ha finora dato una fantastica prova di sé, in un anno mai un’idea capace di forare il muro dell’indifferenza, nemmeno il semi-presidenzialismo è riuscito a «bucare» nei sondaggi... Molti solidarizzano con Alfano, ma altri (per esempio la Gelmini) non sottovalutano le ragioni di Berlusconi. Il quale, raccontano i suoi, ha capito da tempo che, se non torna personalmente sul ring, sarà un match senza storia. Tre volte ha vinto in passato per ko, altre due ha perso ai punti. Stavolta rischia di uscire in barella. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462073/ Titolo: UGO MAGRI L'ex premier Silvio Berlusconi non ha sciolto la riserva Inserito da: Admin - Luglio 14, 2012, 03:49:11 pm Politica
14/07/2012 - centrodestra: nuove incognite Berlusconi rinvia la ridiscesa in campo L'ex premier Silvio Berlusconi non ha sciolto la riserva Salta una convention all'Ergife, ma lunedì sarà al convegno degli euroscettici UGO MAGRI Roma Nel mondo berlusconiano l’attenzione (con annessa preoccupazione) si sta spostando dalla ricandidatura del leader a ciò che lui potrà dire nelle sue prossime uscite pubbliche. In particolare rispetto all’euro e ai rischi di default. È vero che un filo di dubbio sulle reali intenzioni del Cavaliere continua a serpeggiare, perlomeno tra quanti l’altra sera avevano preso parte al vertice di Palazzo Grazioli, dove lui si era presentato con in tasca una bozza di smentita scritta da Gianni Letta, in pratica un dietrofront rispetto al ritorno in pista reso pubblico dal «Corsera». Tuttavia la possibile retromarcia era stata stroncata sul nascere dal gruppo dirigente; e comunque, la decisione finale scatterà in settembre, quando la gente tornerà dalle vacanze e sarà possibile valutare il reale impatto di Berlusconi nei sondaggi (secondo Ipr Marketing, questo impatto non solo sarebbe pari a zero, ma addirittura avrebbe l’effetto di rafforzare quella sinistra che da quasi vent’anni campa sull’anti-berlusconismo). Dunque il grande interrogativo, nell’attesa, è: come si caratterizzerà, sul piano politico, la «ridiscesa in campo» di Silvio? Sarà di appoggio a Monti e al governo, specialmente ora che l’Italia si trova sotto l’attacco dei mercati e delle agenzie di rating, o scatterà l’urgenza di distinguersi per recuperare voti? Da candidato quale ora è, Berlusconi confermerà il suo «commitment», l’impegno a sostenere le politiche del rigore e dei sacrifici, o invece si lancerà a chiedere meno tasse, via l’Imu, basta euro, torniamo alla lira? A giudicare dai commenti del portavoce Bonaiuti su Moody’s e dintorni, sembra prevalere la linea della lealtà politica. Però ieri è mancata la possibilità di sentire questi concetti dalla viva voce del Cavaliere. Lo attendevano all’Hotel Ergife per il congresso dei Cristiano-riformisti di Mazzocchi, e l’accoglienza si annunciava calorosissima: addirittura erano stati «cammellati» gli ospiti di una casa di riposo, giunti con tre pullman e tutti muniti di ventaglio, alcuni per la verità inconsapevoli dell’evento politico cui erano chiamati ad assistere. All’ultimo momento, Berlusconi ha dato forfait. Invece del Candidato, in sala è giunto il Segretario, perché tale Alfano resta: «Sono stato eletto lo scorso anno e intendo continuare». Contrariamente a quanto rivela uno dei personaggi di casa ad Arcore, Volpe Pasini, Angelino non sembra affatto «in lacrime» per la mancata candidatura a premier; semmai appare come liberato da un peso, dopo tutto quello che i pasdaran berlusconiani gli hanno combinato nei mesi trascorsi. Forse Berlusconi è stato avvertito in anticipo che il parterre dei Cristiano-sociali non era quello ideale; oppure, più probabilmente, ha preferito tenersi le cartucce per lunedì prossimo, quando a Villa Gernetto (Lesmo, Brianza) si terrà il convegno di economisti da lui patrocinato, con presenza di premi Nobel, per discutere di crisi finanziaria europea e mondiale. Animatore del dibattito sarà l’ex-ministro Martino, le cui posizioni euro-scettiche sono a tutti note. Cosicché la prima uscita del Cavaliere in veste di candidato corre il rischio di caratterizzarsi (che lui lo voglia o meno) in una chiave tale da mettere in fibrillazione lo spread e i mercati. Cicchitto ieri si è imbufalito quando gli hanno chiesto se la bocciatura di Moody’s era colpa di Berlusconi: «Qui si sfiora la stupidità!». Eppure c’è tutto un giro di speculazione che non aspetta altro, una battuta fuori luogo di Silvio al meeting di Villa Gernetto sarebbe la ciliegina. «Vedrete che a Berlusconi non slitterà la frizione», assicurano i suoi. Ma di nascosto fanno gli scongiuri. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462355/ Titolo: UGO MAGRI Alfano ci riprova, la Lega gli dice no Inserito da: Admin - Agosto 10, 2012, 09:09:51 am Politica
10/08/2012 - I PARTITI LA PROVA DELLE ALLEANZE Alfano ci riprova, la Lega gli dice no Bordata a Casini: “Si fa dettare la linea dalla Cgil” Il leader dell’Udc: ero moderato prima di lui UGO MAGRI Roma In attesa che le previsioni vengano smentite, e che l’Italia sopravviva allo spread, i partiti si regolano «come se» la prossima campagna elettorale non fosse diversa da quelle passate. Per cui si impegnano a delimitare aree, a marcare territori, a gettare le fondamenta di edifici politici vecchi e nuovi. Alfano, per esempio, rimane convinto che sia possibile rimettere in piedi una casa comune con la Lega, nonostante tutto quello è successo dalla caduta di Berlusconi in poi, oltre a quanto potrà accadere in autunno. «Crediamo», scommette il segretario Pdl, «che ci siano le condizioni per un’alleanza» nel 2013. Il Carroccio non la pensa esattamente allo stesso modo; o perlomeno, la sua base non sembra particolarmente entusiasta (se si dà retta al segretario della Lega lombarda Salvini), di ritrovarsi per l’ennesima volta sotto l’egida di Berlusconi candidato. «Abbiamo già dato», è la risposta gelida che si riceve a ogni livello, dal più basso al più elevato. Difficile che se ne faccia qualcosa, «nove su dieci andremo per conto nostro», scuote la testa Salvini. Tra l’altro la legge elettorale in gestazione non sembra favorire la riconciliazione tra i vecchi soci politici. Per cui Alfano già lascia intravedere quale sarebbe il pungiglione polemico con cui punire la Lega, casomai rifiutasse di stare al gioco: «Guai se una divisione tra noi avesse l’effetto di consegnare il Nord alla sinistra», Maroni se ne assumerebbe intera la responsabilità. Sul fronte centrista, invece, Alfano non ci prova nemmeno. Dà Casini ormai per perso alla causa Pdl e, pure in questo caso, offre un assaggio di quello che potrà essere il tono della campagna elettorale: «Avremmo voluto organizzare un’area moderata, ma Casini ha scelto di allearsi con Bersani e si fa dettare la linea dalla Cgil...». Piccata la risposta del leader Udc su Facebook: «Nell’area moderata io c’ero prima di Alfano e ci rimarrò dopo. Mi dispiace piuttosto», annota Pier con qualche perfidia, «che dopo tanti buoni propositi loro abbiano deciso di tornare a Berlusconi», ne sa personalmente qualcosa Angelino. Il quale in verità nutre dei dubbi sulle reali intenzioni del Capo, Silvio «non ha ancora sciolto la riserva». Né pare che Berlusconi sia stato più chiaro, circa le proprie mosse future, nella lunga intervista che dovrebbe uscire domani sul quotidiano della «gauche» francese, «Libération». Che davvero i centristi scivolino a sinistra, anche questo è tutto in divenire. Per il momento c’è grande animazione intorno alla «Cosa Bianca», cioè al progetto salito in auge dopo un colloquio giorni fa tra Casini, Fini e l’ex ministro Pisanu. Non è la fotocopia del Terzo Polo recentemente abortito, ma di qualcosa che comunque un po’ gli somiglia, se non altro perché i promotori alla fine sono sempre gli stessi: Udc, Fli, eventuali transfughi dal Pdl. La differenza sta nel fatto che, stavolta, si tenderebbe ad allargare e di molto il «parterre», a coinvolgere di più la cosiddetta società civile, a trascinare dentro con maggiore convinzione personaggi di statura tale da rendere credibile il progetto: dalla Marcegaglia, già presidente di Confindustria, a Bonanni, attuale segretario generale Cisl, dal ministro Passera ai suoi colleghi di governo Severino, Riccardi, Ornaghi... Nomi in parte già contattati, alcuni destinati a sfilarsi, altri a garantire un sostegno morale ma nulla più, e comunque più avanti perché adesso si va sotto l’ombrellone. Il finiano Della Vedova considera «la rotta ormai tracciata» e immagina una «NewCo», una ditta nuova di zecca con Casini nel ruolo di federatore (ma Pier di sciogliere l’Udc non ci pensa nemmeno lontanamente). Profumo di nuovo ma anche di antico, se un cossighiano come Naccarato scorge in questo fermento un progetto di cui il vecchio Presidente sarebbe stato fiero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465229/ Titolo: UGO MAGRI Il premier: stato di guerra contro l'evasione fiscale. Inserito da: Admin - Agosto 18, 2012, 10:25:50 pm Politica
18/08/2012 - GOVERNO Monti e la Svizzera: verso una maxi tassa sui capitali esportati Il premier: stato di guerra contro l'evasione fiscale. E accelera sulle intercettazioni: fermare gli abusi UGO MAGRI Roma Casomai dovessimo chiedere salvagenti all'Europa, certo non ci aiuterebbe l'evasione fiscale che abbiamo in Italia. Perché altrove, specie in Germania, già ce lo stanno facendo pesare: prima di invocare aiuti, dovremo sforzarci di far pagare le tasse a chi se ne guarda bene... Monti ha chiara la difficoltà, sa che l'evasione «produce un grosso danno nella percezione del Paese all'estero», addirittura sostiene che contro questo malcostume «siamo in uno stato di guerra». E quando c'è un'emergenza bellica non si può andare troppo per il sottile. Per cui il Prof spiega al settimanale ciellino «Tempi» che «certi momenti di visibilità possono essere antipatici» (chiaro il riferimento ai blitz delle Fiamme Gialle), però «hanno un grande effetto preventivo» e rinunziarvi significherebbe alzare bandiera bianca. Bene, anzi benissimo se qualcuno se ne spaventa e torna sulla retta via. Per dimostrare che farà sul serio, ieri Monti ha colloquiato con la presidente della Confederazione elvetica, nonché ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf. Il nostro premier non ha avuto bisogno di volare in Svizzera, in quanto già vi si trova per le vacanze, precisamente a Silvaplana in Engadina. Lì ha avuto luogo l'incontro, il cui nocciolo riguarda proprio il recupero dell'evasione che si rifugia da quelle parti. Con la Widmer-Schlumpf avevano fatto conoscenza il 12 giugno scorso, ieri si sono limitati a un punto sui lavori della commissione bilaterale (l'idea di massima consiste nell'esigere una tassa salata sui depositi anonimi in Svizzera dei cittadini italiani). L'agenda prevede che gli esperti consegnino le loro proposte in autunno, per poi firmare un accordo come quello già raggiunto tra Germania e Confederazione elvetica. Nelle settimane scorse un po' tutti i partiti avevano sollecitato Monti a procedere con decisione, nella speranza che lo Stato italiano possa incassare un pacco di miliardi. Il Professore raccoglie i suggerimenti di Bersani, Alfano, Casini; però sbaglia chi lo immagina posseduto dall'ansia di concludere. La fretta c'è, assicurano dalle sue parti, ma si accompagna alla preoccupazione di non commettere passi falsi. Per esempio, il premier vuole evitare che l'operazione si trasformi in un condono mascherato, per effetto del quale chi ha trasferito i soldi in Svizzera se la possa cavare con poco. L'altro rischio è che, alzando invece troppo il tiro, i capitali fuggano dalle banche elvetiche e vadano a rifugiarsi in qualche paradiso fiscale irraggiungibile: col risultato che l'Erario non incasserebbe un cent. Insomma, si cammina sul filo. Domani Monti sarà a Rimini per inaugurare il Meeting con un discorso sui giovani. L'intervista a «Tempi» sarebbe dovuta uscire in contemporanea, ma è stata anticipata alle agenzie. Il presidente del Consiglio vi ribadisce l'intenzione di vendere parti del patrimonio pubblico, promette al mondo cattolico un sostegno economico alle scuole private, «crede e spera» di poter lasciare Palazzo Chigi a un politico eletto dal popolo. Ma a far rumore è una battuta sulle intercettazioni. Definisce «gravi» quelle che riguardano il Presidente della Repubblica, aggiungendo: «E' peraltro evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi. Di conseguenza è compito del governo prendere iniziative a riguardo». Insorge Di Pietro («inaccettabile») e la Federazione della stampa minaccia una «grande mobilitazione» contro qualunque legge-bavaglio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465842/ Titolo: UGO MAGRI Via alla fase 2, Monti non crede nel voto anticipato in autunno Inserito da: Admin - Agosto 25, 2012, 05:41:07 pm Politica
24/08/2012 - Via alla fase 2, Monti non crede nel voto anticipato in autunno Il premier ignora le tensioni nella maggioranza e prova a rilanciare la sua azione UGO MAGRI Roma Le manovre nei partiti per votare a novembre lasciano Monti piuttosto freddo, nonostante l’afa. Freddo, e scettico. In casi del genere che farebbe un presidente del Consiglio di rientro a Roma, se fosse realmente preoccupato per la tenuta della sua compagine? Come prima cosa si attaccherebbe al telefono e si informerebbe con i leader della maggioranza; cercherebbe di capire che cosa c’è di vero nel mare di chiacchiere. Ebbene: non risulta che Monti abbia preso contatto con «A-B-C», né che intenda farlo. Bersani e Casini si stanno godendo gli ultimi scampoli di vacanza, il loro smartphone ieri è rimasto muto. Nel caso di Alfano, invece, una chiamata da Palazzo Chigi avrebbe raggiunto il segretario del Pdl in Sardegna, dove Angelino è ospite del Cavaliere. I due stanno decidendo le mosse future, dunque mai telefonata del premier sarebbe potuta arrivare più tempestiva. Magari Monti ne avrebbe potuto profittare anche per chiedere conto a Berlusconi dell’ultimo attacco sul «Giornale» di famiglia, che gli ha rimproverato di spendere ben 10mila euro di affitto a settimana per la casa in Engadina laddove sono 12 mila 500 spalmati in un arco di quattro mesi, precisa la presidenza del Consiglio... Niente chiarimento, silenzioso anche il centralino di Villa La Certosa. La verità, raccontano personaggi vicini al Prof, è che ogni colloquio sarebbe superfluo. L’ultima volta che parlò coi tre segretari, alla vigilia delle vacanze, Monti ne ricevette suggerimenti fattivi su come rilanciare la crescita (in particolare da Bersani) e su come tagliare lo stock del debito pubblico (incontro con Alfano, presente il ministro dell’Economia Grilli). Il Consiglio dei ministri di stamattina si muoverà esattamente nel solco di quelle indicazioni. Sarà uno scambio di idee con i ministri per definire l’agenda di qui allo scadere della legislatura. Verranno dibattute misure a sostegno delle attività economiche perché questo reclamano i mercati, di rigore ce n’è già stato abbastanza. E nelle prossime settimane si concentrerà l’attenzione sulla vendita di cespiti patrimoniali... Ovviamente Monti è al corrente di quanto bolle in pentola, specie sulla riforma elettorale. Senza bisogno di inseguire i retroscena, gli è bastato metter piede domenica a Rimini, sede del Meeting ciellino e cassa di risonanza di tutte le trame agostane. Sa che forte resta in alcuni ambienti la tentazione di cambiare in fretta il «Porcellum» con l’obiettivo di chiudere la legislatura in autunno. Però Monti non ci vede necessariamente una trappola. Al suo entourage sfugge questo presunto automatismo per cui, una volta varata la nuova legge elettorale, l’Italia dovrebbe precipitarsi immediatamente alle urne. E perfino se così fosse, l’umore generale del Prof non sembra di chi vuole battersi per resistere a cavallo un paio di mesi in più; qualora i leader volessero congedare lui e i suoi «tecnici», non avrebbero che da dirlo. A maggior ragione se fosse il Presidente della Repubblica a giudicare conclusa la parabola del governo... Monti, confermano dalle sue parti, pende letteralmente dalle labbra di Napolitano. Tuttavia anche in questo caso non risulta che il Capo dello Stato voglia precorrere i tempi. Perlomeno a Palazzo Chigi non ne hanno fin qui sentore, semmai l’esatto rovescio: le ultime dal Colle raccontano di una legislatura che si concluderà a marzo 2013, come da copione. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466288/ Titolo: UGO MAGRI Nuova legge elettorale all'esame di Berlusconi (povera Italia) Inserito da: Admin - Agosto 26, 2012, 05:17:44 pm Politica
25/08/2012 - i partiti, le strategie Nuova legge elettorale all'esame di Berlusconi Verdini ad Arcore con testo e simulazioni per la decisione finale Ugo Magri Roma Occhi puntati sul villone di Arcore, perché tra oggi e domani di lì passerà la bozza della nuova legge elettorale. E l’interrogativo che appassiona gli addetti ai lavori (per il momento soltanto loro) è: Berlusconi darà il via libera? Oppure succederà come sulla riforma della Costituzione, quando un accordo con il Pd praticamente fatto era stato stracciato in mille pezzetti? Lo scopriremo lunedì, non appena torneranno a incontrarsi i negoziatori dei partiti. Verdini porterà a Migliavacca (lo sherpa di Bersani) e a Cesa (che è il segretario Udc) la risposta del Cavaliere. Non che Silvio sia stato fin qui tenuto all’oscuro. Come è ovvio, l’hanno informato passo passo sui progressi della trattativa e sulle grandi linee del sistema che rimpiazzerà il «Porcellum». Però restano certi dettagli niente affatto secondari da mettere a fuoco. Cosicché entro domani alle 18, cioè prima che il Milan scenda in campo con la Sampdoria e prima che Berlusconi si tuffi nel match, Verdini si presenterà dal Capo con un malloppo di carte su cui in pochissimi nel Pdl hanno potuto gettare lo sguardo: sono i termini dell’accordo preliminare già raggiunto con il Pd, più una serie di simulazioni elettorali. L’impianto della bozza è quello solito proporzionale, con una soglia del 5 per cento alla Camera e dell’8 al Senato. Il partito che risultasse vincitore, anche per un solo voto, sarebbe premiato con un «bonus» del 15 per cento, in pratica una novantina di seggi a Montecitorio. Un terzo degli onorevoli verrebbe individuato tramite piccole liste bloccate, chi piazzarci lo deciderebbero (come accade oggi) le segreterie dei partiti. Gli altri due terzi dei seggi verrebbero selezionati col meccanismo dei collegi uninominali. Per evitare che i leader subiscano l’onta di una bocciatura, pare che verrà concesso loro di candidarsi in più collegi: casomai andasse male da una parte ci sarebbe sempre il paracadute dall’altra... Dal giro berlusconiano i segnali sono tutti favorevoli, uno stop dell’intesa viene considerato molto improbabile. Di sicuro non se lo aspettano nel Pd dove anzi sono certi che la legge si farà in quanto, motteggiano dalle parti di Bersani, il Cavaliere «più di tutti ha interesse a sbarazzarsi del Porcellum, figurarsi se si farà del male da solo...». Tuttavia può accadere (di qui quel poco o tanto di suspense) che Berlusconi storca il naso su qualche dettaglio; e comunque non risulta che abbia tutta questa dannata fretta di concludere, semmai il contrario. Qui si entra nel regno della dietrologia, dove sempre labile è il confine tra il certo e l’incerto. Ma la sostanza è che, una volta pattuita la riforma, l’Italia si troverebbe virtualmente in campagna elettorale. Il Cavaliere non si sente ancora pronto per affrontarla, in quanto lui stesso deve prima rispondere alla madre di tutte le domande: «Mi candido oppure no?». Qualcuno dei suoi sostiene che è tutta scena, Berlusconi in cuor suo sa già che fare, sfoglia la margherita per tenere viva l’attenzione su di sé in attesa del grande annuncio. Altri, invece, ritengono che il dubbio sia autentico, frutto di un vero tormento anche personale, di qui il possibile traccheggiamento sulla riforma. Né pare che la visita di Alfano in Sardegna, due giorni ospite a Villa La Certosa, abbia contribuito a sciogliere il puzzle. La candidatura del Cavaliere al momento è più sì che no, diciamo 60 e 40, o forse anche 70 e 30; però il margine di incertezza persiste. Qualcuno sostiene addirittura che sia cresciuto. L’unica prospettiva davvero esclusa, nei due giorni di colloquio tra il Fondatore e il Segretario, sembra quella del listone unico dove inglobare indistintamente tutti i nemici della sinistra, da Storace a Rotondi, da Sgarbi a Micciché, un caravanserraglio variopinto e cacofonico. «Non se ne parla nemmeno», assicurano dalle parti di un Alfano molto rinfrancato. Casomai alla fine Silvio dovesse gettare la spugna, tornerebbe in auge proprio Angelino che, agli occhi del padre-padrone, ha il merito impagabile di essersi dimostrato umile e leale al punto da inghiottire un’alleanza in Sicilia con l’odiato Lombardo. Tutto può ancora accadere, in Berlusconia... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466396/ Titolo: UGO MAGRI Perché Berlusconi medita di far cadere Monti Inserito da: Admin - Agosto 29, 2012, 04:56:37 pm Politica
29/08/2012 - IL PUNTO Perché Berlusconi medita di far cadere Monti Il Cavaliere gradirebbe elezioni a novembre. Il Colle scarta l'idea UGO MAGRI Roma La svolta è maturata nel pomeriggio di ieri, e la voce si è diffusa verso sera, quando Berlusconi era già ripartito da Roma: il Cavaliere gradirebbe elezioni anticipate a novembre. Motivo: teme che aspettando marzo o aprile (la naturale scadenza) gli arriverebbe tra capo e collo la sentenza del processo Ruby, dove la condanna viene considerata inevitabile. Con il risultato di doversi ritirare dall'agone politico, stavolta per sempre. Laddove anticipando il voto, forse la sentenza (attesa per ottobre) verrebbe rinviata di qualche mese... è un rovesciamento totale di strategia, dettato dalle preoccupazioni degli avvocati, Ghedini in testa. Pare che faccia paura pure l'inchiesta di Palermo, da cui lo staff legale berlusconiano non si attende nulla di buono, a cominciare dalla testimonianza che Silvio dovrà rendere su Dell'Utri. Pur di accelerare i tempi, Berlusconi sarebbe pronto a dare il via libera immediato alla legge elettorale: così anticipa stamane correttamente «Repubblica». Tuttavia Schifani, presidente del Senato, risulta molto scettico circa la possibilità di varare la nuova legge in tempo per votare tra nemmeno tre mesi. Identiche preoccupazioni nutre il capogruppo Pdl al Senato Gasparri. Inoltre le ultimissime dal Palazzo raccontano che sia Napolitano sia Monti avrebbero scartato l'idea di anticipare le urne (accarezzata un mese fa, con le Chevalier nella circostanza contrarissimo). L'unica possibilità che si voti a novembre sembra ormai legata a un improvviso scarto del Pdl, a un'impuntatura favorita dal Pd, a uno scontro provocato ad arte, che faccia cadere nei prossimi giorni il governo. Pure questo è uno scenario di cui si sta ragionando nel giro stretto berlusconiano. Da tenere d'occhio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466769/ Titolo: UGO MAGRI Il giallo dell'accordo Pd- Pdl Inserito da: Admin - Settembre 06, 2012, 04:16:52 pm Politica
05/09/2012 - il punto della politica Il giallo dell'accordo Pd- Pdl Il patto sulla nuova legge elettorale in realtà regge Ugo Magri Roma Insospettisce l'assenza di polemica. Non c'è stato alcuno scambio di accuse. L'accordo sulla legge elettorale era stato raggiunto e poi, se si dà retta alle ricostruzioni più in voga, il Pd se l'è rimangiato per effetto di certe reazioni interne assai negative, prima tra tutte quella di Romano Prodi. In questi casi di solito scoppia il finimondo. E invece stavolta (ecco la singolarità), silenzio. Dal Pdl non si è levata una sola voce per denunciare vere o presunte scorrettezze. In particolare tacciono i protagonisti della trattativa, a cominciare da quel Verdini che per settimane aveva dialogano fitto fitto con il braccio operativo di Bersani, Migliavacca. Chiunque, al posto di Verdini, avrebbe gridato al tradimento, alla doppiezza degli ex-comunisti eccetera. Il buon Denis stranamente tace, e viene da domandarsi il perché. Una spiegazione paradossale raccolta tra gli addetti ai lavori è che, in realtà, mai c'è stata rottura. Il Pdl non protesta per il patto stracciato in quanto (così giurano fonti degne di fede) nessuno l'ha fatto a pezzetti. Contro tutte le apparenze, l'accordo ancora regge; è stato accantonato semplicemente perché adesso non è sembrato il momento giusto per renderlo pubblico. Quel momento arriverà tra un po', bisogna avere fede... Ma allora, come mai sussisteva tutta quella fretta di stipularlo? Perché Migliavacca e Verdini ci avevano speso su il mese di agosto, tenendo informati dei progressi i rispettivi leader? Qui la risposta che circola sottovoce riecheggia un retroscena estivo di cui molto si era favoleggiato: «La corsa contro il tempo era legata alla prospettiva di elezioni anticipate a novembre, nel qual caso la nuova legge elettorale sarebbe stata indispensabile entro la metà di questo mese», spiega chi è a conoscenza dei risvolti, «ma poi la prospettiva elettorale ha perso vapore, anche per ragioni di calendario». Ormai si voterà alla regolare scadenza del 2013. Dunque non sussiste più una fretta speciale di sostituire il «Porcellum». è venuto meno il motivo di procedere a tappe forzate. O di rintuzzare le voci critiche, a cominciare da quella autorevole di Prodi, che tuonano contro il premio attribuito al partito vittorioso anziché alla coalizione. Proceda pure il dibattito in Senato, lì ognuno dica la sua. Quando si arriverà al dunque, la misteriosa intesa Pd-Pdl verrà tirata fuori dal cassetto. Aspettare per credere... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/467506/ Titolo: UGO MAGRI Le buone notizie che allarmano Monti Inserito da: Admin - Settembre 13, 2012, 03:32:42 pm Politica
13/09/2012 - il punto politico Le buone notizie che allarmano Monti Se c'è un’emergenza drammatica, la nostra classe dirigente reagisce bene. Ma quando la tensione si allenta, rispuntano i soliti vizi Ugo Magri Non tutti i mali vengono per nuocere, assicura il proverbio, ma c’è chi sostiene il contrario: non tutto è oro ciò che luccica. Nella politica italiana, sono vere entrambe le cose. Quando si tratta di reagire a un’emergenza drammatica, tipo la crisi esplosa un anno fa, la nostra classe dirigente è capace di reazioni impensabili, lasciando a bocca aperta chi già godeva nel vederci affogare nel Mediterraneo. Quando viceversa la tensione si allenta, ecco rispuntare i soliti vizi nazionali, esattamente quelli cui accennava ieri Monti confessando al Washington Post di essere preoccupato per il destino delle riforme. Senza il pungolo dei mercati, c’è il concreto rischio di tornare le cicale di sempre. Se Monti denuncia il pericolo è proprio perché, paradossalmente, le cose sembrano volgere per il meglio. La prospettiva di un collasso dell’euro è al momento scongiurata grazie alle mosse di Draghi (la sua nomina alla Bce fu una delle rare operazioni veramente azzeccate del governo Berlusconi) e poi per effetto della sentenza di Karlsruhe, dove i giudici costituzionali tedeschi hanno dato via libera alla nascita del Fondo salvastati. L’ultima buona notizia arriva dall’Olanda, con la clamorosa sconfitta alle urne dei partiti euroscettici che abbaiavano contro l’Italia, la Spagna e i popoli latini in generale. Conseguentemente lo spread è calato di 100 punti in meno di due settimane, rendendo meno ardua la tenuta dei conti pubblici. Insomma: per quanto assorbiti dalle loro occupazioni solite, e per quanto provinciale sia la prospettiva di alcuni tra loro, i nostri capipartito hanno tutti compreso al volo che nei prossimi mesi non succederà nulla di veramente catastrofico. Nessun meteorite annichilirà la politica italiana. Per cui niente impedirà loro di mettere la campagna elettorale in cima alla lista delle priorità. Purtroppo non si è mai vista, da che mondo è mondo, una corsa alle urne scevra di promesse più o meno con i piedi per terra. Chi può stupirsi se Vendola promuove con la sinistra radicale il referendum sulla riforma Fornero, uno dei capisaldi dell’”agenda Monti”? Solo un ingenuo si sarebbe atteso che Bersani prendesse le distanze, bacchettando pubblicamente il suo potenziale alleato. Tra l’altro domani ritorna in scena il Cavaliere, ritemprato dalle vacanze a Malindi, che della fabbrica di sogni possiede il copyright: di sicuro non deluderà i suoi fan. Più in generale: nei partiti sta passando l’idea che la missione di Monti sia felicemente conclusa, che la strana maggioranza governativa non serva più, e anzi sia consigliabile sbarazzarsene in tutta fretta perché fa perdere voti. Così però l’autorevolezza del premier sbiadisce, al di là dei riconoscimenti con tanto di pacca sulle spalle; unita al crepuscolo di Napolitano, il cui settennato volge inesorabilmente al termine, si rischiano sei mesi di vuoto pneumatico, di nave senza nocchiero. Se i mercati se ne accorgono (speriamo di no, incrocia le dita Monti), basta un attimo per ritrovarci nel mirino… da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/468414/ Titolo: UGO MAGRI Cresce il rischio di primarie senza premier Inserito da: Admin - Settembre 19, 2012, 04:58:59 pm Politica
19/09/2012 - IL PUNTO Cresce il rischio di primarie senza premier Ci si accapiglia sulle regole per scegliere il candidato, intanto si negozia su una legge elettorale che potrebbe rendere tutto vano Ugo Magri Roma L'ultimo paradosso della politica domestica riguarda le primarie: quelle già annunciate (del Pd) e quelle altre (del Pdl) che potrebbero tenersi, casomai Berlusconi decidesse di non tornare in pista. In entrambi i casi, il rischio incombente è quello di una grande finzione, di una ipocrita messinscena. Perché le primarie verranno indette per chiedere al popolo di sinistra (e di destra) che si pronuncino sul candidato premier; laddove è quasi certo che la scelta di chi guiderà il governo alla fine non rispetterà le indicazioni della gente, ma ricadrà sui partiti e sui rispettivi leader. Questo accadrà non per malafede di Alfano, di Bersani o di Casini, ma per effetto della legge elettorale che si va discutendo in Senato nella noia e nella distrazione generali. Tra tutte le ipotesi di riforma sul tappeto, nemmeno una al momento garantisce che la sera delle elezioni il mondo sappia da chi verrà governata l'Italia. L'obiettivo del centrodestra è, in questo momento, esattamente quello di impedire che ciò accada. Per dimezzare la probabile vittoria delle sinistre, il Pdl punta su un sistema proporzionale nemmeno troppo mascherato, con tanto di preferenze come nella Prima Repubblica. Se passa, ritorniamo alle vecchie pratiche dei governi di coalizione. Ma non è che le attuali proposte del Pd lascino prevedere un esito molto diverso: il premio del 15 per cento, così come lo gradisce Bersani, garantirebbe una maggioranza in Parlamento solo nel caso in cui la coalizione vincente superasse il 35 per cento dei suffragi popolari. Questione di semplice aritmetica. La circostanza è possibile, però alla luce dei sondaggi non sembra così scontata. Pd e Sel in questo momento viaggiano 3-4 punti sotto la soglia necessaria, per garantirsi il premio dovrebbero bussare da Di Pietro, oppure da Casini... Più facile che vi provvedano, eventualmente, dopo il voto. Ma allora, fa notare Arturo Parisi, ex ministro del governo Prodi e referendario intransigente, che senso ha accapigliarsi sulle regole delle primarie, su chi deve prendervi parte, su chi può votare, se nel contempo si negozia su una legge elettorale destinata a renderle vane? È una domanda che in molti, ai vertici del Pd, si stanno ponendo. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469251/ Titolo: UGO MAGRI Monti non è più un ostacolo sulla via di Bersani Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2012, 03:57:33 pm Politica
04/10/2012 - il punto Monti non è più un ostacolo sulla via di Bersani Ma Renzi rappresenta uno scoglio Ugo Magri Roma Lungo la strada che può portare Bersani al governo, Renzi continua a rappresentare uno scoglio; e la riforma elettorale rimane una palude insidiosa dove qualunque codicillo è potenzialmente in grado di negare al centrosinistra la vittoria agognata (occhio dunque a quello che può combinare Calderoli). In compenso, il segretario Pd non deve più temere sgambetti da colui che nei giorni scorsi gli era stato contrapposto come un potenziale rivale, cioè Monti. Tutto quel gran parlare di un «bis», di un governo tecnico destinato a tirare avanti anche nella prossima legislatura, aveva messo in allarme Bersani che ieri si è recato a chiarire la faccenda con il diretto interessato. L’esito del colloquio, stando a quanto filtra, prospetta una sorta di intesa che solo volgarmente si potrebbe considerare un «do ut des». Da una parte Bersani fa intendere che per Monti potrebbe esservi una collocazione ben più nobile di quella al palazzo dei principi Chigi, ad esempio sul colle del Quirinale (che dal 15 maggio 2013 resterà senza inquilino). Dall’altra il Professore non solo nega di voler mettere radici sulla poltrona di primo ministro, ma garantisce un atteggiamento collaborativo rispetto ai prossimi complicati passaggi politici. Guai a sottovalutare, infatti, il ruolo che Monti può svolgere durante la campagna elettorale. Il premier ha in mano il pallino della legge anticorruzione e, potenzialmente, anche della riforma elettorale casomai in Senato continuasse il muro contro muro. Ma soprattutto, spetterà al presidente del Consiglio definire i contenuti della legge di stabilità (un tempo si chiamava Finanziaria) da approvare entro l’anno. Proviamo a immaginare le ambasce di Bersani, nonché il vantaggio per il suo rivale Renzi, se per caso il governo avesse in animo di rafforzare le misure di austerità e di moltiplicare i sacrifici per gli italiani... Senza contare l’impatto, politicamente incalcolabile, di una richiesta eventuale di aiuti all’Europa, sottoposta alle dure condizioni della signora Merkel. La marcia trionfale di Bersani si trasformerebbe in una via crucis. Niente di tutto questo. Monti, ieri nel faccia-a-faccia, si è mostrato collaborativo. Non sarà lui a immolarsi come un Pietro Micca per negare la vittoria all’alleanza delle sinistre. Chi (specie tra i centristi) aveva coltivato una simile illusione, ora dovrà architettare un altro piano. da - http://lastampa.it/2012/10/04/italia/politica/monti-non-e-piu-un-ostacolo-sulla-via-di-bersani-NGDo005NCOJnrqtpbdgnBI/index.html Titolo: UGO MAGRI Ancora uno stop per la legge elettorale Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2012, 07:24:16 pm politica
10/10/2012 - 09/10/2012 Pd e Pdl spaccati sulle preferenze Ancora uno stop per la legge elettorale Dopo il no di Bersani si ricomincia Attesa per il voto in Commissione Ugo Magri Roma Alle 11 di ieri mattina, l’accordo sulla legge elettorale era fatto, letto e sottoscritto. Alle quattro del pomeriggio, è saltato sopra una mina. Questa mina si chiama preferenze. Il Pd non vuole riportarle in auge, le giudica un passo indietro pericoloso. Ha dato uno stop, proverà a puntare i piedi in Commissione affari costituzionali del Senato, dove in teoria oggi dovrebbe approdare il testo (ieri sera il presidente Vizzini però ancora non l’aveva tra le mani). Entro domattina, forse già stasera, si voterà sul nodo in questione. Il centrodestra sembra in vantaggio. Verrà dunque approvato, salvo colpi di scena, un testo-base comprensivo di preferenze. Come vuole il Pdl, come non vuole il Pd. A quel punto capiremo fino a che punto Bersani vorrà spingere la sua resistenza. Riproporrà l’opposizione del suo partito durante le votazioni in Aula? Boicotterà la riforma quando arriverà alla Camera? Domande per ora senza risposta. La difficoltà del segretario sta nel fatto che, bloccando l’iter della legge, presterebbe il fianco all’accusa di volersi tenere il «Porcellum», sistema da tutti aborrito e in modo particolare dal Presidente della Repubblica, il quale dal Colle vigila sempre meno paziente. Guarda caso, Bersani sente il dovere di precisare: «Non stiamo rinviando niente, voglio una legge elettorale che non porti alla frantumazione, alla balcanizzazione... Il meccanismo proporzionale va corretto in nome della governabilità, preferiamo i collegi alle preferenze». Non è esattamente il tono di chi si appresta ad alzare le barricate. E in effetti, appunto, ieri di buon ora l’intesa sembrava davvero raggiunta. Nella bozza elaborata in armonia da Zanda (Pd) e da Quagliariello (Pdl), si registrava lo scambio deciso ai vertici dei rispettivi partiti. Quello di Bersani portava finalmente a casa un discreto premio per la coalizione vincente, pari al 12,5 per cento dei seggi. Non ancora abbastanza da garantire la vittoria matematica alla coalizione con Vendola, ma un passo avanti rispetto al «premietto» che il centrodestra avrebbe voluto concedere. In contropartita, sempre nella bozza circolata ieri mattina, il Pdl incassava le preferenze per eleggere i due terzi di deputati e senatori (al netto del premio); l’altro terzo degli onorevoli sarebbe stato calato dall’alto tramite le solite liste bloccate, proprio come accade oggi... Non appena la notizia si è sparsa per i corridoi di Palazzo Madama, nel Pd è scoppiata una mezza rivolta. Particolarmente vibrate le proteste di Ceccanti e di Morando, due «liberal» che simpatizzano per Renzi. Segnala Ceccanti che, oltretutto, le circoscrizioni saranno parecchio grosse, dunque le spese della campagna elettorali parecchio ingenti, un’autostrada spalancata alla corruzione e anche una forma di autolesionismo, dal momento che la magistratura non resterà con le mani in mano, grande attivismo della Guardia di finanza durante le campagne elettorali... Sul fronte referendario Parisi ha fatto notare come i nominati dall’alto saranno percentualmente il 42 per cento del totale, ancora troppi. Per cui dietrofront, l’intesa col Pdl è stata rapidamente rinnegata dai bersaniani. Ritorsione del Pdl: allora niente premio. Si voterà in Commissione, e non è affatto detto che vinca il migliore. da - http://lastampa.it/2012/10/10/italia/politica/pd-e-pdl-spaccati-sulle-preferenze-ancora-uno-stop-per-la-legge-elettorale-vAel8yxu0yRK5s3CagFF2H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Cavaliere, è l’ora del “game over” Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2012, 07:25:56 pm politica
09/10/2012 - 09/10/2012 Cavaliere, è l’ora del “game over” La candidatura sarebbe un flop Nel gesto di Berlusconi c’è un calcolo molto realistico I sondaggi non lasciano dubbi: tanto vale puntare su altri candidati Ugo Magri Roma Il Cavaliere conferma pubblicamente quanto aveva già anticipato giorni fa ai vertici del suo partito. Presenta questa sua disponibilità a ritirarsi come un gesto estremo di generosità: pur di favorire l’intesa tra i moderati lui è disposto a farsi da parte. Al limite (sebbene non l’abbia detto, l’ipotesi sussiste) rinunciando addirittura a candidarsi. Tanto lo scranno in Parlamento ormai gli serve a poco, avendo superato i 75 anni in galera non andrebbe comunque pure in caso di condanna su Ruby & C. A pensarci bene, di generosità politica ce n’è meno di quanto possa apparire. Semmai, l’offerta è figlia di un calcolo molto realistico. Prima di formalizzare l’eventuale rinuncia, Berlusconi ha atteso quattro mesi per vedere come evolvevano i sondaggi. A settembre il Pdl cresceva; di poco, comunque stava recuperando qualche punticino. Poi è scoppiato lo scandalo laziale con conseguente crollo delle percentuali, e l’uomo di Arcore si è reso conto che il match non avrebbe più storia. Se si candidasse, in base alle stime più attendibili rischierebbe un tonfo catastrofico. Un conto è venire sconfitti alle elezioni (Berlusconi le ha già perse due volte in passato), altra cosa è farsi letteralmente spazzare via. Presidiare il Parlamento con un centinaio di deputati sarebbe poco utile perfino alla tutela degli interessi aziendali, un nonsense. Insomma, «game over». Tanto vale, è la logica conclusione dell’ex premier, «monetizzare» il passo indietro. Della serie: io non sono in grado di sbarrare la strada a Bersani, vediamo se qualcun altro è disposto a provarci… Casini (primo destinatario della profferta) ha già risposto che non vuole farsi prendere in giro, conosce Berlusconi e sa che Silvio cercherà di esercitare la propria influenza pure in futuro. Il sottinteso è che diverso sarebbe se la ritirata del Cavaliere fosse totale, però Pier Furby non la ritiene probabile e forse nemmeno possibile. Tra l’altro, perfino nel caso in cui davvero Berlusconi uscisse davvero di scena, a presidiare quell’area politica resterebbe il Pdl, con cui fare i conti. Per rendere credibile il passo indietro, l’offerta dovrebbe accompagnarsi a uno smantellamento totale del partito, insomma a una specie di resa senza condizioni, a una cessione completa dei diritti sull’area moderata… Siamo all’inizio di una trattativa molto complessa, aspettiamoci grandi sorprese. da - http://lastampa.it/2012/10/09/italia/politica/cavaliere-e-l-ora-del-game-over-la-candidatura-sarebbe-un-flop-oXtqZipbtLllypVDV6DKVI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Diminuisce lo spread, torna la politica Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2012, 10:12:17 pm politica
17/10/2012 - 16/10/2012 Diminuisce lo spread, torna la politica Oggi il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi si attesta a quota 300, 200 punti in meno di 100 giorni fa Curata la febbre dei mercati, destra e sinistra riaprono dialettiche interne Ugo Magri Roma Sotto la minaccia dello spread, quasi un anno fa è nato il governo Monti. Per timore dello spread, non più tardi di fine luglio, sul Colle più alto della Repubblica venivano presi in esame scenari di emergenza, comprensivi di eventuali elezioni anticipate casomai in agosto i mercati ci avessero messi alle corde. E sempre con l’occhio rivolto allo spread, che rappresenta il termometro della crisi finanziaria, si è immaginato che l’Italia (al pari della Spagna) possa inginocchiarsi davanti all’Europa per implorare soccorso. Da settimane, tuttavia, questo spauracchio incute meno timore. Oggi il differenziale tra i nostri Btp decennali e i germanici Bund si attesta intorno a quota 330, vale a dire duecento punti in meno rispetto a cento giorni fa. E molte autorevoli previsioni scommettono che di questo passo entro l’anno finirà per assestarsi su livelli ante-crisi, o comunque meno insostenibili per le nostre povere finanze. Risultato delle politiche rigorose adottate dal governo Monti, senza ombra di dubbio; ma anche, e forse di più, quale effetto delle mosse di Draghi, il quale ha offerto all’euro lo scudo poderoso della Bce (Dio solo sa perché non ci avevano pensato prima). A questo punto viene da chiedersi quali potranno essere i contraccolpi, benefici o negativi, sulla politica italiana. E il pensiero subito corre alle larghe intese: se lo spread cala, per una legge della fisica quelle si restringono. A mano a mano che svapora il clima di emergenza finanziaria internazionale, viene parimenti meno la ragione prima (e forse unica) da cui prese origine il governo dei «tecnici». Con la febbre dei mercati che viene curata, la «strana maggioranza» di Monti finisce per apparire come ancora più strana. Salvo nuove imprevedibili impennate dei tassi, il ritorno alla normale dialettica della democrazia appare ineluttabile. Non a caso, fervono a sinistra i preparativi delle primarie, a destra si tormentano sul da farsi, sotto i riflettori tornano le candidature e i partiti, e addirittura sulla legge di stabilità si annuncia quello che qualche pessimista già definisce «assalto alla diligenza». Passata è la tempesta, si ricomincia. da - http://lastampa.it/2012/10/17/italia/politica/diminuisce-lo-spread-torna-la-politica-BwWBXpfrseXzO7B1HABA0N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il centrodestra in attesa del Big Bang Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2012, 05:06:25 pm politica
18/10/2012 - 18/10/2012 Il centrodestra in attesa del Big Bang Per spiegare il silenzio del Pdl torna utile la teoria dei buchi neri di Stephen Hawking Ugo Magri Roma Grande fermento di primarie e «rottamazioni» a sinistra. Sull’altro fronte, al contrario, nulla si muove. Visto che nel centrodestra le cose vanno maluccio, da quella parte avrebbero parecchi motivi per impegnarsi, e invece nulla sembra accadere. Come mai? Per spiegare lo strano fenomeno, è d’aiuto ricorrere all’astrofisica, in particolare agli studi del grande scienziato britannico Stephen Hawking, il teorico dei «buchi neri». Non sorprenda l’accostamento: al pari delle altre scienze, anche la politica risponde a vere e proprie «leggi». E dietro l’apparente folklore, neppure la politica italiana si sottrae a queste regole intrinseche. Il dato di origine, dunque, è che la stella berlusconiana si va spegnendo nei consensi della gente (il tasso di popolarità del Cavaliere non è mai stato così scarso). Logico che di pari passo venga meno la sua capacità di attrazione politica. Intorno a Silvio-Sirio dieci anni fa ruotavano tre pianeti: Bossi, Fini e Casini. Oggi nella sua orbita non ne è rimasto nessuno. E i tentativi in corso di riagganciarne uno, o due, o addirittura tutti e tre sembrano a dir poco problematici. Quando una stella muore, perfino gli asteroidi potendo girano alla larga. Inoltre Berlusconi emette segnali contrastanti. In certi momenti sembra volersi ritirare negli abissi dell’universo, in altri vorrebbe trasformarsi in una cometa o lista-civica con un codazzo di imprenditori (continua a circolare, nonostante le deboli smentite, il nome di Briatore). Nell’attesa, il Pdl ha cessato di esprimere posizioni politiche. Tace su tutto, è afono, contribuendo così al senso di declino. E qui tornano utili le teorie di Hawking. Perché di questo passo, tra poco, al posto della stella morente avremo un immenso buco nero, l’intero spazio politico del centrodestra (che tre anni fa era maggioritario, e tuttora lo è nel Parlamento) privato improvvisamente della sua rappresentanza. Gli elettori moderati o conservatori non è che si sono estinti, semplicemente rifiutano di votare un partito dal quale si sentono profondamente delusi. E come tutti i vuoti dell’universo, anche i buchi neri della politica hanno una loro forza attrattiva, veri e propri inghiottitoi cosmici. Se ci sei accanto, ne vieni trascinato dentro. Per cui certamente qualcuno sarà portato, volente o nolente, a riempire quello spazio, con risultati impossibili da prevedere. Proviamo ad immaginare, per esempio, quale effetto di vertigine potrebbe provocare a Casini la vista di questo immenso spazio libero a sua disposizione sulla destra. Siamo sicuri che dopo il voto l’astuto Pier si getterebbe nelle braccia di Bersani, accontentandosi in cambio di qualche poltroncina? Viene da dubitare. E chissà quanti altri, senza dirlo, ci staranno facendo un pensiero… Una certezza viene dalla fisica: se la stella Berlusconi nelle prossime settimane si spegnerà, assisteremo a un nuovo Big Bang della politica nazionale. da - http://lastampa.it/2012/10/18/italia/politica/il-centrodestra-in-attesa-del-big-bang-laaCbxFgi8GgsToVsTsv9L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Questo è davvero un addio Ogni supposizione è legittima Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2012, 05:06:56 pm politica
26/10/2012 - l’analisi Questo è davvero un addio Che Berlusconi abbia saputo qualcosa in anticipo? Che per questo abbia pensato a una fuga in avanti? Ogni supposizione è legittima Ugo Magri Roma Adesso è un po’ tutto più chiaro. L’addio precipitoso alla candidatura, la convocazione delle primarie, il videmessaggio per dare solennità a passo indietro... Visto col senno di poi, cioè alla luce della condanna odierna, l’abdicazione di Re Silvio assume le caratteristiche di un 8 settembre, di una fuga precipitosa, di un si salvi chi può. I giudici erano da giorni chiusi in camera di consiglio, guarda che combinazione la svolta politica del centrodestra è maturata proprio in quel mentre. Che Berlusconi sia venuto a sapere in anticipo? Che a quel punto si sia affrettato a regolare la successione, sapendo di non poter attendere un minuto di più? Ogni supposizione è legittima. Come è lecito immaginare cosa sarebbe accaduto se lui non avesse provveduto a lanciare per tempo le primarie: il Pdl, alla luce della condanna, gli sarebbe sfuggito definitivamente di mano. Così, almeno, può sostenere di avere indicato la strada lui. L’unica vera certezza è che Berlusconi non tornerà sui suoi passi. Anche nel caso in cui gli venisse voglia di ripensarci, come qualche irriducibile tra i suoi insiste a credere, a questo punto sarebbe impossibile. Dopo Mediaset arriverà la sentenza di Mediatrade e poi quella su Ruby: un carico giudiziario eccessivo perfino per un combattente come lui. Sommato a tutto il resto (crollo nei sondaggi, discredito all’estero, crisi delle sue aziende), davvero giustifica un vero addio. da - http://lastampa.it/2012/10/26/italia/politica/questo-e-davvero-un-addio-2AzHrLUmsbeRpfvF0IyByH/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Se le elezioni americane non cambiano più l’Italia Inserito da: Admin - Novembre 06, 2012, 10:31:34 pm politica
06/11/2012 Se le elezioni americane non cambiano più l’Italia Per la prima volta dal dopoguerra, nessuno si domanda cosa succederà nella politica italiana con l’arrivo di un presidente Usa piuttosto che di un altro. E al fondo tifano Obama Ugo Magri Roma Per la prima volta dal dopoguerra nessuno, ma proprio nessuno, si domanda che cosa cambierà nella politica italiana per effetto di una vittoria dell’uno o dell’altro candidato alle presidenziali Usa. Più che sul voto in America, i nostri capipartito sono tutti concentrati sulle prossime primarie. E se si domanda loro delle elezioni, subito pensano a quelle dell’aprile 2013. Finora i leader della “strana maggioranza” non hanno trovato il tempo e la voglia di pronunciarsi su quanto potrebbe accadere al di là dell’Atlantico. Sicuramente commenteranno domani i risultati. Ma la sensazione nettissima è che, in fondo, per loro non cambierebbe molto. La sinistra al governo con Prodi non ha faticato a intendersi con il repubblicano Bush. Allo stesso modo il Cavaliere si è perfettamente adattato a Obama, sebbene sulla carta avrebbe potuto temerne l’ostracismo specie dopo la gaffe sull’«abbronzatura». Quale che sia l’inquilino della Casa Bianca, ai nostri governanti da lungo tempo non viene negata una “photo opportunity”, accompagnata magari da una cordiale pacca sulla spalla. Pure se vincesse Romney, Bersani sa già che verrebbe accolto con tutte le cerimonie del caso. E perfino con Vendola al governo, gli Usa continuerebbero ad avere in Italia lo status di grande fratello, mai verrebbe negato loro un favore. Sulla carta (ma solo sulla carta) il centrodestra dovrebbe fare il tifo per Romney, e la sinistra per il presidente in carica. A conti fatti, però, nessuno ha gradito le battute di Romney sull’Italia, portata come cattivo esempio da non imitare. Per cui sotto sotto tutti tifano per Obama, berlusconiani compresi. Non è sempre stato così. Ai tempi della Dc, del Pci e della guerra fredda, l’America faceva apertamente le sue scelte nella politica italiana e non mancava di aiutare in tutti i modi i partiti amici, anche a suon di dollari per bilanciare i rubli dall’altra parte. L’ambasciata Usa in Via Veneto era, tra tutti i palazzi romani, uno dei più influenti. Una vasta letteratura accompagnò fino alla caduta del Muro le gesta, vere o presunte, della Cia in Italia. In quella fase storica davvero da noi poteva incidere l’elezioni di un presidente anziché di un altro. Ma rispetto ad allora il Belpaese è ormai una pigra periferia. Chiuse una dopo l’altra le basi americane in Italia, perché il fronte si è spostato altrove. Con il cambio così sfavorevole per il biglietto verde, nemmeno per i turisti Usa siamo più una meta obbligata, al massimo ci dedicano tre giorni di un “trip” europeo. E quanto ai nostri politici, ormai a Washington li dividono tra persone serie, su cui fare affidamento, e quaquaraqua (magari pure poco onesti). Basti dire che uno dei personaggi pubblici più stimati e ascoltati oltre Atlantico è un comunista d’antan di nome Giorgio Napolitano. The Times They Are a-Changin’... da - http://lastampa.it/2012/11/06/italia/politica/se-le-elezioni-americane-non-cambiano-piu-l-italia-byfJoEEBwyeispTU2rBJwJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI “Sceneggiata napoletana il Pd non cada dalle nuvole” Inserito da: Admin - Novembre 07, 2012, 11:02:11 pm intervista
07/11/2012 “Sceneggiata napoletana il Pd non cada dalle nuvole” Il leader centrista: qualcuno vorrebbe tenere il Porcellum Ugo Magri Roma Presidente Casini, il Pd vi accusa di fare sgambetti in commissione sulla riforma elettorale. Che risponde? «È tutta una sceneggiata napoletana, mica possiamo raccogliere queste polemiche. In Senato si è solo preso atto di un principio fissato dalla Corte costituzionale, secondo cui bisogna superare una certa soglia per poter accedere al premio di maggioranza. Sono anni che la Consulta lo va ripetendo, e il Presidente della Repubblica ci ha richiamati più volte. Nessuno può cadere dalle nuvole. Ma allora, di quali sgambetti stiamo parlando?». Sta di fatto che Bersani è pronto alle barricate contro la soglia del premio al 42,5 per cento. La trova eccessivamente elevata, praticamente irraggiungibile. «Se non piace la soluzione che abbiamo indicato, ne proponga un’altra. Si può cambiare l’altezza dell’asticella, si può ragionare sul premio al partito, sono tante le soluzioni possibili. Ma non è che, siccome non ci piace l’idea del tetto, dobbiamo abbattere l’edificio. Io non vorrei che fosse vero quanto si va dicendo in giro...». Cosa si dice? «Che a furia di rinvii, qualcuno si era ormai rassegnato a tenere il Porcellum, con il suo premio di maggioranza spropositato; per cui adesso non gradisce il passo avanti compiuto in Senato». Scusi, ma tra i padri del Porcellum non c’era anche lei? «Certo che diedi un contributo. Però spesso si omette di ricordare che allora le condizioni erano molto diverse. Nel 2006 i due poli sfiorarono ciascuno il 50 per cento. E nel 2008 Berlusconi vinse con quasi il 47. Il premio di maggioranza, nel suo caso, fu dell’8 per cento, mica del 20. Oggi non si può pensare di prendere il 25 e di essere proiettati, grazie al premio, al 55 per cento dei seggi». Bersani la vede al contrario, «qualcuno teme che governiamo noi» è la sua accusa... «Potrà governare, figuriamoci. Ma in tutta amicizia gli dico quello che già sa: non si può consentire a lui e a Vendola di raddoppiare per legge i propri voti. Il problema del suffragio universale si pone anche per loro». La via d’uscita, a questo punto, quale può essere? «Proseguire il lavoro avviato in Commissione, arrivare nell’aula del Senato con un testo, discutere e votare con serenità gli emendamenti. Lo ripeto: noi siamo aperti a ogni miglioramento della riforma. Anzi di più, siamo sdraiati, distesi se è questo che occorre per arrivare a un accordo serio. Tutto è perfettibile, figuriamoci se non lo può essere un testo di riforma elettorale che deve per forza nascere da un compromesso. Io stesso, che di ispirazione sono proporzionalista, in nome dell’intesa possibile ho accettato l’idea di un premio alla coalizione o al partito vincente. Dunque discutiamone, senza minacce di rovesciare il tavolo». da - http://lastampa.it/2012/11/07/italia/politica/sceneggiata-napoletana-il-pd-non-cada-dalle-nuvole-9LReHcJlVRZteTPUQRDiQK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Quirinale prudente E Monti potrebbe prendere tempo Inserito da: Admin - Novembre 15, 2012, 04:42:50 pm Politica
15/11/2012 - retroscena Il Quirinale prudente E Monti potrebbe prendere tempo Per il governo decisione difficile, si affaccia l’idea di un voto in aula la prossima settimana Ugo Magri Roma La minaccia sembra autentica, stavolta davvero il Pdl potrebbe far saltare il banco. Berlusconi lo raccontano «determinatissimo», il che non è una garanzia assoluta perché Silvio cambia spesso idea. Però ci sono anche gli altri. E tutti, da Alfano in giù, si sono passati parola: le Regionali debbono svolgersi nello stesso giorno delle Politiche, altrimenti meglio la crisi. Sono attendibili in quanto disperati. Se il 10 febbraio si votasse solo in Lombardia e nel Lazio, come propone il ministro Cancellieri, sarebbe come mettere in vetrina i panni sporchi del centrodestra. Il Pdl (ma pure i centristi, che di quelle giunte facevano parte) verrebbero puniti dagli elettori proprio a ridosso delle Politiche, che si terrebbero il 6-7 aprile. La successiva campagna elettorale si trasformerebbe in una faccenda privata tra Bersani e Grillo. A Berlusconi resterebbero le briciole, forse nemmeno quelle. Ecco perché, morto per morto, il Cavaliere è pronto a licenziare i tecnici pur di confondere tutto nel gran calderone dell’«election day», da tenere in febbraio... La situazione di Monti è delicata assai. Può tirare dritto per la sua strada, come lo incita Bersani, e confermare già domani in Consiglio dei ministri la data fatidica del 10 febbraio. In questo caso, però, il Prof dovrà attendersi che da destra gli facciano lo sgambetto con la scusa che sarebbe indegno sperperare 100 milioni di euro per votare due volte in due mesi. È ben vero quanto ribatte il Viminale: rinviare le Regionali ad aprile sarebbe arduo dal punto di vista giuridico. Ed è altrettanto vero ciò che ricordano sul Colle più alto, anticipare le Politiche a febbraio significherebbe andare al voto con il «Porcellum», perché mancherebbe il tempo di riformare questa legge da tutti deprecata. Ma tali discorsi, benché fondati sulla ragione, sarebbero sommersi dall’onda demagogica su cui ieri «surfava» allegramente Alfano denunciando la «tassa Bersani» e gli indegni costi della politica. Non solo: la polemica divamperebbe al punto da lambire lo stesso Presidente. Già ieri nel Pdl, ma pure nel giro centrista, Napolitano veniva additato come il vero artefice delle date, una specie di calendario vivente. Si sosteneva che la scelta di tenere le Regionali in febbraio fosse stata concordata da Re Giorgio direttamente con Bersani e comunicata a Monti durante il pranzo di martedì. Si dava in quegli ambienti per certo che il premier non fosse tanto d’accordo, anzi proprio per niente, salvo cedere all’ora del dolce, onde evitare un pericoloso cortocircuito. Si vociferava di un certo freddo tra premier e Presidente, motivato dal timore che Monti possa o voglia interferire nella campagna elettorale, addirittura accettando che Casini spenda il suo nome quale candidato di un grande «rassemblement» dei moderati... Tutte chiacchiere smentite con forza tanto al Quirinale quanto a Palazzo Chigi, dove anzi si domandano chi le metta in giro, e con quali disegni per la mente. Ai vertici della Repubblica regna, garantiscono, una totale armonia. Sul tappeto c’è pure l’altra ipotesi: che Monti si pieghi al «ricatto» (così lo definiscono da sinistra). E che per evitare l’assalto della speculazione internazionale, conseguente a una crisi di governo immediata, acconsenta di spostare le Regionali ad aprile. Tale ritirata suonerebbe come grave segno di debolezza, oltre che come sconfessione del ministro Cancellieri. Inoltre, avrebbe l’effetto di mandare su tutte le furie il Pd. Il crollo della fiducia nel Prof sarebbe verticale, a sinistra Monti avrebbe chiuso per l’oggi e per il domeni. Dunque c’è da credere a quanti nel suo entourage lo descrivono pensieroso e prudente. Ieri sera è tornato tardi dalla visita di Stato in Algeria, non ha avuto tempo e modo di tuffarsi nei colloqui politici. Lo farà nei prossimi giorni, senza precipitazioni. Da nessuna parte sta scritto che la decisione sulle date debba essere presa per forza domani, nel Consiglio dei ministri già convocato. Probabile che se ne parli a cuore aperto, ma che l’ultima parola slitti alla prossima settimana. Magari dopo un voto di indirizzo parlamentare, sotto forma di ordine del giorno sostenuto da Pdl e centristi, cui il governo sarebbe costretto a ottemperare. Con sollievo inconfessato di Monti e, a essere molto maliziosi, dello stesso Quirinale. DA - http://lastampa.it/2012/11/15/italia/politica/il-quirinale-prudente-e-monti-potrebbe-prendere-tempo-RZ7iiAS0z9j3XMKwrjkZEN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il “consiglio” di Bersani a Monti: non si candidi Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 01:26:37 am Verso il 2013
22/11/2012 - le strategie dei partiti Il “consiglio” di Bersani a Monti: non si candidi Bersani sarebbe disposto ad accettare la proposta Calderoli di un premio in base alla percentuale di voti ottenuta Legge elettorale verso l’accordo: premio legato alla percentuale raggiunta Ugo Magri Roma Due mosse chiare e risolute da parte di Bersani. La prima: il segretario Pd lancia un altolà politico a Monti. Gli consiglia, tra virgolette, di non farsi sedurre da Montezemolo e da Casini, se il premier «vuole dare una grossa mano per il futuro è meglio che non si metta nella mischia». Certo, riconosce Bersani, «volendo avrebbe tutti i diritti, ma se si tiene fuori è meglio...». Un messaggio politico forte e chiaro dopo settimane in cui aveva finto di ignorare le grandi manovre al centro. L’altra mossa, importante, di ieri: il segretario Pd indossa i panni del leader generoso e responsabile, che sacrifica un po’ del suo bottino elettorale futuro pur di liberare l’Italia da questa legge indecente, non a caso ribattezzata «Porcellum»... La novità consiste nello scendere dal pero e nell’aderire all’unica mediazione in campo, quella cui sta lavorando Calderoli, qualcuno dice con la benedizione del Colle. Il Pd non la sposa in tutto e per tutto, restano ancora certi spigoli da limare. Però sottoscrive il congegno, che ricorda tanto un ascensore: alla lista o alla coalizione vittoriosa viene assegnato un premio diverso, a seconda del piano raggiunto. Primo piano (cioè fino al 30 per cento dei voti): il «bonus» alla Camera consiste in una quarantina di seggi che si sommano a quelli già ottenuti. Piano secondo (tra il 30 e il 35 per cento): il premietto sale e può arrivare, grazie all’ascensore, a quota 60 seggi. Piano terzo (se il vincitore si piazza tra il 35 e il 40 per cento): il premietto diventa un premio vero e proprio, sfiorando i 70 seggi. Piano quarto (oltre il 40 per cento): è fatta, chi ci arriva riceve la maggioranza assoluta dei seggi. Rispetto a Calderoli, la proposta Pd ritocca all’insù le percentuali. Il sub-emendamento presentato da Finocchiaro e Zanda prevede che già al terzo piano, con il 35 per cento dei voti, Bersani possa conquistare il controllo del Parlamento. Ma la distanza da Calderoli adesso è minima, 7-8 seggi non di più. A questo punto il cerino acceso passa dalle mani di Bersani a quelle di Alfano. Il quale rischia di ustionarsi seriamente, in quanto Napolitano è pronto a denunciare davanti al Paese colui o coloro che per calcoli miopi ci riportassero alle urne con il «Porcellum». Nel Pdl non sanno bene che fare, se convergere anche loro su Calderoli o se restare isolati anche rispetto alla Lega. Si sono presi tempo fino a lunedì per una risposta. Dunque, nuovo rinvio. da - http://lastampa.it/2012/11/22/italia/politica/il-consiglio-di-bersani-a-monti-non-si-candidi-QUudZL9BGdPFgBTtYXqo5L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Grillo, un trampolino per il Monti bis Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 05:11:07 pm politica
30/10/2012 Grillo, un trampolino per il Monti bis Il Financial Times ironizza sull’Italia guidata da un comico, ma chi l’ha detto che la sua vittoria sarebbe un passo indietro per la governabilità? Ugo Magri Roma Stamane in prima pagina il Financial Times lancia l’allarme ai mercati: questa vittoria di un «comico» in Sicilia potrebbe recare grave instabilità politica all’Italia. E ciò, chiarisce la Bibbia della City londinese, in quanto l’esito delle regionali conferma quanto i sondaggi vanno rilevando su scala nazionale a proposito di Beppe Grillo. Non è impossibile che di questo passo il suo movimento possa affermarsi alle Politiche come secondo partito, e a quel punto il Belpaese tornerebbe nel caos... Vedremo quali effetti potranno avere sull’andamento dello spread queste e altre consimili previsioni. Tuttavia traggono da una premessa esatta conclusioni molto discutibili. Chi l’ha detto che se Grillo dovesse crescere l’Italia uscirebbe dal seminato? Sarebbe possibile esattamente il rovescio. Per esempio, potrebbe succedere che l’assenza di maggioranze chiare finisca per rendere inevitabile una conferma di Monti. E che, per non cedere il passo a Grillo, pure nella prossima legislatura si venga a riprodurre qualche forma di grande coalizione. In questo caso saremmo al paradosso, uno dei tanti che suscitano stupore fuori dei nostri confini: l’effetto del movimento anti-sacrifici sarebbe proprio quello di conservare al suo posto colui che li ha saputi imporre come nessun altro... L’ipotesi non è poi così peregrina. Pare che per calcoli non sempre commendevoli i due maggiori partiti siano intenzionati, al di là delle chiacchiere, a tenersi l’attuale sistema di voto, il famigerato Porcellum. Che ha la caratteristica di garantire maggioranze super-solide alla Camera e molto ballerine al Senato. L’ irruzione sulla scena di un nuovo partito del 15-20 per cento, forse addirittura di più, avrebbe l’effetto di rendere la distribuzione dei seggi a Palazzo Madama assolutamente imprevedibile. E se la sera delle elezioni ci ritrovassimo senza alcun chiaro vincitore al Senato, sarebbe giocoforza richiamare in campo come estrema risorsa della Repubblica (e dei partiti) il Prof. Il quale, guardando avanti, si è già messo a disposizione. da - http://lastampa.it/2012/10/30/italia/politica/grillo-un-trampolino-per-il-monti-bis-ApS5aaYzeCoBtFd1qJLVIN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Alfano: “I Centri sono velleitari solo noi alternativi alla sinistra” Inserito da: Admin - Novembre 24, 2012, 05:41:16 pm intervista
24/11/2012 - verso il 2013 Alfano: “I Centri sono velleitari solo noi alternativi alla sinistra” Su Casini e Montezemolo: dividere i moderati è un modo per far vincere il Pd Ugo Magri Roma Davvero lei, che tanto si è battuto per le primarie, potrebbe dire «con certi signori non vi partecipo»? «Ne faccio una questione di credibilità e di serietà. Io sono indisponibile a gareggiare con soggetti estranei alla nostra storia, ma che portano in compenso la loro biografia comprensiva di qualche vicenda giudiziaria in corso...». Lei, però, da ministro e da segretario ha sempre difeso Berlusconi. Con lui come la mettete? «Siamo stati, e sempre saremo, al fianco del Presidente in quanto perseguitato della giustizia. Però non crediamo che tutti gli indagati siano automaticamente vittime dell’ingiustizia. Siamo veri garantisti, ma da qui a volere l’impunità ne corre». Tra i suoi sfidanti alle primarie, chi le sembra privo dei requisiti, diciamo così, morali? «Non è questione di nomi. Per questo c’è un Comitato dei garanti, dai quali mi aspetto una valutazione particolarmente attenta delle singole posizioni. E me l’attendo, in quanto dobbiamo fare una gara seria e credibile nell’interesse del Pdl, del centrodestra e dell’Italia stessa. La prima volta delle primarie, perdoni il bisticcio, deve essere un evento assolutamente inattaccabile». Giorgia Meloni già le domanda, in tono di sfida, se userete lo stesso metro anche per i candidati alle prossime elezioni politiche... «Saremo severissimi, ma senza per questo farci scrivere le liste dai pubblici ministeri. Abbiamo conosciuto e vediamo tutti i giorni troppi errori per poterci fidare delle ipotesi accusatorie a scatola chiusa». Ma in tivù con gli altri concorrenti, lei è disposto ad andarci? «Nessun problema. Anzi, sa che le dico? Sarà solo un piacere discutere pubblicamente con chi milita sotto la stessa bandiera e persegue gli stessi obiettivi». Che partecipazione si attende alle vostre primarie? Mezzo milione? Un milione? Di più? «Non riuscirà a farmi dare i numeri... Dico che è una grande sfida organizzativa, e aggiungo: non sarebbe onesto paragonarci a una sinistra che fa le primarie non del Pd ma dell’intera coalizione, e in una congiuntura politica provvisoriamente favorevole». Provvisoriamente? «Io sono sicuro che il nostro sforzo renderà effimero il loro vantaggio». Nell’attesa, certi ultras del Cavaliere la dipingono come alleato degli ex-An contro il mondo di Forza Italia... «Ecco una bufala colossale. Primo, perché nella ex-Forza Italia godo di un sostegno larghissimo, e non trascuriamo che di lì provengo. Secondo, perché dalle primarie verrà fuori una nuova generazione della destra italiana, giovani donne e giovani uomini che so di certo stimati dallo stesso presidente Berlusconi. Basta, per favore, con questa abitudine di buttare tutto quanto nel cestino della polemica! Io sono convinto che molte cose cambieranno, anche per effetto delle primarie. Grazie a questo profondo rinnovamento, il Popolo delle libertà tornerà appetibile per quei milioni di italiani che non vogliono consegnarsi alle sinistre». Lei, Alfano, ha rifiutato l’investitura già ricevuta, preferendo farsi eleggere nelle primarie. Che bisogno c’era? «E’ vero, ho scelto la strada più scomoda, la più stretta, quella più ricca di incognite: mi sono messo in discussione. Ma creda a me, con il Presidente c’è un vincolo non solo politico ma personale solidissimo. È un uomo che ha scritto pagine molto belle della storia politica italiana e che eserciterà ancora un ruolo fondamentale nell’area dei moderati, di cui è stato dal ’94 a oggi il federatore». In futuro, potrebbe esserlo Monti? «Il presidente del Consiglio ha svolto una funzione importante in una fase di sospensione democratica. Ma a marzo la democrazia tornerà e, se vorrà continuare a governare il paese, Monti dovrà dirlo chiaramente affinché gli elettori possano dare un giudizio. E comunque, che lui scenda in campo o meno, un concetto dev’essere chiaro: senza l’apporto del Pdl, le forze moderate non avranno alcuna chance di successo». Par di capire che lei non crede troppo al successo dell’iniziativa di Montezemolo, Riccardi, Casini... «Io credo in quello che stiamo facendo con le nostre primarie e con il profondo rinnovamento del Pdl. Perciò sostengo che un’alleanza alternativa alla sinistra si può costruire solo intorno a noi e insieme con noi. Altrimenti risulterebbe velleitaria. O peggio, sarebbe di aiuto a Bersani e a Vendola. Perché ci sono due modi per farli vincere. Il primo è votarli». E il secondo? «Dividere i moderati quando invece avrebbero tanti motivi per restare uniti. Basti vedere chi ha firmato l’accordo sulla produttività, e chi invece l’ha contestato. Da una parte le forze sociali favorevoli a un patto utile per la crescita, che consente di guadagnare di più a chi più lavora. Dall’altra la Cgil, ancora capace di dettare l’agenda della sinistra e, se Bersani dovesse vincere, dell’Italia». da - http://lastampa.it/2012/11/24/italia/politica/alfano-i-centri-sono-velleitari-solo-noi-alternativi-alla-sinistra-WhhMj0uhY0nTuOTSY8J1BJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Le primarie Pdl? Un regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere Inserito da: Admin - Novembre 26, 2012, 07:43:41 pm politica
23/11/2012 Le primarie Pdl? Un regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere Chi perderà il prossimo 10 marzo sarà il leader del centrodestra nel Parlamento futuro: il vero nodo della dialettica interna riguarda l’inaugurazione di una nuova stagione politica dopo Berlusconi Ugo Magri Roma Ci sono tanti modi di guardare alle primarie del Pdl. Quello più in voga rispecchia il modello sperimentato a sinistra, dove cinque candidati si battono (due con maggiori chance) per conquistare la guida della coalizione e, probabilmente, del paese. Con questo stesso metro di giudizio, trapiantato a destra, ecco finire sotto i riflettori personaggi quali Proto, come Samorì e come altri signori sconosciuti al grande pubblico, perché di loro mai le cronache si erano interessate. La corsa tra Alfano e i suoi avversari ricorda un po’ una gara tra Biancaneve e i sette nani, tale e tanta risulta la sproporzione di forze tra il segretario col suo apparato di partito da una parte, e i vari più o meno probabili competitor dall’altra. Lo spettacolo delle primarie Pdl, insomma, potrà risultare gradito agli amanti del folklore politico, ma per tutti gli altri rischia di essere assai poco avvincente. C’è però un altro modo, assai più vivace, di «leggere» quanto sta capitando a destra. Dove nessuno, nemmeno Angelino, può ragionevolmente sperare che una vittoria alle primarie lo proietti a Palazzo Chigi. Bene che gli vada, il Pdl potrà ambire alla seconda piazza (ma rischia la terza dietro a Grillo, e forse addirittura la quarta se il progetto centrista decolla). Al massimo, insomma, la disfida interna potrà servire per consegnare lo scettro al nuovo capo o, se più piace, al nuovo padrone del partito. Colui che, pure perdendo il 10 marzo prossimo, sarà il leader dell’opposizione di centrodestra nel Parlamento futuro. E qui scatta qualche brivido autentico, poiché nel Pdl come altrove si comanda uno alla volta, dunque il significato vero di queste primarie ha molto a che vedere con la cacciata del vecchio sovrano Berlusconi per inaugurare una nuova stagione. Le primarie, in realtà, vanno intese come un duro, incerto, per certi versi appassionante regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere. In quest’ottica, si comprende come mai Berlusconi remi disperatamente contro, e perché invece il suo ex-figlioccio ci tenga tanto a celebrare il rito. Silvio non voleva che le primarie si tenessero, ha negato perfino la risorsa di cui maggiormente dispone, i quattrini. Alfano le ha imposte invece alla data prestabilita, costi quello che costi. Il Cavaliere sospinge nell’arena i candidati più improbabili, in modo (direbbero a Roma) da «buttarla in caciara» e avvolgere l’aspirante successore al trono in una nube di ridicolo. Il segretario viceversa ha l’interesse opposto, quello di mostrare che la stagione dei nani e delle ballerine appartiene al passato, adesso si volta pagina... Ecco spiegata l’uscita odierna di Alfano, «se si candidano gli indagati, allora non mi candido io». Il vero destinatario dell’ultimatum non è Proto, come a prima vista potrebbe sembrare, ma chi l’ha spinto a scendere in pista. Chissà perché, torna in mente il titolo di un vecchio film di Nanni Loy: «Mi manda Picone»... da - http://lastampa.it/2012/11/23/italia/politica/le-primarie-pdl-un-regolamento-di-conti-tra-alfano-e-il-cavaliere-MeYTJYVaQ2JkMGbV3Wgl8I/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il diktat del Cavaliere sull’election day Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2012, 05:09:53 pm politica
04/12/2012 Il diktat del Cavaliere sull’election day La linea di Berlusconi: andare alle urne il 10 febbraio insieme al Lazio per evitare sprechi. Ma il Quirinale non accetta ultimatum sullo scioglimento delle Camere Ugo Magri Roma Berlusconi è pronto a far cadere il governo se non gli verrà concesso l’«election day» il 10 febbraio prossimo. Pretende proprio quel giorno (e non per esempio un mese dopo) in quanto già è stabilito che vada alle urne il Lazio. Non «agganciarvi» pure la Lombardia, il Molise e il Parlamento nazionale sembrerebbe a Silvio e al Pdl un intollerabile spreco di risorse, oltre che un insulto alla pazienza dei cittadini. Di qui la minaccia, pare molto seria, di licenziare Monti in modo da costringere Napolitano a sciogliere subito il Parlamento e approdare comunque al 10 di febbraio… Il fatto è che il Capo dello Stato non ragiona allo stesso modo. A lui e a nessun altro spetta il potere di sciogliere le Camere, così dice la Costituzione. Sul Colle si esclude che Re Giorgio voglia concludere il suo mandato ubbidendo tremebondo al Cavaliere. Perfino nel caso in cui Berlusconi volesse precipitare la crisi, Napolitano potrebbe manovrarne la tempistica in modo da tenere le elezioni politiche alla scadenza concordata due settimane orsono con i presidenti delle Camere: il 10 e 11 marzo 2013. In quella stessa data potrebbero essere chiamati al voto i cittadini della Lombardia e del Molise, come non definirlo «election day»? L’unico anticipo riguarderebbe dunque il Lazio, a votare due volte sarebbero soltanto i suoi abitanti. Ma non è colpa nostra, osservano al Quirinale, se nel Lazio la data è stata fissata al 10 febbraio. La decisione è figlia del Consiglio di Stato, nonché della Polverini, la quale ha emanato un apposito decreto per convocare i comizi. Vi era obbligata dalla sentenza, è vero; però volendo avrebbe potuto rifiutarsi di eseguirla, facendosi commissariare dal governo per non avere ottemperato. In altre parole la Polverini, convocando le elezioni nel Lazio il 10 febbraio, si è resa partecipe della decisione. Ma l’ex governatrice, c’è chi fa in alto loco, appartiene allo stesso partito di Berlusconi. Non potevano mettersi d’accordo, i due, in maniera da evitare un simile pasticcio? Sempre dalle parti del Quirinale si sostiene che, a questo punto, non c’è alcuna fondata ragione per cambiare l’agenda. Anzi, sarebbe una follia subire il diktat berlusconiano. Perché, primo, non si fa tecnicamente più in tempo a votare per febbraio. In teoria la legge consentirebbe di sciogliere le Camere fino a Natale, ma poi l’amministrazione (che è una lumaca) non riuscirebbe ad allestire seggi, a stampare le schede e tutto il resto in maniera dignitosa nei 45 giorni disponibili. Avrebbe bisogno di almeno 15 giorni in più, diciamo che lo scioglimento dovrebbe intervenire non oltre metà dicembre. Ma (seconda considerazione) in quel caso le Camere verrebbero mandate a casa ancor prima di avere approvato la legge di stabilità, cioè la manovra economica che ci salva agli occhi dei mercati. Il provvedimento deve essere ancora licenziato alla Camera, poi toccherà al Senato… Dovremmo andare al voto con l’esercizio provvisorio, e sarebbe una pessima figura. Facile prevedere un’impennata dello spread, proprio quando finalmente sembra calato a livelli accettabili. Col risultato che, per risparmiare allo Stato qualche milione di euro, ne verrebbero bruciati miliardi sull’altare della speculazione internazionale… Napolitano non pensa proprio a farci correre un tale rischio. Berlusconi, si domandano perplessi nei dintorni del Colle, è pronto ad assumersi una responsabilità così seria? da - http://lastampa.it/2012/12/04/italia/politica/il-diktat-del-cavaliere-sull-election-day-HIeFo4tJJvD8xDk0aCya1N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e la tentazione di fare lo sgambetto a Monti Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2012, 10:06:27 pm politica
05/12/2012 Berlusconi e la tentazione di fare lo sgambetto a Monti Oggi a pranzo riunione con i colonnelli del Pdl per decidere se staccare la spina al governo Ugo Magri Roma All’ora di pranzo Berlusconi riunisce i capi del suo partito con l’intenzione di staccare la spina al governo con un mese di anticipo. La scusa ufficiale è legata all’«election day» (il Pdl vuole che si voti il 10 febbraio anziché il 10-11 marzo), ma la giustificazione vera ha molto a che vedere con le strategie della campagna elettorale. Il Cavaliere è convinto di essere precipitato negli indici di gradimento come conseguenza dell’appoggio a Monti più che dei suoi tanti errori. La sua gente si è sentita tradita (questa è la teoria in voga dalle parti di Arcore) dalle tasse e dai tagli del Professore, per cui sarebbe impossibile risalire la china senza prendere le distanze dal governo con un gesto forte e chiaro. La crisi, appunto. Però il gruppo dirigente del Pdl non la pensa allo stesso modo. Alfano, Cicchitto, Gasparri, Fitto, per non dire di Lupi, ieri sera gli hanno mandato a dire tramite l’«ambasciatore» Gianni Letta che sgambettare Monti adesso, con la legge di stabilità ancora da approvare, con la riforma elettorale lasciata a metà, sarebbe un gigantesco regalo a Bersani, oltre che un rischio gravissimo. Se i mercati finanziari dovessero reagire male alla crisi, lo spread schizzerebbe di nuovo alle stelle, e il centrodestra se ne dovrebbe assumere intera la colpa. Una follia politica. Dunque generali e colonnelli del Pdl (eccezion fatta per Verdini e per le «amazzoni» berlusconiane, dalla Santanché alla Biancofiore) implorano il Capo di lasciar perdere. Nel primo pomeriggio sapremo come è andata a finire. Ma qualora Berlusconi voglia tirare diritto per la sua strada, causando il patatrac, non è da escludere che una parte del Pdl si stacchi dal gruppo e decida di sostenere il governo a oltranza, in modo da completare la legislatura (lo scioglimento delle Camere è previsto per metà febbraio). Già ieri l’ex ministro Frattini è salito al Colle per informare il presidente della Repubblica che lui e altri si opporrebbero a forzature tali da metterci in cattiva luce con l’Europa. La riforma elettorale dipende da tutto ciò. Nel senso che la linea dura berlusconiana implica la chiusura di fatto del Parlamento. Per cui non ci sarebbe più tempo per rimpiazzare il «Porcellum». Stamane il Senato esamina il decreto sviluppo, riservandosi di portare in Aula la legge elettorale nel pomeriggio, qualora così decida la conferenza dei capigruppo. I quali capigruppo aspettano, inutile dire, l’esito del pranzo «chez» Berlusconi. Altamente probabile la fumata nera. Ma pure se così non fosse, i due maggiori partiti hanno ormai perso la fiducia di poter trovare un accordo. Che sarebbe a un passo, le distanze sul premio di maggioranza sembrano infinitesimali (53 seggi vorrebbe il Pd, 50 ne offre il Pdl con l’ultima proposta firmata Quagliariello). Però tanto Bersani quanto Berlusconi ritengono, in cuor loro, di ricavare maggiori vantaggi dalla legge attuale. Sotto sotto si domandano chi glielo fa fare di cambiarla per una soluzione meno conveniente… Comunque vada il pranzo a Palazzo Grazioli, una cosa è certa: sulla XVI legislatura della Repubblica incominciano a scorrere i titoli di coda. da - http://lastampa.it/2012/12/05/italia/politica/berlusconi-e-la-tentazione-di-fare-lo-sgambetto-a-monti-ClVz8EY4uNCmAEuCoXgUFO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Election day, governo tra due fuochi Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:46:12 pm verso il 2013
06/12/2012 - le questioni aperte Election day, governo tra due fuochi Oggi il Consiglio dei ministri: il Pdl preme per il voto unificato, il Pd vuol separare Regionali e Politiche Ugo Magri Roma La mina dell’«election day» non è ancora disinnescata, anzi si annuncia uno scontro molto aspro tra Pd da una parte, Pdl dall’altra, con il governo in mezzo a farne potenzialmente le spese. Nel caso in cui Monti non faccia come dice lui, Berlusconi è sempre più deciso a sgambettare il Prof. A sua volta Bersani ha messo in chiaro al premier che si attende il rovescio di quanto pretende il Cavaliere: veda un po’ lui a chi dare retta... Oggetto del contendere sono Lombardia e Molise: devono andare alle urne insieme con le Politiche, presumibilmente il 10-11 marzo, oppure vanno accorpate con le elezioni del Lazio, che proprio ieri mattina il Tar ha fissato per sentenza al 3 febbraio? Unire le date o separarle? Sembra una questione burocratica, di sicuro poco appassionante, ma politicamente è dinamite. Perché si sa, gli elettori tendono a buttarsi con chi vince e a fuggire da chi perde: in America lo chiamano «band wagon effect». Per cui il doppio appuntamento favorisce chi ha più chance di far bene nel primo, che sarebbero appunto le Regionali. In Lazio e in Lombardia si torna a votare dopo gli scandali che hanno travolto il Pdl. Logico che da quella parte si attendano di essere puniti dagli elettori. E di essere penalizzati ancora di più alle Politiche del mese successivo. Il risultato è che Berlusconi e i suoi fanno il diavolo a quattro per «annegare» perlomeno Lombardia e Molise nelle Politiche di marzo, confondendo un po’ le acque. Si aspettano che il Consiglio dei ministri stamane decida in tal senso. E in effetti, oggi una decisione dovrebbe maturare. Ma quale? Mettiamoci nei panni della ministra Cancellieri, ieri per tutto il giorno impegnata a Bruxelles. Il Tar le ha complicato l’esistenza, anticipando di una settimana la data delle elezioni nel Lazio: accogliendo il ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino, i magistrati amministrativi hanno annullato il decreto Polverini (elezioni il 10 febbraio) ingiungendo alla ministra di convocarle il 3. Sul tavolo della Cancellieri c’è un allarmato rapporto degli uffici competenti, dove si avverte che ubbidire al Tar comporterebbe un aggravio di spese, in quanto gli uffici del Viminale dovrebbero restare aperti durante le festività natalizie; ma soprattutto, la presentazione delle liste e dei candidati si trasformerebbe in una complicatissima corsa ostacoli, con il rischio di ricorsi, polemiche eccetera. Il caos sarebbe garantito. Ragion per cui la Cancellieri porrà oggi un problema ai colleghi di governo: non c’è modo di tornare al 10 febbraio? La maniera, appunto, ancora non è stata individuata. Di sicuro non può trattarsi di un decreto legge, perché Napolitano negherebbe la controfirma a un atto di urgenza in materia elettorale, che oltretutto sconfessa una decisione della magistratura. Quale che sia la data, 3 o 10 febbraio, la Cancellieri sembra comunque orientata a proporre la soluzione prediletta da Bersani: Lombardia e Molise alle urne insieme col Lazio; le Politiche un mese dopo quando, con tutta probabilità, finirà per aggiungersi il voto per il sindaco della Capitale (è questa l’aria che si respira in Campidoglio). Ma una scelta del genere, come si è detto, avrebbe l’effetto di scatenare l’ira del Pdl contro Monti. Berlusconi e i suoi gerarchi sembrano divisi su tutto, tranne che su questo specifico punto. Addirittura il Cavaliere avrebbe voluto che le Politiche fossero anticipate a febbraio, pur di non separarle dalle Regionali. Ma Napolitano è intransigente; troppe cose restano da fare prima di congedare le Camere, per cui vuole tenere aperta la legislatura quantomeno fino a metà gennaio, che altrimenti dovrebbe sciogliere entro il 20 dicembre... Materia intricata. L’ultima parola spetta a Monti: o scontenta gli uni, o delude gli altri. da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/election-day-governo-tra-due-fuochi-mjFevUJPJuwFWsdlNi4SNI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La corsa del Cav contro tutto e tutti Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:52:23 pm politica
06/12/2012 La corsa del Cav contro tutto e tutti Ostaggio di una pattuglia di fedelissimi, Berlusconi non ascolta i sondaggi né i suoi consiglieri di un tempo. E c’è chi lo aspetta al varco... Ugo Magri Roma I veri amici l’hanno supplicato in tutte le lingue di non farlo, per il bene suo e anche quello del centrodestra. E’ stato un coro unanime, da parte di dirigenti Pdl sinceri e leali, ma anche di vecchi consiglieri come Gianni Letta. Probabile che qualche ultimo tentativo di farlo desistere venga messo nuovamente in campo, nelle ulteriori riunioni che si susseguiranno per tutta la giornata a Palazzo Grazioli. Ma ormai il destino sembra segnato, nulla ferma più il galoppo del Cavaliere verso la sua quinta discesa in campo. Questa volta si può ben affermare che Berlusconi è in corsa contro tutto e contro tutti. Falso quanto ha sostenuto nella dichiarazione notturna, tutti mi vogliono per cui non posso esimermi... A reclamare il suo ritorno, in realtà, è una pattuglia di «ultras» dei quali Silvio sembra leader e prigioniero: una corte variopinta di «nominati» che a lui tutto debbono, e che resterebbero senza arte né parte nel caso in cui venissero abbandonati dal loro mentore. Per mesi l’hanno blandito, incitato, aizzato, sussurrandogli all’orecchio che «quello» (vale a dire il successore designato Alfano) non aveva il «quid» capace di trasformarlo in vero leader, dunque solo il Fondatore, poteva rifondare il partito e nessun altro. La goccia quotidiana ha ottenuto l’effetto desiderato. Per la prima volta nella sua ormai lunga carriera politica, invece, Berlusconi non ha dato retta ai sondaggi. Se li avesse seguiti, tutto avrebbe fatto tranne che lasciarsi tentare da suppliche e lusinghe. Stando a certe chiacchiere di via dell’Umiltà, Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) è stata assolutamente cristallina con il suo cliente: la vasta platea di «fan» è ridotta al lumicino, lo «zoccolo duro» del berlusconismo ormai frantumato, resta solo una claque di tifosi i quali però non rappresentano il popolo di centrodestra, composto fondamentalmente da moderati e non da estremisti. Non è esattamente la congiuntura migliore per lanciarsi nella nuova carica disperata. Berlusconi ritorna non in quanto ha una vera speranza di convincere l’Italia, ma perché la voglia è più forte di lui. Ci riprova dal momento che non sembra capace di indossare la veste del «padre nobile» il quale fa crescere i figli e gode nel vederli adulti. Lui, come Crono, li divora dietro l’impulso coattivo di riproporsi al centro della scena, condannato a essere protagonista. Aveva sbranato Fini dopo uno scontro selvaggio, l’ha rifatto con il mite Angelino. Nulla di strano che un patriarca voglia battersi fino in fondo, e che i giovani leoni debbano lottare per strappargli lo scettro: l’umanità trabocca di vecchi «die hard», duri a morire. Stavolta, però, tutto congiura affinché sia davvero l’ultima. C’è chi, nel partito, sotto sotto è soddisfatto che Berlusconi torni al volante, nella certezza che nel voto andrà a sbattere e a quel punto «finalmente ce lo leveremo di torno». Aspettiamoci oggi un via libera, ipocrita, dei colonnelli assiepati in riva al fiume, per godersi l’epilogo. da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/la-corsa-del-cav-contro-tutto-e-tutti-YrwTv6w53sH2LNZ5pLQl6M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E Berlusconi: spariglia “Vogliono farci finire in galera” Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2012, 03:50:15 pm Cronache
07/12/2012 E Berlusconi: spariglia “Vogliono farci finire in galera” Letta prova a frenarlo: l’Europa te la farà pagare Ugo Magri Roma Il tentativo di golpe si è rovesciato nel suo contrario, e tutti quei colonnelli che volevano cacciare l’anziano dittatore adesso si esercitano nel bacio della pantofola. Addirittura con perfidia Berlusconi, per ufficializzare che lui si ricandida, ha spedito in conferenza stampa proprio lo sconfitto Alfano. Il quale non solo ha eseguito con stile e disinvoltura, ma ha messo immediatamente a disposizione del leader i comitati che già aveva allestito in vista delle primarie. Così va la politica, straordinaria commedia umana. Più fatica il Cavaliere ha speso per riportare nei ranghi certi ex di An. Con il recalcitrante La Russa ha avuto effetto una mediazione della Santanché, figura sempre più centrale del Pdl prossimo venturo. Altri, come Augello, ancora difendono il loro diritto di contestare il Capo, ma i dissenzienti si contano sulla punta delle dita perché Berlusconi se li è tirati dietro praticamente tutti con quell’alzata d’ingegno mercoledì sera, un piccolo pezzo di storia patria da raccontare. La scena si svolge intorno al desco di Palazzo Grazioli. Col padrone di casa sono seduti Alfano, Verdini, Brunetta e l’immancabile avvocato Ghedini. Le Chevalier è scontroso, visibilmente infastidito. Per tutto il pomeriggio, tra la lunga riunione con i vertici del partito e la visita dell’ambasciatore russo Meshkov, ha dovuto subire il pressing del suo amico Dell’Utri, «guarda che il governo ci sta combinando un bello scherzo, qui bisogna reagire». Si era sparsa la voce (qualcuno dice: alimentata da Previti) che il decreto sull’incompatibilità avrebbe introdotto misure tali da precludere a Silvio e Marcello il seggio in Parlamento, mettendoli insomma alla mercè dei pubblici ministeri. «Vogliono farci finire in galera», era stata l’amara conclusione dei due. In verità, nel decreto approvato ieri di queste misure non c’è traccia; ma la giustizia è da sempre un’ossessione del Cavaliere. Al punto che nel suo giro qualcuno si spinge a sostenere una tesi arditissima: far cadere il governo e causare le elezioni gli serve anche per posticipare la sentenza di condanna su Ruby. Fino al giorno del voto è prassi che venga congelata... Dunque sono tutti seduti a tavola, quando il telefonino di Letta emette un «bip». È Gasparri che tramite sms segnala una notizia di agenzia, secondo cui Berlusconi non si candiderebbe più in quanto tradito dal suo partito. Letta ne dà conto a voce alta, e lì deflagra l’ira del Cavaliere. Un colpo di testa. Un’alzata d’ingegno. «Ma quale passo indietro, io mi candido eccome! E col governo basta, dobbiamo chiudere in fretta». Entusiasmo di Verdini, che lo spalleggia. Angelino se ne dichiara lieto, che altro può fare per salvare il partito da una scissione? Letta valuta in un lampo i contraccolpi politici, tenta la carta disperata. «Non lo fare», quasi urla, «se tu ritorni le cancellerie europee te la faranno pagare carissima. Pensa alle conseguenze per te e per le tue aziende...». Niente da fare. Berlusconi è un treno in corsa. Con il soccorso di Bonaiuti, alle 22,25 viene diramata la dichiarazione che annuncia il ritorno in campo e dichiara guerra al governo. L’attacco frontale al Prof è tutta farina del sacco di Brunetta (altro personaggio destinato a un ruolo crescente, tanto lui che la Santanché saranno ospiti fissi delle trasmissioni di combattimento), il quale ha pronta in tasca una delle «slides» anti-governative con cui inonda internet. Così, in quei pochi attimi dopo mesi di incubazione, si è decisa la sorte del Pdl, del Cavaliere e del governo. Ieri quattro ore di vertice a Grazioli solo per celebrare l’unità ritrovata, niente più «spacchettamenti» o altre amenità. Folle in processione a via del Plebiscito, come ai vecchi tempi. A tutti Berlusconi chiede idee e proposte in vista del discorso ufficiale che terrà forse alla Camera, euforico del giocattolo ritrovato. da - http://lastampa.it/2012/12/07/italia/cronache/vogliono-farci-finire-in-galera-esRMDOrk9Y83KsxQpSCHtN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Proposta della Cancellieri, sì di Napolitano. Sprint finale in ... Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2012, 05:08:21 pm Politica
20/12/2012 - la giornata Accordo al Quirinale Si vota il 24 febbraio Proposta della Cancellieri, sì di Napolitano. Sprint finale in Parlamento Ugo Magri L’ultimo braccio di ferro si conclude all’insegna del realismo: voteremo nella data che sulla carta promette meno pasticci, meno brogli (speriamo di no) e meno ricorsi successivi, vale a dire il 24 febbraio. La Cancellieri, ministro dell’Interno, è intervenuta per segnalare che si potrebbe votare anche una settimana prima, come gradirebbe il Pd, però meglio non correre rischi. Il Presidente della Repubblica non ha potuto che prenderne atto. Cosicché a questo punto, davvero, il cammino verso le urne sembra sgombro da ostacoli. Cade la minaccia di ostruzionismo del Pdl, in parte accontentato dal mini-slittamento (sebbene Berlusconi avrebbe preferito le elezioni chi dice il 3 marzo, chi addirittura il 10). Domani sera, salvo sorprese, il Parlamento concluderà i lavori. La XVI legislatura verrà inghiottita dai flutti. L’ultima scialuppa Vi troveranno scampo la legge di stabilità e il decreto cosiddetto «taglia-firme». Sono destinate a salvarsi pure le misure sull’Ilva, l’articolo 81 della Costituzione e il decreto delegato per le «liste pulite», che il governo intende varare oggi. Qualche concreta speranza rimane per le pene alternative al carcere, su cui si batte con tutte le sue forze Pannella, anche grazie alla frustata di Napolitano. Forse passerà in extremis la riforma forense. A quel punto che si prevede? Monti sabato tornerà sul Colle, per confermare le dimissioni. Napolitano ne prenderà atto. E dopo aver «sentito» (così vuole la Costituzione) i presidenti delle due Camere, il Capo dello Stato sarà in grado di firmare il decreto che manda tutti a casa. È corsa ieri una strana voce, secondo cui il Pdl si appresterebbe a chiedere che Napolitano tolga il governo a Monti, in quanto potenziale candidato, e lo affidi per l’ordinaria amministrazione a Schifani, presidente del Senato. Ma la chiacchiera sul Colle non viene presa troppo sul serio, anche perché pure Schifani è parte in causa. A portare il Paese alle urne sarà il Professore, che si candidi o meno. Liberi tutti Napolitano firmerà il decreto di scioglimento forse già sabato. La fine del governo, e degli annessi vincoli di «bon ton», permetterà finalmente a Monti di chiarire le proprie intenzioni. Scenderà in campo? Come? Con chi? Bersani da Bruxelles si mostra olimpico, qualunque cosa scelga Monti non guasterà i rapporti... La conferenza stampa di fine anno, che doveva tenersi domani, è stata rinviata. In compenso, pare che il premier sia intenzionato a pronunciarsi pubblicamente domenica, gettando le basi programmatiche di un «super-centro» dove non ci sarebbe posto per il Cavaliere e per i suoi scudieri. Alfano ne prende atto, spiegando che l’ipotesi di Mondi «federatore» dei moderati è stata «bombardata» da Fini e Casini. I quali discutono ora con Montezemolo e naturalmente con Monti se è meglio presentare una lista unica (cosa assodata per il Senato) oppure due liste, una di società civile e l’altra rimpinzata di «politici». Di sicuro, il dubbio andrà chiarito entro l’11 gennaio, termine ultimo per depositare i simboli. Già, perché dal preciso momento in cui le Camere verranno sciolte tutto sarà regolato dalla legge. Compreso l’aspetto che più preme a Berlusconi, cioè le apparizioni tivù. Stop al Cavaliere La «par condicio», con cui dai tempi di Scalfaro si cerca di mettere un freno all’esuberanza televisiva di Berlusconi, scatta 45 giorni prima del voto e comprende due fasi, una più blanda, l’altra più severa. Tuttavia l’invasione dell’etere, con cui Silvio ha marcato il suo ritorno in campo, ha avuto l’effetto di scatenare Pd e centristi. I quali a gran voce reclamano che intervengano d’urgenza le autorità garanti per mettergli un freno non dalla Befana in poi, bensì da subito, perché a quel punto il Cavaliere avrebbe già ottenuto il suo scopo. Appello raccolto. I vertici Rai hanno già deciso una sorta di «autodisciplina». E, se si dà retta alle voci, l’Autorità per le comunicazioni dovrebbe emanare oggi un provvedimento valido per le reti private su cui Berlusconi, notoriamente, ha una certa presa. da - http://lastampa.it/2012/12/20/italia/politica/accordo-al-quirinale-si-vota-il-febbraio-JFkbdUxfdjyJozaUKwzV8M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La metamorfosi di Monti in politica Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2012, 05:11:14 pm politica
20/12/2012 - il punto La metamorfosi di Monti in politica Il premier se davvero competerà per Palazzo Chigi dovrà indossare i guantoni e attendersi colpi bassi Ugo Magri Roma Dunque nei prossimi giorni assisteremo alla metamorfosi di Monti che, da tecnico «super-partes» incaricato di evitare il crac, si trasformerà in politico «tous azimuts», direbbero i francesi, a trecentosessanta gradi. Conserverà ovviamente il suo spessore accademico e la giusta fama di competente che gli deriva dalla storia personale. Tuttavia questa sua candidatura a premier (perché, dichiarata o meno, di ciò si tratterà) avrà un paio di conseguenze niente affatto da sottovalutare. La prima: da domenica in poi, vale a dire dal giorno in cui si pensa che possa ufficializzarsi la discesa in campo, Monti verrà misurato con lo stesso metro di tutti gli altri protagonisti, che è il consenso. Napolitano giorni fa è stato piuttosto chiaro in proposito, anticipando l’intenzione di conferire l’incarico di governo sulla base dei voti raccolti alle elezioni del 24 febbraio, in quanto indicazione certa della volontà popolare. Se la lista, o le liste collegate al nome del Prof, non otterranno la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, si può bene immaginare che il Presidente della Repubblica vorrà partire anzitutto da chi avrà ottenuto il premio alla Camera (al momento tutti i sondaggi fanno ritenere che quel qualcuno sarà Bersani). La qualità dei candidati che si raccolgono intorno a Monti si annuncia ragguardevole, ma non li esimerà dalla fatica di rastrellare consensi nella società civile, da cui provengono, esattamente come avverrà a sinistra, a destra e per lo stesso Grillo. L’altro effetto conseguente alla «metamorfosi» di Monti si coglie già da certi attacchi che gli ha scagliato contro stamane Berlusconi, dai microfoni di «Radio Anch’io». Nel momento in cui si spoglia della veste di arbitro, e accetta di competere per Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio si espone alle scorrettezze, alle volgarità, forse addirittura (speriamo di no) alle infamie da cui è costellata la lotta politica. Da che mondo è mondo, la lotta per il potere non è un ballo di debuttanti, anzi insuperata resta la definizione offerta dall’allora ministro socialista Formica («La politica? E’ sangue e m…..»). Se non piace l’immagine, eccone un’altra: chi entra nel «saloon» della politica, deve attendersi che qualche ubriaco voglia fare a cazzotti con lui… Monti si prepari dunque a mettere i guantoni, a suonarle ma anche a incassare colpi sopra e sotto la cintura. da - http://lastampa.it/2012/12/20/italia/politica/la-metamorfosi-di-monti-in-politica-EupnfOji6fqjYvMQpQFfBK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Monti, il passo indietro facilita il cammino verso le urne Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2012, 06:25:44 pm Esteri
22/12/2012 - il punto Monti, il passo indietro facilita il cammino verso le urne Le consultazioni filano via lisce, ma resta l’interrogativo sul ruolo del Professore: il suo memorandum orienterà la campagna elettorale Ugo Magri Roma La quasi-rinuncia di Monti a scendere in pista ha reso parecchio più semplice il compito di Napolitano. Le consultazioni di stamane sono filate via lisce, e nessun partito ha contestato la decisione di lasciare al suo posto il Prof fino al giorno delle elezioni. Soltanto la delegazione del Pdl ha storto un po’ il naso, ma nello studio alla Vetrata Cicchitto e Gasparri hanno espresso davvero il minimo sindacale. Ben diverso sarebbe stato l’approccio dei “berluscones” nel caso in cui Monti fosse stato sul punto di candidarsi personalmente, o di battezzare una lista con il suo nome. In quel caso sì che sul Colle stamane avremmo visto scintille; per lo stesso Presidente della Repubblica sarebbe stato rischioso e un filo imbarazzante trattenere Monti a Palazzo Chigi nella sua nuova veste di politico anziché di “tecnico” super partes. Il passo indietro del premier, insomma, ha facilitato assai il cammino verso le urne. Resta ancora da capire, tuttavia, in che modo Monti intende interpretare nei prossimi mesi il proprio ruolo. Un presidente del Consiglio, sia pure dimissionario e in carica per il disbrigo dei soli affari correnti, avrebbe mille modi per influire sulla campagna elettorale. Pur senza candidarsi personalmente, ma lanciando con accortezza questo o quel tema della sua “agenda”, Monti in veste di premier potrà orientare il dibattito e far pendere il piatto della bilancia verso destra (se evocherà temi scomodi a sinistra) o viceversa. Per cui sarà interessante ascoltare le sue parole di domani, e soppesare i vari aspetti del suo programma anche (e soprattutto) se non scenderà in campo. da - http://lastampa.it/2012/12/22/esteri/monti-il-passo-indietro-facilita-il-cammino-verso-le-urne-AGaX3ArUdeZcIIT4xEc6zK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il premier si dimette Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2012, 06:35:00 pm Cronache
22/12/2012 Il premier si dimette Sipario sulla legislatura Il premier Mario Monti ieri alla Conferenza degli Ambasciatori Via liberà alla legge di stabilità. Ma resta il nodo sul “taglia-firme” Ugo Magri Roma In un clima di febbrile smobilitazione, le Camere hanno raffazzonato le ultime pratiche in sospeso. Cosicché già ieri sera Monti si è potuto dimettere e oggi calerà il sipario sulla XVI legislatura. Rapidissimo giro di consultazioni con i presidenti delle due Camere nonché con le delegazioni dei partiti, perché si tratterà solo di una presa d’atto, non c’è nulla da decidere. Già prima che tramonti il sole Napolitano avrà firmato il decreto del «tutti a casa»: il Parlamento verrà sciolto con due mesi di anticipo, dei quasi mille ormai ex-onorevoli non si annunciano numerosi quelli che torneranno a farne parte. Gli ultimi affanni Il vero o presunto scandalo delle «liste pulite», che la Commissione Bilancio del Senato tardava a licenziare in quanto oberata di lavoro, si è sgonfiato come da copione ieri mattina. Il disco verde da Palazzo Madama è arrivato verso le 10, il Consiglio dei ministri ha messo il timbro sulla delega nel pomeriggio. Fine della commedia. Generosa ma inutile la battaglia di Pannella, perché le misure alternative al carcere sono state rispedite in commissione (cioè cestinate) dal presidente Schifani, dispiaciutissimo, per colpa dell’ostruzionismo che ha visto contendersi la prima fila Lega, dipietristi ed ex di An che ora si chiamano «Fratelli d’Italia». Brindano soddisfatti gli avvocati, perché contro ogni pronostico loro ce l’hanno fatta a spingere la riforma forense oltre il traguardo. L’ha varcato senza scossoni pure la legge di stabilità, anche grazie alla fiducia numero 50. Ma subito dopo una parte dei deputati ha maramaldeggiato, mandando sotto il governo su un paio di ordini del giorno, due piccoli sfregi postumi. Perché nel frattempo Monti aveva già riunito il Consiglio dei ministri ed era in viaggio verso il Colle per rassegnare le dimissioni, come usa dire, nelle mani del Presidente. Il Quirinale le ha rese note alle ore 19,32. Vi si specifica che «il Presidente della Repubblica ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti». Il «giallo» delle firme A metà pomeriggio sembrava fatta: chiunque vorrà presentare liste, dovrà corredarle con un certo numero di sottoscrizioni, senza figli e figliastri come in uno primo momento era sembrato. Visti i tempi ristrettissimi, e considerata la difficoltà di allestire banchetti sotto la neve, Pd e Pdl avevano convenuto che stavolta sarebbe bastato raccoglierne 30 mila in tutt’Italia, anziché le canoniche 120 mila: un maxi-sconto del 75 per cento. Dopo grandi tira-e-molla la Camera ci aveva messo il timbro; alle sei e mezzo il testo era arrivato a Palazzo Madama. Tutto okay? Niente affatto. La Lega ha chiesto di verificare il numero legale sapendo che non c’era più perché quasi tutti i senatori se n’erano già fuggiti via. Panico nei Palazzi, perché approvare il decreto firme è indispensabile ai fini del voto. Il Carroccio fa sapere che è stata un’azione dimostrativa, in qualche modo il Senato rimedierà. Come, è da capire. I prossimi appuntamenti Lo sguardo si concentra sulle elezioni politiche del 24 febbraio, cui si aggiungeranno nella stessa data quelle per la Lombardia e il Molise (in Lazio ieri il prefetto di Roma ha comunicato che si voterà il 10-11 febbraio, ma non finisce qui perché la Polverini insiste per un «election day» il 24). Da questo preciso istante, i ritmi della politica verranno dettati dalla campagna elettorale e dalle sue scadenze fissate per legge: entro l’11 gennaio avranno luogo il deposito dei simboli, le dichiarazioni di alleanza e l’accettazione dei candidati premier (Monti dovrà chiarire cosa intende fare, i centristi decideranno quante liste mettere in piedi, Maroni e Berlusconi faranno sapere se intendono rimettersi insieme oppure no); entro il 20 del mese prossimo dovranno essere pronte le liste dei candidati (il Pd vi provvederà con grande anticipo il 29 dicembre attraverso le primarie di collegio, al centro e a destra invece sono in altissimo mare, vedremo grandi sgomitamenti); 45 giorni prima del voto scatterà la «par condicio», cosicché sarà più difficile per il Cavaliere scorrazzare su radio e tivù, come farà fino a quel momento (ieri è stato su «Tg2» e a «RadioMontecarlo») senza che né l’Agcom né la Commissione di vigilanza abbiano il reale potere di vietarlo. da - http://lastampa.it/2012/12/22/italia/cronache/il-premier-si-dimette-sipario-sulla-legislatura-wxqTi7Xra6sd628z9W8KRN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Centro ora accelera la corsa Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2012, 06:43:09 pm Politica
24/12/2012 Il Centro ora accelera la corsa Luca Montezemolo Montezemolo: “Io farò quello che serve. Mi auguro che ci sia un grande richiamo per chi oggi non voterebbe” Ugo Magri ROMA Il messaggio è giunto forte e chiaro: tanto a coloro che saranno gli antagonisti di Monti, quanto ai suoi potenziali supporter. Quasi tutti, anche parecchio in alto, erano stati ingannati dalle voci della vigilia che volevano il Prof in fase di ritirata, sul punto di rinunciare. Cosicché, dopo la conferenza, in molti hanno dovuto rifare in fretta i propri conti. Furenti le reazioni a destra, circospette a sinistra, entusiastiche al centro (ma scavando sotto l’ufficialità si scopre qualche ipocrisia). L’unico a ritenere che «Monti non c’è più», e che «fra tre giorni nessuno si ricorderà di lui», è il solito Grillo. Da sinistra zero peana. Anzi, alcune critiche molto mirate. Con gli occhi del Pd, tutto il ragionamento di Monti è carente sul piano delle politiche sociali. Le annotazioni del premier sul «conservatorismo» di Vendola, certi attacchi al sindacato, non potevano non lasciare il segno. Ma c’è dell’altro. Dalle parti di Bersani è sembrato che Monti volesse proporsi come grande artefice di una nuova alleanza tra centro e sinistra, una sorta di continuazione del governo attuale senza però la scomoda presenza del Pdl. Se questa è l’operazione, ai vertici del Pd non suscita particolare emozione, anzi il contrario. Bersani misura dunque le parole e fa intendere che il passato è passato: «Adesso bisogna preservare quel che si è fatto di buono e fare quello che non si è fatto fin qui». Da destra fuoco e fiamme. La barzelletta un po’ sguaiata del Cavaliere a «Domenica In», l’«incubo notturno» di un nuovo governo con Monti presidente del Consiglio e Ingroia ministro della Giustizia, preannuncia una guerra totale. Idem le accuse di slealtà rivolte al premier dal suo predecessore, che tendono a mettere in croce soprattutto Napolitano. Già, perché il Capo dello Stato ha mantenuto Monti a Palazzo Chigi per il disbrigo degli affari correnti, ma Gasparri e Cicchitto già protestano per la conferenza stampa del premier dimissionario, la considerano una violazione grave della «terzietà» e chiamano in causa il Quirinale che aveva garantito per lui. Fermento al centro. Dove i vari protagonisti hanno capito che Monti si impegnerà di più o di meno in campagna elettorale a seconda di come loro si comporteranno. Scenderà in campo solo se sapranno realizzare un vero rinnovamento, altrimenti resterà in disparte. E le intenzioni si misureranno al momento di fare le liste: una sola al Senato, idem forse per la Camera. Aspettiamoci grandi sgomitamento tra politici di professione e «tecnici» o personaggi della cosiddetta società civile. Alla fine Monti tirerà le somme. Montezemolo è personalmente a disposizione, «farò quello che serve» ha commentato su Sky, aggiungendo: «Mi auguro che ci sia un grande richiamo per chi oggi non voterebbe e che non si ritrova nelle attuali demagogie, anche quelle di sinistra». È disposto a cooperare con Fini e con Casini? «Per alcuni versi Udc e Fli rappresentano la vecchia politica, anche se al loro interno ci sono persone capaci e competenti…». Casini alza le spalle, «io la plastica facciale non me la posso fare, personalismi e piccole cose non sono compatibili se vogliamo costruire qualcosa di grande». Nel suo partito faranno il massimo per andare incontro a Monti, ma non al punto da inzeppare le liste di professori. «Portatori d’acqua non siamo stati mai», ricordano. Controesodo nel Pdl. Di tutti quelli che sembravano tentati di passare con Monti (vedi convegno dieci giorni fa di Iniziativa Popolare), alla fine ben pochi sembrano disposti al grande passo: Pisanu, Frattini, Cazzola. Altri traslocherebbero, ma temono una porta in faccia. In bilico Mauro, inquietudine da parte di Formigoni, entrambi esponenti di un pianeta ciellino sempre più insofferente del Cavaliere, ma molto concreto e pragmatico. Con l’occhio a loro rivolto, l’ex-ministro Gelmini giudica necessario «fare chiarezza» nel Pdl su chi condivide il progetto di Berlusconi e chi no. da - http://lastampa.it/2012/12/24/italia/politica/il-centro-ora-accelera-la-corsa-pkJInbVizDK2rnmzxE7qAN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI - Alfano: “Monti vuole smembrare Pdl e Pd Ma non ci riuscirà” Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2012, 07:06:57 pm Politica
24/12/2012 Alfano: “Monti vuole smembrare Pdl e Pd Ma non ci riuscirà” Il segretario: “Il premier è stato ingeneroso col Cavaliere Nei suoi confronti troppo livore anche sotto il profilo umano” Ugo Magri Roma A sentire Monti, governare con il Pdl a bordo è stato un vero inferno… «Sono stati tredici mesi di collaborazione e anche di rapporti personali cordiali. Per cui le parole del presidente del Consiglio sono state connotate a mio avviso da un eccessivo livore, soprattutto nei confronti di Berlusconi, che mai mi sarei aspettato. Anche sotto il profilo umano». Beh, però nemmeno Berlusconi ci è andato tenero. E proprio lei, segretario, alla Camera ha sfiduciato il governo… «Intanto stiamo parlando di un leggero anticipo delle elezioni, due domeniche prima della scadenza prevista, via... Il presidente Monti forse trascura la cinquantina di voti di fiducia da noi espressi, l’ultimo venerdì scorso sulla legge di stabilità. E non considera la fatica che abbiamo dovuto fare una quantità di volte per arginare il dissenso dei nostri gruppi parlamentari». Sia sincero: viste le conseguenze (le dimissioni e il resto) pronuncerebbe di nuovo quelle parole? «Certo che le ripeterei. Tali e quali. Corredate dalla stessa delicatezza di non presentare contestualmente la mozione di sfiducia, che sarebbe rimasta come una macchia sul curriculum politico di Monti». Come immaginava che avrebbe reagito, scusi, alle vostre critiche e del Cavaliere in particolare? «Senta, Berlusconi ha governato sufficientemente a lungo per maturare il diritto a segnalare il disagio rispetto a certe scelte. Per un anno abbiamo sostenuto Monti, gli abbiamo dato la possibilità di governare nonostante fossimo martellati da sondaggi che mostravano l’85 per cento del nostro elettorato a dir poco critico. Reggere l’urto di questa negatività è stato particolarmente difficile. Così come è stato faticosissimo trovare punti di convergenza operativa con il Pd». Già, i famosi vertici «A-B-C»… «All’inizio, lei ricorderà, erano incontri bilaterali; poi vertici a tre riservati; quindi divennero pubblici. Ma ben presto si dovette ritornare alla formula originaria degli incontri a due proprio per la difficoltà estrema di condividere il cammino con chi, come la sinistra, voleva marciare nella direzione opposta alla nostra. E’ stato un esercizio di misura e di enorme responsabilità. Anche per questo motivo lo sfogo di Monti mi è parso ingeneroso nei confronti di Berlusconi e, per quel che conta, del sottoscritto». Nemmeno voi, però, durante i tredici mesi gliele avete mandate a dire… «A volte è volata qualche parola un po’ sopra le righe, da parte nostra e anche da parte sua. Ricordo la reazione molto forte che il presidente del Consiglio manifestò rispetto alla nostra proposta, che rivendico in pieno, di compensare i debiti fiscali con i crediti nei confronti della pubblica amministrazione…». E le sue accuse al premier di pendere dalla parte della sinistra, come pensa che non lo potessero ferire? «Ma è esattamente il rovescio! Quando abbiamo detto che la sinistra lo aveva indotto a due errori strategici – cioè la mano pesante sulla casa e un deficit di riformismo per quanto riguarda il mercato del lavoro -, era anche un modo per salvare lui, per affermare che quegli sbagli sarebbero stati evitati senza il pesante condizionamento del Pd». Monti non ha colto la sfumatura. «Non l’ha colta, anzi l’ha considerata un’aggravante». Sta sostenendo che il Professore è troppo permaloso? «Sto dicendo che non è corretto trasferire sul piano personale le critiche a certe decisioni politiche. A maggior ragione quando subito dopo si precisa: non sei tu il problema… Concetto che Berlusconi gli ha ribadito anche a Bruxelles, davanti ai vertici del Partito popolare europeo. E non è stata l’unica occasione. Sono stato io presente e testimone quando, nel corso di una cena a Palazzo Chigi non troppo tempo fa, Berlusconi propose a Monti di essere lui il federatore dell’intera area moderata alternativa alla sinistra». E il premier gradì l’offerta? «Certo non mi parve turbato. Però ricordo che parlò di una scomposizione del bipolarismo, della necessità di smembrare il Pdl da una parte e il Pd dall’altra. Laddove ciascuno di noi – credo dal suo punto di vista lo stesso Bersani – cerca legittimamente di rafforzare la propria area. Io contesto la tesi espressa da Monti, secondo cui non c’è più grande differenza tra destra e sinistra». Lei dove la vede? «In una logica europea, eccome se c’è! Come si può assimilare la Merkel ai socialdemocratici tedeschi, Hollande a Sarkozy, Rajoy a Zapatero? Di questa sinistra italiana noi non condividiamo nulla e vogliamo batterla». E invece Monti? «Mi ha colpito la monodirezionalità delle sue accuse, tutte o quasi rivolte contro il Pdl. Ho l’impressione che sia pronto a dare un “aiutino” alla sinistra. Ma lavoreremo perché Bersani e Vendola non abbiano bisogno di aiutini, nel senso che al governo faremo di tutto per tornarci noi». da - http://lastampa.it/2012/12/24/italia/politica/il-professore-vuole-smembrare-pdl-e-pd-ma-non-ci-riuscira-pGuibrKmBV5KRzRXBLsguO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Monti, passa la linea Casini Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2012, 11:04:44 pm interni
29/12/2012 - verso il 2013 Monti, passa la linea Casini E Passera non si candiderà Il premier: guiderò i centristi. Lista unica al Senato, più simboli alla Camera. Dal Capo dello Stato nessuna scomunica ma neanche un sostegno diretto o indiretto Ugo Magri Roma Con una scelta che irresistibilmente rimanda alle più schiette usanze democristiane, il progetto di nuovo partito ha visto la luce in un istituto religioso, il convento delle suore di Nostra Signora di Sion tra i platani di via Garibaldi, sul Gianicolo. Stavolta i protagonisti appartengono all’Italia di oggi. E nemmeno vanno tutti ascritti alla matrice cattolica (tra i «padri fondatori» c’è un liberal-radicale come Della Vedova). Però l’«ambizione maggioritaria», per dirla con le parole di Monti, è in fondo la stessa che animava la Democrazia cristiana di 60 anni fa. E guarda combinazione, una delle decisioni assunte durante il lunghissimo vertice fondativo, forse la più rilevante, consiste proprio nel tenere in vita lo Scudo crociato dietro cui hanno trovato riparo i centristi di Casini negli anni del berlusconismo trionfante. Non vedremo una lista unica nel nome del Professore, perlomeno alla Camera dei deputati, ma una federazione dove l’Udc rappresenterà la politica con pari dignità rispetto agli esponenti della società civile: quest’ultima sostanzialmente rappresentata da Italia Futura, il movimento lanciato tre anni orsono da un molto preveggente Montezemolo. Ridotta alla sostanza, la riunione è andata così. Monti è arrivato dalle suorine con le idee già chiare su ciò che voleva. Tuttavia ha avuto il garbo di lasciare che la decisione scaturisse, come usa dire in casi consimili, democraticamente dal dibattito. «Io sono aperto a entrambe le possibilità», si è premurato di precisare, «tanto alla lista unica quanto alla coalizione di liste, ognuna ha vantaggi e svantaggi che vi prego di considerare serenamente...». Lungo giro di tavolo sollecitato dal Prof, due ore di discussione che sarebbe troppo facile liquidare come bassa cucina elettorale (quando si discute di liste e candidature, il livello del confronto solitamente scade parecchio in basso), perché testimoni degni di fede raccontano invece di interventi «bellissimi», di ragionamenti anche nobili, alcuni davvero con il cuore in mano. In particolare citano Dellai, che ha spinto il suo discorso alle radici più profonde del popolarismo, con accenti molto apprezzati dal premier. Però lo stesso Casini se l’è cavata (dicono di lui) in modo egregio, quando ha avuto il compito non facile di difendere le ragioni di un partito come il suo, dove abbondano i professionisti della politica, personaggi a volte chiacchierati ma ineguagliabili se si tratta di rastrellare voti. L’astuto Pier Ferdinando è partito da ciò che l’Udc ha fatto per Monti e per il governo, ha ricordato di essersi speso come nessun altro nel Parlamento italiano, ha fatto notare come una sana divisione dei ruoli (lui che rappresenta la politica, il movimento di Montezemolo la società civile) sia certamente più produttiva che litigarsi i posti di un listone indifferenziato. Col risultato che i politici danneggerebbero l’immagine di novità, e i «nuovisti» metterebbero in un angolo chi di campagne elettorali se ne intende... Argomenti condivisi, sia pure da un punto di vista opposto, dai rappresentanti di Italia Futura. A quel punto i giochi erano fatti, e Monti non li ha subiti perché lì voleva arrivare con l’ausilio del ministro Riccardi, teorico di una sintesi equilibrata tra pianeti diversi. Non ha trovato sostegno la tesi dell’altro ministro, cioè Passera: il quale ha manifestato ancora ieri con chiarezza la sua preferenza per una lista unitaria dove certo si sarebbe trovato a suo agio. Ha accettato la decisione con stile, ma a questo punto pare deciso che non si candiderà. Oggi nuovo round al convento, per tutte le decisioni che restano, e sono tante. La sensazione è di un processo ormai lanciatissimo. Talmente avviato, che nessuno potrebbe più frenarlo. Gli stessi avversari berlusconiani hanno praticamente smesso di sollecitare un intervento del Colle, la cui linea rimane quella adottata dal primo momento, e riassumibile in una formula: «Né viatici né veti», nei confronti di Monti. Che può essere girata nel suo rovescio: nessuna scomunica istituzionale però nemmeno l’ombra di un sostegno diretto o indiretto. Il Professore ha voluto la bicicletta, ora tocca a lui pedalare... da - http://lastampa.it/2012/12/29/italia/cronache/passa-la-linea-casini-e-passera-non-si-candidera-rLFIO7XvHlw0YLFTNW7dYK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Casini e Fini fanno buon viso a cattivo gioco Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2013, 04:16:29 pm Cronache
05/01/2013 Casini e Fini fanno buon viso a cattivo gioco Facendo campagna per Monti, spingeranno la lista della società civile Ugo Magri Roma Per mettere finalmente ordine nella babele delle sue liste, il Prof ha tirato una riga sulla lavagna: di qua espressioni e movimenti della società civile, di là politici e partiti. La cesura tra «nuovo» e «vecchio» appare a questo punto talmente netta, la distinzione così radicale, da far pensare a un cordone sanitario teso da Monti per evitare contaminazioni reciproche. Quasi che la partitocrazia sia radioattiva e richieda una quarantena. La differente dignità balza agli occhi. I protagonisti della società civile troveranno posto sotto il simbolo «Per Monti presidente - lista civica», e sempre più saranno il cuore dell’alleanza: con loro il premier si impegnerà a fondo, su di loro riporrà le speranze di scardinare il bipolarismo Pd-Pdl. Gli altri, invece, saranno confinati sotto le insegne di Casini (Udc) o di Fini (Fli). Guai a effigiarli come la «bad company», precisa Monti, salvo aggiungere che «la lista civica non includerà parlamentari». I politici vittime dell’«apartheid» la vivono in chiave zen. Quello che conta, argomentano, è guardare avanti: «ora incomincia la campagna elettorale» per cui «si parte con entusiasmo». Però è giudizio unanime che la formula decisa per la Camera (al Senato la lista unica non ha avuto mai alternative) penalizzi i due partiti tradizionali dell’alleanza, esposti all’«effetto risucchio». Se vorranno spingere la coalizione oltre il 10 per cento, e garantirsi una rappresentanza parlamentare quale che sia l’esito delle urne, Udc e Fli dovranno gridare forte «viva Monti». Sennonché in questo modo faranno propaganda proprio alla lista civica concorrente, l’unica che nel simbolo recherà il nome del Professore. Un po’ come aggrapparsi alla corda che ti sta soffocando... «Non avevamo alternative», allargano le braccia Fini (e Casini). Colpa della legge elettorale, che vieta di spendere il nome di Monti su tutte e tre le liste collegate per la Camera. «Siamo andati al ministero dell’Interno, ma ci hanno dato conferma che proprio non si può». A quel punto, o lista unica (ma con ecatombe di «politici» a vantaggio di personaggi fuori del Parlamento), oppure ognuno per sé (e il richiamo a Monti solo sulla «sua» lista civica). È prevalsa la seconda ipotesi in quanto «male minore», «scelta necessitata», e al tempo stesso «atto di generosità» dei tanto bistrattati partiti nei confronti del premier. Non risultano scontri dietro le quinte. Anzi, clima operoso nel comitato operativo di via Properzio, da dove tutto si dipana. Si compone di Romano e Calenda per Italia Futura, più Alfonso quale regista della comunicazione; di Libé e De Poli in rappresentanza dell’Udc, con Rao più che mai nella sua veste di «spin doctor»; di Della Vedova un po’ per conto di Fini e un altro po’ proiezione dello stesso Monti; infine, vi partecipano collaboratori strettissimi del premier e del ministro Riccardi, sempre meno impacciati dal doppio ruolo politico e istituzionale ma tuttora poco inclini al protagonismo. Le vere tensioni si scateneranno nel momento di stilare le liste. Il criterio deciso da Monti è di escludere quei parlamentari con più di tre legislature alle spalle, vale a dire eletti nel precedente millennio. Saranno ammesse due eccezioni per ogni partito. Oltre a se stesso, Fini potrà salvare Bocchino. E Casini lanciare una ciambella di salvataggio a Buttiglione (a Cesa no, perché non ne ha bisogno essendo giovane di Parlamento). Specie tra i fuggiaschi dal Cavaliere, lunga sarà la lista dei delusi... da - http://lastampa.it/2013/01/05/italia/cronache/casini-e-fini-fanno-buon-viso-a-cattivo-gioco-J05k7aiXK1qzB3QRBt9vNP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI - Il Pdl a un passo da Terzi Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2013, 07:11:42 pm Politica
07/01/2013 - Le liste del partito del Cavaliere Il Pdl a un passo da Terzi Il 40 per cento alle donne Il Pdl attacca frontalmente non solo il Pd, ma anche la formazione di centro guidata dal premier Mario Monti Santanchè capolista in Piemonte. Ricandidato solo il 10% dei parlamentari Ugo Magri Roma Lustrare l’immagine internazionale del Cavaliere. Rassicurare i potenti alleati d’Oltreoceano circa le sue vere intenzioni. Far comprendere alle cancellerie europee che Berlusconi non ha preso una deriva nazionalista e anti-comunitaria, come da certi suoi discorsi potrebbe apparire. Compensare in qualche misura l’addio di Frattini, ormai sul punto di correre con la lista di Monti in Senato, e dimostrare che pure personaggi dotati di grande equilibrio possono schierarsi col centrodestra... Sono alcune delle mille ragioni che spingono in queste ore Alfano (per non dire di Letta), a perorare con forza la candidatura in Parlamento di un ministro «tecnico» nella persona di Terzi, titolare degli Affari Esteri. Lui pare ci starebbe, anche per effetto delle insistenze. E del resto, erano ben noti i suoi rapporti con Fini quando ancora contava nel Pdl, insomma la scelta di campo non sarebbe un vero colpo di fulmine. Sennonché la voce è circolata in un battibaleno, e già nel partito si registrano mini-sommosse. Perché c’è chi non perdona a Terzi 1) la grande diplomazia sfoggiata con l’India sulla vicenda marò e 2) il voto italiano all’Onu pro-Palestina (in verità Terzi puntava all’astensione, fu Monti a volere diversamente). Ora si tratta di capire cosa ne pensa la Suprema Corte, cioè Berlusconi. Qualcuno lo racconta entusiasta di Terzi, altri decisamente meno. Comunque non siamo al momento delle decisioni, bensì in una fase molto preliminare: ancora debbono essere stabiliti i criteri per la formazione delle liste. Anzi, neppure gli apparentamenti sono stati definiti. Tutto discende dalle trattative in corso con la Lega. Se oggi Berlusconi tornerà a Roma con il Carroccio in tasca, allora darà via libera pure all’alleanza con Grande Sud (Micciché) e con Fratelli d’Italia (La Russa-Crosetto-Meloni). In caso contrario, zero intese con questi soggetti. La ragione, a prima vista misteriosa, è presto spiegata. Il Cavaliere vuole concedere un po’ di spazio alle liste minori solo nel caso in cui un accordo con Maroni gli conceda qualche reale chance di vittoria finale. Pur di battere la sinistra, ben venga un patto con i partitini. Se invece il diavolo ci mettesse la coda, e l’accordo con la Lega dovesse saltare, allora Berlusconi avrebbe un’unica convenienza: rimpolpare il Pdl, fagocitando le liste-satellite. Qualunque scelta sulle candidature dipende da questo snodo. Ma la promessa di rinnovare le liste, e di confermare il 10 per cento «al massimo» dei parlamentari uscenti, è ancora valida oppure no? Nel giro di Arcore la danno per scontata. Per cui viva disperazione tra deputati e senatori, specie di lungo corso. E grande affollamento in via dell’Umiltà, davanti alla porta di Verdini, l’uomo incaricato da Berlusconi di vagliare le liste. Finora Verdini ha «gelato» tutti, specie gli euro-parlamentari vogliosi di trasferirsi alla Camera o al Senato: «Per voi non c’è posto». Altri cavalli di frisia verranno stesi nel pomeriggio, quando a Palazzo Grazioli si riunirà l’Ufficio di presidenza in versione molto ristretta, senza la colorita pletora di intrusi che solitamente vi si affacciano. Si stabilirà che non può tornare in Parlamento chi già vi è stato tre volte, chi ha superato i 65 anni, chi non ha versato puntualmente al partito le quote dello stipendio (malcostume ben diffuso nel Pdl). Solo pochissime deroghe verranno tollerate. E l’ultima parola spetterà, inutile dire a chi. La vera sorpresa, per un partito maschilista come il Pdl, consisterà in una forte apertura al mondo femminile. Pare che Berlusconi voglia in lista numerosissime donne, e soprattutto che vengano elette. Il 40 per cento dei posti «sicuri» dovrebbe essere a loro destinato. Per esempio, capolista in Piemonte potrebbe essere Daniela Santanché. «E non sarà una passerella di sole miss Italia», mettono le mani avanti gli aiutanti del Capo. [u.m.] da - http://lastampa.it/2013/01/07/italia/politica/il-pdl-a-un-passo-da-terzi-il-per-cento-alle-donne-aunOL2yjuP06q1sxeAu4kL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Monti ago della bilancia grazie al Porcellum Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2013, 07:20:41 pm politica
08/01/2013 Monti ago della bilancia grazie al Porcellum Mario Monti può ricavare massimo vantaggio dall’alleanza Lega-Pdl Il premio di maggioranza previsto dalla famigerata legge elettorale e l’alleanza tra Pdl e Lega rischiano di trasformare il Professore nel “deus ex machina” del Senato Ugo Magri Roma Per uno strano paradosso, potrebbe essere chi meno ti aspetti (cioè Monti) a ricavare il massimo vantaggio politico dall’alleanza tra Berlusconi e la Lega. All’origine del fenomeno c’è il famigerato Porcellum che attribuisce tanti premi di maggioranza in Senato quante sono le regioni d’Italia. In alcune regioni poco popolose è davvero un «premietto» di pochi seggi; in altre invece il bottino è talmente ricco da far pendere la bilancia elettorale o di qua o di là. In altre parole: per effetto di questa legge elettorale, Bersani non può controllare il Senato se prima non vince il «premione» in Lombardia e in Veneto, proprio le due regioni su cui Maroni e il Cavaliere concentrano la loro forza residua. Il nuovo «patto» di ieri rende francamente incerta la prospettiva: il segretario Pd potrebbe farcela ugualmente nelle due regioni del Nord, però è più difficile, secondo alcuni analisti improbabile. Il vantaggio di Monti consiste nel fatto che, a quel punto, sarebbe il «deus ex machina» del Senato. Cioè Bersani dovrebbe rivolgersi in prima battuta a lui per tentare di dar vita a un governo: i voti centristi (che siano 30 o 50 poco importa) sarebbero sufficienti a garantire stabilità pure in quel ramo del Parlamento. Il paradosso, insomma, è che l’alleanza tra Silvio e Bobo può far perdere il candidato centrista per il Pirellone (Albertini) a vantaggio di Maroni; e se si dà retta ai primi sondaggi del 2013 sembra dissolvere le speranze montiane di conquistare la seconda piazza dietro a Bersani, dal momento che il centrodestra unito sta almeno dieci punti avanti, difficili da recuperare. Ma l’amarezza del Professore verrebbe compensata dal ruolo chiave, di ago della bilancia, che gliene deriverebbe nei futuri equilibri romani. La prospettiva piace a molti ambienti autorevoli, anche internazionali. Qualche osservatore, come il fondatore di «Repubblica» Eugenio Scalfari, già paventa che Monti possa riproporre trent’anni dopo la politica craxiana del ricatto politico, un nuovo «Ghino di Tacco» che taglieggia destra e sinistra per imporre nuovamente se stesso a Palazzo Chigi. In realtà, la forma concreta con cui Monti potrà esercitare la sua influenza dipenderà da molte circostanze. E non è detto che di questa forza politica possa davvero profittare. Il dubbio è lecito. Se per esempio a Bersani mancassero pochi, pochissimi voti per fare maggioranza a palazzo Madama, è altamente possibile (anzi quasi certo) che troverebbe frotte di senatori pronti ad accorrere in suo soccorso, in fuga magari proprio dal composito raggruppamento neo-centrista che si richiama all’attuale premier. Nemmeno è da escludere a priori che si faccia avanti il centrodestra per offrire qualche forma di sostegno: la Lega non si farebbe di questi scrupoli, così assicurano esponenti di primissimo piano; lo stesso Berlusconi ha già fatto qualche avance. Infine Napolitano, cui toccherà dare nuovamente le carte dopo il voto, è ben deciso a conferire l’incarico – lo ha scandito nel discorso di San Silvestro - sulla base dell’indicazione popolare. Cioè, se fanno fede i sondaggi, a Bersani. La morale, qual è? Che Monti, per effetto del patto di Arcore, ha una pistola puntata sul centrosinistra. Che possa o voglia premere il grilletto, questo è tutto da dimostrare. da - http://lastampa.it/2013/01/08/italia/politica/monti-ago-della-bilancia-grazie-al-porcellum-lZwlG1jAvvJoPmyXZuw07K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI L’offensiva del premier: attaccare il Pdl per attrarre verso di sé ... Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2013, 04:17:00 pm Politica
15/01/2013 - retroscena L’offensiva del premier: attaccare il Pdl per attrarre verso di sé i moderati Ospite a Sky di Ilaria D’Amico, ieri Silvio Berlusconi ha sventolato questo “Patto del parlamentare”: sei impegni vincolanti Quella di Mario Monti è una strategia calcolata, non una banale ritorsione contro Silvio Berlusconi Ugo Magri Roma Monti si è guadagnato sul campo, ieri sera da Bruno Vespa, la palma di più risoluto, più implacabile, più sarcastico e (per molti aspetti) più feroce «No Cav» d’Italia. Mai un candidato premier aveva picconato con tale energia il profilo di Berlusconi. Nell’ultimo ventennio Occhetto, Prodi, Rutelli, di nuovo Prodi e infine Veltroni con alterna fortuna si erano preoccupati di far leva soprattutto sui programmi propri, sulle rispettive «agende» che allora avevano un altro nome. Lo stesso Bersani, nemmeno una settimana fa, sempre «chez» Vespa, si era regolato da primo ministro in pectore, serenamente avviato verso la vittoria e mai sopra le righe, certo non con il coltello tra i denti e tantomeno contro il capo della destra, trattato con i guanti bianchi perfino nell’arena di Santoro. Laddove Monti ha sfoderato per due ore l’intero repertorio di attacchi a Berlusconi con una tale determinazione da fare immaginare una precisa strategia, politica e comunicativa. Va considerato, segnalano i collaboratori del premier, anche il risvolto umano. Nei giorni scorsi Silvio era andato giù greve, aveva lamentato presunte «mascalzonate» commesse da Monti (concetto ribadito ieri), presentandone la scelta di candidarsi come un atto moralmente riprovevole. È un livello di contestazioni su cui chiunque dotato di amor proprio (il presidente della Bocconi non fa eccezione) avrebbe reagito a tono. «Mica poteva porgere l’altra guancia», si fa osservare. Inoltre ha sfoderato nelle risposte «la consueta classe», senza scendere a livello da osteria. Ma nella replica da Vespa è impossibile non cogliere un «surplus» di animosità. Calcolata. Studiata a tavolino. Insomma, meno legata alle offese e più alla sostanza. Spiega chi è ben addentro alla campagna elettorale montiana che il Professore ha voluto consapevolmente inaugurare un anti-berlusconismo di nuovo conio, per certi aspetti inedito e tutto da testare. Basato sulla condivisione di parecchie istanze care all’elettorato di centrodestra, come si deduce da certe aperture (alcune davvero inattese) in tema di tasse: dalla possibile riduzione dell’Irpef a quella altrettanto auspicabile dell’Iva, dal no secco alla patrimoniale al rigetto del redditometro, dalle larghe vedute sull’Imu alla revisione della riforma Fornero sulle pensioni... Musica per il popolo moderato. Esattamente quello che un elettore Pdl gradirebbe sentirsi promettere dal proprio partito. Accompagnato però da un ripudio netto del personaggio Berlusconi, da un giudizio spietato che si riassume in quel «pifferaio» dal quale solo degli sprovveduti potrebbero farsi trascinare nel fiume. Per immedesimarsi nei panni di chi in altri momenti l’ha votato, Monti ammette di essersi illuso lui stesso ai tempi della «rivoluzione liberale», s’era fatto incantare dalla sirena di Arcore. A questi elettori, il premier manda a dire: se voi volete davvero che tutto questo si realizzi, il vostro interlocutore sono io. Lui vi attira soltanto guai... L’offensiva del Prof ha ulteriori perché. Da qualche settimana nei sondaggi è in atto una certa ripresa della coalizione Pdl-Lega, chi dice attestata al 25 chi al 30 per cento dei voti. Nulla in grado di impensierire Bersani, che dalle stesse rilevazioni figura perlomeno una decina di punti avanti. Tuttavia abbastanza da mettere in forse l’obiettivo per il quale Monti si è deciso a «salire» in politica: una destrutturazione dei poli, o perlomeno di uno soltanto di essi. Al momento, il centrodestra non solo non pare prossimo a sfaldarsi, ma sta ritrovando a Palazzo Grazioli il suo centro di gravità. Urge dunque una controffensiva, e nessuno può negare che Monti vi si stia applicando con una franchezza di linguaggio sorprendente per chi, come lui, viene dal senato accademico. Mal che gli vada, questa battaglia gli attirerà le simpatie del pianeta anti-berlusconiano duro e puro, ne farà il super-eroe della resistenza al Cavaliere Nero, l’unico davvero in grado di sbarrarne la via. Per cui può verificarsi uno strano paradosso: che l'inedito combattivo Monti di «Porta a Porta» (perlomeno rispetto agli standard «sobri» cui ci aveva abituato) rubi voti a sinistra non meno che a destra. E anzi, vada a intaccare il serbatoio elettorale di Bersani addirittura più del bacino berlusconiano. Ma questo lo scopriremo solo il 25 febbraio, quando le urne saranno state aperte. da - http://lastampa.it/2013/01/15/italia/politica/l-offensiva-del-premier-attaccare-il-pdl-per-attrarre-i-moderati-UJEc8eglVej2pO5yKKlrGK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI MontePaschi, Bersani all’attacco “Se ci attaccano li sbraniamo” Inserito da: Admin - Gennaio 27, 2013, 05:58:41 pm politica
27/01/2013 MontePaschi, Bersani all’attacco “Se ci attaccano li sbraniamo” Pier Luigi Bersani è partito al contrattacco contro il tentativo di coinvolgere il Pd nella vicenda Mps Il Pdl al governo: giustifichi i soldi prestati. Il Cavaliere: la sinistra non sa gestire una banca figuriamoci il Paese Ugo Magri Roma Lo scandalo MontePaschi fornisce munizioni alla destra, fa un gran comodo a Pdl e Lega per spostare l’attenzione dalle magagne proprie (nuova inchiesta sul Campidoglio, Formigoni nel mirino) a quelle degli avversari. Per cui nessuna sorpresa che Maroni e Berlusconi medesimo tentino di cavalcare la polemica . Monti no, dopo la legnata a Bersani dell’altro ieri («Il Pd è coinvolto») lui si è defilato un tantino. L’unico a pronunciarsi da quella parte è il ministro Riccardi, che invita a «fare luce sulla connessione tra banche e politica», tema in auge fin dallo scandalo della Banca romana sul declinare dell’Ottocento. Prudenza non sufficiente a dirottare le bordate di Alfano, che chiama il Prof a «giustificare la barca di soldi» disposti per il salvataggio di Mps, «l’equivalente dell’Imu». Né il ritrovato riserbo del premier lo pone al riparo dall’ira Pd, dove se la sono legata al dito perché nulla fa più male della bastonata nel momento del bisogno. Ricambia velenoso Bersani: «Chi si è opposto al ricambio dentro MontePaschi ora è candidato con Monti», vale a dire l’ex esponente senese della Margherita, Monaci. Forse all’insaputa del premier, ipotizza ironico D’Alema. Tabacci, alleato di Bersani, va a fondo della questione: «La lista Monti dimostra di essere stata costruita cercando di includere i poteri che contano», e in questo caso non si tratta certo di un complimento. Tace Monti, dunque. In compenso dice la sua il Cavaliere. Che sulle prime era sembrato prudente al punto da far ipotizzare il solito conflitto d’interesse tra Berlusconi politico e Berlusconi imprenditore: l’uno interessato a picchiare duro sul Pd, l’altro appeso ai fidi Mps, senza i quali le aziende del Biscione sarebbero in affanno. Ecco invece Silvio prendere posizione all’edizione serale del Tg1. Senza ferire la più antica banca del mondo, anzi invocando «soluzioni concrete per mettere al riparo dalle conseguenze i risparmiatori», forse anche se stesso. Ma con un affondo contro il Pd che marca, almeno sul piano propagandistico, un punticino a suo favore. Argomenta Berlusconi dai teleschermi: «Se la sinistra non è in grado di gestire una banca, non può certo gestire il Paese...». A differenza di Ingroia, della Santanché, di Gasparri e, per certi aspetti del montiano Della Vedova, Berlusconi non evoca ipotetiche mazzette, non ne fa certo una questione morale, semmai di capacità imprenditoriali. Come amministratori, sorride soddisfatto l’uomo di Arcore, questi signori della sinistra non valgono granché... Bersani se l’aspettava. Tanto che già nel pomeriggio aveva lanciato un altolà: «Destra e Lega non si azzardino a insinuare che su Mps siamo stati scorretti, perché li-sbra-nia-mo». Proprio così, sillabando per rimarcare meglio. Adesso quel «li-sbra-nia-mo» impazza su Twitter, perché pure di queste battute «virali» è fatta la nuova campagna elettorale, o perlomeno quella che appassiona chi passa le sua giornate sui «social network». Se dipendesse da lui, Bersani darebbe poteri commissariali al presidente Viola e all’amministratore delegato Profumo, in modo che possano usare la ramazza. Tremonti, l’ex-ministro, gli affibbia dell’incompetente, «esiste il commissariamento ma non esistono per il diritto i poteri commissariali». D’Alema, invece, giudica inutile agitarsi troppo. «Non credo che questa storia ci nuocerà dal punto di vista elettorale», pronostica l’ex-premier, in quanto «ormai l’opinione pubblica è mitridatizzata, è abituata a scandali che nascono e che muoiono...». Diagnosi cinica e tremenda, quella di D’Alema, il quale la pone così: «In questa campagna elettorale ci sono partiti che non hanno nulla da dire e si gettano su questa storia come avvoltoi». Da destra, pesanti ironie contro «Baffino». Le riassume tutte in una battuta Cicchitto: «D’Alema e compagni sono vissuti sugli scandali altrui; ma quando riguardano loro, diventano di colpo cose che lasciano il tempo che trovano». da - http://lastampa.it/2013/01/27/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/bersani-se-ci-attaccano-li-sbraniamo-uYrNU5aqEc8dPCPQYEBBkJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI verso il voto. le strategie Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2013, 11:46:27 pm politica
28/01/2013 - verso il voto. le strategie Nella guerra in tv un bonus ai tre leader Dopo Sanremo apparizioni extra per Bersani, Berlusconi e Monti Ugo Magri ROMA Da 63 anni il Festival si tiene a metà febbraio. E pure stavolta Sanremo non farà eccezione: inizierà il 12 (che è martedì) e si concluderà il 16 (cioè sabato). Dunque agli strateghi della campagna elettorale sarebbe bastata una semplice consultazione del calendario per accorgersi che il massimo appuntamento nazional-popolare cadrà sul più bello della contesa. E per scoprire che a pochi giorni dal voto la politica verrà praticamente espulsa dalle serate degli italiani. Già, perché il Festival va in onda su RaiUno subito dopo il tigì, mediamente lo seguono 15 milioni di telespettatori, in qualche occasione perfino 20. A tutti gli altri programmi restano soltanto le briciole, figurarsi poi se si tratta di triste propaganda. Proviamo a immaginare che accoglienza di pubblico riceverebbe una tribuna politica su RaiDue o sui RaiTre, proprio mentre sulla rete ammiraglia sta andando in onda la manifestazione canora... Chiaro che nessun partito vorrà tenere la conferenza stampa nei giorni consacrati a Sanremo. Eppure a qualcuno toccherà per colpa del sorteggio, e quel qualcuno (fosse pure Grillo, o Monti, o Berlusconi) sarà condannato al cono d’ombra. Non è l’unico impatto che il Festival eserciterà sulle urne. Proprio perché nell’arco dei cinque giorni la politica sarà azzerata, è come se la campagna elettorale subisse un colpo di forbici. Col risultato di rendere ancora più imprendibile la «lepre» Bersani e ancora più vani gli sforzi dei suoi inseguitori. Per Silvio in particolare, saranno giorni di autentica sofferenza. Sembra escluso che voglia godersi lo spettacolo dal vivo, come fece due anni fa Bersani in prima fila al teatro Ariston sollevando polemiche. Nel suo entourage c’è grande sospetto per la conduzione di Fazio, considerato (a ragione) un intelligente giornalista di parte avversa, capace di far respirare all’Italia valori e sentimenti molto lontani dal berlusconismo. Pare che tra gli ospiti non vedremo Celentano, né ci sarà Benigni, per cui almeno sotto questo profilo il Cavaliere è salvo. Però forse sarà invitato Richard Gere, che anni fa sul «tycoon» di Arcore espresse opinioni feroci. E la Littizzetto, vogliamo dimenticarla? Dalla sua bocca potrebbe uscire qualunque battuta, sebbene ultimamente la saga di Veronica Lario sia stata tra le gag preferite dell’attrice e cabarettista torinese. Archiviato il Festival 2013, prima del voto resteranno sei serate, non una di più. Mercoledì si riunisce la Commissione di vigilanza Rai, appunto per definire le ultime scadenze politico-elettorali. Intenzione dei maggiori partiti pare sia quella di accordare un «bonus», sotto forma di conferenza stampa extra, a ciascun leader di coalizione. Le coalizioni sono tre, dunque una serata a Monti, una a Berlusconi e una a Bersani. Grillo dovrà accontentarsi di qualche minuto per l’appello finale, come tutti gli altri capi-partito, la sera di venerdì 22 febbraio: questo gli dirà la Commissione di vigilanza. Tanto lui quanto Ingroia potranno trovare altro spazio in tivù, ma con enorme difficoltà perché la «par condicio» mette ostacoli di ogni tipo, specie per la presenza dei politici nei talk-show. Difatti Grillo non ha ancora ben chiaro dove andrà nell’ultima settimana. E il faccia-a-faccia Bersani-Berlusconi? Non c’è emittente televisiva che abbia rinunciato a farsi avanti per ospitare un confronto «all’americana», tipo quello tra Obama e Romney tre mesi fa. Ma sussiste il solito intoppo: dopo Sanremo, e prima delle tre conferenze stampa finali, sarebbero disponibili due sole serate, o domenica 17 oppure lunedì 18 febbraio. Non sarà facile far combaciare le agende dei leader, anche perché i rispettivi interessi sono divergenti. Berlusconi, che vorrebbe riguadagnare terreno, ha grande voglia di incrociare la sciabola con Bersani, il quale proprio per questo si domanda chi glielo fa fare. L’unica certezza, al momento, è che se confronto avrà luogo, non sarà a due ma a tre. Perché la «par condicio» impedisce di escludere Monti, sempre più a suo agio nei panni del Terzo Incomodo. da - http://lastampa.it/2013/01/28/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/nella-guerra-in-tv-un-bonus-ai-tre-leader-LYmqr2huGxx9fhdfiziVcM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La macchina del Cavaliere ha le gomme a terra. Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2013, 11:55:50 pm politica
26/01/2013 E il partito ora fa la colletta per trovare quattro milioni e finanziare la rincorsa Il cruccio degli strateghi berlusconiani, adesso, è come ricominciare a crescere. Ugo Magri ROMA La macchina del Cavaliere ha le gomme a terra. Per la prima volta dopo settimane, i sondaggi (compresi quelli fidatissimi di Euromedia Research) segnalano una certa stanchezza: non solo Berlusconi smette di crescere, ma perde qualche colpo. In parte dipende dalla feroce battaglia delle candidature. Per liberarsi degli «impresentabili», Silvio ha dovuto lottare a lungo, tra schizzi di sangue e di letame. Uno spettacolo nell’insieme disgustoso. Le liste Pdl hanno causato ulteriori danni. A titolo di esempio, la Brambilla (animalista arrabbiata) è stata piazzata proprio in Emilia Romagna, che è il regno delle doppiette: Michela Vittoria le ha già tutte puntate addosso. Il Cavaliere si è scusato ieri per i troppi «paracadutati», ma che colpa ne ha Minzolini se l’hanno piazzato in Liguria? O la Calabria, nel senso di Annagrazia, in Piemonte? Il cruccio degli strateghi berlusconiani, adesso, è come ricominciare a crescere. La formula magica è sempre la stessa: servono idee, tribune e denari. Tanti denari, poiché la pubblicità è costosa, internet non fa eccezione. Fino a qualche giorno fa, dalle parti di Palazzo Grazioli ancora si favoleggiava di campagna a costo zero. Un po’ per virtù («il Paese in crisi non giustificherebbe certe spese pazze») ma soprattutto per triste necessità: nelle casse del Pdl non c’è il becco di un quattrino. Adesso però tra i dirigenti massimi matura la certezza che, in queste condizioni, la rimonta sarebbe una presa in giro. Anche concentrando gli sforzi nelle sole regioni in bilico al Senato (chi dice siano 5 e chi 7), serviranno alcuni milioni di euro. Il piano di emergenza deciso in queste ore prevede che tutti i candidati con qualche speranza di elezione, circa 150, versino 25 mila euro a testa. È un salasso che non tutti hanno accolto con entusiasmo. Pare che la gran parte debba ancora sganciare l’assegno. Ma con questa «patrimoniale» il partito metterà insieme quasi 4 milioni. La speranza in via dell’Umiltà (dove il braccio operativo è composto dal quartetto Lupi-Verdini-Fontana-Palmieri) è che Berlusconi ne scucia almeno altrettanti. Però nulla autorizza a pensare che lui aprirà il portafogli. Anzi, amici di lunga data, e pure «il Foglio», lo dipingono come un indigente ad altissimo reddito, un ex-miliardario ormai in bolletta per via di avvocati, cause perse, moglie, amanti, olgettine e dividendi Fininvest che nel 2012 non sono mai arrivati. Si potrebbe dunque determinare il paradosso per cui, brontola un vecchio gerarca, «saremo noi a dover finanziare la campagna elettorale del tycoon, anziché il contrario...». D’altra parte Berlusconi ci mette la faccia e non solo. Falso, dicono i suoi, che ieri abbia rischiato il coccolone; vero però che ha fatto un discorso pubblico e 4 interviste ad altrettante tivù locali: sforzo fisico notevole per un settantasettenne. Dovunque gli si aprirà uno spazio televisivo, non esiterà a infilarsi. Medita di fare irruzione dalla Annunziata e da Floris a Ballarò. «E non ci vengano a parlare di par condicio», già mette le mani avanti Bonaiuti in veste di pianificatore della comunicazione, «quando Monti è dappertutto. Basti dire che i telegiornali l’hanno seguito pure a Davos...». La speranza è che Bersani accetti un faccia-a-faccia televisivo («per ora il segretario Pd tentenna», sospirano a Palazzo Grazioli); in caso contrario, nemmeno un duello televisivo con Ingroia verrà disdegnato. Infine A.A.A cercasi idee con cui colpire l’immaginario collettivo. Berlusconi si rende conto che deve estrarne dal cilindro di veramente choccanti, se vuole bucare il muro dell’indifferenza. Per lui lavorano Brunetta, Casero e Capezzone. Gli hanno preparato, giurano, 3-4 proposte destinate «a fare tanto rumore». Se saranno vere bombe o semplici petardi, lo scopriremo negli ultimi giorni della campagna elettorale. da - http://lastampa.it/2013/01/26/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/e-il-partito-ora-fa-la-colletta-per-trovare-quattro-milioni-e-finanziare-la-rincorsa-uPeubl60E6MTCBLxVbX69J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: “Se avrò i voti farò condono” Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2013, 12:24:21 am Italia
05/02/2013 - un risultato paradossale da tre sondaggi La trovata sull’Imu non seduce gli italiani Eppure il Pdl sale Berlusconi: “Se avrò i voti farò condono” L’assunto, suggerito da Euromedia, è puntare al recupero dei «delusi» Ugo Magri ROMA Gli istituti di rilevazione si dividono in due categorie: quelli che si sentono già in grado di valutare l’impatto della «proposta-choc» berlusconiana (restituire l’Imu), e quelli che giudicano prematura una stima. Tra i primi si segnala Demopolis, che ha fornito le risultanze al programma de La7 «Otto e Mezzo». La metà più uno degli italiani considera la promessa del Cavaliere alla stregua di fanfaluca. Un terzo sarebbe ben felice di ricevere indietro i denari, ma con lo Stato al verde esclude che sia fattibile. Solo il 15 per cento degli intervistati sottoscrive in toto l’idea (giusta e realizzabile). Dunque ci si attenderebbe un Pdl in calo per effetto del generale ripudio. Invece, a sorpresa, la stessa Demopolis vede crescere i berlusconiani di quasi un punto e mezzo in tre giorni, dal 18,6 al 20 per cento. Una seconda società, la Emg, sempre per La7 dà il fixing al 19,6 con una lievissima contrazione, e 8 punti di distacco tra i due schieramenti. Tecnè, per Sky, vede in margine dimezzato a 4 punti... Fino all’8 febbraio, ultimo giorno utile per la pubblicazione dei sondaggi, saremo bombardati di percentuali. Ma non è solo a questi numeri che si bada nelle segrete stanze della politica. Proprio in casa del Cavaliere, per esempio, viene seguita una metodologia decisa a tavolino in novembre, sulla scorta dei riscontri via via forniti da Euromedia Research (e da altri istituti coinvolti come prova del nove). Tale metodo parte dall’assunto che a Berlusconi, per vincere, basterebbe recuperare i suoi ex-elettori delusi. Almeno una parte di coloro che non gli credono più. «Credibilità» è dunque la parola magica della campagna Pdl. A cosa serve cacciare Dell’Utri dalle liste? È fondamentale (spiegano dalle parti di Arcore) non per la pulizia in sé ma per mostrare che Silvio fa sul serio. Acquistare Balotelli? Mira a far capire che il «largo ai giovani» almeno nel Milan è una realtà. E insistere sull’Imu? Guarda caso, è una delle materie in cui il Cav può dire: il mio governo è stato di parola. Ogni uscita clamorosa corrisponde a uno «step», a un gradino volto a conquistare nuove fasce di indecisi, individuate con i «focus group». Nell’assunto che, a poco a poco, queste scelte si rifletteranno nei sondaggi. Dove il centrodestra è lievitato un po’ per volta, senza strappi, rispetto alle percentuali infime di alcune settimane fa. Bonaiuti, portavoce berlusconiano, percepisce «il clima tipico delle campagne elettorali in crescita». Operazioni apparentemente spericolate, come quella di portare il Capo da Santoro e stasera nell’arena di Ballarò, sottopongono il messaggio a una «prova bucato» attraverso il confronto con avversari veri e non di comodo. Oggi sul tavolo dell’ex-premier arriveranno le cifre «stabilizzate» di Euromedia. Ma quelle che più interessano, spiega Bonaiuti, riguardano gli indecisi. Sono ancora tantissimi, e dunque l’efficacia delle «boutade» viene misurata in base alla capacità di penetrazione tra gli indecisi. I quali restano numerosissimi. Pare che la promessa sull’Imu abbia fatto girare la testa al 7-8 pr cento di chi ancora è incerto se e come votare. Non abbastanza per determinare le sorti della battaglia elettorale. Però di «choc» pare ce ne siano altri in serbo. Centellinati poco per volta secondo il piano prestabilito di recupero, anziché squadernati come in passato due sere prima del voto. Renzi, che ha mangiato la foglia, lancia l’allarme ai suoi: sbagliato contestare la restituzione dell’Imu, meglio dire che di quel signore non ci si può fidare... da - http://lastampa.it/2013/02/05/italia/cronache/la-trovata-sull-imu-non-seduce-gli-italiani-eppure-il-pdl-sale-bgrguELk8k18ISDKl2D8JK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Grillo e Renzi bocciano la strategia di Bersani Inserito da: Admin - Marzo 02, 2013, 03:30:32 pm Politica
02/03/2013 Grillo e Renzi bocciano la strategia di Bersani E Berlusconi apre al ritorno alle urne con una nuova legge elettorale Ugo Magri Tra Grillo e Bersani, zero passi avanti. Semmai qualcuno indietro. Il leader M5S mostra di non gradire certi tentativi di «adescamento» (così li definisce nel suo blog) che il Pd avrebbe progettato nei confronti dell’esercito grillino. Già nei giorni scorsi l’ex-comico aveva reagito in malo modo all’offerta di poltrone, in particolare quella della Camera su cui per altri 13 giorni sarà seduto Fini. Ieri poi Grillo ha trovato nei retroscena la conferma alle voci di «campagna acquisti», cioè al tentativo di portargli via un tot di senatori, quanti basterebbero per garantire la fiducia a un governo Bersani. Il centrosinistra conta su 123 seggi a a Palazzo Madama, laddove ne servirebbero 158. Può aggiungere i 19 di Monti e arrampicarsi così a quota 142. Un altro paio arriverebbero dalle minoranze linguistiche. Resterebbe comunque un «gap» di almeno 14 voti. Grillo ne controlla al Senato 54: nessuna sorpresa che Bersani appunti lo sguardo lì... Bisogna vedere se ce ne sarebbero così tanti, tra i grillini, disposti a tradire il pezzo di carta firmato al momento della candidatura, dove sta scritto che «i gruppi non dovranno associarsi con altri partiti se non per votazioni su punti condivisi». Quattordici «saltafosso», in Parlamento, a lungo andare magari si trovano; ma che spuntino tutti insieme, e già al segnale del via, sembra improbabile. L’unico effetto certo di queste voci, al momento, consiste dunque nel far imbufalire Grillo: «E’ in atto il mercato delle vacche, al M5S arrivano continue offerte di presidenze della Camera, di commissioni, perfino di ministeri... Il Pidimenoelle ha già individuato a tavolino le persone del M5S per le varie cariche dando loro la giusta evidenza mediatica... È il solito metodo puttanesco di fare politica... Hanno la faccia come il c...». Non siamo in vendita, grida forte Grillo. Nel giro di Bersani cadono dalle nuvole, mai e poi mai si era pensato di fare «scouting» tra i senatori a cinque stelle. Voce falsa, secondo il bersaniano Errani, almeno quanto quella di «governissimo Pd-Pdl». Eppure la chiacchiera qualche fondamento doveva averla, se perfino Renzi l’ha giudicata attendibile. Ecco cosa scrive nella sua newsletter: «La priorità è rimettersi in sintonia con gli italiani, non giocare al contro-baratto e vendo dei seggi grillini». Una domanda del sindaco ai compagni di partito, e in particolare a D’Alema: «Pensiamo di uscirne vivi offrendo a Grillo la Camera e a Berlusconi il Senato, secondo gli schemi che hanno già fallito in passato?». Risultato di tutto ciò è che l’offensiva di Bersani, culminata in un’intervista a «Repubblica» dove si candida per guidare un governo con chi ci sta che faccia «7-8 cose qualificanti», sembra già esaurita. La stessa rivolta via web degli elettori grillini è ormai un ricordo (sebbene la Swg assicuri che il 66 per cento degli elettori M5S vorrebbe dare una mano a Bersani). Dario Fo, simpatizzante di Grillo, ne ha consultato il vate Casaleggio, il quale gli ha detto papale papale che il segretario Pd da loro non avrà mai via libera. Piccola porta socchiusa, invece, per qualche soluzione «tecnica», che sia sostenuta da altri e non da M5S. Il montiano Ichino già immagina una proroga del governo in carica come «soluzione ponte», e chissà se pure il Professore ci starà facendo un pensierino... Tutto ormai è affidato al savoir-faire di Napolitano, appena ritornato dalla Germania. Il Presidente esclude di rimandarci a votare, convinto che si tratti semmai di dare un governo all’Italia, con i mercati nervosi, lo spread in ascesa e l’agenzia di rating Fitch che lancia un allarme sulla nostra stabilità. «L’Italia rischia e molto», conviene Berlusconi. Il quale si dichiara non ostile a nuove elezioni, magari dopo avere cambiato in fretta il Porcellum. Due giorni fa il Cavaliere aveva sostenuto il rovescio. Però poi gli è piombata tra capo e collo l’inchiesta per corruzione. Un altro paio di siluri giudiziari pare siano in arrivo. Dunque l’umore ne ha risentito, e lui è pronto a rovesciare il tavolo. da - http://lastampa.it/2013/03/02/italia/politica/grillo-e-renzi-bocciano-la-strategia-di-bersani-RMn7EskRw013rRTFEw4A6J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Le radici del libero pensiero Inserito da: Admin - Marzo 05, 2013, 05:10:40 pm Editoriali
05/03/2013 Le radici del libero pensiero Ugo Magri Mancano 36 anni e 9 mesi al 2050 quando, scommette il profeta grillino Casaleggio, «l’intelligenza sociale collettiva permetterà di risolvere i problemi complicati del mondo». Quel giorno basterà un clic per decidere, facile come dire su Facebook «mi piace». Non servirà più eleggere rappresentanti, provvederà la «web-democrazia». Ma già oggi, che siamo nel 2013, al Movimento 5 stelle questo Parlamento appare giurassico. E obsoleta la Costituzione che autorizza gli eletti a decidere di testa loro. Secondo Grillo è una «circonvenzione di elettore», poiché l’onorevole può fare quanto gli aggrada, perfino «votare una legge contraria al programma». Per cinque anni, il fortunato se la spassa e nessuno gli chiede conto. Viceversa il voto, protesta Grillo, dovrebbe essere «un contratto tra elettore ed eletto». Non è l’unico a pensarla così. Berlusconi ha fatto firmare ai candidati un contratto, appunto, dove gli promettono di «non tradire il mandato». E di astenersi dai cambi di casacca. «Voltagabbana», «opportunisti», «saltafossi»... Quanti epiteti vennero lanciati da destra contro Fini, dopo il celebre «mi cacci». Come in altri campi, il berlusconismo ha stravolto costume e politica, cosicché adesso sembra scontato che il deputato sia messo lì a pigiare i bottoni. Invece per la Costituzione tanto normale non è. L’articolo 67 stabilisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», con la maiuscola, «ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». I padri della patria repubblicana ebbero zero dubbi in proposito. All’Assemblea costituente, la norma fu approvata in tre minuti, Terracini la lesse e nessuno si alzò per obiettare. Eravamo nel marzo 1947. Qualche mese prima se n’era discusso in commissione. Anche lì, tutti d’accordo con l’eccezione del comunista Grieco, ostilissimo alla formula «senza vincoli di mandato» in quanto i deputati «sono tutti vincolati: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma»... Proprio gli argomenti odierni di Grillo (e di Berlusconi). Aggiunse l’uomo di Mosca: «Sorgerà il malcostume politico». Ma nemmeno il suo partito gli diede retta, sebbene il «mandato imperativo» fosse la regola all’Est nelle cosiddette democrazie popolari, canonizzato dalla Costituzione sovietica e perpetuato in Ucraina perfino dopo la caduta del Muro: lo rispolverò nel 2007 il presidente Yushenko per far sciogliere il Parlamento, dopo che un gruppo di deputati l’aveva piantato in asso. Meglio la disciplina o meglio il libero pensiero? Nobile diatriba, che risale all’epoca dei Lumi. Fu primo il britannico Burke a teorizzare che chi viene eletto rappresenta l’intera nazione e non soltanto i propri sostenitori. Dunque conserva il sacrosanto diritto di mutare idea, di cercare compromessi con gli avversari senza per questo essere disprezzato, anzi. Rousseau, il filosofo, la vedeva esattamente al rovescio. L’Ancien Régime ammetteva solo il mandato «imperativo», invece i rivoluzionari francesi lo vollero libero, e così pure lo Statuto Albertino. Ci sono Paesi dove chi delude può essere sostituito con nuove elezioni, e forse proprio questo congegno ha in mente Grillo, sul suo blog se n’è molto discusso. Negli Usa si chiama «recall», permette di mandare a casa perfino i governatori degli Stati (è accaduto due volte). Stessa storia in sei cantoni svizzeri. In Venezuela ci hanno provato per scalzare Chavez, ma senza successo. Nella vecchia Europa è diverso. Regna la democrazia rappresentativa, l’autonomia di giudizio è considerata un bene prezioso, il dissenso viene tutelato in ogni Parlamento, da noi perfino troppo come fa osservare il costituzionalista Ceccanti: al punto che si scade nel trasformismo o peggio (vedi De Gregorio). Eppure fu grazie ai casi di coscienza di Calamandrei, di Codignola e di altri 7 deputati che nel 1953 venne infilata una zeppa dentro l’ingranaggio della «legge truffa». Dal Patto Atlantico al divorzio, dalla Guerra del Golfo agli euromissili, l’articolo 67 ha rappresenato sempre l’antidoto al pensiero unico, la ragione vera e forse unica per tenere aperto un Parlamento. Laddove abbiamo oggi un sistema che permette ai leader di scegliersi i rappresentanti del popolo, a uno a uno... E se il nostro dramma stesse proprio qui? da - http://lastampa.it/2013/03/05/cultura/opinioni/editoriali/le-radici-del-libero-pensiero-Kw0eH3OAXvUG431H6E97kN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Le radici del libero pensiero Inserito da: Admin - Marzo 06, 2013, 12:29:08 pm Editoriali
05/03/2013 Le radici del libero pensiero Ugo Magri Mancano 36 anni e 9 mesi al 2050 quando, scommette il profeta grillino Casaleggio, «l’intelligenza sociale collettiva permetterà di risolvere i problemi complicati del mondo». Quel giorno basterà un clic per decidere, facile come dire su Facebook «mi piace». Non servirà più eleggere rappresentanti, provvederà la «web-democrazia». Ma già oggi, che siamo nel 2013, al Movimento 5 stelle questo Parlamento appare giurassico. E obsoleta la Costituzione che autorizza gli eletti a decidere di testa loro. Secondo Grillo è una «circonvenzione di elettore», poiché l’onorevole può fare quanto gli aggrada, perfino «votare una legge contraria al programma». Per cinque anni, il fortunato se la spassa e nessuno gli chiede conto. Viceversa il voto, protesta Grillo, dovrebbe essere «un contratto tra elettore ed eletto». Non è l’unico a pensarla così. Berlusconi ha fatto firmare ai candidati un contratto, appunto, dove gli promettono di «non tradire il mandato». E di astenersi dai cambi di casacca. «Voltagabbana», «opportunisti», «saltafossi»... Quanti epiteti vennero lanciati da destra contro Fini, dopo il celebre «mi cacci». Come in altri campi, il berlusconismo ha stravolto costume e politica, cosicché adesso sembra scontato che il deputato sia messo lì a pigiare i bottoni. Invece per la Costituzione tanto normale non è. L’articolo 67 stabilisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», con la maiuscola, «ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». I padri della patria repubblicana ebbero zero dubbi in proposito. All’Assemblea costituente, la norma fu approvata in tre minuti, Terracini la lesse e nessuno si alzò per obiettare. Eravamo nel marzo 1947. Qualche mese prima se n’era discusso in commissione. Anche lì, tutti d’accordo con l’eccezione del comunista Grieco, ostilissimo alla formula «senza vincoli di mandato» in quanto i deputati «sono tutti vincolati: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma»... Proprio gli argomenti odierni di Grillo (e di Berlusconi). Aggiunse l’uomo di Mosca: «Sorgerà il malcostume politico». Ma nemmeno il suo partito gli diede retta, sebbene il «mandato imperativo» fosse la regola all’Est nelle cosiddette democrazie popolari, canonizzato dalla Costituzione sovietica e perpetuato in Ucraina perfino dopo la caduta del Muro: lo rispolverò nel 2007 il presidente Yushenko per far sciogliere il Parlamento, dopo che un gruppo di deputati l’aveva piantato in asso. Meglio la disciplina o meglio il libero pensiero? Nobile diatriba, che risale all’epoca dei Lumi. Fu primo il britannico Burke a teorizzare che chi viene eletto rappresenta l’intera nazione e non soltanto i propri sostenitori. Dunque conserva il sacrosanto diritto di mutare idea, di cercare compromessi con gli avversari senza per questo essere disprezzato, anzi. Rousseau, il filosofo, la vedeva esattamente al rovescio. L’Ancien Régime ammetteva solo il mandato «imperativo», invece i rivoluzionari francesi lo vollero libero, e così pure lo Statuto Albertino. Ci sono Paesi dove chi delude può essere sostituito con nuove elezioni, e forse proprio questo congegno ha in mente Grillo, sul suo blog se n’è molto discusso. Negli Usa si chiama «recall», permette di mandare a casa perfino i governatori degli Stati (è accaduto due volte). Stessa storia in sei cantoni svizzeri. In Venezuela ci hanno provato per scalzare Chavez, ma senza successo. Nella vecchia Europa è diverso. Regna la democrazia rappresentativa, l’autonomia di giudizio è considerata un bene prezioso, il dissenso viene tutelato in ogni Parlamento, da noi perfino troppo come fa osservare il costituzionalista Ceccanti: al punto che si scade nel trasformismo o peggio (vedi De Gregorio). Eppure fu grazie ai casi di coscienza di Calamandrei, di Codignola e di altri 7 deputati che nel 1953 venne infilata una zeppa dentro l’ingranaggio della «legge truffa». Dal Patto Atlantico al divorzio, dalla Guerra del Golfo agli euromissili, l’articolo 67 ha rappresenato sempre l’antidoto al pensiero unico, la ragione vera e forse unica per tenere aperto un Parlamento. Laddove abbiamo oggi un sistema che permette ai leader di scegliersi i rappresentanti del popolo, a uno a uno... E se il nostro dramma stesse proprio qui? da - http://www.lastampa.it/2013/03/05/cultura/opinioni/editoriali/le-radici-del-libero-pensiero-Kw0eH3OAXvUG431H6E97kN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Fare a meno di Silvio, il Pdl studia come emanciparsi dal leader Inserito da: Admin - Marzo 10, 2013, 11:28:15 am politica
10/03/2013 Fare a meno di Silvio, il Pdl studia come emanciparsi dal leader L’ex premier rischia condanne per oltre 16 anni Ugo Magri Roma Possono, gli orfani di Silvio, salire come se nulla fosse sulla giostra istituzionale (elezione delle alte cariche, consultazioni di governo, conclave sul nuovo Capo dello Stato), ignorando che il loro leader sta lottando per evitare l’onta della prigione? Già, perché proprio di questo si tratta, altro che semplice interdizione dai pubblici uffici: se si sommano le condanne in essere con quelle pendenti, Berlusconi rischia sulla carta tra i 16 e i 32 anni di galera complessivi. Per togliere di mezzo Al Capone, l’America si accontentò di dargli 11 anni. In qualche caso (vedi Unipol) la prescrizione è certa. Per altre invece risulta del tutto esclusa, e sui diritti Mediaset il verdetto definitivo della Suprema Corte arriverà al massimo entro un anno (anche su Ruby il tempo vola). Per altre inchieste ancora, vedi compravendita dei senatori, è molto dubbio che l’eventuale processo arrivi al traguardo; però è possibile (stando ai boatos romani addirittura scontato) che il pm Woodcock voglia tentare comunque lo scacco matto, con una richiesta di arresto del Cavaliere indirizzata al nuovo parlamento grillino. Questione di giorni... Per cui Alfano e tutti i massimi dirigenti Pdl convengono che no, davvero non possono far finta di nulla. Né le circostanze consentono loro di limitarsi a convogliare pullman sulla manifestazione del 23 marzo in Piazza del Popolo, perché lo psicodramma giudiziario si sta consumando adesso, e loro reciterebbero la parte degli ingrati se abbandonassero al suo destino l’uomo al quale debbono tutto (ammette l’ex-ministro Fitto: «Senza Berlusconi, saremmo una simpatica comitiva di amici e niente più»). Dunque, qualcosa dovranno fare. Quagliariello vorrebbe muovere le acque sul piano internazionale. Matteoli e Gasparri ritengono urgente ficcare qualche zeppa nell’ingranaggio della crisi, senza nemmeno attendere il 15 marzo, primo giorno di scuola del nuovo Parlamento. Napolitano si sarà sentito in queste ore fischiare le orecchie, perché inevitabilmente di lui stanno parlando. La questione, in un modo o nell’altro, finirà sul tavolo del Presidente come suprema forma di protesta. E ciò sebbene già sappiano, in via dell’Umiltà, che ben poco potranno concretamente ottenere dal Quirinale. Anzi, nulla. Se Napolitano domandasse alla delegazione Pdl che cosa propone per evitare la gogna giudiziaria del Cavaliere, i «berluscones» non saprebbero cosa suggerire perché tutti i Lodi sono già stati tentati, tutte le leggi ad personam già esperite senza successo, e alla «moral suasion» del Colle nei confronti dei magistrati non crede più nessuno. Dunque un gesto verrà fatto, ma solo per allontanare l’indegno sospetto (già affiorato sui quotidiani di centrodestra) che il gruppo dirigente non veda l’ora di licenziare il Capo. Però con l’intima convinzione della totale irrilevanza ai fini pratici. Serpeggia il timore che il destino sia segnato, e che in un modo o nell’altro Berlusconi verrà messo fuori gioco. Fosse solo incandidabile, pazienza: in fondo nemmeno Grillo è in Parlamento eppure è al centro di tutto. Invece gli arresti domiciliari vorrebbero dire divieto di andare in televisione, di tenere conferenze stampa, di presiedere riunioni al partito, di compilare le liste dei candidati, di guidare come solo lui è capace le prossime campagne elettorali... Per Berlusconi, il silenziatore; per il partito, un triste epilogo. E allora, tra i colonnelli già si ragiona sottovoce su come salvare il salvabile. Un volto da spendere davanti agli elettori, perché le urne potrebbero riaprirsi tra poco, magari a giugno... Due le scuole di pensiero. La prima scommette su personaggi di partito, in primis Alfano però non solo lui. Molto è cresciuto Lupi nelle gerarchie interne, per non dire di Brunetta al quale la presidenza del gruppo alla Camera starebbe stretta. Tra le donne, oltre a Mariastella Gelmini, molto si chiacchiera della Bernini, dura e pura. L’altra strada sarebbe una supplenza esterna. A circolare sono i soliti nomi, da Passera alla Cancellieri (no Monti, no Montezemolo). Con l’avvertenza che nessun personaggio di prestigio si imbarcherebbe mai su una nave, finché sul ponte sventola la bandiera gialla degli appestati. DA - http://lastampa.it/2013/03/10/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/fare-a-meno-di-silvio-il-pdl-studia-come-emanciparsi-dal-leader-PN68lSfwPfIrLxqwGPkYxO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI L’addio di Terzi galvanizza Berlusconi Inserito da: Admin - Marzo 27, 2013, 06:52:00 pm Politica
27/03/2013 - caso marò. tra dimissioni e governo Meteorite sul dialogo L’addio di Terzi galvanizza Berlusconi La mossa del ministro degli Esteri spiazza Monti e il Pd Ugo Magri Roma Come un meteorite dallo spazio, le dimissioni di Terzi sono piombate sulle trattative di governo, col risultato di sconquassare quel poco che si va costruendo. Dove stia il nesso tra Bersani e i marò, a prima vista non appare. Poiché un conto è il governo dimissionario, di cui il ministro degli Esteri faceva parte; altra cosa dovrebbe essere l’esecutivo futuro... Eppure il legame esiste, dal momento che c’è grande preoccupazione nei palazzi (in particolare sul Colle quirinalizio) dove quasi smoccolando ammettono: «Proprio ora non ci voleva, in un momento peggiore non sarebbe potuto capitare». Il primo impatto sulle consultazioni, viene spiegato, è che il gesto di Terzi genera una nube radioattiva. Di polemiche. Di sospetti. Di rancori. Politicamente, questa vicenda non crea le condizioni ottimali per una Pasqua di concordia. Semmai il contrario. Gli animi tornano infuocati come e peggio che durante la rissa elettorale. Addirittura, i seguaci del Prof hanno un sospetto: le dimissioni del ministro sono state concordate con Berlusconi per vendicare vecchie ruggini tra Mario e Silvio, calci reciproci negli stinchi, cui da ultimo si è aggiunta una lettera orgogliosa di Monti al «Corsera» vissuta ad Arcore come intollerabile provocazione personale. Guarda caso, già lunedì mattina il Cavaliere furibondo urlava che Monti andrebbe cacciato per via dei marò. Sembrava uno sfogo dei suoi, invece ecco tempestive le dimissioni di Terzi che nessuno subodorava, tantomeno Napolitano. Il Presidente aveva dato uno sguardo preventivo all’intervento in Aula del ministro, senza però trovarci le tre righe-chiave delle dimissioni. Aggiunte all’ultimo, sul piano politico un vero agguato. È un clima da corte rinascimentale che indiscutibilmente dà una mano a Grillo, la conferma della sua nota tesi che una certa politica andrebbe licenziata in blocco. Ma l’incidente (cercato o meno, a questo punto che importa?) galvanizza pure il mondo berlusconiano, in quanto spinge due temi tipici della destra - l’orgoglio patriottico, le Forze Armate - al centro della discussione collettiva proprio quando certi sondaggi già segnalano una crescita del Cav, secondo Euromedia e Tekné in testa di una spanna sulla coalizione avversaria e sullo stesso Grillo. Il che non può non avere effetto sulle consultazioni. Proviamo a vestire i panni di Bersani. Contava in una mano da Monti, e se lo ritrova nell’angolo, costretto a difendersi oggi in Parlamento dai ringhi della destra. Anziché trovarsi di fronte un Pdl moderato e pragmatico, disposto a far partire la legislatura senza pretendere la Luna in cambio, il presidente del Consiglio incaricato è costretto a fronteggiare richieste ogni giorno più esose. E d’altra parte Berlusconi, che annusa la possibilità di fare il colpaccio, figurarsi se rinuncerebbe a nuove elezioni in cambio di un piatto di lenticchie. Guarda caso, ieri se n’è stato a casa, ufficiosamente perché doveva affrontare coi suoi legali la causa di separazione da Veronica. E al posto suo ha spedito a trattare una delegazione guidata da Alfano. Si racconta che per prima cosa Bersani abbia chiesto, sospettoso, come mai il Capo aveva dato forfait. La tecnica è stra-nota: Berlusconi manda gli altri a negoziare tenendosi l’ultima parola. Se l’esito lo soddisfa, okay; altrimenti non si fa scrupolo di smentirli. Ma il danno più serio, le dimissioni a sorpresa lo causano al Capo dello Stato. In quanto gli sfila l’estrema carta che Napolitano potrebbe giocare, casomai il tentativo Bersani facesse un buco nell’acqua: il jolly del governo istituzionale, o «del Presidente». Se neppure i «tecnici» danno prova di affidabilità, riproporli nuovamente ai partiti (e al Paese) diventa impresa quasi disperata. Quasi quasi, meglio i politici... da - http://lastampa.it/2013/03/27/italia/politica/meteorite-sul-dialogo-l-addio-di-terzi-galvanizza-berlusconi-eseNKuU4aZFOzJqjwCaWoL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi teme l’inganno e pensa alle urne Inserito da: Admin - Aprile 02, 2013, 06:15:02 pm Elezioni Politiche 2013
02/04/2013 - governo. il centrodestra Berlusconi teme l’inganno e pensa alle urne Si agita lo spauracchio di un governo tecnico controllato da Pd e Grillo. Alfano: “La casa brucia no ad altri rinvii” Ugo Magri Roma Passa un giorno, passa l’altro, ma questi segnali che il Cavaliere si attende non arrivano, anzi. Cosicché lui diventa sempre più impaziente e nervoso. Gli avevano raccontato che, una volta fallito Bersani, nel Pd sarebbero corsi a frotte verso le larghe intese. E che questi potenziali alleati del Pdl non vedevano l’ora di venire allo scoperto con pubbliche dichiarazioni... Viceversa, nemmeno una voce importante (tolto Renzi) si è dichiarata a favore di «governissimi» o di soluzioni del genere. Cosicché Berlusconi incomincia seriamente a dubitare di essersi illuso. E addirittura a domandarsi se questa trovata dei «saggi» non sia in realtà un trappolone teso a lui, una maniera sofisticata di perdere tempo e di rendere impossibili eventuali nuove elezioni prima dell’estate che il centrodestra, manco a dirlo, sarebbe sicuro di stravincere... Per cui la sera di Pasqua Silvio era agitatissimo e pronto a diffondere un duro comunicato stampa in cui, sostanzialmente, avrebbe detto: cari signori, poiché questi comitati di «saggi» non servono a nulla, facciamola finita e votiamo non appena si può. Gianni Letta, Bonaiuti e pochi altri l’hanno dissuaso dal gesto di impazienza cui lo spingevano i «falchi» guidati dal solito Brunetta. Decisiva la motivazione che è ottima regola non guastare le feste degli italiani, già così faticose, e soprattutto i mercati (che stamane avrebbero riaperto in un clima di tregenda). Contemporaneamente, qualcuno s’è messo in contatto con Napolitano per invitarlo a chiarire e a precisare meglio il ruolo dei «saggi»: cosa cui il Colle ha puntualmente provveduto nel pomeriggio di ieri. Stabilendo che il loro compito è solo di approfondimento, e comunque non si trascinerà in eterno.Un attimo dopo la precisazione quirinalizia, ecco farsi vivo Alfano. Senza conoscere l’antefatto pasquale, la sua dichiarazione sembrerebbe una vera cannonata contro Napolitano perché dichiara Angelino: «I “saggi” facciano presto e riferiscano al Quirinale quanto prima. Auspichiamo che svolgano la loro analisi programmatica in pochissimi giorni, che il Presidente Napolitano riprenda le consultazioni con le forze politiche, e le forze politiche a parlarsi. La casa brucia e non sarebbero comprensibili altri rinvii o dilazioni...». In realtà, Alfano sta solo tentando di salvare capra e cavoli. Nella sostanza accetta di mandare avanti il comitato dei «saggi», così come desidera il Capo dello Stato, però senza negare che Berlusconi ha le sue buone ragioni nel subodorare l’inganno. Dunque la mediazione del segretario Pdl, sostenuta da Cicchitto e Gasparri, consiste nel dire che le rose, se davvero sono tali, debbono fiorire piuttosto in fretta. Qualora nel Pd ci sia qualcuno disposto a spendersi per un governo delle larghe intese comprensivo del Pdl, provveda in tre-quattro giorni oppure sarà troppo tardi, in quanto Berlusconi chi lo tiene più? Nel frattempo Quagliariello, che rappresenta il Cavaliere nel comitato di «saggi», ha ricevuto istruzione di tenere gli occhi bene aperti, senza mai permettere che la riforma elettorale venga sganciata dal più vasto tema della nuova Costituzione. Casomai qualcuno ci provasse, Quagliariello dovrebbe opporsi in tutte le maniere. Ciò merita una spiegazione: il vero spauracchio berlusconiano si chiama governo tecnico, figlio di nessuno ma controllato dal Pd e da Grillo, che faccia una nuova legge elettorale sgradita al centrodestra e intanto permetta ai magistrati di infliggere al Cav il marchio della condanna. Dopodiché si tornerebbe alle urne, senza più Berlusconi tra i piedi. Inutile dire che Brunetta, Verdini, la Santanché (ma non solo loro) tengono costantemente in allarme il Capo. Poi ci sono gli scettici e quanti dubitano nelle spallate. Oppure considerano la minaccia di nuove elezioni una pistola scarica, perché non si farà mai in tempo a votare prima dell’estate. O infine suggeriscono un profilo responsabile come chiedono con insistenza le gerarchie ecclesiastiche. Guarda caso, le parole più equilibrate ieri sono giunte dall’ala ciellina, con Formigoni e Lupi in prima fila: «Se i saggi possono aiutarci a superare il pregiudizio del Pd nei nostri confronti, ben venga il loro lavoro». da - http://lastampa.it/2013/04/02/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/berlusconi-teme-l-inganno-e-pensa-alle-urne-9i3SUIlEFGxdjg4RdETtGJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La proposta dei saggi Inserito da: Admin - Aprile 11, 2013, 11:49:58 am Politica
11/04/2013 - governo. le iniziative La proposta dei saggi Una Convenzione per cambiare la Carta Nessuna indiscrezione è trapelata su magistratura, lotta alla corruzione e conflitto d’interessi Il Senato sarebbe formato da delegati regionali Indicazioni concrete per esodati e sviluppo Ugo Magri Roma La novità di maggior peso, che domani allo scoccare di mezzogiorno i «saggi» squaderneranno a Napolitano, consiste in una proposta molto rifinita per aggiustare la Costituzione. Non solo: gli esperti quirinalizi forniranno indicazioni concrete per risolvere il dramma degli esodati e circa il modo di raggranellare risorse per lo sviluppo. Una riunione dei dieci «facilitatori», l’ultima, è convocata stasera. Servirà a licenziare il testo scritto a più mani. La prima parte, quella sulle riforme istituzionali, è già pronta da ieri mattina. Consta di 23-24 pagine dattiloscritte che Violante, Quagliariello, Onida e Mauro ridurranno a 15 con l’intento lodevole di renderle meglio leggibili, magari non proprio come un giallo appassionante, ma insomma... Anche l’altra parte del dossier, quella dedicata alla crisi dell’economia, è ormai nero su bianco. Tuttavia la prima stesura è risultata un tantino prolissa, oltre 40 cartelle, con un corpaccione analitico sorretto da gambe propositive un tantino più esili. Cosicché giocoforza Bubbico, Giorgetti, Giovannini, Moavero, Pitruzzella, Rossi (sono gli altri sei «saggi») dovranno rimetterci mano in giornata per sintetizzare, sforbiciare e riequilibrare. Ora è un documento che pure sulla parte economica ambisce a farsi leggere dai non specialisti. Chi ha potuto sbirciare in anteprima il testo garantisce che non è stato affatto un lavoro inutile. I punti di convergenza tra i «saggi» sono tali e tanti da formare una solida piattaforma programmatica dalla quale il futuro esecutivo profitterà a mani basse, specie nel caso in cui dovesse trattarsi di un «governo del Presidente». Sul piano economico, non ci si attenda una sconfessione dell’operato di Monti. I critici del rigore, tanto nel Pd quanto nel Pdl, resteranno delusi. La presenza nel Comitato del ministro Moavero, del resto, esclude colpi di scena. Però i «saggi» riconoscono che è tempo di voltare pagina, l’intransigenza nei conti pubblici patrocinata in primis dal ministro Grilli va resa più funzionale alla crescita. C’è dunque un’accelerazione visibile, specie per quanto riguarda i rapporti con Bruxelles. E si indicano le modalità necessarie per soccorrere gli esodati: scelta, essa sì, politicamente di svolta rispetto al governo dei «tecnici». Nel campo istituzionale, il parto più rilevante si chiama Convenzione. È il cantiere che il Comitato consiglia di mettere in piedi per aggiornare la Carta repubblicana senza demolirla a casaccio. Guarda caso, di Convenzione va parlando da settimane Bersani, suggerendo che a guidarla sia un esponente dell’opposizione. Con una differenza: il segretario Pd è rimasto finora sul generico, laddove i «saggi» vanno al sodo (pur con qualche riserva di Onida, il quale nell’insieme condivide l’impianto). Propongono che i maggiori partiti avanzino un ordine del giorno. Una volta approvato dal Parlamento, la Convenzione potrebbe mettersi al lavoro. Nel frattempo, di comune intesa, verrebbe varata un’apposita riforma costituzionale per conferire a questo organismo i poteri necessari. Quindi, elaborato il testo della riforma, non sarebbe la Convenzione a metterci il timbro, ma il Parlamento. Nel Perù venne seguita l’altra strada, e finì con una guerra civile: meglio evitare il bis. Presidenzialismo o no? Quagliariello, a quanto risulta, si è battuto con forza per farlo passare, ma la sua è stata accolta come posizione minoritaria. Prevale la filosofia del premierato. Confermata la riduzione dei deputati (da 630 a 470) e dei senatori, che verrebbero sostituiti in blocco dai rappresentanti regionali. Gelosamente custoditi, in attesa che li visioni Napolitano, i paragrafi riguardanti magistratura, lotta alla corruzione, conflitto di interessi e intercettazioni: su tutti questi terreni di duello infinito, i «saggi» promettono risposte equilibrate, ragionevoli. Ciascuno ha dovuto cedere qualcosa per ottenere qualcos’altro. Facile scommettere che i «falchi» dei vari schieramenti reagiranno con forza, accusando i «saggi» di intelligenza con il nemico. È destino comune a chi cerca di dialogare. da - http://lastampa.it/2013/04/11/italia/politica/la-proposta-dei-saggi-una-convenzione-per-cambiare-la-carta-6HWlAtKFVDvEGB8vjfEodK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Prodi manda in tilt Pd e Pdl Inserito da: Admin - Aprile 14, 2013, 07:28:36 pm politica
14/04/2013 Prodi manda in tilt Pd e Pdl Il gradimento del M5S per il Professore rende più difficile le larghe intese. Avanza l’ipotesi Finocchiaro Ugo Magri ROMA Com’era previsto, le pubbliche uscite di Bersani e del Cavaliere non aumentano la comprensione reciproca. Il segretario Pd ripete da Roma che il «governissimo» non si può fare, mica «perché Berlusconi fa schifo» è l’argomento poco lusinghiero, bensì in quanto non sarebbe segno sufficiente di cambiamento. Con l’altro che a Bari, davanti a una vasta folla, va giù piatto: o «governissimo» e scelta condivisa del successore di Napolitano, oppure di corsa alle urne (dove Berlusconi si attribuisce 4 punti di vantaggio). Inutile aggiungere chi sarebbe in quel caso candidato premier del centrodestra... Quando all’elezione del nuovo Presidente mancano quattro giorni, siamo dunque ancora in pieno delirio propagandistico. Ma la vera buccia di banana, su cui può ruzzolare l’intesa Pd-Pdl, l’ha piazzato Grillo (o Casaleggio, chi può dirlo?). Nella lista M5S dei dieci potenziali candidati per il Colle, compaiono alcuni nomi che sembrano studiati apposta per mettere in crisi il Pd. Il più ragguardevole è quello di Prodi, ma c’è pure Rodotà (già presidente dei Democratici di Sinistra) e così anche il costituzionalista Zagrebelsky: riferimenti sicuri per tutti quanti respingono l’«inciucio» col centrodestra. Prodi si schermisce, addirittura a Lucca per un convegno ieri ha fatto finta di bastonare con un giornale arrotolato un amico che lo chiamava «Presidente»; né sembra probabile che domani, quando i grillini pescheranno dal mazzo la candidatura definitiva, spunti fuori proprio il Professore. Tuttavia il mondo prodiano è in fermento, e non quello soltanto. Renzi, nei giorni scorsi, aveva espresso una chiara preferenza prodiana per il Quirinale. Contro il Cavaliere che spera solo di sfuggire alla giustizia (intesa come patrie galere) si lancia Tabacci, leader di Centro democratico... Insomma, la sola presenza di Prodi nella hit parade a Cinque Stelle, per quanto contestata da molti grillini, è sufficiente a far sognare quanti vorrebbero l’ex premier sul Colle in funzione anti-berlusconiana. Con il Cav che già annuncia sfracelli, casomai dovesse farcela il suo più acerrimo rivale: «Ci toccherebbe davvero scappare tutti all’estero», grida dal palco di Bari. Senonché, si domandano al vertice del Pd, «se poi molliamo un ceffone del genere al Cavaliere, dove prendiamo i voti per far partire il governo del cambiamento?». Vendola è convinto che qualche soluzione si troverebbe, qualora il nuovo Capo dello Stato mandasse Bersani a cercarsi i voti in Parlamento. La paura di non essere rieletti spingerebbe magari alcuni grillini a sostenere il governo di minoranza targato Pd... Però a Largo del Nazareno sono in pochi quelli che farebbero l’esperimento. Prevale la convinzione che, eleggendo Prodi, si correrebbe a rotta di collo verso nuove elezioni. «Una cosa folle», va ripetendo a tutti gli interlocutori Casini. Il quale si è ripreso una certa autonomia da Monti che, pure per effetto del distacco Udc, ha fatto sapere tramite «Corsera» di voler togliere il suo nome dal simbolo di Scelta Civica, non sentendosi egli uomo di partito ma riserva della Repubblica. Tutti questi calcoli, ed altri ancora, fanno sì che la strategia delle larghe intese, quantomeno per la scelta del prossimo Presidente, nonostante tutto resista. O perlomeno: ieri sera non risultava fosse definitivamente crollata. Tuttavia, ecco spuntare un ulteriore possibile inciampo. Ai negoziatori berlusconiani, guidati da Verdini, è giunta dall’altra sponda una soffiata: martedì Bersani martedì sottoporrebbe a Zio Silvio (così l’ha accolto il sindaco Pd di Bari, Emiliano) non una rosa di 4-5 nomi, ma una candidatura secca: prendere o lasciare. La personalità che lascia interdetti i «berluscones» si chiama Anna Finocchiaro, già presidente dei senatori Pd. Il Cavaliere invece vorrebbe poter scegliere tra Marini, D’Alema, Violante, con una predilezione con quanti vengono dal vecchio Pci. Non lo confesserà mai, ma senza i «comunisti» si sentirebbe solo. da - http://lastampa.it/2013/04/14/italia/politica/grillo-e-prodi-mandano-in-tilt-pd-e-pdl-xS68PdLISCxXGQbHD2a6UO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Pd-Pdl, gelo totale sul Quirinale Inserito da: Admin - Aprile 16, 2013, 02:56:04 pm POLITICA
16/04/2013 - SLITTA ANCORA L’INCONTRO TRA BERLUSCONI E BERSANI Pd-Pdl, gelo totale sul Quirinale Dubbi sulla possibilità di eleggere un nome al primo turno Ugo Magri Roma Un altro giorno è trascorso senza costrutto. E quando mancano 48 ore alle elezioni del nuovo Presidente, nessun accordo risulta raggiunto. Anzi, nemmeno si registrano particolari sforzi per trovare un nome condiviso nello spirito della Costituzione (articolo 87: il Capo dello Stato «rappresenta l’unità nazionale»). Tanto Pd che Pdl confermano: zero contatti dietro le quinte, i negoziatori sono rimasti a girarsi i pollici, insomma incomunicabilità totale. Prova ne sia che Bersani esclude per oggi nuovi colloqui col Cavaliere; il quale a sua volta si dichiara in attesa che dal Pd gli presentino finalmente dei nomi, «una rosa, e non uno o due soltanto», tra cui scegliere quello a lui più gradito. In sostanza, siamo al punto di prima. A che cosa si sono dedicati, ieri, i nostri eroi? Tutta l’attenzione è stata calamitata dallo scontro tra Renzi (che si è incrociato col Cavaliere a Parma) e il resto del Pd. Il sindaco fiorentino aveva bocciato, col tono suo solito da rottamatore, le candidature al Colle di Marini e della Finocchiaro; entrambi gli hanno risposto per le rime; anzi, l’ex capogruppo a Palazzo Madama, da donna sanguigna qual è, ha mollato a Matteo un metaforico ceffone definendolo «miserabile». Larga parte del Pd solidarizza con lei e con Marini. L’istantanea è di un partito lacerato sulla scelta più importante: quella destinata a orientare per i prossimi 7 anni la politica italiana. Prima il vicesegretario Letta, quindi il segretario medesimo, si sono preoccupati di metterci una toppa: «Facciamo cinema, però quando c’è da decidere decidiamo». Bersani ha visto Monti, che dopo il colloquio era più impenetrabile del solito. A sua volta il Cavaliere viene narrato alle prese con la solita lotta tra quanto gli suggerisce la pancia («Perché sul Colle un altro e non io? Tanto vale tornare alle urne...») e ciò che gli suggerisce la mente (senza un’intesa col Pd, Silvio rischia di ritrovarsi al Quirinale qualche acerrimo nemico, per esempio Prodi). Il nervosismo del Pdl va crescendo di ora in ora. A complicare tutto ci si mette il pallottoliere. Per eleggere un Presidente al primo tentativo, servirebbero ben 672 dei 1007 grandi elettori. Il candidato al momento con le migliori chance, Giuliano Amato, potrebbe contare sui 424 suffragi del Pd, sui 211 del Pdl, sui 67 di Monti e su 57 altri sostenitori sparsi. Il totale farebbe 759, sulla carta sufficienti all’elezione. Solo sulla carta, però. In quanto si può scommettere che, profittando del voto segreto, spunterebbe una frotta di «franchi tiratori» (la lista dei sospettabili è lunghissima). L’esito sarebbe ancora più in bilico nel caso di «inciucio» Pd-Pdl sul futuro governo: allora sì che la sorte di Amato sarebbe segnata... D’altra parte il Cavaliere non è affatto intenzionato a recedere dalla richiesta di ministri targati Pdl. Per cui dalle parti di Bersani si domandano se sia il caso di rischiare subito una personalità come Amato (o come Marini: identico il discorso). Meglio attendere la quarta votazione, suggerisce qualcuno, quando la maggioranza assoluta di 504 voti sarà sufficiente... Dal quarto scrutinio in poi, tuttavia, potrà dire la sua pure Grillo con i 162 grandi elettori M5S. Stamane sapremo chi sarà il vincitore delle «quirinarie» (le primarie per il Quirinale) condotte on-line. L’ex-comico si è sfilato dalla lista dei «papabili», dunque sono rimasti nove possibili vincitori: Bonino, Caselli, Fo, Gabanelli, Imposimato, Prodi, Rodotà, Strada, Zagrebelsky. Casaleggio, che del grillismo è il guru mediatico, auspica un Presidente «super partes, in grado di rappresentare tutti gli italiani, possibilmente non politico». Possibilmente... E se la carta vincente fosse Prodi? «Noi ci rimettiamo sempre alle decisioni del Movimento», risponde sibillino Casaleggio. Per le prime tre votazioni verrà sicuramente seguita l’indicazione degli iscritti. Dalla quarta in poi, vai a sapere... È proprio quanto cercherà di acclarare la delegazione Pd, appena oggi incontrerà quella a Cinque Stelle. da - http://lastampa.it/2013/04/16/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2013/pd-pdl-gelo-totale-sul-quirinale-2HWfE9a07nYIsuwLMmcyEK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E Berlusconi ingabbia i falchi Inserito da: Admin - Aprile 28, 2013, 12:05:29 pm politica
28/04/2013 E Berlusconi ingabbia i falchi Nel 2012 i falchi del Pdl a Villa Gernetto, tutti uniti ad applaudire il ritorno in campo di Berlusconi, sono rimasti fuori dal governo Ma sale il malumore tra i pasdaran che considerano troppo morbida la linea del Cavaliere con Letta La rabbia di Brunetta: se non arriverà la restituzione dell’Imu mi dimetto e voto contro la fiducia Ugo Magri Roma Una drammatica telefonata di Ghedini piomba in vivavoce all’ora di pranzo, mentre Berlusconi e i suoi fidi sono tutti riuniti. Voce strozzata dall’emozione e dall’incredulità: «Ma come, non vi rendete conto?». Esplode, l’avvocato del Cavaliere: «La Cancellieri alla Giustizia è quanto di peggio ci poteva capitare. Vi avevo scongiurato in tutti i modi di non farla passare. E invece così voi state firmando l’eutanasia di Berlusconi, le sue future condanne, la sua eliminazione fisica per via giudiziaria...». Muti i presenti intorno al tavolo di Palazzo Grazioli, gli occhi appuntati su Berlusconi. La cui bocca emette un sospiro: «Questo è il pensiero di Ghedini». Sottinteso: il suo, non il mio. Oppure: lo so bene, ma non posso farci nulla, perché «il governo deve partire». Deve. E pure in fretta. Non a caso il primo commento berlusconiano, udita la lista dei ministri, sottolinea quanto egli sia stato disponibile, verrebbe da dire servizievole: «Abbiamo trattato per la formazione del governo senza porre alcun paletto e senza impuntarci su nulla, escludendo persone che fossero già stati ministri». Brunetta nel governo non va bene in quanto giudicato troppo «incazzoso»? Via Brunetta, nonostante sia stato l’artefice tra i massimi della sua straordinaria rimonta elettorale. Alla base Pd non garba uno come Schifani? Via, via anche Schifani. Gelmini, Fitto, la Biancofiore e la Bernini sarebbero di disturbo? Tutti accantonati senza rimpianti per far nascere un governo nel segno dei tempi attuali, composto da persone giovani o al massimo «pantere grigie», umanamente carine, politicamente corrette, che sappiano stare a tavola (è una metafora). Anche nel centrodestra, il 27 aprile 2013 segna lo spartiacque, fissa un nuovo standard: il governo d’ora in avanti sarà solo per i «presentabili». Cioè trionfo totale delle «colombe» berlusconiane. Basti dire che ben quattro dei cinque neo-ministri Pdl (Alfano, Lorenzin, Lupi e Quagliariello) erano stati sospettati di alto tradimento per aver chiesto in autunno le primarie del partito, addirittura con una manifestazione al Teatro Olimpico (un quinto protagonista, Mauro, ha pure lui ottenuto la poltrona però in quota Monti). I «falchi» invece restano scornacchiati. Prima Berlusconi li ha ben spremuti in campagna elettorale, e adesso li chiude sotto chiave nello sgabuzzino, da dove verranno tirati fuori in occasione delle prossime manifestazioni oceaniche, la prossima il 4 maggio a Brescia. Per cui dentro il Pdl, in queste ore, c’è l’inferno. Musi lunghi di chi aspirava alla «cadrega» (delusione umanissima), Malox a fiumi per i «pasdaran» che si sentono vittime dell’ingiustizia, per le «amazzoni» abbandonate da Silvio, per gli scudieri più fedeli sconcertati dalla giravolta (tale la considerano) del Grande Capo. Chi insiste a trovargli una giustifica, scommette che è tutta una finta, «tra due mesi lui manderà all’aria il governo e torneremo a votare». Altri sono sicuri che l’abbia fatto per la salute delle sue aziende in debito d’ossigeno, ansiose di stabilità politica e di proventi pubblicitari legati alla ripresa. Qualcuno, come l’impetuosa Daniela Santanché, ha usato con Berlusconi parole di amicizia ma anche di verità. Altri, vedi Brunetta, già preannunciano che non finisce qui; se lunedì non dovesse arrivare perlomeno la restituzione dell’Imu allora nessuno terrebbe più a freno la rivolta, il capogruppo (ma tutti, non solo lui) darebbe le dimissioni per votare contro la fiducia a Letta... Paradosso dei paradossi, il successo politico berlusconiano, anzi il trionfo del Cavaliere che rientra in circolo, che pretende e ottiene pari dignità, che porta a casa ben cinque posizioni importanti, che riapre il dialogo con Monti (dal quale si è fatto convincere al sì su Saccomanni), che getta le basi del futuro Ppe in salsa tricolore, questo Berlusconi vittorioso va più di moda a sinistra che nel centrodestra. Dove rare sono le voci pronte a dargli atto del miracolo. Gasparri è tra quei pochi, e col suo accento romanesco quasi sbotta: «Sei mesi fa eravamo spacciati, nessuno avrebbe mai immaginato di ritrovarci qui in campo che ce la giochiamo alla pari. Altro che piangersi addosso!». Silvio meriterebbe un busto al Pincio... da - http://lastampa.it/2013/04/28/italia/politica/e-berlusconi-ingabbia-i-falchi-qqZbaJFr4g6kTD1QxjuHNO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Non sarà un “governicchio” balneare Inserito da: Admin - Aprile 30, 2013, 11:57:38 am politica
29/04/2013 Non sarà un “governicchio” balneare Accettabile e pragmatico, il discorso di Letta ha ricordato la sapiente maestria della vecchia Dc. Il banco di prova? Le riforme costituzionali Ugo Magri Roma Udito Letta, viene da pensare: moriremo democristiani. Nel senso che il discorso del premier offre un punto d’incontro accettabile e pragmatico a vasti settori della politica e della società, senza impennate e senza spigoli, proprio come era maestra insuperata la Dc dei tempi d’oro. Dall’economia alle riforme, dai temi etici all’Europa, Letta offre l’unica mediazione possibile a tutti i variegati partner della sua maggioranza. Tant’è che i primi commenti sono invariabilmente soddisfatti. Non è stato dimenticato nulla e nessuno. Al Cavaliere il premier concede un segno di attenzione sull’Imu (per ora viene bloccato, poi si approfondirà); a Bersani, Letta riconosce la giusta intuizione di aver messo l’emergenza lavoro al primo posto. I montiani applaudono sollevati, poiché il premier, pur annunciando una svolta pro-sviluppo, non sconfessa il rigorismo dei tecnici nel nome della continuità. Alla Lega Letta fa intuire che, forse, la macroregione padana potrà essere terreno di confronto futuro. E ce n’è perfino per Grillo: quel taglio immediato al doppio stipendio dei ministri-parlamentari rispecchia in pieno lo spirito dei tempi. Fa discutere il riferimento, un po’ sibillino, alla verifica tra 18 mesi quando, se sulle riforme costituzionali nulla si sarà mossa, Letta getterà la spugna. Qualcuno ci vede una minaccia, altri (a buon motivo) semmai una rassicurazione: non sarà un “governicchio” balneare, e nemmeno una soluzione ponte, in quanto l’esecutivo di larghe intese aspira a superare i 18 mesi di vita. Salvo verifica politica, si capisce, ma con il proposito di guardare oltre. Questo è forse il messaggio più significativo al Paese: Letta non farà colpi di testa, ascolterà tutti e medierà quanto basta per garantire una lunga stagione di stabilità. Un programma, mutatis mutandis, che a molti ricorda appunto la cara vecchia Dc... DA - http://lastampa.it/2013/04/29/italia/cronache/non-sara-un-governicchio-balneare-5rRaZ9A1TxiyHb5MJBjW2K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La tregua che fa comodo a tutti Inserito da: Admin - Maggio 09, 2013, 11:59:13 pm politica
09/05/2013 La tregua che fa comodo a tutti Il Pdl non ha interesse a bloccare il governo, e il Pd, alle prese con un congresso cruciale, preferisce prendere tempo. Il compito di Letta? Trasformare le debolezze in punti di forza Ugo Magri Roma Se Berlusconi avesse trascinato l’Italia di nuovo alle urne, oggi si sarebbe trovato nel vivo della campagna elettorale con la condanna Mediaset sulle spalle. E con il rischio di doverne incassare un’altra tra poco su Ruby, per reati (lo sfruttamento della prostituzione minorile, la concussione) che nell’immaginario collettivo sono assai più infamanti della frode fiscale. Sono considerazioni che il Cavaliere aveva evidentemente ben presenti un mese fa, quando si trattava di dare o meno un via libera al governo Letta. I più scalmanati berlusconiani gridavano «al voto, al voto», invece Silvio (che in quel mondo è di gran lunga il più avveduto) ha scelto la strada delle larghe intese. E nulla fa ritenere che abbia mutato idea. Anzi: il degrado ulteriore della sua immagine pubblica lo costringe ad aggrapparsi al governo. Come se non bastasse, le aziende berlusconiane hanno disperato bisogno di stabilità politica per riprendere a fare utili e non essere travolte dai debiti. Da quando il loro padrone ha scelto la linea responsabile, le quotazioni Mediaset in Borsa sono schizzate su del 50 per cento. Insomma: non sarà il Pdl, almeno per il momento, a sgambettare il governo. E il Pd, come si regolerà? Questo innamoramento del Cavaliere per Letta, dettato da calcoli di interesse, certo non aiuta la coabitazione nella stessa maggioranza. Condividere le responsabilità di governo con un leader pluri-condannato (sebbene valga la presunzione di innocenza fino alla giurisdizione definitiva) è un pugno nello stomaco per molti democratici. E tuttavia il partito, reduce da una sequenza di errori che ha dell’incredibile, è tuttora concentrato sui suoi tormenti interiori. Da giorni il gruppo dirigente si dibatte nella scelta di un cireneo che porti la croce al posto di Bersani fino a un congresso di cui, peraltro, ancora nulla si sa: né dove, né come, né soprattutto quando. Le ragioni dell’indecisione sfuggono alla gente normale, e sono parte anch’esse della grande crisi che il maggior partito della sinistra sta vivendo. Per cui pure il Pd, perlomeno nella fase attuale, ha disperato bisogno di leccarsi le ferite, di fare i conti con se stesso, di restituirsi una leadership e una politica degna del nome. Nodi così aggrovigliati non si sciolgono in un battibaleno. Esigono tempo e maturazione. Enrico Letta garantisce a destra e a sinistra una tregua che non soddisfa fino in fondo nessuno, ma che a tutti può risultare alla fin fine equa. Nato gracile da un matrimonio politico senza amore, questo governo può giovarsi delle sue debolezze. E trasformarle paradossalmente in punti di forza. da - http://lastampa.it/2013/05/09/italia/politica/la-tregua-che-fa-comodo-a-tutti-Cax65cumHsLlDQidKHKx9O/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Lo stop di Napolitano ai partiti “Basta litigi, avanti con le riforme” Inserito da: Admin - Maggio 10, 2013, 11:09:29 pm Politica
10/05/2013 - il caso Lo stop di Napolitano ai partiti “Basta litigi, avanti con le riforme” Niente Convenzione, si procede con l’articolo 138 della Costituzione Ugo Magri Roma Per alcuni giorni Napolitano si era dato un po’ di respiro dopo mesi di faticosa supplenza alle assenze della politica. Ieri il preside-presidente è ritornato sulla scena, e che cosa ha trovato? Lo spettacolo ben noto di qualunque scolaresca abbandonata a se stessa: qualche «secchione» intento sui libri, e tutti gli altri dediti alla ricreazione. Il Pdl che riprende a pallettate i giudici, organizzando proteste di piazza contro le condanne al leader, e il Pd che dà libero sfogo all’auto-lesionismo (mancano poche ore all’Assemblea nazionale, eppure sul successore di Bersani ancora non c’è traccia di intesa). Più in generale, un grande senso di sfilacciamento, con i due maggiori partiti obbligati a convivere eppure incapaci di remare nella stessa direzione… Come primo gesto Napolitano ha intimato «basta» agli insulti e agli eccessi verbali. La campagna elettorale è finita, le «esternazioni violente» non trovano giustificazione alcuna. Quindi il Capo dello Stato ha messo un po’ d’ordine sul cammino delle riforme, dopo che il Cavaliere si era dapprima candidato a guidare la Convenzione e subito dopo (avendo ricevuto un no secco dal Pd) l’aveva silurata: si procederà, fa filtrare il Colle, attraverso le procedure ordinarie previste dalla Costituzione all’articolo 138. E’ la strada suggerita dal ministro Quagliariello, cui «Re Giorgio» concede il suo placet. Qualcuno scorge la mano del Presidente pure dietro la frenata serale berlusconiana, niente assalti lunedì prossimo al Palazzo di Giustizia e accenti più responsabili nella manifestazione di domani a Brescia. E’ importante, nell’ottica del Quirinale, che il governo faccia squadra, per cui grande apprezzamento per il metodo del seminario di clausura in convento, adottato da Letta per il fine settimana. Ma ciò che più conta, in questo momento, è superare lo scoglio del 29 maggio, quando la Commissione Ue dovrà pronunciarsi sulla procedura di infrazione che grava sull’Italia. Se i partiti sapranno dominare per altre due settimane gli istinti, evitando di qui a fine mese guerre di religione sull’Imu e sul resto, l’Europa potrà toglierci quel marchio di inaffidabilità che pesa nel giudizio dei mercati. Sarà il primo vero banco di prova del governo Letta, da cui dipendono le sue possibilità di operare. Si può star certi che nelle prossime ore Napolitano non negherà un aiuto, nelle forme della «moral suasion», a quella che è pur sempre la sua creatura politica. da - http://lastampa.it/2013/05/10/italia/politica/lo-stop-di-napolitano-ai-partiti-basta-litigi-avanti-con-le-riforme-xz4t7SzvpChMzYNjiMHzuM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Giustizia, offensiva di Berlusconi Inserito da: Admin - Maggio 11, 2013, 05:42:15 pm POLITICA
11/05/2013 Giustizia, offensiva di Berlusconi Oggi comizio a Brescia, domani su Canale 5 un docufilm su Ruby, lunedì tutti a Milano per la requisitoria del processo Ugo Magri ROMA La bomba è innescata. Perché politicamente esploda con fragore sotto il Palazzo di Giustizia a Milano sarà sufficiente un cenno del Cavaliere, o anche semplicemente il suo silenzio-assenso. Lunedì mattina, in un albergo a due passi dall’aula del Tribunale dove Ilda Boccassini pronuncerà la requisitoria contro Berlusconi nel processo Ruby, si aduneranno tutti i deputati, i senatori e gli europarlamentari Pdl. L’ordine del giorno verrà comunicato tra oggi e domani, ma il copione sembra già scritto: subito dopo i convenevoli, ecco alzarsi in piedi una delle «amazzoni» berlusconiane (la Biancofiore, o la Giammanco, o la Calabria, o la regina Pentesilea che tutte le comanda, cioè Daniela Santanché). Rivolta ai presenti griderà: «Inutile stare qui a parlarci addosso, è tempo di agire; io vado a protestare là sotto, chi vuole bene al nostro Presidente venga con me. Su, muoviamoci». A quel punto, replicando pari pari quanto accadde l’11 marzo scorso, nessuno dei convenuti avrà la forza o il coraggio di sottrarsi: gli onorevoli tutti insieme, chi con maggiore chi con minore convincimento, si lanceranno nel nuovo assalto al Tribunale... Altrimenti, fanno notare ai vertici del partito, che senso avrebbe trascinare tutti i rappresentanti nelle istituzioni di lunedì a Milano, quando sarebbe bastato riunirli comodamente a Roma di martedì? Per cui il proposito è chiaro, alzare il tiro sui giudici alla vigilia di una nuova sentenza che vede Berlusconi rischiare (scommette un personaggio bene addentro nelle sue vicende legali) altri cinque anni di galera. Tornano a rullare i tamburi di guerra, dopo due giorni in cui Silvio era parso ben saldo di nervi e deciso a contrastare i suoi «falchi». Ancora ieri mattina, ripeteva in tivù che in questo momento occorre mostrarsi responsabili, che una cosa è il governo (da tenere al riparo) altra cosa sono gli attacchi dei magistrati, insomma niente di davvero allarmante. Aveva in programma di decollare alle 10 da Roma per Arcore, e invece sono corsi a Palazzo Grazioli un certo numero di «pasdaran», trattenuti a pranzo dal padrone di casa. Lì intorno al desco, assente la super-colomba Gianni Letta, qualche svolta strategica dev’essere maturata, perché nel tardo pomeriggio, mentre Berlusconi decollava per Linate, ecco spuntare sui telefonini di deputati e senatori un sms così concepito: «Riunione congiunta dei gruppi parlamentari a Milano, lunedì alle ore 11, presso lo StarHotel Rosa Grand- Milano, a Piazza Fontana. Seguirà ordine del giorno». È l’annuncio della mobilitazione. C’è dell’altro. Domani sera su Canale 5 scatterà un’offensiva mediatica berlusconiana, con un programma d’inchiesta poco in sintonia con il carattere commerciale assunto dalla rete ammiraglia del Biscione, per dimostrare che le feste di Arcore erano davvero eleganti, che tra Silvio e Ruby (interviste a entrambi) non scoccò alcuna scintilla, insomma una contro-requisitoria in piena regola. Per cui la tanto attesa manifestazione di questo pomeriggio in Piazza Duomo a Brescia sarà in realtà un antipasto, l’avvio di un crescendo rossiniano. Reso possibile, spiegano le stesse fonti di via dell’Umiltà, dalle distratte reazioni Pd, dove ieri il solo Bubbico ha tenuto alta la guardia. Una volta accertato che a sinistra hanno la testa altrove, o poco gliene importa, e che lo stesso Csm con il vice-presidente Vietti sembra fidarsi delle sue rassicurazioni, Berlusconi si è detto: perché non tentare l’assalto finale alla roccaforte delle toghe? Che cosa avrei da perdere? Per cui colpo di timone, e tutti precettati a Milano. DA - http://lastampa.it/2013/05/11/italia/cronache/giustizia-offensiva-di-berlusconi-zUm4lYS2IqODU7vXi8hazN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere e “il migliore dei governi possibili” Inserito da: Admin - Maggio 20, 2013, 11:54:37 pm politica
19/05/2013 Il Cavaliere e “il migliore dei governi possibili” Ai suoi: “Dobbiamo sostenerlo Non sarò certo io a farlo cadere” Ugo Magri Roma Tra i ministri che contano, nonché ai piani alti di Pd-Pdl, si è diffusa la sensazione che il governo cominci a ingranare. Tutti mettono le mani avanti e fanno i debiti scongiuri, dal momento che «un incidente di percorso è sempre dietro l’angolo». Inoltre le decisioni su Imu e Cig assunte in Consiglio dei ministri erano «le più semplici, le più scontate, mentre il difficile arriverà a settembre, e sarà lì che il tandem Letta-Alfano dovrà mostrare la sua stoffa». Come se non bastasse, tra un mese arriverà la sentenza su Ruby, e nessuno sa (forse neppure il diretto interessato) quale potrebbe essere la reazione del Cavaliere nel caso di una severa condanna... Il futuro della coalizione rimane gonfio di incognite. Eppure da due giorni un filo di ottimismo accomuna centrodestra e centrosinistra, il che è una novità. Le misure adottate venerdì dal governo soddisfano tanto gli uni quanto gli altri. Berlusconi sventola la sospensione della rata sulla prima casa come se fosse la sua personale vittoria, e le contestazioni dal Pd non fanno altro che ingigantirla. L’uomo è convinto di poter strappare qualche ulteriore «zuccherino» (come lo ridimensiona Grillo) entro le prossime settimane, «bisogna dare tempo al tempo» ostenta serenità. In privato. confida le stesse cose che va dichiarando in pubblico: «Dobbiamo sostenere il governo, è il migliore di quelli possibili, non sarò certo io a farlo cadere». Si compiace del titolo Mediaset che cresce in Borsa, alzando il prezzo del Biscione casomai (come si sussurra nei palazzi romani) gli venisse voglia di fare cassa. Ritiene di essersela cavata alla grande nell’interrogatorio dell’altro ieri a Bari (è sospettato di aver comprato il silenzio di Tarantini, che abbelliva di escort le sue cene già così eleganti). Tutta la verve polemica del Cavaliere si scarica, in questo momento, sull'allenatore del Milan Allegri; il che corrisponde agli auspici del premier. Letta, tifoso rossonero, ha sempre auspicato che Berlusconi dedicasse più tempo al calcio anziché alla politica... E nel Pd? Gli occhi erano puntati sulla manifestazione Fiom, per verificare la «tenuta» del partito. La prova di disciplina politica è stata quasi eroica. Nessun membro del governo si è mescolato con Grillo e con Sel, e pochi, molto pochi, sono gli esponenti democratici scesi a protestare. Epifani, che da ex sindacalista di queste cose se ne intende, scuote la testa: «Il problema non è stare in piazza, ma dare risposte». Il Pd è convinto che Letta abbia dato quelle che poteva. Rifinanziata con un miliardo la Cassa integrazione (sebbene 250 milioni siano stati sottratti ai fondi per la produttività); rinviato a fine anno il licenziamento per mezzo milione di precari statali; ossigeno per i contratti di solidarietà... È poco? Sì, è ancora poco, ammettono a Largo del Nazareno. Ma se il 29 maggio l’Europa dovesse fidarsi di noi, e ci levasse il marchio di inaffidabilità rappresentato dalla procedura di infrazione, allora cambierebbe la prospettiva. Si aprirebbero per il governo nuovi spazi di manovra, e altri se ne aggiungerebbero nei mesi successivi, presentandoli a Bruxelles come «flessibilità virtuosa per la crescita» (nella speranza che ci credano). Certo, i tedeschi non sono così ingenui, sarà necessario che chiudano un occhio. Brunetta, capogruppo Pdl, si attende che la Merkel «dia segnali positivi prima di settembre». Le stesse parole si ascoltano tra gli economisti in forza al Pd. Per cui al momento interesse comune sembra quello di passare l’estate. «Anche perché», ringhia il berlusconiano Cicchitto, «l’alternativa sarebbe una sola: la catastrofe per tutti». da - http://lastampa.it/2013/05/19/italia/politica/il-cavaliere-e-il-migliore-dei-governi-possibili-RhZgxQq4HqKEqBNl6hH4KN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il centrosinistra risorge. Inserito da: Admin - Maggio 28, 2013, 11:05:15 pm Politica
28/05/2013 - elezioni. risultati e scenari Mai così pochi alle urne Voti grillini dimezzati E Marino chiama i Cinque Stelle: “Siamo vicini” Il centrosinistra risorge. A Roma in vantaggio Marino. I dubbi di Berlusconi su Alemanno Il governo non esce indebolito, Letta allontana il fantasma di Renzi Ugo Magri Roma La sinistra risorge a Roma dalle sue ceneri ed è a un passo dalla vittoria con Marino. Si impone di slancio, senza bisogno di ballottaggio, a Massa, a Pisa, a Sondrio, a Vicenza e a Iglesias. La destra non si arrende, cercherà il riscatto tra due settimane nei ballottaggi in 10 comuni capoluogo: tutto sommato ai berlusconiani è andata maluccio, ma poteva finire peggio. Per esempio, potevano condividere la sorte dei grillini, che rispetto alle elezioni di febbraio (cioè in soli tre mesi) praticamente si dimezzano. Ed è proprio tra i Cinque Stelle che miete più vittime l’astensionismo record: 37,62 per cento, mai così pochi alle urne. Secondo il ministro dell’Interno Alfano, la disaffezione è conseguenza del fatto che cinque anni fa si era votato insieme con le Politiche, da cui l’alta affluenza, laddove stavolta si è negato l’«election day» con conseguente calo. Vendola ci vede invece un moto di rigetto nei confronti delle larghe intese. Ma se così fosse, come mai Grillo è calato? Nel giudizio collettivo, l’esito rafforza il governo, o quantomeno non lo indebolisce. In Parlamento i due poli sono alleati, eppure la gente ancora li vede come alternativi. E così, nonostante l’«embrassons-nous», l’Italia si riscopre bipolare. Torna a schierarsi o di qua, o di là... Roma era il test di gran lunga più atteso. Il candidato Pd ne esce alla grande. Neppure Marino, forse, si aspettava un vantaggio di 12 punti, così ampio che Alemanno (sebbene si ostini a dichiarare la partita «tuttora aperta») molto difficilmente potrà rimontare. Il primo a non crederci è proprio Berlusconi. Lui aveva tutto previsto. Addirittura a metà aprile, durante un viaggio aereo con Capezzone e la Santanché, il Cavaliere aveva manifestato l’intenzione di cambiare in corsa destriero puntando su Marchini (il quale lascia la gara con un onesto 10 per cento), ma a quel punto era troppo tardi, Silvio dovette tenersi Alemanno. Sta di fatto che la sconfitta è già in parte metabolizzata, Berlusconi ne scaricherà la colpa sul sindaco uscente. Per cui, pur ammettendo la delusione, dalle sue parti escludono colpi di testa. Niente crisi di governo, per ora. Al massimo il Pdl si mostrerà meno flessibile e più intrattabile nel braccio di ferro sull’Imu. Arride invece la vittoria a Epifani, condottiero fortunato. Al primo match elettorale sbaraglia gli avversari. Lo considera un segnale di incoraggiamento, anche nei suoi confronti. Il segretario si è prodigato nel sostegno a Marino, come pure molto si è esposto anche personalmente il presidente della Regione Zingaretti, unico esponente Pd sul palco alla manifestazione di San Giovanni. Nel giubilo collettivo, va controcorrente Rosy Bindi: «Forse è bene preoccuparsi più per i voti non espressi che per quelli raccolti». Invece Letta sospira per lo scampato pericolo: una batosta Pd avrebbe accelerato il congresso e l’arrivo di Renzi. Ha del clamoroso la flessione grillina su Roma: dal 27 per cento delle Politiche crolla al 13. Male Brescia, malissimo Imperia, un disastro Siena, dove pure M5S si era distinto nella campagna MontePaschi. Scatenamento dei militanti sul web, tsunami di critiche a Grillo per i divieti di andare in tivù e anche per le mancate alleanze a sinistra. Vero è che il movimento non ha ancora messo radici, dunque nei test amministrativi parte svantaggiato rispetto a Pd e Pdl. Nel novero degli sconfitti va aggiunta la Lega, travolta a Vicenza e perfino nel feudo del «sindaco sceriffo» Gentilini a Treviso. Il Carroccio punta l’indice contro il Pdl: altra grana per Berlusconi. da - http://lastampa.it/2013/05/28/italia/politica/mai-cos-pochi-alle-urne-voti-grillini-dimezzati-hlPVnn9LEcmMoVrqpYSTNM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Riforme, via alla corsia preferenziale Inserito da: Admin - Giugno 07, 2013, 06:42:20 pm Politica
07/06/2013 - governo. le istituzioni Riforme, via alla corsia preferenziale Doppia lettura abbreviata da tre mesi a uno, ma c’è chi critica Napolitano: le modifiche sono ineludibili Ugo Magri Roma Se in materia economica il governo fosse altrettanto rapido che sulle riforme istituzionali, forse l’Italia avrebbe già un piede oltre la crisi. Per cui Squinzi, presidente di Confindustria, esorta Letta a concentrarsi sulla crescita senza stare appresso al presidenzialismo. Però aiutare le imprese costa molti denari, laddove aggiornare la Costituzione è gratis. Ecco perché il premier sceglie questo terreno per bruciare le tappe e dimostrare che lui non smacchia leopardi. In mezz’ora di discussione, e ben 23 giorni di anticipo rispetto alla tabella di marcia, il Consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge costituzionale che «delimita le dimensioni e le linee del campo di gioco», per citare la metafora del ministro Quagliariello, grande appassionato di calcio e del Napoli. Come dire che il governo ha deciso tempi e modi del passaggio alla Terza Repubblica: sui contenuti, deciderà il Parlamento. Alcuni aspetti del ddl sono già noti. Darà vita a un Comitato che fonderà insieme le Commissioni Affari costituzionali, 20 deputati da una parte e 20 senatori dall’altra, scelti senza calpestare le minoranze; i tempi della doppia lettura, imposti dall’articolo 138 della Costituzione vigente, verranno scorciati da 3 mesi a 1 soltanto; in un anno e mezzo il processo riformatore dovrà essere completato, dopodiché sarà chiamato a pronunciarsi il popolo sovrano attraverso un referendum confermativo. Ma a spulciare il testo del ddl, si scopre dell’altro. Per esempio, una meticolosa indicazione delle varie tappe parlamentari, e un’altrettanto scrupolosa prevenzione di qualunque forma di ostruzionismo o filibustering, tanto nel Comitato dei Quaranta (che pericolosamente evoca Alì Babà), quanto nell’aula di Montecitorio e di Palazzo Madama. Fonti politiche qualificate narrano un retroscena: nei giorni delle mozioni che diedero disco verde al treno delle riforme, il governo tentò di accorpare non solo il lavoro delle Commissioni Affari costituzionali, ma pure quello delle Assemblee di Camera e Senato. Senonché i senatori fiutarono la «trappola» (sono la metà dei loro colleghi deputati) che mirava a vincere le loro scontatissime resistenze al Senato delle Autonomie. Cosicché puntarono i piedi, e fecero saltare le sedute comuni del Parlamento... Il ddl varato ieri non ci ritorna sopra. In compenso, crea le basi per far marciare la riforma a colpi di Regolamenti, che sono un po’ come i binari dell’alta velocità parlamentare. Il ministro Franceschini anticipa che nell’esame del ddl al Senato il governo proporrà di adottare la procedura d’urgenza. Un’ansia di bruciare le tappe che lascia perplessa Emma Bonino. Nella riunione di governo, e senza peli sulla lingua com’è suo costume, il ministro degli Esteri ha invitato a non confondere l’urgenza con la fretta. Va bene non perdersi in chiacchiere, però la Costituzione non può essere trattata come se fosse un semplice regolamento di condominio... Del tutto pedagogico, e senza invasioni di campo, il discorso con cui Napolitano si è rivolto ai 35 esperti governativi ricevuti sul Colle (in verità la lista delle consulenze accademiche comprende altri 7 professori, con compiti «redazionali»: Giuditta Brunelli, Anna Chimenti, Tommaso Edoardo Frosini, Vincenzo Lippolis, Nicola Lupo, Cesare Pinelli, Claudio Tucciarelli). Il Presidente ha esortato, secondo la testimonianza di Ceccanti, a non alimentare il pessimismo: i fallimenti del passato non pregiudicano il futuro. Anzi, «se in periodi storici così diversi il tema delle riforme si è riproposto, è la prova che un ripensamento dell’ordinamento costituzionale è davvero ineludibile». da - http://lastampa.it/2013/06/07/italia/politica/riforme-via-alla-corsia-preferenziale-61kCwSfLCz6FhK9gdwb1eL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Due sentenze che cambieranno l’Italia Inserito da: Admin - Giugno 15, 2013, 11:19:05 am Politica
13/06/2013 Due sentenze che cambieranno l’Italia I destini politici del Paese sono legati a due pronunciamenti: quello della Corte costituzionale italiana sul legittimo impedimento di Berlusconi e quello della Corte di Karlsruhe sullo scudo fiscale Ugo Magri Roma Per una singolare coincidenza, i destini politici dell’Italia dipendono da due sentenze della Corte costituzionale. In un caso, però, si tratta della Corte italiana; nell’altro, di quella tedesca. Il 19 giugno la Consulta dovrà pronunciarsi sul «legittimo impedimento» di Berlusconi, che nelle vesti di premier il 1 marzo 2010 rifiutò di presentarsi a un’udienza del processo Mediaset. Il Tribunale stabilì che le giustificazioni del Cavaliere (riunione in Consiglio dei ministri da lui stesso convocata per varare il ddl anti-corruzione), non erano adeguate; per cui tenne l’udienza in assenza dell’imputato, il processo andò avanti e alla fine Berlusconi fu condannato a cinque anni di carcere (poi confermati in appello) più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Se la Consulta desse ragione all’ex-premier, la sua posizione processuale potrebbe essere radicalmente rivista; se gli desse torto, sui colli più alti della Repubblica c’è il fondato timore che la vita stessa del governo potrebbe subirne i contraccolpi. La Corte di Karlsruhe, invece, si pronuncerà dopo l’estate. Dovrà decidere se lo scudo con cui Draghi difende l’euro dagli assalti speculativi è consentito alla luce della Costituzione tedesca. I «falchi» di Germania sostengono di no. E argomentano, a colpi di ricorsi, che l’acquisto illimitato di titoli dai Paesi in difficoltà potrebbe caricare le nazioni virtuose (loro) di debiti contratti dalle solite «cicale» (noi). Nell’ipotesi in cui questa tesi venisse sposata dalla Corte costituzionale, per le nostre finanze si annuncerebbero tempi cupi. Con inevitabili riflessi negativi per le prospettive di rilancio dell’economica, su cui il governo Letta si gioca la propria credibilità. Ciò che accomuna i due pronunciamenti è l’elevatissimo grado di imprevedibilità. Nessuno ha la ragionevole certezza di come andrà a finire. Motivo per cui i politici, tanto italiani quanto tedeschi, lanciano appelli al senso di responsabilità dei magistrati ma, sotto sotto, incrociano le dita. da - http://lastampa.it/2013/06/13/italia/politica/due-sentenze-che-cambieranno-litalia-f7ZOWkR8O6cXjoTQDznc8L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Legittimo impedimento, la sentenza che definirà gli equilibri del ... Inserito da: Admin - Giugno 20, 2013, 11:51:47 am Politica
18/06/2013 Legittimo impedimento, la sentenza che definirà gli equilibri del governo L’aspettativa del Cavaliere è che, in cambio di una «buona condotta» sul piano politico, possano venirgli riconosciute le ragioni che pensa di avere sul piano giudiziario Ugo Magri Roma La sentenza di oggi della Corte costituzionale sarà politicamente importante in quanto (perlomeno sulla carta) potrà modificare i calcoli di convenienza su cui si reggono le larghe intese. Tra i motivi per cui Berlusconi se ne è fatto propugnatore, c’è senza dubbio la sua speranza di trarne dei benefici nella sua veste di imputato. L’aspettativa del Cavaliere è che, in cambio di una «buona condotta» sul piano politico, possano venirgli riconosciute le ragioni che pensa di avere sul piano giudiziario. Ritenendosi un perseguitato, vuole verificare se un comportamento all’altezza delle responsabilità può meritargli, da parte delle varie magistrature, una valutazione più serena dei suoi diritti. Sotto questo aspetto, il verdetto della Consulta sul «legittimo impedimento» si colloca in posizione strategica. Sarà cronologicamente la prima di quattro sentenze destinate a susseguirsi nell’arco di sei mesi. La seconda è annunciata per lunedì prossimo al processo Ruby. La terza verrà pronunciata nel tardi autunno dalla Cassazione sui diritti Mediaset (è in gioco la condanna a 5 anni di carcere più interdizione dai pubblici uffici). E l’ultima della serie, protagonista sempre la Suprema Corte, avrà in palio i 560 milioni di risarcimento all’ingegner De Benedetti per il Lodo Mondadori. Non occorre essere scienziati della politica o del diritto per rendersi conto che la decisione di domani potrebbe condizionare le tre successive. Perché un conto sarebbe se Silvio si presentasse in Tribunale a Milano, e soprattutto in Cassazione, con la medaglia appuntata al petto di «pater patriae»; o comunque con la chance di ottenere ragione dalla Consulta in ultimissima istanza. Altra cosa sarebbe se la Corte costituzionale domani gli desse torto, affibbiandogli per giunta l’etichetta dell’imputato sleale, che il 1° marzo 2010 convocò un Consiglio dei ministri al solo fine di non presentarsi in udienza davanti ai giudici milanesi (il «legittimo impedimento» di cui si discute). In questo secondo caso, la vicenda processuale del Cavaliere imboccherebbe un piano inclinato inarrestabile, con il colpo di grazia del mezzo miliardo e passa da risarcire al suo peggior nemico… Una volta che fosse disintegrato sul piano giudiziario (e pure su quello finanziario), a Berlusconi resterebbe molto meno da dire pure su quello politico. La stagione di tregua sancita dalle larghe intese si risolverebbe dunque interamente a vantaggio del Pd, che avrebbe il tempo di darsi un nuovo leader laddove quello avversario verrebbe rottamato. Per cui non deve stupire l’apprensione con cui viene atteso, specie nell’ex Palazzo dei Papi che sta proprio di fronte alla Consulta, il pronunciamento di domani. In base alla piega che prenderanno le cose, Silvio valuterà le mosse future con il tasso di imprevedibilità che da sempre lo contraddistingue. Un autorevole ministro Pdl confida preoccupatissimo: «Potrà davvero accadere di tutto». da - http://lastampa.it/2013/06/18/italia/politica/legittimo-impedimento-bomba-a-orologeria-la-sentenza-che-definir-gli-equilibri-38z7YkF4V58FjAkD570f9K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice” Inserito da: Admin - Luglio 06, 2013, 07:46:40 pm Politica
05/07/2013 - retroscena Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice” Berlusconi orientato a firmare di referendum radicali sulla Giustizia Ugo Magri Roma La prospettiva sempre più drammatica di finire dietro le sbarre (nemmeno l’età lo metterebbe al riparo dalle patrie galere) spinge in queste ore Berlusconi a soppesare una mossa politica lucida e, insieme, disperata. Sta seriamente pensando di recarsi a un banchetto dei Radicali, e di sottoscrivere davanti alle telecamere i cinque referendum «per la Giustizia giusta». Chiaro che i suoi elettori sarebbero invitati a fare altrettanto. Al Cavaliere interessano i quesiti sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle toghe fuori ruolo e sulla separazione delle carriere; meno quelli di ispirazione schiettamente liberale che mirano a cancellare l’ergastolo nonché a mettere un freno alla custodia cautelare. Ma l’impatto politico sarebbe formidabile, e Pannella si domanda con stupore come mai Silvio ancora non si decida a sfruttare la grande chance referendaria per piazzare una mina sotto al sistema... Fonti di casa ad Arcore garantiscono che «ci siamo quasi». Ieri all’alba, «tweet» premonitore della Santanché, periscopio del sommergibile berlusconiano. La decisione sembrerebbe matura. Anche perché la fiducia dell’ex-premier nella giustizia è direttamente proporzionale alla speranza di vedere accolte le proprie ragioni: cioè zero. Dai diritti Mediaset a Ruby, finora ha sempre incassato il massimo della pena. È certo che il 19 luglio verrà rinviato a processo per corruzione di senatori, e molti indizi fanno pensare che finirà allo stesso modo a Bari per l’inchiesta sulle «escort» («C’est la vie», prova a sdrammatizzare un personaggio dell’entourage, «anzi c’est Lavitola...»). A credere che il Cavaliere possa ancora scansare l’arresto è rimasto, praticamente, uno solo: il professor Franco Coppi che, insieme con l’avvocato Niccolò Ghedini (molto meno speranzoso di lui), ha presentato giorni fa il ricorso in Cassazione avverso la sentenza Mediaset, quella che ha condannato Berlusconi a 4 anni più pene accessorie per frode fiscale. Il verdetto della Suprema Corte è atteso in autunno, e la politica italiana lo attende col fiato sospeso. Nei Palazzi nessuno si illude che il governo e la XVII legislatura resisterebbero indenni a una condanna dell’ex-premier. Eppure, fatto singolare, nessun riflettore si è acceso sulle 359 pagine vergate dai due legali, cioè sull’extrema ratio difensiva di Berlusconi, dove si argomentano ben 49 motivi per cui il processo Mediaset di appello dovrebbe essere cassato, e precisamente: 23 cause di nullità, più 26 violazioni di legge. Qui si coglie lo stile inconfondibile di Coppi: sempre in punta di diritto, con il tono di chi sta tenendo un corso magistrale di diritto processuale, elenca (per restare sui numeri) 31 articoli, dicasi trentuno, del Codice di procedura penale a suo avviso calpestati nell’arco del giudizio di appello che non sarebbe nemmeno dovuto incominciare per «incompetenza funzionale»... Il piatto forte della difesa? Ancora una volta, i legittimi impedimenti negati dalla corte milanese. Non solo quello appena bocciato dalla Consulta, ma altri non meno celebri: quando Berlusconi si mise a compilare le liste elettorali proprio nel giorno dell’udienza, e quando finì in ospedale per uveite (la privacy vieta di riferire le varie patologie visive riscontrate al paziente, e comunque il lettore non vi troverebbe nulla di così gradevole). Non si contano le bacchettate procedurali: dal sistematico «fraintendimento» dei testimoni al «travisamento» delle prove, alla mancata acquisizione degli atti del processo gemello, in cui Berlusconi fu assolto. Chi dimenticasse per un attimo la fonte del documento (gli avvocati difensori del Cavaliere) trarrebbe l’impressione che i magistrati abbiano fatto, come si dice a Oxford, carne di porco delle regole, combinando la qualunque pur di mettere fuori gioco il leader del centrodestra. Ma a Coppi e a Ghedini sarebbe sufficiente che la Cassazione desse loro retta su un punto, uno soltanto, per rovesciare i pronostici e tirare miracolosamente in salvo il loro imputato... Titolo: UGO MAGRI Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice” (sic) Inserito da: Admin - Luglio 10, 2013, 10:08:34 am Politica
05/07/2013 - retroscena Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice” Ugo Magri Roma La prospettiva sempre più drammatica di finire dietro le sbarre (nemmeno l’età lo metterebbe al riparo dalle patrie galere) spinge in queste ore Berlusconi a soppesare una mossa politica lucida e, insieme, disperata. Sta seriamente pensando di recarsi a un banchetto dei Radicali, e di sottoscrivere davanti alle telecamere i cinque referendum «per la Giustizia giusta». Chiaro che i suoi elettori sarebbero invitati a fare altrettanto. Al Cavaliere interessano i quesiti sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle toghe fuori ruolo e sulla separazione delle carriere; meno quelli di ispirazione schiettamente liberale che mirano a cancellare l’ergastolo nonché a mettere un freno alla custodia cautelare. Ma l’impatto politico sarebbe formidabile, e Pannella si domanda con stupore come mai Silvio ancora non si decida a sfruttare la grande chance referendaria per piazzare una mina sotto al sistema... Fonti di casa ad Arcore garantiscono che «ci siamo quasi». Ieri all’alba, «tweet» premonitore della Santanché, periscopio del sommergibile berlusconiano. La decisione sembrerebbe matura. Anche perché la fiducia dell’ex-premier nella giustizia è direttamente proporzionale alla speranza di vedere accolte le proprie ragioni: cioè zero. Dai diritti Mediaset a Ruby, finora ha sempre incassato il massimo della pena. È certo che il 19 luglio verrà rinviato a processo per corruzione di senatori, e molti indizi fanno pensare che finirà allo stesso modo a Bari per l’inchiesta sulle «escort» («C’est la vie», prova a sdrammatizzare un personaggio dell’entourage, «anzi c’est Lavitola...»). A credere che il Cavaliere possa ancora scansare l’arresto è rimasto, praticamente, uno solo: il professor Franco Coppi che, insieme con l’avvocato Niccolò Ghedini (molto meno speranzoso di lui), ha presentato giorni fa il ricorso in Cassazione avverso la sentenza Mediaset, quella che ha condannato Berlusconi a 4 anni più pene accessorie per frode fiscale. Il verdetto della Suprema Corte è atteso in autunno, e la politica italiana lo attende col fiato sospeso. Nei Palazzi nessuno si illude che il governo e la XVII legislatura resisterebbero indenni a una condanna dell’ex-premier. Eppure, fatto singolare, nessun riflettore si è acceso sulle 359 pagine vergate dai due legali, cioè sull’extrema ratio difensiva di Berlusconi, dove si argomentano ben 49 motivi per cui il processo Mediaset di appello dovrebbe essere cassato, e precisamente: 23 cause di nullità, più 26 violazioni di legge. Qui si coglie lo stile inconfondibile di Coppi: sempre in punta di diritto, con il tono di chi sta tenendo un corso magistrale di diritto processuale, elenca (per restare sui numeri) 31 articoli, dicasi trentuno, del Codice di procedura penale a suo avviso calpestati nell’arco del giudizio di appello che non sarebbe nemmeno dovuto incominciare per «incompetenza funzionale»... Il piatto forte della difesa? Ancora una volta, i legittimi impedimenti negati dalla corte milanese. Non solo quello appena bocciato dalla Consulta, ma altri non meno celebri: quando Berlusconi si mise a compilare le liste elettorali proprio nel giorno dell’udienza, e quando finì in ospedale per uveite (la privacy vieta di riferire le varie patologie visive riscontrate al paziente, e comunque il lettore non vi troverebbe nulla di così gradevole). Non si contano le bacchettate procedurali: dal sistematico «fraintendimento» dei testimoni al «travisamento» delle prove, alla mancata acquisizione degli atti del processo gemello, in cui Berlusconi fu assolto. Chi dimenticasse per un attimo la fonte del documento (gli avvocati difensori del Cavaliere) trarrebbe l’impressione che i magistrati abbiano fatto, come si dice a Oxford, carne di porco delle regole, combinando la qualunque pur di mettere fuori gioco il leader del centrodestra. Ma a Coppi e a Ghedini sarebbe sufficiente che la Cassazione desse loro retta su un punto, uno soltanto, per rovesciare i pronostici e tirare miracolosamente in salvo il loro imputato... da - http://lastampa.it/2013/07/05/italia/politica/mediaset-la-difesa-di-coppi-calpestato-il-codice-FjqDk0cTw3kxKv2mJj61aP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Cassazione, venti giorni al responso Inserito da: Admin - Luglio 11, 2013, 10:44:57 am Politica
10/07/2013 Cassazione, venti giorni al responso E il Pdl pensa a una risposta-choc Di fronte alla possibile liquidazione del leader, il centrodestra non potrà mandare avanti il governo come se nulla fosse successo Ugo Magri I tempi della politica si sono improvvisamente ristretti. Fino a ieri sembrava che l’ora della verità, coincidente con la sentenza della Cassazione sul Cavaliere, appartenesse a un futuro incerto collocabile tra fine settembre e gennaio 2014: troppo in là nel tempo per condizionare le tattiche dei partiti. Adesso invece sappiamo che al verdetto finale mancano appena 20 giorni. Che il peso della decisione graverà su magistrati scelti in base ai turni delle ferie estive, dunque con un altissimo tasso di imprevedibilità. Che in caso di condanna di Berlusconi la reazione del centrodestra si annuncia distruttiva. Che il governo sarebbe, inevitabilmente, la prima vittima. La ragione dello sconquasso inevitabile si chiama «istinto di sopravvivenza». Gli esponenti del Pdl sono tutti concordi (senza distinzione tra «falchi» e «colombe») che, senza una replica forte, fortissima, saranno spazzati via. Di fronte alla liquidazione del loro leader, tuttora capace di coagulare un elettorato che supera il 30 per cento, non potranno mandare avanti maggioranza e governo come se nulla fosse successo. Dal loro punto di vista, qualche forma di protesta eclatante sarà inevitabile. Non hanno ben chiaro cosa, ma quel qualcosa dovrà risultare clamoroso agli occhi del Paese. L’ipotesi più accreditata consiste al momento nelle dimissioni di massa dei deputati e dei senatori Pdl con l’obiettivo di rendere inevitabili nuove elezioni, perfino nel caso in cui dovessero perderle... Una reazione politicamente insensata, dettata appunto dagli istinti più che dal cervello, ma proprio per questo disperata e temibile. Perso per perso, venderanno cara la pelle. Venti giorni, dunque, e sapremo se alle disgrazie di questo sventurato Paese (ci mancava il downgrade di S&P...) si aggiungerà pure la fine tumultuosa dell’unico punto di equilibrio politico imposto neppure tre mesi fa da Giorgio Napolitano. Unica certezza: Il primo presidente della Cassazione, contro cui si scatena l’ira del Pdl per la decisione di affrettare i tempi, se l’era scelto ai primi di maggio il centrodestra dopo uno scontro molto duro al Csm. Santacroce tutto può essere definito, tranne che una «toga rossa»... da - http://lastampa.it/2013/07/10/italia/politica/cassazione-venti-giorni-al-responso-e-il-pdl-pensa-a-una-rispostachoc-2JSltg9Nm5EhN31PotSkdO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi ai suoi: “Avanti piano” Inserito da: Admin - Luglio 12, 2013, 07:39:40 pm Politica
11/07/2013 Berlusconi ai suoi: “Avanti piano” Nella riunione notturna a Palazzo Grazioli il Cavaliere ha invitato i suoi a protestare, ma senza esagerare con i toni: «Non è il momento di far saltare il banco» Ugo Magri Roma Nella riunione notturna a Palazzo Grazioli, presenti i personaggi più in vista del partito, Berlusconi ha detto espressamente di protestare pure, la mobilitazione a suo sostegno non gli dispiace. Però senza esagerare nei toni contro i giudici che dovranno pronunciarsi su di lui (la cosiddetta «linea Coppi», ispirata dal principe del foro che lo difende davanti alla Cassazione). E comunque, ha specificato, «lasciate fuori il governo dalla polemica». Il Cavaliere chiede espressamente ai suoi di evitare in questa fase atti o gesti che possano configurarsi come attentati alla stabilità politica. Quando qualche partecipante particolarmente «falco» ha provato ad argomentare la tesi che è il momento giusto per far saltare il banco, l’ex premier l’ha interrotto: «No, non è il caso». Concetti che Berlusconi ribadirà nel pomeriggio, durante la riunione dell’Ufficio di presidenza Pdl. da - http://lastampa.it/2013/07/11/italia/politica/berlusconi-ai-suoi-avanti-piano-8EyDuIagtNDCBA2kaRPu0J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere ai suoi “Una condanna non significa crisi” (SIC). Inserito da: Admin - Luglio 13, 2013, 10:41:42 am Cronache
13/07/2013 Il Cavaliere ai suoi “Una condanna non significa crisi” Anche l’interdizione non gli precluderebbe un futuro Ugo Magri Roma Nel giro stretto berlusconiano sono in pochi a illudersi che il 30 luglio la Cassazione salverà il Cavaliere. Un po’ perché, sospirano ad Arcore, dargli ragione significherebbe sconfessare in blocco tutti i suoi accusatori, dalla Procura milanese ai tribunali che l’hanno condannato: e solo dei kamikaze oserebbero tanto. Ma soprattutto, aggiungono, la «sezione feriale» della Suprema Corte non è affatto ben disposta nei confronti dell’imputato. I suoi componenti sono stati passati ai «raggi x». E’ saltato fuori, ad esempio, che il presidente Esposito ha effettivamente un figlio che fu amico della Minetti; però questo sarà un motivo in più per mostrarsi inflessibile nei confronti di Silvio. E comunque, già in passato Esposito fu super-severo nei confronti di Berruti, vecchio amico e sodale del Cav, per giunta su una questione di diritti televisivi parecchio simile a quella di cui si sta discutendo. Di un altro componente del collegio sono emerse le simpatie a sinistra; di un altro ancora suscita sospetti il passato da giudice del lavoro... La strada degli avvocati Coppi e Ghedini sembra molto in salita. I due legali valuteranno se battersi o meno per un rinvio a settembre del giudizio, ma non sono così persuasi che ne valga la pena. Perfino i muri di Villa San Martino trasudano pessimismo... Dobbiamo perciò attenderci il 31 luglio un cataclisma politico? La condanna (se tale effettivamente sarà) comporterà la caduta automatica del governo Letta? Qualche giorno fa l’esito sembrava ineluttabile, quasi il riflesso condizionato di un centrodestra dove i «falchi» la fanno da padroni. Adesso, invece, Berlusconi lancia segnali rassicuranti, come se la parola «crisi» non appartenesse al suo lessico. E personaggi che hanno trascorso ore con lui, a soppesare gli scenari possibili, garantiscono: nulla ha veramente deciso. Anzi, se la bilancia pende da una parte, è nel senso di permettere che il governo passi quantomeno l’estate. Per una somma di ragioni. Primo, non si tornerebbe comunque alle urne, Napolitano pretenderebbe una nuova legge elettorale al posto del Porcellum. E se il Pdl si chiamasse fuori, nascerebbe un esecutivo esposto ai venti grillini. Durerebbe quanto basta per causare danni terrificanti alle tivù del Biscione (già i Cinque Stelle contestano le concessioni). E magari ne verrebbe fuori un sistema elettorale che Berlusconi vede come il fumo negli occhi, tipo doppio turno alla francese o Mattarellum. Restando invece al governo, non dovrebbe temere sorprese. L’altro motivo di cautela riguarda i sondaggi. Enrico Letta è popolare, il suo governo pure. Facendolo ruzzolare come effetto immediato della condanna, Silvio darebbe l’impressione di anteporre i fatti suoi agli interessi dell’Italia. Sarebbe il modo più sicuro per uscire di scena. Invece Berlusconi intende restarci a lungo, anche senza seggio al Senato (nemmeno Grillo ce l’ha). È convinto che i quattro anni di carcere, più interdizione dai pubblici uffici, non gli precluderebbero un ruolo futuro. Tre anni sono stati cancellati già dall’indulto, quello restante non lo porterebbe in nessun caso dietro le sbarre per effetto dell’art.656 cpp. Al massimo, dovrebbe scontare i domiciliari; più probabile un affidamento ai servizi sociali che, per quanto possa risultare grottesco, lascerebbe l’ex-premier libero di far politica... Insomma, la reazione del Cavaliere è tutt’altro che scontata. Non a caso Napolitano, a quanti si recano in visita sul Colle, suggerisce il massimo della prudenza. «Tranquillizzare Berlusconi» è la parola d’ordine che risuona nelle più alte sfere della Repubblica. da - http://lastampa.it/2013/07/13/italia/cronache/il-cavaliere-ai-suoi-una-condanna-non-significa-crisi-3gNF13VDSF7LbLQdAHkW9I/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Iter d’urgenza per l’addio al Porcellum Inserito da: Admin - Agosto 09, 2013, 04:48:16 pm POLITICA
09/08/2013 - RIFORME. I PRIMI PASSI Iter d’urgenza per l’addio al Porcellum Accelerazione anche al Senato. Letta: se si vota ora, bis delle larghe intese. Quagliariello: niente urne fino a dicembre UGO MAGRI ROMA Tornare alle urne è l’ossessione dei «falchi berlusconiani». Ma la voglia di rimandarci a votare lievita pure dentro il Pd. Per cui il destino della legislatura sarebbe forse segnato, se non fosse per un paio di piccoli particolari. Il primo l’ha ricordato il premier Letta nella direzione del suo partito: se cadesse il governo, si tornerebbe a votare di nuovo con il «Porcellum», con la conseguente «necessità di nuovo delle larghe intese», dunque una fatica inutile. L’altro dettaglio, per così dire, l’ha messo in luce il ministro Quagliariello: «Non si possono sciogliere le Camere prima che il 3 dicembre la Corte Costituzionale si sia pronunciata sulla legittimità della legge elettorale». Concetto espresso su Radio2 e puntualizzato in una nota il cui succo è: se la Consulta, «come è probabile», dovesse dichiarare incostituzionale il «Porcellum», un eventuale scioglimento delle Camere rischierebbe di farci votare con una legge che verrebbe dichiarata illegittima «ancora prima che il nuovo Parlamento si sia insediato». La Repubblica piomberebbe nel caos politico e istituzionale. Non a caso Napolitano stavolta davvero pretende che, prima di immaginare qualunque sbocco elettorale, i partiti provvedano ad aggiustare la legge vigente. Piuttosto che sciogliere le Camere in queste condizioni, il Presidente è pronto a dimettersi, e l’ha fatto presente a chi di dovere... Non è tutto. Nel caso in cui la Corte dovesse bocciare il «Porcellum», pure l’attuale Parlamento verrebbe messo in mora in quanto deputati e senatori (compresi quelli a Cinque Stelle) sono stati tutti quanti eletti con un sistema che verrebbe dichiarato incostituzionale... L’unica maniera per scongiurare tutto ciò, secondo la visione quirinalizia (nonché dello stesso Quagliariello), è sanare la situazione il più presto possibile, comunque prima del 3 dicembre, approvando una nuova legge elettorale a prova di Consulta. A tal proposito, la giornata di ieri registra una svolta incoraggiante: il Senato si occuperà della questione con procedura di urgenza. La decisione è stata presa all’unanimità dalla Commissione Affari costituzionali, presidente Anna Finocchiaro. È stato anche statuito l’«incardinamento» della riforma nell’Aula di Palazzo Madama, dove dunque si affaccerà dopo le ferie. Già la Camera si era affrettata a fare lo stesso, per cui Grasso e Boldrini saranno costretti a vedersi per decidere chi se ne occuperà in prima battuta, insomma le solite questioni di precedenza. Nel merito, che riforma va maturando? Tanto nel Pd quanto nel Pdl trova consensi l’ipotesi avanzata nei giorni scorsi da Violante: un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, accompagnato da un «premio» di maggioranza che verrebbe assegnato tramite ballottaggio tra i due candidati premier più votati. Commenta fiducioso il costituzionalista Ceccanti: «È un sistema, forse l’unico, capace di salvarci dal gorgo dell’ingovernabilità». da - http://www.lastampa.it/2013/08/09/italia/politica/iter-durgenza-per-laddio-al-porcellum-juFVGKebv1JMR20tAFpjwJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E oggi Napolitano chiarirà le sue intenzioni sulla grazia al Cavaliere Inserito da: Admin - Agosto 13, 2013, 12:03:43 pm politica
13/08/2013 - retroscena E oggi Napolitano chiarirà le sue intenzioni sulla grazia al Cavaliere Continua l’offensiva di comunicazione per il ritorno di Forza Italia. Il giorno di ferragosto decine di striscioni pro-Cav voleranno sopra le spiagge di mezza Italia La solitudine di un Berlusconi pessimista: “In questi anni io mai aiutato” Ugo Magri Roma Il Capo dello Stato chiarirà «ad horas» le sue intenzioni in materia di grazia a Berlusconi: se sarebbe disposto a firmare un atto di clemenza, in che termini, a quali condizioni. Il responso presidenziale sarà ampio, motivato e soprattutto trasparente com’è nello stile di Napolitano. E proprio per non farsi cogliere alla sprovvista, il Cavaliere ha trascorso la giornata di ieri ad Arcore, chiuso con i suoi consulenti legali. Un elicottero è andato appositamente a prelevare l’avvocato Coppi a San Benedetto del Tronto, dove il principe del foro ha speso qualche spicciolo di ferie. Insieme con lui, con Ghedini e con Letta (Gianni), Berlusconi ha passato in rassegna tutte le ipotesi. E chi l’ha sentito sul far della sera lo descrive molto giù, parecchio depresso. Si è reso conto che la grazia, pure nel caso in cui gli venisse concessa, non sarebbe il toccasana per i suoi guai. Per dirne una, non impedirebbe al Pd di cacciarlo dal Senato in base alla legge Severino. E da quel preciso momento, che secondo gli addetti ai lavori cadrà ai primi di ottobre, qualunque Procura della Repubblica, anche periferica, potrebbe mettere in manette il leader del centrodestra, spogliato da ogni scudo parlamentare. Non è tutto. Per ottenere la grazia, gli toccherebbe chiederla lui personalmente. Forse non basterebbe neppure una domanda dei suoi avvocati. In pratica, Berlusconi dovrebbe calarsi fino in fondo nei panni del condannato, accettare la sentenza che lo trasforma in pregiudicato, iniziare a scontare la pena e sperare nella benevolenza del Colle. Il suo dubbio, espresso con chiarezza nel lungo rendez-vous con gli avvocati, è che ne valga davvero la pena: dovrebbe mortificare il suo megalomane orgoglio con un atto di contrizione, e abbandonare mestamente il palcoscenico della politica calcato per quasi 20 anni. Tutto questo per non trascorrere un anno agli arresti domiciliari oppure in affidamento ai servizi sociali (cioè, in pratica, a piede libero). Anzi, come è emerso nella riunione, la pena residua sarebbe di soli nove mesi, essendo già abbuonati 90 giorni dalla legge svuota-carceri... Insomma, non è affatto certo che Berlusconi intenda sollecitare la grazia. Per quanto Coppi e Letta insistano con molta energia, il Cav è lungi dall’avere preso la decisione. Aspetta di sentire quanto dirà Napolitano, dal quale in verità (stando a certe confidenze di «amazzoni» che «chez» Silvio sono di casa) non si aspetta granché, anzi praticamente nulla di buono. «Mai una volta che mi siano venuti incontro», è il suo lamento, «perché dal Colle dovrebbero scomodarsi adesso? Non lo credo davvero possibile». Diverso sarebbe se Napolitano avesse la forza di garantirgli la cosiddetta «agibilità politica», vale a dire lo scranno in Senato: ma qui siamo nel regno della fantascienza. Per cui le ultime da Arcore, dove è stata accolta a cena Daniela Santanché per parlare della Convention di Forza Italia a settembre, raccontano un Berlusconi più «falco» degli stessi «falchi», molto orientato a vendere cara la pelle, per nulla disposto a tirarsi da parte, nemmeno se si trattasse di cedere il posto alla figlia Marina: «Non voglio che entri in politica», sostiene, «perché le farebbero passare gli stessi guai che sono toccati a me». Qualche consigliere di Arcore non è certo al 100 per cento che il governo collasserà a ottobre, quando Silvio verrà espulso dal Senato per mano dei Democratici. «Quale sarebbe il suo interesse a provocare il caos?», è la domanda in sospeso. Ma si tratta di mosche bianche. La previsione quasi unanime è che la crisi di governo sarà inevitabile, e la Repubblica vivrà momenti di grave sbandamento. A meno che Napolitano, con un colpo d’ala imprevedibile, non risparmi all’Italia questo destino. da - http://lastampa.it/2013/08/13/italia/politica/e-oggi-napolitano-chiarir-le-sue-intenzioni-sulla-grazia-al-cavaliere-JDHaZ62mp2GPqoKpjAt67K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere incassa: moderata soddisfazione per gli spiragli positivi Inserito da: Admin - Agosto 14, 2013, 11:19:40 pm POLITICA
14/08/2013 Il Cavaliere incassa: moderata soddisfazione per gli spiragli positivi Summit ad Arcore con avvocati e direttori Mediaset. L’impegno a un esame «obiettivo e rigoroso» viene considerato un successo UGO MAGRI ROMA Che dal Capo dello Stato Berlusconi si aspettasse di più e di meglio, questo è fuori discussione. Gianni Letta, in costante contatto con il Colle, fin dalla mattina gli aveva fatto pregustare grandi novità, un’apertura importantissima, una dichiarazione presidenziale «ottima», quasi un’indulgenza plenaria... Ma Napolitano non è il Papa, dunque la speranza del Cavaliere era palesemente mal riposta. Pur con questa riserva mentale tipica del personaggio, il leader Pdl viene descritto a sera dai fedelissimi come «moderatamente soddisfatto». Tutt’altro che turbato dalla lunga nota quirinalizia, della quale semmai vuole approfondire con calma i vari risvolti. Per questo motivo non l’ha ancora commentata pubblicamente, spiega il portavoce Bonaiuti, delegando il compito a pochi altri esponenti autorizzati, da Gasparri alla Gelmini. Questo suo silenzio va interpretato (aggiungono dalle parti di Arcore) come una manifestazione di sostanziale gradimento, nonché come una forma di grato ossequio nei confronti del Colle. Silvio non l’ha presa male perché si fida di quanto gli hanno assicurato Gianni Letta e l’avvocato Coppi (dello stesso avviso anche Ghedini, peraltro descritto come un filo meno entusiasta). Il team legale riunito a sera nel salotto di Villa San Martino, dove qualche ora prima si erano adunati i direttori delle testate Mediaset, scorge nelle parole di Napolitano un doppio positivo spiraglio. Il primo lo individua in quel passo della nota quirinalizia dove viene specificato che toccherà a Berlusconi e al Pdl decidere «circa l’ulteriore svolgimento, nei modi che risulteranno legittimamente possibili, della funzione di guida finora a lui attribuita». In pratica, sarà Berlusconi medesimo a decidere del proprio futuro di leader braccato dalla giustizia. Nessuno lo spingerà a forza fuori dalla politica: circostanza che rappresenterebbe la prima vittoria politica delle «colombe» governative guidate da Gianni Letta (ieri molto attivo nella sua veste di ambasciatore accreditato presso il Quirinale). L’altro pertugio, nel quale Berlusconi spera di infilarsi, consiste nella promessa di «un esame obiettivo e rigoroso» della domanda di grazia, qualora fosse presentata. E tutti gli indizi, comprese certe confidenze del diretto interessato, fanno ritenere che al momento opportuno il Cavaliere presenterà senza esitare la richiesta di clemenza. O quantomeno, la farà avanzare da qualche figura politica a lui molto vicina (c’è il precedente del direttore del «Giornale» Sallusti, la cui grazia venne sollecitata da La Russa), guardandosi bene dal dire orgogliosamente «non sono d’accordo». Fin da subito, aggiungono fonti legali molto bene informate, Berlusconi rispetterà i dettami del Presidente, che esige in cambio la fine della guerra ai magistrati, l’accettazione umile della sentenza, l’espiazione della pena o, quantomeno, di qualche mese in affidamento ai servizi sociali. Non è tutto. Dovrà garantire un sostegno totale e convinto al governo, senza più minaccia di elezioni anticipate né sull’Imu né sul resto. Al voto si tornerà come e quando lo deciderà Napolitano, di sicuro non nell’autunno. Il Pdl dovrà remare sodo. Solo a queste condizioni potrà sperare, tra qualche mese, di riottenere la cosiddetta «agibilità politica» del suo leader tramite la cancellazione della pena principale e il diritto di ricandidarlo alle prossime elezioni... Il vero punto interrogativo ora è: riuscirà l’uomo a mortificare la propria natura, a fare atto di contrizione, riciclarsi come un condannato modello e a chiudere in gabbia i suoi «falchi» più scatenati? Oppure, come spesso gli accade, già oggi Berlusconi cambierà idea e scatenerà lo scontro finale (come gli suggeriscono gli irriducibili Verdini e Santanché)? Ogni giorno, allarga le braccia chi gli sta accanto, ha la sua pena, sul domani nessuno può mettere la mano sul fuoco: «Ma per il momento ha deciso che vuole fidarsi di Napolitano. E siccome ha dimostrato di fare bene i propri interessi, si vede che avrà i suoi buoni motivi». DA - http://www.lastampa.it/2013/08/14/italia/politica/il-cavaliere-incassa-moderata-soddisfazione-per-gli-spiragli-positivi-WXKgBiBEPrcTobEnleiMmI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi pronto allo scontro finale Inserito da: Admin - Agosto 19, 2013, 07:34:25 pm politica
18/08/2013 Berlusconi pronto allo scontro finale Un ministro Pdl: “Se il Pd vota la decadenza, addio alleanza”. Ma ad Arcore si spera ancora in Napolitano Ugo Magri Roma Agli occhi di Berlusconi, il governo è già virtualmente caduto. Dai discorsi che faceva ieri in privato, e puntualmente filtrati all’esterno, la crisi sembra ineluttabile, forse pure nuove elezioni. Questione di settimane. Se il 9 settembre il Pd voterà in Giunta al Senato per cacciarlo dal Parlamento, entro pochi minuti i ministri Pdl rassegneranno le dimissioni perché, confida uno di loro, «perfino se Berlusconi non ce lo chiedesse, mai potremmo restare al fianco di chi avrà sancito la decadenza del nostro leader». Il Cavaliere è arci-convinto che l’esito sia scolpito nel marmo, che né i Democratici né Napolitano faranno nulla per scongiurare l’ineluttabile, anzi. Considera una pia illusione la speranza, coltivata tra le «colombe» del suo partito, di strappare al Pd almeno una dilazione. Si va convincendo che, se scontro finale dovrà essere, meglio affrontarlo subito con l’animo determinato di chi non ha più nulla da perdere, neppure la libertà personale. Per cui in queste ore, vissute nel centrodestra con un senso di crescente sfiducia nel Capo dello Stato, nel premier «che se ne lava le mani» e nelle larghe intese, il barometro politico volge decisamente al peggio. Berlusconi è più «falco» dei suoi «falchi». C’è chi, come il presidente di Mediaset Confalonieri, ancora spera che Silvio si fermi un attimo prima del patatrac. Ma nel gruppo dirigente Pdl non c’è uno cui sfugga la gravità della situazione. È tutto un tambureggiare di altolà, un martellamento di ultimatum, confusamente rivolti al Pd, al Capo dello Stato o a entrambi. Capezzone: «Tutti sono chiamati a trovare una soluzione». Bondi: «Deve arrivare prima che si pronunci la Giunta, altrimenti sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, continuare a sostenere questo governo». Osvaldo Napoli: «Se il Pd continua ad arrovellarsi su come far fuori Berlusconi, si accorgerà che dovrà prima far fuori il governo». Cicchitto: «Per tenere in piedi il governo occorrono spirito costruttivo e volontà di mediazione, cioè l’opposto di quanto mostrano alcuni esponenti del Pd, da Zanda alla Bindi». La via d’uscita non c’è, eppure si vorrebbe che qualcuno la trovi. Lo stesso Berlusconi, secondo chi l’ha sentito, è vittima di una certa confusione. Da una parte manifesta sfiducia verso Napolitano, «non mi darà mai una mano»; dall’altra gradirebbe che fosse proprio il Presidente a tirarlo fuori dai guai giudiziari. E ciò sebbene risulti chiaro ai suoi avvocati (ieri Ghedini era inchiodato al lavoro) che il Quirinale nulla può. Neppure una grazia tanto generosa quanto immediata eviterebbe al Cavaliere la decadenza da senatore, in base alla legge Severino, con conseguente rischio di arresto su mandato di qualche Procura. Per restare in Parlamento, a Berlusconi servirebbe disinnescare la legge con l’aiuto (o la complicità) del Pd. Sa benissimo che non avrà né questa né quello. Dunque si prepara a vendere cara la pelle. Pare crollata anche l’ultima diga capace di trattenere l’ira del Cavaliere: cioè la paura che dopo Letta non si torni immediatamente alle urne. E invece di sciogliere il Parlamento, Napolitano riesca a mettere in piedi un altro governo finalizzato a colpire il Pdl (riforma elettorale tipo Mattarellum) e le aziende del Biscione (legge sul conflitto d’interessi, tetti alla pubblicità televisiva). «Ci provassero», è la sfida lanciata da Arcore. Dove hanno fatto i loro conti, non credono che in Senato quel governo avrà mai i numeri. E pure se li trovasse, vivrebbe di vita effimera, un ottimo punching-ball per la campagna elettorale della destra. da - http://lastampa.it/2013/08/18/italia/politica/berlusconi-pronto-allo-scontro-finale-LP4pfUUrqRwq3rHQkFLrWL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il sogno del Cavaliere: un grande bagno elettorale per la sfida ... Inserito da: Admin - Agosto 21, 2013, 07:27:44 pm Politica
20/08/2013 - retroscena Il sogno del Cavaliere: un grande bagno elettorale per la sfida decisiva Ma Confalonieri e Doris temono contraccolpi negativi sulle aziende Ugo Magri ROMA Additata dai compagni di partito come colei che aizza il Cavaliere, ne vellica gli istinti più bellicosi, e forte della sua protezione si permette di dettare la linea agli stessi ministri, Daniela Santanchè è nella realtà una moderata prudente educata interprete di quanto va uscendo dalla bocca di Silvio. Silvio, col quale, ormai, la «Pitonessa» vive in simbiosi. Quando lei definisce la nota di Napolitano sulla grazia come «irricevibile, qualcosa che dall’arbitro istituzionale non mi sarei mai aspettata», si tratta di una rappresentazione (per quanto poco riguardosa sul piano istituzionale) ancora parecchio «chic» del pensiero berlusconiano. L’uomo rimane politicamente inavvicinabile. Asserragliato nel bunker di Arcore tra le zanzare, in seduta permanente con gli avvocati, quando forse due passi nella villa in Sardegna avrebbero fatto bene al suo spirito. Offeso con il Capo dello Stato, che si è guardato bene dal dichiararlo vittima dell’ingiustizia. Determinato a riabilitarsi da sé, attraverso un bagno elettorale, se non vi provvederanno di corsa le istituzioni. Dunque sempre decisissimo a sfilarsi dalla maggioranza, dal governo, da tutto, qualora il 9 settembre la Giunta delle elezioni al Senato ne chiedesse la decadenza. Visto il tono pessimo dell’umore, rotto solo da qualche imitazione in accento partenopeo del giudice Esposito che l’ha condannato, figurarsi con quanto scetticismo Berlusconi osservi l’agitazione di queste ore tra le cosiddette «colombe» Pdl. Le quali di colpo si sono rese conto che il loro leader non scherza, anzi fa disperatamente sul serio. Per cui escono allo scoperto nel tentativo di scongiurare un patatrac. Accusano i «falchi» di puntare al martirio giudiziario di Berlusconi, laddove loro viceversa vorrebbero salvarlo. Invocano un passo ulteriore di Napolitano, uno sforzo in più del Quirinale (sebbene gli stessi avvocati del Cavaliere privatamente riconoscano come il Colle nulla può al fine di impedire la decadenza di Berlusconi e la sua ineleggibilità). Chiedono al Pd di non precipitare l’Italia nel caos della crisi se non dopo averci ben riflettuto per tutto il tempo necessario. La novità di queste ore è proprio il tentativo di stoppare le lancette dell’orologio, di imporre un «time out» che consenta a tutti di recuperare un briciolo di lucidità. In prima fila si segnalano la Gelmini e Cicchitto, Donato Bruno e lo stesso Schifani, fin qui sempre collocato a mezza via tra i «duri» e i «dialoganti». L’appiglio è quello offerto da alcune voci autorevoli del diritto come Capotosti, che nella legge Severino scorge «criticità» censurabili sul piano costituzionale. Secondo il presidente dei senatori Pdl, non sarebbe un’eresia chiedere che si pronunci preventivamente la Corte Costituzionale. E comunque, nessun verdetto su Berlusconi senza prima avere letto perlomeno le motivazioni della condanna, ascoltato il parere del relatore in Giunta, se necessario l’autodifesa dello stesso imputato... Tutto va bene, pur di guadagnare tempo. Ciò che non risulta ben chiaro al Cavaliere è cosa serva posticipare. Se fosse una strada per rimetterlo in gioco, magari tramite un «salvacondotto» presidenziale di cui nessuno vede al momento i presupposti, chiaro che la sinistra non ci starebbe. Lo stesso Berlusconi, con il giusto realismo, ci spera poco o punto. Lupi gli ha riferito al telefono delle sue conversazioni con il premier, a margine del Meeting ciellino a Rimini, senza peraltro convincerlo che un rinvio della Giunta sarebbe risolutivo. «Avrebbe soltanto l'effetto di prolungare l’agonia, di farci prendere in giro una volta di più», pare sia il netto pensiero berlusconiano a riguardo. Per il momento lascia fare, convintissimo però che il tentativo estremo di mediazione «non andrà da nessuna parte e costituirà la prova finale della malafede Pd». Destino segnato per il governo, dunque? Tutto farebbe ritenere di sì. A meno che, un attimo prima dell’irreparabile, Berlusconi non abbia un ripensamento. Magari sollecitato da quanti, come Ennio Doris e Fedele Confalonieri, metteranno sul piatto della bilancia l’interesse delle sue aziende. Che prosperano quando l’Italia va bene, e affondano se qualcuno la trascina nel caos. da - http://lastampa.it/2013/08/20/italia/politica/il-sogno-del-cavaliere-un-grande-bagno-elettorale-per-la-sfida-decisiva-Eixen5nqK0JWz9rslxe5jM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi rifiuta il salvagente del rinvio e insiste: meglio le urne Inserito da: Admin - Agosto 23, 2013, 11:47:04 pm Politica
23/08/2013 - Il vertice ad Arcore Berlusconi rifiuta il salvagente del rinvio e insiste: meglio le urne L’analisi di Magri: “Ancora tempesta tra Pd e Pdl” Ieri è tornata l’idea di far dimettere tutti i parlamentari Ugo Magri Roma Le squadre di soccorso che tentano di salvare Berlusconi hanno un problema: Silvio non desidera affatto essere tirato a riva. Anzi, respinge quasi con rabbia il salvagente lanciato dalle «colombe» (e da certi ambienti vicini al premier) che stanno cercando di rinviare la sua decadenza da senatore, purché lui rinunci a far saltare il governo. L’obiettivo del Cavaliere è invece proprio quello di provocare la crisi e di tornare alle urne il più presto possibile, senza perdere altro tempo. Questa frenesia ha una spiegazione. Prima incomincerà la campagna elettorale, e più a lungo Berlusconi vi potrà partecipare a piede libero; dopo il 15 ottobre, invece, penderà sul suo capo la condanna a un anno di carcere (nove mesi effettivi da scontare), per cui un ritardo delle urne lo costringerebbe a guardarsi gli ultimi comizi dalla televisione. Poi c’è un altro calcolo che spinge l’uomo a stringere i tempi della crisi: da novembre gli scatteranno come una tagliola le pene accessorie, tra cui l’interdizione dai pubblici uffici. Se vorrà ricandidarsi al Parlamento, dovrà averlo fatto prima. Ma non c’è già la legge Severino che lo rende incandidabile? Già, rispondono dalle parti di Arcore, ma contro quella si può sempre fare ricorso al Tar e tenere viva quantomeno la speranza... Insomma, chi ha sentito ieri Berlusconi l’ha trovato incrollabile. Per scatenare la crisi, prenderà pretesto dalla decisione della Giunta, che il 9 settembre voterà la sua cacciata (sebbene Verdini gli abbia promesso di far cambiare idea a 3-4 commissari Pd). Qualche esponente Pd vicino a Letta, come Sanna, sostiene che Berlusconi dovrebbe decadere da senatore, ma che la Giunta potrebbe ascoltare le sue ragioni a patto che lui si presenti a illustrarle con serietà. Peccato che il Cavaliere, di recarsi in Giunta, non ci pensi nemmeno. La grazia sembra non interessargli, a meno che si tratti di «un risarcimento per quello che i magistrati mi hanno fatto passare»: ipotesi del tutto fantascientifica. Alfano è andato a fargli visita e a riferirgli che il 30 agosto l’Imu verrà cancellata: «A quel punto come giustificheremmo la crisi?». Sottinteso: ci prenderebbero per matti. Ma Berlusconi non si scompone. È assai soddisfatto dell’apologo, sfoderato in un’intervista a «Tempi», con cui conta di spiegare al volgo la rottura col Pd: «Se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda?». Tra l’altro Letta (il nipote, non zio Gianni) lo convince sempre meno. Ai suoi occhi è in forte disgrazia. Capezzone, Verdini e la Santanchè gli hanno insinuato il sospetto che Enrico voglia guadagnarsi la «nomination» del Pd soffiandola a Renzi, quindi potrebbe ritrovarselo come avversario, dunque basta sostenerlo. Il dado sembra tratto. E quanti tra i suoi strateghi l’hanno esortato a fare bene i conti con Napolitano, il quale mai scioglierebbe le Camere senza una riforma preventiva del Porcellum, si sono sentiti rispondere così: «Se il Quirinale resisterà, i parlamentari Pdl si dimetteranno in massa, e a quel punto il Capo dello Stato non potrà non prenderne atto...». Gasparri l’aveva teorizzato già mesi addietro. E certi senatori, come Minzolini, quella lettera di dimissioni ce l’hanno già pronta in tasca. Grande soddisfazione hanno suscitato, specie tra i «falchi», le esternazioni di Grillo, lanciatissimo verso le urne. Si sussurra nel Pdl di contatti riservati coi Cinque Stelle per spianare il terreno delle elezioni, si vocifera di un Casaleggio ansioso di godersi lo scontro apocalittico di cui saranno protagonisti Berlusconi e Grillo, il mago delle tivù contro il genio della rete. da - http://lastampa.it/2013/08/23/italia/politica/ma-berlusconi-rifiuta-il-salvagente-del-rinvio-e-insiste-meglio-le-urne-oGFe0u0ef3Nh5Oi5kREZ7M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere sfida Napolitano Inserito da: Admin - Agosto 25, 2013, 05:04:08 pm politica
25/08/2013 Il Cavaliere sfida Napolitano “L’ho ascoltato, ma non ho avuto nulla in cambio. E poi bacchetta le “colombe” del partito Ugo Magri Roma Berlusconi spinge la sfida verso il punto di non ritorno. Si rivolge al Pd, a Letta e a Napolitano con modi così ultimativi, talmente provocatori, che sembra averli scelti apposta per farsi sbattere la porta in faccia. La crisi incombe. Neppure è detto che il governo arrivi in carica al 9 settembre, quando la Giunta delle elezioni si pronuncerà sulla decadenza del Cavaliere. Le dimissioni dei ministri berlusconiani sono nell’aria. Decisiva la riunione di governo che mercoledì si occuperà dell’Imu. Il comunicato del «Gran Consiglio» Pdl tenuto ad Arcore parla chiarissimo, urgono risposte immediate, basta tergiversare... Ma quelle poche righe, suggerite dai più scalmanati, e fatte proprie da Alfano con qualche ritocco, non sono nulla a confronto di quanto è uscito tra le quattro mura dalla bocca del Cavaliere. Un attacco frontale al Capo dello Stato, da cui Silvio si sente preso bellamente in giro. «Per dare retta a lui, mi sono dimesso due anni fa da premier senza nemmeno essere stato sfiduciato. Per ascoltare Napolitano abbiamo appoggiato prima Monti e poi addirittura il governo guidato da un esponente Pd. E che cosa ne abbiamo ricavato, in cambio? Zero. Io sono stato responsabile, eppure questo senso di responsabilità non è stato ripagato con eguale moneta, anzi». Dunque, adesso basta. Qualcuno ha udito la Santanché paragonarlo a un Cristo in croce, «come lui anche tu Presidente hai voluto porgere l’altra guancia». Al che Silvio l’ha subito interrotta: «Sì, sì, io ho dato entrambe le guance, ma adesso questi da me vogliono ben altro...». E pare sia stato l’unico sprazzo giocoso in un pomeriggio da tregenda, con la pioggia a scrosci sui finestroni di Villa San Martino. «Non ci daranno niente. Non il Pd, non Letta, non certo Napolitano», è tornato subito cupo il Cavaliere, il tono di voce teso, le labbra imbronciate. Bacchettata a tutti quanti, da Lupi a Cicchitto, da Schifani a Quagliariello, erano intervenuti nella discussione sostenendo che nulla andrebbe lasciato di intentato, pur di risparmiare all’Italia lo stress della crisi. «Sarebbe tempo perso. Non possiamo contare sul loro aiuto, pensiamo semmai a salvarci con le nostre forze», ha proseguito apocalittico Berlusconi. Vistosi cenni di assenso col capo quando la «Pitonessa» ha scandito: «Se Napolitano si dimetterà per impedirci di tornare alle urne, saranno affari suoi... Si dimetta pure, noi andremo avanti lo stesso, faremo l’opposizione». La grazia non è più un obiettivo, forse non lo è mai stato. Di sicuro, spiega a un certo punto l’avvocato Ghedini lasciando attonite le «colombe», l’atto di clemenza non verrebbe a capo del problema numero uno, cioè l’ineleggibilità. Quindi inutile scomodare il Presidente della Repubblica per un gesto poco produttivo. Semmai bisognerebbe mettere mano di gran corsa alla legge Severino, chiarendo che non può essere retroattiva, quello sì che aiuterebbe... «Non se ne parla proprio», ha chiuso ogni speranza Alfano, «il Pd ci dice che un intervento del genere loro non lo farebbero nemmeno morti». Tira le somme il segretario Pdl, il quale mai ha dato l’impressione ieri di remare controcorrente: «Siamo dinanzi a un bivio. O crediamo ancora nella trattativa, pur sapendo che le probabilità di successo sono lo zero virgola zero zero uno. Oppure andiamo senza paura alle elezioni. Se questo hai deciso, Presidente Berlusconi, sappi che siamo tutti quanti uniti e compatti con te». Alle armi, alle armi. Angelino chiederà udienza a Napolitano e poi, tempo 3-4 giorni, si tireranno le somme. È il trionfo dei super-falchi, Verdini e Capezzone in testa. L’agibilità politica per le «colombe» si fa sempre più precaria. Segnali di intolleranza nei confronti dei «cacadubbi». Boato di insofferenza quando Brunetta ha osato dire che sull’Imu, forse, ci si potrebbe anche accordare. Interrotti con poca creanza Cicchitto e Schifani quando hanno espresso dubbi. Prima di congedarsi, la battagliera Gelmini s’è sentita soavemente apostrofare dalla Santanché: «Ormai avrete capito anche voi qual è la posizione vera di Berlusconi...». Già, impossibile non capire. Eppure, si racconta che l’uomo non fosse alla fine così baldanzoso. Forse provato dalla tensione, l’hanno visto accasciarsi affranto e disperato su una poltrona. Non esattamente il piglio del condottiero che già pregusta la vittoria. da - http://lastampa.it/2013/08/25/italia/politica/il-cavaliere-sfida-napolitano-87MKkIOLiRBofbzqxgAAuM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI - Berlusconi in Tv contro i giudici: “Allucinanti” Inserito da: Admin - Agosto 31, 2013, 08:58:26 am Politica
30/08/2013 - giustizia. il caso mediaset “Una sentenza allucinante” Berlusconi in Tv contro i giudici: “Allucinanti” Il Cavaliere oggi a Roma per incontrare Pannella: massimo sostegno ai referendum Ugo Magri Roma Berlusconi è piombato nella notte a Roma perché in giornata conta di vedere Pannella. Non solo il leader radicale: nel giro di Arcore si ipotizzano colloqui segreti con esponenti Pd, nel tentativo di capire che cosa ne sarà del suo seggio di senatore. Ma l’incontro con il leader radicale prefigura scenari politici ad alto tasso di imprevedibilità. Vorrebbe dire che il Cavaliere non crede più (o crede pochissimo) alle mediazioni, è già sicuro che la Giunta lo farà decadere dal Parlamento, dà come inevitabile la crisi di governo e dunque si prepara a sostenere in prima persona i referendum sulla giustizia messi in campo da Pannella. Che sono quanto di peggio si possa augurare la magistratura, secondo alcuni un colpo mortale al potere delle toghe (e non solo della casta più politicizzata). Una ritorsione nei confronti della Suprema Corte, che giusto ieri gli ha rovesciato addosso le motivazioni della condanna? Sì, certo, c’è anche un sentimento di vendetta, sfogato nella telefonata a «Studio Aperto» subito dopo avere letto le 208 pagine «allucinanti e fondate sul nulla». Inutilmente Letta (lo zio Gianni) e Bonaiuti hanno tentato di frenarlo: accanto al Cavaliere c’erano in quel momento i «quattro dell’Ave Maria», vale a dire Verdini, Capezzone, Bondi e la Santanché, il cui influsso si è fatto sentire sul padrone di casa. Eppure la svolta referendaria, vivamente sconsigliata dagli avvocati Ghedini e Coppi, frenata nei limiti del possibile dalle «colombe» che ancora sperano nel compromesso, giudicata un fatale errore e forse definitivo di Berlusconi sul Colle più alto, non è semplicemente legge del taglione. Sottintende una sfida ancora più drammatica. Minaccia di alzare alle stelle il livello dello scontro. È come se il Cavaliere mandasse a dire a Napolitano, a Letta, al Pd: o voi mi concedete di tornare immediatamente alle urne per ricevere dal popolo una nuova legittimazione più forte delle mie condanne; oppure sappiate che presto dovrete fare i conti con cinque quesiti sulla giustizia molto ben formulati, su cui la Consulta nulla potrà obiettare, politicamente per voi devastanti, in grado di trasfigurarmi nella vittima dell’ingiustizia... Pannella, che nella sua carriera ha cavalcato tutte le tigri, perfino le più indomabili, già pregusta una campagna referendaria infuocata come ai vecchi tempi, l’Italia che si divide pro e contro, i radicali più che mai nel vivo della lotta. In realtà Berlusconi, che nell’animo rivoluzionario non è, si accontenterebbe di molto meno, anche semplicemente di un rinvio «sine die» della sua decadenza da senatore. Sa che a novembre, quando scatterà l’interdizione dai pubblici uffici, dovrà lasciare comunque il Parlamento. E tuttavia non tollera di esserne cacciato dal Pd con il marchio dell’intoccabile. Per cui da una parte dice ai suoi negoziatori «se voi mi garantite il risultato, okay, procedete pure con i vostri colloqui»; dall’altra fa irruzione come è avvenuto ieri sulle sue reti e da lì minaccia l’apocalisse: «Se qualcuno pensasse di eliminare con un voto in Giunta il sottoscritto, cioè il leader del primo partito (nei suoi sondaggi, ndr), allora si sarebbe davanti a una ferita profonda della democrazia... Milioni di italiani non lo consentirebbero». Nemmeno l’abolizione dell’Imu al Cavaliere basta più. Anzi, la considera con molto sospetto. Capezzone gli ha messo una pulce nell’orecchio, per cui «vigileremo», promette, «su questa service tax» in modo che non si risolva in una beffa per i proprietari di case. Inoltre ha capito che Alfano ci ha fatto una gran bella figura, però poi il conto rischia di pagarlo lui. Doppiamente. Primo, perché il Pd sconfitto sull’Imu diventerà intrattabile nella Giunta delle elezioni, quando dovrà votare sulla decadenza. Con Epifani, guarda caso, durissimo («Non c’è qualcuno più uguale degli altri, la Giunta si riunirà, valuterà le ragioni della difesa e poi deciderà»). Secondo, perché il decreto sull’Imu a Berlusconi lega le mani, gli rende più difficile causare la crisi. Se lui facesse cadere il governo, addio cancellazione dell’odiata tassa; anzi, per colpa del Pdl, gli italiani dovrebbero pagare la rata di dicembre, e pure quella di giugno. Per non parlare dell’Iva... da - http://lastampa.it/2013/08/30/italia/politica/una-sentenza-allucinante-9OaFZRKcDC9u1SNnKyEo3J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi sfida Letta e spiazza le “colombe” Inserito da: Admin - Agosto 31, 2013, 05:15:30 pm Cronache
31/08/2013 - retroscena Berlusconi sfida Letta e spiazza le “colombe” Genova, Letta visita l’Istituto di tecnologia La richiesta: il partito torni alla guida di Alfano. Oggi il Cavaliere firmerà il referendum dei radicali. Pannella: «Devi scappare all’estero» Ugo Magri Roma E per fortuna che, fino a mezz’ora prima, tutte le «colombe» del suo partito si erano raccomandate con lui: «Per carità, non farti sfuggire nulla che possa apparire una provocazione, evita soprattutto di apparire come l’irresponsabile che vuol far cadere il governo». Il Cavaliere aveva annuito con l’aria infastidita di chi non ha certo bisogno di farselo spiegare. Ma poi, non appena Alfano Brunetta Schifani Cicchitto Gasparri e la De Girolamo sono scomparsi dalla sua vista, Berlusconi ha afferrato il telefono, s’è messo in contatto con i suoi ultrà più scalmanati (l’Esercito di Silvio guidato da Simone Furlan) e ha dichiarato tutto quanto si era appena impegnato a non dire: cioè che il governo va a casa se il 9 settembre la Giunta del Senato si azzarderà a votare la sua decadenza. Gianni Letta, disperatamente, ha cercato di spacciare al Colle e al Pd la tesi che, in fondo, Berlusconi non ha detto nulla di veramente nuovo, solo ovvietà... Nessuno gli ha dato retta. Cosicché il Cavaliere si è preso un metaforico «vaffa» pure da chi, come Franceschini, stava esplorando con Quagliariello le possibili vie d’uscita. A fronte degli ultimatum, non c’è più nulla da negoziare. Ciò da un lato riduce a zero le speranze di evitare tra nove giorni uno scontro frontale e, dunque, dà ufficialmente il via alla ricerca di intese politiche meno larghe ma in grado di scongiurare nuove elezioni. Dall’altro lato, l’incontinenza verbale di Berlusconi toglie credibilità a tutti gli altri discorsi che erano stati fatti intorno al desco di Palazzo Grazioli; perché se l’umore del leader è così mutevole su scelte fondamentali, tipo precipitare o meno l’Italia nel caos, figurarsi quanto possono fidarsi Alfano e le altre «colombe» delle promesse berlusconiane. A cominciare da quella che riguarda la gestione futura del Pdl, tema cruciale dal momento che il Fondatore dovrà trascorrere 9 mesi agli arresti domiciliari, salvo affidamento ai servizi sociali. «Non puoi lasciare il partito a Verdini, e la macchina organizzativa nelle mani della Santanché», è stato il coro, «specie in caso di crisi la gestione dovrà tornare nelle mani di Angelino». Anche in questo caso, la comitiva di «colombe» ha lasciato Palazzo Grazioli nella convinzione di avere avuto partita vinta. «Non preoccupatevi», ha garantito il padrone di casa. Ma sarà vero? O si rivelerà il solito abbaglio? Lo scopriremo lunedì, quando Silvio riceverà i «falchi» secondo la tecnica un tempo tipica della diplomazia britannica: incontri separati, in modo da fornire a ciascuno la versione più conveniente. Se la «Pitonessa» verrà esautorata, allora davvero Alfano potrà dedicarsi al partito. Altrimenti perdurerà l’equivoco, ipotesi per la verità molto probabile in quanto su qualunque cosa è un tiro alla fune, perfino sull’Imu. L’altro giorno Berlusconi s’era fatto convincere da Capezzone che certamente è stata una vittoria Pdl però non troppo smagliante perché resta in agguato la «service tax». Ieri Alfano e Brunetta hanno raddrizzato il giudizio del Capo, così l’Imu è diventato un trionfo politico senza «se» e senza «ma», qualcosa di miracoloso... Chi ha preso parte alla riunione racconta un Cavaliere che non ha ben digerito le quattro nomine dei senatori a vita. Non perché sperasse di venire prescelto lui, ma in quanto quei voti potrebbero risultare determinanti per dar vita a una maggioranza senza Pdl. Qualcuno dei presenti l’ha invitato a vedere il bicchiere mezzo pieno: se Napolitano esercita fino in fondo i suoi poteri presidenziali è buon segno, vuol dire che forse magari chissà potrebbe dargli la grazia. Ma Berlusconi poco ci spera, e stamane farà un gesto di rottura sottoscrivendo a Roma i referendum sulla giustizia. Ieri ha concordato la mossa con Pannella che, stando alla narrazione di Silvio, gli avrebbe dato il seguente consiglio: «Prima firma i referendum e poi scappa all’estero. Come fece Toni Negri». da - http://lastampa.it/2013/08/31/italia/cronache/berlusconi-sfida-letta-e-spiazza-le-colombe-scontro-per-la-gestione-del-pdl-0EfwUWPKZXT9UyuunQyJXL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E Berlusconi (per ora) fa un passo indietro Inserito da: Admin - Settembre 06, 2013, 09:21:51 am Politica
06/09/2013 E Berlusconi (per ora) fa un passo indietro Il leader frena. Tra gli intimi c’è chi torna a sperare nella grazia Ugo Magri Roma Una via di scampo dev’essere balenata agli occhi di Berlusconi, forse una concreta possibilità di salvare il salvabile della sua immagine pubblica, della vita privata, delle aziende. Altrimenti come spiegare l’improvviso, imprevedibile cambio di toni e di umore ad Arcore, dopo la nota serale del Quirinale? È come se da quelle parti fosse arrivato un segnale ansiosamente atteso da lui, dal Cavaliere in persona. La conferma che con Napolitano un dialogo è ancora possibile, nel rispetto reciproco, si capisce. Che la grazia non è una chimera agitata dalle «colombe» per chissà quale secondo fine. Che insomma lo scontro all’ultimo sangue, la crisi di governo, forse le elezioni non sono l’ultima disperata risorsa prima di soccombere... Adesso, di colpo, tacciono trombe e tamburi. Il messaggio televisivo che Silvio aveva in animo di lanciare su tutte le reti domenica, con una polemica furibonda contro le «toghe rosse» di Magistratura democratica, risulta in forse, non è detto che mai lo farà; e sebbene, giura la Santanché, sia già stato registrato, quel discorso incendiario può ancora essere corretto, limato, ammansito. Neppure c’è garanzia che lunedì mattina il Cavaliere risponda su Canale 5 alle domande di Belpietro, e che nel pomeriggio si rechi alla kermesse di Sanremo, organizzata dal «Giornale», per rispondere alle domande del direttore Sallusti: al momento questa trasferta non è annotata in agenda, le scorte, gli autisti, eccetera debbono essere ancora allertati. «Se il Presidente vuole andare ce lo comunicherà», è il sussurro di chi gli sta vicino. Non ha deciso se recarsi a Sanremo, tantomeno se far saltare il banco della politica. Potrebbe, volendo. Ma non è detto. Nell’eterno pendolo berlusconiano, e all’insaputa del gruppo dirigente Pdl senza distinzione tra «falchi» e «colombe», ieri sera la crisi era più no che sì. Napolitano scongiura il Cavaliere di non sottoporre l’Italia a questo stress. Gli riconosce un ruolo di leader determinante per il bene comune, altro che pregiudicato da affidare alle patrie galere. Addirittura gli fa intendere tra le righe della nota tracimata dal Colle che lassù nessuno sta brigando per rimpiazzare il Pdl, nel malaugurato caso di crisi, con qualche maggioranza raccogliticcia (il governo Letta-Scilipoti non è dietro l’angolo). Qualcuno molto addentro sostiene che in tutto questo ci sia lo zampino di Confalonieri. Mercoledì pomeriggio, il presidente Mediaset era stato avvistato negli uffici di Gianni Letta, a pochi passi dal quartier generale Pd. Ieri mattina Fidel è scomparso senza lasciare traccia. Nelle stesse ore il Presidente della Repubblica si allontanava dal Quirinale e, sebbene ne manchino le conferme ufficiali, fonti berlusconiane si azzardano a sostenere che vi sarebbe stato un colloquio seguito nel pomeriggio da un altro incontro, stavolta protagonista Letta (lo zio, non il nipote Enrico). Quando sono in gioco questioni serie, a cominciare dalla stabilità politica con una guerra vera alle porte, non c’è da stupirsi che la diplomazia si metta al lavoro. Così la giornata si è chiusa in una chiave meno drammatica di come l’aveva impostata il capogruppo Pdl Schifani, annunciando sfracelli. A cena è arrivato il capo dei negoziatori Pdl, Alfano. E addirittura adesso c’è chi, tra le persone più care del Cavaliere che sono i figli e la compagna Francesca, si spinge a fantasticare un pubblico discorso in cui Napolitano riconosca a Berlusconi l’onore delle armi, gli prometta la grazia per l’oggi e per il domani, gli chieda in cambio di tornare nella trincea del lavoro e dell’impresa da dove aveva iniziato, dicendo definitivamente addio alla politica... Se il Capo dello Stato avesse questo coraggio, assicurano gli intimi, lui mollerebbe senza esitare «falchi» e «colombe» al loro destino, scegliendo la libertà. http://lastampa.it/2013/09/06/italia/politica/e-berlusconi-per-ora-fa-un-passo-indietro-yjDlbzoZ7MGshNRS9QKRPK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Improbabile un’alleanza Pd-M5S Inserito da: Admin - Settembre 11, 2013, 04:54:50 pm Politica
10/09/2013 - l’analisi Governo, il Pdl accelera verso la crisi col rebus della maggioranza alternativa La caduta dell’esecutivo porterebbe alla nascita di una coalizione gracile Improbabile un’alleanza Pd-M5S Neppure un centrosinistra guidato da Renzi garantirebbe la stabilità Ugo Magri Se cade il governo (perché questo è lo scenario che incombe), cosa ci si deve attendere poi? Sembra la domanda più ovvia, la più scontata. Eppure non c’è uno solo protagonista del Palazzo che sappia darvi risposta. Nessuno sa con certezza a che cosa l’Italia sta andando incontro. Al massimo si fanno delle ipotesi, delle alate supposizioni. Ad esempio una parte del mondo politico ritiene che, caduto il governo Letta, se ne possa subito fare un altro. E che i voti del Pdl al Senato, dove la sinistra non è autosufficiente, possano essere rimpiazzati raccattando qua e là un po’ di «cani sciolti», transfughi grillini e berlusconiani. Nel migliore dei casi nascerebbe una coalizione gracile, in balia delle opposizioni, marchiata dal peccato d’origine del trasformismo. Avrebbe vita breve. E comunque, nessuno ha la certezza che vi sarebbero i numeri per strappare quantomeno la fiducia. Anzi, svariati indizi fanno ritenere il contrario. Per cui lo sbocco elettorale viene da molti giudicato probabile. In un Paese normale, votare non sarebbe un dramma. Però, diversamente dagli altri, noi abbiamo il «Porcellum» che non è stato cambiato. E la legge in vigore ha la triste caratteristica di non poter garantire una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Era stata concepita per un sistema bipolare, nessuno aveva previsto l’irruzione di Grillo. Per vincere davvero, con il «Porcellum» occorre stravincere. Chi arriva primo deve registrare perlomeno 5-6 punti di vantaggio sul secondo classificato, altrimenti si ritrova come Bersani 6 mesi fa. L’unico che sulla carta potrebbe farcela sembra Renzi: i sondaggi gli accreditano un consenso personale molto elevato. Però al momento, negli stessi sondaggi, il centrodestra risulta avanti (chi sostiene di 1 chi di 4 punti percentuali). E le campagne elettorali non sono mai state marce di trionfo. Perfino con un centrosinistra guidato da Renzi, nessuno potrebbe offrire la ragionevole garanzia di governo stabile. Il rischio da prendere in attenta considerazione è che ci si ritrovi esattamente nelle condizioni attuali. Anzi peggio, perché non si vede come potrebbe rinascere dalle sue ceneri un governo delle larghe intese appena travolto dalla condanna di Berlusconi. E una maggioranza Pd-M5S, che chance avrebbe? Mistero. Attualmente non risulta che Grillo e Casaleggio siano interessati, altrimenti il patto già si sarebbe fatto. Per cui siamo nel regno dei presagi e delle macumbe. Qualcuno ipotizza che il «Porcellum» possa essere aggiustato in corsa, magari solo per metterlo al riparo dalla Consulta, chiamata il 3 dicembre a pronunciarsi sulla sua costituzionalità... Ma se i grandi partiti non sono riusciti ad accordarsi finora sulla nuova legge, cosa fa supporre che ci riescano nelle prossime settimane, oltretutto con le elezioni alle porte? Restiamo, come si vede, nel campo delle superstizioni. E nonostante il futuro sia avvolto da una fitta nebbia, i nostri eroi stanno allegramente spingendo tutti quanti, chi più e chi meno, verso la crisi di governo. All’insegna del «Dio provvede». da - http://lastampa.it/2013/09/10/italia/politica/governo-il-pdl-accelera-verso-la-crisi-col-rebus-della-maggioranza-alternativa-HTs1eJO8VFZGtPoo3pNgdN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere senza bussola Inserito da: Admin - Settembre 11, 2013, 05:44:47 pm Italia
11/09/2013 - Berlusconi Dall’ultimatum alla tregua Il Cavaliere senza bussola Annullata la riunione decisiva con i ministri, anarchia nel partito Ugo Magri Roma La Colt del Cavaliere appare e scompare come in un gioco di prestigio, a seconda dei momenti. Era puntata sul governo e sull’Italia lunedì sera, quando lo scontro nella Giunta delle elezioni faceva presagire una conclusione fulminea (decadenza da senatore); è tornata ieri nella fondina quando il relatore Augello gli ha raccontato via telefono che no, non c’era motivo di premere il grilletto perché nulla di drammatico sarebbe accaduto nelle ore seguenti. E così pure l’adunanza solenne dei parlamentari Pdl, convocata oggi alle 13 per recitare il «de profundis» del governo Letta, alla fine è stata annullata. Qualcuno spiffera alle redazioni che il rinvio sarebbe stato disposto su suggerimento del «duro» Verdini, per non sprecare una cartuccia inutilmente, «meglio tenerla in canna fino al prossimo incidente causato dalla sinistra». Altri invece precisano che a smobilitare la riunione è stato lui, Silvio, in quanto a questo punto non sa più bene che fare, l’inatteso calo della tensione politica gli ha tolto l’alibi per mandare tutto all’aria. Peggio: l’ha ripiombato nel solito dilemma. Trattare o non trattare? Fidarsi o non fidarsi? Fare un passo avanti o due indietro? Seguire i ragionamenti di Berlusconi rischia di venire a noia, perché triste è il Paese dove il dramma di un uomo ossessiona così tanto la vita pubblica. Per fortuna, ad Arcore l’ora delle decisioni irrevocabili sembra scoccata. Silvio ne è consapevole, e nell’incertezza si dibatte. Arriva a supplicare snervato le persone amiche: «Basta, fate quello che volete, io vi seguirò...». Quando si rivolge a un «falco», il suo appello viene subito interpretato come via libera allo scontro cruento che secondo la «Pitonessa» Santanchè è questione di giorni, magari già venerdì la Giunta boccerà la relazione Augello rendendo automatiche le dimissioni dei ministri Pdl. I quali ieri si sono riuniti per fare i loro piani non alla sede nuova del partito, come nel galateo politico d’antan sarebbe stato doveroso, ma addirittura a Palazzo Chigi, nello studio del vice-premier Alfano. Chi è transitato da quelle parti, cogliendo frammenti di discorso, descrive la comitiva ministeriale «speranzosa che nulla accada, ma tutta quanta allineata al Capo casomai qualcosa dovesse accadere». Il «fate quello che volete» viene inteso dalle «colombe» ministeriali come un incitamento a darsi pure loro da fare, E non solo Alfano, ma Quagliariello, Lupi, la De Girolamo, la Lorenzin mai sono apparsi così propositivi, vere fabbriche di machiavelli volti ad allontanare giorno dopo giorno, ora dopo ora, l’amaro calice dell’addio al Parlamento che Berlusconi dovrà mandar giù comunque il 19 ottobre, quando la Corte d’Appello di Milano lo dichiarerà dai pubblici uffici, dunque indegno di sedere tra i rappresentanti del popolo. Inutile dire che regna sulla destra l’anarchia tattica più totale, chi dice una cosa e chine fa un’altra, nell'indifferenza quantomeno apparente del Líder Máximo. L’ultima da Villa San Martino, quando nella Giunta al Senato i commessi stavano ormai spegnendo le luci, raccontano di un’ultima disperata carica del Cavaliere sul Capo dello Stato per ottenere da lui una grazia «tombale», un vero e proprio colpo di spugna per il presente e per il futuro, che gli consenta di dedicarsi anima e corpo alle sue aziende... Giurano ad Arcore che sia l’unico negoziato di cui a Silvio importi veramente qualcosa. Se andasse a buon fine, potrebbe compiere forse il «beau geste» di dimettersi con qualche giorno d’anticipo sulla Corte d’Appello, o addirittura di affrontare senza drammi il «plotone d’esecuzione» Pd. Verdini ha colto lo stato d’animo. Gli ha mandato una lettera di sette pagine che sono un inno alla lotta e al contempo mettono le mani avanti: «Qualunque scelta farai, Presidente, io sarò sempre al tuo fianco...». da - http://lastampa.it/2013/09/11/italia/politica/dallultimatum-alla-tregua-il-cavaliere-senza-bussola-RSF3kffySbQ9mtrsnxUwjN/pagina.html Titolo: MAGRI Berlusconi, niente crisi di governo ma il partito sarà affidato ai falchi Inserito da: Admin - Settembre 17, 2013, 11:12:18 pm POLITICA
16/09/2013 - RETROSCENA Berlusconi, niente crisi di governo ma il partito sarà affidato ai falchi Se verrà votata la decadenza farà un discorso contro le toghe, confermerà l’appoggio a Letta e liquiderà le colombe. Forza Italia a Verdini e Santanchè UGO MAGRI ROMA Vuoi vedere che Letta ci ha indovinato, mercoledì non scoppierà la crisi, giovedì neanche e venerdì nemmeno? Berlusconi sta per alzare bandiera bianca. Se la Giunta delle elezioni deciderà di cacciarlo dal Parlamento, con un nobile discorso lui protesterà al mondo la propria innocenza, si dichiarerà vittima dei magistrati. Ma per il bene supremo dell’Italia incasserà il ceffone senza mandare tutto all’aria... Così perlomeno in questo momento il Cavaliere sembra orientato. Sabato ne aveva discusso con i più fedeli amici, e domenica non ha cambiato idea. Anzi, si va convincendo vieppiù che tenere in vita il governo sarebbe una trovata strategica geniale, l’unico modo per intralciare la marcia trionfale di Renzi. Se fino a pochi giorni fa Silvio non vedeva l’ora di tornare alle urne, adesso pare intenzionato a votare non prima del 2018. Questa è l’istantanea postata da Arcore, sempre soggetta a ripensamenti si capisce. Verrebbe dunque da immaginare le «colombe» che festeggiano a champagne la svolta pacifista del Líder Máximo, e viceversa i cosiddetti «falchi» con le piume abbassate. Invece, sorpresa, succede esattamente il contrario. Il gruppone dei moderati è in grande allarme, laddove si coglie euforia tra i duri e puri. Pare infatti che, nel suo discorso al Paese, il Cav non voglia soltanto confermare il sostegno a Letta, ma intenda sbaraccare il Pdl e annunciare la rinascita di Forza Italia la cui gestione finirebbe (ecco il motivo del loro giubilo) tutta nelle mani dei «falchi». Vale a dire di Verdini, di Bondi, di Capezzone e, naturalmente, della volitiva Santanché. Verrebbe nominato un comitato di gestione provvisorio, come avviene in tutte le fasi di transizione rivoluzionaria. Ma trova pure conferma l’indiscrezione, divulgata dal «Giornale», secondo cui Berlusconi avrebbe già vergato di suo pugno una carta che trasferisce a Verdini tutte le deleghe operative fin qui gestite da Alfano. In pratica, un trasferimento dei poteri che nella visione berlusconiana segnerebbe una sorta di Yalta, una pace durevole tra le anime interne basata sulla ripartizione delle sfere di influenza: di qua il partito, di là il governo. Chi si occupa del primo non dovrà immischiarsi del secondo, e viceversa. Oltre al quartetto sopra illustrato, i ruoli di primo piano verrebbero conferiti a Crimi, nella veste di tesoriere, a Palmieri, a Fontana, a D’Alessandro, alla Calabria: tutti quanti falchi, falchissimi. Ma come escludere dagli organigrammi Michela Vittoria Brambilla, già animatrice dei circoli berlusconiani, tornata in auge dopo una campagna di battaglie animaliste? Ci sarà posto anche per lei, laddove i governativi, i ministeriali saranno tenuti fuori dal palazzo di Piazza San Lorenzo in Lucina, finemente arredato con divani in pelle della Natuzzi, una sede sibaritica che Berlusconi inaugurerà con la sua presenza mercoledì o giovedì, davanti a un nugolo di telecamere. E potrebbe essere quella (sebbene come sempre nulla sia deciso) l’occasione ideale per il doppio annuncio, sul passaggio delle consegne Pdl-Forza Italia e sulla crisi che non si farà più. Ma dopo averla più volte minacciata salvo cambiare idea, difficilmente in futuro qualcuno ci cascherà, certo non Letta, non il Pd. Cosicché la delegazione «azzurra» al governo si troverà inerme, perennemente sotto schiaffo, mai più nella condizione di poter alzare la voce. E quando prima o poi tornerà al partito, troverà le stanze tutte occupate... da - http://www.lastampa.it/2013/09/16/italia/politica/berlusconi-niente-crisi-di-governo-ma-il-partito-sar-affidato-ai-falchi-0ULSvi4HJH385QukUZpr1L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI I ministri possono restare, ma lui renderà il clima irrespirabile Inserito da: Admin - Settembre 20, 2013, 04:53:55 pm Politica
19/09/2013 - retroscena Il Cavaliere lascia il cerino in mano al Pd e placa falchi e colombe I ministri possono restare, ma lui renderà il clima irrespirabile Ugo Magri Roma L’ultima malizia del Cavaliere, che spiega come mai quest’uomo è riuscito a occupare per vent’anni la scena italiana, consiste nel dire al Pd, a Letta, a Napolitano: «Io il governo non lo faccio cadere. Però, visto che mi avete abbandonato al mio destino di condannato senza muovere un dito, vi bombarderò ogni giorno rendendo l’aria politicamente irrespirabile. La crisi, se ne avete il coraggio, provocatela voi...». Cioè, perfido, Berlusconi scarica a sinistra l’onere di mettere a repentaglio la stabilità politica, tanto invocata dall’Europa e dai mercati. Porrà gli alleati di governo davanti a un bivio: subire tutti i santi giorni le provocazioni di Forza Italia (d’ora in avanti il Pdl torna alla vecchia insegna); oppure reagire in preda all’esasperazione, premendo loro il grilletto della crisi. Che poi è quanto si augura sotto sotto l’ex-premier. Le sue reali intenzioni vengono a galla là dove impartisce l’ordine ai suoi ministri di «fermare il bombardamento fiscale». Non chiede loro di dare le dimissioni, ma di infilare i bastoni tra le ruote a qualunque manovra economica comporti tasse. Quando Alfano, Quagliariello & C chiederanno il da farsi, Silvio confermerà che possono restare al posto loro, nessuno li chiamerà per questo traditori o peggio. Però avranno quale mission di evitare che il governo Letta somigli sempre più a quello «tecnico» di Monti, con le sue scelte di rigore molto apprezzate a Bruxelles e un po’ meno gradite in Patria. Berlusconi non dovrà nemmeno di illustrare il piano strategico, perché sull’aumento dell’Iva i suoi lo stanno già mettendo in pratica con ultimatum e minacce concentrate sul ministro dell’Economia Saccomanni. E sbaglia chi si attende che le cosiddette colombe oppongano qualche forma di resistenza ai dettami del leader. Su questa linea ci stanno tutti, tanto i «ministeriali» accusati dai falchi di vendersi per una poltrona, quanto i più scalmanati fautori della crisi. Interpelli Cicchitto, che passa per moderato, e il video-messaggio viene interpretato come una prova ulteriore di grande responsabilità: «Discorso ottimo, perché Berlusconi lancia un segnale forte senza prendersi la colpa di far cadere il governo». Senti invece la Santanché, e quel medesimo passaggio sul governo (che in verità non viene neppure citato) diventa preludio di una lunga cavalcata elettorale destinata a concludersi in febbraio, massimo a marzo. Però al fondo entrambi sono soddisfatti. Insomma, con un’astuzia quasi diabolica Berlusconi è riuscito a illudere entrambe le anime del suo partito, nonché a disseminare nuovi dubbi tra i palazzi della politica. Guarda caso, quelle poche parole-chiave sui ministri sono le uniche da lui personalmente messe nero su bianco. Il resto del discorso è figlio del canovaccio predisposto dagli avvocati (l’intero capitolo «processi e condanne») nonché dal ghost-writer più accreditato ad Arcore, che è Capezzone. A loro si è affidato il Cav, limitandosi a poche correzioni e rari ritocchi. Se poi ha impiegato tre giorni per registrare il messaggio, creando senza volere un’attesa mediatica spropositata, ciò è dipeso soltanto dal tono dell’umore. Lunedì la prosa non gli sembrava scorrevole, martedì lui si impappinava e insistendo andava sempre a peggiorare, ieri finalmente il parto. E oggi pomeriggio calerà a Roma per inaugurare la nuova sede di Forza Italia. Verdini gli farà trovare una folla di giovani festanti. Su tutte le pareti, grandi poster di Berlusconi con Blair, Putin, Bush e Sarkozy. Lussuosi divani in pelle. Una grande sala col tavolo ovale, proprio come quella dove si tiene a Palazzo Chigi il Consiglio dei ministri. Forse un modo per mitigare la nostalgia del governo, ricreandone l’atmosfera come a Cinecittà. da - http://www.lastampa.it/2013/09/19/italia/politica/il-cavaliere-lascia-il-cerino-in-mano-al-pd-e-placa-falchi-e-colombe-gI0gvnch4SyzITpVNmcR5M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Carceri, il prezzo dell’immobilismo del passato Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2013, 04:28:43 pm POLITICA
09/10/2013 - RETROSCENA Carceri, Berlusconi non ha affatto gradito il messaggio di Napolitano Carceri, il prezzo dell’immobilismo del passato È certo anzi che dai benefici sarebbero esclusi i reati dei suoi processi UGO MAGRI ROMA Berlusconi, cioè colui che secondo i grillini dovrebbe stappare champagne, non ha per nulla apprezzato il messaggio presidenziale. Lo considera alla stregua di «una presa in giro», o poco ci manca. È convinto che tanto un’amnistia quanto un indulto ben poco influirebbero sul suo destino. Con chi privatamente lo interpella, l’uomo ostenta estremo scetticismo. Sostiene che se Napolitano avesse voluto davvero dargli una mano, non sarebbero mancate in passato le occasioni. Che il Colle avrebbe potuto intervenire anzitutto evitandogli la condanna. Che muoversi solo adesso, quando ormai incombe l’umiliazione della decadenza, ha il sapore politico della beffa. Ma soprattutto, il Cavaliere è in cuor suo certissimo che amnistia e indulto non gli porteranno alcun vantaggio. Durante l’iter parlamentare, il Pd metterà il veto su tutto quanto potrebbe giovare alla sua causa. E dunque dal provvedimento verranno sistematicamente escluse proprio le tipologie di reato che farebbero molto comodo a lui, dalla frode fiscale alla concussione, dalla prostituzione minorile alla corruzione di senatori. In sintesi: se per ipotesi il messaggio presidenziale avesse avuto quale obiettivo quello di raffreddare gli animi, l’esito sembra di segno contrario alle attese. Il diretto interessato ostenta distacco e freddezza. Di Napolitano continua a non fidarsi. Anzi, paradossalmente, se ne fida ancor meno di prima. Questo, perlomeno, è quanto filtra da Arcore, dove ieri Berlusconi è rimasto rintanato. Doveva scendere a Roma per discutere con gli avvocati le sue prossime mosse, ma Ghedini è stato colto dal virus influenzale, Silvio ha preferito evitare il contagio. Probabile che il summit coi legali si tenga oggi, e venga confermata la decisione di chiedere l’affidamento in prova presso una comunità: in «pole position» rimane la Ceis di don Picchi, dove già Previti scontò la sua pena, sebbene pure Capanna accoglierebbe con grande voluttà il Caimano nella sua «Fondazione diritti genetici», garantendogli mansioni all’altezza del personaggio. L’ultima parola comunque spetterà ai magistrati, al termine di una procedura per un ex-premier parecchio umiliante, comprensiva di rilevamento delle impronte digitali e di foito segnaletica, nonché di test psicologico volto ad accertare se il servizio sociale potrà giovare o meno al reinserimento sociale del reo, anche in base alla sua storia personale e al suo atteggiamento in generale nei confronti della giustizia. L’umore a villa San Martino, dunque, non è quello dei giorni migliori. C’è anche, da quelle parti, chi la vive diversamente. I figli, l’azienda di famiglia, per non parlare dei ministri e di chi sostiene le larghe intese, ritengono che alla fine Berlusconi medesimo farà prevalere l’istinto di sopravvivenza. E una volta superato il malumore metterà i suoi consiglieri al lavoro per ricavare il massimo possibile (Ghedini è scettico, però tentar non nuoce). Insomma, lui stesso si affezionerà alla prospettiva di migliorare la propria condizione di imputato, dal momento che altre pesanti condanne incombono sulla sua testa. Ecco perché i cosiddetti «ministeriali» plaudono entusiasti al Capo dello Stato. Alfano promette massima collaborazione alla Cancellieri, ministro della Giustizia; Quagliariello, fulmineo, ieri l’ha già incontrata. Personaggi di equilibrio come Schifani salutano con soddisfazione il passo quirinalizio. Brunetta ringrazia Napolitano «per aver portato in primo piano il tema della giustizia», evocato con forza giusto ieri dal «Mattinale» (il bollettino interno e riservato del Pdl). Se Berlusconi metterà da parte l’orgoglio, e accetterà di cedere per sempre lo scettro del centrodestra, non è escluso che tra le pieghe dell’amnistia o dell’indulto potrà davvero spuntare qualcosa di buono anche per lui... Da - http://www.lastampa.it/2013/10/09/italia/politica/carceri-berlusconi-non-ha-affatto-gradito-il-messaggio-di-napolitano-rahIcfFFDPXZyoWwpaPuDI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi-Alfano ai ferri corti Fitto: azzeriamo tutte le cariche Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2013, 05:21:19 pm italia
13/10/2013 - la escort rossini dal gup. ai magistrati disse: berlusconi? abbiamo mangiato un gelato Berlusconi-Alfano ai ferri corti Fitto: azzeriamo tutte le cariche L’ex premier: riprenderò in mano il partito. Ma in pochi ormai ci credono Ugo Magri Roma A tutti Berlusconi va ripetendo che «ora ci penso io, riprendo in mano il partito» e a quel punto basta con le faide interne, basta con l’orrendo spettacolo dei «lealisti» contro i «ministeriali» o viceversa. Batte i pugni sul tavolo, il Cavaliere, però giusto la Santanché resta certissima che lui «saprà trovare la sintesi». Degli altri, non uno che gli dia retta. La sua incapacità di imporre la disciplina ricorda ormai quella di certi giovani prof nelle classi dei ripetenti... L’altra sera è andato a parlarci Alfano, che in passato pendeva dalle labbra del Capo ma adesso pretende la guida del partito, in pratica vuole incassare tutta e subito l’eredità politica berlusconiana con la minaccia che in caso di rifiuto lui e una trentina di senatori potrebbero fare gruppo autonomo. Nelle versioni diffuse dagli avversari, che non esitano a dipingerlo come avido di potere e vendicativo, Alfano si terrebbe, oltre alla guida del partito, pure la vice-presidenza del Consiglio e il Viminale. Lontanissimo è quel 9 agosto 2013 quando una delegazione di amici (Schifani e Brunetta, Cicchitto e Gasparri, più l’onnipresente Lupi) andò a Palazzo Chigi e implorò Angelino di mollare quantomeno il ministero dell’Interno. «Ci penserò», rispose l’interessato, senza mai dare seguito. Figurarsi se lo farà adesso che ha il coltello dalla parte del manico. La versione alfaniana è che l’incontro dell’altra sera con Berlusconi non avrebbe potuto dare frutti migliori. L’uomo gli avrebbe promesso: «Ricostruirò Forza Italia intorno a te», o qualcosa del genere. Bonaiuti è stato autorizzato a smentire tutte le cattiverie che il giorno prima Silvio aveva detto sul conto dei «traditori»: il solito «malvezzo giornalistico» di inventare dissidi eccetera. Sicuro del fatto suo, e con Berlusconi politicamente sotto schiaffo, Alfano ha tenuto ieri mattina a Prato un pubblico discorso dai toni olimpici, con cui ha promesso di «chiudere in gabbia falchi e colombe», di farsi supremo garante dell’unità interna, di promuovere «primarie nel partito ovunque e a tutti i livelli». È arrivato addirittura a sostenere che «con Berlusconi ci si capisce al volo», l’intesa è saldissima. Sennonché, proprio mentre lo diceva, il Cavaliere era al telefono con Fitto, cioè colui che guida il fronte dei nemici di Alfano. E guarda, combinazione, poco dopo è circolata una versione molto meno idilliaca dei rapporti tra Berlusconi e il vice-premier. Sarebbero in realtà pessimi, venati di reciproca diffidenza, come tra due coniugi che non si amano più e sperano solo che l’altro resti col cerino in mano della separazione. Nel pomeriggio Fitto è passato decisamente all’offensiva. Ha chiesto con una nota di «azzerare» le cariche interne, tutti a casa compreso Alfano, e di restituire a Berlusconi i pieni poteri, «per poi decidere insieme strumenti, regole e tempi per rilanciare il partito». Velenose accuse ai ministri di predicare bene sulle tasse e contro la magistratura politicizzata, salvo razzolare malissimo (aumento dell’Iva e tema giustizia escluso dal capitolo riforme). Ne è derivata l’ennesima baruffa, con i «lealisti» schierati a favore della proposta-Fitto (in prima fila Gelmini, Carfagna, Bernini, Prestigiacomo, Minzolini, Capezzone) e gli alfaniani, come è facile indovinare, decisamente contrari (si sono esposti Marinello, Viceconte, Santelli, Costa...). Tutte dichiarazioni quasi in fotocopia, chiaramente sollecitate dai capi-corrente. In mezzo, a reclamare buon senso e ascolto reciproco, il tandem Gasparri -Matteoli. Insomma: il tiro alla fune prosegue, senza grandi progressi da una parte o dall’altra. Per la prima volta ricostruirà in un’aula di tribunale la serata trascorsa a Palazzo Grazioli il 4 novembre 2008 la escort barese Lucia Rossini, testimone nel processo con rito abbreviato all’avvocato Salvatore Castellaneta. La deposizione è prevista domani dinanzi al gup di Bari Ambrogio Marrone e sarà a porte chiuse. Rossini, barese di 29 anni, è nota alle cronache per essersi fotografata assieme a Barbara Montereale in uno dei bagni della residenza dell’allora premier Silvio Berlusconi. «Abbiamo mangiato un gelato e chiacchierato» disse ai pm nel 2009. da - http://lastampa.it/2013/10/13/italia/cronache/berlusconialfano-ai-ferri-corti-fitto-azzeriamo-tutte-le-cariche-rFsJWRpNpr3NnwYH8DXB9O/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Pdl, fallisce l’ultima mediazione Inserito da: Admin - Novembre 17, 2013, 06:31:27 pm Politica
15/11/2013 Pdl, fallisce l’ultima mediazione Respinte le richieste dell’ala vicina ad Alfano, che ora è pronta a disertare il Consiglio nazionale Ugo Magri Roma Restano poche ore al Cavaliere per decidere la propria sorte. O si scrolla di dosso i «falchi», i «falchetti», i «lealisti» e tutti gli ultrà che vietano qualunque concessione, sia pure minuscola, ad Alfano; oppure domani, anziché il battesimo di Forza Italia, Berlusconi celebrerà un funerale politico: la triste, rancorosa e un po’ squallida scissione del suo movimento. Senza precise garanzie, i «governativi» facenti capo al vice-premier non intendono metter piede all’Eur, dove è convocato il Consiglio nazionale del Pdl. Ma in pochi credono ormai ai colpi di scena, dopo che pure l’ultima mediazione è andata in fumo nella giornata di ieri, incominciata tra voci di patti praticamente sottoscritti e precipitata poi nella solita convulsa rissa tra le fazioni. In sintesi, ecco la cronaca degli ultimi accadimenti: l’altra notte, a Palazzo Grazioli, Silvio e Angelino s’erano lasciati con una stretta di mano. «Allora siamo d’accordo...», «si sì procediamo in questo modo». Cioè, in pratica, come avrebbe voluto Alfano: convocazione immediata dell’ufficio di presidenza, correzione del documento che venne approvato due settimane fa con un blitz, impegno a mandare avanti il governo Letta, ma soprattutto nomina di due coordinatori nazionali, uno per conto dei ribelli-ministeriali e l’altro dei falchi-lealisti, in modo da non potersi combinare scherzetti a vicenda. Alfano ne ha dato notizia ai suoi e si è messo pazientemente in attesa. Ma passa un’ora, passa l’altra, la convocazione dell’ufficio di Presidenza non è mai arrivata. Anzi, verso sera si è saputo che Berlusconi aveva ricominciato con le telefonate «strappacore» ai senatori dissidenti per supplicarli di tornare all’ovile: segno inequivocabile che la mediazione è fallita e si torna alla casella del via (con tanti auguri). Come mai il voltafaccia? Perché come furie si sono precipitati dal Capo prima Verdini, poi Ghedini, a sera Fitto. Gli hanno gridato che giammai si poteva cedere al ricatto di Alfano, che Angelino è solo chiacchiere e distintivo, che solo loro gli vogliono bene. Berlusconi, spalleggiato da Gianni Letta, ha tentato sulle prime di resistere. Lui spera (a questo punto, meglio, sperava) di scansare l’onta della scissione e, soprattutto, dell’espulsione dal Parlamento, già fissata per il 27 novembre. Contava in un rinvio del voto sulla decadenza al Senato perché attende in ansia l’arrivo di non meglio precisate carte dagli Usa, un dossier che (stando alle sue privatissime confidenze) gli permetterebbe di chiedere la revisione del processo Mediaset e magari addirittura di rimettere in forse la condanna... Per rinviare la decadenza, o perlomeno tentare ancora, un partito unito gli avrebbe fatto comodo assai. Ma poi è giunta notizia da Palazzo Madama che il rinvio della decadenza è un miraggio, a spostare la data il Pd non ci pensa neppure lontanamente. Eventuali ritardi della legge di stabilità non avranno alcun effetto sul calendario dell’«esecuzione». Strattonato dai suoi scudieri, quasi costretto a indossare l’armatura per guidarli nell’ultima battaglia, il Cavaliere viene descritto da persone estranee all’una e all’altra parrocchia come un uomo turbato, quasi sconvolto, per la prima volta in preda allo sgomento. Riunione serale a Largo Chigi dei governativi, rassegnati all’addio. Quagliariello, padrone di casa: «Non si entra in Forza Italia per guastare la festa», tanto vale tenersi alla larga dall’Eur. Clima da caccia alle streghe tra i «lealisti», al punto che perfino una strettissima collaboratrice del Cav, la senatrice Rossi, è finita nel vortice delle maldicenze, per aver osato pronunciare pubblicamente la parola più vietata: «Unità». http://lastampa.it/2013/11/15/italia/politica/pdl-fallisce-lultima-mediazione-Mxyl7IziCiXNtc1Qd7NjyL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere cede allo sconforto “Mi faranno marcire in galera” Inserito da: Admin - Novembre 25, 2013, 05:16:28 pm politica
25/11/2013 - retroscena Il Cavaliere cede allo sconforto “Mi faranno marcire in galera” Si è convinto col tempo che il capo dello Stato abbia congiurato contro di lui “Se dichiarato incompatibile, dal giorno dopo mi salteranno addosso le Procure” Ugo Magri Roma Berlusconi è nello stato d’animo disperato di chi pensa che ieri sia stata l’ultima sua domenica da uomo libero. Agli amici rimasti fedeli (i «superstiti» come li chiama lui) confida con voce da oltretomba: «Mi faranno marcire in galera, e quando ciò avverrà, vi ricorderete della mia previsione...». Non c’è baldanza né sfida in queste parole, semmai la sconfinata angoscia di chi era balzato ai vertici massimi del potere e adesso si sente sprofondare sempre più giù. Stasera a cena riceverà Putin, in transito a Roma, e anziché dargli conforto la visita del presidente russo aggraverà il rimpianto del tempo che fu, la rabbia per quanto si addensa sul suo capo. Il Cavaliere (così lo raccontano quanti gli stanno vicino) non riesce a farsi una ragione della decadenza che sarà votata dopodomani al Senato. Più ancora della condanna per frode fiscale, considera l’espulsione dal Parlamento come uno sfregio insopportabile alla sua dignità. Spera ancora di rovesciare l’esito dei voto, si illude che sia possibile arrestare in extremis il conto alla rovescia grazie alle carte in parte arrivate e in parte no dagli States, di cui saremo messi a conoscenza nel pomeriggio tramite conferenza stampa. Grazie a quei documenti Usa, che Capezzone avendoli annusati considera «clamorosi», Berlusconi arriva a immaginare non solo di restare senatore, ma di essere scagionato dalla giustizia italiana attraverso un ricorso che gli permetterebbe di tornare candido come un giglio e, udite udite, di ricandidarsi lui personalmente contro Renzi alle prossime elezioni politiche (ecco in che cosa realmente consiste il misterioso «colpo segreto» con cui Silvio vorrebbe stendere al tappeto il sindaco di Firenze, altro che dossier o sgambetti del genere). Ma gli slanci di ottimismo sono sempre più rari. E con il giorno del giudizio che si avvicina, prevale a palazzo Grazioli un senso cupo di prostrazione. «Si sta consumando un colpo di Stato con una precisa spietata regia politica», è la sintesi del pensiero berlusconiano. La nota quirinalizia che gli ingiunge di non travalicare i limiti della legalità è stata accolta dal Cavaliere come se la prova provata che Napolitano ha sempre congiurato contro di lui, l’ha indebolito mettendogli contro dapprima Fini e ora Alfano, ha permesso che i magistrati infierissero e adesso addirittura maramaldeggia trattandolo come un pericolo per la democrazia... Se ieri sera avesse seguito il consiglio della Santanché, replicando personalmente al Colle, Berlusconi avrebbe forse evocato il 25 aprile 2008, quando si recò a Onna per celebrare il 25 aprile nei luoghi del terremoto. «La mia popolarità toccò vette mai raggiunte, e quel successo qualcuno non me l’ha mai perdonato», è il sospetto che avvelena l’ex-premier. Però poi almeno stavolta si è cucito la bocca, lasciando che in sua difesa si scatenasse contro il Colle la solita salva di dichiarazioni in batteria dei pasdaran «falchi» e «lealisti», non tutti ineducati per la verità, alcuni anzi portati contro il Presidente della Repubblica sul filo del galateo costituzionale, come se Napolitano si fosse permesso di zittire una libera forza politica democratica (tesi di Gasparri) trascurando gli articoli 17 e 21 della Carta repubblicana (glielo rimprovera Fitto, ormai numero due del partito). Oggi verrà consacrata la scelta dell’opposizione, con il «falchissimo» Minzolini che già gongola: «Finite le larghe intese, il rottamatore Renzi si troverà a braccetto con Formigoni, Giovanardi e tutti gli altri rottami della Prima Repubblica...». Ma di fare opposizione Berlusconi non muore dalla voglia. Teme di ritrovarsi ben presto in un cono d’ombra. Ciò che alla vigilia della decadenza più lo inquieta è proprio la distrazione collettiva, l’indifferenza dei più: lui che viene messo fuori gioco da un «golpe», e la vita che prosegue come se niente fosse, senza sdegno dei media, senza furori di popolo. L’Italia dovrebbe insorgere in sua difesa, e invece nemmeno una convulsione politica, uno scioglimento delle Camere, una crisi di governo, nulla di nulla. «Mi stanno buttando fuori della politica a tempo di record, in tre mesi fanno fuori il leader del centrodestra, e tutto questo dovrebbe passare sotto silenzio?». Nel tumulto dei sentimenti, con la rabbia che si alterna alla paura, in certi attimi il Cavaliere sembra preparato ad affrontare il «plotone d’esecuzione» con la camicia sbottonata sul petto e il grido «mirate qui». Ma subito dopo si coglie un uomo in preda alla prostrazione, se non addirittura atterrito dal destino che lo attende: «Se mercoledì verrò dichiarato incompatibile, dal giorno dopo mi salteranno addosso le Procure in gara tra loro con l’obiettivo di chiudermi in carcere». In quel caso, è certissimo Berlusconi, «passerò alla storia come il Mandela italiano». Ma da come lo dice ben si capisce che, potendo, rinuncerebbe volentieri a questo onore. Da - http://lastampa.it/2013/11/25/italia/politica/il-cavaliere-cede-allo-sconforto-mi-faranno-marcire-in-galera-zWfZNfYe3U3loTYbdtFIoJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI “Napolitano mi dia la grazia io non la chiederò mai” Inserito da: Admin - Novembre 25, 2013, 05:17:43 pm politica
24/11/2013 “Napolitano mi dia la grazia io non la chiederò mai” Berlusconi: “La decadenza un colpo di Stato”. Ma non parlerà in Aula Ugo Magri Roma Berlusconi ci ripensa, forse rinunzia a pronunciare in Senato l’ultimo disperato fiammeggiante discorso della sua carriera parlamentare. Si va convincendo che presentarsi mercoledì in aula, e rovesciare contro la magistratura tutto quanto gli passa per la mente, sarebbe un doppio boomerang. Suonerebbe come provocazione sfrontata nei confronti delle Procure, specie di quelle che un’ora dopo potrebbero spiccare un mandato di carcerazione domiciliare. Già non mancano i rumors, specie da Milano come effetto dell’inchiesta «Ruby ter». Andarsi a cercare il martirio, per quanto invocato dai pasdaran, non è gesto compatibile con gli interessi aziendali in gioco. Ma c’è dell’altro. Il Cavaliere riflette sull’immensa vergogna che gli causerebbe l’espulsione fisica dal Parlamento. Berlusconi rischia, una volta passata la decadenza, di essere allontanato dall’emiciclo come un intruso, in base alla spietata formula: «Preghiamo il dottor Berlusconi di uscire dall’aula per consentire la prosecuzione dei nostri lavori». Le immagini dell’ex-premier che guadagna furibondo l’uscita, magari accompagnato dagli sberleffi della sinistra e dal ludibrio dei Cinque stelle, forse addirittura (questo si spingono a ipotizzare certi «berluscones» nel delirio delle ultime ore) con i carabinieri in attesa giù davanti al portone, farebbero all’istante il giro del mondo segnando, esse sì, il crepuscolo di un’epoca... Dunque al momento, quando il conto alla rovescia segna «meno tre giorni», e ormai tutti danno scontato che il 27 pomeriggio si voterà sulla decadenza senza ulteriori «traccheggiamenti» (come li definisce il presidente del Senato Grasso), l’orazione berlusconiana contro la giustizia ingiusta sembra destinata ad altre platee. Tipo quella dei giovani forzisti, che all’Eur hanno udito il Cavaliere lanciarsi nell’elogio del mafioso Mangano, «un eroe» perché non accettò di chiamarlo in causa a Palermo (diversamente dall’ex senatore De Gregorio «convinto dai pm di Napoli ad accusarmi»). I giovani «falchi» sono rimasti interdetti dalla definizione del «Corsera» quale «organo della Procura milanese». Ma hanno convenuto con Silvio che sarebbe «ridicolo» scontare i servizi sociali da Don Mazzi «il quale dice “Presidente, venga a pulire i cessi qui da noi”, credete che io possa umiliarmi così?». E infine, sono stati testimoni del primo minaccioso attacco al Presidente della Repubblica. Berlusconi (ecco la novità) ormai lo sfida pubblicamente. Napolitano, alza la voce, «non dovrebbe avere un attimo di esitazione a dare, senza che io presenti la richiesta, in quanto ho la dignità di non chiederla, un provvedimento di grazia». L’ex-premier sa che il Capo dello Stato mai lo farà a comando (e forse nemmeno dietro cortese domanda). Ma in realtà Berlusconi non mira alla clemenza presidenziale. Semplicemente, dicono i suoi, vuole marcare l’addio al Parlamento con un rombo assordante di tuono, intende sottoporre la Repubblica a uno stress senza precedenti. Non a caso già grida al «golpe» e minaccia con toni giudicati eversivi dal Pd: «La sinistra non pensi che il colpo di Stato si realizzi senza una reazione da parte nostra...». Sembra l’avvio di un’«escalation» che punta a sommergere il Colle, senza risparmiare le altre istituzioni. Ormai espulso dal Parlamento, Berlusconi già si comporta come un leader extra-parlamentare. Manifestazione convocata per mercoledì pomeriggio davanti a Palazzo Grazioli, stavolta senza obiezioni dal sindaco Marino. Sarà una sorta di veglia intorno al leader, ma con l’intento di trasferirsi tutti quanti davanti a Palazzo Madama (cordoni di sicurezza permettendo) qualora alla fine il Cavaliere decidesse ugualmente di presentarsi in Senato. Domani, conferenza stampa per mostrare certe carte in arrivo dagli Usa, annunciate come la prova del fisco americano «che io non c’entro niente» con le società off-shore di Agrama, per le quali gli è piovuta addosso la condanna. Sempre domani, assemblea dei gruppi forzisti, deputati e senatori superstiti, per formalizzare un ormai scontatissimo passaggio all’opposizione. Da - http://lastampa.it/2013/11/24/italia/politica/napolitano-mi-dia-la-grazia-io-non-la-chieder-mai-dNo8TlqriwnLrHsyhsxtkM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi gioca la “carta segreta” (E' un baro non giocate con lui). Inserito da: Admin - Novembre 26, 2013, 06:17:19 pm Politica
26/11/2013 - centrodestra. il leader e la giustizia Nuovi testimoni Berlusconi gioca la “carta segreta” “Nuovi testimoni smentiscono la mia condanna” Appello ai senatori Pd e M5S: decadenza vergognosa Ugo Magri Roma L’«arma segreta» del Cavaliere, quella che dovrebbe sbugiardare i giudici e cancellare la condanna per frode fiscale, è stata svelata nel cosiddetto «Mausoleo» di Forza Italia, la nuova sede a piazza San Lorenzo in Lucina. Ressa di telecamere, folla di cronisti da ogni dove. Berlusconi s’è accomodato al tavolo con aria spossata, la neo-regista della comunicazione Deborah Bergamini al suo fianco, il professor Zangrillo sulla porta pronto a intervenire in caso di défaillance. Stavolta non ce n’è stato bisogno: l’ex-premier ha parlato un’ora senza cedimenti, con la tempra del combattente mai domo, solo strascicando un po’ le parole e lasciando in sospeso un paio di concetti. Ha dato lettura di un «affidavit» (dichiarazione giurata) sottoscritto sei giorni fa a Los Angeles da Dominique Appleby, già amministratore delegato del gruppo Agrama. Questa signora Dominique sostiene che il suo boss di allora, l’intermediatore di programmi televisivi Frank Agrama appunto, mai fece a mezzo con Berlusconi dei proventi realizzati a danno dell’Erario, e dunque lei stessa rimase scioccata nell’apprendere della condanna inflitta al Cavaliere, a suo dire del tutto innocente e vittima semmai di una truffa, complici alcuni dirigenti Mediaset. Provò ad allertare i difensori dell’uomo politico italiano, i quali però nemmeno si degnarono di rispondere: ecco come mai non le fu possibile deporre a Milano (in verità la Procura milanese sostiene che la teste era già tra le carte da 6 anni, insomma sapeva eccome). Su tutti questi traffici veri o presunti di Mr.Agrama, nonché sulla stessa Appleby, sta indagando il fisco americano che, rispetto a quello di casa nostra, è perfino più implacabile. Oltre a questa testimonianza «assolutamente di livello», come la presenta Berlusconi, ne sono pervenute altre 11 di cui 6 nuove o (come nel caso della Appleby) semi-nuove, e le rimanenti 5 «usate», nel senso che invano i legali del Cavaliere tentarono di farle prendere in esame dai tribunali, dunque vengono riproposte. Da Hong-Kong, dove Agrama faceva perno per i suoi traffici, sarebbero arrivati 15 mila documenti da passare al vaglio, ne sono attesi pure dalla Svizzera e dall’Irlanda. La conclusione del leader di Forza Italia è che tutto ciò comprova la sua totale innocenza. Per cui presenterà istanza di revisione della condanna presso la Corte d’Appello di Brescia. Con quale speranza di ribaltare il verdetto? Secondo i fedelissimi, a cominciare da Capezzone, le «rivelazioni smontano anni di teoremi e castelli di carte». Berlusconi, addirittura, avrebbe voluto presentare oggi stesso l’istanza di revisione. Ma i difensori, Coppi e Ghedini, l’hanno convinto accumulare altro fieno in cascina prima di mettere in pista un ricorso che farebbe assai poca strada se fosse basato solo su quanto Silvio ha tirato fuori in conferenza stampa. Berlusconi ha garantito ai cronisti che non pensa affatto di darsela a gambe, dunque falsa è la voce che possa chiedere a Putin un passaporto diplomatico, magari quale rappresentante russo presso la Santa Sede. Non fuggirà, e nemmeno farà un passo indietro, dimettendosi prima della decadenza che sarà votata domani. Fino all’ultimo Berlusconi spera nella resipiscenza del Pd e dei grillini, gratificati con un elogio sperticato della loro battaglia di opposizione. Maledizione biblica scagliata già dalla mattina da RadioUno contro Epifani, ed estesa in conferenza stampa a chiunque gli voterà contro: «Non assumetevi questa responsabilità di cui poi vi vergognerete davanti ai vostri figli...». Il Cavaliere si accontenterebbe che, come propone Casini, la decadenza venisse posticipata. Per quanto stuzzicato, nulla si è lasciato sfuggire contro Napolitano. Anzi, ha smentito una volta per tutte le chiacchiere, secondo cui il Capo dello Stato gli avrebbe garantito un salvacondotto: «Nessun patto, nessuna contrattazione». Però sul golpe ai suoi danni non demorde: «Se non è colpo di Stato, come chiamarlo?». Da - http://lastampa.it/2013/11/26/italia/politica/nuovi-testimoni-berlusconi-gioca-la-carta-segreta-tNdv1jzfQoX83xHIW3iNMK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il “porcellum” alla prova della Consulta Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2013, 12:02:33 pm Politica
02/12/2013 - il punto Il “porcellum” alla prova della Consulta La politica appesa all’udienza di domani La Corte costituzionale si esprimerà sul ricorso di inammissibilità Ugo Magri La sorte del governo Letta, le ambizioni di Renzi, le residue chance del Cavaliere, le mediazioni di Napolitano, insomma l’intero castello di carte della politica italiana, è appeso a quanto deciderà domani la Corte costituzionale. Sotto la lente della Consulta, infatti, arriverà la legge elettorale vigente, il famigerato “Porcellum”. È fissata una pubblica udienza, al termine della quale i giudici della Corte dichiareranno ammissibile o inammissibile il ricorso presentato da un singolo cittadino, l’avvocato Bozzi, e accolto in sede di Cassazione. Ne deriveranno alcune immediate e rilevanti conseguenze sul piano politico. Ipotesi numero 1: la Corte respinge il ricorso. Grande soddisfazione del “Porcellum”, che si salva dal secondo assalto (il primo fu quasi due anni fa, con il referendum dipietrista bocciato proprio dalla Consulta). Ciò non renderebbe l’attuale legge inattaccabile; di sicuro, resterebbe viva la contestazione nei confronti delle liste bloccate, che producono un Parlamento di “nominati”. Sul premio di maggioranza continuerebbe a pesare un forte sospetto di incostituzionalità. Ma da Grillo, da Berlusconi e dallo stesso Renzi, lo stop della Consulta al ricorso verrebbe accolto come un disco verde alle elezioni da celebrare proprio con il “Porcellum”. Magari già nella prossima primavera. Rendendo davvero sovrumani gli sforzi di Napolitano e di Letta. Ipotesi numero 2: la Corte giudica ammissibile il ricorso. Ciò non significa che lo approverà. In teoria, potrebbe venire bocciato. Però nessuno può avere la certezza di quanto verrà deciso, forse nemmeno gli stessi giudici. L’impressione di chi se ne intende è che dalla Consulta ci si possa attendere davvero di tutto, compreso un annullamento in radice della legge attuale, troppo storta per poter essere raddrizzata, e una “reviviscenza” del “Mattarellum”, vale a dire del sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale che fu in vigore fino al 2005. E quando verrà sciolta, in questo secondo caso, la prognosi della Consulta? Ci vorranno settimane, più probabilmente mesi prima della decisione finale. Col risultato che, nel frattempo, nessuno potrà azzardarsi a chiedere elezioni politiche anticipate. Perché il Capo dello Stato avrebbe facile gioco a obiettare: non si può andare alle urne con un sistema elettorale gravemente indiziato di incostituzionalità, su cui addirittura pende un giudizio della Consulta. Prima si cambia la legge e poi si ritorna a votare. Sarebbe musica per le orecchie di Enrico Letta. Un po’ meno per quelle dei suoi avversari. DA - http://lastampa.it/2013/12/02/italia/politica/il-porcellum-alla-prova-della-consulta-la-politica-appesa-alludienza-di-domani-TLbRUuD7OoO5B6gfpoLjUL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Forza Italia e la sponda con Grillo negli attacchi a governo e Colle Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2013, 11:22:34 am politica
08/12/2013 Forza Italia e la sponda con Grillo negli attacchi a governo e Colle Il voto anticipato è l’obiettivo, Napolitano il nemico comune Ed entrambi insistono: a casa i deputati di Pd e Sel “illegittimi” Ugo Magri Roma Tra Berlusconi e Grillo, chi copia chi? Accertarlo è impossibile. Mai come in questi giorni forzisti e Cinque stelle si scippano gli argomenti, si scambiano le parole d'ordine, si contendono i bersagli con una ferocia spesso smodata. In comune, questo «strano asse» ha un nemico: abita su un Colle, ormai è prossimo ai 90 anni, si chiama Napolitano. È diventata la regola. Ogni qualvolta il Comico chiama, il Condannato risponde (e viceversa). Grillo non fa in tempo a esprimere sul suo blog un desiderio (pubblicare «nomi e volti» dei deputati eletti con il premio di maggioranza), che i giornali di area berlusconiana glielo esaudiscono in tempo reale. La terza pagina del «Giornale», ieri mattina, sembrava un casellario giudiziario: tutte e 148 le faccine dei parlamentari «abusivi». «Libero» ha trovato eccessive le foto segnaletiche, limitandosi ai profili anagrafici ripartiti per regione. Cosicché Grillo c’è tornato su, forse per riprendersi il maltolto («Questi abusivi devono essere fermati all’ingresso di Montecitorio», ha sparato ancora più forte). In altre circostanze erano stati i «berluscones» ad accendere la miccia, con i grillini a ruota. Per esempio, mercoledì scorso sulla contestazione dei senatori a vita che va intesa come vendetta trasversale contro il Capo dello Stato. Oppure nella caccia spietata ai giornalisti di parte avversa: aveva incominciato Brunetta prendendo di mira gli emolumenti di Fazio; poi si erano lanciati come un sol uomo lui e Grillo contro Floris; infine ha esagerato l’altroieri Beppe mettendo all’indice come un pericolo pubblico la cronista dell’«Unità» Maria Novella Oppo (ma tutti i giorni il «Mattinale» forzista fa le pulci ai retroscenisti nella rubrica, simpaticamente polemica, «Se la cantano e se la suonano»). Gli studiosi di politica potrebbero evocare mille altre assonanze tra il popolo grillino e quello del Cavaliere: dalla comune idiosincrasia per le toghe alla incomprimibile vena euro-scettica, dalle cavalcate ventre a terra contro Equitalia alla scarsa simpatia per gli immigrati, resa pubblica da Grillo tra gli «ooooh» stupiti di quanti lo reputavano (come era già accaduto molto tempo fa per Bossi) quasi una costola della sinistra italiana. Con assoluta certezza, l’opposizione a Cinque stelle viene considerata da Berlusconi un punto di riferimento esemplare, un modello da ricalcare. E dunque tra i forzisti ben si coglie l’ansia di raccordarsi col M5S. Al punto che, dopo la scissione di Alfano, qualche emissario del Cav è corso a proporre ai grillini di cambiare collocazione nell’emiciclo, di accostarsi, insomma, così da raffigurare plasticamente il neonato fronte comune... Non se n’è fatto nulla poiché, spiega D’Ambrosio, «quando una come la Santanché si dichiara pronta a votare la nostra proposta di impeachment, mi viene da vomitare». In molti da quelle parti la pensano come lui, incominciando da Grillo che con Silvio non vuole avere nulla a che fare. Al «guru» Casaleggio, invece, e all’«ideologo» Becchi, la «Pitonessa» non suscita questi stessi conati; anzi, viene giudicata un’utile sponda, un sensore affidabile per capire che cosa ha in mente Berlusconi. Si vocifera di contatti anche molto recenti, in vista della grande offensiva che verrà scatenata contro il Colle non appena la Consulta depositerà le motivazioni della sentenza ammazza-Porcellum. Su quali basi la campagna di «impeachment» verrà argomentata, al momento non è dato sapere. Però dalle parti di Arcore non attendono che un segnale: se Grillo darà il via, loro sono pronti a spalleggiarlo. L’ha confermato ieri Brunetta, non senza previa consultazione del leader: «Quando il M5S presenterà l’atto d’accusa contro Napolitano, avremo il dovere di esaminarlo». Nessuno si illude che la forzatura avrà successo. Ma l’obiettivo palese è di mettere le istituzioni sotto stress, di surriscaldare l’atmosfera al punto che nessuno, tantomeno il Capo dello Stato, potrà sentirsi al riparo. Svela il piano un senatore di Forza Italia che è già in prima linea contro il Quirinale, l’ex direttore del Tg1 Minzolini: «Napolitano deve smettere di fare scudo al governo, di difendere l’indifendibile». Altrimenti, è il sottinteso, finirà sotto i colpi di Grillo e di Berlusconi... Da - http://lastampa.it/2013/12/08/italia/politica/forza-italia-e-la-sponda-con-grillo-negli-attacchi-a-governo-e-colle-GfspDMGhnX4gfaVe4XzE9H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Due Camere raddoppiano gli sprechi Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2013, 11:47:08 pm Editoriali
27/12/2013 Due Camere raddoppiano gli sprechi Ugo Magri A confronto con le grandi abbuffate della Prima Repubblica, quando i partiti non si curavano di aprire voragini nei conti dello Stato, le ultime manovre varate dal Parlamento potrebbero apparire uno snack, una cena di magro in stile francescano. Parliamo in fondo di «mance» a questa o quella categoria che, nell’insieme, rappresentano una goccia nel mare del debito pubblico. Eppure, mai come stavolta la razzia è risultata offensiva al senso comune, in quanto l’avidità delle lobby viene di solito tollerata finché regna l’abbondanza; risulta viceversa imperdonabile quando sul tavolo restano poche briciole che dovrebbero bastare per un intero Paese. A fronte di questo assalto condotto con la forza della disperazione, la classe di governo nel suo insieme è sembrata debole quando non complice. C’è voluto un intervento di Napolitano (nessuno lo accusi, please, di avere esorbitato dai propri poteri) per stoppare l’obbrobrio di una legge su Roma Capitale. Una legge dov’era stato infilato di tutto, comprese le norme sulle «slot machines» bollate da Renzi come «una porcata», al netto del tira-e-molla sugli affitti di Stato da disdettare, anzi no, anzi sì... Ma se si allarga lo sguardo all’intera manovra finanziaria, quel tanto di buono che contiene viene sommerso dalla pioggia di mini-contributi erogati senza un filo di coerenza, scandalosi proprio in quanto premiano istanze capaci di farsi largo a discapito di altri interessi non meno degni. E così ritroviamo i «Virtuosi» di Verona trattati alla stregua dei chioschi abusivi sulle spiagge, l’Orchestra del mediterraneo a braccetto con i pensionati d’oro, i mondiali del volley femminile sovvenzionati insieme all’emittenza radio-televisiva. Troppo facile farne carico a Letta e ai suoi ministri. Molte di queste e altre generosità sono opera del Parlamento, dove le giovani reclute hanno fatto comunella con i vecchi marpioni per mettere al primo posto le ragioni della propria sopravvivenza. Certi onorevoli della vasta maggioranza, per quanto de-berlusconizzata, mostrano di avere come minimo comune denominatore soprattutto il tirare a campare, sembrano affratellati dalla paura di tornare alle urne. Visibilmente manca loro un progetto forte che non sia il «carpe diem». L’errore del governo, se tale possiamo considerarlo, è di avere impostato i rapporti con il Parlamento su un piano di correttezza e civiltà, passando dalle maniere forti di un recente passato alla ricerca del dialogo, o quantomeno del galateo. Rispetto ai tempi in cui Tremonti, con i suoi no, era l’uomo più detestato del governo Berlusconi, e a confronto con il passo tecnocratico del professor Monti, accusato di essere più «rigorista» di Frau Merkel, forse l’educato Letta ha confidato troppo nella maturità dei suoi interlocutori. Libera finalmente di esprimersi, la politica vi ha provveduto con la «p» minuscola anziché con la maiuscola. E’ auspicabile che il nuovo patto programmatico di cui si parla, richiesto da Renzi e cavalcato da Letta, conferisca alla maggioranza il senso di una missione. E dunque si ristabiliscano delle nette gerarchie. Eppure, dietro alle debolezze rimproverate all’esecutivo, c’è molto più di quanto si voglia vedere. Ci sono tutte le fragilità delle nostre istituzioni che non c’è nemmeno bisogno di elencare, tanto sono note. La più anacronistica è rappresentata da un bicameralismo che moltiplica almeno per due, spesso per tre o per quattro, gli assalti alla diligenza, secondo una dinamica bollata dal vice-ministro Fassina come «insostenibile» per le casse dello Stato. A ogni passaggio parlamentare, i governi sono costretti a cedere qualcosa in commissione (terreno ideale per le imboscate lobbistiche) e poi in aula. I deputati non accetteranno mai di approvare le regalie distribuite dai senatori, senza prima averne elargite di proprie. E viceversa, naturalmente. Qualche economista con nozioni di politica si spinge a sostenere che per un’Italia in bolletta e affamata, la riforma del bicameralismo sia addirittura più urgente della stessa riforma elettorale, su cui pure si accapigliano i partiti. Come dare loro torto? Da - http://lastampa.it/2013/12/27/cultura/opinioni/editoriali/due-camere-raddoppiano-gli-sprechi-iPviuTnrAahNfOi4nSe5DK/pagina.html Titolo: MAGRI Legge elettorale, i numeri alle Camere e il fantasma dei franchi tiratori. Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2014, 04:17:45 pm politica
16/01/2014 Legge elettorale, i numeri alle Camere e il fantasma dei franchi tiratori Due calcoli aritmetici sulle chance che avrebbero Renzi e Berlusconi di imporre la «loro» riforma elettorale (uno «spagnolo» con premio di maggioranza, oppure il «Mattarello» anch’esso con premio) Ugo Magri Roma È il momento di riprendere in mano il pallottoliere. E di fare due calcoli aritmetici sulle chance che avrebbero Renzi e Berlusconi di imporre la «loro» riforma elettorale (uno «spagnolo» con premio di maggioranza, oppure il «Mattarello» anch’esso con premio). Partiamo dal Senato dove, sulla carta, i numeri sono più ballerini. Qui, per fare passare la legge in un clima arroventato, sarebbe prudente disporre della maggioranza assoluta. I senatori, compresi quelli a vita e di diritto, sono 321. Dunque, il minimo sindacale per travolgere le resistenze di Grillo e dei centristi, si colloca a quota 161. Il Pd (ammesso che tutti votino compatti) ha 108 senatori, a Forza Italia dopo la scissione ne sono rimasti 60. Sulla carta potrebbero bastare, specie se si dovesse unire la Lega (15 seggi) che per bocca di Calderoli dichiara il proprio favore tanto allo spagnolo quanto al «Mattarellum». Però il Senato si pronuncerà dopo la Camera, dove da qualche settimana è stata spostata la riforma elettorale. Trasferiamoci allora a Montecitorio. Qui il gioco di Renzi e di Berlusconi dovrebbe essere, sulla carta, ancora più semplice. L’asticella si colloca a quota 315. Il Partito democratico da solo, per effetto del premio che nelle sue attuali proporzioni la Consulta ha dichiarato incostituzionale, conta su 293 seggi. Il Cavaliere ne può recare in dote altri 67, per cui saremmo (così suggerisce il pallottoliere) abbondantemente oltre la soglia minima necessaria per imporre un sistema elettorale sgradito ai «proporzionalisti». Si aggiungano per sicurezza i 20 deputati della Lega, e siamo a 380 voti per lo spagnolo o per il «Mattarellum»: 65 più del necessario. C’è tuttavia un piccolo particolare. Alla Camera, diversamente che in Senato, sulla riforma elettorale è ammesso lo scrutinio segreto. E dunque la vera domanda da porsi è la seguente: quanti potrebbero essere i «franchi tiratori», in caso di accordo di ferro tra Renzi e il «Pregiudicato» (perché tale lo considera la sinistra Pd)? Per rispondere, servirebbe il dono della divinazione. Durante le elezioni presidenziali, ma a Camere riunite, furono addirittura in 101 a pugnalare nel segreto dell’urna la candidatura autorevole di Romano Prodi. Vuoi davvero che sulla legge elettorale, da cui dipende la carriera politica di quasi tutti i «nostri eroi», non spuntino una quantità di dissidenti, magari proprio da chi meno te lo aspetteresti? Ecco perché, nonostante alla Camera la sfida per Renzi (e per Berlusconi) sembri più abbordabile, in realtà presenta parecchi scogli sotto il pelo dell’acqua. Occhio a non sbatterci contro. Da - http://lastampa.it/2014/01/16/italia/politica/legge-elettorale-i-numeri-alle-camere-e-il-fantasma-dei-franchi-tiratori-JECu9MMpoXb8HQXCasOPWM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Dopo la sentenza della Consulta elezioni politiche più lontane Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2014, 04:26:06 pm politica
14/01/2014 Dopo la sentenza della Consulta elezioni politiche più lontane L’accordo sulla nuova legge elettorale risulterà più laborioso di quanto sarebbe stato nel caso in cui la Consulta avesse sgomberato il campo da alcune ipotesi, per esempio il sistema spagnolo Ugo Magri Roma Una serie di indizi maturati nelle ultime ore fanno pensare che le elezioni politiche a maggio, insieme con le Europee, siano alquanto improbabili. Elemento numero uno: la sentenza della Corte costituzionale. Che nelle motivazioni depositate ieri non fornisce alcuna indicazione ai partiti sulla riforma da perseguire, e anzi lascia tutte le strade aperte (compresa quella del non far nulla, tenendoci il mozzicone di «Porcellum» che è rimasto in vigore dopo la bocciatura del 4 dicembre scorso). Tanta abbondanza di scelte non è di aiuto alla politica. La quale, com’è giusto, dovrà prendersi per intero le proprie responsabilità. Ma proprio questo induce a ritenere che l’accordo sulla nuova legge elettorale risulterà più laborioso di quanto sarebbe stato nel caso in cui la Consulta avesse sgomberato il campo da alcune ipotesi, per esempio il sistema spagnolo. Secondo indizio che non depone in favore delle elezioni politiche a maggio: le rassicurazioni di Renzi a Napolitano che lui non desidera provocare una crisi di governo. E anzi Letta, se farà bene i suoi compiti, potrà tirare avanti un altro anno tranquillo... A dimostrazione che dice sul serio, il segretario Pd sarebbe disposto a consentire quello che nel brutto gergo di Palazzo viene denominato «rimpasto». Cioè un aggiustamento in corsa della squadra ministeriale, per sostituire chi ha creato problemi. Se Renzi avesse continuato a opporsi a questo rimaneggiamento, l’avrebbero sicuramente accusato di giocare al «tanto peggio tanto meglio». Non è così. Matteo sembra avere scelto la stabilità patrocinata dal Colle. Ultimo elemento (poteva mancare?): il Cavaliere. Berlusconi sembrava il più ansioso di tentare la rivincita elettorale a maggio. Ma da ultimo si è un po’ frenato. Forse perché ha percepito le difficoltà di Renzi; o magari semplicemente ha consultato i sondaggi, parecchio attendibili, che gli produce a getto continuo Euromedia Research, da cui Forza Italia non esce così bene come Silvio vorrebbe. Qualcuno aggiunge la mancanza di un candidato premier, visto che Alfano se n’è andato e Berlusconi è impedito dalla legge Severino. Fatto sta che pure ad Arcore si stanno rassegnando alla prospettiva di una rivincita ormai rinviata al 2015, se va bene. Con il Cav che nel frattempo potrà scontare con calma la sua pena a domicilio oppure (lui si augura) ai servizi sociali. Da - http://lastampa.it/2014/01/14/italia/politica/dopo-la-sentenza-della-consulta-elezioni-politiche-pi-lontane-l6nRKTVs5hKkbyCk7naJoM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Legge elettorale, la Corte rianima i proporzionalisti Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2014, 12:00:24 pm Politica
15/01/2014 - retroscena Legge elettorale, la Corte rianima i proporzionalisti E adesso la riforma rischia di impantanarsi La legge elettorale snodo decisivo Ugo Magri Roma La Corte costringe gli strateghi politici a riscrivere i piani. Non perché faccia pendere il piatto della bilancia a vantaggio di questa o quella riforma elettorale (per sostenerlo occorre una bella faccia tosta), ma perché la Consulta chiarisce che potremmo tornare alle urne anche subito, con lo stesso sistema della prima Repubblica. Per i proporzionalisti è un assist insperato. E la matassa della legge elettorale si ingarbuglia vieppiù. Ieri mattina la confusione era al massimo grado, un vociare cacofonico aggravato da pareri magari autorevolissimi, forniti da giuristi e professori illustri di diritto, che però talvolta ricordano i medici di Pinocchio in quanto mai se ne trovano due capaci di suggerire all’Italia la stessa ricetta (chi ha tempo, controlli sul sito della Camera le audizioni degli esperti in Commissione affari costituzionali). La Babele delle lingue e dei propositi ha dato quasi la sensazione che, per effetto della Corte, Matteo Renzi avesse perso il controllo del volante. Fino alla sorpresa del «proporzionale», il segretario Pd aveva il chiaro vantaggio di giocare su due tavoli: con i partner di governo e con le opposizioni. Cercava di ottenere il massimo come farebbe qualunque abile mercante, mettendo i primi in concorrenza con le seconde. Qualcuno sostiene che Renzi minacciasse di stringere un accordo con Berlusconi (e con Grillo) per far cadere il governo; altri invece pensano che volesse semplicemente far ingoiare ad Alfano una legge elettorale indigesta. Fatto sta che grazie alla Consulta Angelino, e con lui tutti i centristi a vario titolo, si sono ritrovati d’improvviso con una pistola in mano. Il colpo in canna consiste nella possibilità, in caso di lite sulla riforma elettorale, di mettere in crisi il governo e di tornare alle urne con il sistema proporzionale anziché con quello che vorrebbe Renzi. Con tre conseguenze non da poco. Primo: i piccoli partiti, anziché sparire come accadrebbe col sistema spagnolo o col «Mattarellum», riuscirebbero a scapolarla. Secondo: il futuro Parlamento sarebbe altrettanto ingovernabile dell’attuale, e magari di più. Terzo: le larghe intese, in assenza di un chiaro vincitore, tornerebbero obbligatorie... Insomma, verso mezzogiorno nei palazzi romani qualcuno ieri già incominciava a dire che il sindaco fiorentino è al tappeto, la sua promessa di riforma elettorale ormai svaporata, la sua speranza di governare l’Italia fin troppo ambiziosa. Latorre, già dalemiano ed ora con Renzi, ha lanciato l’allarme contro i risvegli di «pulsioni proporzionalistiche» non solo tra i grillini ma perfino nel Pd. Dove popolari come Fioroni (e non solo lui) brindano felici alla sentenza della Consulta. I più dietrologi, che non mancano mai, hanno visto dietro la Corte una manovra di menti sottili e raffinatissime volta a prolungare la vita del governo Letta. Ma Renzi, come ha reagito? Da leader svelto e determinato. In poche ore è passato al contrattacco. Anzitutto ha voluto accertare che Berlusconi non avesse nel frattempo cambiato idea, come spesso gli accade, e rimanga tuttora favorevole a un sistema maggioritario dove la sera stessa delle elezioni si sappia chi ha vinto e chi ha perso. Quasi tre ore di vis-à-vis con Denis Verdini gli hanno permesso di accertare che Silvio mantiene il punto, gli va bene tanto uno spagnolo quanto un «Mattarello» corretto da un premio del 15 per cento, sebbene la preferenza di entrambi vada nettamente al meccanismo iberico, pure in questo caso con «premio» per chi vince. Non si vedranno subito col Cavaliere, ma nei prossimi giorni. Una data di massima pare sia stata fissata in gran segreto. Più urgente, per Renzi, è mettere le carte in tavola con Alfano. Fonti informate sugli sviluppi sostengono che il «match» con vice-premier potrebbe aver luogo in giornata, permettendo a Renzi di presentarsi domani nella direzione del suo partito con tutti gli elementi in mano per una rapida decisione. Da - http://lastampa.it/2014/01/15/italia/politica/legge-elettorale-la-corte-rianima-i-proporzionalisti-b34xmxx93vb7I8UchNSJzL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi spera nel patto con Renzi Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2014, 12:28:29 pm Politica
17/01/2014 - retroscena Berlusconi spera nel patto con Renzi Si lavora ancora all’accordo. Domani il segretario Pd dovrebbe incontrare il leader di Forza italia Ugo Magri Roma I berlusconiani fanno un tifo esagerato per Renzi. E se il loro super-eroe di nome non facesse Silvio, le «amazzoni» del Cavaliere con il cuore sarebbero già tutte pro Matteo. Grande schieramento al femminile per il segretario Pd: dall’ex governatrice del Lazio Polverini alla combattiva Bergamini, ma anche Gelmini, Carfagna, la Repetti e naturalmente la Santanchè, tutte hanno levato alta la loro voce. Dunque un plebiscito in favore del leader avversario che però si sta battendo come un leone nel suo partito per incontrare, dopo Alfano, anche il Condannato. Già, perché le notizie pervenute a Palazzo Grazioli raccontano di un Renzi decisissimo a tenere il faccia-a-faccia nonostante mezzo Pd gli stia intimando di ripensarci. Renzi è atteso stasera al programma «Le invasioni barbariche»; e quale occasione migliore per annunciare il colloquio con Berlusconi? Tutti danno per scontato che andrà in scena domani, sebbene sulla legge elettorale non ci sia fumata bianca, anzi la trattativa risulti ancora per aria. Forza Italia preferirebbe il sistema spagnolo, ma hanno preso a circolare nuove ipotesi più creative, ad esempio un «Mattarellum» dove l’eventuale premio verrebbe assegnato al secondo turno. Sennonché i collegi uninominali non garbano a Berlusconi, perché lo costringerebbero ad allearsi con Alfano (i due non si parlano da settimane). Per cui ieri sera voci autorevoli da destra dicevano: «Se Renzi si impunta, per Berlusconi non avrebbe senso incontrarlo». Tra l’altro, il Cavaliere dovrebbe disdire l’evento che pregusta da quasi due anni, cioè da quando decise di cacciare l’allenatore del Milan Allegri e di piazzare al suo posto Seedorf: piombare domani in elicottero a Milanello per una conferenza stampa con il nuovo allenatore prediletto. Dalla segreteria del presidente è giunta a Galliani notizia che forse non ne farà nulla, niente show davanti alle telecamere di mezzo mondo. Ma solo a condizione che di show Berlusconi ne debba tenere un altro, ancora più clamoroso... Con chi, lo si intuire. Dove, è ancora un punto interrogativo. Quasi sicuramente a Roma. E alla luce del sole ma senza webcam, in quanto quei due dovranno usare una certa reciproca franchezza. Quanto all location: escluso il Parlamento, dove il Cav rifiuta di mettere piede essendone stato espulso. La sede del Pd verrebbe considerata dagli anti-berlusconiani alla stregua di un sacrilegio. Per cui alla fine, anziché vedersi al Nazareno, potrebbero convergere sullo stesso hotel Bernini Bristol dove mercoledì andò in scena il match Renzi-Alfano. Di tutto ciò, ma non solo, si è ragionato ieri intorno al desco di Palazzo Grazioli. Presenti, oltre al padrone di casa, Confalonieri, Toti, Verdini (ambasciatore presso il sindaco fiorentino), Brunetta e Romani. Tra una portata e l’altra, discussione meno animata di altre volte circa gli assetti di vertice del partito. L’ultima mediazione ipotizza un comitato politico ristretto con dentro i principali esponenti di Forza Italia. Segretario e portavoce di questo «politburo» sarebbe Toti, l’uomo nuovo fin qui osteggiato dalla vecchia guardia pretoria. Ma a un certo punto Berlusconi si è scocciato di parlarne, e ha rinviato ogni approfondimento alla prossima settimana. In cima ai suoi pensieri, al momento, c’è solo il patto di ferro con Renzi. Da - http://lastampa.it/2014/01/17/italia/politica/berlusconi-spera-nel-patto-con-renzi-BqldJgi5MVeasH2cuiy38L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Firma il Ncd, però i malumori sono tanti e trasversali. Anche nel Pd Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2014, 06:06:38 pm Politica
23/01/2014 - riforme. la partita Arriva la legge elettorale Non c’è il salva-Lega Firma il Ncd, però i malumori sono tanti e trasversali. Anche nel Pd Legge elettorale, ecco chi ci perde e chi ci guadagna Ugo Magri Roma Con qualche ora di ritardo (anzi con qualche anno), il testo di riforma elettorale è approdato in Commissione affari costituzionali della Camera. I partiti avranno tempo fino a domani per suggerire modifiche. Sospesi i lavori durante il weekend onde consentire a Sel di tenere il congresso. Lunedì e martedì rush finale dei commissari, all’occorrenza in seduta notturna. E se la conferenza dei capigruppo stamane non cambierà le carte in tavola, mercoledì 29 inizierà la discussione in Aula seguita dal voto. A scrutinio segreto, con i «franchi tiratori» in agguato. Sarà la prima prova del fuoco per Renzi, che può uscirne trionfatore o, come complottano i suoi avversari, con le ossa rotte. Il testo si è fatto attendere fino a sera perché nel Pd si sono accorti dell’esistenza di un «baco» potenzialmente in grado di inficiare il congegno matematico messo a punto dal professor D’Alimonte (è lui che consiglia Renzi). Riguarda, pare, la distribuzione dei seggi in Parlamento e il timore che possa essere decisa non dalle segreterie dei partiti, tantomeno dagli elettori, bensì dalla dea bendata, col rischio di trasformare il voto in una riffa imprevedibile. Frenetici contatti per venire a capo del problema. Mille altre questioni tecniche sono spuntate fuori all’ultimo momento, cosicché erano le 20 quando il relatore Sisto (Fi) ha depositato il testo. Non contiene sorprese rispetto all’impianto concordato sabato da Berlusconi e da Renzi. Manca la clausola «salva-Lega», quella che dovrebbe consentire ai padani di entrare in Parlamento perfino nel caso in cui non scavalcassero il 5 per cento. La postilla non è stata inserita in quanto altri partiti a rischio di sbarramento, in particolare il Nuovo centrodestra, hanno piantato una grana al grido di «come mai loro sì e noi no?». Però il «salva-Lega» verrà riproposto in Aula al momento opportuno e sotto forma di emendamento. Tanto è vero che dal Carroccio nessuno ha protestato, anzi il segretario Salvini orgogliosamente proclama che la Lega non ha bisogno di ricevere «aiutini». Gli alfaniani, in apparenza soddisfatti, hanno sottoscritto il testo base insieme con Pd e Forza Italia. Sulla carta, una vasta maggioranza a prova di scrutinio segreto. Giochi fatti, dunque? Non proprio. Perché a sostenere la riforma con piglio garibaldino sono soltanto berlusconiani e renziani. Altrove è tutto un fiorire di obiezioni. Tra i democratici è in subbuglio la minoranza interna, che alla Camera comanda nei numeri. Renzi l’altra sera ha riunito i deputati Pd nell’intento di domare la fronda. Per riuscirci ha scaricato su Berlusconi la responsabilità di certe scelte, tipo il no alle preferenze. Il bersaniano D’Attorre ci vede un varco, per cui tornerà alla carica per introdurle col plauso di Alfano nonché dei centristi di varia estrazione. «Non se ne parla proprio», avverte da destra la Santanché. Brunetta, capogruppo «azzurro», ricorda al Pd che i patti vanno rispettati, gli accordi non sono «à la carte». E se crolla un caposaldo della riforma salta tutto l’impianto, non se ne fa più nulla. In fondo, al Cavaliere va bene pure il mozzicone di legge lasciato in vita dalla Consulta: un proporzionale puro, che piace anche ai grillini. Il referendum on-line tenuto ieri lo ha visto vittorioso sul maggioritario con 20mila voti contro 12mila. DA - http://lastampa.it/2014/01/23/italia/politica/arriva-la-legge-elettorale-non-c-il-salvalega-GbYl5eF9r0d0L2XZZsy1XM/pagina.html Titolo: Carlo Bertini, Ugo Magri. Legge elettorale: la trattativa è iniziata, ma il ... Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2014, 11:36:56 pm politica
26/01/2014 Legge elettorale: la trattativa è iniziata, ma il rischio in Aula è il fuoco incrociato Calderoli assicura: avrà vita durissima in Commissione Carlo Bertini, Ugo Magri Roma Volendo credere a Calderoli, che nella giungla parlamentare si orienta come pochi, alla Camera da domani ne vedremo delle belle. Il padre del «Porcellum» ha fatto due conti: la riforma elettorale avrà vita durissima in commissione. E pure nel caso in cui superasse l’esame, «quasi certamente non avrebbe i numeri in aula» dove, va ricordato, si voterà a scrutinio segreto. «Inciamperà praticamente subito», scommette Calderoli, perché già al primo comma dell’articolo 1 verrà al pettine il nodo delle preferenze...». Se Renzi riuscisse a imporre la disciplina di partito, questi dubbi non avrebbero fondamento. In commissione, dove entro martedì sera i giochi saranno fatti, Pd e Forza Italia hanno 26 dei 47 membri, la maggioranza. E in aula i due partiti sommano 360 deputati, 45 più di quanti ne occorrano per imporre il frutto dell’accordo tra Renzi e il Cavaliere. Ma la minoranza Pd è inquieta (un eufemismo). Questo pomeriggio si vedranno nuovamente i commissari democratici per chiarire se il testo-base è davvero tabù, ovvero può essere emendato d’intesa, si capisce, con Forza Italia. Bersaniani e dalemiani spingono per cambiare la bozza su tre punti. Primo: niente liste bloccate, al limite meglio 630 collegi con un solo candidato ciascuno, e ripartizione proporzionale dei seggi. Secondo: premio di maggioranza per chi supera il 40 per cento anziché il 35. Terzo: abbassare dall’8 al 5 per cento lo sbarramento per i partiti che volessero presentarsi fuori dalle alleanze. I fedelissimi del segretario cosa rispondono? Che loro non avrebbero alcuna remora, però Berlusconi da quell’orecchio non ci vuol sentire. Anzi coglierebbe la palla al balzo per far saltare l’accordo, e allora niente riforma elettorale. Non solo: addio anche al «Senato gratis» (come lo chiama Renzi) e all’antidoto per le «disfunzioni regionali» (altra definizione del sindaco-segretario circa la riforma dei Titolo V). I leader hanno deciso, e al momento non si torna indietro. Anzi, sono pronti ad affrontare il voto segreto. Qui, effettivamente, potrà accadere di tutto. Sia che la riforma passi, sia che vada a gambe per aria insieme con il governo e la stessa legislatura. Già, perché tanto Renzi quanto i «berluscones» hanno chiarito che, in caso di bocciatura, questo Parlamento non sarebbe titolato a proseguire oltre. Ecco dunque di nuovo il pallottoliere. Stime provenienti dai diretti interessati calcolano tra 90 e 100 i deputati Pd che, lasciati liberi, voterebbero per il ritorno alle preferenze. Chissà come si regoleranno nel segreto dell’urna. A questi possibili «franchi tiratori» bisogna aggiungere un altro paio di categorie interessate a scatenare un Vietnam parlamentare. Anzitutto coloro che, specie in Forza Italia, gradirebbero votare subito. E sarebbero pronti a tornare alle urne perfino con il mozzicone di legge tenuto vivo dalla Consulta (proporzionale puro e preferenza). L’altra categoria di potenziali «cecchini» è rappresentata da quanti sarebbero disposti ad affrontare le elezioni subito pur di tenersi la legge attuale, il «Consultellum» appunto, considerato un male minore della riforma in gestazione. I 45 voti di maggioranza alla Camera sono insomma un vantaggio esiguo. Per mettersi al sicuro, Renzi dovrebbe trascinare dalla sua parte la Lega (20 deputati) con una normativa di vantaggio per i partiti su base territoriale; e poi anche il Nuovo centrodestra, abbassando da 5 al 4 per cento, e forse addirittura al 3, la soglia di sbarramento immaginata col Cavaliere. Il quale tuttavia si sente in una botte di ferro, comunque vada lui è soddisfatto, se casca il governo ancora di più. Come dice Brunetta, «è nella condizione di vincere su tutte le ruote». Quanto a Renzi, il segretario Pd si mostra pronto ad affrontare le urne perfino a maggio. Secondo i suoi nemici interni è solo un «bluff». Però intanto mercoledì l’uomo potrebbe partecipare alla manifestazione dei sindaci in tensione con il governo. Sarebbe un segnale di quelli forti e chiari... Da - http://www.lastampa.it/2014/01/26/italia/politica/legge-elettorale-la-trattativa-iniziata-ma-il-rischio-in-aula-il-fuoco-incrociato-MEz3brt9Afac67i0yLRA9H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Al Cavaliere piace sempre di più lo stile del sindaco-segretario Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2014, 11:25:03 pm Politica
07/02/2014 - retroscena Tra i berlusconiani si allarga il fronte di chi appoggerebbe un governo Renzi Al Cavaliere piace sempre di più lo stile del sindaco-segretario Ugo Magri Roma Due sere fa, a casa di Berlusconi, lungo articolato dibattito su come dovrebbe regolarsi il Cavaliere casomai Renzi volesse mettere in piedi un governo: appoggiarlo? entrarci? starne decisamente alla larga? Intorno al desco di Palazzo Grazioli si sono formati (come al solito) due schieramenti: i «governativi» da una parte; gli «oppositori» a tutti i costi dall’altra. Nel mezzo, il padrone di casa. Il quale mai come nella circostanza è apparso combattuto e indeciso, perché lui stravede per Renzi, in certi momenti ne sembra addirittura infatuato. Però al tempo stesso l’«ego» senza confini di Berlusconi gli vieta di ammettere che gli anni passano e, insomma, sarebbe ora di togliere il disturbo. Anzi, paradossalmente, più l’astro del sindaco-segretario brilla alto nel cielo e più Silvio si sente in dovere di competere con lui. Forse questa è la ragione per cui ieri sera l’uomo ha incaricato la Gelmini, ospite da Vespa, di smentire qualunque ritorno di Forza Italia alle larghe intese. E di escluderlo perfino nel caso in cui a guidare un nuovo governo fosse il suo beniamino Renzi, anziché Letta... È una posizione, come tutte quelle berlusconiane, suscettibile di mille ripensamenti. Oggi si precipiteranno da lui quanti gli consigliano il massimo dell’apertura, e magari stasera qualche esponente «azzurro» andrà in tivù per ribaltare la linea del giorno prima. Domani si rifaranno sotto gli altri, e così via... In attesa che il pendolo si stabilizzi, ecco gli schieramenti. A guidare il fronte dei possibilisti c’è Brunetta, insieme con l’altro capogruppo Romani. Toti, consigliere politico, è sulla stessa loro lunghezza d’onda; idem Tajani, numero due della Commissione Ue, presente mercoledì alla cena. Al Cav rivolgono una domanda: se davvero nascesse un governo Renzi, e questo governo incontrasse il favore dell’Italia, che senso avrebbe combatterlo? E se per giunta Matteo arrivasse al 2018, è l’interrogativo, «come trascorreremmo i prossimi quattro anni all’opposizione? Abbaiando alla luna?». Ragion per cui alcune teste pensanti, come Minzolini, lanciavano su Twitter l’ipotesi di un appoggio esterno, motivato con la necessità di portare fino in fondo la nuova legge elettorale che accoppa i piccoli partiti. Replicano Fitto (capo dei lealisti) e Gasparri: appoggiare Renzi con o senza ministri in cambio sarebbe l’ultimo dei nostri errori; un conto è farci le riforme istituzionali insieme, altra cosa spalleggiarlo fino al giorno in cui Berlusconi avrà compiuto 81 anni e sarà prossimo agli 82... A proposito di Fitto: l’ex ministro ha rifiutato in serata un posticino che il Cavaliere gli aveva ritagliato negli organigrammi di Forza Italia. Anziché procedere alla nomina dell’Ufficio di presidenza, come i «falchi» del partito reclamano da settimane, Berlusconi ha messo su una strana commissione incaricata di stipulare alleanze politiche a livello locale. In questo comitato, composto da Matteoli (presidente), da Saverio Romano, dal sindaco di Pavia Cattaneo nonché da Osvaldo Napoli, Fitto ha fatto sapere che lui non metterà piede perché altrimenti sembrerebbe che si lascia tacitare con un incarico, oltretutto da poco. Da segnalare viceversa l’ascesa di Mariarosaria Rossi, quarantenne senatrice napoletana amicissima della Pascale: sarà capo dello staff berlusconiano, sempre più in mano alle donne. Da - http://lastampa.it/2014/02/07/italia/politica/tra-i-berlusconiani-si-allarga-il-fronte-di-chi-appoggerebbe-un-governo-renzi-94Lkn50KlBXpN6ENJs2BPN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Italicum, armi spuntate per i contrari Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2014, 05:47:59 pm Politica
10/02/2014 - riforme. Le mosse Italicum, armi spuntate per i contrari I franchi tiratori della legge elettorale temono che, bocciando il testo, si torni alle urne Ugo Magri Roma Domani la legge elettorale arriva in aula alla Camera. Ma nei palazzi della politica nessuno si agita più di tanto, poiché l’attenzione adesso è concentrata sul duello Renzi-Letta. Si parlava di «franchi tiratori» in agguato, di emendamenti-trabocchetto per far cadere l’«Italicum» nel voto segreto, dei piccoli partiti pronti all’ultimo disperato assalto... E invece, alla vigilia delle votazioni l’aria è quella di un passaggio parlamentare alquanto scontato, dove l’unica vera incognita la rappresentano i grillini, casomai volessero mettere Montecitorio a ferro e a fuoco per impedire che il testo venga licenziato entro venerdì. Cinque stelle a parte, nessuno più contesta la sostanza della riforma. La minoranza Pd, fino all’altro giorno molto sofferente, per bocca di Cuperlo lancia messaggi flautati: «Da parte nostra nessun cecchinaggio, tutto si può dire di noi tranne che manchi il senso di responsabilità». Nemmeno i partiti che rischiano l’estinzione, dai montiani agli alfaniani, pare vogliano sabotare. Fa testo la riflessione a voce alta del ministro Quagliariello (Nuovo centrodestra): «Fin dall’inizio di questa partita il nostro ruolo è stato di correzione e di coesione al tempo stesso. Ci siamo battuti per aggiustare un impianto di legge elettorale quantomeno fragile, ma pure per evitare che il tentativo di riforma fallisse creando un alibi per il partito dello sfascio e delle elezioni anticipate». Esattamente questo è il punto: se nei prossimi giorni i «franchi tiratori» riuscissero a stravolgere il famoso patto Berlusconi-Renzi, la gioia durerebbe poco in quanto l’effetto inevitabile sarebbe di scatenare la reazione dei due nei confronti di un Parlamento fuori controllo. Tornerebbe a riaffacciarsi lo spettro di elezioni immediate, che consentirebbero al segretario Pd (al Cav, a Grillo) di rimodellare le Camere a loro immagine e somiglianza. Insomma, prima di pigiare il pulsante dell’autodistruzione, gli eventuali «cecchini» ci penseranno bene. E poi ci sono tutti coloro che tifano per un «Letta-bis»: nel mezzo delle trattative, si guarderanno bene dal provocare incidenti di percorso. Magari vorrebbero le preferenze, oppure gradirebbero alzare la soglia del premio di maggioranza dal 37 per cento al 40. Però poi ne farebbe le spese Letta, meglio non insistere. Dunque niente emendamenti al testo base su cui il relatore Sisto (Forza Italia) sta portando le ultime limature? La previsione è che qualche tentativo di modifica ci sarà. Però senza mettere in discussione i pilastri della riforma. Piuttosto, cercando di ritardarne l’attuazione nel tempo. Ad esempio, è pronto un emendamento trasversale per rinviare l’entrata in vigore della legge al giorno in cui chiuderà il Senato. La speranza dei proponenti, inutile dire, è che quel giorno non arrivi mai... Da - http://lastampa.it/2014/02/10/italia/politica/italicum-armi-spuntate-per-i-contrari-AgMCeo3lO8lf8hE16GpQKO/pagina.htm Titolo: UGO MAGRI Il sogno del Cavaliere: patto con Renzi per riabilitare l’onore Inserito da: Admin - Marzo 02, 2014, 11:30:26 am POLITICA
01/03/2014 - centrodestra, le mosse di Berlusconi Il sogno del Cavaliere: patto con Renzi per riabilitare l’onore Il berlusconiano “Chi”: “Silvio e Matteo mai così vicini” Ugo Magri Roma Qualche frammento di vero dovrà pur esserci, perché troppi sono gli indizi, idem le coincidenze, per liquidare come bufale le voci di un patto Berlusconi-Renzi destinato a cogliere tutti di sorpresa: non ora ma in autunno, dopo le elezioni europee. Tutti i frequentatori di Arcore ne parlano come del segreto di Pulcinella, sebbene in che cosa concretamente consista questo presunto accordo nessuno lo sa: governi Pd-Forza Italia, taglio delle ali a destra e a sinistra, scenari fantascientifici alla Ridley Scott... «Vedrete cose che voi umani nemmeno vi immaginate» sussurra chi si abbevera alle confidenze del Cavaliere. L’ultimo folle sogno berlusconiano scommette che Renzi sia davvero l’interlocutore atteso per vent’anni, «il nostro Gorbaciov» come l’ha effigiato sul «Giornale» il direttore Sallusti. Un leader capace di abbattere il muro dell’ostracismo nei confronti di Berlusconi, di riabilitarlo a sinistra, di restituirgli l’onore politico sporcato dalla condanna e magari addirittura di riportarlo nel Palazzo con tutti gli onori... È assai improbabile che il piano berlusconiano sposi le ambizioni di Renzi. Il quale, lungi dal rimettere in circolo un personaggio così ingombrante, forse semplicemente mira a sottrargli i voti, a portargli via fette di elettorato in cambio di qualche moina. E forse non solo quella. Il premier ha scelto un ministro dello Sviluppo, la Guidi, che Berlusconi avrebbe messo di suo. Ha rinunciato al magistrato Gratteri per la Giustizia, piazzando due sottosegretari non certo ostili alla causa del Cavaliere. In cambio, Berlusconi ha completamente cessato di essere antagonista (come il suo ruolo di oppositore richiederebbe), lasciando a Grillo le radure della protesta. Da settimane il Cavaliere recita la parte dell’avversario senza minimamente crederci. Siamo al punto che giorni fa ha rinunciato alla telefonata mattutina con Belpietro, su Canale 5, nel timore di sperticarsi troppo in elogi per Matteo, in questo modo recandogli danno... Paolo Romani si è dovuto quasi ammutinare nei confronti del capo, il quale lo pressava perché nel discorso sulla fiducia in Senato lasciasse le piume di Renzi in un modo che il capogruppo «azzurro» giudicava esagerato e poco decoroso. In Forza Italia cresce il disagio. «Niente critiche pregiudiziali», sintetizza gli umori Minzolini, «ma nemmeno beatificazioni gratuite». L’aumento della Tasi è stato accolto quasi come una liberazione, ieri i «falchi» ne hanno profittato per mitragliare il governo come ai vecchi tempi. Tuttavia nessuno si illude che il Cavaliere demorda. Per convincersene, basta la copertina del settimanale berlusconiano «Chi»: un panegirico congiunto a Silvio e a Matteo, ritratti in pose identiche e «mai così vicini». Da - http://lastampa.it/2014/03/01/italia/politica/il-sogno-del-cavaliere-patto-con-renzi-per-riabilitare-lonore-ICt4Gf7xJxT7oOy3qBZjMK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI L’Italicum, prima prova per il governo Inserito da: Admin - Marzo 03, 2014, 05:29:26 pm Politica
03/03/2014 L’Italicum, prima prova per il governo Il premier dovrà decidere se mantenere l’impegno con Alfano e “tradire” l’accordo con Berlusconi sulle riforme Ugo Magri Roma Ogni cosa ha il suo tempo, e nella domenica di Renzi altre questioni hanno avuto netta priorità. Parlare con la Merkel dell’Ucraina, ad esempio, ieri era di gran lunga più importante del pollaio domestico. Per cui non c’è da stupirsi che la legge elettorale sia rimasta in ombra. Tuttavia oggi il premier dovrà dedicarvi un tot di attenzione perché domani iniziano le votazioni alla Camera. Già stasera l’assemblea dei deputati Pd vorrà ricevere lumi su come regolarsi, e quale che possa essere la decisione molte tensioni per il governo ne deriveranno. Renzi si trova a un bivio: o resta fedele al patto del 18 gennaio con Berlusconi e sfida a scrutinio segreto le frange inquiete del Pd (oltre, si capisce, alla «santa alleanza» dei partitini). Oppure, per non rischiare la prima sconfitta parlamentare, il presidente del Consiglio può disdire gli accordi col Cav e siglare un compromesso coi piccoli partiti che gli permetta di superare indenne il cerchio di fuoco. Perché di impresa ardua realmente si tratta, causa le votazioni a scrutinio segreto su oltre 200 emendamenti. Il più insidioso è quello presentato da Lauricella (Pd area Civati), che posticipa l’entrata in vigore dell’«Italicum» al giorno in cui il Senato dirà sì alla propria riforma. Qualcuno sostiene che per ragioni di regolamento verrà votato in modo palese, dunque senza «franchi tiratori». Però cambierebbe poco in quanto nel segreto dell’urna, prima del Lauricella, andranno comunque votati altri 5 emendamenti, sottoscritti da altrettanti esponenti di tutti i partiti eccezion fatta per Forza Italia, che puntano a cancellare l’intero articolo 2 della legge, rendendola inapplicabile al Senato. L’effetto sarebbe un Lauricella al cubo. Non è dato prevedere la decisione ultima del premier, che con i suoi si dichiara fiducioso di «portare a casa la legge entro questa settimana» e ha vestito i panni del lottatore (nella sua stanza è comparso un pallone da rugby). Era previsto ieri sera un chiarimento con Alfano, ma se vi sia effettivamente stato, e soprattutto sull’esito, nulla trapela. La forza di Angelino sta negli impegni presi nel famoso colloquio notturno da cui decollò il governo: testimoni Lupi e Franceschini, Renzi promise che avrebbe dato via libera all’emendamento Lauricella. Però nessuna riforma istituzionale si farà, e forse nemmeno la legge elettorale, se il Cavaliere offeso si metterà di traverso. Tra l’altro, nel giro stretto berlusconiano asseriscono che l’intesa siglata un mese e mezzo fa fu messa addirittura nero su bianco, con tanto di postille e condizioni. In caso Renzi venisse meno ai patti, aggiungono minacciosi da quelle parti, non sarebbe difficile rinfacciargli il voltafaccia. Toti, consigliere politico dell’ex premier, alza preventivamente il tiro, «il credito di Renzi si sta esaurendo, speriamo che sulla legge elettorale trovi più coraggio». In realtà Verdini, che con il capo del governo mantiene un filo fondato sulla reciproca simpatia, nutre speranze di portare a casa il risultato, «alla fine Matteo rispetterà i patti» è il mantra. E perfino nel caso che non li rispettasse, ostenta tranquillità il capogruppo Brunetta, «noi usciremmo vincitori comunque, perché verrebbe a dimostrarsi che nemmeno Renzi riesce a farsi rispettare dalla sua sinistra». Insomma per Berlusconi la classica situazione che gli anglosassoni definirebbero di «win or win». Da - http://lastampa.it/2014/03/03/italia/politica/litalicum-prima-prova-per-il-governo-k0X0IJ1AmgAnkBLWzD8mTP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Un Berlusconi capolista È pressing su Pier Silvio Inserito da: Admin - Marzo 24, 2014, 05:05:55 pm Politica
20/03/2014 - retroscena Un Berlusconi capolista È pressing su Pier Silvio Il padre vorrebbe lanciare il figlio che cerca però di resistere Pier Silvio Berlusconi avrebbe un gradimento del 20,6%. Davanti solo Renzi, Letta e il papà Ugo Magri Roma L’erede politico di Berlusconi, il «Mister X» al quale l’ex premier vorrebbe passare il testimone, è anch’egli un imprenditore televisivo. Per giunta milanese. Quel che più conta, porta lo stesso cognome del leader di Forza Italia. Cambia soltanto il nome, seppure di poco: Pier Silvio anziché Silvio. Si tratta del figlio quarantaquattrenne, sottoposto a un pressing davvero intenso perché accetti di rivoluzionare (in peggio) la propria esistenza finora molto tranquilla e sicuramente sobria, se confrontata ai parametri di famiglia. Precisiamo subito che Pier Silvio non sembra propenso a farsi trascinare sul ring. Oppone una resistenza fondata su considerazioni molto sensate. Ma la questione risulta tuttora aperta, e non è mai semplice far cambiare idea al Cavaliere quando si mette in testa una fissa. Testimoni super-attendibili giurano di aver sbirciato il discorso, scritto di suo pugno da Silvio, con cui Pier Silvio dovrebbe accettare la candidatura alle prossime elezioni europee quale capolista «azzurro» in tutte e cinque le circoscrizioni. A certi suoi ospiti il Cavaliere ha mostrato con orgoglio un «trailer», dove si vede suo figlio che parla disinvolto e brillante in una convention aziendale: la prova che a Pier Silvio non mancherebbe la verve per duellare in pubblico con un battutista del calibro di Renzi. E a questo proposito, circola ad Arcore un sondaggio riservatissimo dell’istituto Tecnè. È aggiornato al 18 marzo, e misura il gradimento degli italiani. Al primo posto della hit parade troneggia Renzi (42,2 per cento), seguito a distanza da Letta al 25,5. Terzo si piazza Berlusconi senior (23 per cento). Ma subito dopo, distaccato di un’incollatura e in ascesa rispetto a un precedente campione, ecco Berlusconi junior: quarto con il 20,6 per cento di approvazione, due punti più della sorella Marina. Della quale molto si era parlato come possibile risorsa del centrodestra, nonostante lei avesse ripetutamente smentito. Così come era circolata voce che Barbara (figlia di Veronica) ardesse dalla voglia di cimentarsi, nonostante le disavventure del Milan di cui è dirigente, con conseguente calo di popolarità. Pochi, anzi nessuno, aveva immaginato che l’occhio del Cavaliere stesse posandosi invece sul secondogenito. Ai suoi occhi ha i seguenti pregi: 1) è giovane 2) maschio 3) di bella presenza 4) senza grilli per la testa (una compagna fissa da 17 anni, la soubrette Silvia Toffanin) 5) concentrato sul «fare», inteso come lavoro a testa bassa in azienda. Insomma, chi meglio di lui per dare un senso di continuità fisica, anzi genetica, a una leadership che la condanna in Cassazione impedisce a suo padre di esercitare? Quando gli hanno messo sotto il naso le rilevazioni Tecnè, Silvio ha fatto un salto sulla sedia: «Ecco la conferma delle mia intuizioni...». Ed è partito alla carica. Però Pier Silvio resiste (sebbene a sera con minor vigore, dopo alcune telefonate di notabili «azzurri» terrorizzati dalla prospettiva che un suo no possa spalancare le porte a Barbara). Lui dirige Mediaset da quasi vent’anni. Mollare in questo momento il volante sarebbe, esemplificano esagerando nel mondo del Biscione, «come se Marchionne smettesse di guidare la Fiat». C’è di più: Pier Silvio non ha mai espresso pulsioni forti per la politica. Esiste anzi il fondato sospetto che le sue idee collimino solo in parte con quelle del paterno genitore (in passato aveva manifestato simpatie per la Bonino). Dovesse mai cimentarsi, darebbe dispiaceri a papà. Che poi è il destino comune dei figli. Da - http://lastampa.it/2014/03/20/italia/politica/berlusconi-sulla-scheda-pressing-su-pier-silvio-ss2Lv0bRS2ATsze9N9Z5MK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI L’asse De Benedetti-Renzi raffredda il Cavaliere Inserito da: Admin - Aprile 06, 2014, 06:14:53 pm Politica
19/02/2014 - Forza Italia L’asse De Benedetti-Renzi raffredda il Cavaliere Berlusconi è stato messo sull’avviso dai suoi: «Renzi pronto a tradirti» Ugo Magri ROMA Il seme del dubbio si è insinuato nella mente del Cavaliere proprio nel giorno delle consultazioni con Renzi. L’hanno messo sull’avviso che Matteo (di cui Silvio è politicamente «cotto») lo tradisce con suoo acerrimo nemico, l’ingegner De Benedetti. Quel nome, a quanto si racconta, ha avuto su Berlusconi l’effetto di un brusco risveglio, come se un sogno a occhi aperti si fosse improvvisamente infranto: il sogno di un sodalizio con Renzi capace di riportare il Cav al centro di tutti i giochi, compresi quelli futuri per il Quirinale... Invece Berlusconi teme, adesso, di aver preso un abbaglio. Qualcuno, forse il suo consigliere politico Toti, gli ha fatto notare lo sfogo dell’ex ministro Barca, che al telefono con un falso Vendola descrive De Benedetti come il vero regista del governo nascente. Stessa segnalazione al Cavaliere è pervenuta da altri ambienti, come se in tanti si fossero passati la voce. Col risultato che l’«innamoramento» per Renzi, fin qui irrefrenabile, ha ceduto il posto a calcoli più coi piedi per terra. Verso sera addirittura l’uomo è arrivato a esprimere giudizi alquanto severi nei confronti del presidente incaricato, che vedrà questa mattina alle 10 nell’ambito delle consultazioni. «Non ha avuto certo una bella partenza», è il giudizio più carino. E poi: «Perfino i suoi vecchi amici rifiutano di fare i ministri, col risultato che al governo Renzi sarà circondato dai traditori», epiteto con cui Berlusconi identifica gli alfaniani. Insomma: sembra escluso che stamane il leader «azzurro» voglia spingersi oltre la promessa di un’opposizione «costruttiva», vale a dire non pregiudizialmente ostile. Blinderà il rispetto del patto sulle riforme, a cominciare da quella elettorale, ma pretenderà che Renzi onori gli accordi con lo stesso puntiglio, specie per quanto concerne sbarramenti e premi di maggioranza, senza nulla concedere ai piccoli partiti. Lamenterà l’assenza del capitolo giustizia. E si riserverà di accogliere le proposte del governo in materia economica alla luce del giudizio insindacabile che ne darà Brunetta, cliente tutt’altro che facile (come ben sanno Monti dapprima e Letta poi). «Il nostro atteggiamento sarà legato ai fatti, unica cosa che conta per la gente», garantisce Mariastella Gelmini. Anche perché «di Renzi non ci si può fidare», assicura un vecchio squalo della politica come il senatore Minzolini: «Oggi sembra un amico, ma fra tre giorni non esisterebbe a mettere un coltello nella pancia di Berlusconi, se gli tornasse vantaggioso...». Da - http://lastampa.it/2014/02/19/italia/politica/lasse-de-benedettirenzi-raffredda-le-simpatie-del-cavaliere-per-il-sindaco-1HkS6QoUsEyjNcIonr5UDM/pagina.html?exp=1 Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: diremo di sì solo quando la corda starà per spezzarsi Inserito da: Admin - Aprile 28, 2014, 06:09:29 pm Politica
26/04/2014 Berlusconi: diremo di sì solo quando la corda starà per spezzarsi Continuano gli incontri tra Verdini e Guarini sulle modifiche Ugo Magri Roma Berlusconi è parecchio soddisfatto di sé. Voleva far sapere all’Italia che lui c’è ancora, non l’hanno parcheggiato tra gli anziani di Cesano Boscone, e dunque lo «strappo» del «Porta a Porta» ha ottenuto pienamente il suo scopo: ieri tutti i titoli erano per lui, tornato al centro del ring con un colpo sotto la cintura di Renzi (così lo giudicano dalle parti del premier). L’ha dipinto come un «simpatico tassatore» e, soprattutto, gli ha bloccato il progetto di riforme della Costituzione. Insomma: l’«ego» del Cavaliere, nella ricorrenza della Liberazione, risultava appagato. Resta il punto interrogativo, che in primis è di Renzi ma poi ci riguarda tutti: che ne sarà della legge elettorale, del nuovo Senato e del futuro Titolo V, che dovrebbe mettere ordine nel pasticcio di competenze tra Stato e Regioni? Forza Italia se ne farà carico, oppure siamo già ai titoli di coda dell’ennesimo patto infruttuoso tra Berlusconi e la sinistra? Alle ore 20 di ieri sera, il consigliere politico Toti ha fatto intendere via «Tg5» che nulla è precluso, anzi dipende tutto da Renzi. Perché è il Pd, nella versione berlusconiana, che cambia continuamente le carte in tavola e rende a Forza Italia la vita impossibile... Messa in questi termini, sembrerebbe quasi un puzzle di facile soluzione: sarebbe sufficiente che sulla materia più controversa, vale a dire la riforma del Senato, il premier prestasse finalmente orecchio alle richieste berlusconiane. E smussasse certi spigoli del progetto Boschi, mai presentato del resto come un vangelo. Anzi, i mediatori sono già all’opera, manco a dirlo nelle persone dei soliti Verdini e Guerini, il primo per conto di Forza Italia, l’altro del Pd. Pochi giorni fa s’erano visti, e avevano in gran segreto concordato certe modifiche al testo governativo, tutte quante finalizzate a mettere il Cavaliere a proprio agio. E dunque: meno sindaci nel futuro Senato delle autonomie (quelli delle aree metropolitane); più consiglieri regionali, con una ripartizione territoriale meglio proporzionata tra Regioni grandi e piccine; cinque senatori indicati dal Capo dello Stato, anziché 21. Sempre per venire incontro a Berlusconi, i due negoziatori avevano messo a fuoco un altro punto controverso: il ruolo del Senato nell’elezioni dei massimi organi costituzionali. In modo da fornire garanzie che chi vince le elezioni, comunque, non piglia tutto. E di tale lavorio dietro le quinte Berlusconi era stato costantemente informato, figurarsi se il fido Verdini gli avrebbe mai nascosto qualcosa. Ciò nonostante, il Cav è andato da Vespa con un tono dell’umore che definire negativo sarebbe poco. Dunque, palesemente, non è semplice questione di ritocchi, tolgo una virgola qua e ne aggiungo una là. Dev’esserci dell’altro dietro il cambio repentino di umore. La risposta più vera che si ricava da quelle parti ha molto a che vedere con il braccio di ferro tra le due anime del partito berlusconiano. Dove i mediatori pro-Renzi, Verdini in testa, si scontrano con lo scetticismo di Brunetta, e una volta prevalgono i primi, in altre fasi la spunta il capogruppo. Che considera l’intero impianto riformatore, messo in piedi da Renzi e da Verdini, come «una mappazza immangiabile», un caotico impianto senza pesi e contrappesi, per effetto del quale chi vincesse le elezioni anche solo di uno zero virgola, diventerebbe poi il padrone d’Italia. Di questi argomenti, l’altro ieri Berlusconi si era innamorato. Ieri, più dialogante, la metteva così: «Daremo il via libera solo quando la corda sarà sul punto di spezzarsi, e non prima». Da - http://lastampa.it/2014/04/26/italia/politica/berlusconi-diremo-di-s-solo-quando-la-corda-star-per-spezzarsi-uMcKrF6xwru1lz27I6LiPI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La paura di Grillo incrina il patto sulle riforme Inserito da: Admin - Maggio 15, 2014, 10:53:00 am Politica
13/05/2014 - verso il voto. le sfide tra i poli La paura di Grillo incrina il patto sulle riforme Berlusconi si sfila: la strada di Renzi non può essere la nostra Ugo Magri Roma Da venerdì scorso è proibito pubblicare i sondaggi. Ma la legge permette di farli. E i primi a passarseli sottobanco non sono i personaggi politici, come verrebbe da immaginare, bensì gli istituti finanziari più importanti. Guarda caso, sulla piazza milanese ieri c’era grande fibrillazione: importanti operatori di Borsa davano per certa una vittoria grillina alle Europee. Da Milano le voci sono rimbalzate immediatamente a Roma, nei palazzi che contano. Dove in molti già si chiedono quale potrebbe essere (a parte tutti gli altri eventuali contraccolpi) l’impatto di un trionfo a Cinque stelle sulle riforme. La risposta che nelle sedi altolocate si raccoglie è netta: se Grillo andrà forte, a maggior ragione le riforme dovranno essere portate a compimento. Perché rinunziarvi sarebbe come alzare bandiera bianca. Né il Pd, né il vecchio e nuovo centrodestra sembrano ancora pronti alla resa... Se invece la domanda si riferisce al patto tra Berlusconi e Renzi, beh, in questo caso nessuno mette la mano sul fuoco. Le riforme andranno fatte, d’accordo; ma il premier non dovrà contare sull’ormai ex-Cavaliere. Per due ragioni. La prima è che Berlusconi si sta vistosamente sfilando. Tra le sue ultime esternazioni ne spicca una molto simile a un «de profundis»: «Stiamo ritenendo di non poter seguire la strada proposta da Renzi», contro il quale Berlusconi aggrava il tono della sua critica. Indigesta per Forza Italia è la bozza di Senato delle autonomie presentata dalla ministra Boschi. Ancor meno accettabile è la legge elettorale in gestazione, che prevede un ballottaggio tra i due schieramenti più grossi. A Berlusconi l’«Italicum» non conviene più, perché ha rotto con gli alleati. Salvini, segretario della Lega, fa finta di non conoscerlo. E con Alfano si è creato un solco incolmabile sul piano umano, oltre che politico. Da sola, Forza Italia avrebbe zero chance di arrivare e vincere al ballottaggio. Insomma, il leader forzista pare deciso a stracciare le intese del Nazareno. Casini invita a non prenderlo troppo alla lettera, «in campagna elettorale Berlusconi dice cose che non pensa nemmeno...». Ed effettivamente può essere che dopo il 25 maggio l’uomo torni sui suoi passi, specie se verrà bastonato dagli elettori. Ma perfino in quel caso non è detto che un ripensamento berlusconiano sia sufficiente a tenere in vita il patto del 10 gennaio. Ed ecco il secondo motivo di scetticismo: a fronte di una travolgente avanzata grillina, l’intesa col Condannato rappresenterebbe per il premier un motivo di debolezza e di grave imbarazzo. Sarebbe numericamente vantaggiosa ma politicamente molto difficile da gestire: anche questa è una valutazione molto diffusa specie in Senato, dove di riforme si sta discutendo. Figurarsi la reazione grillina davanti a un patto costituzionale che tagliasse fuori un terzo del Paese... Guarda caso, con molta tempestività Alfano si è fatto avanti: «Se Forza Italia partecipa alle riforme, bene. Altrimenti le approviamo a maggioranza, andiamo al referendum e lo vinciamo», ha twittato. Quagliariello, che del Ncd è coordinatore nazionale, conferma precisando: l’«Italicum» andrà cambiato, ma sulle altre riforme noi ci saremo... Se l’onda grillina diventerà tsunami, gli alfaniani si propongono come salvagente del governo e delle riforme. Da - http://lastampa.it/2014/05/13/italia/politica/la-paura-di-grillo-incrina-il-patto-sulle-riforme-ojRvqEcM6eqcImL1ImGe9J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Anche Previti lascia Silvio e sostiene Alfano Inserito da: Admin - Maggio 16, 2014, 06:49:56 pm Politica
16/05/2014 - Forza Italia. L’addio dei fondatori Anche Previti lascia Silvio e sostiene Alfano L’ex ministro appoggia il Ncd nel Centro Italia Cesare Previti è stato condannato a 6 anni per lo scandalo Imi-Sir Ugo Magri Roma Scajola chi? Berlusconi ne parla come se dovesse frugare nei ricordi. Acqua passata, vorrebbe convincerci. Fa il paio con Dell’Utri: i due «da tempo non partecipano alla vita del partito», di qui i vuoti di memoria. Ma c’è un terzo antico sodale che l’ex Cavaliere potrebbe tranquillamente aggiungere alla lista dei «desaparecidos»: Cesare Previti. Nemmeno lui interviene più alle riunioni forziste. Tantomeno si fa vivo ad Arcore o a Palazzo Grazioli. E non solo «Cesarone» latita, ma l’intero mondo previtiano brilla per la propria assenza dalle adunanze forziste. L’altro ieri, ad esempio, Tajani ha riempito l’Hotel Parco dei Principi con signore inguainate e attempati esponenti del «generone» romano per la gioia di Berlusconi, che non si aspettava tutta quella gente disposta a sorbirsi le sue disgrazie. Ma dell’ex ministro, ras della Roma «pariola», nemmeno l’ombra. Trapela notizia che pure lui se n’è andato. Senza pubblici proclami, ha detto ciao a Forza Italia e al suo leader: ora gravita dalle parti di Alfano, dove la circostanza viene confermata, in verità con un certo pudore: Previti non è, specie in campagna elettorale, il miglior biglietto da visita per un partito che voglia puntare sulla legalità (6 anni di carcere incassati per la vicenda Imi-Sir, e uno «stage» ai servizi sociali per il «Lodo Mondadori»). Però contano i fatti. E questi fatti documentano il nuovo traumatico congedo dal giro stretto berlusconiano dopo il licenziamento della storica segretaria Marinella, dopo l’addio tormentato del portavoce Bonaiuti, dopo lo strappo politicamente doloroso di Bondi. Primo: già da novembre il cognato di Previti, onorevole Sammarco, si era unito alle «stampelle della sinistra» (amabile definizione che Berlusconi dà degli alfaniani). La circostanza non sfuggì al «Foglio» e a Berlusconi medesimo. Secondo, l’intero clan previtiano si sta battendo con molta energia per un’affermazione Ncd nel Centro Italia, dove capolista è la ministra Lorenzin. Terzo, nella fitta rete dei colloqui privati il capo-clan non lesina critiche anche severe al suo amico Silvio. Gli rimprovera errori da matita blu. Anzitutto Previti contesta l’intera linea difensiva adottata da Ghedini e da Longo nei confronti del loro assistito: troppa inutile conflittualità coi magistrati che tanto, come si è visto, hanno il coltello dalla parte del manico. Ciò detto, l’ex ministro della Difesa non vede un costrutto logico nella scelta di andare all’opposizione. Al posto del Cav, lui mai si sarebbe sfilato dal governo Letta, avrebbe continuato a tenere le mani in pasta perché contare poco (nella sua visione molto pragmatica) è sempre meglio che contare nulla. Cose dette personalmente a Berlusconi nell’ultima rimpatriata, presente Dell’Utri, che risale a fine ottobre. Non risulta che da allora si siano più confrontati. Oggi sarebbe impossibile, in quanto Previti è pregiudicato, dunque appartiene esattamente a quella categoria di soggetti che Berlusconi non deve frequentare, per ordine del Tribunale di sorveglianza. Nel frattempo, le rispettive strade si sono separate. Da - http://lastampa.it/2014/05/16/italia/politica/anche-previti-lascia-silvio-e-sostiene-alfano-VKS2tTNeJbAeCtSAtUUlVP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Alfano chiama Forza Italia “Una coalizione popolare con Berlusconi... Inserito da: Admin - Giugno 01, 2014, 06:14:41 pm Politica
31/05/2014 - l’intervista Alfano chiama Forza Italia “Una coalizione popolare con Berlusconi e la Lega” Il leader Ncd: “Ma Forza Italia non vada a rimorchio della Le Pen” Ugo Magri Roma Che cosa le fa venire in mente, onorevole Alfano, questa corrispondenza di amorosi sensi tra Forza Italia e la Lega? «La contraddizione parla da sé: un partito membro del Ppe che si precipita a cercare accordi con la variante italiana del lepenismo. Penso alle enormi praterie che si aprirebbero per il Nuovo centrodestra, se fossi così cinico da volerne approfittare». Sia sincero, una tentazione ci sarebbe... «Sì, ma con la stessa franchezza le dico: anziché sfruttare questa occasione è più serio fare il bene del Paese». E l’interesse collettivo dove sta? «In una scelta diversa. Occorre costruire uno schieramento in grado, la prossima volta, di sfidare la più grande forza del socialismo europeo». Un fronte dei moderati? «Una coalizione popolare italiana che li rimetta in gioco. Ma che non sia una somma di sigle e abbia un programma». Vede un precedente storico capace di rendere l’idea? «La Coalicion Popular della Spagna post-franchista. Quando il centrodestra era spezzettato in una decina di soggetti politici, ciascuno a forte impronta leaderistica, si mise in moto un processo, oggi lo chiameremmo un cantiere, che portò nel 1976 all’Alleanza popolare e tre anni dopo alla Coalizione democratica da cui prese origine il Partito popolare». Ci faccia capire: come mai lei tende la mano ai concorrenti del centrodestra e propone, un domani, di rimettervi insieme? «Perché sono rimasto molto colpito dal discorso di Renzi alla direzione Pd. Lui ha perfettamente compreso che, se vuole consolidare il 41 per cento, deve cambiare prospettiva e assorbire al proprio interno un centro, una destra e una sinistra, dai liberali di Scelta civica a una porzione di Sel. Non a caso ha parlato di un partito della nazione». Cosa c’è di strano? «Nazione è concetto di destra. Mai un leader della sinistra si era avventurato così in là». Scusi, ma allora perché non vi unite anche voi a quel partito della nazione? «Perché, come dice il nome, Ncd lavora a un’altra prospettiva. Ed è la ragione per cui sarebbe utile che Forza Italia non facesse scelte lepeniste». E se invece non le dessero retta, anzi accentuassero le scelte estremiste? «Molti moderati in fuga potrebbero fermarsi da noi. Altri invece verrebbero risucchiati da Renzi, e la sfida con il Pd verrebbe persa in partenza». Con la Lega siete stati alleati per vent’anni, ci avete governato insieme quando Bossi evocava i fucili... Com’è che adesso avete delle riserve? «Non sfuggirà, spero, una differenza. Bossi aveva a che fare con Forza Italia al 29 per cento nel 2001 più An al 13, e con il Pdl al 39 per cento nel 2008. Guidavamo noi. Adesso la debolezza di Forza Italia è tale che rischia di trasformare la Lega nell’autista». Non la volete a bordo? «Il ragionamento è opposto: bisogna rimettere in gioco tutti. Compresi quanti, dentro Scelta civica, non desiderano aderire al Pd. Comprese le aree, dall’Udc ai Popolari per l’Italia, con cui abbiamo condiviso la battaglia europea». Perché mai Berlusconi dovrebbe cambiare strategia? «E’ uomo pragmatico. Credo che non sarebbe nel suo interesse ostacolare questa evoluzione». Si riparla di primarie del centrodestra: lei è pronto a cimentarsi? «Prima deve nascere una coalizione. Se e quando nascerà, è evidente che il candidato premier non potrà essere sorteggiato. Tantomeno uno potrà decidere per tutti». Qualche super-falco dirà: dopo le elezioni Angelino viene a Canossa... «Nemmeno per sogno. È esattamente il rovescio. Dal momento che abbiamo varcato con le nostre gambe la soglia del Parlamento europeo, siamo nella condizione di indicare una prospettiva comune». Voi al governo, Forza Italia all’opposizione: Renzi deve preoccuparsi per la tenuta del governo? «Non casco in questo giochino. Nessuno deve rinnegare niente. Noi continuiamo a pensare che a ottobre sarebbe stato un disastro precipitare l’Italia nella crisi, e nel governo vogliamo affermare la nostra identità rilanciando su riforme come mercato del lavoro e giustizia, lotta alla burocrazia e alle tasse. Ma non chiediamo a Forza Italia di rinnegare la propria scelta di andare all’opposizione, e nemmeno quella di partecipare alle riforme. Ovviamente, pretendiamo il reciproco». Perché non ne parla direttamente con Berlusconi? «Perché in questa fase è bene privilegiare il confronto pubblico delle idee. Nel frattempo, magari, una moratoria degli insulti personali da parte dei giornali di famiglia sarebbe di qualche aiuto». Negli ultimi mesi sono circolati molti veleni. Si sente nello stato d’animo giusto per provare a ricostruire sulle macerie del centrodestra? «Certamente ho l’animo sereno, io...». Da - http://lastampa.it/2014/05/31/italia/politica/una-coalizione-popolare-con-berlusconi-e-la-lega-vM34HgiF4ANpJhntiiI4FO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, il caso Ruby frena le riforme Inserito da: Admin - Giugno 17, 2014, 05:15:46 pm Politica
16/06/2014 - partiti. Le nuove strategie Berlusconi, il caso Ruby frena le riforme Venerdì al via l’appello del processo: l’ex premier pronto a mettere da parte gli accordi presi con il Pd Ugo Magri Roma Tutta questa voglia di chiarirsi con Renzi, e di prendere impegni definitivi sulle riforme, l’ex Cavaliere non la sta dimostrando. Anzi, dà la netta impressione di svicolare. Finge di farsi tirare la giacca dai suoi, chi da una parte e chi dall’altra, in modo da apparire combattuto e con questa scusa rinviare ogni appuntamento. Prova ne sia che il faccia a faccia risolutivo non è ancora fissato in agenda. Rimane nel limbo delle intenzioni. Tutti sono certi che prima o poi l’incontro avverrà, nessuno sa prevedere quando. Nel frattempo si sono fatti avanti Salvini e Grillo, disponibili a colloquiare con Renzi. Il quale ha urgenza di procedere, esige di sapere chi ci sta. Per cui la domanda è: Silvio che cosa aspetta? Non teme di essere tagliato fuori? No, a quanto pare non teme affatto. «Se il Pd vuole mettersi nelle mani di Grillo, o appendere alla Lega il destino delle riforme, padronissimo di suicidarsi...», alzano le spalle dalle parti di Arcore. Dove nutrono la matematica certezza che Renzi nelle prossime ore tornerà alla carica con Berlusconi. Il quale, confermano nel «cerchietto magico», non ha la minima fretta di farsi stringere in un angolo. Anzitutto per le ragioni suggerite da Brunetta. Argomenta il capogruppo alla Camera: se devi negoziare un accordo, conviene sederti al tavolo quando la controparte è debole. In questo momento Renzi appare fortissimo. Meglio dunque rinviare il braccio di ferro conclusivo al giorno che avrà perso un po’ di smalto. Accettare adesso sarebbe un insulto alla grammatica politica. Berlusconi dunque sfugge in quanto teme di rimetterci e basta. Darla vinta al «giovanotto» senza qualcosa di veramente forte in cambio (leggi: impegno sul presidenzialismo) significherebbe spaccare Forza Italia e, soprattutto, alimentare l’equivoco tra gli elettori, che considerano lui e Renzi fin troppo in sintonia (se ne sono visti i risultati alle Europee). Fin qui i calcoli politici. Poi c’è un secondo aspetto che con la politica e, forse, con la razionalità non c’entra un bel nulla perché molto semmai ha a che vedere con la natura degli umani, con i loro sentimenti e pulsioni. Nel caso di Berlusconi, inseparabili dalle sue disgrazie processuali. Venerdì comincia a Milano il processo di appello per Ruby e l’Imputato non parla che di questo. A chiunque lo chiami, regala interminabili sfoghi. Professa la propria innocenza, lamenta i quattro lustri di «persecuzione» ai suoi danni, teme di finire sepolto vivo. In primo grado venne condannato a 7 anni di carcere; se gli venissero confermati, altro che servizi sociali... Il verdetto è questione di settimane. Ma da subito, senza attendere la sentenza, Berlusconi vestirà i panni infamanti dell’imputato per concussione e, soprattutto, per sfruttamento della prostituzione minorile. L’umiliazione è tale che i suoi avvocati nemmeno sanno se il cliente accetterà di presentarsi in aula. In questo stato d’animo, le sorti della riforma costituzionale sono l’ultimo dei suoi pensieri. «Riparliamone dopo il processo e dopo la sentenza», è la reazione in parte inevitabile. Dove si coglie una vena di sordo risentimento contro il Pd, contro lo stesso Renzi che in autunno guidò il fronte giustizialista («peggio della Bindi, una specie di Leoluca Orlando», accusa Minzolini), contro le istituzioni ai massimi livelli che non hanno mosso un dito per tirarlo fuori dalle peste. Fa letteralmente impazzire Berlusconi che gli chiedano di comportarsi, fino a giovedì 19 giugno, come un potenziale padre della Terza Repubblica, salvo salire sul banco degli imputati dal 20 giugno in avanti quale sfruttatore di minorenni. Un cortocircuito oggettivo, una tempistica micidiale, una sovrapposizione che, comunque la si voglia giudicare, non aiuta lo sforzo di Renzi. Nessuno avrebbe mai immaginato che il cammino delle riforme si sarebbe arenato contro lo scoglio di Ruby Rubacuori. Ma la realtà batte 3 a 0 la fantasia. Da - http://lastampa.it/2014/06/16/italia/politica/berlusconi-il-caso-ruby-frena-le-riforme-7ZwBHCWtRJZrCuAJbG5l2O/pagina.html Titolo: UGO MAGRI A un passo dal sì Senato, il governo blinda l’intesa con Fi Inserito da: Admin - Giugno 25, 2014, 05:35:03 pm Politica
25/06/2014 - riforme. A un passo dal sì Senato, il governo blinda l’intesa con Fi Berlusconi benedice l’accordo. I forzisti non porranno problemi Ugo Magri Roma L’accordo con Forza Italia, stavolta, c’è per davvero. Un’ora e mezzo di colloquio tra il ministro Boschi e la delegazione berlusconiana (Matteoli-Verdini) ha sciolto i dubbi residui. Per cui adesso le riforme di Renzi hanno una maggioranza oceanica: sulla carta, ben 280 senatori su 320. Poi, certo, le defezioni non mancheranno tanto nelle file Pd che in quelle berlusconiane. Ma per quanto numerose possano essere, la soglia dei due terzi sembra a portata di mano (in Senato si colloca a quota 214). Insomma, la notizia è che Renzi ha blindato le sue riforme e, forse, non avrà nemmeno bisogno di passare attraverso un referendum confermativo. A questo punto, con la strada politicamente in discesa, chi se ne importa se la Commissione affari costituzionali in Senato si prenderà qualche ora in più per presentare i sub-emendamenti. Difatti nessuno, nei palazzi romani, si straccia le vesti. Le votazioni cominceranno domani, o magari direttamente la prossima settimana, per approdare in Aula dopo il 15 luglio. Entro il mese verrà approvata in prima lettura. L’unica incognita è rappresentata da Ruby: nel senso che la sentenza del processo di appello a Berlusconi è attesa per il 27 del mese prossimo, e casomai la condanna a 7 anni di carcere venisse confermata potrebbe accadere di tutto. Però al momento l’ex Cavaliere sembra orientato a non mettere bastoni tra le ruote. Anzi, i suoi avvocati gli consigliano caldamente di mostrarsi collaborativo sulle riforme, di tenere un tono alto da statista se vuole coltivare la speranza di un’assoluzione. Si racconta che ieri mattina, parlando al telefono con i suoi, Silvio abbia tagliato corto: «Inutile che mi spieghiate i dettagli della trattativa con il governo, perché tanto dobbiamo dire di sì, punto e basta...». E difatti, poco dopo, l’incontro dei suoi luogotenenti con la Boschi è filato via liscio come l’olio. Soddisfatto Romani, capogruppo «azzurro» a Palazzo Madama. Ancora più felice Verdini, che da mesi tesse dietro le quinte la tela dell’accordo con il suo compatriota fiorentino. Forza Italia chiede che nel futuro Senato i sindaci non scassino l’equilibrio proporzionale. Suggeriscono di designarli insieme ai rappresentanti delle Regioni, in modo da mantenere un certo bilanciamento tra le forze politiche. Pare che la ministra abbia dato rassicurazioni. Ma in fondo si tratta di dettagli marginali perché l’«impianto resta quello», come fa notare Alfano (e il Nuovo centrodestra lo condivide). Non solo Berlusconi dà il via libera, ma si mette a disposizione di Renzi pure sull’immunità: «Noi non porremo problemi», annuncia Romani. Proprio lui, nei giorni scorsi, aveva preso le distanze («sull’immunità ai futuri senatori nutriamo riserve»). Ora invece Forza Italia se ne lava le mani, anche per non apparire in conflitto con il suo profilo garantista. Aggiunge la Bergamini, portavoce berlusconiana: rinunciare all’immunità «equivarrebbe a far vincere l’anti-politica». Va oltre la Santanché, «bisogna ripristinare l’articolo 68 della Costituzione come era una volta», con tanto di autorizzazione per procedere contro i membri del Parlamento. Perde a questo punto rilievo l’incontro odierno tra Pd e M5S (ore 14,30 in diretta streaming su YouTube). O meglio, conterà soprattutto ai fini della propaganda. Tra l’altro, i grillini arrivano all’appuntamento parecchio mal disposti. Sul blog del loro leader è apparsa una nota dei gruppi parlamentari dove l’intero progetto riformatore viene bollato come una «porcata». E sulla pagina Facebook di Grillo sono stati postati fiumi di insulti volgarissimi, irriferibili, nei confronti della Boschi. Da - http://www.lastampa.it/2014/06/25/italia/politica/senato-il-governo-blinda-lintesa-con-fi-9eSEq5lo6lxr1ClDJo5b3L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Riforme stavolta Renzi ha i numeri (ma attento alla voglia di vendetta Inserito da: Admin - Luglio 11, 2014, 11:55:52 pm Politica
11/07/2014 Riforme, stavolta Renzi ha i numeri (ma attento alla voglia di vendette) Con l’avvicinarsi della sentenza su Ruby, attesa tra 7 giorni esatti, Berlusconi Si mostra sempre più nervoso. Arriverebbe al punto di far saltare le riforme, casomai i giudici della Corte di appello gli confermassero la condanna? Ugo Magri Roma Renzi ha motivo per essere soddisfatto: l’accordo di ieri sulla composizione del Senato chiude virtualmente i giochi in merito alla riforma. La maggioranza c’è, e pure vasta. Che i dissidenti di destra e di sinistra siano alla fine 20, o 30, o addirittura 40, ai fini pratici cambierà poco perché il premier ha la forza dei numeri dalla sua. Può coltivare addirittura la speranza che, nella seconda lettura richiesta dall’articolo 138, la riforma costituzionale passi in Aula al Senato con il quorum dei due terzi capace di evitargli la scocciatura del referendum. Game over, dunque? Se ci limitassimo alla sostanza delle riforme, probabilmente sì. Ma la politica, non solo quella nostrana, mescola spesso capra e cavoli. Obbliga le maggioranze e i partiti a conciliare esigenze diverse in una sorta di «suk», dove per vendere un tappeto è necessario comprare un cammello. Lo si è visto ieri in Commissione Affari costituzionali. Ncd e Lega hanno puntato i piedi non solo per far valere le proprie ragioni sulla composizione del Senato, ma anche (e soprattutto) per far intendere che sulla legge elettorale loro non faranno sconti a nessuno, né si faranno mettere in un angolo da Renzi e da Berlusconi. A proposito di Berlusconi: nelle ultime ore l’uomo è apparso meno risoluto e convinto, dubbioso sui patti che lui stesso ha sottoscritto col premier. Ha ceduto alle richieste di tenere un’assemblea dei gruppi parlamentari martedì mattina, che rappresenta pur sempre un punto di domanda. E con l’avvicinarsi della sentenza su Ruby, attesa tra 7 giorni esatti, l’ex Cavaliere si mostra sempre più nervoso. Arriverebbe al punto di far saltare le riforme, casomai i giudici della Corte di appello gli confermassero la condanna? Probabilmente no, perché gli resterebbe pur sempre la speranza del verdetto ultimo di Cassazione. Oppure sì, in quanto Berlusconi cede talvolta alle sue pulsioni più vendicative (Enrico Letta ne sa qualcosa). Insomma, per ora i conti tornano, e Renzi può dichiararsi soddisfatto. Ma ancora lo aspettano equazioni con parecchie incognite. DA - http://lastampa.it/2014/07/11/italia/politica/riforme-stavolta-renzi-ha-i-numeri-ma-attento-alla-voglia-di-vendette-lCen2NHcCCVZtxiaJdX5rJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Quando vedremo le riforme? Rileggere l’art.138 per saperne di più Inserito da: Admin - Luglio 13, 2014, 11:04:16 am Politica
09/07/2014 Quando vedremo le riforme? Rileggere l’art.138 per saperne di più Attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa di settembre, nuovo round alla Camera dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Ed è solo l’inizio... Ugo Magri Roma Alle volte, magari non tutti i giorni, conviene rileggersi la Costituzione. E in particolare l’articolo 138 che fissa le regole per modificarla: tema di cui nei palazzi molto si discute, talvolta purtroppo senza conoscere l’Abc. E cosa si ricava da un diligente ripasso sull’articolo in questione? Anzitutto che cambiare la Carta è come una qualificazione di Champions League, c’è l’andata, c’è il ritorno e conta pure la differenza reti. Vengono infatti richieste «due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi». Tra Camera e Senato, dunque, almeno 4 letture che, con tutta probabilità, diventeranno 5 perché difficilmente a Montecitorio gli onorevoli deputati si acconceranno a fare da passacarte dei loro colleghi senatori. Per cui attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa dopo la canicola, nuovo round alla Camera dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Sottoposti a mille pressioni, i senatori entro novembre metteranno il timbro. E a quel punto scatterà la regola dei 3 mesi: l’inizio dell’anno nuovo per il secondo via libera dei deputati, la primavera per il terzo e definitivo di Palazzo Madama. Fa notare il costituzionalista Stefano Ceccanti: «In quest’ultimo giro le due Camere dovranno limitarsi a un sì o a un no, senza possibilità di apportare emendamenti». Ecco, dunque, il binario sui cui viaggia il trenino delle riforme. Salvo imprevisti, si capisce. Ad esempio, una bella lite sulla legge elettorale potrebbe complicare i piani del governo. Già, perché tra una lettura e l’altra della riforma costituzionale si affronterà il passaggio finale dell’«Italicum» in Senato, che verrà a maturazione dopo l’estate (sebbene gli ultimi accordi tra Berlusconi e Renzi prevedano che se riprenda l’esame entro fine mese). Se l’impianto venisse stravolto per venire incontro a Grillo, l’ex Cavaliere sarebbe nella condizione di vendicarsi ostacolando le riforme costituzionali al secondo giro… Poi c’è la differenza reti, vale a dire le maggioranze parlamentari richieste per cambiare la Costituzione. Torniamo perciò a rileggere cosa sta scritto all’articolo 138: alla prima votazione è sufficiente una maggioranza semplice, come per qualunque altra legge. Invece alla seconda si richiede che sia «assoluta», vale a dire almeno la metà più uno dei componenti. In Senato, dove la situazione è più critica, servono 161 voti, traguardo alla portata. Sennonché poi basterebbero le firme di soli 64 senatori (i grillini più un manipolo di «cani sciolti») per innescare un referendum popolare sulla nuova Costituzione. In alternativa, 500 mila elettori o 5 consigli regionali. Sempre dalla (ri)lettura istruttiva del 138 si apprende che non ci sarebbe modo di disinnescare il referendum con trucchi largamente adottati negli anni recenti, tipo far mancare il quorum, dal momento che nei referendum costituzionali il quorum non esiste: perfino se alle urne si recassero pochi milioni di italiani, quel referendum sarebbe perfettamente valido. Quando si potrebbe eventualmente tenere? Non prima dell’autunno 2015, forse nei primi mesi del 2016. Perché (anche qui soccorre Ceccanti) scatterebbe a quel punto la legge 352 del 1970, che fissa un timing di circa sei mesi relativo ai vari adempimenti referendari. L’unico modo per non fare ricorso al popolo, e garantire alla riforma un’immediata attuazione, è indicata dal solito 138. Consiste in una larga approvazione nella seconda lettura, e in entrambi i rami del Parlamento. A Renzi serviranno 421 voti alla Camera e 214 al Senato. Sulla carta, potrebbe farcela grazie a Forza Italia. Purché tra i nostri eroi che siedono in Parlamento non s’insinui il terrore di essere tutti quanti mandati a casa, con nuove elezioni, subito dopo il varo della Carta riformata. Per cui, immaginando come vanno le cose, già tutti danno per scontato che il quorum dei due terzi non verrà raggiunto, e gli onorevoli si prolungheranno la vita fino al 2017. Nella segreta speranza di maturare i 4 anni, 6 mesi e un giorno che darebbero loro diritto alla pensione. Da - http://lastampa.it/2014/07/09/italia/politica/quando-vedremo-le-riforme-rileggere-lart-per-saperne-di-pi-JUDZHEQtsa0So6U35bc3AM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Forza Italia. Le liti interne Inserito da: Admin - Luglio 13, 2014, 11:18:52 am Politica
10/07/2014 - Forza Italia. Le liti interne Il disagio di Marina, testimonial involontaria dalla Pascale La primogenita di Berlusconi: “Inutile dividere il partito sui gay” Ugo Magri Roma Forza Italia è un Maracanà. In preda al delirio. Adunanze di deputati e senatori prima convocate, poi disdette, infine riconvocate da Berlusconi, costretto a esercitare la sua leadership per mettere un briciolo di ordine nel caos. Siamo al punto che Gasparri, il quale tante ne ha vissute nella sua carriera, ieri sera esclamava scandalizzato: «Mo’ basta, altrimenti qui sembriamo come il Brasile...». Già, perché tra i dirigenti regna la discordia. Uno fa e l’altro disfa. Romani, capogruppo a Palazzo Madama, per giorni aveva resistito alle pressioni dei «peones» guidati da Minzolini (ma il grosso della truppa è pilotata da Fitto) che vorrebbero rimettere in discussione gli accordi con Renzi sulle riforme, in particolare quella che secondo loro trasformerebbe il Senato in un cimitero di elefanti. Quando però gli hanno sventolato davanti 24 firme di altrettanti senatori che chiedevano un’assemblea, come ai tempi del Sessantotto, e per timore di diventare parafulmine della protesta, Romani ha detto «okay, facciamola». Con Berlusconi presente. Alle 10 di giovedì, cioè oggi. Solo senatori e senza i deputati. Dunque senza Brunetta, che è il vero stratega della resistenza anti-renziana. E cosa ha fatto allora Brunetta? Ha convocato a sua volta i deputati. Mezz’ora prima dei senatori. Quelli di là e loro di qua. Una situazione assurda, inconcepibile. Ma la mossa è stata vincente. Perché l’ex Cavaliere verso sera ha ripreso in mano lo scettro e d’imperio ha cancellato entrambe le riunioni per tenerne una congiunta martedì prossimo, ore 10. Proprio come desiderava il capogruppo alla Camera. L’impianto delle riforme non verrà stravolto poichè «Roma locuta causa finita» come dicevano gli antichi: la decisione del Capo è presa e non si torna indietro. Però verrà meglio modulata, come anticipa il consigliere berlusconiano Toti, l’opposizione al governo, che sarà più tosta di quanto sia apparsa fin qui. A sera, dopo avere imposto il coprifuoco, Berlusconi è andato a presenziare una cena di raccolta fondi allestita dalla fedelissima Rossi, con gli ospiti che hanno sborsato (tramite preventivo bonifico) mille euro a capoccia. Accanto a Silvio, una Pascale raggiante per l’eco della sua campagna pro-gay: altro motivo di tensione tra le file «azzurre» e un po’ anche in famiglia. Dove parlare di irritazione forse è troppo, poiché affetto e stima per Francesca non sono certo venuti meno. Però Marina Berlusconi non ha fatto i salti di gioia nel sentirsi chiamata in causa dalla fidanzata di papà. È vero, pure lei condivide le ragioni delle coppie «omo»; ma quale bisogno c’era (questo si domanda Marina) che la Pascale spiattellasse una confidenza privata a mezzo stampa? Tra l’altro, in un contesto alquanto sboccato di polemiche con la Bonev, con Santanchè, con tutti quanti dentro Forza Italia coltivano un’idea diversa... Pure su questo la figlia maggiore di Berlusconi nutre riserve: non le sembra il momento adatto per aggiungere nuove tensioni dentro un partito già così litigioso. I diritti gay sono una grande questione di civiltà «che tuttavia lacera il centrodestra, di sicuro non lo compatta». Non a caso Marina ha sempre evitato di esporsi sull’argomento. E il giorno in cui ritenesse giusto uscire allo scoperto, vi provvederebbe in prima persona, senza limitarsi a fare da testimonial per la battaglia della Pascale. Tantomeno Marina gradisce che Francesca l’abbia invocata quale futuro leader del centro-destra. La circostanza è stata più volte esclusa, «con preghiera di non insistere. Tra l’altro il capo c’è», obietta la presidente di Mondadori, «e di nome fa Silvio». Per cui non si comprende qualche motivo ci sia di tener vivo il tema della successione... Da - http://lastampa.it/2014/07/10/italia/politica/il-disagio-di-marina-testimonial-involontaria-dalla-pascale-1mdPbOFMp66PzR3GeKCAAP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Alfaniani sulle barricate. “Questa riforma sbilanciata ci dà in ... Inserito da: Admin - Agosto 30, 2014, 09:47:06 am Alfaniani sulle barricate. “Questa riforma sbilanciata ci dà in pasto a Berlusconi”
28/08/2014 Ugo Magri ROMA Il dramma della giustizia, e di Renzi alle prese con la sua riforma, è che i possibili interventi sono tutti etichettati. Vent’anni di «guerra civile» hanno profondamente falsato il metro di giudizio. Cosicché le intercettazioni sono considerate un tema di Forza Italia, laddove il falso in bilancio passa per un cavallo del Pd; idem la battaglia contro i tempi troppo brevi della prescrizione, mentre la responsabilità civile dei magistrati risulta una bandiera del centrodestra... Cosa non esatta perché c’è modo e modo. Il testo messo a punto dal ministro Orlando, per dire, è un piccolo capolavoro di acrobazia, chi ha la pazienza di leggerlo non ci troverà nulla di berlusconiano (e nemmeno di anti). Però, ahilui, è con queste deformazioni che il premier dovrà fare i conti nella giornata odierna, per decidere cosa portare nel Consiglio dei ministri di domani e dove invece soprassedere. Il dilemma si pone in quanto gli alfaniani sono parecchio agitati. Ieri mattina, quando Orlando ha riunito in Via Arenula la maggioranza per spiegare gli intendimenti sul terreno penale, l’imbarazzo dei rappresentanti Ncd si tagliava a fette. Da una parte volevano mostrarsi cordiali. Dall’altra non facevano nulla per nascondere il disaccordo sui tempi lunghissimi «anzi eterni» delle future prescrizioni, sui ricorsi in Appello e in Cassazione che il ministro vorrebbe frenare (perché a furia di ricorrere non si finisce mai) e invece, secondo Ncd, «così si rischia di limitare i diritti dell’imputato». Oggi Alfano riunirà i vertici del partito con l’intenzione di mettere dei paletti. Alza la voce Quagliariello: «Ci sono questioni non negoziabili in quanto fanno parte della civiltà giuridica». Ed è qui che scatta, perverso, il gioco delle etichette: uno sbilanciamento vero o presunto a sinistra esporrebbe Ncd agli attacchi dei «berluscones», alle solite accuse di tradimento, insomma a tutto il repertorio degli insulti che Forza Italia scaglia contro i fratelli separati. Diverso sarebbe se Renzi spingesse avanti la riforma delle intercettazioni, o quella del Csm: in quel caso da destra nessuno potrebbe obiettare. Ma la legge sulle intercettazioni è ancora in cantiere. L’altra sul Csm si trova anch’essa in stand-by per un giusto scrupolo istituzionale segnalato dal Colle (l’organo di autogoverno dei giudici dev’essere rieletto). Se Renzi decidesse di procedere infischiandosene di tutto ciò, Alfano finirebbe in pasto al Caimano. Affamatissimo. Narrano che Berlusconi non abbia preso bene le anticipazioni della riforma. Chi è con lui ad Arcore lo racconta «preoccupato». Lui pensava che il premier volesse limitarsi a un decreto per smaltire l’arretrato civile. Invece Caliendo e Chiarelli (cioè la delegazione che nel pomeriggio è andata da Orlando) gli ha dipinto un quadro a tinte fosche: «Questa riforma della giustizia è una regressione di 30 anni», «un danno per il sistema», anzi «il peggio del peggio del peggio...». Cosicché l’ex Cavaliere ha deciso di vederci chiaro. Telefonata a Verdini, ambasciatore accreditato presso il premier, con la «mission» di sondare le intenzioni del «giovanotto» (Matteo) e di fargli presente che così non va. Si ipotizza a breve un faccia a faccia tra Renzi e Orlando per decidere se approvare domani sera il disegno di legge su prescrizioni e falso in bilancio, oppure rinviarlo prudentemente a settembre. Il questo secondo caso, Grillo accuserebbe il premier di connivenza col condannato (non vede l’ora di rinfacciarglielo). Nel primo, invece, si aprirebbe una crepa nella maggioranza. Inoltre Berlusconi farebbe fatica a trattenere i suoi che scalpitano e mal sopportano la disciplina imposta dal Patto del Nazareno. Il puzzle si scioglierà entro le 18 di stasera. Per quell’ora è convocata a Palazzo Chigi una riunione preparatoria del Consiglio di domani. I provvedimenti che Orlando è pronto a scodellare sono sette. Vedremo quanti ne arriveranno sul tavolo del governo, e se qualcuno si perderà per strada. Da - http://lastampa.it/2014/08/28/italia/politica/alfaniani-sulle-barricate-questa-riforma-sbilanciata-ci-d-in-pasto-a-berlusconi-Pxlf9dcyS2GKJUtUB0ZADN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Consulta, dal Colle nomine equilibrate Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2014, 05:10:38 pm Consulta, dal Colle nomine equilibrate
18/10/2014 Ugo Magri Napolitano ha scelto, per la Consulta, due professori su cui c’è veramente poco da obiettare. Una, Daria De Pretis, è rettore a Trento e stimata amministrativista. L’altro, Nicolò Zanon, insegna diritto costituzionale ed è stato membro «laico» del Csm. La prima è culturalmente orientata a sinistra, il secondo risulta più attento alle ragioni nobili della destra. Nell’ottica istituzionale, l’equilibrio è perfettamente garantito. E proprio perché le nomine presidenziali non possono essere accusate di favorire questo o quello, viene meno anche una delle ragioni per cui parte del Parlamento faceva «ammuina» sulle altre due nomine di sua pertinenza: cioè menava il can per l’aia in attesa di vedere come si sarebbe regolato il Colle. Non a caso il Quirinale ora sollecita le Camere a fare la propria parte: dopo venti inutili votazioni, è venuto meno ogni possibile alibi. E la determinazione di Napolitano contiene un implicito avvertimento: faccia molta attenzione chi, profittando del voto segreto, mette a repentaglio la piena funzionalità di un organismo costituzionale. Di questo passo, il Parlamento verrebbe a dimostrarsi ingovernabile, e getterebbe le premesse della propria dissoluzione... Da - http://www.lastampa.it/2014/10/18/italia/politica/consulta-dal-colle-nomine-equilibrate-RsUbbrW6LfmRv1b6s07fKP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Renzi-Berlusconi, accordo a metà Inserito da: Admin - Novembre 15, 2014, 05:55:26 pm Renzi-Berlusconi, accordo a metà
Nota congiunta: “L’intesa è più solida che mai”. Ma restano le divergenze su sbarramento e premio alla lista 13/11/2014 Ugo Magri Roma Solo nella patria di Machiavelli può accadere che due leader si dichiarino in disaccordo su altrettanti punti chiave della riforma elettorale, salvo sostenere poi che il loro patto non è mai stato così forte. L’incontro tra Renzi e Berlusconi si è concluso con un comunicato congiunto dove viene argomentato proprio questo paradosso. Per cui viene da domandarsi come ciò sia possibile ed, eventualmente, che cosa si nasconda dietro. Chi è bene al corrente del colloquio garantisce che davvero quei due sono andati per un’ora e mezzo d’amore e d’accordo. È stato tutto uno scambio di complimenti battute e perfino smancerie. Mai un passaggio scabroso, nemmeno quando si è arrivati a trattare i motivi del dissenso: il premio di maggioranza alla lista anziché alla coalizione (è Renzi che insiste per ottenerlo), la soglia di sbarramento per i «nanetti» al 5 per cento e non al 3 (pretesa come contraccambio da Berlusconi). Tanto Silvio quanto Matteo hanno stabilito che il nodo si scioglierà con calma strada facendo, durante l’iter dell’«Italicum» in Senato che riprenderà il 18 novembre. Straordinaria acrobazia nel comunicato finale: «Le differenze registrate sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anziché alla coalizione, non impediscono di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in aula entro il mese di dicembre e la riforma costituzionale entro gennaio 2015». Non impediscono, okay, ma con i voti di chi? Al momento non con quelli di Forza Italia che, sui punti in dissenso sembra orientata ad astenersi (e in Senato l’astensione vale voto contrario). Renzi dunque dovrà far leva sulla sua maggioranza, senza «soccorso azzurro». Lui pensa di farcela, i berlusconiani scommettono di no. Possiamo dunque immaginarci il premier e Berlusconi come due giocatori di poker, uno che sostiene di avere le carte vincenti e l’altro che lo sfida: «Vediamo». Però circola un’altra interpretazione: i due non hanno chiarito perché a entrambi fa comodo lasciare per ora dei punti in sospeso. Dimodoché Renzi possa sorridere ad Alfano: «Nonostante il pressing di Forza Italia non ho alzato le soglie, e dunque voi piccoletti mi dovete la pelle». Berlusconi, dal canto suo, può tener buoni Brunetta, Fitto, Romani e Toti (li ha visti tutti quanti ieri sera a cena) con la favola dell’accanita resistenza opposta al premier, il quale voleva imporgli una soglia del 3 per cento e lui non ha ceduto... Salvo che all’ultimo momento, zac, spunterà fuori un numero intermedio, il 4 ad esempio, capace di scontentare tutti e calare il sipario sulla vicenda. Ma questi tecnicismi non sono il nocciolo vero. La sostanza è che l’ex Cavaliere, spalleggiato da Verdini, darebbe un dito pur di non essere tagliato fuori dai giochi e in particolare dalle scelte del dopo-Napolitano, rimaste sullo sfondo del colloquio. Al punto da sottoscrivere un comunicato entusiasta dove Renzi viene autorizzato a procedere, sui punti di dissenso, fuori dai famosi patti del Nazareno. Berlusconi è come se dicesse al premier: io non sono granché d’accordo ma tu fai pure, non c’è problema. Si sfoga al telefono un esponente «azzurro» di primo piano, a patto di restare anonimo: «È come se io dicessi: sì, mia moglie mi tradisce, però non ho nulla da obiettare e anzi il nostro matrimonio non è mai stato così saldo...». Da - http://www.lastampa.it/2014/11/13/italia/politica/renziberlusconi-accordo-a-met-WZrBdNMVajthFbxXqRPbUO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Tre motivi per cui “il sacco di Roma” fa male all’Italia Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2014, 05:51:28 pm Tre motivi per cui “il sacco di Roma” fa male all’Italia
Danni agli investimenti internazionali, disaffezione alla politica e sostegno indiretto alle ragioni della politica più intransigente. 05/12/2014 UGO MAGRI ROMA Il nuovo «sacco di Roma» non sarà privo di conseguenze politiche. Alcune si possono prevedere già, anche senza bisogno della sfera di cristallo. 1) La capitale d’Italia in mano alla mafia, sia pure una mafia molto «sui generis», non ci aiuta in generale. Si rafforzerà nel mondo l’idea - non del tutto infondata - che darci finanziariamente una mano sia inutile e anzi dannoso perché servirebbe solo a sostenere il malaffare. In particolare, quando ci sarà da chiedere soccorsi all’Europa per i rifugiati politici e per i Rom, sarà più difficile ottenere ascolto: visto l’uso che dei fondi comunitari è stato fatto dalla premiata ditta Carminati & C., ogni richiesta italiana verrà accolta con un surplus di scetticismo e di diffidenza. 2) Chi ci sguazza è soprattutto la Lega. Per Salvini, questo rigurgito di «Roma ladrona» vale mille campagne promozionali, è quanto di meglio avrebbe potuto desiderare. Secondo autorevoli sondaggisti, aspettiamoci che i «padani» ne ricevano ulteriore slancio, a spese soprattutto di Forza Italia. Il partito di Berlusconi c’entra abbastanza poco con Alemanno, la cui storia politica è tutta diversa; eppure, nell’immaginario collettivo, Alemanno è stato un sindaco berlusconiano a tutti gli effetti. Il Cavaliere ne pagherà politicamente il conto. 3) Neppure il PD ci fa buona figura. L’intreccio di relazioni con l’altro boss della «cupola» Buzzi è stato tale da giustificare il commissariamento immediato disposto da Renzi. Probabile che la pentola scoperchiata dai magistrati aumenti il disgusto di molti elettori, che già alle recenti elezioni in Emilia Romagna non si sono mostrati entusiasti di votare per questi partiti. L’idea di una corruzione così estesa e così profondamente radicata avrà quale inevitabile conseguenza un maggior tasso di disaffezione già dalle Regionali della prossima primavera. Attendiamo un grande flop di partecipazione. Da - http://www.lastampa.it/2014/12/05/italia/politica/tre-motivi-per-cui-il-sacco-di-roma-fa-male-allitalia-K9n9Cfh4A8QnXVS8XCfiIN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Renzi, il Colle e il contrappasso generazionale Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2014, 03:09:42 pm Renzi, il Colle e il contrappasso generazionale
Il premier sarà obbligato a designare un personaggio tra coloro che avrebbe voluto “rottamare”. Ecco perché non muore dalla fretta di affrontare la questione 09/12/2014 Ugo Magri Di cambiare l’inquilino del Colle, Renzi non avvertiva alcun bisogno. Avrebbe sicuramente preferito trattenere Napolitano per almeno altri sei mesi, fino all’estate prossima, senza doversi porre il tema della successione adesso. Nella mente del premier ci sono altre priorità. E comunque, l’elezione presidenziale si presenta per lui come un appuntamento non privo di trappole. La più insidiosa per certi versi Renzi se l’è fabbricata da se medesimo e consiste nel «paradosso generazionale». Per effetto di tale paradosso, il premier sarà obbligato a designare un personaggio tra quanti egli avrebbe voluto «rottamare». E che ha tentato politicamente di mettere in un cantone. È una banale questione anagrafica. Renzi non ha ancora varcato i quaranta, li passerà a gennaio. La nostra Costituzione stabilisce che per la più alta magistratura della Repubblica l’età minima sia di anni 50. In teoria il prescelto (o la prescelta) potrebbe avere appena superato quella soglia. Ma l’esperienza insegna che di solito non funziona così. Il più giovane Capo dello Stato fu Cossiga: quando venne eletto aveva 56 anni. E comunque la media dei nove Presidenti dal 1948 a oggi è parecchio più elevata, diciamo che si colloca a quota 72. A Renzi come Presidente potrebbe capitare un nonno, più facilmente un genitore. Cioè un esponente della generazione che ha vissuto il Sessantotto e che è cresciuta nei chiaroscuri della Prima Repubblica, dal suo punto di vista autentici brontosauri. Ben che gli vada, sempre per effetto delle regole costituzionali, per il giovanissimo premier il successore di Napolitano può rappresentare un fratello maggiore o una sorella con 15 anni di più che, quando Matteo andava in triciclo, usciva già col suo fidanzato... Insomma, questa legge del contrappasso generazionale aiuta a capire come mai Renzi non muoia dalla fretta di affrontare la partita del Colle, e perché sono così pochi i nomi su cui potrebbe puntare. Da - http://www.lastampa.it/2014/12/09/italia/politica/renzi-il-colle-e-il-contrappasso-generazionale-pGZ7vMnH4370BXINzKi1wM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Napolitano, saluto agli italiani con un discorso di ottimismo Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2015, 05:14:41 pm Napolitano, saluto agli italiani con un discorso di ottimismo
Questa sera in diretta tv e internet il congedo del presidente della Repubblica. Parlerà dei mali nazionali e dei rimedi, oltre che delle sue imminenti dimissioni 31/12/2014 Ugo Magri Roma Alle 20,30 di stasera, via internet e su tutte le reti tivù nazionali, andrà in onda il nono messaggio agli italiani di Giorgio Napolitano. Sarà anche il suo secondo e stavolta definitivo congedo. Il primo porta la data del 31 dicembre 2012, quando il mandato ormai volgeva al termine e (allora come oggi) tra i partiti già impazzava il toto-Quirinale. Nulla in quel momento faceva presagire un bis di fatica per l’anziano presidente che aveva già compiuto 87 anni e sperava di dedicare più tempo a se stesso, alla famiglia, alle amate letture. Nell’occasione Napolitano rivendicò di aver svolto il proprio compito «con scrupolo, dedizione e rigore». Ringraziò «dal profondo del cuore» tutti quanti gli avevano fatto sentire il loro affetto e il loro sostegno. E su quelle parole sembrava dovesse calare il sipario. Invece un supplemento di fatica gli fu imposto dalla paralisi del dopo-elezioni. Cosicché alla vigilia del nuovo addio vale la pena di andarsi a rileggere che cosa puntualizzò 12 mesi dopo Napolitano, quando ritornò in video a San Silvestro 2013. «Resterò presidente», specificò, «fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno». Con una precisazione ulteriore: «Fino ad allora e non un giorno di più; e dunque di certo solo per un tempo non lungo». Quel tempo è agli sgoccioli. Due settimane fa Napolitano, rivolgendosi alle alte cariche della Repubblica, aveva annunciato una «conclusione imminente». Stasera ne spiegherà i termini agli italiani, questo è inevitabile, ma non è detto che indichi pure la data esatta che porterà la lettera di dimissioni indirizzata alla presidente della Camera Boldrini: ci sono controindicazioni di prudenza e anche un po’ di scaramanzia. D’altra parte le intenzioni di Napolitano sono chiare, cosicché dal 13 gennaio in avanti, non appena Renzi avrà pronunciato davanti al Parlamento di Strasburgo il discorso conclusivo del semestre italiano di presidenza Ue, ogni giorno potrà essere anche l’ultimo del mandato. Altra facile scommessa: il tono del messaggio sarà ispirato alla fiducia nel futuro e, pur nelle difficoltà, all’ottimismo della ragione. Per usare una metafora d’attualità, Napolitano non è un comandante che abbandona la nave nel mezzo della tempesta (e l’ha dimostrato). Se ritiene di potersene andare non è solo per limiti di età ma perché l’orizzonte promette bene, o in ogni caso ci sono istituzioni sufficientemente solide con un governo e una maggioranza in grado di camminare sulle proprie gambe, senza il puntello quirinalizio. La fase dei governi presidenziali si è conclusa quasi un anno fa, ora a Palazzo Chigi c’è un premier attivo e ambizioso, che vuole agire di testa sua. Si prevede che il saluto durerà una ventina di minuti e conterrà una franca elencazione dei mali italiani, nonché dei possibili rimedi, comprese alcune proposte. Napolitano ci ha lavorato tutto il pomeriggio di ieri e proseguirà in giornata. Sarà il rendiconto di una lunga stagione incominciata in un’Italia che, nel 2006, era molto diversa. A Palazzo Chigi c’era Prodi, Berlusconi aveva appena perso le elezioni per una manciata di voti, la politica era spaccata in due blocchi, non esistevano i grillini e, soprattutto, la crisi economica non sembrava così nera... Come due anni fa, i pacchi con la corrispondenza privata di Napolitano sono già pronti per essere traslocati in parte nell’abitazione di via dei Serpenti, dove da presidente emerito tornerà a vivere con la moglie Cloe, e il resto nello studio a Palazzo Giustiniani, giusto di fronte alle stanze che ospitano Carlo Azeglio Ciampi, il suo predecessore. Da - http://www.lastampa.it/2014/12/31/italia/politica/napolitano-saluto-agli-italiani-con-un-discorso-di-ottimismo-gK4qWuogtHZAjOOGCDYSxK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi tenta di passare all’incasso sul Colle Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2015, 05:33:55 pm Dopo il soccorso azzurro a Renzi sulle riforme, Berlusconi tenta di passare all’incasso sul Colle
28/01/2015 Ugo Magri Ci sono affermazioni che, per senso di opportunità, alle volte sarebbe meglio evitare. Per esempio, certi esponenti del governo e del Pd hanno festeggiato ieri il varo della legge elettorale in Senato sostenendo che la maggioranza è bastata a se stessa, l’apporto del centrodestra non è risultato determinante. Vero, ma perché sottolinearlo? Per far credere che da domani, quando si voterà per il Presidente della Repubblica, l’ex Cavaliere non sarà determinante? In realtà sull’«Italicum» i voti di Forza Italia sono stati essenziali almeno in un paio di passaggi. E perfino ieri, quando non ce ne sarebbe stato bisogno, la maggioranza è risultata tale per appena 3 voti. Ma con 3 voti di vantaggio non si governa: ne sa qualcosa Prodi, che tra il 2006 e il 2008 aveva un margine di 7 voti in Senato, ma non gli evitarono una lunga agonia politica. Questo per dire che Renzi è tuttora il «dominus», colui che dà le carte per effetto della sua grande popolarità. Ma sul piano dei numeri in Parlamento deve stare attento, molto attento, tanto nelle votazioni per il Colle quanto nel day-by-day dell’attività di governo. Berlusconi conosce questa fragilità di Renzi. Gli si è avvicinato sperando di sfruttarla a proprio vantaggio in modo da poter dire al mondo: «Mi credevate fuori dei giochi, e invece eccomi qua, più centrale che mai». A questa sua centralità imposta dai numeri in Parlamento il Cav non intende rinunciare. Dopo aver concesso aiuti e sostegni, addirittura sostituendosi alla sinistra Pd e concedendo il via libera a una legge elettorale che penalizza il centrodestra sotto diversi aspetti, ora l’uomo punta all’incasso. Vuole pesare sul nuovo Capo dello Stato. E, se si dà credito al suo mondo, pretende che di essere ascoltato. Ecco perché il colloquio odierno tra Renzi e Berlusconi non si annuncia facile. Testardo il primo e determinato il secondo. Pare che il premier voglia convincere l’interlocutore a farsi piacere Sergio Mattarella, uomo politico e giurista di provenienza cattolica, con un fratello (Piersanti) eroe dell’antimafia. Ma al Cavaliere Mattarella non va giù. Lo considera figlio di una tradizione politica a lui molto ostile. Lo paragona idealmente a Oscar Luigi Scalfaro, autentica «bestia nera». Pensa (e come lui la vedono i negoziatori Verdini e Gianni Letta) che stavolta il «ragazzo» Renzi stia un po’ esagerando. Forte dei numeri che lo rendono partner necessario, Berlusconi pretende dal premier un segno tangibile di riconoscenza, contrappone a Mattarella un Amato o un Casini. Il patto stretto con Alfano restringe ulteriormente a Renzi i margini di manovra. Insomma, oggi il nodo viene al pettine. Qualunque esito appare possibile, tanto un’intesa quanto una clamorosa rottura. Da - http://www.lastampa.it/2015/01/28/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2015/dopo-il-soccorso-azzurro-a-renzi-sulle-riforme-berlusconi-tenta-di-passare-allincasso-sul-colle-kNj4HGeawtj4LSkmjLDjJP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Ascolto e cortesia, il Mattarella-Style spiazza i politici Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2015, 04:40:50 pm Ascolto e cortesia, il Mattarella-Style spiazza i politici
Al termine dell’incontro Brunetta si è mostrato soddisfattissimo, scommettendo che Mattarella farà tutto quanto è nelle sue possibilità per rimettere le cose a posto. Cambio di passo anche con Grillo: gettate le basi per un dialogo costruttivo 17/02/2015 Ugo Magri Che cosa farà in concreto Mattarella, quali atti politici metterà in cantiere per ristabilire un clima di dialogo nel Parlamento sulle riforme, è prematuro azzardarlo. «It takes two to tango», per ballare bisogna essere in due, dicono a ragione gli anglosassoni, e in questo caso per andare d’accordo c’è bisogno non solo della mediazione quirinalizia, ma soprattutto di buona volontà da parte dei duellanti, che al momento non abbonda. In attesa di farci scoprire le sue intenzioni, tuttavia, il neo Presidente sta dando prova di una attenta disposizione d’animo nei confronti delle opposizioni. Gli incontri di stamane al Colle (il primo con la delegazione di Forza Italia, l’altro con Sel) seguono di pochi giorni le richieste dei due partiti, dunque sono entrati nell’agenda presidenziale con una certa sollecitudine. Di fronte al Capo dello Stato, Brunetta ha potuto illustrare le sue preoccupazioni circa i rischi che corre la Repubblica nel caso si sommino insieme monocameralismo e sistema elettorale ultra-maggioritario: tesi che il capogruppo ha sempre sostenuto con coerenza, va detto, perfino quando il suo leader di riferimento sosteneva l’esatto contrario. Alla fine del colloquio Brunetta si è mostrato soddisfattissimo, scommettendo che Mattarella farà tutto quanto è nelle sue possibilità per rimettere le cose a posto. Ma il vero cambio di passo va registrato nei confronti dei Cinque Stelle. La cortese risposta epistolare a Grillo, il quale si era rivolto al Presidente con altrettanto garbo istituzionale, getta le basi per un incontro cordiale tra i due e, quel che più conta, per un dialogo non effimero con l’opposizione fin qui più irriducibile. Pure in questo caso, siamo solo al «carissimo amico. Sufficiente però a segnalare che, forse, Mattarella riserverà delle sorprese. Agli amici e anche a chi non aveva puntato su di lui. Da - http://www.lastampa.it/2015/02/17/italia/politica/ascolto-e-cortesia-il-mattarellastyle-spiazza-i-politici-GUHWhmwpVzlU3PG86AKSZL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI A Venezia un test per Renzi, ma il vero timore è Roma Inserito da: Admin - Giugno 27, 2015, 10:35:32 am A Venezia un test per Renzi, ma il vero timore è Roma
Sulla Capitale l’ombra di nuovi arresti che porterebbero al voto anticipato Matteo Renzi ha incassato una vittoria per 5-2 alle Regionali 14/06/2015 Ugo Magri Roma La fortuna di Renzi è che il candidato sindaco del Pd a Venezia si chiama Casson: un esponente della minoranza interna sempre in conflitto col leader e pronta a rinfacciargli qualunque passo falso. Per cui stasera, casomai la bandiera della sinistra venisse ammainata in Laguna e vincesse il campione del centrodestra Brugnaro, Renzi non faticherà a trovare gli argomenti per rivoltare la frittata. Dirà di prendersela con quei veneziani che nelle primarie hanno bocciato i suoi candidati. Né gli avversari interni avranno troppa voglia di addossargli la colpa. In questo senso Casson rappresenta per il premier una polizza di assicurazione. Dopodiché, se l’ex pm riuscirà a spuntarla nel ballottaggio, pure Renzi ne ricaverà vantaggi. L’impatto del test Con il Pd che mantiene Venezia, Renzi potrà sostenere con più argomenti che questa tornata amministrativa è stata (Liguria a parte) un successo. Poco importa che cosa accadrà a Rovigo, o a Chieti, oppure a Matera, insomma negli altri 11 capoluoghi di provincia dove oggi si vota (2 milioni 160 mila gli aventi diritto): Venezia ha ben altro peso. Con tutto quanto sta accadendo sull’immigrazione, con le opposizioni scatenate che ormai si scambiano tra loro gli argomenti, Grillo usa quelli di Salvini e Brunetta gli stessi di Di Maio, una vittoria nella città del Mose avrebbe per il governo un segno rassicurante. Darebbe la sensazione di un timoniere che nella burrasca tiene la barra dritta. In caso contrario, beh, sai che risate si farebbero i gufi... Direbbero che Renzi non possiede antidoti contro gli anti-sistema, nei migranti e nella sicurezza ha il suo tallone d’Achille, il famoso 40 per cento delle Europee è un ricordo sbiadito e, con esso, pure la capacità di controllare le spinte centrifughe destinate a crescere in Parlamento. Con ansia il Pd comincerebbe a considerare le Comunali 2016, quando andranno alle urne città come Milano, Torino, Napoli: quel voto potrebbe diventare un calvario. Figurarsi poi se alle città contese dovesse aggiungersi Roma, magari sull’onda della questione morale. Scommessa Capitale La soluzione immaginata da Renzi pare al momento funzionare: il sindaco Marino ha sostanzialmente accettato un «tutor» nella figura del prefetto Gabrielli, che cercherà di aiutarlo nel Giubileo («coordinamento istituzionale» lo definisce pudicamente Orfini). L’obiettivo è di spostare per quanto possibile l’attenzione dal primo cittadino, senza arrivare alle maniere forti del commissariamento. Resta tuttavia l’incognita rappresentata da Mafia capitale. Si vocifera di una terza tranche dell’inchiesta, dagli esiti che al momento nessuno è in grado di prevedere. Con il rischio che tutti i calcoli di oggi possano rivelarsi sbagliati. E Roma rotoli verso le urne nel peggiore dei modi. Da - http://www.lastampa.it/2015/06/14/italia/politica/a-venezia-un-test-per-renzi-ma-il-vero-timore-roma-t3CZ82q5wO6t4X2rnmGsPN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Referendum: un paio di dritte per chi vota (e per chi non vota) Inserito da: Arlecchino - Aprile 16, 2016, 05:38:52 pm Referendum: un paio di dritte per chi vota (e per chi non vota)
ANSA 16/04/2016 Ugo Magri Molti dei 50.786.340 elettori sanno già come regolarsi e non hanno bisogno di consigli. Ma ce ne sono altri (un bel po’) che si stanno ponendo in queste ore il problema: andare o non andare alle urne? Accanto alle mille motivazioni più serie e profonde ce ne sono altre, meno nobili, che possono aiutare i dubbiosi nella decisione. Tipo che tempo farà domani; o come sapere in anticipo se il loro voto potrà essere decisivo. Ecco un paio di dritte a riguardo. Il trucco degli orari I risultati si sapranno alla chiusura dei seggi, dalle ore 23 in poi. Ma l’aria che tira si capirà molto prima, già a mezzogiorno. Per quell’ora il Viminale ha promesso che pubblicherà i primi dati sull’affluenza. Le comparazioni col passato indicano che, sotto il 10 per cento, molto difficilmente il quorum verrà raggiunto, ci vorrebbe un miracolo. Sopra quota 10, invece, a sentire gli esperti ci sarebbe una chance. Per cui chi vuole scomodarsi o meno in base all’affluenza si colleghi dopo le ore 12 al sito elezioni.interno.it, dove la «primizia» comparirà in tempo reale. Ps: se è vero che l’affluenza di mezzogiorno può invogliare un po’ di gente (o il contrario), il consiglio a chi sostiene la causa no-triv è di alzarsi presto, nonostante la domenica sia una fatica, e di recarsi al seggio quanto prima, in modo da far scattare alle 12 una percentuale più interessante. Che tempo farà C’è chi magari, tutto sommato, a votare ci andrebbe, però dentro di sé non trova motivazioni così forti e dunque si affida al meteo: se c’è il sole va al mare o fuori città, se invece piove magari un salto al seggio lo fa. Ecco, questi dubbiosi sappiano che domani il tempo sarà così così. Pioggia e temporali nel Nord Ovest, «nuvole sparse» (è l’esatta dizione) in tutto il resto della Penisola, con tendenza al bello dopo pranzo. Una scampagnata fuori porta sarà possibile, anche se Renzi probabilmente avrebbe gradito di meglio, un anticipo dell’estate. Diciamo che il tempo sarà «super partes», non con il premier ma nemmeno con l’opposizione. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/04/16/italia/politica/referendum-un-paio-di-dritte-per-chi-vota-e-per-chi-non-vota-0BLwzfWqlThZvBUDQXZPRN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella: in Bosnia rischio foreign fighter Inserito da: Arlecchino - Maggio 30, 2016, 06:09:10 pm Mattarella: in Bosnia rischio foreign fighter
Il Capo dello Stato a Sarajevo: abbandonare i Balcani al loro destino è un pericolo anche per la Ue LAPRESSE 30/05/2016 Ugo Magri Inviato a Sarajevo L’Europa distratta non si era accorta, dodici mesi fa, che attraverso la «rotta balcanica» stava per riversarsi una grande ondata migratoria. Allo stesso modo le cancellerie europee fingono oggi di non vedere le serie questioni insolute nei Balcani, da cui possono derivare rischi per la sicurezza di tutti. Incominciando dal terrorismo islamico. L’Italia fa in qualche modo eccezione. Con la sua presenza ieri e sabato a Sarajevo, quale invitato d’onore per il vertice annuale dei Paesi del Gruppo Brdo-Brioni, Sergio Mattarella è alla terza missione nell’area, per molti aspetti la più importante. Perché nell’incontro con la presidenza bosniaca si è parlato a fondo di «foreign fighter». E nel summit concluso ieri l’Italia è stata considerata alla stregua di un alleato ma anche per certi versi un arbitro autorevole. Groviglio di tensioni Basti dire che il macedone Ivanov, rappresentante di un Paese dal nome contestato (per la diplomazia si chiama Fyrom), ha chiesto a Mattarella di premere sul greco Tsipras perché pure lui partecipi al prossimo vertice tra 12 mesi in Macedonia, così da rasserenare un poco le relazioni con Atene. Più volte durante il vertice gli sguardi si sono indirizzati a Mattarella come possibile mediatore. Per esempio, durante un «franco» confronto tra la croata Grabar-Kitarovic e il serbo Nikolic sui crimini della guerra di vent’anni fa. A un certo punto il padrone di casa, Itzebegovic, ha raccomandato a tutti di moderarsi nel linguaggio soprattutto una volta tornati nei rispettivi Paesi, per non eccitare i risentimenti ancora vivi. Proprio con Itzebegovic, Mattarella aveva parlato di terrorismo. Perché dalla Bosnia Erzegovina partono a frotte i «foreign fighter» che ingrossano le file dell’Isis. Il presidente bosniaco non lo nega affatto. Ma insiste che la gran parte della popolazione musulmana nei Balcani è fermamente ostile al terrorismo. Mette in guardia contro le ingiustizie sociali poiché «pure quelle» a suo parere creano condizioni favorevoli all’estremismo. In quanto chi non ha nulla da attendersi nella vita diventa più facile preda di quanti lo rendono partecipe di qualche presunto «grande disegno». È convinzione di Mattarella che abbandonare questi Paesi a se stessi, senza offrire una prospettiva europea concreta, potrebbe soltanto aggravare i problemi loro (e nostri). Sul fronte migratorio, il Capo dello Stato continua a rivendicare risposte globali perché considera «singolarmente ingenuo» chi pensa di «dirottare altrove» il flusso dei disperati. «Questi bambini, queste donne, questi uomini cercano semplicemente una esistenza migliore, come farebbe ciascuno di noi nelle stesse condizioni», guai a dimostrarsi sordi. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/05/30/esteri/mattarella-in-bosnia-rischio-foreign-fighter-ZFpsOVjAIvcewQGe16hbON/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Sulle riforme renziane un imbroglio di date Inserito da: Admin - Giugno 09, 2016, 11:33:08 am Sulle riforme renziane un imbroglio di date
09/06/2016 Ugo Magri Roma Da abile comunicatore qual è, Renzi ci sta facendo credere che l’ultima parola spetterà al popolo, nel referendum di ottobre. E c’è del vero, ci mancherebbe. Non solo voteremo la nuova Costituzione ma, indirettamente, ci pronunceremo pure sulla legge elettorale dal momento che le due riforme vanno a braccetto, l’«Italicum» può funzionare solo se si cancella il Senato (altrimenti avremmo due sistemi elettorali diversi per ciascun ramo del Parlamento, come dire il caos). Renzi per giunta ci mette su un bel carico, confermando che se venisse battuto se ne andrebbe un attimo dopo. Per cui al caos istituzionale si sommerebbe pure quello politico. Giudizio della Consulta In realtà, l’ultimissima parola non sarà affatto la nostra. Perché subito dopo il pronunciamento popolare ci sarà quello della Consulta. Che studierà gli aspetti più controversi della legge elettorale e su quelli formulerà un giudizio definitivo. A essere pignoli, la Corte costituzionale si pronuncerà non una ma due volte nel varco di poche settimane. La prima il 4 ottobre sul ricorso sollevato tre mesi fa dal Tribunale di Messina, che ha contestato ben sei profili-chiave dell’«Italicum». Secondo qualche giurista di provata fede renziana, il ricorso di Messina verrà bocciato per motivi strettamente procedurali, essendo stato presentato quando la legge non era ancora diventata operativa (lo sarà dal primo luglio prossimo), insomma con eccessivo anticipo. Ma pure nel caso in cui andasse davvero così, e il ricorso fosse dichiarato inammissibile, ci sarebbe subito dopo un secondo pronunciamento della Corte. Stavolta non sul ricorso di qualche Tribunale, bensì su espressa previsione della nuova Costituzione. Dove al comma 11 dell’articolo 39 (Norme attuative) sta scritto che per sollecitare un giudizio della Corte sulla legge elettorale basteranno le firme di un terzo dei senatori o di un quarto dei deputati. Raccoglierle, specie alla Camera, sarà quanto di più facile specie se i Cinquestelle saranno d’accordo. La Corte avrà 30 giorni di tempo per rivoltare l’«Italicum» come un calzino, e decidere se tutto è ok. A quel punto silenzio e rullo di tamburi che precede gli esercizi di alta acrobazia. Punto di domanda Insomma: fino al verdetto della Consulta, sulla riforma elettorale penderà un grande, gigantesco punto di domanda. Perché i 14 giudici costituzionali (dovrebbero essere 15 come una squadra di rugby, ma il successore di Mattarella deve ancora essere eletto) vanno considerati altrettante monadi. Riservatissime, silenziose, diffidenti, gelose ciascuna della propria competenza. Non c’è un solo giudice disposto a lasciarsi indottrinare da qualche collega più esperto quale potrebbe essere per esempio Amato (che tra l’altro ben si guarda dal dare suggerimenti non richiesti). Riassumendo: ai primi di ottobre, probabilmente il 2, ci pronunceremo nel referendum più decisivo degli ultimi 70 anni. Ma due giorni dopo la Consulta dirà la sua una prima volta. E comunque si pronuncerà una seconda entro la metà di novembre con un verdetto su cui Renzi potrà solo incrociare le dita. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/06/09/italia/politica/sulle-riforme-renziane-un-imbroglio-di-date-vQ5EgT3DmJAzzWDD6Khr3K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Referendum tutti contro Renzi Inserito da: Arlecchino - Giugno 17, 2016, 08:00:20 am Referendum tutti contro Renzi
08/06/2016 Ugo Magri Visto attraverso gli occhiali del referendum costituzionale di ottobre, questo voto per i sindaci non promette nulla di buono. Perché domenica scorsa quasi due terzi del corpo elettorale hanno premiato i partiti del «no», dalla Lega a Forza Italia a M5S, mentre quelli favorevoli (Pd e relativi «cespugli») sono rimasti sotto il 40 per cento. Se l’Italia fosse ancora quella di trent’anni fa, quando le masse seguivano pedissequamente la volontà dei rispettivi partiti, dovremmo prepararci a un autunno di veri sconquassi: bocciatura al referendum della riforma Boschi e conseguente caos sulla legge elettorale, aggravato dalla crisi politica che le dimissioni del premier renderebbero inevitabili. Faremmo bene ad allacciarci da subito le cinture. Si può obiettare che no, fortunatamente non è più come una volta, ormai la gente è matura e sa scegliere di testa propria. Dunque sarebbe sbagliato prevedere l’esito del referendum in base alla semplice somma algebrica dei partiti a favore e contro. Inoltre, ecco l’altra obiezione, un conto sono queste Comunali, dove in gioco è il futuro delle città; altra cosa sarà il giudizio sulla nuova Costituzione, che chiamerà in causa la fine del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari, oltre al rapporto tra Stato-Regioni. Mescolare due piani così diversi tra loro sarebbe come confondere le mele con le pere. Eppure, fatti i necessari distinguo, rimane la sensazione che il voto di domenica non sia di ottimo auspicio per il «sì». In quanto tradisce un’insofferenza magari fisiologica, però presente un po’ dappertutto, a Napoli e a Bologna, a Roma e a Milano. Fotografa un clima di stanchezza che non aiuta chi ha l’onere di governare. Al confronto con le Europee 2014, quando il Pd aveva grandi praterie politiche davanti a sé, stavolta non è stata (non sarà nemmeno ai ballottaggi) una cavalcata solitaria del premier, il quale ha avuto l’onestà di riconoscerlo pubblicamente. Viceversa, la ventata populista mette le ali alla Raggi e rende competitiva la sua collega Appendino. Perfino il centrodestra dà cenni di risveglio, perlomeno là dove si presenta unito come a Milano. Non è merito di Berlusconi o Salvini, i quali anzi hanno fatto di tutto per perdere; dipende semmai dal contesto generale, dal «mood» collettivo un po’ più favorevole a chi rema contro. Su questo malumore le opposizioni proveranno a far leva in ottobre. Punteranno sui sentimenti negativi, nella speranza che il ritorno dalle vacanze li moltiplichi per mille. La loro propaganda potrebbe dimostrarsi al dunque più efficace della narrazione renziana, avviata con largo anticipo. Ecco perché il voto di domenica allunga parecchie ombre sul verdetto di ottobre. Ed ecco come mai i fautori del «sì» non possono stare sereni. Ma c’è uno strano paradosso che potrebbe scombinare ogni calcolo. Il paradosso si riassume in una semplice domanda: se Renzi si va indebolendo per effetto del contesto generale, e se questa sua debolezza rimette in corsa gli avversari, quale vantaggio possono avere le opposizioni a impantanare il sistema? Cosa ci guadagnerebbero a bocciare una riforma che permetterà a chi vince di governare per 5 anni senza pasticci e senza «inciuci»? Tanto Grillo quanto Berlusconi sono davanti a un bivio: possono puntare al pareggio mettendo la mina referendaria sotto la futura Costituzione; o mostrare fiducia in se stessi e tentare di vincere l’intera posta, accettando le nuove regole del gioco. Qualche piccolo segnale fa ritenere che una riflessione sia in corso, specie tra i Cinquestelle. O almeno tra quanti, di loro, provano a guardare lontano. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/06/08/cultura/opinioni/editoriali/referendum-tutti-contro-renzi-SzqEg3Ub6I8UCd1m4xoxVP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il referendum di ottobre può essere la nostra Brexit: le due opzioni.. Inserito da: Arlecchino - Giugno 26, 2016, 12:08:07 pm Il referendum di ottobre può essere la nostra Brexit: le due opzioni di Renzi
25/06/2016 Ugo Magri Il referendum costituzionale di ottobre può diventare la nostra Brexit. Nel senso che il popolo sovrano sarà chiamato a pronunciarsi in un colpo solo sulla nuova Costituzione, sulla legge elettorale che da essa dipende e sul governo della Repubblica che, se il «sì» perde, se ne va a casa. Alla luce di quanto è accaduto nel Regno Unito, Renzi ha due strade molto diverse, anzi opposte, dinanzi a sé. Appuntamento col caos La prima strada è quella di far leva sullo tsunami di paure e allarme che il voto britannico ha causato. Della serie: cari italiani, attenti a non ripetere lo stesso sconquasso anche da noi. Dunque, Renzi può caricare l’appuntamento referendario di significati apocalittici, insistendo a personalizzarlo, a renderlo sempre più uno spartiacque tra la stabilità e il caos: «Après mois le déluge», aveva già detto qualcun altro prima di lui. Strada numero due: sdrammatizzare L’altra via consiste nel tirarsene fuori, nel lasciar fare, nel togliere il proprio volto (e quello di Maria Elena Boschi) dalla campagna referendaria. Spersonalizzando al massimo grado. Affidando le chiavi del «si» a un Comitato composto da personaggi autorevoli, universalmente stimati e capaci di comunicare in tivù. Soprattutto, lasciando che gli elettori giudichino la riforma senza strattonarli con drammatizzazioni e minacce di Armageddon. Il rischio del «domatore» Su quale strada imboccare, il premier non ha bisogno di consigli. Però Brexit una cosa insegna a tutti, e forse anche a Matteo: la «tigre» del voto popolare non si fa cavalcare. Per quanto abile sia, il «domatore» rischia di essere sbranato. Può capitare perfino che il popolo sovrano, per ribellarsi a quella che vive come una scelta obbligata, decida di votare ontro i propri interessi. Nel Regno Unito probabilmente è successo. Chiedere per informazioni a Cameron, lui ne sa qualcosa. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da – La Stampa Titolo: UGO MAGRI Referendum tutti contro Renzi Inserito da: Arlecchino - Giugno 26, 2016, 12:26:41 pm Referendum tutti contro Renzi
08/06/2016 Ugo Magri Visto attraverso gli occhiali del referendum costituzionale di ottobre, questo voto per i sindaci non promette nulla di buono. Perché domenica scorsa quasi due terzi del corpo elettorale hanno premiato i partiti del «no», dalla Lega a Forza Italia a M5S, mentre quelli favorevoli (Pd e relativi «cespugli») sono rimasti sotto il 40 per cento. Se l’Italia fosse ancora quella di trent’anni fa, quando le masse seguivano pedissequamente la volontà dei rispettivi partiti, dovremmo prepararci a un autunno di veri sconquassi: bocciatura al referendum della riforma Boschi e conseguente caos sulla legge elettorale, aggravato dalla crisi politica che le dimissioni del premier renderebbero inevitabili. Faremmo bene ad allacciarci da subito le cinture. Si può obiettare che no, fortunatamente non è più come una volta, ormai la gente è matura e sa scegliere di testa propria. Dunque sarebbe sbagliato prevedere l’esito del referendum in base alla semplice somma algebrica dei partiti a favore e contro. Inoltre, ecco l’altra obiezione, un conto sono queste Comunali, dove in gioco è il futuro delle città; altra cosa sarà il giudizio sulla nuova Costituzione, che chiamerà in causa la fine del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari, oltre al rapporto tra Stato-Regioni. Mescolare due piani così diversi tra loro sarebbe come confondere le mele con le pere. Eppure, fatti i necessari distinguo, rimane la sensazione che il voto di domenica non sia di ottimo auspicio per il «sì». In quanto tradisce un’insofferenza magari fisiologica, però presente un po’ dappertutto, a Napoli e a Bologna, a Roma e a Milano. Fotografa un clima di stanchezza che non aiuta chi ha l’onere di governare. Al confronto con le Europee 2014, quando il Pd aveva grandi praterie politiche davanti a sé, stavolta non è stata (non sarà nemmeno ai ballottaggi) una cavalcata solitaria del premier, il quale ha avuto l’onestà di riconoscerlo pubblicamente. Viceversa, la ventata populista mette le ali alla Raggi e rende competitiva la sua collega Appendino. Perfino il centrodestra dà cenni di risveglio, perlomeno là dove si presenta unito come a Milano. Non è merito di Berlusconi o Salvini, i quali anzi hanno fatto di tutto per perdere; dipende semmai dal contesto generale, dal «mood» collettivo un po’ più favorevole a chi rema contro. Su questo malumore le opposizioni proveranno a far leva in ottobre. Punteranno sui sentimenti negativi, nella speranza che il ritorno dalle vacanze li moltiplichi per mille. La loro propaganda potrebbe dimostrarsi al dunque più efficace della narrazione renziana, avviata con largo anticipo. Ecco perché il voto di domenica allunga parecchie ombre sul verdetto di ottobre. Ed ecco come mai i fautori del «sì» non possono stare sereni. Ma c’è uno strano paradosso che potrebbe scombinare ogni calcolo. Il paradosso si riassume in una semplice domanda: se Renzi si va indebolendo per effetto del contesto generale, e se questa sua debolezza rimette in corsa gli avversari, quale vantaggio possono avere le opposizioni a impantanare il sistema? Cosa ci guadagnerebbero a bocciare una riforma che permetterà a chi vince di governare per 5 anni senza pasticci e senza «inciuci»? Tanto Grillo quanto Berlusconi sono davanti a un bivio: possono puntare al pareggio mettendo la mina referendaria sotto la futura Costituzione; o mostrare fiducia in se stessi e tentare di vincere l’intera posta, accettando le nuove regole del gioco. Qualche piccolo segnale fa ritenere che una riflessione sia in corso, specie tra i Cinquestelle. O almeno tra quanti, di loro, provano a guardare lontano. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/06/08/cultura/opinioni/editoriali/referendum-tutti-contro-renzi-SzqEg3Ub6I8UCd1m4xoxVP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Renzi a mani nude, solo contro tutti Inserito da: Arlecchino - Luglio 04, 2016, 12:47:43 pm Renzi a mani nude, solo contro tutti 04/07/2016 Ugo Magri Dopo giorni di inutile nevrosi, in cui sembrava che Renzi fosse disposto a cambiare la legge elettorale, perlomeno lui così aveva lasciato intendere, e dunque si erano scatenate tutte le più ardite supposizioni sul perché di questa mossa, compresa quella secondo cui Renzi voleva tendere la mano a Berlusconi per ottenerne in cambio un atteggiamento più morbido sul referendum, dopo tutto questo agitarsi della politica sembra adesso che no, in realtà il premier non intenda affatto riaprire il capitolo dell’«Italicum». Per cui non si profilano «inciuci» col Cavaliere che a sua volta, va detto, non pare intenzionato a farne (un Nazareno gli è stato già sufficiente). Allo stesso modo, il caldo africano ha disperso tutte le fumisterie circa un ipotetico rinvio del referendum, di cui in verità non si è mai capito bene il come, il quando, ma soprattutto il perché. Non è che rinviando di qualche settimana l’appuntamento Renzi poteva sperare in un cambio di umore collettivo, in un trend improvvisamente più favorevole alle ragioni del «si». Sono giochetti destinati a lasciare il tempo che trovano. Secondo quanto lo stesso Renzi ha detto ieri, intervistato da Maria Latella, voteremo verso metà ottobre, cioè nei tempi previsti. Niente rinvii e niente trattative sottobanco col centrodestra (non ce ne sarebbe nemmeno il tempo). L’unico «effetto speciale» su cui il premier può far leva è la legge di stabilità. Sempre che contenga sorprese gradite all’Italia, sulla base di concessioni europee di cui, però, al momento non si vedono i presupposti. Insomma: la battaglia referendaria, così decisiva per il futuro, Renzi se la dovrà combattere a mani nude, da solo contro tutti. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/07/04/italia/politica/renzi-a-mani-nude-solo-contro-tutti-QKfddAxi1TxNZUzIKhMgQN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Governo, vertice Mattarella-Renzi Referendum fissato il 6 novembre Inserito da: Arlecchino - Luglio 08, 2016, 04:12:43 pm Governo, vertice Mattarella-Renzi Referendum fissato il 6 novembre
Timori per la tenuta al Senato. Il premier: se cado subito alle urne Il premier Matteo Renzi ha incontrato nel tardo pomeriggio di ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella 08/07/2016 Ugo Magri Roma È sempre così: non appena in Senato si ricomincia a parlare di agguati e trabocchetti, ecco i congiurati precipitarsi a smentire. Ieri è stato tutto un rosario di dichiarazioni rassicuranti, «non sarà Verdini a dare la spallata», «non saremo noi di Ncd, notoriamente così leali». Eppure, fonti molto attendibili confermano che sono almeno 30 e forse 40 i senatori della maggioranza in preda alla disperazione politica, dunque disposti a qualunque gesto, anche il più inconsulto. La stima si ottiene sommando quei centristi a vario titolo (Gal, Ncd, Scelta Civica e Ala) che per effetto dell’«Italicum» nutrono zero speranze di venire rieletti. Pretendono da Renzi una via d’uscita che il premier non vuole e, probabilmente, non può garantire. Manca una logica nel loro dibattersi. Proprio per questo rappresentano un pericolo, in quanto «con i criminali intelligenti si può trovare un accordo», ringhia Cicchitto che li conosce bene, «ma con i criminali ottusi non c’è proprio nulla da fare». IL GIOCO DEL PREMIER Gli «ottusi» sono coloro che farebbero la crisi subito, profittando del voto imminente sugli Enti locali. Gli «intelligenti», invece, temono in questo modo di fare il gioco del premier che, disarcionato da una congiura di palazzo, vestirebbe volentieri i panni della vittima e magari vincerebbe pure il referendum di ottobre. Tra gli attendisti «intelligenti», oltre a Schifani, viene classificato l’ex ministro Lupi. Risultano contatti in corso tra una parte dei dissidenti e il mondo berlusconiano. Ma il Cavaliere (3 ore a pranzo coi capigruppo Brunetta e Romani) non ha alcuna voglia di provocare una crisi che farebbe solo il gioco di Renzi, e punta tutte le sue carte sul «no» al referendum. IN CASO DI «INCIDENTE» L’odore di bruciato è tale che arriva fino sul Colle. Dove Mattarella e Renzi ne hanno ragionato durante un incontro, ufficialmente, sul prossimo summit della Nato. Per Renzi, la situazione a Palazzo Madama è sotto controllo, il premier non si attende sgambetti. Ma se, invece, l’incidente capitasse proprio per colpa dei «disperati»? A quel punto, Renzi si regolerebbe esattamente come avrebbe reagito un anno fa: convocando la direzione Pd per proporre le elezioni anticipate, subito alle urne senza nemmeno attendere il referendum. «Non si tratta di un ultimatum», ha ribadito più volte Renzi a Mattarella, ma di coerenza. Il Presidente tuttavia, secondo altre ricostruzioni, dubita assai circa la possibilità di tornare al voto con un doppio sistema: maggioritario alla Camera (l’«Italicum») e proporzionale al Senato (il «Consultellum»). Nel mondo quirinalizio si fa presente che Mattarella è sempre stato coerente fautore di un mandato popolare chiaro, sarebbe singolare se permettesse di andare al voto con un confuso sistema che rischia di produrre ingovernabilità e paralisi (Renzi non la pensa così: lui è convinto di poter conquistare la maggioranza perfino con un sistema proporzionale al Senato). Prima di tornare alle urne, insomma, secondo Mattarella sarebbe il caso di rimettere ordine nella legge elettorale. Lo dice anche una parte del Pd, però Mattarella ha tranquillizzato Renzi: nessuna «liaison dangereuse» con Franceschini & C. Meglio intervenire subito sulla legge elettorale, è il sottile ragionamento che si ascolta nelle stanze ovattate del Colle, altrimenti magari sarebbe necessario provvedere poi, a crisi di governo aperta, dunque in una situazione di caos politico e, con un apposito governo «di scopo» che nessuno vuole, incominciando da Renzi. IL PUZZLE DELLA DATA A proposito di referendum. Il premier era orientato a votare l’ultima domenica di ottobre. Ma poi, consultando il calendario, qualcuno si è accorto che c’è il ponte dei Santi, una tentazione irresistibile per gli astensionisti. Per cui l’orientamento ora è quello di votare la nuova Costituzione il 6 novembre prossimo. I Radicali insistono per uno spacchettamento dei quesiti e Renzi, interpellato in proposito dal Presidente, per la prima volta non ha eretto barricate: «Io preferisco un sì o un no all’intera legge», ha risposto, «ma se ne può discutere». Purché serva a riportare il dibattito sui contenuti veri della riforma. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/07/08/italia/politica/governo-vertice-mattarellarenzi-referendum-fissato-il-novembre-G0gkNQbLBgqGQhHiCsslfJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il «nuovo» Renzi: più pensioni, meno tasse (e meno referendum) Inserito da: Arlecchino - Luglio 18, 2016, 12:22:10 pm Il «nuovo» Renzi: più pensioni, meno tasse (e meno referendum)
Rovesciare la scala delle priorità è fra gli obiettivi del premier al fine di dimostrare l’attenzione della politica per gli interessi primari dei cittadini ANSA 15/07/2016 Ugo Magri Da alcuni segnali si direbbe che Renzi ha aggiustato il tiro. Anziché insistere tipo martello pneumatico sul referendum, come aveva fatto nelle scorse settimane con una campagna mediatica in certi momenti ossessiva, negli ultimi giorni il premier ha rimesso al centro temi a più alto impatto sociale come le banche, il lavoro, le tasse. Nei suoi ragionamenti privati il voto di autunno resta inevitabilmente il cruccio maggiore, perché è su quel verdetto popolare che Renzi si sta giocando la carriera. Ma nei discorsi pubblici, perlomeno in quelli, l’argomento referendario viene messo un po’ tra parentesi. Almeno per ora. Ne continua a parlare in veste di ministro Maria Elena Boschi (si è recata pure a Bruxelles per convincere l’Europa sull’importanza della «sua» riforma), però la sensazione generale è che Renzi voglia concedere un attimo di tregua agli elettori. Noi e loro Se sia una mossa azzeccata o meno, lo scopriremo alla fine. Ma la sensazione è che il premier non possa fare diversamente. La riforma del Senato, per quanto importante, forse addirittura decisiva, non è certamente al primo posto nella gerarchia degli interessi collettivi; la riforma elettorale lo è ancora meno. Calcare troppo la mano sul referendum avrebbe effetti sicuramente negativi. Darebbe l’idea (già abbastanza diffusa) che la classe al governo preferisce occuparsi di se stessa e non di noi; si eccita tantissimo quando sono in gioco riforme della politica, però rimane distratta quando ci vanno di mezzo risparmi, stipendi o pensioni. Meglio rovesciare la scala delle priorità, rimettere al centro i problemi della gente comune, e non stressarla troppo su un referendum che in fondo poco appassiona. Tanto ci sarà tempo per tornarci su: mancano quattro mesi, e la data esatta dev’essere ancora decisa. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/07/15/italia/politica/il-nuovo-renzi-pi-pensioni-meno-tasse-e-meno-referendum-DifKzDbMSq85JLHLomhuvK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella: serve unità, nessuno può farcela da solo Inserito da: Arlecchino - Agosto 23, 2016, 11:00:57 pm Mattarella: serve unità, nessuno può farcela da solo
Il presidente della Repubblica inaugura il Meeting Cl a Rimini con lo sguardo già proiettato alle prove difficili dell’autunno, incominciando dal referendum costituzionale 19/08/2016 UGO MAGRI Un forte appello all'unità della politica. A «mettere insieme le speranze» e a «dare valore al dialogo», perché «nessuno può seriamente pensare di farcela da solo». Sergio Mattarella inaugura il Meeting di Rimini («Tu sei un bene per me» è il tema di questa edizione 2016) con lo sguardo proiettato già alle prove difficili dell’autunno, incominciando dal referendum costituzionale sulla riforma Boschi. Il Capo dello Stato si rivolge un po’ a tutti, alle opposizioni ma forse anche allo stesso premier. Al via il meeting di Cl di Rimini, apre Mattarella È un richiamo preventivo, il suo, a non eccedere nelle divisioni, a non esagerare nelle polemiche, a tenere sempre presente il bene comune: «Gli inevitabili contrasti che animano la dialettica democratica non devono farci dimenticare che i momenti di unità sono decisivi nella vita di una nazione». Mattarella: Italia sia più unita e solidale Mattarella rammenta come la nostra storia sia «illuminata da occasioni di unità», dal sentimento comune che dapprima permise all’Italia di risorgere dopo la dittatura e la disfatta, e che negli anni di piombo permise di sconfiggere il terrorismo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/08/19/italia/politica/mattarella-serve-unit-nessuno-pu-farcela-da-solo-4d3QLYrmvjAacybiVKpV0L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La strategia della stabilità per rassicurare Colle e Bce Inserito da: Arlecchino - Agosto 23, 2016, 11:25:51 pm La strategia della stabilità per rassicurare Colle e Bce
La personalizzazione non paga, meglio puntare sull'affidabilità. Ma il premier assicura ai suoi: abbiamo ancora la maggioranza 21/08/2016 Ugo Magri Roma Accusato spesso di drammatizzare il referendum sulla Costituzione, stavolta Renzi spiazza i suoi critici e sparge serenità. Assicura che in Italia si voterà nel 2018, alla naturale scadenza, «comunque vada» il voto d’autunno. Così ha dichiarato alla Versiliana. Niente elezioni anticipate: arriveremo in fondo alla legislatura tanto che vinca il «sì» alle riforme, quanto che invece trionfi il «no». Chiaramente il premier si augura la prima delle due. Magari in cuor suo è sicuro di farcela, nonostante i sondaggi non proprio esaltanti conferma ai suoi «abbiamo ancora la maggioranza». Ma il tono risoluto con cui si sente di escludere cataclismi politici, «comunque vada» il referendum sulla costituzione, dunque perfino in caso di sconfitta sulla riforma Boschi, è un dato politico che profuma di novità. NESSUN DIETROFRONT Dobbiamo interpretarlo come una retromarcia del premier? Significa cioè che non si dimetterebbe neppure nel caso di vittoria dei suoi avversari e resterebbe a Palazzo Chigi come se nulla fosse? Questo Renzi non lo ha detto, ma soprattutto non lo pensa. Certo che si dimetterebbe, come assicura ai suoi. Però ripeterlo in tono di sfida, o di minaccia, non gli fa gioco. Se avesse assecondato l’aspetto più guascone del suo carattere, sarebbe ricaduto nello stesso errore che gli è stato rimproverato in questi mesi: quello di «personalizzare» l’appuntamento referendario, trasformandolo in un giudizio su se stesso anziché su quanto di buono la riforma Boschi contiene. Spostare l’attenzione degli elettori dalla riforma costituzionale a se stesso aveva rappresentato nei mesi scorsi un eccesso di confidenza (o un’imprudenza, che fa lo stesso) di cui lo stesso Renzi, probabilmente, si è pentito. Logico che alla Versiliana abbia tirato il freno un attimo prima di perseverare nello sbaglio. E abbia inteso disinnescare sul nascere la polemica che ne sarebbe seguita. Insomma, stavolta è stato abile e avveduto. Ma c’è dell’altro. Confermare che la legislatura taglierà il traguardo del 2018 significa riconoscere la presenza di altri due autorevoli attori con i quali confrontarsi, e magari venire a patti se si renderà necessario. ROMA E FRANCOFORTE Uno sta a Francoforte e si chiama Mario Draghi: qualunque decisione dovesse prendere il premier, perfino nel caso di sconfitta referendaria, dovrebbe valutare i contraccolpi finanziari per l’Italia e per l’Europa intera. L’ultima cosa che possono augurarsi nel grattacielo della Bce è che la terza economia dell’euro precipiti disordinatamente nel caos, senza un percorso ragionevole verso le urne. Tra l’altro, non è nemmeno chiaro con quale legge elettorale andremmo a votare, visto che il 4 ottobre prossimo la Consulta inizierà l’esame dei ricorsi contro l’«Italicum», e in camera di consiglio tutto potrà accadere. Il secondo attore, cui Renzi rende implicitamente omaggio con la sua svolta agostana, abita sul Colle. Non è mistero che il Presidente consideri la stabilità politica alla stregua di un bene prezioso, una dimostrazione di serietà e affidabilità da dare ai nostri partner non solo europei. Sergio Mattarella aspetta il verdetto del popolo italiano, senza interferire in un senso o nell’altro, comportandosi da vero arbitro. Ma da giorni chiede a tutti, anche con una certa insistenza, di tenere comportamenti responsabili. Sollecita prudenza. Sobrietà pure nel linguaggio. Sarebbe singolare se il primo a contravvenire fosse proprio Renzi, che del Quirinale in futuro potrebbe avere bisogno. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/08/21/italia/politica/la-strategia-della-stabilit-per-rassicurare-colle-e-bce-8N4XOlxahThTsV3QiStBTK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Terremoto, perché la tregua politica è già finita Inserito da: Arlecchino - Settembre 02, 2016, 05:27:33 pm Terremoto, perché la tregua politica è già finita
È scontro su Errani, indicato da Renzi commissario per la ricostruzione post sisma. Salvini propone Tronca: «Lega pronta a collaborare con il governo» 30/08/2016 UGO MAGRI ROMA La tregua politica è già finita. Nemmeno il tempo di seppellire tutte le vittime, che già sono ricominciate le liti. Oggetto di scontro è una poltrona, quella di Commissario straordinario per la ricostruzione, che il premier intende destinare a un ex governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, il quale due anni fa si era dimesso per una vicenda giudiziaria (salvo venire poi scagionato). Renzi vuole conferirgli l’incarico entro la settimana. Tutte quante le opposizioni invece sono contrarie. Perché, dice Salvini, Errani fece fiasco nel terremoto che colpì l’Emilia, sarebbe l’uomo sbagliato al posto sbagliato: «Siamo pronti a collaborare con il governo», dice il leader leghista che propone di nome del prefetto Francesco Paolo Tronca come commissario per la ricostruzione, al posto di Vasco Errani. Perché, sostiene Di Maio, Renzi lo vuole solo in quanto spera di far contenta la minoranza del suo partito, alla quale Errani appartiene. Perché, accusa Brunetta, le scelte sul terremoto si concordano tutti insieme e non si impongono. Calcoli inconfessati Renzi fa rispondere che Errani è amministratore esperto, lo riconoscono perfino avversari come Maroni. Che Vasco appartiene alla minoranza Pd, ma cosa c’è di male? Che la nomina del Commissario è competenza del governo, dunque non c’è nulla da concordare con Forza Italia. Nei prossimi giorni sentiremo mille di questi argomenti, pro e contro. Ma le ragioni vere del contendere nessuno tra i protagonisti avrà il coraggio di confessarle, perché suonerebbero ciniche e immorali. Riguardano le conseguenze politiche del terremoto, cioè gli effetti che questo dramma può avere sul referendum di autunno, dove Renzi si gioca tutto (idem i suoi avversari). Sullo sfondo c’è il referendum La speranza renziana non dichiarata è di cavalcare l’onda della ricostruzione e rilanciare una leadership che, stando ai sondaggi, prima dell’estate perdeva colpi. Il timore delle opposizioni coincide perfettamente. Nemmeno centrodestra e grillini lo ammetteranno mai, eppure il timore da quelle parti è che Renzi faccia bella figura attraverso scelte azzeccate e l’aiuto di una buona propaganda. C’è un precedente illustre: nel 2008 Berlusconi raggiunse il top dei consensi (prima di sprecarli con le sue «feste eleganti») subito dopo il sisma in Abruzzo, quando si trasferì fisicamente sui luoghi del terremoto e celebrò il 25 aprile tra le macerie di Onna con un invito alla concordia nazionale. Sarà una coincidenza, ma proprio ieri Renzi ha lanciato un forte appello alla collaborazione di tutti. E subito è partito il fuoco di sbarramento. Contro la nomina di Errani, in apparenza, ma con la mente rivolta al referendum sulla Costituzione. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/08/30/italia/politica/perch-la-tregua-politica-gi-finita-7z9t1dhGhxmoIWTf45unuI/pagina.html Titolo: Re: UGO MAGRI Inserito da: Admin - Settembre 21, 2016, 06:32:44 pm Italicum, mai usato e già da cambiare: la Camera ci riprova
M5S, operazione-nostalgia: torniamo a proporzionale e preferenze. Oggi un aula una mozione Pd-centristi La mozione: la Camera s’impegna a cambiare l’«Italicum», senza entrare nel merito di cosa fare concretamente. 21/09/2016 Ugo Magri Roma La Camera prenderà oggi il solenne impegno a riformare la riforma elettorale: quella ancora nuova di zecca approvata un anno fa, mai applicata e pienamente efficace da soli 83 giorni. Renzi, che l’aveva imposta a colpi di fiducia, perlomeno a parole garantisce che non farà muro: «Siamo totalmente disponibili a cambiare», conferma dal Palazzo di Vetro a New York. E i Cinquestelle, che secondo certi analisti avrebbero tutto da guadagnare tenendosi la legge così com’è, si mettono alla testa di quanti vorrebbero buttarla a mare. Approfittano del dibattito in Parlamento per rilanciare la loro proposta che, ai più anziani, fa tornare in mente come votavamo nella vituperata Prima Repubblica: con il sistema proporzionale e le preferenze. Anche la minoranza Pd si accinge a presentare una sua proposta, molto simile al «Mattarellum» in vigore dal 1993 al 2005. Vuole dire che davvero si rifarà tutto e torneremo indietro nel tempo? VALORE SIMBOLICO Di mozioni come quella che la Camera approverà stasera sono stracolmi i cassetti. Non si negano a nessuno. Vi leggeremo che la Camera impegna se stessa a cambiare l’«Italicum», senza entrare nel merito del che fare concretamente. In calce, le firme dei capigruppo Pd e Ap (Ettore Rosato e Maurizio Lupi). Per capire se davvero ci sarà un seguito, o tutto resterà sulla carta, bisognerà attendere il referendum sulla Costituzione, la cui data peraltro non è ancora fissata. Mettiamo che vinca il «sì»: in quel caso sarà difficile che Renzi, rilanciato dal trionfo, conceda cambiamenti epocali, al massimo qualche ritocco se richiesto dalla Consulta quando si pronuncerà (inizio 2017). Se dovesse invece prevalere il «no», allora pure il castello dell’«Italicum» sarebbe destinato a crollare insieme con la nuova Costituzione. Non per niente Forza Italia e Lega tacciono in trepidante attesa del referendum. Prima di sedersi a un tavolo sulla riforma elettorale vogliono vedere come andrà a finire. Neppure Renzi ha fretta, «aspetteremo Berlusconi e Salvini così tutte le posizioni saranno in campo, e poi faremo le modifiche». Insomma: la mozione di oggi avrà un valore simbolico, di forte auspicio politico, che fonti della maggioranza invitano a non disprezzare perché magari poi da cosa nasce cosa, e lo scopriremo vivendo. RITORNO AL FUTURO Pure Sel presenterà una mozione (bocciatura dell’Aula garantita), idem i Cinquestelle. La proposta grillina è quella approvata da 30 mila iscritti in un referendum on-line. Ogni partito ottiene seggi in proporzione ai voti ricevuti, ma attenzione: le circoscrizioni sono suddivise in modo da favorire i grandi partiti e sradicare i piccoli «cespugli». Sarà possibile esprimere una preferenza e indicare il candidato che non si vuole eleggere (voto di penalizzazione). Con questo meccanismo, ironizza Renzi, Appendino e Raggi non sarebbero mai state elette. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/09/21/italia/politica/italicum-mai-usato-e-gi-da-cambiare-la-camera-ci-riprova-e01L5xnprrEGrEXrBlv7oN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il referendum, Mazzini e le derive autoritarie Inserito da: Arlecchino - Ottobre 06, 2016, 09:15:31 am Il referendum, Mazzini e le derive autoritarie
05/10/2016 Ugo Magri Questa mattina mi sono recato in libreria e ho notato la bella copertina del libro di Jessie W. Mario «Vita di Giuseppe Mazzini», editore Castelvecchio. Ho riletto il capitolo riguardante la proclamazione della Repubblica romana del 9 febbraio 1849 e l’approvazione della relativa Costituzione avvenuta il 3 luglio 1849. I principi fondamentali sono di fatto uguali a quelli della Costituzione della Repubblica italiana, e il Titolo II di quella Romana prevede che il potere del popolo si eserciti tramite l’Assemblea eletta dai cittadini. Si tratta, quindi, di un’unica Assemblea che venne ritenuta idonea dai costituenti per governare una nazione. Di fronte ad un mondo che corre, ahimè, velocemente verso il futuro, continuare a tagliare il capello in due, a mettere virgole e anche bastoni fra le ruote ai vari provvedimenti, mi sembra fuori tempo e fuori luogo. Mi basta l’eliminazione di una Camera per dire sì al referendum. Danilo Ballardini, Forlì Caro Ballardini, il timore delle «derive autoritarie» credo fosse l’ultima preoccupazione di Mazzini. Con le truppe francesi alle porte, e la Repubblica romana da difendere, una sola Camera pareva più che sufficiente. Più tardi però venne il fascismo, e come reazione, la Carta del 1948 adottò certe contromisure tra cui, appunto, il sistema bicamerale paritario. Siamo ormai fuori pericolo e ne possiamo fare a meno? Una parte del mondo politico ritiene di no. Perché vede il rischio che possa impadronirsi del governo qualche leader prepotente, eletto magari grazie al premio di maggioranza. Dunque preferisce mettere, come dice lei, i bastoni tra le ruote di una doppia lettura delle leggi piuttosto che semplificare la vita al futuro «tiranno». Sono preoccupazioni da non prendere sottogamba, e personalmente le rispetto. Ma mi sono fatto un’idea diversa. Cioè che Roma non è più il centro del potere come una volta, semmai è diventato il centro dell’impotenza, dei proclami cui non seguono i fatti, perché le decisioni vere si prendono soprattutto altrove: sui mercati finanziari, nelle segrete stanze della Bce, a Bruxelles, al Parlamento di Strasburgo, nelle Regioni, nei Comuni e finanche nei consigli di circoscrizione. La forza dello Stato nazionale è stata erosa da sopra e da sotto. Quello che ne rimane è ancora sufficiente, senza dubbio, a provocare grossi danni, specie in campo economico; ma evocare lo spettro di un nuovo autoritarismo suona, perlomeno a me, eccessivo. Ps: a scuola, da ragazzo, trovavo Mazzini insopportabile. Ma adesso, chissà perché, mi appare un gigante. Ugo Magri, parmigiano, 59 anni, iniziò a raccontare la politica nel 1981 sulla «Voce Repubblicana». È stato vicedirettore del defunto settimanale «Epoca». A «La Stampa» dal 1996, ha seguito passo passo la parabola del berlusconismo. Oggi è corrispondente dal Quirinale. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/05/cultura/opinioni/secondo-me/il-referendum-mazzini-e-le-derive-autoritarie-qymBsAQEwxsbbDy7XG9McO/pagina.html Titolo: MAGRI Il referendum sarà solo l’inizio della trasformazione della Costituzione Inserito da: Arlecchino - Ottobre 06, 2016, 09:17:14 am Il referendum sarà solo l’inizio della trasformazione della Costituzione
04/10/2016 Ugo Magri Sinceramente non capisco questo clima da ultimatum sul referendum. Il Sì o il No non sono sulla riforma della Costituzione ma su questa riforma della Costituzione. Quale che sarà l’esito, nulla vieta che il giorno dopo qualcuno proponga un nuova riforma. Tutti dicono che il risultato ce lo terremo per trent’anni (oggi ho sentito cinquanta): mi si spieghi la ragione (spero che la risposta non stia nella natura stessa dei referendum, perché si tratterebbe di una stupidaggine - magari sancita dalla Costituzione). Giancarlo Foglia Caro Foglia, trenta e cinquant’anni sono semplici modi di dire, argomenti banali, non li prenderei troppo alla lettera. Tutto dipende dal contesto storico. In certi momenti, quelli più drammatici che in cuor suo nessuno si augura, le Costituzioni vengono fatte (o disfatte) a tempo di record; pochi mesi nel passato sono bastati per autentiche rivoluzioni. Quando invece non c’è questa urgenza di cambiare, perché si attraversano tempi di aurea mediocrità, felicemente ordinari, correggere anche una sola virgola può richiedere sforzi prolungati. Dunque sono d’accordo con lei: qualora un domani le circostanze lo rendessero davvero necessario, nulla vieterebbe di tornarci su e in fretta, nonostante il referendum, magari addirittura contro l’opinione che verrà espressa dalla maggioranza degli elettori. Vuole la mia personale previsione? Eccola qua: apocalittica. Qualunque cosa decidano gli italiani, il 4 dicembre saremo all’anno zero delle riforme costituzionali. Altre ce ne dovremo attendere a stretto giro di posta perché viviamo in un mondo di cambiamenti rapidi e radicali. La pace nel mondo non è più garantita, l’Europa scricchiola, terrorismo e migrazioni lanciano sfide epocali. Già adesso la politica non è più lontana parente di quella che molti di noi ricordano, a cavallo del millennio. Evolve il modo stesso di intendere la democrazia: c’erano una volta i sindacati e i partiti, adesso domina il web. Onde emotive si propagano attraverso i social media, ogni leadership si misura coi tweet, le decisioni devono essere fulminee e in 140 caratteri max. Magari sopravvivrà la prima parte della Costituzione, quella che scolpisce i principi. Ma tutto il resto dell’ordinamento sarà in discussione. La riforma Boschi non è altro, a parer mio, che un semplice aperitivo di quanto potrà accadere. Prepariamoci sereni. Ugo Magri, parmigiano, 59 anni, iniziò a raccontare la politica nel 1981 sulla «Voce Repubblicana». È stato vicedirettore del defunto settimanale «Epoca». A «La Stampa» dal 1996, ha seguito passo passo la parabola del berlusconismo. Oggi è corrispondente dal Quirinale. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/04/cultura/opinioni/secondo-me/il-referendum-sar-solo-linizio-della-trasformazione-della-costituzione-wzbqBTdG8uGvCpUmbWak2L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Rinvio del referendum: le condizioni del Cav Ma Renzi non ci sta Inserito da: Arlecchino - Novembre 05, 2016, 10:54:53 am Rinvio del referendum: le condizioni del Cav
Ma Renzi non ci sta Ieri mattina contatti tra emissari di Berlusconi e del premier Il capo di Forza Italia: modifiche a riforma Boschi e Italicum 04/11/2016 UGO MAGRI ROMA Con orgoglio e sprezzo del pericolo, Renzi ha respinto quella che dalle sue parti considerano una «proposta indecente»: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum fissato tra un mese esatto. Autorevoli fonti garantiscono che la profferta (o provocazione, dipende dai punti di vista) è stata riservatamente sottoposta ieri mattina al premier. Dopo un lungo conciliabolo a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini, braccio destro e braccio sinistro del Cav. Non risultano contatti diretti, tipo telefonata di Silvio a Matteo, e nemmeno mediazioni condotte dal solito Verdini. A fare da ambasciatore si è prestato un personaggio di governo che preferisce restare lontano dai riflettori. Anche perché il primo «round» è andato male, d’accordo, ma ce ne potrebbe essere un secondo, e in questi casi non si sa mai. Appello al buon senso È convinzione berlusconiana che il referendum sia tutto sbagliato, perché spacca l’Italia proprio mentre la politica dovrebbe unirsi per soccorrere gli sfollati. Dei veri statisti (questo il messaggio recapitato a Palazzo Chigi) stopperebbero il referendum, darebbero ai terremotati i 300 milioni risparmiati grazie al rinvio del voto, si metterebbero tutti insieme intorno a un tavolo, rifarebbero da cima a fondo l’«Italicum» cancellando il ballottaggio, e aggiusterebbero la stessa riforma costituzionale che rappresenta il motivo dello scandalo. Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi solennemente, con una dichiarazione pubblica, a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e le alte magistrature. Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. A quel punto verrebbe meno un motivo essenziale di scontro e sarebbe logico fermare le lancette dell’orologio, posticipando il voto. Condizioni capestro La risposta di Renzi è pervenuta quasi in tempo reale, ancora prima che il Cav ricevesse a pranzo Brunetta, leader indiscusso dei berlusconiani duri e puri. Ha fatto sapere, il premier, che della riforma costituzionale non cambierà un bel nulla, perché toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi, come lui, ci ha messo la faccia. Perderla sul Senato sarebbe perfino peggio che una sconfitta alle urne. E poi, ragionano i renziani, «chi l’ha detto che perderemo?». I 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima, c’è tempo per convincere una parte della minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, col quale si stanno discutendo modifiche della legge elettorale. Insomma, per Renzi la partita è ancora aperta, anzi apertissima. Falchi e colombe «Che peccato, una grande occasione persa», si lamentano le «colombe» berlusconiane che vedono chiudersi la finestra del buon senso (gli italiani all’estero cominceranno a votare tra una settimana, e a quel punto sarà troppo tardi per il rinvio). I «falchi» invece applaudono la «faccia tosta» di Renzi e notano soddisfatti come il Cav, dopo la rispostaccia del premier, si sia messo a registrare con più lena una raffica di appelli televisivi a sostegno del NO. Ma non è detto che, nel luna park della politica italiana, tutti i giochi siano davvero conclusi. La certezza di votare ce l’avremo solo il giorno che andremo in cabina. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/04/italia/politica/rinvio-del-referendum-le-condizioni-del-cav-ma-renzi-non-ci-sta-VSCZBcKuuVO6i7m28kAy2J/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Deluso dal premier, Berlusconi ha un piano per batterlo nelle urne Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 10:56:15 pm Deluso dal premier, Berlusconi ha un piano per batterlo nelle urne
“Propaganda per categorie, decisivo superare il 60% di affluenza” Silvio Berlusconi ha deciso di scatenare l’offensiva a favore del No 05/11/2016 Ugo Magri Roma Renzi non gli dà alternative. Lo snobba, pretende di fare senza di lui, si comporta come se tutto fosse dovuto e gratis. Berlusconi ha atteso per mesi un gesto del premier, senza troppe illusioni ha perfino sperato che l’ipotesi di rinviare il voto fosse un’occasione per guardare insieme al futuro. Invece niente: ancora una volta «è stato come parlare al muro», confidano personaggi della sua cerchia. Per cui al Cav non resta che battersi. Controvoglia, tra dubbi e rimpianti, però con la rabbia di chi si sente stretto alle corde. Pare che in queste ore stia preparando seriamente la riscossa. Lucido e perciò politicamente pericoloso. «I sondaggi dicono che la mia discesa in campo può spostare dai 5 punti percentuali in su», si fa forza Silvio a Villa Gernetto davanti ai giovani della Missione Italia (gireranno la Penisola con una carovana di Cinquecento riconoscibili dal simbolo di Forza Italia). La vera notizia è che l’ex premier sta facendo sul serio, vuole vincere a tutti i costi, sebbene la prova definitiva si avrà soltanto (fa notare scettico Calderoli) il giorno in cui darà ordine a Mediaset di sostenere il NO, smettendola con il «fair play» tenuto finora per ordine del saggio Confalonieri. Strategia mirata Come tutti i condottieri prima della battaglia, Berlusconi studia le mosse del nemico. Si è accorto, ad esempio, che Renzi da qualche tempo adotta una comunicazione astuta, gli esperti la definirebbero «mirata» o «per target», cioè rivolta a settori precisi anziché a tutti senza distinzione. Si rivolge alle categorie con temi molto concreti, cerca di soddisfarle una per una in quanto il premier ha capito che sarà la somma a fare il totale. Berlusconi farà lo stesso: anche lui «segmenterà» il messaggio, si sforzerà di modularlo diversamente rivolgendosi un giorno agli anziani, il giorno dopo alle casalinghe e via promettendo. «Basta copia e incolla, mai più due video-messaggi uguali tra loro», garantiscono gli strateghi del Cav, «ciascuno avrà sempre un destinatario diverso e chiaro». Per incominciare, l’anziano leader rispolvera l’argomento tasse, cioè il suo cavallo di sempre, che lancerà al galoppo negli ultimi dieci giorni della campagna referendaria, con qualche colpo a sorpresa. L’affluenza sarà decisiva Berlusconi non si illude di vincere facile, tantomeno si fida dei sondaggi che premiano il NO. «Molti intervistati raccontano bugie», spegne gli entusiasmi di Brunetta. L’unico conto che si può fare adesso, secondo il Cav, è quello dei voti necessari per la vittoria. Grosso modo ne servono 15 milioni, in quanto Renzi potrebbe andarci molto vicino con l’apporto degli italiani all’estero, passati in massa dalla sua parte dopo la tournée americana della «star» Maria Elena Boschi . L’affluenza sarà dunque decisiva per il trionfo finale. Sopra il 60 per cento degli aventi diritto (che corrispondono a 30 milioni di elettori), il No vincerà facile. Se si resterà sotto la soglia, invece, potrà farcela il SI. Questo ha calcolato l’ex premier, che di campagne elettorali ha una certa esperienza. Per cui decisivo sarà portare tutti alle urne. «Chi non andrà a votare farà solo un favore a Renzi»: il tormentone berlusconiano è già incominciato. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/05/italia/politica/deluso-dal-premier-berlusconi-ha-un-piano-per-batterlo-nelle-urne-zqQTiX9L0K9jRDisLTo3LK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI a chiedere il referendum non è stato solo il premier Inserito da: Arlecchino - Novembre 20, 2016, 11:50:03 am Partiti, onorevoli, comitati: a chiedere il referendum non è stato solo il premier
La prima richiesta è arrivata da 166 deputati schierati per il No Pubblicato il 19/11/2016 Ultima modifica il 19/11/2016 alle ore 07:02 Ugo Magri Roma Perfino nelle cancellerie europee, sono quasi tutti convinti che il voto del 4 dicembre sia solo un capriccio temerario di Renzi. E non c’è dubbio che il premier sia stato sempre molto a favore del referendum, tanto che il suo partito ha raccolto le 500 mila firme necessarie per supportarne la richiesta: uno sforzo anche organizzativo notevole. Ma se si guarda bene a come sono andate le cose, il voto sulle riforme sarebbe arrivato ugualmente, con o senza il “placet” di Renzi. Perché il 19 aprile scorso, quando la raccolta delle firme Pd non aveva ancora avuto inizio, in Cassazione era già pervenuta la richiesta di 166 deputati del No, primi firmatari Roberto Occhiuto, Stefano Quaranta e Cristian Invernizzi a nome, rispettivamente, di Forza Italia, Sinistra Italiana e Lega Nord. In base alla Costituzione attuale (articolo 138, secondo comma) quella richiesta era di per sé sufficiente a far scattare il referendum. Solo qualche giorno dopo si sono fatti avanti i senatori del No e del Sì, infine i deputati favorevoli alla riforma Boschi. In totale, dunque, sono 5 le richieste validate in Cassazione. E sarebbero state addirittura 6 qualora fosse andata in porto la raccolta di firme lanciata dal Comitato del No, sospesa per stanchezza a quota 350 mila. Addirittura, nel disegno di legge costituzionale presentato nel 2013 dal governo Letta, si prevedeva che al referendum ci si sarebbe andati perfino nel caso in cui la futura riforma avesse superato in Parlamento la maggioranza dei due terzi: una soglia talmente alta che (sempre secondo l’articolo 138) rende superfluo consultare il popolo. Ricapitolando, dunque, Renzi non è stato decisivo. Il suo grande merito (o grave colpa) consiste semmai nell’aver dato da subito grande importanza al voto, alimentando quella drammatizzazione plebiscitaria di cui adesso sembra pentito. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/19/italia/speciali/referendum-2016/partiti-onorevoli-comitati-a-chiedere-il-referendum-non-stato-solo-il-premier-JfAroA4PeR5E1bGWWZFz9M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità Inserito da: Arlecchino - Dicembre 31, 2016, 02:30:10 pm Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità
Domani il Capo dello Stato si rivolgerà ai cittadini e non ai politici. Sarà un appello a superare l’odio e a ritrovare un destino comune Domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti. Pubblicato il 30/12/2016 Ugo Magri Roma In tivù, domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene, dunque possiamo festeggiare sereni. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti. Invece purtroppo (sarà questo il succo vero del messaggio in preparazione) stiamo rischiando di smarrire il senso del destino comune. Troppi risentimenti, troppi egoismi, troppe divisioni a ogni livello. Non che manchino le isole di solidarietà, i buoni esempi ai confini dell’eroismo: a sentire chi frequenta il Colle, il Presidente ne citerà parecchi in quanto, se siamo ancora in piedi nonostante tutto, è proprio grazie a chi ci crede e si mette quotidianamente in gioco. Ma in questo clima di frustrazione e talvolta di odio, certamente di rabbia e di divisione, risalire la china può diventare ancora più complicato. Di qui l’appello a fare pace con noi stessi. A ritrovarci insieme sulle cose davvero importanti. E un invito trasparente ai partiti: nella loro libera dialettica, che si annuncia vivace, si combattano pure sulla legge elettorale e sul resto, a patto di non trascurare i problemi veri. Quelli per cui la gente comune sta soffrendo. Perché a che cosa serve la politica, se non a farsene carico? La lista dei problemi Inevitabilmente, le parole di Mattarella verranno scannerizzate per ricavarne indizi sul futuro della legislatura. E qualche utile indicazione senza dubbio ne verrà fuori. Tuttavia al Quirinale spengono in anticipo gli entusiasmi dietrologici, in quanto destinatari del messaggio saranno i «concittadini», la gente comune. E diversamente dagli auguri rivolti pochi giorni fa alle alte cariche dello Stato, quando non poteva che prendere spunto dalla crisi di governo appena risolta, stavolta il Presidente partirà dai problemi reali. Dal lavoro che manca per tanti giovani e non solo. Dal terrorismo che insanguina l’Europa. Dai risparmi e dal sistema bancario che urge mettere in sicurezza. Il suo discorso toccherà vecchie piaghe nazionali come la corruzione e nuove calamità come il terremoto. Né trascurerà i rifugiati, in fuga dalle guerre, con le tensioni che gli sbarchi e l’accoglienza si portano dietro. Insomma, Mattarella elencherà a una a una le piaghe di un paese «sfibrato», dove sta venendo meno la sicurezza del futuro. Un malessere di cui la politica non è stata la medicina, e probabilmente non lo sarà nemmeno nei prossimi mesi. Con i principali leader già proiettati al voto, e un governo dichiarato «provvisorio» dagli stessi partiti che lo dovrebbero sostenere. Insomma: questo equilibrio fragile non può durare. Perciò si illude chi pensa (o spera) che il Capo dello Stato farà di tutto per ritardare la resa dei conti elettorale. Una volta chiarito con quale legge voteremo, l’arbitro fischierà la fine di questa XVII legislatura. Il popolo sovrano potrà finalmente esprimersi. L’importante, insisterà domani sera Mattarella, è che la politica non si avviti su se stessa, perché di guai ne abbiamo già abbastanza. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/italia/politica/mattarella-e-il-paese-sfibrato-che-deve-ritrovare-lunit-ZXrzxsssQdPqo0D7qxyMNN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il partito del rinvio ora gongola: “Così si allontanano le elezioni” Inserito da: Arlecchino - Gennaio 12, 2017, 12:26:59 pm Il partito del rinvio ora gongola: “Così si allontanano le elezioni”
Renzi incassa l’ok alla sua riforma ma si apre un duello a sinistra Matteo Renzi, segretario del Partito democratico è soddisfatto a metà per la decisione della Consulta sui referendum Pubblicato il 12/01/2017 Ultima modifica il 12/01/2017 alle ore 07:49 Carlo Bertini, Ugo Magri Roma Le voci filtrate dalla Consulta narrano di uno scontro epico, combattuto a colpi di precedenti giuridici, in cui mai nessun giudice costituzionale si è azzardato a tirare in ballo ragionamenti politici. Eppure non ce n’è uno, tra i quasi mille onorevoli riuniti ieri alla Camera in seduta comune, che considerasse la sentenza diversamente da un Valium. Il cui effetto è distendere i nervi e rallentare la corsa verso le urne. Soprattutto i peones (attenti alla data del 15 settembre quando matureranno la pensione) sono convinti di avere sventato il rischio che un sì della Corte sull’articolo 18 terrorizzasse a tal punto l’establishment, da spingerlo alle urne pur di posticipare di un anno il nuovo show-down referendario. La battuta più in voga nel Transatlantico, non a caso, è: «La Consulta ha approvato l’articolo 2018», cioè l’anno in cui a questo punto si andrà a votare. La frenata Ai piani altissimi delle istituzioni c’è chi considera la decisione della Corte un sano elemento di riflessione per tutti, ex premier compreso. Il quale viene descritto in quegli ambienti come intento a preparare le elezioni, certo, ma non ancora del tutto determinato a staccare la spina della legislatura. Potrebbe farlo, ma anche no, soppesandone i pro e i contro. In pubblico il Pd nega che il finale sia già scritto. Anzi, il traguardo ufficiale resta lo stesso: votare a giugno come termine massimo. Con qualunque legge elettorale, meglio se corretta per favorire la governabilità. «Le elezioni nulla c’entrano con una sentenza che conferma la bontà del jobs act», taglia corto il numero due del partito, Guerini. Anzi, Gentiloni e lo stesso Renzi risultano soddisfattissimi che sia stato confermato l’impianto di una riforma come quella sul lavoro. Con una motivazione che smonta la tesi secondo cui Renzi, machiavellicamente, avrebbe tifato per un via libera al referendum: «Vi immaginate cosa sarebbe successo se, dopo avere interrotto la legislatura e magari avere vinto le elezioni, Matteo si fosse ritrovato a fare i conti con un altro referendum, per giunta sui licenziamenti?». Solo un masochista poteva desiderarlo. Quesiti da sminare Sia come sia, ora il governo ha un «mission» in più: sminare i due quesiti rimasti in piedi. Secondo uno che se ne intende, come l’ex leader Cgil Epifani, evitare il referendum sarà facile sugli appalti e molto complicato sui voucher. Dalle parti di Gentiloni contano di farcela e dal loro punto di vista si capisce perché: guai se si arrivasse alle elezioni politiche con la sinistra lacerata sul tema lavoro. La minoranza Pd già minaccia una campagna per «due sì», Emiliano e Speranza lo vanno sbandierando, Bersani vorrebbe rivoltare il job act come un calzino. Voucher e lavoro nero sono dunque già il cuore della battaglia congressuale anti-renziana dentro il Pd. Enigma Consulta Tra due settimane la Corte sarà di nuovo protagonista, ma sull’Italicum. E il risultato è incerto. Se avesse deciso a ottobre, è sicuro che l’avrebbe bocciato: così garantiscono autorevoli membri. Ma da allora gli equilibri interni sono mutati, e nessuno mette più la mano sul fuoco. Ogni previsione potrebbe essere ribaltata, perfino sul ballottaggio. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. http://www.lastampa.it/2017/01/12/italia/politica/il-partito-del-rinvio-ora-gongola-cos-si-allontanano-le-elezioni-l4jQ8Vxt5d8GZCDQuMyKJM/pagina.html Titolo: Il Partito del rinvio ora gongola: “Così si allontanano le elezioni” Inserito da: Arlecchino - Gennaio 18, 2017, 10:49:21 pm Pubblicato il 12/01/2017 Ultima modifica il 12/01/2017 alle ore 13:03
Il Partito del rinvio ora gongola: “Così si allontanano le elezioni” Renzi incassa l’ok alla sua riforma ma si apre un duello a sinistra CARLO BERTINI, UGO MAGRI ROMA Le voci filtrate dalla Consulta narrano di uno scontro epico, combattuto a colpi di precedenti giuridici, in cui mai nessun giudice costituzionale si è azzardato a tirare in ballo ragionamenti politici. Eppure non ce n’è uno, tra i quasi mille onorevoli riuniti ieri alla Camera in seduta comune, che considerasse la sentenza diversamente da un Valium. Il cui effetto è distendere i nervi e rallentare la corsa verso le urne. Soprattutto i peones (attenti alla data del 15 settembre quando matureranno la pensione) sono convinti di avere sventato il rischio che un sì della Corte sull’articolo 18 terrorizzasse a tal punto l’establishment, da spingerlo alle urne pur di posticipare di un anno il nuovo show-down referendario. La battuta più in voga nel Transatlantico, non a caso, è: «La Consulta ha approvato l’articolo 2018», cioè l’anno in cui a questo punto si andrà a votare. La frenata Ai piani altissimi delle istituzioni c’è chi considera la decisione della Corte un sano elemento di riflessione per tutti, ex premier compreso. Il quale viene descritto in quegli ambienti come intento a preparare le elezioni, certo, ma non ancora del tutto determinato a staccare la spina della legislatura. Potrebbe farlo, ma anche no, soppesandone i pro e i contro. In pubblico il Pd nega che il finale sia già scritto. Anzi, il traguardo ufficiale resta lo stesso: votare a giugno come termine massimo. Con qualunque legge elettorale, meglio se corretta per favorire la governabilità. «Le elezioni nulla c’entrano con una sentenza che conferma la bontà del jobs act», taglia corto il numero due del partito, Guerini. Anzi, Gentiloni e lo stesso Renzi risultano soddisfattissimi che sia stato confermato l’impianto di una riforma come quella sul lavoro. Con una motivazione che smonta la tesi secondo cui Renzi, machiavellicamente, avrebbe tifato per un via libera al referendum: «Vi immaginate cosa sarebbe successo se, dopo avere interrotto la legislatura e magari avere vinto le elezioni, Matteo si fosse ritrovato a fare i conti con un altro referendum, per giunta sui licenziamenti?». Solo un masochista poteva desiderarlo. Quesiti da sminare Sia come sia, ora il governo ha un «mission» in più: sminare i due quesiti rimasti in piedi. Secondo uno che se ne intende, come l’ex leader Cgil Epifani, evitare il referendum sarà facile sugli appalti e molto complicato sui voucher. Dalle parti di Gentiloni contano di farcela e dal loro punto di vista si capisce perché: guai se si arrivasse alle elezioni politiche con la sinistra lacerata sul tema lavoro. La minoranza Pd già minaccia una campagna per «due sì», Emiliano e Speranza lo vanno sbandierando, Bersani vorrebbe rivoltare il job act come un calzino. Voucher e lavoro nero sono dunque già il cuore della battaglia congressuale anti-renziana dentro il Pd. Enigma Consulta Tra due settimane la Corte sarà di nuovo protagonista, ma sull’Italicum. E il risultato è incerto. Se avesse deciso a ottobre, è sicuro che l’avrebbe bocciato: così garantiscono autorevoli membri. Ma da allora gli equilibri interni sono mutati, e nessuno mette più la mano sul fuoco. Ogni previsione potrebbe essere ribaltata, perfino sul ballottaggio. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/01/12/italia/politica/il-partito-del-rinvio-ora-gongola-cos-si-allontanano-le-elezioni-l4jQ8Vxt5d8GZCDQuMyKJM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il lamento dei centristi: “Renzi ci ha usato, e adesso ci scarica” Inserito da: Arlecchino - Febbraio 01, 2017, 08:43:09 pm Il lamento dei centristi: “Renzi ci ha usato, e adesso ci scarica”
Alfaniani e Ala esclusi dalla lista Pd alle prossime elezioni, denunciano l’ingratitudine, dopo “i servigi resi” Pubblicato il 31/01/2017 - Ultima modifica il 31/01/2017 alle ore 12:06 UGO MAGRI Il piccolo pianeta centrista trabocca sdegno nei confronti di Matteo Renzi. Con qualunque esponente si scambino due parole, alla terza l’ex-premier viene catalogato nella specie umana degli «ingrati» o addirittura dei «mancaparola». Che lo sia o meno è un altro conto: qui interessa solo segnalare il profondo sconforto in cui è piombata l’intera area dell’ex berlusconismo, dove non si aspettavano di essere così brutalmente scaricati a fronte dei servigi resi al Pd e ai suoi leader. Il Bruto in questione è, ai loro occhi, un politico educato e corretto che risponde al nome di Ettore Rosato, presidente dei deputati Pd. Il quale, intervistato ieri da «Repubblica», aveva escluso categoricamente la possibilità di liste comuni con Area popolare. Con la sinistra di Pisapia forse, ma con gli alfaniani proprio no. Non ci è voluto molto, per le vecchie volpi centriste, a capire che Rosato riferiva il pensiero di qualcuno più in alto nella gerarchia Pd, cioè Renzi in persona. Per averne la conferma, gli hanno fatto replicare da Bianconi, e Bianconi a sua volta è finito nel mirino di Fiano (sempre per conto di Matteo). Insomma, quelli di Ap hanno avuto la certezza di essere stati messi alla porta. Con la soglia del «Consultellum» al Senato (8 per cento), la speranza di rielezione è zero. E pure alla Camera, dove con l’altro «Consultellum» lo sbarramento è del 3, sarà una bella lotta. «Ci hanno usati e scartati nonostante tutti i servigi che resi nella battaglia contro Berlusconi», è il coro lamentoso. Accusati di cinismo e mendacio, i renziani «doc» replicano un po’ come la famosa formica alla cicala di Esopo: hai cantato un’estate, adesso balla. E cioè: ve la siete spassata al governo, occupando poltrone importanti da ministri e da sottosegretari, dunque il vostro bel tornaconto l’avete già incassato, che cos’altro pretendete da noi? Addirittura, si aggiunge ai piani alti del Pd, con 2-3 punti percentuali hanno occupato nella persona di Alfano il vertice della diplomazia dopo quello del Viminale, due posizioni chiave (Esteri e Interno) di cui la Dc per quarant’anni non si era mai voluta privare. Per cui, è la spietata conclusione, non hanno nulla di che recriminare. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. DA - http://www.lastampa.it/2017/01/31/italia/politica/il-lamento-dei-centristi-renzi-ci-ha-usato-e-adesso-ci-scarica-kFjyDD6uevEWrSyK1w6syI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Babele Pd sulla legge elettorale. E il voto a giugno è più difficile Inserito da: Arlecchino - Febbraio 04, 2017, 05:51:23 pm Babele Pd sulla legge elettorale. E il voto a giugno è più difficile
Scontro sul premio di coalizione. Moody’s rilancia l’allarme sulla stabilità Pubblicato il 04/02/2017 - Ultima modifica il 04/02/2017 alle ore 08:48 Ugo Magri Roma Nel Pd è in corso un dibattito, ricco di passione, su un aspetto della legge elettorale che ai profani può sembrare cavilloso: se sia preferibile dare il premio al solo partito che arriva primo, oppure spartire il bottino con l’intera coalizione vittoriosa. Esponenti di rango come Graziano Delrio e soprattutto Dario Franceschini (ma pure Andrea Orlando è sulla stessa lunghezza d’onda) rispondono senza dubbio alcuno: meglio la seconda delle due. Per sperare di vincere, pensano che sia d’uopo mostrarsi generosi e associare tanto Angelino Alfano quanto la sinistra di Giuliano Pisapia. Aggiungono che, alleati insieme, sarebbe meno impossibile superare il 40 per cento o, perlomeno, più facile farlo credere agli elettori. A un certo punto della mattina, i favorevoli al premio di coalizione sembravano in vantaggio. Ma poi sono venuti allo scoperto quanti temono, invece, che un’ammucchiata sarebbe solo dannosa, dunque meglio soli che male accompagnati. Per cui a sera la confusione era al top. E Renzi, come la pensa? Chi tirerà le somme Qualcuno sostiene che Matteo sia vittima della Babele nel suo partito; altri, al contrario, che il caos gli faccia comodo perché questa fioritura di opinioni contrastanti permetterà a lui di fare la sintesi, a modo suo come al solito. Chi lo sente sostiene che il segretario è contro il premio di coalizione perché mai fidarsi degli alleati, in caso di vittoria potrebbero impedirgli di tornare a Palazzo Chigi. Però certi contatti col mondo berlusconiano fanno ritenere che Renzi si tenga aperte tutte le strade, compresa quella di accontentare il Cav sul premio di coalizione (bocciato da Salvini) pur di averne in cambio un via libera alle elezioni in giugno. Ma pure qui aleggia la domanda: con i tempi ci siamo, o è già tardi? Di sicuro, per votare a giugno presto non è. In Commissione alla Camera ci sono almeno 12 proposte da discutere, e prima di iniziare si attendono le motivazioni della Consulta. Il presidente Andrea Azziotti esige (a ragione) che non sia un semplice «pro forma» e si tenti di fare, oltre che presto, possibilmente bene. Il 27 è previsto che il parto della Commissione approdi in aula, ma da quel momento scatteranno gli agguati perché a Montecitorio è permesso il voto segreto, dunque vai con i «franchi tiratori». Poi toccherà al Senato, dove le maggioranze sono ballerine. Alle vecchie volpi del Parlamento, che si finisca prima di Pasqua sembra utopia pura. Eppure Renzi deve farcela, se non vuole perdere l’ultimo treno del voto che passa l’11 giugno, perché poi sarebbe troppo caldo per la campagna elettorale. Altro ostacolo da superare: i mercati. Secondo Moody’s, le elezioni del 2017 sono un fattore di rischio per l’Europa, «aumentano la volatilità». Nessuno ha la sfera di cristallo. Ma immaginiamoci se, il giorno in cui Gentiloni dovesse dimettersi e Mattarella sciogliere le Camere, lo spread fosse a quota 300. Impossibile far finta di niente. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/04/italia/politica/babele-pd-sulla-legge-elettorale-e-il-voto-a-giugno-pi-difficile-RsHWhybqOa5cmXNb2HW63I/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Sui resti dell’Italicum in arrivo altri 14 ricorsi. Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 12:40:16 pm Sui resti dell’Italicum in arrivo altri 14 ricorsi. Il voto si allontana
Mattarella: Europa e G7 le scadenze più urgenti, sono l’occasione per rilanciare l’Europa Pubblicato il 11/02/2017 Ultima modifica il 11/02/2017 alle ore 07:21 Ugo Magri - Roma Il principale avversario di Matteo Renzi, colui che gli sbarra la via della rivincita elettorale immediata, è un settantaduenne avvocato italo-svizzero di nome Felice Besostri. Fu lui a far bocciare il «Porcellum», sempre lui a dichiarare guerra contro l’«Italicum». E non si accontenta. Dopo avere spulciato la sentenza della Corte costituzionale, è pronto a scatenare un’altra raffica di ricorsi per rendere inagibile quel poco che resta del sistema elettorale. Nel qual caso, altro che voto a giugno. La sorpresa a pagina 92 L’attenzione di Besostri è caduta su un passaggio della sentenza, dove la Consulta bacchetta il Tribunale di Messina che aveva presentato ricorso contro le soglie di sbarramento diverse tra Camera e Senato. Sbagliato, obietta la Corte, in quanto quel Tribunale «non illustra le ragioni per cui sarebbero le diverse soglie di sbarramento e non altre, e assai più rilevanti, differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera) ad impedire la formazione di maggioranza omogenee nei due rami del Parlamento». È come se la Consulta suggerisse ai ricorrenti: se aveste puntato sulle difformità del premio di maggioranza, magari vi avremmo dato ragione. Il pugnace Besostri non chiede di meglio: «Le motivazioni della sentenza sono paradossalmente una guida per formulare ordinanze ammissibili». Ci sono ben 14 Tribunali pronti a entrare in azione sulla scia della sentenza. L’unico modo per arginarli consisterebbe nello scrivere una legge a prova di Besostri. È la complessa sfida cui il Parlamento viene chiamato dalla Corte medesima. Renzi freme, ma per riscrivere il testo ci vuole tempo: nella Commissione Affari costituzionali alla Camera, presieduta da Andrea Mazziotti, i progetti da discutere sono già 18 e altri ne stanno arrivando, compresa una legge di iniziativa popolare promossa dai Comitati del No al referendum. Nel frattempo i ricorsi andranno avanti. E per quanto la Consulta ritenga di avere già dato in materia elettorale, non è da escludere che nel giro di poche settimane vengano ad accumularsi nuovi pesanti dubbi di costituzionalità: quelli che, nel messaggio di fine anno, il Presidente della Repubblica aveva consigliato, prudentemente, di chiarire in anticipo. Occasioni da non perdere Giusto ieri, Sergio Mattarella ha ribadito due appuntamenti internazionali che, comunque vada, andranno onorati nei prossimi mesi. Il primo cadrà il 25 marzo, sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma: le celebrazioni dovranno essere, secondo il Capo dello Stato, l’occasione per «ridare slancio al processo di integrazione Ue». L’altro appuntamento sarà a fine maggio, nel G7 di Taormina, dove si parlerà di immigrazione e anche, anticipa Mattarella, «di innovazione e lavoro». Un modo educato e rispettoso di ricordare che guai se la politica sprecasse due rare occasioni in cui l’Italia sarà, finalmente, in cabina di regia. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/11/italia/politica/sui-resti-dellitalicum-in-arrivo-altri-ricorsi-il-voto-si-allontana-NEOoFkBYSfqcgbHwd4TxsM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Votare con lo spread: un rischio che neanche Renzi può permettersi Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 12:59:05 pm Votare con lo spread: un rischio che neanche Renzi può permettersi La nevrosi dei mercati finanziari sta toccando lo zenit, e pensare di andare al voto in questa congiuntura rischia di rivelarsi molto pericoloso Spread Btp a 200 punti, è la prima volta da febbraio 2014 Pubblicato il 07/02/2017 - Ultima modifica il 07/02/2017 alle ore 16:11 Ugo Magri La narrazione politica renziana suggerisce il seguente scambio: va bene anche una legge elettorale con l’aborrito premio di coalizione, a patto però che si voti in giugno. Niente voto? Allora niente coalizione... Non è l’unico «do ut des» che viene suggerito in queste ore. Altri riguardano primarie e congresso Pd, in base a calcoli di convenienza che ai comuni mortali sfuggono e, probabilmente, nemmeno interessano. Sullo sfondo, tuttavia, c’è sempre l’ipotesi di rinviare al 2018 la resa dei conti elettorali che a parole si voleva presto, anzi prestissimo, praticamente subito ma adesso verrebbe posticipata per effetto appunto di qualche patteggiamento. La verità è più banale e prosaica: semplicemente si sta prendendo atto che votare in queste condizioni non è possibile. Per una somma di motivi solo in parte legati al cosiddetto teatrino politico. Il primo, e più noto, dipende dalla legge elettorale. Entro venerdì la Consulta farà sapere se (e fino a che punto) il Parlamento dovrà correggere i sistemi di Camera e Senato, in modo da renderli un filo più omogenei. Sul modo concreto di intervenire, le opinioni divergono; si registra invece una convergenza di opinioni sulla tempistica: che tutti giudicano molto stretta per votare entro giugno, come vorrebbe Matteo. Basta un minimo intoppo, e se ne riparla dopo l’estate. Ma non finisce lì. Per effetto delle elezioni che si terranno in Francia il 23 aprile, con il ballottaggio finale il 7 maggio, la nevrosi dei mercati finanziari sta toccando lo zenit. E’ la conseguenza ovvia della dissoluzione europea che sarebbe assai probabile qualora dovesse vincere Marine Le Pen (ha promesso di lasciare Nato e Ue). Già ora lo spread viaggia sui 200 punti percentuali, possibilmente destinati a salire. La ricaduta italiana è che, per votare a giugno, il governo Gentiloni dovrebbe dimettersi proprio nei giorni più caldi della campagna elettorale francese. E Sergio Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere in un quadro politico confuso, senza la certezza che dalle urne verrà fuori una maggioranza, anzi con l’alta probabilità di ricominciare con i governi tecnici, balneari o del Presidente. Quanto basterebbe, cioè, per scatenare contro di noi l’ira dei mercati e la forza della speculazione. Davanti alla prospettiva di un salto nel buio, è possibile che lo stesso Renzi ci stia riflettendo. E che le negoziazioni politiche di queste ore siano un modo per mascherare il gap sempre più incolmabile tra i desideri e la dura realtà. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/07/italia/politica/votare-con-lo-spread-un-rischio-che-neanche-renzi-pu-permettersi-xhxkWqfYhToCv9oCvV7AgM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella in Cina punta sulla cultura per fare largo al “Made in... Inserito da: Arlecchino - Marzo 01, 2017, 05:28:50 pm Mattarella in Cina punta sulla cultura per fare largo al “Made in Italy”
Mercoledì i colloqui con il Presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping Pubblicato il 21/02/2017 - Ultima modifica il 21/02/2017 alle ore 13:35 Ugo Magri Pechino Le dimensioni contano, soprattutto nei rapporti tra Stati. E al confronto con la Cina, l’Italia reciterebbe la parte della pulce se non fosse per la cultura, che ci salva. L’unico terreno in cui da queste parti ci considerano una super-potenza, per cui siamo trattati veramente alla pari, è proprio il campo dell’arte, dello stile, del design. Non a caso Sergio Mattarella, nella sua visita di Stato iniziata oggi a Pechino sotto la neve, metterà l’accento soprattutto sulle affinità culturali di due mondi che più distanti non potrebbero essere, però sono accomunati dal rispetto delle reciproche tradizioni e potenzialità. Senza questo forte aggancio culturale non si spiegherebbe il chiaro interesse cinese nei confronti dell’ospite italiano. Nella giornata di domani, Mattarella avrà due incontri con il presidente della Repubblica popolare Cinese, Xi Jinping, che è anche segretario del partito comunista e capo delle Forze Armate. La prima occasione di colloquio sarà al Palazzo dell’Assemblea Nazionale del Popolo, in piazza Tiananmen, poco dopo le 10 ora italiana. Della nostra delegazione farà parte il titolare degli Esteri, Angelino Alfano, che scorterà il Presidente nella prima tappa della visita. Più tardi, Xi Jinping e Sergio Mattarella firmeranno una serie di accordi nel campo della cooperazione, quindi tireranno le conclusioni del Forum culturale italo-cinese e del Business forum, riuniti congiuntamente. Davanti a una platea di imprenditori italiani, il Presidente della Repubblica ha insistito sia sul «forte legame» tra i due paesi, che affonda le radici nella storia, sia sulla «comune sensibilità artistica e culturale», che si esprime anzitutto nella collaborazione accademica e della tutela dei rispettivi patrimoni. «E’ una realtà vibrante», assicura Mattarella, «una relazione che sta crescendo». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/21/italia/politica/mattarella-in-cina-punta-sulla-cultura-per-fare-largo-al-made-in-italy-SIVrsxbAFFmMUHZCwVEoqN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella in campo per la stabilità Inserito da: Arlecchino - Marzo 03, 2017, 04:23:55 pm Mattarella in campo per la stabilità
Pubblicato il 03/03/2017 UGO MAGRI Gli scienziati della politica non hanno fatto nemmeno in tempo a calcolare l’impatto degli scandali romani, che già devono rifare i conti alla luce dell’inchiesta Consip, e domandarsi se i danni di immagine per Renzi saranno tali da pareggiare o addirittura superare quelli subiti dai grillini a causa della Raggi. Per effetto della «questione morale», chi veste i panni dell’accusa si ritrova da un giorno all’altro sul banco degli imputati, in un clima che ai meno giovani evoca quello cupo del 1992, alla vigilia di «Mani Pulite» e di «Tangentopoli». Come un quarto di secolo fa, sulla Repubblica aleggia l’incertezza; destinata ad aggravarsi per effetto delle primarie Pd, del referendum sul «Jobs Act» e delle elezioni comunali previste nella tarda primavera. Non c’è da stupirsi dunque se si moltiplicano gli interrogativi sulla tenuta del governo, su quanto a lungo potrà reggere la barra Gentiloni con una maggioranza sempre più frastornata. E, per quanto cinica, è nell’ordine delle cose perfino la giravolta di Berlusconi: fino a ieri contrarissimo al voto, l’ex premier sembra adesso ingolosito dalla chance di profittare delle debolezze altrui. Sempre che la ruota non giri ancora. È con lo sguardo a questo «cupio dissolvi» della politica italiana che vanno intese le parole forti pronunciate dal Capo dello Stato. Premiando al Quirinale le eccellenze del «made in Italy», ha puntato l’indice verso i pericoli cui l’Italia va incontro: un’allarmata rappresentazione di quanto sta accadendo sul piano internazionale, dove «ci troviamo ad affrontare un quadro complesso con significative instabilità». L’elenco incomincia dalle guerre commerciali che potrebbero scatenarsi per iniziativa di Trump; prosegue denunciando un ricorso «in aumento» alle misure protezionistiche; segnala i rischi che ciò potrebbe comportare per un’economia come la nostra «fortemente orientata all’esterno»; rivendica la necessità di «andare risolutamente controcorrente rafforzando la cooperazione», ciò che unisce la comunità mondiale anziché dividerla. Tutto qui? No, perché siamo alla vigilia delle elezioni in Olanda (15 marzo), dove se la giocano il conservatore Rutte e il nazionalista Wilders. Subito dopo toccherà alla Francia (23 aprile il primo turno), con Marine Le Pen che cresce ancora nei sondaggi. Quindi sarà il turno della Germania (24 settembre), e a quel punto non è detto che l’Europa sarà somigliante a quella attuale. Il «Libro bianco» annunciato dal presidente della Commissione Juncker già prefigura un’Unione a scartamento ridotto, che rinuncia agli obiettivi più ambiziosi per concentrarsi sullo stretto essenziale: una «recessione geopolitica», la definisce Mattarella, quasi un abbandono di responsabilità. E mette in guardia: tutte queste circostanze sommate insieme «possono alimentare l’incertezza e la volatilità dei mercati». Come dire che potremmo finire in pasto alla speculazione, già da tempo scatenata. Basta digitare su Google la parola «spread» per trovare la curva dell’ultimo anno. E individuare il momento esatto in cui siamo finiti sotto pressione: quando Renzi lanciò la scommessa (poi persa male) del referendum sulla Costituzione. È la riprova del legame diretto tra instabilità politica e costo del debito pubblico. L’inconcludenza rissosa dei partiti, segnala il Presidente, rischia di regalarci sacrifici aggiuntivi. Non è un monito, ma un avviso ai naviganti. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/03/03/cultura/opinioni/editoriali/mattarella-in-campo-per-la-stabilit-22aQnQVgzoHfh71gAF9GjL/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170303. Titolo: UGO MAGRI Dalla Consulta una sentenza al giorno, ma il castello legislativo ... Inserito da: Arlecchino - Marzo 10, 2017, 12:39:12 pm Dalla Consulta una sentenza al giorno, ma il castello legislativo resiste Molti ricorsi e poche bocciature nell'attività della Corte costituzionale, nella relazione del presidente Paolo Grossi. Pubblicato il 09/03/2017 - Ultima modifica il 09/03/2017 alle ore 17:07 Ugo Magri Roma Per gli appassionati di statistiche, la Corte Costituzionale ha documentato la mole di lavoro svolta nel corso del 2016 attraverso la relazione annuale del suo presidente, Paolo Grossi. Come di consueto, alla cerimonia hanno preso parte le più alte cariche istituzionali, da Sergio Mattarella in giù. Contrariamente alla prassi, però, per la prima volta dal 1956 quest’anno non è seguita la conferenza stampa che - unica tra le magistrature della Repubblica - la Consulta considerava un proprio tratto di distinzione e di apertura al mondo esterno. La novità ha scatenato le proteste della Fnsi, organo sindacale dei giornalisti, perché non è certo nello spirito dei tempi. Può darsi che in questo modo Grossi abbia preferito evitare alcune domande importune, specie sulla recente sentenza che ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’«Italicum». Sia come sia, la relazione del presidente schiva le questioni più controverse sul terreno politico, incominciando proprio dalla legge elettorale, e si limita a fornire dei numeri, a testimonianza dell’impegno profuso dai 14 giudici della Corte (ne manca uno, che il Parlamento si guarda bene dall’indicare). Emerge dalle 15 dense pagine della relazione 2016 che nell’arco dei 12 mesi sono stati pronunciati 366 giudizi, in pratica uno al giorno. Ventitré sono state le pubbliche udienze, 19 le sedute in camera di consiglio (anche se, giustamente, Grossi ha specificato come altre riunioni si siano tenute praticamente ogni lunedì per esaminare i testi delle varie decisioni, e poi anche per motivi di carattere amministrativo). Altro dato di indiscutibile interesse: le decisioni di rigetto rimangono molto più numerose di quelle cosiddette di accoglimento. Basti dire che, rispetto alle richieste dei vari tribunali, le dichiarazioni di incostituzionalità hanno superato di poco il 20 per cento del totale. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/03/09/italia/politica/dalla-consulta-una-sentenza-al-giorno-ma-il-castello-legislativo-resiste-LkMW4ptjeYgT8VcRjU8FCP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Lotti si salva grazie anche a Verdini Bocciata la mozione ... Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 12:27:40 pm Lotti si salva grazie anche a Verdini
Bocciata la mozione presentata dai Cinque Stelle. Ma il voto di Ala imbarazza il Pd. Il ministro interviene in aula e contrattacca: “Si vuole colpire una stagione politica” Pubblicato il 16/03/2017 UGO MAGRI ROMA La mozione grillina contro Luca Lotti non ha travolto il ministro, come era facile scommettere. Il braccio destro di Renzi ha raccolto al Senato perfino più fiducia di quanta ne potesse desiderare: 161 voti, oltre la maggioranza assoluta, solo 52 sì. Se fossero stati 14 sostenitori in meno non gli sarebbe dispiaciuto. Il Pd infatti ha tentato di convincere i verdiniani che del loro apporto non ci sarebbe stato bisogno, dunque meglio avrebbero fatto a scomparire per ragioni estetiche (Verdini si è ritagliato un ruolo pure nella vicenda Consip). Ma è stato tutto inutile: invece di uscire dall’aula, come ha fatto Forza Italia nel nome del garantismo, il gruppo di Ala ha manifestato aperto sostegno al titolare dello Sport, che si è difeso nel suo discorso con passione, respingendo l’accusa di avere messo sul chi vive gli indagati. Porterà in Tribunale chi lo ha calunniato, promette. Proprio ieri suo figlio ha compiuto 4 anni, e difendersi in Senato (ha voluto far intendere) non è stato il modo migliore per festeggiare. Lo scontro con Gotor Chi s’immagina un duello vibrante, gonfio di pathos e dai toni elevati, sbaglia di grosso. Gentiloni non c’era perché impegnato a Pistoia «Capitale della cultura». Idem la Boschi. Padoan si è affacciato all’inizio ma poi, evidentemente, aveva altro da fare. Emiciclo pieno, molti sguardi per la ministra Lorenzin con spolverino giallo, per la Cirinnà tutta in rossa, per la Pelino borchiata d’oro. Proteste e ironie dai banchi Pd quando la grillina Taverna ha tirato in ballo le indennità che i senatori perderebbero se cadesse il governo. I Cinquestelle hanno messo a segno alcuni colpi facili, ma pure loro ne hanno incassati per via della Raggi, del loro codice etico e delle disgrazie penali di Grillo, che Lotti si è spinto a bollare come «un pregiudicato» (sui banchi M5S qualcuno faceva gestacci del tipo «dopo vengo e ti sistemo io»). Si è celebrato il trionfo dell’ipocrisia, Pd e M5S impegnati a rinfacciarsi la doppia morale del giustizialismo nei confronti degli avversari, e del garantismo peloso quando i pm indagano gli amici. Per cui a conti fatti non è semplice stabilire chi le abbia buscate di più. Idem per quanto riguarda l’altro duello pieno di rancore tra il Pd e quelli che se ne sono appena andati. Tra Pacciani e Cutugno Come se mai fossero stati insieme nello stesso partito, il bersaniano Gotor ha consigliato a Lotti di dimettersi, o perlomeno di restituire le deleghe in campo economico. L’attacco è stato condito con velenosi riferimenti al «familismo amorale» renziano, al «groviglio di potere» cresciuto a Rignano sull’Arno, al «giro tosco-fiorentino degli “amici miei” in salsa governativa» (i leghisti, meno raffinati, hanno evocato addirittura il Mostro di Firenze). Mentre Gotor parlava, dai banchi del governo partivano sguardi carichi di odio verso l’esponente di Mdp. Ha provveduto più tardi Marcucci a bastonarlo, denunciandone «lo spirito vendicativo, provocatorio, insoddisfatto e minaccioso». Ma tanto è bastato per scatenare l’ironia di Gasparri, berlusconiano. «Eravate venuti da Firenze a miracol mostrare», si è rivolto ai renziani, «ma non avete innovato un bel tubo. Benvenuti nell’Italia di Toto Cutugno». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - Titolo: UGO MAGRI Il “giallo” della legge elettorale che sembra scomparsa nel nulla Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 12:28:47 pm Il “giallo” della legge elettorale che sembra scomparsa nel nulla
Le opposizioni accusano: «È il Pd che adesso vuole rinviare» Pubblicato il 16/03/2017 - Ultima modifica il 16/03/2017 alle ore 10:08 UGO MAGRI ROMA Sembrava una questione di giorni, anzi di ore: illustri personalità di governo sostenevano che rifare la legge elettorale (bocciata a gennaio dalla Consulta) sarebbe stato un gioco da ragazzi, e saremmo tornati alle urne al massimo entro maggio. Era stato perfino annunciato un ruolino di marcia parecchio stringente, con l'esame in commissione alla Camera concentrato in febbraio e l'esame dell'aula ai primi giorni di marzo. Chi osava sollevare dubbi, veniva tacciato di scarsa fede nella determinazione di Renzi, al quale premeva tornare alle urne, unita a quella di Salvini e di Grillo. Metà marzo però è già passata, e della nuova legge elettorale ancora non si vede traccia. L'approdo in aula è stato prudentemente rinviato al giorno 27, ma tutti i segnali portano a credere che nemmeno tra 10 giorni la «deadline» verrà rispettata. Che cosa sta succedendo? L'ordine di frenare La spiegazione più banale punta l'indice contro le lungaggini del Parlamento, in particolare della commissione Affari costituzionali dove le proposte di modifica si sono moltiplicate, siamo ben oltre la ventina. Esaminarle a una a una richiede il suo tempo. Tra l'altro, fa notare il presidente Andrea Mazziotti, non è che i commissari stiano lì a girarsi i pollici: devono dare la precedenza a una folla di decreti legge che altrimenti andrebbero a scadenza, con ricadute negative. E poi, ecco il vero nodo, nessuno più spinge per fare di corsa. Semmai, il rovescio. Fonti assolutamente credibili fanno sapere che l'ordine di frenare è partito proprio dal quartier generale renziano. Il messaggio è stato recapitato alle principali opposizioni. Forza Italia, che sarebbe stata disponibile a trovare un compromesso anche subito, purché su base proporzionale, si è messa il cuore in pace: «Non è ancora il momento», sussurra agli amici il capogruppo al Senato, Paolo Romani. E Danilo Toninelli, che segue la pratica per conto dei Cinquestelle, la mette così: «Renzi vuole vedere anzitutto come vanno le sue primarie, convocate il 30 aprile. E poi si regolerà sulla legge elettorale, a seconda del risultato». Normativa confusa Nell'attesa del chiarimento Pd, si moltiplicano i dubbi circa la possibilità di tornare alle urne con la legge che c'è. Proprio ieri il ministro dell'Interno Domenico Minniti, con l'aria di chi vorrebbe spianare la strada alle elezioni, ha infilato una ulteriore zeppa nel meccanismo spiegano durante il «question time» che «in via interpretativa, e pur con la necessità di fare ulteriori approfondimenti, si può dire che sussista la possibilità di presentare coalizioni al Senato su base regionale». Occhio alle mani avanti del ministro: «in via interpretativa», «con ulteriori approfondimenti», «si può dire» ... Significa che la normativa attuale è confusa, non offre alcuna vera certezza, e senza una nuova legge fatta per bene sarebbe un azzardo andare a votare. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/16/italia/politica/il-giallo-della-legge-elettorale-che-sembra-scomparsa-nel-nulla-OBmySHJTi0utDwOoEqf9GK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Perché il «caso Minzolini» è destinato a ripetersi Inserito da: Arlecchino - Marzo 20, 2017, 10:45:59 am Perché il «caso Minzolini» è destinato a ripetersi
Leggi assurde regolano lo scontro tra politica e giustizia. Ma nessuno se ne occupa seriamente. Pubblicato il 17/03/2017 - Ultima modifica il 17/03/2017 alle ore 09:59 UGO MAGRI ROMA Un cittadino qualunque non capisce come mai, se la legge Severino stabilisce la decadenza di un «onorevole» condannato, debba pronunciarsi pure la Camera di appartenenza (come è successo ieri per Minzolini). Delle due l'una: se l'ultima parola dev'essere quella dei giudici, sembra assurdo che si chieda il via libera del Parlamento. Anche perché i suoi membri non possono essere trattati come semplici passacarte, è logico che si esprimano liberamente. Ma se deputati e senatori esercitano il loro diritto di entrare nel merito e di sostituirsi ai magistrati, per quale diamine di motivo è stata approvata una legge sulla decadenza che poi non viene onorata? Chiaramente, nel meccanismo c'è qualcosa che offende la logica. Anzi, sembra studiato apposta da qualche mente malata per aggiungere discredito sulle nostre povere istituzioni. Né risulta che qualcuno se ne stia occupando. Per cui il «caso Minzolini» è destinato a ripetersi. In realtà, questa legislazione assurda fotografa un campo di battaglia, quello tra politica e giustizia. Dove la linea del fronte si sposta a seconda delle fasi storiche. Nella Prima Repubblica (cioè fino a Tangentopoli, inizio anni '90) la volontà democratica era sacra, il popolo sovrano aveva diritto di eleggere perfino i ladri e i conclamati assassini. I magistrati non potevano nemmeno azzardarsi a iniziare le indagini senza un'apposita «autorizzazione a procedere» del Parlamento, che di regola veniva negata. Dopodiché la politica ha commesso suicidio e le parti si sono invertite. Alle Camere è rimasta la facoltà di negare provvedimenti estremi come l'arresto o, appunto, la decadenza. E quando esercita questo diritto, che sta nella Costituzione, se ne vergogna un po' perché sa tanto di Casta. Sarebbe bello se si trovasse finalmente un equilibrio onesto e rispettato. Per realizzarlo, non occorre chissà che. Basterebbe ad esempio abolire le «porte girevoli» tra Parlamento e magistratura, che generano solo sospetti (e alibi). Perché è vero che Minzolini è stato condannato per la carta di credito Rai, ma a rovesciare l'assoluzione in primo grado è stato un giudice che prima era stato deputato, poi senatore, quindi sottosegretario, salvo tornare come se niente fosse a rivestire la toga. Dunque un avversario politico dichiarato dell'ex direttore del Tg1. E' una commistione di ruoli contro cui si batte a ragione la stessa Anm, nella persona del suo presidente Camillo Davigo. Ma si procederà in tal senso? Molti segnali fanno temere di no. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/17/italia/politica/perch-il-caso-minzolini-destinato-a-ripetersi-7vi0bRNXNvIF6QMJtw7MYP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Che cosa rischia il governo se Renzi si riprende il Pd Inserito da: Arlecchino - Marzo 29, 2017, 08:09:30 am Che cosa rischia il governo se Renzi si riprende il Pd
Molti «peones» temono di perdere il seggio e studiano le mosse dell'ex premier: ha rinunciato davvero a votare in autunno? Pubblicato il 28/03/2017 - Ultima modifica il 28/03/2017 alle ore 10:37 UGO MAGRI ROMA Le primarie Pd sono appena incominciate, e qualcuno già si lancia nelle previsioni: se Renzi vince forte, vedrete che farà cadere il governo. Sono ragionamenti che si raccolgono soprattutto tra i «peones», quegli parlamentari di basso rango, i quali puntano a conservare la loro poltrona. Si preoccupano perché, ecco il ragionamento, una volta riconfermato saldamente alla guida del partito Matteo non resterebbe per altri sei lunghi mesi a girarsi i pollici mentre l'amico Gentiloni gli ruba la scena a Palazzo Chigi. È la sua stessa natura che glielo impedisce. Per cui provocherebbe di certo le elezioni anche a costo di perderle: un po' come lo scorpione della favola, che punge la rana in mezzo al fiume a costo di affogare anche lui. Ma Renzi sarà davvero così irrazionale? Nel giro dell'ex premier c'è effettivamente chi, ragionando sulle diverse possibilità, continua a mettere nel conto le elezioni anticipate. Non più entro giugno (ormai tecnicamente impossibili), semmai a fine settembre, in base alla teoria dell'«allineamento» con il voto in Germania: se ci nascondiamo dietro ai tedeschi, è la scommessa di questi consiglieri, magari i mercati finanziari saranno distratti dal duello tra la Merkel e Schulz e non ci metteranno nel mirino speculativo... Però non tutti i frequentatori di Rignano sull'Arno la pensano allo stesso modo. E, quel che più conta, non pare che Renzi medesimo sia di quell'opinione. Se fino a qualche settimana fa sembrava in preda a una smania incontrollata di rivincita, adesso viene descritto come pacato e riflessivo. Le sue presunte tentazioni elettorali vengono liquidate anzi come una manovra dei suoi avversari per appiccicargli addosso la parte del «cattivo», pronto perfino a passare sul corpo di un amico come Paolo Gentiloni. Con il quale, invece, l'uomo sta dando prova di grande e sincera collaborazione. I due procedono di comune accordo, dunque non si prevedono sgambetti. Insomma, la versione che arriva dal giro renziano più stretto non ammette dubbi: torneremo alle urne nel 2018 salvo sorprese. A meno che, cioè, non capiti qualche incidente parlamentare sulla prossima manovra economica o su quella (più impegnativa) che si prevede in autunno. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. DA - http://www.lastampa.it/2017/03/28/italia/politica/che-cosa-rischia-il-governo-se-renzi-si-riprende-il-pd-rDdVfRaMFcqBWy8M6Ho8sJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Per mettere pace a destra spunta la pazza idea di staffetta Inserito da: Arlecchino - Marzo 30, 2017, 12:25:45 pm Per mettere pace a destra spunta la pazza idea di staffetta
È l’ultima trovata dei “pontieri”: a Palazzo Chigi prima Silvio e poi Matteo. Purché la smettano di litigare 29 marzo 2015 Pubblicato il 29/03/2017 - Ultima modifica il 29/03/2017 alle ore 07:38 UGO MAGRI ROMA Il centrodestra ha un problema con l’aritmetica: non ha ancora imparato a fare le somme. Se ci riuscisse, avrebbe ricche chance di vincere le prossime elezioni, come suggerisce una quantità di sondaggi che circolano sul web. Li ha messi in fila Renato Brunetta (uno dei pochi a credere nel trionfo del «no») per dimostrare come Forza Italia più Lega più la Meloni siano nettamente avanti a Cinquestelle e Pd. Anzi: sarebbero, con il condizionale. Perché nel loro caso 1+1+1 dovrebbe fare 3. Ma questa addizione, al momento, è politicamente difficile, quasi impossibile. Il paradosso della destra italiana sta tutto qui: avrebbe il potere a portata di mano, se solo sapesse unire le forze. E la brama di afferrarlo è tale che spuntano le ipotesi più creative, al confine della provocazione intellettuale. Persino quella di una «staffetta» a Palazzo Chigi tra Berlusconi e Salvini. Che si passerebbero il testimone nel corso della legislatura, un po’ per uno non fa male a nessuno. Con Silvio che, per ragioni anagrafiche, inizierebbe lui. Cosa dicono i sondaggi L’ultima rilevazione di Euromedia Research (la dirige Alessandra Ghisleri) conferma un trend in atto ormai da dicembre: il Pd scivola sempre di più, M5S guadagna, ma se si votasse domani né Renzi né Grillo arriverebbero al 30 per cento. Un centrodestra unito, viceversa, lo scavalcherebbe alla grande (33,1 è la stima che fa brillare gli occhi a Brunetta). Maliziosamente, il capogruppo «azzurro» fa notare che secondo 4 istituti Forza Italia è stabilmente davanti alla Lega nelle intenzioni di voto, sia pure per un’incollatura. Sennonché l’«Italicum», che sopravvive mutilato alla Camera, prevede un premio per chi supera il 40 per cento. Magari non ce la farà nessuno; però la semplice speranza di riuscirci sarà sufficiente a scatenare la corsa al «voto utile». Col risultato che, se non cambierà la legge, chi non si coalizza sarà spinto inesorabilmente ai margini. Dall’aria che tira, molto difficilmente la riforma si farà. Dunque Berlusconi e Salvini sembrano obbligati a mettersi d’accordo e addirittura a convivere in una sorta di «listone»: l’unico accreditato a correre per il premio. Ma Silvio non ci pensa nemmeno perché è convinto che, nella spartizione dei seggi, l’altro si metterebbe a gridare, batterebbe i pugni sul tavolo, Forza Italia sarebbe bullizzata dalla Lega. E poi, chi glielo spiegherebbe agli elettori del Sud che, per votare Berlusconi, dovrebbero accollarsi pure Salvini? Meglio soli che male assortiti, è convinto per ora il Cav. La mediazione di Letta Idem Matteo: la lista unica con Forza Italia al momento gli fa orrore. Perché significherebbe annacquare il vino padano e mettersi in casa quelli che vanno a braccetto con Angela Merkel. L’ostacolo alla sommatoria, per il momento, sono proprio i due leader. Ma intorno a loro si moltiplicano gli studenti di aritmetica. Tra i più preparati, a sorpresa, c’è Gianni Letta. Il più antico consigliere di Berlusconi, che sbagliando molti ritengono un tramite con la sinistra, in realtà è al lavoro per mettere pace con Salvini. Cosicché Letta si ritrova sulla stessa sponda di Toti, governatore della Liguria, profeta dell’«embrassons-nous» con la Lega. E dell’avvocato Ghedini, altro tessitore di armonia. Il pressing si fa sempre più forte. La stessa pazza idea di «staffetta» (che non ha mai funzionato: vedi cosa accadde 30 anni fa tra Craxi e De Mita) dimostra come, prima di farsi sfuggire la rivincita, a destra le proveranno davvero tutte. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/29/italia/politica/per-mettere-pace-a-destra-spunta-la-pazza-idea-di-staffetta-XgmN31s3klZR4LpyeE6hXJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Sulla legge elettorale è finita una commedia Inserito da: Arlecchino - Marzo 30, 2017, 12:48:11 pm Sulla legge elettorale è finita una commedia
Addio Mattarellum: Renzi non insiste più. Così la palla passa a Berlusconi e a Grillo. Pubblicato il 30/03/2017 - Ultima modifica il 30/03/2017 alle ore 09:11 UGO MAGRI ROMA Due buone notizie tutte in una volta per quanti sono in ansia sulla legge elettorale. La prima: cala il sipario sulla commedia del Mattarellum. Il Pd prende finalmente atto che è inutile insistere, nessun altro partito accetterebbe di riportare in auge quel sistema dove va in Parlamento chi arriva primo nel suo collegio, e gli sconfitti si accontentano delle briciole. Il Mattarellum fa orrore a Grillo che teme il condizionamento oscuro di clientele, mafie e poteri forti. Non lo gradisce nemmeno Berlusconi, perché sarebbe letale per Forza Italia. E se si dà retta ai maliziosi, non ci ha creduto fino in fondo nemmeno Renzi. Il quale aveva riproposto quel sistema (in vigore dal 1993 al 2005) ben sapendo che non avrebbe mai ottenuto i voti necessari, specie al Senato. Dunque sarebbe stato semplicemente un modo astuto per impiegare il tempo e andare alle urne nel 2018 con le leggi riscritte dalla Consulta, dandone la colpa agli altri. Fortunatamente ieri il Pd ha avuto il buon senso di non impuntarsi. I suoi rappresentanti in Commissione alla Camera si sono arresi all'evidenza dei numeri. Ed ecco la seconda buona, anzi eccellente notizia: la palla adesso passa a Beppe e al Cav. I quali dovranno scoprire le rispettive carte. Invece di limitarsi a dire «non mi piace», avranno l'occasione per spingere avanti soluzioni alternative. Nemmeno potranno sostenere che il tempo non basterebbe più, che siamo in ritardo eccetera, in quanto la riforma elettorale verrà votata in aula a maggio, in teoria nella prima settimana ma forse anche più in là. A disposizione ci sono ancora un paio di mesi. Insomma: il Pd fa un passo indietro, così la fatica di spremersi le meningi da questo momento tocca alla strana coppia proporzionalista Berlusconi-Grillo. Se riusciranno a mettere insieme un nuovo testo, difficilmente Renzi potrà buttarlo a mare, sarà obbligato a sottoscriverlo pure lui. Ma se quei due faranno un buco nell'acqua, è facile immaginare chi riderà per ultimo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/30/italia/politica/sulla-legge-elettorale-finita-una-commedia-E78MkHS4W5G3osKpU9qcQL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La buccia di banana su cui Renzi può scivolare Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 04:51:42 pm La buccia di banana su cui Renzi può scivolare
Nelle primarie Pd il Rottamatore è costretto a battere tutti i record per non sembrare in declino Pubblicato il 01/04/2017 - Ultima modifica il 01/04/2017 alle ore 10:19 UGO MAGRI Fa un po’ sorridere che si discuta se Renzi prenderà il 69 per cento tra gli iscritti Pd, come sostengono dalle sue parti, ovvero «solo» il 65: comunque vada a finire, l’ex-premier può già virtualmente considerarsi il padrone dell’apparato, anzi il monarca assoluto del partito. Non era andata così tre anni e mezzo fa. Quando si pronunciarono i militanti, nell’autunno 2013, il Rottamatore ne convinse meno della metà (il 45,3 per cento), tampinato da Gianni Cuperlo che sfiorò il 40. Poi però Renzi riuscì a sbaragliare il campo grazie a una straordinaria performance nel voto finale delle primarie, quando per votare è sufficiente dichiararsi sostenitori del Pd e versare un piccolo obolo. Raggiunse addirittura il 67 per cento: un tale trionfo che adesso rischia di trasformarsi in boomerang. Già, perché il 30 aprile prossimo (quando tornerà a pronunciarsi il popolo democratico), Matteo non potrà essere da meno. Anzi, visto come sta andando adesso tra gli iscritti, ci si attende che faccia ancora meglio rispetto al passato, addirittura polverizzi il record conquistato con il 76 per cento da Walter Veltroni nel 2007 e raggiunga percentuali un tempo definite «bulgare». Può essere che Renzi ce la faccia, e ancora una volta lasci tutti i suoi critici senza parole. In quel caso, il suo astro politico tornerebbe a splendere come prima della sconfitta referendaria e forse addirittura di più, perché vestirebbe i panni dell’invincibile. Ma se malauguratamente non dovesse fare scintille, allora gli applausi si trasformerebbero in fischi. Ogni punto percentuale in meno rispetto al 2013 verrebbe additato come la prova di un ulteriore declino. Idem per quanto riguarda l’affluenza ai seggi. In questo caso l’asticella sta a quota 2 milioni 814 mila votanti. Se calassero bruscamente, i gufi subito direbbero «epperò», ha vinto senza convincere. Un certo D’Alema ha già incominciato. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/01/italia/politica/la-buccia-di-banana-su-cui-renzi-pu-scivolare-u9DfrZKVtZIspXGADlE0AO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Renzi cerca la resa dei conti ma deve convincere il Colle Inserito da: Arlecchino - Aprile 07, 2017, 12:59:42 pm Renzi cerca la resa dei conti ma deve convincere il Colle
Il Mattarellum potrebbe passare alla Camera, poi scontro in Senato per far saltare il banco. La richiesta di salire al Quirinale diventa una gaffe Pubblicato il 06/04/2017 UGO MAGRI, FABIO MARTINI ROMA Al Colle, al Colle! Alle cinque della sera “fonti del Pd” preannunciavano con enfasi un’iniziativa irrituale: la richiesta da parte dei vertici del Partito democratico di un colloquio col Capo dello Stato per valutare le conseguenze dell’elezione del senatore Salvatore Torrisi a presidente della Commissione Affari Costituzionali. Iniziativa irrituale, perché i presidenti della Repubblica non hanno mai interferito nella dialettica parlamentare e anche perché analoga richiesta non venne avanzata a gennaio, quando Altero Matteoli (Forza Italia) fu confermato alla presidenza della Commissione Trasporti, tra l’altro con il voto dei “grillini”. Iniziativa irrituale ma formalizzata qualche minuto più tardi dal “reggente” del Pd, Matteo Orfini, con parole vibranti: «E’ un vulnus gravissimo!». In pochi minuti, nei sonnolenti corridoi di Montecitorio, si accendevano le sirene del “massimo allarme”: la decisione di Matteo Renzi di cavalcare l’incidente dell’elezione di Torrisi veniva interpretata come un segnale di guerra, «il sintomo di un mai placato desiderio di un confronto elettorale anticipato», come sintetizzava Pino Pisicchio, presidente del Gruppo Misto della Camera. E in effetti, dietro le quinte e per una volta silente, Matteo Renzi coordinava le mosse dei suoi. Spinto da una convinzione, non esprimibile in pubblico ma che l’ex premier sintetizza così: «Non sarò io a cercare la rottura, però se ci dovesse essere un incidente di percorso...». Come dire: non mi farò scoprire con l’arma del delitto in mano, ma tanto meglio se un imprevisto consentirà al Pd e al suo governo di evitarsi la manovra finanziaria d’autunno. La drammatizzazione da parte del Pd della vicenda Torrisi non si spiega soltanto con la mai domata vocazione renziana al voto anticipato. L’ elezione del senatore Ncd (ed ex Forza Italia) alla presidenza della strategica Commissione Affari Costituzionali del Senato è il risultato di un’operazione dietro le linee architettata da Anna Maria Bernini (Forza Italia) assieme al leghista Roberto Calderoli e a Loredana De Petris di Sel: «Renzi - spiega uno degli protagonisti dell’operazione - nelle prossime settimane preparava una sceneggiata: farsi approvare dalla Camera il Mattarellum, poi venire al Senato e davanti alla bocciatura della legge, gridare allo scandalo e fare la vittima...». Ma ora l’elezione di Torrisi rende più complicata l’operazione e il disappunto del Pd traspare dall’altra mossa fatta da Renzi: quella di chiedere ad Angelino Alfano le dimissioni di Torrisi. Alfano le ha chieste, Torrisi non le ha date ed è probabile che il neopresidente della Commissione possa essere espulso dal suo partito. Commentava ieri sera Renzi: «Che tristezza: antepongono l’interesse personale a quello del Paese». Almeno un obiettivo, comunque il Pd l’ha ottenuto: il presidente del Consiglio Gentiloni ha ricevuto (per un quarto d’ora) i due plenipotenziari di Renzi, Lorenzo Guerini e Matteo Orfini. Che avevano anche in animo di farsi ricevere sul Colle. Ma questo colloquio con Mattarella non c’è ancora stato, né a quanto risulta, ci sarà mai. Fonti quirinalizie assicurano che la richiesta di appuntamento non è pervenuta. E in effetti, curiosamente, la stessa delegazione Pd ha smesso di parlarne. Forse a Orfini e a Guerini è stato fatto presente (ma si tratta solo di una supposizione) che bussare sarebbe stato inutile perché di regola mai un Presidente si intromette nelle vicende parlamentari, nessuno sarebbe andato ad aprire il portone. E insistendo per un colloquio avrebbero messo Mattarella nella sgradevole condizione di rifiutarlo. Da qui la retromarcia. Ma al di là della forma, conta la sostanza: il Quirinale non ha l’ansia di tornare alle urne. Senza un sistema elettorale coerente c’è il rischio di aggravare il caos, per cui Mattarella tuttora si augura che la politica provveda. E nell’attesa getterà acqua sul fuoco dei propositi incendiari. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/06/italia/politica/renzi-cerca-la-resa-dei-conti-ma-deve-convincere-il-colle-XRfPsRzGKaNzKSCK4yYUnN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La banalità delle congiure in Senato: quando potrà durare il governo? Inserito da: Arlecchino - Aprile 07, 2017, 01:00:41 pm La banalità delle congiure in Senato: quando potrà durare il governo?
La maggioranza non c’è più per effetto della scissione Pd. Adesso la domanda è sull'esecutivo Pubblicato il 06/04/2017 - Ultima modifica il 06/04/2017 alle ore 10:26 UGO MAGRI ROMA Congiura, tradimento, agguato, complotto... Anche ieri in Senato, nella grande eccitazione che è seguita alla sconfitta Pd, sono circolati i soliti sospetti di manovre oscure, concepite chissà in quali segrete stanze, quando invece la ragione dell’accaduto è più terra-terra, trasparente e perfino banale: nella Commissione Affari costituzionali, dove volevano eleggere il «loro» presidente, i renziani non hanno più la forza per fare il bello e il cattivo tempo. Non ce l’hanno perché ultimamente c’è stata - come è noto - una scissione. E quelli che se ne sono andati (Mdp) fanno parte della maggioranza per modo di dire, a giorni alterni. Ieri, per esempio, nel segreto dell’urna hanno sostenuto l’esponente alfaniano Torrisi in quanto, si augurano, sarà meno prono ai voleri di Renzi quando verrà in discussione la legge elettorale in Senato. Non sono stati gli unici: anche i Cinquestelle hanno fatto lo stesso calcolo, però loro della maggioranza non fanno parte. Avanti per inerzia Insomma sta succedendo esattamente quello che, con l’aiuto di un pallottoliere, era logico attendersi dopo l’addio di Bersani e D’Alema. Anzi, siamo solo all’inizio perché questo stesso film lo rivedremo spesso in futuro, tutte le volte che gli interessi Pd entreranno in conflitto con quanti se ne sono andati. Il che porta a riflettere sul vero punto interrogativo di questa fase politica: per quanto tempo andremo avanti così? E soprattutto, potrà reggere questo governo senza una maggioranza vera alle spalle? Per i prossimi mesi la risposta è sì, Gentiloni andrà avanti per inerzia in quanto sono scaduti i tempi tecnici per tornare alle urne prima dell’estate. Sulla carta si farebbe ancora in tempo a votare nell’ultima domenica di giugno, ma solo a patto che oggi stesso o domani il premier vada a dimettersi e - sempre a tempo di record - il Capo dello Stato sbrighi tutte le pratiche necessarie per concludere la legislatura. Però non risulta affatto che Gentiloni sia intenzionato a gettare la spugna. E se non compie un gesto formale lui, pare del tutto escluso che Mattarella lo convochi e lo cacci, in quanto verrebbe accusato di golpe. La lunga agonia Ma dopo l’estate, se gli incidenti di percorso dovessero moltiplicarsi, qualche dubbio sulla tenuta del governo sarebbe legittimo. Piuttosto che tirare avanti così, senza un vero perché, andare alle urne con qualche mese di anticipo potrebbe suonare per l’Italia (e per la stessa politica) come la fine di un’agonia. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/06/italia/politica/la-banalit-delle-congiure-in-senato-uYRqtYg2ZPArFpf2s6dymJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Chi sono i veri sconfitti delle primarie Pd Inserito da: Arlecchino - Aprile 07, 2017, 01:08:35 pm Chi sono i veri sconfitti delle primarie Pd
A meno di due mesi dalla scissione, Bersani e D’Alema sono spariti dai radar. E l’obiettivo del 10 per cento sembra una chimera Pubblicato il 04/04/2017 - Ultima modifica il 04/04/2017 alle ore 12:17 UGO MAGRI ROMA Tra i tanti esercizi di retorica sulle primarie Pd, la Palma del trionfalismo va di diritto a Debora Serracchiani, che le celebra come una «festa della democrazia». Mentre l’Oscar del giudizio più prevedibile e scontato se lo merita Massimo D’Alema. Il quale non poteva certo cantare le lodi del partito che ha da poco lasciato, in quanto l’avrebbero subito portato in un Tso. Per cui ha descritto il voto dei 266 mila iscritti come una conta tra «capibastone», attratti dal potere e proni ai voleri del leader che ha rotto con la tradizione della sinistra e presto li porterà all’abbraccio con Berlusconi. L’aiuto involontario Quello però su cui «Baffino» non si sofferma è l’aiuto che lui, insieme con tutti gli altri fuoriusciti, ha recato senza volere alla causa renziana. Perché è probabile che, senza la scissione a sinistra e il conseguente addio della «Ditta», Matteo avrebbe faticato a raccogliere il 68 per cento nelle sezioni; e di sicuro il suo competitor Andrea Orlando avrebbe fatto un po’ meglio. A essere maligni, si potrebbe perfino sostenere che Bersani e D’Alema hanno confezionato un bel regalo a Renzi, il quale guarda caso non ha mosso un dito per trattenerli. La delusione dei sondaggi E’ ancora presto per i bilanci che si faranno alle elezioni, nel 2018. Di qui ad allora gli ex-Pd riusciranno forse a ottenere quel 10 per cento di cui da qualche parte venivano accreditati. Ma intanto, a meno di due mesi dall’addio, nei sondaggi oscillano tra il 4 e il 6, comprendendo pure il movimento di Pisapia e i resti di Sinistra Italiana. Sono di gran lunga al di sotto delle attese. Quel che è peggio, di loro non si parla quasi più. Come sempre accade in questi casi (la cronaca politica trabocca di esempi) la minoranza che se ne va è oggetto di intense amorevoli attenzioni mediatiche destinate, però, a durare giusto il tempo del divorzio. Dopodiché gli esuli finiscono nel cono d’ombra dell’irrilevanza. Mdp per ora non fa eccezione. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/04/italia/politica/chi-sono-i-veri-sconfitti-delle-primarie-pd-7FcBG0nfvAp4cXMvgQ0GTL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Putin a Mattarella: “Mi aspetto nuovi attacchi chimici in Siria” Inserito da: Arlecchino - Aprile 11, 2017, 06:23:06 pm Putin a Mattarella: “Mi aspetto nuovi attacchi chimici in Siria” La visita a Mosca del Capo dello Stato al Cremlino. Il presidente russo parla di “provocazioni contro Assad” Pubblicato il 11/04/2017 - Ultima modifica il 11/04/2017 alle ore 16:09 UGO MAGRI INVIATO A MOSCA Tutto quanto sta accadendo in Siria a Vladimir Putin ricorda quanto accadde nel 2003: una serie di “bugie” sulle armi chimiche di Saddam, da cui prese origine l’intervento militare americano in Iraq e la conseguente esplosione dell’Isis. È il succo della risposta del Presidente russo a una domanda fuori programma, dopo i colloqui con l’ospite italiano, Sergio Mattarella. Addirittura, Putin si attende altri attacchi con le armi chimiche nella zona di Damasco per legittimare un intervento occidentale. Chiede invece che le responsabilità vengano accertate in maniera indipendente, su questo assicura la disponibilità della Russia. Mattarella chiede all’interlocutore: «L’uso di armi chimiche è inaccettabile: auspichiamo che Mosca possa esercitare tutta la sua influenza». I tempi difficili «Non stiamo vivendo tempi molto facili»: sono le prime parole pronunciate da Vladimir Putin dopo la stretta di mano davanti alle telecamere con Sergio Mattarella. Poi si sono accomodati sulle poltroncine bianche del salotto dove campeggia la statua di Pietro il Grande e lì il presidente russo ha anticipato lo spirito dei colloqui: «Credo veramente che questa visita darà un impulso positivo», visto che l’Italia è un partner «molto affidabile». La nota negativa delle relazioni bilaterali è l’interscambio commerciale che «sta crollando»: così ha detto testualmente Putin, riferendosi alle conseguenze delle sanzioni commerciali, salvo aggiungere una nota di tendenza positiva, la crescita del 33 per cento registrata da inizio anno. «Abbiamo rapporti molto antichi e approfonditi in campo culturale e umanitario», ha aggiunto prima di cedere la parola a Mattarella, «e tanti amici in Italia». La lista è nota, da Berlusconi a Salvini agli stessi Cinquestelle, sospettati a Washington di coltivare relazioni pericolose con il Cremlino. «Fra noi - ha detto Putin - c’è stata una conversazione franca e concreta su tutte le questioni che costituiscono i rapporti fra la Russia e l’Italia». Il terrorismo e la cultura Mattarella, con molta personale cordialità, ha manifestato il profondo dolore per l’attentato di San Pietroburgo, «la sua città» ha voluto sottolineare il Capo dello Stato, una capitale della cultura e dell’arte «che non si può non amare». Dopodiché sono iniziate le conversazioni. Mattarella: “Con Mosca solida amicizia malgrado difficoltà” Un colloquio con il primo ministro, Dmitrij Medvedev, per constatare la buona qualità dei rapporti italo-russi (e gettare un occhio sulle questioni libiche, visto che Mosca appoggia il governo di Tobruk e noi quello, legittimo secondo l’Onu, di Serraj). Quindi un lungo pranzo con Vladimir Putin, che si concluderà con pubbliche dichiarazioni intorno alle 14 ora italiana. La visita di Stato del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cade proprio nel vivo delle tensioni scatenate dal bombardamento Usa in Siria, ma pure a due settimane dalle manifestazioni di protesta dell’opposizione a Putin. Prima di recarsi ai colloqui, Mattarella ha incontrato in ambasciata il nostro personale diplomatico e una rappresentanza della comunità italiana a Mosca. Rivendicando l’importanza del nostro contributo al dialogo internazionale. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/11/esteri/mattarella-da-putin-rafforzare-i-nostri-rapporti-con-la-russia-eJKD5SD01YLqhx5sRpo58H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Perché Berlusconi che vende il Milan è un bene pure per la politica Inserito da: Arlecchino - Aprile 13, 2017, 06:03:49 pm Perché Berlusconi che vende il Milan è un bene pure per la politica
L’arrivo dei nuovi proprietari cinesi mette fine a trent’anni di commistione tra sport e ambizioni personali Pubblicato il 13/04/2017 - Ultima modifica il 13/04/2017 alle ore 08:37 UGO MAGRI ROMA Dobbiamo tutti quanti dire grazie al misterioso Yonghong Li. Acquistando il Milan da Berlusconi, questo imprenditore cinese semi-sconosciuto ha messo fine a una commistione che male faceva tanto allo sport quanto alla politica. Berlusconi ha sempre usato il Milan come piedistallo. Indubbiamente ci ha speso, nei trent’anni della sua gestione, ma ne ha avuto immensi ritorni in termini di popolarità e di immagine. Almeno fino a quando è riuscito a vincere, però. Perché poi la società di calcio è diventata politicamente una palla al piede di Berlusconi, costretto a metterci soldi sotto elezioni per non incorrere nell’ira dei tifosi. Con risultati sempre più scadenti fino alle condizioni attuali. Anche il Milan all’inizio trasse enorme giovamento dalle ambizioni politiche del Cav. Il quale lo trasformò ben presto nella squadra «più titolata al mondo», che tale restò fino a quando l’uomo ci investì denaro a palate. Ma proprio per questo sfoggio di potenza, il Milan fu presto considerato una propaggine propagandistica dell’ex premier, uno strumento della sua visione un po’ megalomane. Alla lunga, la politica non ha giovato nemmeno al Milan. Ora la vendita riporta finalmente chiarezza. Con indiscutibili benefici per tutti. Per Berlusconi che, visti i passati trionfi, verrà sicuramente rimpianto da una quota della tifoseria rossonera (magari la stessa che oggi non vede l’ora di cambiare proprietà). E soprattutto con vantaggi per il nuovo Milan: più d’uno aveva odiato i colori rossoneri per colpa della politica, e magari in futuro tornerà ad amarli. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/13/italia/politica/perch-berlusconi-che-vende-il-milan-un-bene-pure-per-la-politica-EsQ1g0UuV8EqBhfH5TfmFJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Preoccupazione al Colle: senza una legge elettorale l’Italia sarà ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 16, 2017, 05:53:12 pm Preoccupazione al Colle: senza una legge elettorale l’Italia sarà ingovernabile
L’attuale sistema non garantisce vincitori, ma il Parlamento non si muove Se il sistema di voto resterà come adesso, dopo le prossime elezioni sarà impossibile formare governi stabili Pubblicato il 16/04/2017 - Ultima modifica il 16/04/2017 alle ore 08:04 UGO MAGRI ROMA L’Italia si sta mettendo nei guai. Rischia di non avere una guida proprio mentre il pianeta diventa sempre meno ospitale. È praticamente certo che, se il sistema di voto resterà come adesso, dopo le prossime elezioni sarà impossibile formare governi degni del nome. Ben che ci vada, avremo soluzioni ambigue perché la legge elettorale non permette di più. Nelle sfere istituzionali tutti lo sanno, e sono in allarme. Ma nei partiti nessuno ci mette la testa. E i sistemi di cui si discute («Legalicum», «Mattarellum», premio di coalizione) vengono tirati fuori per guadagnare tempo; in attesa di che, non si sa. Il «pasticcio perfetto» All’origine c’è la sentenza della Consulta datata 13 gennaio 2014. I giudici stabilirono che il premio di maggioranza è lecito, purché non sia eccessivo. In nome di questo principio, rintracciato tra le pieghe della Costituzione, venne bocciato il «Porcellum» e poi l’«Italicum». Ma poi la Corte stessa si è spaventata e, invece di completare l’opera, ha rinviato alle Camere il compito di «armonizzare» il sistema. Ha sbagliato prima e fatto bene dopo? Sia come sia, ora convivono due «Consultelli» che non sono carne né pesce. Non esiste più un impianto davvero maggioritario perché il premio scatta al 40 per cento, irraggiungibile dagli schieramenti attuali. Nella media dei sondaggi (vedi termometropolitico.it), nessuno supera quota 30, troppo poco per vincere. Oltretutto, la speranza di ottenere il premio riguarda solo la Camera e non il Senato, dove il «bonus» è stato abolito. Quindi abbiamo un sistema sostanzialmente proporzionale, che tuttavia non ha il coraggio di fare «outing», si vergogna di dichiararsi per quello che è. E ciò succede in quanto quel poco di maggioritario sopravvissuto alla Corte costringe i partiti a proseguire la pantomima (ipocrita) di quelli che puntano alla vittoria. E si atteggiano come se davvero potessero farcela da soli. Dunque sfoderano tutto l’armamentario dei candidati premier, delle primarie per sceglierli e delle promesse di non venire mai a patti con il «nemico», come quando l’Italia era divisa tra destra e sinistra, e il M5S non esisteva ancora. Mentre è chiaro agli stessi leader che l’unica possibilità di mettere in piedi una maggioranza sarà legata a qualche forma di intesa post-elettorale. Piano inclinato Infatti, sottovoce già si parla di scenari per il «dopo». E si fanno i conti col pallottoliere per capire se, per esempio, la somma di Pd, Forza Italia e centristi potrà dar vita a una maggioranza. O tra grillini e Lega più Fratelli d’Italia: dipenderà dai numeri, ammesso che ci siano. Ma dopo aver giurato che mai si faranno «inciuci», qualunque soluzione di compromesso (che è la base dei sistemi proporzionali) verrà vissuta come un tradimento della parola, uno scadimento ulteriore della moralità. Il nuovo governo nascerà nel discredito, favorendo gli anti-sistema. Oppure non nascerà affatto, condannando il Paese a una spirale dagli sbocchi imprevedibili. Mattarella, al quale toccherà l’onere di trovare soluzioni, ha più volte chiesto ai partiti di concentrarsi sulla questione. Finora, senza ottenere risposta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/16/italia/cronache/preoccupazione-al-colle-senza-una-legge-elettorale-litalia-sar-ingovernabile-46JyI6ta02tGuvEnpn49ZM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Nel Regno Unito si vota e in Italia no: ecco la differenza Inserito da: Arlecchino - Aprile 22, 2017, 12:15:01 am Nel Regno Unito si vota e in Italia no: ecco la differenza
Theresa May ha deciso la data delle elezioni perché le conviene e la legge glielo consente. Da noi, è tutto diverso Pubblicato il 19/04/2017 - Ultima modifica il 19/04/2017 alle ore 10:18 UGO MAGRI Sono mesi che va avanti in Italia la pantomima delle elezioni di cui tutti si dicono a favore e però non si celebrano; mentre da un giorno all’altro Theresa May è andata in tivù e ha reso noto che la Gran Bretagna voterà l’8 giugno, tra sole sette settimane. Per cui viene da chiedersi quale sia la differenza tra noi e loro, e come mai il primo ministro di Sua Maestà abbia facile successo là dove Matteo Renzi finora ha fallito. Una legge diversa Una prima spiegazione sta nel loro sistema istituzionale che, diversamente dal nostro, permette al capo del governo di anticipare la data del voto in base ai propri calcoli di convenienza («snap elections» le chiamano da quelle parti). In Italia, viceversa, le Camere vengono sciolte dal Presidente della Repubblica anziché dal premier. E Sergio Mattarella non intende mettere la firma sotto al decreto di scioglimento fino a quando il nostro sistema elettorale non sarà stato messo in sicurezza. Già, perché diversamente dal Regno Unito noi non abbiamo un sistema di voto degno del nome, essendo il risultato casuale e contraddittorio di due successive sentenze della Consulta, la prima sul «Porcellum» e la seconda sull’«Italicum». Senza una loro «armonizzazione» più volte sollecitata, Mattarella convocherebbe nuove elezioni solo nel caso in cui Renzi e il Pd dichiarassero pubblicamente che Gentiloni deve togliere il disturbo e loro non sosterranno più alcun governo di qui alla fine della legislatura. In quel caso il Colle dovrebbe arrendersi e convocare nuove elezioni. Sennonché Renzi (nonostante si mostri voglioso di votare, e faccia filtrare che non vede l’ora) evita con cura di assumersi quella responsabilità. Il peso dei sondaggi E qui sta la vera differenza tra lui e la May. Theresa ha tutti i sondaggi dalla sua. L’ultimo pubblicato dal «Guardian» le attribuisce ben 21 punti di vantaggio sui concorrenti laburisti. Perfino nel caso in cui calassero un po’, sarebbero comunque sufficienti a garantirle una vittoria schiacciante che permetterebbe al nuovo governo britannico di affrontare i negoziati europei con la serenità di chi si è messo le elezioni alle spalle e si confronterà con il voto nel 2022. Dunque ha deciso di fare in fretta perché correre alle urne le conviene. Invece Matteo, se si votasse domani, rischierebbe di arrivare non primo e nemmeno secondo, ma terzo dietro ai Cinquestelle e al centrodestra (qualora si presentasse unito). Nel caso della May votare non è certo un azzardo; nei panni di Renzi, invece, peggio di una roulette russa. E ciò spiega molte cose. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati http://www.lastampa.it/2017/04/19/italia/cronache/nel-regno-unito-si-vota-e-in-italia-no-ecco-la-differenza-NgNbN21eq9zXSdV0vfIgCI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Dal Colle un freno alle tentazioni di votare al buio Inserito da: Arlecchino - Aprile 29, 2017, 12:53:27 pm Dal Colle un freno alle tentazioni di votare al buio
Renzi non rinuncia all’idea di nuove elezioni, ma per i vertici istituzionali il rischio è eccessivo Pubblicato il 21/04/2017 - Ultima modifica il 22/04/2017 alle ore 13:22 UGO MAGRI ROMA Per quanto abbia ripetuto da Vespa che gli sta bene il governo in carica, Renzi stenta a farsi credere fino in fondo. È convinzione dei più stretti amici che non abbia rinunciato a votare subito. Il suo piano è di andare alle urne in autunno ma, se ce ne fosse l’occasione, già prima delle vacanze. La voce è rimbalzata nei partiti, ne è consapevole Alfano, lo sa Berlusconi, così risulta pure ai piani alti della politica dove d’altra parte nessuno, conoscendo la tenacia del personaggio, si illudeva che Renzi avesse rinunciato. Ma sicuramente la mossa della May, con le elezioni britanniche convocate dall’oggi al domani, ha riaperto una ferita. «Perché loro sì e noi no?», domandano i renziani: un Paese serio dovrebbe decidere in fretta il futuro anziché perdere un altro anno. Per cui adesso - tra Palazzo Chigi, Quirinale, Montecitorio e Palazzo Madama - c’è apprensione per due eventi che potrebbero scatenare Renzi. Anzitutto, le primarie Pd. Mettiamo che si trasformino in plebiscito: a quel punto l’ex premier nutrirebbe la convinzione che, nonostante tutto, l’Italia resta con lui. Tanto più se in Francia (ecco l’altro evento in grado di dare un’accelerata) dovesse affermarsi Macron, il più vicino alla visione Pd. Sarebbe la prova che il populismo non è un destino, e per sfidarlo basta il coraggio. Non è finita qui. Renzi avrebbe due ulteriori argomenti da far pesare davanti a Mattarella. Anzitutto la Finanziaria 2018, che non si capisce da chi verrà approvata. Non dalle opposizioni, evidentemente; ma nemmeno il Pd vuole caricarsela sulle spalle: meglio delegare i sacrifici a chi verrà dopo il voto. Il tema è ben presente a Gentiloni e allo stesso Padoan. L’ultima carta renziana si lega al contesto europeo. Dopo Parigi e Londra, in settembre pure Berlino avrà una nuova leadership. Solo l’Italia si troverà in mezzo al guado, con un Parlamento ancora da rinnovare. E nei negoziati sulla futura Ue farebbe la parte del vaso di coccio. Insomma: nel «quadrilatero istituzionale» si aspettano che a maggio, forse già prima della partenza di Mattarella per la visita di Stato in Argentina e Uruguay, Renzi possa tornare alla carica per votare, e non gli mancherebbero le cartucce. Sennonché pesano altri fattori di cui spetta al Capo dello Stato farsi carico, e con lui a quanti avvertono responsabilità collettive. Per cominciare, non c’è una legge elettorale davvero agibile. Si rischiano ricorsi al Tar dall’esito imprevedibile, oltretutto a elezioni già convocate. Rimediare d’urgenza con decreto sarebbe una forzatura secondo il grosso della dottrina costituzionale. Mattarella metterebbe la controfirma a un decreto siffatto? I giuristi dal Colle stanno approfondendo, però da quelle parti si ripete che meglio sarebbe provvedere con legge ordinaria, tanto più per armonizzare le soglie di sbarramento. Spread in agguato Poi c’è il rischio mercati. Votando in autunno, solo un miracolo eviterebbe di precipitare nell’esercizio provvisorio e di diventare preda dello spread che, guarda caso, già rialza la testa (da qualche giorno supera quota 200). Non solo i «gufi» tipo Brunetta, ma pure renziani avveduti come Tonini segnalano i rischi. Le prossime aste Btp finirebbero nel mirino di chi volesse lucrare sulla nostra instabilità. Sono mille miliardi che ballano. E qui sta il nocciolo duro dei dubbi nel «quadrilatero istituzionale». Dove nessuno ha conti in sospeso con Renzi, anzi, solo amicizia e in qualche caso gratitudine. Tuttavia Mattarella, come il presidente del Senato Grasso e della Camera Boldrini, non vede in che modo dalle urne possa emergere un vincitore; né scorge oggi una trama di alleanze all’indomani delle elezioni. Così la smania di votare al buio non viene compresa né assecondata. Qualora Renzi tentasse lo strappo, già si delinea una sorta di «cordone istituzionale», fondato sul rigoroso rispetto delle regole. Prima di tornare al voto, Gentiloni dovrebbe formalmente dimettersi, e ce ne vorrebbe una ragione di qualche spessore, non un banale incidente di percorso. I bersaniani spargono in giro la voce (non si sa quanto fondata) secondo cui Mattarella sarebbe disposto perfino a mettere in campo Grasso con l’incarico di formare un governo istituzionale che porti a casa comunque la legge di stabilità. Di sicuro, per andare al voto, il Pd dovrebbe rendere pubblica la ferma volontà di non sostenere alcun governo, nemmeno se fosse indicato dal Presidente. Solo questa pesante assunzione di responsabilità troncherebbe davvero la legislatura. Ma per votare ci vorrebbero comunque i tempi tecnici che, da noi, non sono mai inferiori a due mesi, altro che Gran Bretagna. Prima dell’estate sarebbe fantascienza. Insomma: nessun «no» pregiudiziale ai sogni di rivincita renziana; ma in assenza di chiarezza dai vertici della Repubblica non verrà nemmeno un «prego, si accomodi pure». Articolo corretto il 22/04/2017 alle ore 13:00 Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/21/italia/politica/dal-colle-un-freno-alle-tentazioni-di-votare-al-buio-WfAYERPdI81a9nSpTErSDP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Quattro ministri contestano il nuovo patto del Nazareno Inserito da: Arlecchino - Maggio 24, 2017, 11:32:32 am Quattro ministri contestano il nuovo patto del Nazareno Prima di sciogliere le Camere, Mattarella valuterà l’impatto del voto Matteo Renzi dà il via libera ufficiale agli incontri «con tutti gli altri partiti affinché ognuno si prenda le sue responsabilità» Pubblicato il 23/05/2017 - Ultima modifica il 23/05/2017 alle ore 07:19 Ugo Magri Roma Un fuoco di sbarramento si è scatenato, com’era facile immaginare, contro il nuovo Patto del Nazareno. Hanno imbracciato il mitra tutti coloro che non vogliono votare “alla tedesca”, e soprattutto rifiutano di tornare alle urne in ottobre. In prima linea ci sono ben quattro ministri del governo Gentiloni: nell’ordine alfabetico Alfano, Delrio, Finocchiaro e Orlando. Fanno trapelare in pubblico le loro riserve e, nelle conversazioni private, alcuni di loro tirano in ballo il Capo dello Stato. Si augurano che Mattarella metta un freno a Renzi, e gli impedisca di trascinare il Paese alle urne perfino nel caso in cui, con l’aiuto di Berlusconi, venisse approvata una legge elettorale nuova di zecca. Il Presidente, com’è ovvio, non si pronuncia. Osserva l’evolversi della battaglia mantenendo il consueto riserbo. Chi frequenta il Colle, tuttavia, qualche idea se l’è fatta: ritiene ad esempio che, nel firmare un decreto di scioglimento delle Camere, Mattarella prenderebbe in esame il rischio di non avere una maggioranza dopo il voto e di piombare a gennaio nell’esercizio provvisorio. Prima di dare un via libera alle elezioni, il Presidente sicuramente valuterebbe il potenziale impatto per il Paese, che al momento non è facile prevedere. Dunque nulla può darsi per scontato. Renzi però procede per la sua strada. Dà il via libera ufficiale agli incontri «con tutti gli altri partiti affinché ognuno si prenda le sue responsabilità». Nessuna sorpresa se nelle prossime ore si chiuderanno in una stanza gli “sherpa” di Forza Italia e Pd (Occhiuto e Parrini), debitamente assistiti dai rispettivi capigruppo (Brunetta e Rosato). Metteranno nero su bianco le correzioni al testo base della riforma elettorale che, entro oggi, la Commissione affari costituzionali della Camera dovrebbe approvare. Se il lavoro sarà stato fruttuoso, Renzi vi metterà il timbro della Direzione Pd, convocata martedì prossimo. Nei piani del segretario, sarà l’occasione per silenziare la critica interna, guidata dal solito Orlando. Ma il ministro della Giustizia non è l’unico né il solo a contestare i termini della trattativa col Cav. Sul piede di guerra sono tutti i centristi, nessuno escluso, perché il modello tedesco prevede una soglia del 5 per cento che li farebbe fuori. Alfano minaccia di tenersi «le mani libere» quando si tratterà di votare in Aula la legge elettorale. E, inutile dire, protesta contro l’«inciucio» tra Berlusconi e Renzi la gran massa dei “peones” che non vogliono tornare alle urne prima della naturale scadenza (febbraio 2018): ne andrebbero di mezzo vitalizi e indennità. Ma questo patto che in tanti temono esiste davvero? La soave conferma è arrivata da Gianni Letta, ambasciatore del Cav. A una precisa domanda di Maria Latella, si è trincerato dietro un «mi avvalgo della facoltà di non rispondere» che è tutto un programma. Si racconta che sia stato lui, insieme con Maria Elena Boschi, a riallacciare i rapporti tra Silvio e Matteo, proiettati già verso la prossima legislatura. Che dovrebbe cambiare la Costituzione e fare riforme in grado di restituirci peso in Europa. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/23/italia/politica/quattro-ministri-contestano-il-nuovo-patto-del-nazareno-zX6JBNbqFmKPM4rpyzmWnM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi sostiene Gentiloni: se cade l’esecutivo salta la legge... Inserito da: Arlecchino - Maggio 29, 2017, 08:48:37 pm Berlusconi sostiene Gentiloni: se cade l’esecutivo salta la legge elettorale Forza Italia rifiuta una crisi col Consultellum Pubblicato il 28/05/2017 - Ultima modifica il 28/05/2017 alle ore 07:58 Ugo Magri Roma Il governo trema? Gli ultimi reduci dell’Armata Rossa sono pronti a silurare i voucher? Niente paura, perché già scalpita il Soccorso Azzurro. Qualora dovessero mancare dei voti, Forza Italia non esiterebbe a metterci la faccia per difendere Gentiloni. Si è visto ieri mattina in commissione alla Camera, e succederà di nuovo presto al Senato, dove i numeri sono ballerini. Avremo un assaggio di futuro, la prova generale di quanto potrà succedere dopo le elezioni: i bersaniani fuori dalla maggioranza, e i berlusconiani che ne prendono il posto, a bandiere spiegate. Naturalmente, nel caso dei voucher, le spiegazioni abbondano. Ne illustra i motivi nobili Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, quando confida: «La flessibilità sul lavoro è un’esigenza del Paese, la richiesta delle imprese è forte, il sistema Italia ne ha bisogno». In un mondo normale, sarebbe perfino logico che il centrodestra sostenesse misure sempre rivendicate dai tempi del povero Marco Biagi. Sennonché, nel caso specifico, c’è chiaramente dell’altro. Dietro alla voglia di intervenire sui voucher si annusa un’aria tipica delle vaste intese. Ed è facile inquadrarla a sua volta nel piano di cui discutono in queste ore Renzi, Berlusconi, lo stesso Grillo. Il piano consiste nel precipitarsi alle urne in autunno, forse addirittura il 24 settembre, senza curarsi di come la prenderebbero i mercati (male, probabilmente). Per ragioni diverse ma convergenti, i tre contano di andarci con un sistema proporzionale e la soglia di sbarramento al 5 per cento. Questo sistema, convenzionalmente definito «tedesco», richiede qualche altra settimana di gestazione; sarà discusso in Senato ai primi di luglio. Ma prima (ecco l’inconveniente) arriverà in aula la «manovrina» con dentro i voucher. Se per colpa di Bersani il governo inciampasse, se dopo l’inciampo Gentiloni fosse costretto a dimettersi, e se per reazione alla sua caduta il Pd gridasse «adesso basta, torniamo alle urne», probabilmente andremmo a votare in settembre, come vuole Matteo. Però non con il “tedesco”, pallino di Silvio e parte integrante del piano, ma con la legge figlia della Consulta: circostanza sgradita a Berlusconi. Il quale dunque ha tutto l’interesse che nessun dramma politico si consumi di qui al varo della riforma elettorale. A costo di far vedere «l’inciucio» e di approfondire l’abisso che già lo divide da Salvini. Ma non è l’unico paradosso di cui saremo spettatori. Per ragioni opposte a quelle del Cav, i centristi si preparano a vestire i panni dei guastatori. Tra gli alfaniani c’è chi teorizza l’agguato al governo per tornare alle urne con il sistema vigente. Che, ai loro occhi, ha un pregio impagabile: permette di rientrare alla Camera con il 3 per cento invece del 5, e di aggirare la soglia dell’8 a Palazzo Madama tramite gli apparentamenti che là sarebbero consentiti. Angelino ha già lanciato qualche velato avvertimento, senza venir preso sul serio. Se lui e i due colleghi di Ap si dimettessero dal governo, salterebbero quasi certamente i tempi per votare a settembre (e del “tedesco” non si farebbe più nulla). Ma dovrebbero trovare il coraggio di lasciare le poltrone e, per giunta, sopportare l’ira di Renzi. Più facile che puntino ad abbassare la soglia di un punticino: dal 5 al 4 per cento, e poi tutti a votare. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/28/italia/politica/berlusconi-sostiene-gentilonise-cade-lesecutivo-salta-la-legge-elettorale-ooq8ZwTaz6k9oYhSFNgFPO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La doppia mossa di Grillo per spiazzare Berlusconi Inserito da: Arlecchino - Maggio 29, 2017, 08:56:22 pm La doppia mossa di Grillo per spiazzare Berlusconi Il leader del M5S fa fare un plebiscito sul blog per il sistema tedesco. E poi rilancia: “Alle urne il 10 settembre”. Ora tocca a Renzi decidere Pubblicato il 29/05/2017 - Ultima modifica il 29/05/2017 alle ore 07:28 Ugo Magri ROMA Altro che «Renzusconi», altro che trattative sottobanco tra Forza Italia e Pd: la grande accelerazione di queste ore la imprime proprio chi veniva considerato un alieno, estraneo a tutti i giochi, cioè Beppe Grillo. Il suo via libera al modello elettorale tedesco ottiene il plebiscito degli iscritti che nella consultazione online si sono detti a favore in 27.473 (soltanto 1532 i contrari). M5S non si schioderà da quella posizione. Adesso basta pochissimo per dichiarare «game over»: è sufficiente che domani sera, nella direzione del suo partito, Renzi scelga pure lui il «tedesco». La maggioranza per un sistema di voto proporzionale, con sbarramento al 5 per cento, sarebbe a quel punto vastissima, nel Parlamento e nel Paese, tale da rimpicciolire l’apporto di Berlusconi. Sotto tale aspetto, l’iniziativa grillina ridimensiona non poco il Cav, che già si godeva il centro della scena, e lo ferisce nell’autostima. L’assist a Renzi Il protagonismo a Cinquestelle non si spegne qui. Grillo preme sul pedale del gas pure per quanto riguarda la data delle urne. Indica il 10 settembre come ideale «election day» in quanto, argomenta sul suo blog, sarebbe «un atto di delicatezza istituzionale»: i nostri «onorevoli» non farebbero più in tempo a maturare «la vergogna del vitalizio» che scatta dal 15 settembre in poi. L’affermazione fa rizzare i capelli in testa a chiunque capisca di diritto parlamentare, perché notoriamente la legislatura non termina il giorno delle elezioni (come crede il blog), ma quando si riuniscono per la prima volta le nuove Camere. Dunque votare il 10 settembre non basterebbe comunque, bisognerebbe anticipare addirittura a Ferragosto. Però la sostanza è che, pure qui, Grillo lancia un assist a Renzi. Il quale pare abbia già segnato una data sul calendario: il 24 settembre, quando pure i tedeschi andranno alle urne. I rischi del voto subito La convergenza sembra pressoché totale. Conferma Brunetta, per conto di Forza Italia, che «un vantaggio di votare in autunno sarebbe proprio quello di sincronizzarsi con il ciclo elettorale degli altri Paesi europei». Salvini e Meloni, almeno nei proclami, non vedono l’ora di menar le mani. Del Pd e dei Cinquestelle si è detto. A remare contro le urne rimane soltanto Alfano, cui Renzi ha inflitto l’ennesimo sgarbo: avevano concordato di vedersi stamane per parlarne con calma, però Matteo ha disdetto l’appuntamento senza un apparente perché. È la prova di quanto sia duro il braccio di ferro con i centristi. Unico incontro della giornata si annuncia tra il capogruppo Pd alla Camera, Rosato, e la delegazione Cinquestelle per bruciare le tappe sulla legge elettorale, senza la quale il Presidente non scioglierebbe le Camere. In realtà Mattarella pone (fin qui senza alzare pubblicamente la voce) un’ulteriore condizione: che votando prima della naturale scadenza non ci facciamo troppo male. L’Europa e i mercati si aspettano dall’Italia una manovra seria per il 2018, che andrà presentata entro il 15 ottobre per non incorrere nelle ire di Bruxelles e, soprattutto, per non trovarci in balia della speculazione. Votando a fine settembre o, peggio ancora, un paio di settimane dopo come suggerisce Franceschini, la scadenza di metà ottobre non sarebbe onorata. A presentare la legge finanziaria provvederebbe il governo dimissionario, in carica solo per gli affari correnti, dunque un atto di puro «pro forma». Dopodiché toccherebbe al successivo governo rimetterci le mani e far votare dal nuovo Parlamento la manovra. Sempre che venga fuori una maggioranza e l’Italia non si avviti nel gorgo dell’ingovernabilità. Ma ai nostri eroi, questi sembrano dettagli: al massimo poi si vedrà. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/29/italia/politica/la-doppia-mossa-di-grillo-per-spiazzare-berlusconi-ddiLx5miLIg47BQG4mpYuO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Legge elettorale, i tre nodi da sciogliere Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2017, 11:19:09 am Legge elettorale, i tre nodi da sciogliere L’impianto tedesco tiene e si lavora ai ritocchi. Ma in Parlamento restano molti dubbi Pubblicato il 03/06/2017 - Ultima modifica il 03/06/2017 alle ore 08:47 Ugo Magri Roma L’impianto “tedesco” resterà quello, affermano con sicurezza Pd, Forza Italia e Movimento 5 stelle. Al massimo, concedono sottovoce, ci saranno dei ritocchi su questo o quel dettaglio. Ma poiché il diavolo è proprio lì che si annida, nelle pieghe della Storia, ecco come mai gli “sherpa” dei tre partiti non hanno smesso di lavorarci. La scelta degli eletti Risulta in corso un approfondimento sul congegno che decide gli eletti. La bozza in discussione alla Camera prevede una specie di graduatoria, come nei concorsi pubblici, che determina «idonei» e «vincitori». Sono considerati idonei quelli che arrivano primi nel proprio collegio uninominale: però poi vincono solo quelli che, nell’ambito dello stesso partito, si sono meglio piazzati. Potrebbe dunque verificarsi un «effetto flipper», o «roulette russa», o «lotteria Italia» (le similitudini abbondano, ndr) per cui il Fantozzi di turno straccia l’avversario nel proprio collegio, ma poi viene lasciato a casa. La colpa è del criterio proporzionale, per cui scattano tanti eletti quanti ne giustifica la percentuale dei voti presi. Ma la casualità con cui ciò può accadere solleva dubbi tra i giuristi e, soprattutto, mette in agitazione quei deputati e senatori che nelle prossime settimane dovranno pronunciarsi sulla legge. Si sta cercando, pare, la via d’uscita. In particolare Dario Parrini, esperto renziano, pare abbia individuato una formula più equilibrata che elimina (o attenua) il rischio di casualità. Sono 453 i collegi da ripartire Altro dossier aperto: i collegi. La bozza di legge ne prevede 303 alla Camera, 150 in Senato. Ritagliarne i confini è operazione fondamentale perché, a seconda di come li configuri, è possibile renderli vincenti o perdenti (a seconda dei punti di vista, si capisce). Attualmente, nell’interno di fare più fretta, vi provvede una tabella da cui emergono errori marchiani. Per esempio, Rignano viene separata dalla vicina Pontassieve e nemmeno Renzi capisce perché. Addirittura Venezia sta in un collegio, mentre la Giudecca (isola di fronte a Piazza San Marco) è aggregata alla terraferma. Assurdità che si potrebbero meglio correggere se vi provvedesse il ministero dell’Interno. Se invece la mappa dei collegi verrà decisa in Parlamento, prepariamoci a un delirio: tutti contro tutti e migliaia di emendamenti. Quante firme servono per le liste A minacciare dure proteste sono pure i Radicali italiani e il presidente della prima Commissione, Andrea Mazziotti, ma nel loro caso per una questione nobile. Contestano l’obbligo di raccogliere decine di migliaia di firme per presentare nuove liste, ciascuna con tanto di autenticazione. Basterebbe raccoglierne 200 per collegio (in Francia non servono nemmeno quelle), e magari con gli strumenti moderni della posta certificata. Ma forse è proprio quello che si desidera: ridurre la concorrenza. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/03/italia/politica/legge-elettorale-i-tre-nodi-da-sciogliere-xOTnH5sxe6yuY6ZdyiPvlL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Ma il Capo dello Stato guarda con favore all'accordo. Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2017, 11:16:00 am Ma il Capo dello Stato guarda con favore all'accordo. Nessuna obiezione al voto
Se bisogna anticipare le urne «meglio prima che dopo» Pubblicato il 07/06/2017 - Ultima modifica il 07/06/2017 alle ore 06:33 Ugo Magri Roma Nove anni di presidenza Napolitano ci avevano assuefatto all’idea che l’ultima parola, la più alta e definitiva, venisse sempre pronunciata sul Colle. Per quel riflesso condizionato, non deve sorprendere che in queste ore tutti gli sguardi siano rivolti al Quirinale. Ciascun protagonista vorrebbe che Sergio Mattarella si schierasse dalla sua parte. In particolare, l’ultima speranza di quanti considerano una disgrazia votare subito è che l’attuale Presidente si faccia sentire, rivendichi le proprie prerogative costituzionali in materia di scioglimento delle Camere e vieti ai partiti di commettere una doppia sciocchezza: correre alle urne il 24 settembre, per giunta con una legge proporzionale che ci riporterebbe ai fasti della Prima Repubblica. E quanto più il Capo dello Stato tace, tanto più forte risuonano le dichiarazioni del suo predecessore: come se Giorgio Napolitano, con la sua opinione sempre autorevole, in qualche misura supplisse alle prudenze e ai silenzi. Il riserbo di Mattarella è ormai proverbiale. In questa fase, poi, la stessa cautela contagia i più stretti collaboratori. Però chi conosce il Presidente, e spesso lo frequenta, si è fatto un’idea diversa da quella corrente: che la presunta timidezza (contrapposta alla verve polemica di Napolitano) in questo caso non c’entri un bel nulla. E se Mattarella si astiene dalle esternazioni è perché ha una visione diversa da quanti gli chiedono di entrare in tackle, a piedi uniti, contro Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini. Cioè i leader di partiti che insieme rappresentano l’80 per cento del popolo italiano. Il Presidente non interviene a gamba tesa perché reputerebbe sbagliato farlo. Intanto, non c’è ancora una legge con cui andare al voto. Esiste un vasto accordo di massima, che ogni giorno deve affrontare la sua pena. I giuristi del Colle tengono ben presenti le obiezioni di quanti annusano un «fumus» di incostituzionalità. Ma il giudizio compiuto lo formuleranno se e quando il “tedesco” sarà legge e arriverà sullo scrittoio presidenziale per la controfirma. Per ora siamo ben lontani da quella fase. Idem per quanto riguarda la data del voto: oggi abbiamo un governo e un premier nella loro piena legittimità. Di urne Mattarella discuterà il giorno che Paolo Gentiloni salirà al Colle, non prima. Le forme sono sostanza, violarle non sarebbe privo di conseguenze politiche. Far circolare dubbi sulla legge elettorale proprio mentre il Parlamento ne sta discutendo, attirerebbe sul Quirinale l’accusa di mettere in pericolo un accordo storico, di «pacificazione e coesione nazionali» (come è arrivato a magnificarlo ieri Brunetta). E se come conseguenza della nuova legge i grandi partiti chiedessero tutti insieme di votare, come potrebbe il Capo dello Stato rispondere «no, ve lo nego»? Infatti, nelle massime sedi istituzionali già circolano delle ipotesi. Una è che Gentiloni, considerando esaurita la propria stagione, tra qualche settimana si dimetta “sua sponte”. L’altra ipotesi fa riferimento al precedente del 1994, quando le Camere vennero sciolte dall’allora Presidente Scalfaro senza che il governo guidato da Ciampi avesse nemmeno dato le dimissioni. Tutti i possibili scenari vengono presi in esame, nell’eventualità che i grandi partiti concordi pretendano di votare. Poi, è chiaro che Mattarella (al pari di Napolitano) nutre fortissimi dubbi sull’opportunità di precipitarsi alle urne. Ne coglie tutti quanti i rischi, specie per quando riguarda gli impegni finanziari da assolvere, in primis la legge di stabilità. Un voto alla naturale scadenza del 2018 sarebbe considerato sul Colle la strada più sicura. Ma se proprio si dovrà votare, ecco la previsione di chi meglio conosce Mattarella, il Capo dello Stato non alzerà certo le barricate per posticipare di qualche settimana le urne. Anzi, a quel punto tanto varrebbe tenere le elezioni il più presto possibile, perfino il 24 settembre, in modo da avere tempo sufficiente per ricomporre i cocci della politica e scongiurare quantomeno il danno dell’esercizio provvisorio. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/07/italia/politica/ma-il-capo-dello-stato-guarda-con-favore-allaccordo-nessuna-obiezione-al-voto-0cgEYs0dHJZwVMJWl21XsJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi ci riprova con l’Albero delle libertà: ecco il piano per... Inserito da: Arlecchino - Giugno 22, 2017, 09:12:47 pm Berlusconi ci riprova con l’Albero delle libertà: ecco il piano per candidarsi Pronta la sfida alla Corte di Strasburgo. Ma Toti: «Non è più lui» Pubblicato il 20/06/2017 - Ultima modifica il 20/06/2017 alle ore 12:15 Ugo Magri Roma L’estremo tentativo di scongiurare l’ineluttabile ha visto immolarsi, invano, il governatore ligure Giovanni Toti. Che poche sere fa ha osato ciò che dai tempi di Gianfranco Fini e del suo «che fai, mi cacci?» nessuno si era mai più permesso con Berlusconi: contestargli il grande rientro in scena, un evento che negli States verrebbe strombazzato come «Silvio is back», rièccolo. In una cena rimasta riservata, nonostante fossero seduti a tavola tutti i big di Forza Italia, da Renato Brunetta a Paolo Romani, da Anna Maria Bernini a Mara Carfagna, da Gianni Letta a Niccolò Ghedini, da Valentino Valentini a Sestino Giacomoni, Toti ha preso di punta Berlusconi e la sua decisione di riproporsi alla testa di Forza Italia in vista delle prossime Politiche, laddove per il governatore sarebbe tempo di mettere su «una lista unica con la Lega». Toni educati ma bestialmente duri nella sostanza, da cui tutti i presenti - in particolare Ghedini e Carfagna - hanno preso le distanze. «Io l’ho conosciuta, caro Presidente, ai tempi in cui ebbe la forza di unire il centrodestra», sono le parole di Toti che a Berlusconi rivolge il “lei”, «invece oggi ci viene a parlare di sistema proporzionale, di correre per nostro conto... Davvero, non la riconosco più». Velenoso: «Se vorrà venire a Genova per i ballottaggi sarà benvenuto, ma prima corregga la linea su Salvini». L’ULTIMA GALOPPATA Dopo un simile “strappo”, Toti non è certo cresciuto nella considerazione del Cav. Il quale ha risposto secco che lui crede ancora nel centrodestra, però con Salvini non unirebbe le forze nemmeno sotto tortura. E comunque, è già lanciatissimo in quella che si annuncia come l’ultima galoppata elettorale della sua carriera, figurarsi se si tirerà indietro. A tutti i personaggi che gli fanno visita, Berlusconi poggia idealmente la spada sulla spalla: «Preparati, tu sarai un mio candidato» (senza mai specificare il come e il dove). A ciascuno l’uomo mostra in gran segreto l’arma atomica che, secondo lui, dovrebbe permettergli di puntare nientemeno che al 30 per cento: un disegnino di albero, tutto verde su sfondo azzurro, fronzuto come una quercia ma in realtà un melo o un pero per via dei frutti penzolanti, e con tre enormi radici. È l’albero della libertà, come Berlusconi l’ha battezzato (o degli zoccoli, nella definizione più in voga). Le radici sono la libertà, appunto, la democrazia, i valori dell’Occidente. Il fusto e i rami indicano i problemi da risolvere. I grossi pomi rappresentano le soluzioni. Per ora Silvio ne ha individuate sei: meno tasse, meno Europa, meno Stato, più aiuti a chi è rimasto indietro, più giustizia per tutti e più sicurezza. Mancano ancora risposte su giovani e immigrazione, ma l’ex premier presto aggiungerà qualche altra mela. Nella cena si è stabilito che Forza Italia avrà il nome di Berlusconi nel simbolo. E non solo: darà battaglia per candidare il leader nonostante la legge Severino lo vieti. Il piano esposto dall’avvocato Ghedini fa leva sulla Corte di Strasburgo, alla quale Berlusconi fece ricorso dopo la decadenza da senatore. L’udienza è fissata per il 22 novembre, e la sentenza difficilmente arriverà in tempo per le elezioni se queste si svolgeranno a febbraio-marzo. Ma Berlusconi cercherà ugualmente di mettersi in lista, sostenendo che il verdetto potrebbe essere a lui favorevole. Chiederà l’ammissione «con riserva». Se l’ufficio elettorale glielo negasse, scatterebbero i ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, al tribunale ordinario. Il cancan che ne deriverà sarà comunque di aiuto alla propaganda. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/20/italia/politica/berlusconi-ci-riprova-con-lalbero-delle-libert-ecco-il-piano-per-candidarsi-A6HhMmmbLtRryMXEeiU5QP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il piano rivoluzionario di Berlusconi per dimostrare che l’età ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 09, 2017, 09:37:21 am Il piano rivoluzionario di Berlusconi per dimostrare che l’età non conta
Un gag in tivù e un “doppio shock” per rilanciare l’economia Pubblicato il 03/07/2017 UGO MAGRI ROMA La gag è già pronta. Berlusconi si presenta nello studio tivù tutto curvo, zoppicante, aggrappato a una stampella. Avanza titic-titoc e davanti alla telecamera sospira: «Questo vecchietto avrebbe voluto cedere il testimone a qualcuno più nuovo di lui. Ma siccome nessuno dei giovani è in grado, eccomi di nuovo qui», via la stampella, «costretto a tornare in campo per il bene dell’Italia». Avrebbe voluto mettere in scena lo sketch una decina di giorni fa, da Vespa. L’hanno tutti convinto a soprassedere, il Paese non è nel “mood” adatto, per gli scherzi sarà tempo più avanti. Ma stiamo certi che l’uomo ci riproverà. Per due ragioni. Anzitutto, gli è tornata una smania di vincere. E quando avvista la preda, l’ex Caimano diventa iper-cinetico. Manterrà il ritmo faticoso di 2 interviste a settimana inaugurato con le Comunali, più 7-8 colloqui politici al dì, più riunioni sistematiche con lo stato maggiore “azzurro”: vuole dare il senso fisico della presenza perché, come sapeva bene Napoleone, ha effetti balsamici sulla truppa. Non solo conta di riprendersi gli elettori “rubati” da Grillo, ma perfino quanti si erano indirizzati verso Renzi considerandolo un Berlusconi con 40 anni di meno. Silvio vorrà convincerli che il vero “giovanotto” è lui, perché ha in testa un paio di idee dirompenti. Di sicuro, spericolate. Va dicendo ai suoi che stiamo sull’orlo di una guerra civile. Con 15 milioni di famiglie in difficoltà e il 40 per cento dei giovani disoccupati, «non potremo uscirne fuori con le ricette ordinarie, serve uno doppio shock», è il mantra berlusconiano. Cosa ci può essere di più scioccante di un taglio netto delle imposte attraverso una «flat tax» sotto il 20 per cento? Chiaro che si porrebbe qualche problemuccio con Draghi e con Bruxelles, perché almeno nell’immediato salterebbero i conti. Finiremmo in bancarotta. Ma qui soccorre l’altro «shock» immaginato da Silvio: la «doppia moneta», che qualcuno credeva una mossa per andare incontro a Salvini, invece Berlusconi ci punta sul serio. Consisterebbe nel tenerci l’euro per le transazioni internazionali, e nell’uso corrente tornare alle lire, della quale potremmo stamparne a volontà. Nei conversari privati, il Cav ammette che ci ritroveremmo con l’inflazione a livelli di Sud America. Però «diversamente della Germania, incapace di conviverci, negli anni ‘70 e ‘80 noi non siamo stati così male nell’inflazione a due cifre, la priorità adesso è rimettere in moto l’economia». Ne discuterà con economisti di sua fiducia e con alcuni gestori di patrimoni mobiliari per sondare le reazioni. Chi, tra i meno ardimentosi dei suoi, ha osato sollevare dubbi si è beccato la seguente risposta: «Vinceremo solo con idee rivoluzionarie e non banali, lasciate fare a me». Toni da giovane visionario. Il vecchio che avanza E qui sta l’altro obiettivo della gag con la stampella: aggredire l’idea, sparsa in primis da Salvini, che con 80 primavere sulle spalle Berlusconi non possa incarnare il futuro. L’anagrafe conta poco, «è più importante la freschezza politica», si ribella Silvio. Gli hanno segnalato la popolarità di Jeremy Corbyn nel Regno Unito, e di Bernie Sanders negli Usa, per citare due vecchioni. Qualcuno gli ha rammentato che Peron tornò al governo quando aveva 78 anni, e in fondo Giorgio Napolitano domina la scena nonostante abbia passato i 90. L’importante è conservarsi bene. Perciò le feste «eleganti» fino alle tre di notte sono ormai un ricordo. Qualora cadesse in tentazione, non troverebbe la compiacenza di chi ora lo assiste: da Licia Ronzulli in veste di segretaria ai due assistenti Valentino Valentini e Sestino Giacomoni, quasi filiali nel loro affetto, con la supervisione dell’avvocato Niccolò Ghedini e di Gianni Letta, ritornato vicino a Silvio dopo una fase di disincanto. Il risultato è che adesso raramente chiude le palpebre mentre qualcuno gli parla, e se ciò accade è segno di noia più che di età avanzata, perché quando l’argomento gli interessa sarebbe capace di discuterne ore. Come a una cena, qualche sera fa, quando si è cimentato in una gara di barzellette. Ne ha snocciolate 50 delle sue, una dietro l’altra. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/03/italia/cronache/il-piano-rivoluzionario-di-berlusconi-per-dimostrare-che-let-non-conta-7LvUSliW0DKpUuxG1AFV4N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Roma-Bruxelles e la festa delle anomalie Inserito da: Arlecchino - Luglio 11, 2017, 09:33:51 am Roma-Bruxelles e la festa delle anomalie
Pubblicato il 11/07/2017 UGO MAGRI Responsabilmente, Matteo Renzi ha chiarito che la sua proposta di «tornare a Maastricht» è musica dell’avvenire. Riguarderà la prossima legislatura, perciò non andrà a impattare la manovra economica di quest’autunno. E’ una precisazione importante perché a qualcuno - perfino ai piani alti delle istituzioni - poteva sorgere il sospetto che l’ex premier parlasse al presente anziché al futuro, e volesse spingere il governo Gentiloni a sfidare da subito l’Europa con una legge di stabilità tarata su un deficit del 3 per cento, in modo da impostare la campagna elettorale su uno scontro drammatico con Bruxelles. Va dato atto al premier e al titolare dell’Economia di aver mantenuto il sangue freddo, nonostante le temperature torride di questi giorni. Prima ancora che arrivasse nel pomeriggio la puntualizzazione di Renzi, Pier Carlo Padoan ne aveva già anticipato il senso ragionevole, e quasi con le stesse parole. Il testacoda, dunque, è stato evitato. Si torna nei binari di una dialettica che da tempo, ormai, vede svaporare le distinzioni classiche tra destra e sinistra in tema di Europa. Chi più chi meno, tutte le forze in campo cavalcano la contestazione anti-Ue, gareggiano nel fare «più uno». Per non perdere terreno rispetto ai «sovranisti», il segretario Pd rischia a volte addirittura di surclassarli. In questo caso Renzi ha frenato in tempo la sua rincorsa specificando come, appunto, le proposte racchiuse nel suo libro siano semplicemente primizie, un trailer del mondo nuovo che vedremo a breve. Ma prima dell’«happy end» sono emerse un altro paio di anomalie politiche, ben afferrabili a occhio nudo. La prima singolarità è rappresentata dall’«effetto sorpresa». La riscoperta improvvisa dei parametri di Maastricht ha colto alla sprovvista tutti, dentro e fuori il Pd. Pare assodato che lo stesso Paolo Gentiloni non ne fosse al corrente. Il silenzio di Palazzo Chigi segnala un filo di imbarazzo al riguardo. Da nessuna parte ovviamente sta scritto che Renzi dovesse alzare il telefono e discuterne in anticipo con il suo successore. Ma l’esito della vicenda è di uno scollamento sempre più marcato tra le finalità del governo in carica e la visione strategica coltivata dal segretario Pd. Il quale ha scelto di picconare certi paradigmi Ue su deficit, tasse e debito proprio mentre l’esecutivo sta tentando di far applicare le regole comuni in tema di accoglienza. Si può sostenere qualunque cosa, perfino che Gentiloni possa trarre vantaggio da questa iniziativa. L’impressione raccolta a Bruxelles, tuttavia, è quella di un premier precario, poco sostenuto dal suo stesso schieramento politico, con una voce in capitolo sempre più modesta. E qui scatta la seconda palese anomalia. Sta nel modo sbrigativo, quasi sprezzante, con cui le istituzioni in Europa hanno bocciato la proposta renziana. Anche in questo caso, l’auto-inganno potrebbe spingersi al punto di considerare «normali» le reprimende di commissari europei come Dijsselbloem o Moscovici. E a giudicare formalmente ineccepibile che un portavoce di Juncker rifiuti di «commentare i commenti» formulati da persone «non più in carica». Forse sarebbe più onesto domandarsi se la Commissione Ue si sarebbe mai permessa di adottare lo stesso tono liquidatorio, qualora la stessa proposta di tornare a Maastricht fosse stata formulata, per esempio, dal partito della Merkel o di Macron. Renzi, invece, è stato rottamato senza che una sola voce autorevole si levasse in sua difesa, dentro e fuori Italia. La conferma un po’ umiliante di come siamo messi. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/07/11/cultura/opinioni/editoriali/romabruxelles-e-la-festa-delle-anomalie-kBfq1Qyag9kwnnAaM4jl0N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi ferma la campagna acquisti perché vuole evitare il voto... Inserito da: Arlecchino - Luglio 16, 2017, 05:26:46 pm Berlusconi ferma la campagna acquisti perché vuole evitare il voto anticipato Indebolendo i verdiniani cadrebbe anche il governo, Silvio non vuole Berlusconi si è accorto che lo “shopping” politico potrebbe ritorcersi contro di lui. Ridurre i margini della maggioranza avrebbe l’effetto di mettere a rischio Gentiloni sullo «ius soli» Pubblicato il 12/07/2017 Ugo Magri Roma La fretta renziana sullo «ius soli» sta suscitando sospetti. Tra i senatori Pd sono in molti a chiedersi che bisogno c’è di ricorrere addirittura a 4 voti di fiducia, uno per ciascuno degli articoli di cui si compone la legge. Tra l’altro, si fa notare, ogni votazione è un rischio perché al Senato i numeri sono incerti. I bersaniani sosterranno la riforma, è vero; però mancheranno i voti di Ap. E in assenza degli alfaniani diventeranno decisivi gli 80 senatori che stanno nel mondo di mezzo, in quella terra di nessuno guidata solo dalle rispettive convenienze. Finora, per conservare più a lungo l’indennità parlamentare e i benefici annessi, questa zona grigia ha sempre sostenuto il governo nei passaggi decisivi. Probabilmente andrà così pure la prossima settimana, quando lo «ius soli» arriverà in aula; o magari no, nessuno se la sente di mettere una mano sul fuoco. Di qui il punto interrogativo sulle reali intenzioni di Renzi: per quale motivo il Pd, anziché scegliere la scorciatoia pericolosa, non imbocca la strada lenta ma più sicura della fiducia su un unico maxi-emendamento? Servirebbe poi un ulteriore passaggio alla Camera, però il governo non rischierebbe di cadere nel burrone. Forse, ecco il dubbio, qui sta il vero obiettivo di Matteo: esorcizzare la noia della politica provando il brivido dell’azzardo. Se lo «ius soli» passa, bene; se non passa e il governo cade, perfino meglio. In quel caso andremmo a votare sul finire dell’estate o all’inizio di autunno. Per quanto il segretario si sforzi di negarlo pubblicamente, chi gli sta intorno lo descrive tuttora pronto a cogliere l’attimo per tornare alle urne, qualora si presentasse l’occasione. Una certa preoccupazione lambisce gli ambienti istituzionali e gli stessi leader di opposizione. Uno in modo particolare: il Cav. Colpo di freno Berlusconi era stato (e rimane) disposto a votare prima della naturale scadenza, perfino il 24 settembre prossimo, ma chiede in cambio una legge elettorale come piace a lui. L’ha individuata nel sistema tedesco, interamente proporzionale. Gli eviterebbe patti con Salvini, del quale Silvio non sopporta né le idee né le maniere. Il mese scorso era sembrato che l’intesa sul tedesco fosse matura, ma poi si sa come andò. Da allora, sotto sotto, Berlusconi ha continuato a sperare che Renzi cambiasse idea. E per ingannare il tempo si è messo a fare campagna acquisti, in modo da avere un maggior numero di senatori il giorno in cui l’altro dicesse «ok, ripartiamo dal modello germanico». Un paio di verdiniani sono già stati arruolati e ce ne sarebbero altri 8 che non vedono l’ora, metà di Ala e l’altra metà di Alfano. Sennonché adesso Berlusconi si è accorto che lo “shopping” potrebbe ritorcersi contro di lui. Ridurre i margini della maggioranza avrebbe l’effetto di mettere a rischio Gentiloni sullo «jus soli». E se il governo cadesse sugli immigrati, andremmo alle urne con le due leggi elettorali passate al vaglio della Consulta: proprio ciò che il Cav vorrebbe evitare. Di qui lo stop agli acquisti. Gli appuntamenti in agenda sono stati messi tutti in stand by. A ciascuno dei personaggi è stato recapitato il messaggio: «Sei dei nostri, ma per il momento è meglio se rimani lì dove sei». Come sostiene Maurizio Gasparri, «per Forza Italia non sarà in fondo una gran perdita, è gente impresentabile. Anzi, per dirla tutta, siamo alla raccolta differenziata, ecologica certo, ma sempre di quella roba si tratta». A complicare le relazioni con Renzi, ha contribuito la ricostruzione nel nuovo libro del segretario Pd, dove si narra che il famoso Patto del Nazareno fallì quando Berlusconi confessò candidamente di aver concordato pure con Massimo D’Alema la candidatura al Colle di Giuliano Amato: per non subire la scelta di quei due, Renzi preferì eleggere Sergio Mattarella. Rivangare la vicenda è come spargere sale su ferite mai del tutto rimarginate. Altro indizio di freddezza: nello scorso weekend, a pranzo con familiari e amici nella sua villa sarda, Berlusconi ha scartato tanto il «piano A» quanto quello «B». Il primo consiste nell’alleanza con Salvini, il secondo punta a un governo con Renzi. L’uomo ha deciso che vincerà da solo, proponendo tagli alle tasse, doppia moneta e separazione carriere dei magistrati (pm e giudici addirittura in palazzi separati). Ha congedato gli ospiti regalando a ciascuno un barattolo di «Marmellata del Presidente», ecologica e autoprodotta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/12/italia/politica/berlusconi-ferma-la-campagna-acquisti-perch-vuole-evitare-il-voto-anticipato-iERdQB35eLNBcdRnt9sDeI/pagina.html Titolo: Enzo Bettiza era nato a Spalato il 7 giugno 1927, aveva appena compiuto 90 anni Inserito da: Arlecchino - Luglio 30, 2017, 05:34:16 pm Addio all'editorialista de La Stampa
Enzo Bettiza, raccontò il mondo e la fine del comunismo Enzo Bettiza era nato a Spalato il 7 giugno 1927, aveva appena compiuto 90 anni Pubblicato il 28/07/2017 - Ultima modifica il 28/07/2017 alle ore 16:45 Ugo Magri Enzo Bettiza è stato la prova vivente che, per diventare un grande del giornalismo, non serve far leva sulla simpatia: contano di più altre doti, professionali e umane. La coerenza con la propria storia, anzitutto. Quella di Bettiza è passata attraverso grandi drammi che ne hanno reso aspra, ironica e in qualche caso feroce la descrizione di come va il mondo. Si ritrovò profugo dalla Dalmazia (era nato a Spalato da una famiglia italiana altoborghese) quando non aveva ancora vent’anni. Sopravvisse per miracolo a una grave malattia. Campò di espedienti, contrabbandiere e venditore di libri a rate (come raccontò poi) per sbarcare il lunario, sognando di diventare uno scrittore di successo. Iniziò dal settimanale Epoca, nel 1957 arrivò a La Stampa dove fu corrispondente da Vienna e poi da Mosca. Nessuno meglio di lui sapeva descrivere vicende e personaggi di una Mitteleuropa caduta sotto il tallone sovietico. Ma desiderava cambiare, e questa voglia di fare altro lo mise in urto con l’allora direttore Giulio De Benedetti, temperamento poco incline al compromesso, che alla fine lo licenziò (dopo averlo fatto attendere in anticamera, si racconta, fino alle quattro e mezza di notte). Correva il 1964. Bettiza ritornò a casa trent’anni dopo, da editorialista e commentatore politico, senza più lasciare La Stampa. Nel mezzo, un decennio al Corriere della sera da cui se ne andò in polemica con la svolta a sinistra impressa da Piero Ottone, e un altro decennio al Giornale, di cui fu il fondatore nel 1974 insieme con Indro Montanelli. Li divise il giudizio su Bettino Craxi, dal quale Enzo fu politicamente attratto e invece Indro detestava. Bettiza sperimentò la vita parlamentare nel partito liberale prima e in quello socialista poi, sempre con un tono alto e aristocratico, teorizzando il «lib-lab», cioè l’incontro della cultura liberal con quella laburista. Fu tra le rare stelle, nel firmamento del giornalismo, che diede credito a Umberto Bossi e alla Lega di una sostanza «asburgica», quasi da vecchio impero austro-ungarico. Conservatore Bettiza è stato sempre, ma di un’intelligenza rara. La sua critica spietata al comunismo dell’Est, negli anni in cui il mito sovietico esercitava ancora un’attrattiva, lo rese bersaglio di molte critiche. Salvo che poi la Storia, con la maiuscola, gli diede ragione. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/28/cultura/addio-a-enzo-bettiza-raccont-il-mondo-con-ironia-senza-tradire-lo-spirito-polemico-KMLNJfoDymNb1ULGOGB7fI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La strategia del Quirinale per rompere l’isolamento Inserito da: Arlecchino - Luglio 30, 2017, 05:39:13 pm La strategia del Quirinale per rompere l’isolamento
Mattarella teme un’offensiva su più fronti e appoggia il governo. L’idea di un vertice con la Merkel per ridimensionare Macron Pubblicato il 29/07/2017 - Ultima modifica il 29/07/2017 alle ore 07:17 UGO MAGRI Il rischio che l’Italia diventi un vaso di coccio nei giochi di potenza europei, con la Francia di Emmanuel Macron protagonista, è ben presente ai piani alti della Repubblica. Dove Sergio Mattarella segue l’evolversi della tempesta diplomatica in una veste che non è di pura e semplice vigilanza, ma di attivo sostegno al governo Gentiloni. È viva, tra i frequentatori del Colle, la sensazione di un attacco lanciato su piani diversi (contro la paziente tessitura italiana in Libia, secondo una logica protezionistica contro Fincantieri), però con l’obiettivo di rimodellare la mappa politica continentale sulla base di un asse sempre più esclusivo tra Berlino e Parigi. La Gran Bretagna con Brexit se ne è sfilata, e Paesi come la Spagna da tempo sollecitano una contro-iniziativa di quanti, a cominciare dalla Polonia, contestano la legittimità di questa diarchia. Di sicuro, nelle riflessioni in corso tra Quirinale e Palazzo Chigi, domina una doppia presa d’atto. Anzitutto, che in Europa va crescendo questa pericolosa tendenza a metterci di fronte al fatto compiuto. E poi, che la scelta politico-diplomatica di puntare sul «nuovo», rappresentato da Macron, a questo punto merita di essere meglio calibrata. Sicuramente all’Eliseo non c’è più un presidente che si muove, come il predecessore Hollande, in sintonia con la famiglia socialista europea e la sua idea solidaristica. Si va facendo strada l’idea che il governo, per rompere l’accerchiamento, avrebbe dei vantaggi nel riprendere l’iniziativa. Non in una logica di occhio per occhio rispetto agli interessi francesi in Italia, come piacerebbe a qualche ambiente politico sconsiderato (Telecom sarebbe un fin troppo facile bersaglio), ma secondo le corde che Gentiloni meglio di tutti sa toccare: quelle della condivisione. Facendo appello a coloro che in questa fase ritengono pericolose le fughe in avanti, sono dunque insospettiti dall’attivismo di Macron e puntano semmai a rafforzare il comune sentire europeo. Una prima mossa concreta potrebbe consistere ad esempio nella richiesta di un summit italiano con la Germania, che ribadisca le nostre buone ragioni e rimetta un filo d’ordine nella fiera dei protagonismi. A quanti dubitano che Angela Merkel possa o voglia darci retta, impegnata com’è nella sua campagna elettorale e nella costruzione di migliori rapporti con Parigi, fonti di una certa dimestichezza con questi temi fanno notare la vastità delle relazioni economiche italo-tedesche, lo stretto legame produttivo tra le manifatture dei due Paesi, il grado raggiunto dalla reciproca interdipendenza. A Berlino sono ben consapevoli dei danni che una lacerazione di questo tessuto potrebbe determinare nel caso in cui la libera circolazione di persone e merci dovesse tornare in discussione attraverso una riforma degli accordi di Schengen. Il premier non ha ovviamente la stazza politica dei governanti consacrati dal voto. La sua coalizione è quanto di più fragile. Tuttavia può contare su una squadra che rema nella stessa direzione, incominciando da Padoan e Calenda. Di sicuro, se prenderà con decisione l’iniziativa in campo Ue, avrà un sostegno forte dal Capo dello Stato. L’atteggiamento combattivo e solidale di Mattarella si è colto lunedì scorso, nelle stesse ore in cui Macron si cimentava con le fazioni libiche in lotta. «La stabilizzazione delle aree di crisi, prima fra tutte la Libia, necessita di azioni che travalicano la portata dei singoli Paesi», ha scandito il presidente alla XII conferenza degli ambasciatori. Aggiungendo parole che il ministro degli Esteri Yves Le Drian (lì presente) non avrà avuto bisogno di interpretare: «L’interesse nazionale è sempre, naturalmente, per tutti, un obiettivo al quale tendere. Pensare tuttavia che esso coincida con una sorta di angusta chiusura in se stessi è un errore gravido di conseguenze pericolose». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/07/29/italia/politica/la-strategia-del-quirinale-per-rompere-lisolamento-6419VDds75zcfAaHVMpdCP/pagina.html Titolo: CARLO BERTINI, UGO MAGRI. La processione dei centristi da Berlusconi: così la... Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2017, 05:26:06 pm La processione dei centristi da Berlusconi: così la maggioranza di governo è in bilico al Senato
Il Pd potrebbe persino chiedere a Mattarella di esercitare una pressione su Ap e Mdp per evitare l’esercizio provvisorio Numeri in bilico in Senato (sopra, una foto dell’aula). Silvio Berlusconi di nuovo al centro del gioco politico, complice la debolezza del Pd e lo stallo del M5S Pubblicato il 20/07/2017 CARLO BERTINI, UGO MAGRI ROMA È chiaro che Costa nel governo non ci può più stare per quello che ha detto su Berlusconi. Quindi, Angelino, dovete farlo dimettere». Senza giri di parole, nel faccia a faccia a Palazzo Chigi di martedì sera, Paolo Gentiloni fa capire chiaramente ad Alfano che la misura è colma. Passi per la dichiarazione del titolare degli Esteri sulla collaborazione col Pd che si è conclusa, ma addirittura l’elogio dell’avversario no: il ministro degli Affari Regionali non può restare nell’esecutivo. Per questo Gentiloni apprezza l’uscita di Costa, ma le sue dimissioni sono accolte come atto dovuto. Anche se l’immagine che trasmettono è quella di uno sfaldamento del governo, un suo indebolimento inarrestabile. Rialza la testa il partito del «così non si può andare avanti». Fari accesi sul Cav. La fibrillazione lambisce i vertici istituzionali, dove non si sentiva alcun bisogno di un’ulteriore scossa. La poltrona vacante è stata subito congelata grazie all’interim, e presto sarà riconsegnata al partito di Alfano. Ma lo smottamento di Ap suscita un punto di domanda sulla tenuta parlamentare della maggioranza, e soprattutto sulle vere intenzioni di Berlusconi: come mai d’improvviso ha ripreso la campagna acquisti che era stata interrotta proprio per non mettere in ginocchio Gentiloni? Nel giro di Arcore si minimizza l’accaduto: l’«Operazione Costa», come viene definita, mira a lanciare ami soprattutto alla Camera, dove i numeri del governo largheggiano. E serve a scremare la lunga lista degli «homeless» che, in vista delle prossime elezioni, cercano di accasarsi nel centrodestra. Ovvero, per dirla con l’espressione di Gasparri, a distinguere tra «riciclabili» e non con una sorta di «raccolta differenziata». Appartengono alla prima categoria personaggi come Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, che porta in dote 7 parlamentari; poi l’ex segretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti, inoltre Lorenzo Cesa, segretario Udc, e perfino il piemontese Giacomo Portas, titolare del simbolo di centrosinistra dei «Moderati», corteggiato proprio per questo. Berlusconi ha dato invece disposizione di andarci piano a Palazzo Madama, dove il governo balla (e si è visto ieri sui vaccini). Restano perciò in stand-by una quantità di personaggi di varia estrazione centrista, da Ala a Gal ma soprattutto Ap, che attendono soltanto un segnale per tornare all’ovile berlusconiano. Chi sono? Al richiamo del Cav non resisterebbe nessuno. Più facile indicare gli unici due che troverebbero porte sicuramente chiuse: Alfano e Fitto, che si sono visti l’altra sera a cena con Casini per fronteggiare l’emergenza. Lo scoglio della manovra A Palazzo Chigi nessuno nega che lo scenario sia pessimo, «lo sapevamo fin dall’inizio». Però lo sguardo nel partito, che ormai di fatto si sobbarca da solo l’onere di reggere il governo, ovvero il Pd, è rivolto al vero scoglio, quello della legge di stabilità, quando potrebbe risultare ostico trovare i voti per la manovra d’autunno. Renzi pare abbia del tutto dismesso qualsiasi volontà di forzare verso le urne; perciò questa uscita di Costa non viene considerato esplosiva. Ne sono convinti vari ministri Pd, da Orlando a Delrio, renziani di ferro come il sottosegretario alla Salute, Davide Faraone: «Paradossalmente finché spingevamo per il voto, tutti si coalizzavano per evitarlo, ora che non c’è più questa spinta, si creano le condizioni naturali... ma ormai non succederà nulla», garantisce. Renzi non a caso ormai si programma a lunga scadenza: partirà in tour con un treno affittato da Trenitalia in settembre per tenersi anche fisicamente lontano da un esecutivo non più in grado di approvare quasi nulla. Si è convinto che l’unica strada per il Pd è sostenere il governo Gentiloni, provando a fare una legge di bilancio da poter rivendicare in campagna elettorale. L’impegno del Colle Tra i renziani non viene nemmeno escluso che, di fronte al rischio di una drammatica penuria di voti in Senato sulla manovra, il Pd possa chiedere a Mattarella di esercitare una moral suasion sui gruppi di maggioranza che sostengono il governo, Ap e Mdp, onde evitare l’esercizio provvisorio. Il Presidente non si tirerebbe indietro. L’unico segnale che induce il governo all'ottimismo giunge da Pisapia. Il quale richiama la sinistra alle sue responsabilità verso il governo. Bisognerà però vedere se sarà seguito da Bersani e compagni. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/20/italia/cronache/la-processione-dei-centristi-da-silvio-la-maggioranza-in-bilico-in-senato-DP58zYEZVfMLsUJyYT3kWI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella: sulla Libia ci hanno lasciati soli Inserito da: Arlecchino - Settembre 17, 2017, 08:55:56 pm Mattarella: sulla Libia ci hanno lasciati soli
Pubblicato il 15/09/2017 Ultima modifica il 15/09/2017 alle ore 17:55 UGO MAGRI LA VALLETTA Lasciati soli a gestire una situazione drammatica. «Senza molto aiuto e in qualche caso senza nessun aiuto», precisa Sergio Mattarella parlando davanti agli altri capi di Stato riuniti a Malta per l’incontro annuale del cosiddetto Gruppo di Arroiolos. Il Presidente si riferisce al nostro impegno in Libia, e lo sottolinea «senza alcuna vis polemica lontanissima da me». Nemmeno punta l’indice contro quanti si sono rifiutati di darci una mano, sebbene molti indizi portino a ritenere che le mosse recenti del francese Macron non siano state di aiuto. L’importante per Mattarella è ricordare che «stiamo facendo la nostra parte. Abbiamo rifornito di mezzi, addestrato la Guardia libica costiera; abbiamo fatto degli accordi, oltre che col governo insediato dall’Onu, anche con l’altra parte che vi è contrapposta; abbiamo stipulato accordi molto importanti con le municipalità che realmente governano il territorio. E questo», tira le somme il Presidente della Repubblica, «ha provocato negli ultimi mesi, quelli estivi, abitualmente di maggior transito sul Mediterraneo, un abbassamento deciso, molto forte, dei flussi migratori». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/09/15/italia/politica/mattarella-sulla-libia-ci-hanno-lasciati-soli-6VKPTWEgTTZGgmvfZkwTNO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Governo del presidente. Per il dopo voto cresce l’ipotesi del ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 01, 2017, 11:01:41 am Governo del presidente. Per il dopo voto cresce l’ipotesi del paracadute Complicato tornare alle urne in caso di stallo. D’Alema lancia l’esca, Berlusconi apre a Minniti Il ministro dell’Interno Marco Minniti, pur del Pd, è la soluzione che viene ponderata dal centrodestra perchè sarebbe difficile per Salvini non accettarla, viste le sue politiche sui migranti Pubblicato il 30/09/2017 Ultima modifica il 30/09/2017 alle ore 11:19 Ugo Magri Roma Con l’aria di chi va dicendo cose scontatissime, già chiarite da uno scienziato come il compianto Giovanni Sartori, Massimo D’Alema giorni fa ha posato il cappello sul «governo del Presidente». Vale a dire sul paracadute che si aprirebbe nel caso, altamente probabile, di elezioni politiche senza un chiaro vincitore, dove nessun partito ottenga una maggioranza tale da consegnargli le chiavi del potere. In pubblico se ne parla poco poiché i leader, tutti, preferiscono spargere l’illusione di un trionfo a portata di mano. Invece D’Alema, con la sua furbizia, ha anticipato il tema che sicuramente si porrà all’indomani del voto e anzi già è oggetto di valutazioni nelle sedi che contano. LE PREFERENZE DI ARCORE Un esempio: da Arcore, dove nessun segreto resiste più di dieci minuti, emerge come i berlusconiani non solo sarebbero pronti a infilarsi in un «governo del Presidente», quale atto di responsabilità verso l’Italia, ma pare siano stati discussi con Berlusconi perfino i nomi di chi avrebbe le migliori chance di guidarlo. Paolo Gentiloni rimane in pole position perché nulla è più semplice che prorogare chi occupa una poltrona, specie se si è distinto per garbo verso il Cav. Ma cresce prepotente in Forza Italia la considerazione verso un’altra figura istituzionale, qual è senza dubbio il ministro dell’Interno. Per come Marco Minniti si sta muovendo su sicurezza e immigrazione, assicurano i “berluscones”, lo stesso Salvini farebbe fatica a tirarsi indietro, lo preferirebbe certamente a un amico della Merkel come Antonio Tajani. LA CARTA VINCENTE Più monta il chiacchiericcio nei partiti, meno il Colle desidera assecondarlo. Ovvio il rifiuto di “speculare” su qualcosa ancora futuribile. Mancano sei mesi alle elezioni, le variabili del “dopo” sono mille. Inoltre, chi frequenta Sergio Mattarella esclude che il presidente scalpiti per mostrare i suoi super-poteri. Un po’ il protagonismo gli è estraneo, e poi il Capo dello Stato non è in grado di costringere nessuno. «Può costruire le condizioni con una tenace regia», osserva il “dem” Giorgio Tonini, attento a queste dinamiche, «ma qui si tratta di far nascere una maggioranza che poi voti la fiducia al “governo del Presidente”». Insomma, la bacchetta magica non esiste. Eppure, al Quirinale non manca la carta vincente, vero asso pigliatutto. Si tratta dell’impossibilità pratica di tornare alle urne come è avvenuto in Spagna, qualora lo stallo del dopo-voto da noi fosse totale. TEMPI OBBLIGATI È tutta una questione di calendario. Se voteremo a marzo, le date più probabili il 4 o l’11, poi ci vorranno i canonici venti giorni per la prima riunione delle Camere e un’altra decina perché queste eleggano gli organi indispensabili: i rispettivi presidenti, gli uffici di presidenza e i gruppi parlamentari, senza i quali il Capo dello Stato non saprebbe chi consultare. Dopodiché si apriranno le consultazioni. Nel 2013 Giorgio Napolitano fu un fulmine, vide tutti i partiti in sole 24 ore sottoponendosi a un tour de force, eppure la soluzione della crisi arrivò due mesi dopo il voto. Perfino prendere atto che formare una maggioranza è impossibile richiederebbe il suo tempo e un passaggio parlamentare per prenderne atto. Gli esperti del ramo assicurano che, votando a marzo, l’iter non si concluderebbe prima di metà maggio, col risultato che nuove elezioni «alla spagnola» cadrebbero a fine luglio, impensabile. Dunque un governo dovrà nascere per forza, pena sconquassi istituzionali e drammi sui mercati. Nessuno dotato di buon senso rifiuterà di aprire il paracadute. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/09/30/italia/politica/governo-del-presidente-per-il-dopo-voto-cresce-lipotesi-del-paracadute-4Ur6ofHWAPDtTgDn0PW8CM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi contro Salvini: “Venderò cara la pelle” Inserito da: Arlecchino - Ottobre 04, 2017, 11:40:35 am Berlusconi contro Salvini: “Venderò cara la pelle” Centrodestra in bilico, il voto tedesco allontana la lista unica Pubblicato il 26/09/2017 - Ultima modifica il 26/09/2017 alle ore 07:12 Ugo Magri Roma Berlusconi si attende, decisamente «seccato», anzi parecchio «infastidito», che Salvini attacchi a suonare la fanfara, con lui la Meloni, e tutto il gruppo dei forzisti pro-Lega ne profitti per gridare che le ragioni dell’unità a destra sono più forti dopo il voto tedesco, dunque vai col “listone” alle prossime elezioni, vai con i candidati comuni, vai con il partito unico e con il grande cambio generazionale destinato a pensionare il Cav, giunto all’età di anni 81 (li compirà tra 3 giorni). Tutto ciò mette l’ex premier di pessimo umore. Ma il paradosso è che adesso gli tocca addirittura difendere la Merkel, proprio lei, e per difendersi da Salvini sostenere che Angela non ha perso, no, semmai «è riuscita nell’impresa ammirevole di farsi riconfermare Bundeskanzlerin dopo 12 anni di governo, un record assoluto nonostante abbia spalancato le braccia a 1 milione 200mila migranti». Lo va ripetendo al telefono con Antonio Tajani, o negli scambi di valutazioni con i rari collaboratori ammessi nelle riunioni strategiche del lunedì. Sestino Giacomoni, la sua «ombra», argomenta il contrario esatto dei «sovranisti», cioè che in Germania hanno vinto i moderati e pure in Italia bisognerà seguire l’esempio. Quanto più Salvini canta vittoria, tanto più ad Arcore si minimizza. Un clima che promette nulla di buono. ARIA PESSIMA Basta poco, a volte, per determinare i cambi di umore. Fino a poco fa Berlusconi non vedeva l’ora di abbracciare i suoi alleati, voleva incontrarli e quelli sfuggivano, Silvio proponeva di unire le forze ma Giorgia e Matteo si telefonavano tra loro, «io non ci penso nemmeno, e tu?», «ma figuriamoci». Poi è arrivata la nuova proposta di legge elettorale, il «Rosatellum», con la Lega super-favorevole e Forza Italia tiepidamente. Gianni Letta ha messo una pulce nell’orecchio del Cav, «attento è una trappola, con i candidati comuni finirà che Salvini ti sfila il partito, diventerà padrone in casa tua». Nemmeno il tempo di dirlo, che il consigliere politico berlusconiano, Giovanni Toti, è andato ad applaudire Salvini a Pontida. E loro due, insieme col capogruppo Paolo Romani, si sono fatti un selfie alla festa della Meloni: il ritratto di famiglia della destra post-berlusconiana. Uno show di balzanza, forse un peccato di presunzione perché dopo il selfie si sono precipitati in tanti dal Capo a denunciare i «golpisti», a dirgli che «c’è un’Opa ostile su Forza Italia, dobbiamo vender cara la pelle». ATTACCO DI NERVI Così il pendolo berlusconiano è ritornato indietro. La convenienza politica spingeva all’unità del centrodestra, ora è tornata l’insofferenza dell’uomo per gli urlatori, gli odiatori, gli estremisti in genere. Le ultime, di fonte più che autorevole, raccontano come il «piano B» di Berlusconi stia diventando «A», dunque la voglia di marciare da solo contro tutti, con qualunque sistema elettorale, prevalga ora sui calcoli di convenienza. A costo di perdere seggi pur di farne perdere a Salvini e sbarrargli la via verso Palazzo Chigi. Domanda un dignitario berlusconiano tra i massimi: «Si rende conto Matteo che, se gli prende un attacco di nervi come spesso capita, il nostro presidente è prontissimo a mandare al diavolo gli alleati? Rinuncerebbe a qualche seggio, ma resterebbe padrone di Forza Italia. Gli eletti sarebbero tutti suoi, nessuno in condominio con la Lega. L’Europa non chiede di meglio. E potrebbe dargli una mano il 22 novembre a Strasburgo, quando la Corte deciderà sulla decadenza da senatore. Le sensazioni? Erano buone, sono diventate ottime». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/09/26/italia/politica/berlusconi-contro-salvini-vender-cara-la-pelle-Gj285WrMN6uYU8pRhF7UaN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI. Cavalcata verso le urne. Al via il gioco dell’oca disseminato d’in Inserito da: Arlecchino - Ottobre 28, 2017, 11:39:19 pm Cavalcata verso le urne. Al via il gioco dell’oca disseminato d’incognite
Pubblicato il 28/10/2017 UGO MAGRI Alle ore 12 di giovedì scorso siamo entrati in campagna elettorale. C’è finalmente una legge per tornare alle urne, si è dunque realizzata la condizione posta da Sergio Mattarella, nulla più impedisce di dare la voce al popolo. Ma da qui ai primi di marzo, quando quasi certamente si terranno le prossime elezioni, mancano ancora quattro mesi. E sarà tutto un susseguirsi di eventi in grado di premiare (o punire) i protagonisti della politica. Il primo appuntamento è fissato tra 8 giorni in Sicilia, dove si voterà per la Regione. Il secondo tra due settimane alla Commissione parlamentare sulle banche, quando testimonierà Ignazio Visco e si annuncia tempesta. Il terzo a Strasburgo il 22 novembre, con la sentenza della Corte europea su Silvio Berlusconi. Resteranno leggi da approvare prima che cali il sipario: la manovra economica, il testamento biologico, la riforma dei vitalizi, lo Ius soli... Una corsa a ostacoli, anzi un gioco dell’oca dove chi sbaglia mossa ritorna indietro. … 1. Legge elettorale, si aspetta l’ok di Mattarella (prossima settimana) Il macigno che per dieci mesi ha impedito di tornare alle urne verrà rimosso entro la prossima settimana. Non appena il testo arriverà sul Colle (si parla di lunedì), la legge elettorale verrà esaminata con la stessa puntualità che ieri ha indotto Sergio Mattarella a negare la promulgazione delle norme sulle mine. Nell’ottica presidenziale, il “Rosatellum” non è immune da critiche. Per fare un esempio: collegi più piccoli avrebbero permesso di rafforzare i legami col territorio degli eletti nel prossimo Parlamento. Tuttavia nessuno, al Quirinale, scorge quel “fumus” di incostituzionalità che giustificherebbe secondo M5S un rinvio alle Camere. Dunque appare pressoché certa la firma presidenziale in calce alla nuova legge che avrà la particolarità di entrare in vigore il giorno dopo, senza nemmeno attendere la pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”. A quel punto, la corsa al voto sarà virtualmente lanciata. 2. Le prove generali con il voto in Sicilia (5 novembre) Chi vincerà le prossime elezioni in Sicilia, domenica 5 novembre, si troverà sulla cresta dell’onda. Chi sarà sconfitto, viceversa, nuoterà in pessime acque perlomeno fino a marzo 2018, quando voteremo per il Parlamento nazionale. Le regionali saranno l’ultimo test (con i voti veri, non con i sondaggi) prima della competizione più attesa. Trasmettere un’immagine di successo conterà parecchio in un paese, come il nostro, dove è innata la tendenza a soccorrere il vincitore e a maramaldeggiare sul perdente. Anche perché la nuova legge elettorale si fonda sul “voto utile”, tenderà a concentrare i voti su chi potrà davvero farcela. La sfida si annuncia particolarmente dura per Matteo Renzi. Se il Pd arriverà terzo o addirittura quarto in Sicilia, i suoi nemici interni non perderanno l’occasione di affilare i coltelli. Anzi, hanno già incominciato. 3. L’audizione di Visco (6-7 novembre) A terremoto delle elezioni in Sicilia seguirà un ulteriore “Dies Irae”: l’audizione Ignazio Visco presso la Commissione parlamentare di indagine sui crac delle banche. Le ultime da Palazzo San Macuto ipotizzano che l’ora della verità possa scoccare il 6 o il 7 novembre. Centrodestra e grillini cercherano di indurre il governatore, fresco di riconferma, a vuotare il sacco su Banca Etruria e dintorni. Le domande saranno numerose e Visco non potrà mostrarsi reticente. A loro volta i renziani si difenderanno contrattaccando. Tenteranno di mettere sotto tiro l’attività di vigilanza facente capo a Via Nazionale (ma non solo). Lo scontro si annuncia feroce, a meno che nei prossimi giorni le parti in conflitto decidano sotto banco una sorta di disarmo bilanciato e controllato. Per ora non se ne vedono i presupposti. Anziché smorzare i toni anti-Visco, Matteo Renzi è il primo a dare battaglia, in un clima da lascia o raddoppia. 4. La sentenza europea su Berlusconi (22 novembre) Sono in due ad attendere con particolare apprensione la sentenza della Corte di Strasburgo, che il 22 novembre deciderà se fu giusto dichiarare Silvio Berlusconi ineleggibile dopo la condanna per frode fiscale. Il primo, ovviamente, è il diretto interessato. Se i giudici europei gli daranno ragione, il Cav potrà tornare in pista alle prossime elezioni. Ma soprattutto avrebbe un appiglio per dichiararsi vittima dell’ingiustizia e indossare i panni della vittima. I suoi avvocati, Niccolò Ghedini in testa, incrociano le dita perché le sentenze della Corte vengono pubblicate di regola dopo sei mesi, ma in alcuni casi eccezionali il succo viene anticipato subito, tramite comunicato. L’altro in trepidante attesa della sentenza di nome fa Matteo, ma di cognome non è Renzi. Se l’incandidabilità di Silvio venisse confermata, il sorpasso della Lega su Forza Italia sarebbe praticamente cosa fatta. E lo scettro del centrodestra passerebbe a Salvini. 5. La manovra del 2018 Doveva già essere in Parlamento da almeno una settimana; invece il testo definitivo della legge di Stabilità (che definisce i conti dello Stato per il 2018) arriva al Quirinale solo in queste ore. Il Capo dello Stato di metterà di corsa la firma e da lunedì il Senato inizierà l’esame. Ma con un punto di domanda grosso così: chi sosterrà la manovra? Da quando Mdp non fa più parte della maggioranza, mancano sulla carta i numeri per far passare la legge. Per cui le soluzioni possibili sono tre: 1) Bersani ci ripensa e dà una mano; 2) il soccorso arriva dal vituperato Verdini; 3) nelle votazioni cruciali un tot di berlusconiani si assentano dall’aula con le scuse più diverse in modo che il Pd sbrighi in fretta questa pratica. Salvo sorprese, la manovra passerà alla Camera a fine novembre e tornerà a Palazzo Madama entro Natale per il timbro finale, che si annuncia come indispensabile adempimento agli occhi dell’Europa e dei mercati. 6. Ius soli, biotestamento e vitalizi: le tre leggi ferme in Parlamento Prima che staccare la spina, governo e Parlamento dovranno decidere la sorte di tre riforme rimaste in sospeso: ius soli, biotestamento e vitalizi. Le speranze di successo sono alte nel primo caso, modeste nel secondo, scarsine nel terzo. Matteo Renzi vuole fare una cosa di sinistra per mettere in un angolo Mdp, e il centrodestra finge di protestare ma non vede l’ora che il Pd imponga la cittadinanza per chi nasce in Italia, magari attraverso il voto di fiducia, in modo da poter gridare che così rischiamo un’invasione. Sul testamento biologico la fiducia non si può mettere per via della libertà di coscienza, col risultato che la legge (osteggiata dagli alfaniani) passerebbe soltanto grazie al sostegno determinante del solito Verdini. Quanto alla riforma dei vitalizi, il Senato modificherà il testo della Camera, la Camera modificherà le modifiche del Senato e via così fino al suono del gong. 7. Definire i 231 collegi elettorali Il “Rosatellum” è legge, ma per renderlo operativo ci sarà bisogno di un ulteriore passaggio. Tempo 30 giorni, il governo dovrà disegnare i 231 collegi uninominali sparsi nelle 28 circoscrizioni elettorali in cui è suddivisa l’Italia. Risulta che al Viminale già dispongano di un software, fornito da alcune società di consulenza, in grado di provvedervi quasi in tempo reale. Ma siccome il “taglia-e-cuci” dei collegi può far vincere un candidato (e perdere un altro), favorire certi partiti e danneggiare gli avversari, ecco che la legge prescrive un po’ di serietà. Verrà coinvolto l’Istat tramite apposita commissione, successivamente il decreto del governo finirà sotto la lente delle Commissioni parlamentari che avranno a loro volta 15 giorni di tempo per esprimere un parere non vincolante. Risultato: i collegi saranno pronti intorno a metà dicembre. Solo a quel punto Mattarella potrà mandare tutti a casa. 8. Scioglimento delle Camere (Natale-Epifania) Governo e Parlamento avranno sparato a Natale le loro ultime cartucce. Legge elettorale? Ok. Collegi? Fatti. Manovra economica? Licenziata. Ius soli eccetera? Chi ha avuto, ha avuto. In teoria Mattarella potrebbe trascinare avanti la legislatura fino alla scadenza naturale che cadrebbe il 15 marzo (le Idi) 2018. Ma è generale opinione che si tratterebbe di accanimento terapeutico. Per cui nei palazzi che contano si dà per quasi certo lo scioglimento delle Camere tra Natale e la Befana. Il Capo dello Stato lo motiverà nel suo messaggio di fine anno. Prenderà la forma giuridica di un decreto presidenziale controfirmato da Paolo Gentiloni. Seguirà a stretto giro un altro decreto, questa volta di Gentiloni controfirmato da Mattarella, per fissare la data delle urne. Infine le dimissioni del governo, che resterà almeno altri 100 giorni in carica per «disbrigare - come si dice - gli affari correnti». 9. Le liste e l’incognita degli impresentabili (gennaio 2018) Per la politica, gennaio sarà un mese convulso. Andranno decise alleanze elettorali e candidature. Il “Rosatellum” attribuisce ai leader un potere totalitario sulle liste, ma non avranno vita facile. Scatterà su di loro il pressing di chi vorrebbe collegi uninominali sicuri (per il centrodestra quelli del Nord-Est, per il Pd nelle regioni «rosse»). Ci sarà ressa pure sui primi posti dei “listini” proporzionali, perché garantiscono 5 anni di stipendio da onorevole. Tutti i nomi dei candidati saranno sulla “scheda”, dunque vita dura per gli sconosciuti onesti, magari scelti attraverso le “cliccarie”, e per gli “impresentabili” ben conosciuti: se candidati, metterebbero in fuga gli elettori perbene. Come se non bastasse, Renzi e Berlusconi subiranno l’assalto dei partitini-satelliti, disposti a versare sangue per Pd e Forza Italia però in cambio di qualcosa, perché non esistono pasti gratis nelle vita e tantomeno nella politica. 10. Al voto il 4 o l’11 marzo 2018 L’alba del nuovo giorno sorgerà il 4 marzo 2018 oppure la domenica dopo: sono le date più probabili delle urne. Se le Camere verranno sciolte ai primi di gennaio, un paio di mesi è il tempo che normalmente impiega la nostra burocrazia per mettere in moto la macchina elettorale. Poi, una volta votato, trascorreranno 20 giorni per proclamare gli eletti e riunire il Parlamento nuovo di zecca. Un’ulteriore settimana se ne andrà tra elezione dei presidenti delle Camere e altre indispensabili nomine. Le consultazioni inizieranno a metà aprile, e c’è solo da augurarsi che emerga un vincitore chiaro, cui Mattarella possa conferire l’incarico. Altrimenti, come nel gioco dell’oca, torneremo alla casella iniziale del 2013: niente maggioranza stabile e governi del Presidente. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. http://www.lastampa.it/2017/10/28/italia/politica/cavalcata-verso-le-urne-al-via-il-gioco-delloca-disseminato-dincognite-mIL7ViJoDoPKjTYeCU1ADI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La vittoria agrodolce di Berlusconi: Ho fatto il gioco dei sovranisti Inserito da: Arlecchino - Novembre 12, 2017, 12:15:24 pm La vittoria agrodolce di Berlusconi: “Ho fatto il gioco dei sovranisti”
Il leader di Forza Italia si aspettava di sfondare il 20% dopo l’impegno nell’isola. E adesso teme di apparire al traino di una coalizione anti-sistema Pubblicato il 07/11/2017 UGO MAGRI ROMA Silvio Berlusconi non è affatto entusiasta del risultato: tra i trionfi della sua carriera, forse, è quello che più lo indispone. Tramite un video Facebook ha sostenuto l’esatto contrario, parlando di grande performance del suo partito, perché ammettere la verità sarebbe politicamente dannoso. Ma nella villa di Arcore l’aria che si respira è un mix di apprensione e inquietudine. Il Cav si aspettava di più. L’avevano illuso i bagni di folla nei quattro giorni passati in Sicilia, quando aveva messo in campo l’intero armamentario di lusinghe e promesse, compreso un ammiccamento al condono edilizio che in altri momenti avrebbe fatto faville. Perfino il suo assistente, Sestino Giacomoni, si è stupito di quanta energia avesse in corpo e quanta voglia di trasformare in voti le sue percentuali tuttora altissime di popolarità (superano il 30 per cento). L’immane fatica ha prodotto un 16,4 per cento che, di per sé, non sarebbe da disprezzare: in fondo è il triplo di quanto hanno raggranellato insieme Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Eppure, se si vanno a scartabellare i sondaggi di pochi mesi fa, già allora Forza Italia era stimata nell’Isola intorno al 16 per cento, appunto. Sfondare quota 20 era considerata riservatamente l’asticella minima, la dimostrazione che l’impegno diretto del leader paga ancora come una volta. Che Berlusconi non risulta solo simpatico e divertente come può esserlo un nonnetto arzillo, ma rimane il mago delle rimonte impossibili come nel 2006, come nel 2013. L’esperimento è andato così così: tanto valeva che il Cav restasse a casa e registrasse qualche appello-tivù. Berlusconi: “Grazie a noi, la Sicilia non è finita nelle mani di chi non ha mai amministrato nemmeno un condominio” Il patto col diavolo Alla delusione (inconfessata) si aggiunge un altro tipo di ansia: quella di apparire succube degli alleati. Legato mani e piedi alla loro politica «sovranista» e trascinato in una competizione con i grillini tutta spostata sulla rivolta antisistema. Per Berlusconi, sarebbe un errore imperdonabile, lo sbaglio più tragico, che spalancherebbe davanti a Di Maio un’autostrada. Silvio sostiene l’esatto opposto, che per stoppare i grillini si debba far fronte comune tra tutti i «responsabili», cioè gli italiani con il sale in zucca che non accendono gli zolfanelli sotto la grande catasta del populismo. Si mangia le mani per quel patto col diavolo stipulato a settembre, quando fu costretto a barattare l’unità del centrodestra (unica soluzione per non auto-affondarsi) con la candidatura di Nello Musumeci. Il quale già gli stava poco simpatico per le origini finiane, e come se non bastasse si è pure permesso di snobbare l’unico consiglio datogli a quattr’occhi quando si sono visti («senti a me, da amico: tagliati quell’orribile ridicolo pizzetto»). Il pizzetto non è stato rasato. E adesso che il centrodestra ha vinto, Belzebù si è presentato puntuale a riscuotere nelle sembianze di Giorgia Meloni, con gli occhi celesti e la chioma angelica, ricordando in mille interviste come Musumeci sia uomo non di centro ma di destra, anzi di destra-destra, un vero fascistone. E per battere i grillini sul loro terreno ce ne vorrebbero tanti col pizzetto alla Italo Balbo nelle candidature comuni al Sud, e tanti con la ruspa come Salvini al Centro-Nord, perché la guerra si vince nella trincea degli istinti primordiali: rabbia, insicurezza, protesta, paura. Gli «smoderati» di Arcore Berlusconi è corso ai ripari proclamando, nel monologo su Fb rilanciato da qualche Tg, che la vittoria è «moderata», e il moderatismo «azzurro» è «la sola alternativa al pericolo che il Paese cada in mano al ribellismo, al pauperismo, al giustizialismo». Ce l’ha coi grillini, l’ex-premier, ma per sua disgrazia gli «smoderati» se li ritrova in casa. E se mai dovesse vincere, li porterebbe a Palazzo Chigi. Diventerebbe il loro Cavallo di Troia. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Titolo: UGO MAGRI Camere sciolte entro fine anno Ma Gentiloni non si dimetterà Inserito da: Arlecchino - Dicembre 11, 2017, 05:54:58 pm Camere sciolte entro fine anno Ma Gentiloni non si dimetterà
Mattarella attenderà la fine dei lavori parlamentari, poi calerà il sipario La data del voto dovrebbe essere il 4 marzo, resta l’incognita Ius soli ANSA Pubblicato il 10/12/2017 - Ultima modifica il 10/12/2017 alle ore 13:24 UGO MAGRI ROMA Ormai è chiaro che voteremo fra tre mesi, assicura Palazzo Chigi, per cui «una settimana prima o dopo che differenza fa?». E in effetti, come in un puzzle, i tasselli del fine-legislatura stanno scivolando tutti a posto. Pare certo che alle urne andremo il 4 marzo o al più tardi la domenica successiva. Il presidente della Repubblica non ha speciali preferenze, né sta mettendo fretta al Parlamento. Se le Camere volessero approvare qualche legge in extremis, per esempio lo Ius soli, Sergio Mattarella non starebbe lì col cronometro in mano. Aspetterebbe i giorni necessari, rendendo superflue eventuali pericolose scorciatoie tipo voti di fiducia cui, pare, nel Pd qualcuno starebbe pensando. L’importante è che la volontà politica sia seria e concreta: così si ragiona sul Colle. Altrimenti ricordarsi all’ultimo momento delle pratiche inevase diventerebbe un pretesto per allungare il brodo. Ecco dunque il primo punto fermo: Mattarella si orienterà in base al calendario parlamentare. Salvo colpi di scena, il 22 o il 23 dicembre prenderà atto che la legislatura non ha più nulla da dire. Tenendola in vita, i nostri onorevoli resterebbero sfaccendati fino al 15 marzo: data in cui secondo Costituzione le Camere andrebbero comunque sciolte. Meglio abbreviare l’agonia. Passato Santo Stefano, ogni giorno sarà buono per ridare voce al popolo. Il 28 dicembre Gentiloni terrà la tradizionale conferenza di fine anno; quindi il giorno stesso (o l’indomani) riunirà un Consiglio dei ministri di “commiato”. Dopodiché non dovrà nemmeno dimettersi: anzi pare certo che a Camere sciolte il premier manterrà la pienezza dei suoi poteri, come del resto suggerisce una lunga lista di precedenti, iniziata con il VII governo De Gasperi (1953) e proseguita fino al Berlusconi ter (2006). Addirittura, in teoria, Mattarella potrebbe calare il sipario senza che Gentiloni nemmeno gli faccia visita, ma semplicemente dopo aver «sentito» i presidenti di Senato e Camera. Dati gli eccellenti rapporti, il premier sarà comunque ricevuto al Quirinale, come atto di cortesia e per fargli mettere nell’occasione la controfirma al decreto presidenziale di scioglimento. Le ultimissime dai piani alti suggeriscono che ciò avverrà entro la fine dell’anno. E poiché la Costituzione prescrive un massimo di 70 giorni tra decreto e elezioni, i conti sono facili: voteremo il 4 marzo, appunto, o al massimo domenica 11. Le dimissioni di Gentiloni arriveranno parecchio più tardi, dopo che le nuove Camere si saranno riunite, verso metà aprile. Ma se nessuna soluzione di governo verrà trovata, il premier resterà a disbrigare «gli affari correnti» per molti mesi ancora. Quanti? Nel libro «La presidenza più lunga», Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno ricordano come per dar vita al governo Letta ci vollero 127 giorni. Per quello di Dini 123, per il primo di Andreotti ne furono necessari 121. Insomma: se disgraziatamente la crisi del dopo elezioni si rivelasse senza sbocco, e si dovesse votare nuovamente a metà ottobre, il governo Gentiloni potrebbe restare in carica fino a quella data senza bisogno di un voto di fiducia. E del resto, annotava un secolo fa Giuseppe Prezzolini, «in Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio». Solo un premier precario da noi può durare a lungo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/10/italia/cronache/camere-sciolte-entro-fine-anno-ma-gentiloni-non-si-dimetter-ogXEJdOOrUAi0Up0jru5YM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Camere sciolte tra una settimana, Renzi correrà per fare il senatore Inserito da: Arlecchino - Dicembre 23, 2017, 08:55:06 pm Camere sciolte tra una settimana, Renzi correrà per fare il senatore
Ultime fibrillazioni in vista delle urne. Lo Ius soli in aula ma sul binario morto. Gentiloni e i suoi ministri hanno già scelto le regioni dove scendere in campo Renzi, collegio uninominale di Firenze centro al Senato, capolista nel proporzionale in Campania e Lombardia Pubblicato il 23/12/2017 Ultima modifica il 23/12/2017 alle ore 07:24 Carlo Bertini, Ugo Magri Roma Ultime convulsioni di una legislatura sfortunata. Oggi il Senato metterà il timbro sulla legge di bilancio che garantisce ossigeno all’Italia per i prossimi dodici mesi. Dopodiché dovrebbe occuparsi di Ius soli, già in calendario, ma senza che il dibattito possa entrare nel vivo e prolungarsi oltre Natale. Pendono 50 mila emendamenti e manca una maggioranza, dunque insistere sarebbe accanimento. Ci si attende che da un giorno all’altro venga restituita la parola al popolo sovrano. E come sempre accade, quando si avvicina il giorno del giudizio, nei palazzi è tutto un accavallarsi di nervosismi e fibrillazioni. Sono circolate voci di conflitti istituzionali, gossip rilanciati dal sito «Dagospia», che farebbero intravvedere un braccio di ferro tra Pd e Colle sulla data delle urne e, prima ancora, sullo scioglimento delle Camere. La Commissione parlamentare sulle banche è virtualmente conclusa, chi ha avuto ha avuto, ma sui protagonisti della battaglia aleggia il timore di ulteriori strascichi velenosi (tutti gli atti acquisiti a San Macuto sono stati doverosamente trasmessi dal presidente Pier Ferdinando Casini alla magistratura). Logico che qualcuno si interroghi se la data del 4 marzo per tornare al voto non sia troppo in là e convenga bruciare le tappe. Sintonia Colle-Pd Al momento, tuttavia, non si prevedono anticipi. Nessuno si fa avanti per chiederli, nemmeno il Pd. Per cui resta immodificato il timing nella formula, cara al presidente della Repubblica e al capo del governo, di un epilogo ordinato della legislatura. Mattarella e Gentiloni, fino a ieri, non avevano definito i dettagli di questo “cronoprogramma”; tuttavia ai piani più alti si dà per scontato che il decreto presidenziale di scioglimento sarà firmato tra giovedì e venerdì prossimi: subito dopo la conferenza con cui il premier traccerà un bilancio del lavoro fatto. Ma a decidere la data del voto sarà principalmente il governo, e la collocherà nell’ambito della “finestra” indicata dalla legge, cioè tra i 45 e i 70 giorni successivi. Gli uomini di Renzi assicurano che la sintonia istituzionale è massima, «si voterà il 4 marzo e a noi sta bene così». Dello stesso tenore la risposta che si riceve a Palazzo Chigi. Il cui inquilino si sta già preparando alla battaglia e ha concordato con Renzi dove si candiderà per dare il massimo contributo alla causa” Dem”. Tutti i «big» in prima linea Gentiloni sarà in lizza nel collegio Roma-1 per la quota maggioritaria e guiderà la lista proporzionale in Piemonte e in Puglia. La vera sorpresa sta maturando nella “war room” del leader Pd: Matteo Renzi vuole diventare senatore, un po’ paradossalmente dopo avere ingaggiato (e perduto) la battaglia costituzionale per trasformare Palazzo Madama nel Senato delle autonomie. Dovrebbe scendere in pista nel collegio uninominale di Firenze-Centro al Senato. Sarà pure capolista al proporzionale in Campania e in Lombardia. In queste ore, tutti gli altri “big” del governo si stanno prenotando le caselle e Matteo li lascia liberi di scegliere. Marco Minniti, ministro dell’Interno, sarà nel collegio di Reggio Calabria e capolista in Veneto, dove la sua politica sull’immigrazione può contrastare la propaganda leghista. Graziano Delrio, titolare delle Infrastrutture, correrà in patria a Reggio Emilia o a Bolzano e nel proporzionale in Sardegna. Dario Franceschini avrà il collegio nella sua Ferrara e piloterà il “listino” in Basilicata sull’onda di Matera capitale della Cultura. Il capo della minoranza e Guardasigilli, Andrea Orlando, sarà nel collegio di La Spezia e capolista in Calabria, quale paladino della legalità. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/23/italia/politica/camere-sciolte-tra-una-settimana-renzi-correr-per-fare-il-senatore-Chq7zmqkh6XVCMfiusmDyN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Per Silvio l’ostacolo sovranista Inserito da: Arlecchino - Gennaio 19, 2018, 11:56:40 am Per Silvio l’ostacolo sovranista
Pubblicato il 18/01/2018 UGO MAGRI Sì, sì ma, ni, anzi no. Tradotto nel gergo parlamentare: voto favorevole, favorevole con riserva, astensione, contrario. L’intero kamasutra delle posizioni possibili è stato esibito ieri dal centrodestra sulla missione italiana in Niger. È in gioco la stabilità di un’area dove attingono i nuovi mercanti di schiavi; inviare i soldati, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo, fa soprattutto gli interessi nazionali nostri. Per cui il governo si sarebbe atteso un corale appoggio dalla coalizione che più forte denuncia i rischi degli sbarchi fuori controllo e, politicamente, ne cavalca la paura. Questo sostegno è arrivato da Forza Italia che, per sua consuetudine, sempre vota bipartisan quando è in gioco la sicurezza nazionale. Nonostante i molti dubbi, così si sono regolati pure i Fratelli d’Italia. Ma la Lega, che sette giorni fa col suo leader Salvini si dichiarava pronta a sostenere missioni perfino in Islanda, se fosse servito a bloccare l’immigrazione, ha preferito astenersi alla Camera. Si è giustificata con certi magheggi francesi sull’uranio africano, per cui noi diventeremmo una specie di Légion étrangère al soldo di Parigi: stessa ragione addotta da chi, perfino tra i centristi, si è dichiarato contrario. I 470 soldati partiranno ugualmente. Sul terreno che più conta, della lotta ai trafficanti di poveri esseri, l’astensione padana peserà zero. Ma se si guarda avanti, a ciò che possiamo attenderci dalla coalizione in testa nei sondaggi, secondo Euromedia addirittura molto vicina alla soglia del 40-42 per cento che garantirebbe la maggioranza assoluta, viene da chiedersi chi reggerebbe un domani il timone e con quale capacità di farsi rispettare. Di sicuro se lo domandano da ieri sera nelle cancellerie europee, dove la prospettiva di un centrodestra forse vincente, ma disunito sulle cose vere e serie, suscita ovvia apprensione. Se Berlusconi e i suoi alleati riescono nel capolavoro di dividersi sulla missione in Niger, cosa potrebbe accadere il giorno che l’Italia dovesse scegliere (speriamo mai) tra l’Unione e i suoi tanti nemici a Est come a Ovest? Il Cav è politicamente rinato proponendosi quale «rassicuratore». Con la sua esperienza, vuole garantire continuità nelle scelte euro-atlantiche e negli impegni assunti coi nostri partner. Tutte le volte, frequenti, che i «sovranisti» passano il segno lui minimizza: loro non contano, comanderò io. Fin qui è stato preso in parola e talvolta perfino riabilitato da chi lo considerava il diavolo. Ma le piroette di Salvini sulle missioni all’estero riportano coi piedi per terra, inducono a dubitare sulle doti salvifiche di Berlusconi. E c’è dell’altro. Nonostante due paginette di spartito comune, infarcite di obiettivi condivisi perché generici quanto potrebbe essere «viva la mamma», l’esuberanza della destra-destra produce cacofonia. Sulle pensioni. Sui vaccini. Perfino sui concetti elementari come uguaglianza e razzismo. Si vede che manca il direttore d’orchestra. Oppure (cambia poco) chi impugna la bacchetta non riesca a farsi rispettare. A volte Salvini e Meloni suonano fuori tempo apposta per fargli saltare i nervi. In altri casi sfidano Berlusconi con la certezza totale di farla franca. Il negoziato sulle liste di centrodestra è la prova generale di un’alleanza che gli elettori condanneranno, forse, a governare; però divisa al suo interno, ansiosa di riprendersi il potere e già feroce nella spartizione del bottino. Pur di creare armonia, l’ex premier aveva dato in pasto la Lombardia alla Lega, quasi senza colpo ferire, accettando un candidato governatore come Attilio Fontana che non lo convinceva nemmeno dopo aver rasato la barba. In cambio, Silvio si aspettava di scegliere lui chi candidare nel Lazio, e sperava di fare largo nei collegi alla «quarta gamba» moderata, arma segreta della potenziale vittoria. Ma è di queste ore che Noi con l’Italia viene massacrata dai veti, i suoi esponenti trattati da accattoni. E nel Lazio la Lega sobilla il sindaco di Amatrice Pirozzi, a capo della sua lista di «scarponi», in uno strano gioco a perdere che favorisce il governatore uscente Pd, Zingaretti. Così Berlusconi, per essere generoso con gli alleati, rischia la parte di Babbo Natale, fuori tempo massimo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/01/18/cultura/opinioni/editoriali/per-silvio-lostacolo-sovranista-V4yQklDkgYUHVx4OQvPw8H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI - Mattarella, monito ai politici: “No al mito del fascismo buono” Inserito da: Arlecchino - Gennaio 27, 2018, 10:06:55 am Mattarella, monito ai politici: “No al mito del fascismo buono”
Avviso contro l’odio: «Sorprende che ancora adesso qualcuno parli di meriti» Verso gli ebrei l’Italia è colpevole, spiega Mattarella. Anche contro «gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili»: con le leggi razziali «un crimine turpe» Pubblicato il 26/01/2018 Ugo Magri Roma Verso gli ebrei l’Italia è colpevole. Anche contro «gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili»: 80 anni fa, con le leggi razziali, fu commesso nei loro confronti «un crimine turpe». E sebbene la vergogna ricada sul fascismo, tutti noi «abbiamo il dovere di riconoscere quanto di terribile e disumano» fu fatto allora. Sergio Mattarella non chiede formalmente «perdono» alla comunità ebraica perché la Repubblica, che egli rappresenta, è nata proprio in contrapposizione a quegli orrori (basta leggere l’articolo 3 della Costituzione). Ma il discorso presidenziale marca comunque una responsabilità collettiva. Taglia netto con lo stereotipo auto-assolutorio degli italiani sempre brava gente. Ci fu, riconosce Mattarella, la «complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, magistrati, cittadini asserviti». In troppi tacquero, restarono indifferenti. Non si può dimenticare né nascondere quanto accadde, con la nostra storia dobbiamo «fare i conti». Un’ammissione così esplicita mai si era udita finora sul Colle. Basta banalità Mattarella è un uomo politico moderato che però, se vede in gioco i valori, diventa intrattabile. Nei ricordi di famiglia, mai messi in pubblico, c’è il padre che nel 1938 passò i guai a Palermo proprio per aver condannato le leggi razziste sul giornale diocesano. Contestarle era dovere. Chi ora minimizza o prova a giustificare merita disapprovazione. Difatti il passaggio più intenso del discorso pronunciato al Quirinale nel Giorno della Memoria, con tutte le massime cariche pubbliche sedute dinanzi, tra queste la neo senatrice a vita Liliana Segre sopravvissuta ad Auschwitz, picchia duro su chi banalizza. «Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione», secondo il Capo dello Stato, «gravemente sbagliata e inaccettabile». Ovvio che il pensiero corra a quanti, tra i leader in circolazione, si sono travestiti da storici. Ne vengono in mente un paio che in piena campagna elettorale Mattarella, ovviamente, non cita. Un mese fa Berlusconi aveva negato al Duce la qualifica di dittatore, lo era fino lì. E Salvini non risulta si sia mai pentito di quanto disse: «Prima delle leggi razziali, per vent’anni Mussolini, aveva fatto tante cose buone, la previdenza sociale l’ha portata lui mica i marziani». Errore, reagisce Mattarella a questi discorsi che ogni tot rispuntano: «Razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi, ma diretta e inevitabile conseguenza» di un certo modo di pensare. La sua condanna è a 360 gradi. Anticorpi in azione I «focolai di razzismo e di antisemitismo» sono tuttora presenti e non vanno sottovalutati. Però Mattarella, al quale non è sfuggito l’allarme lanciato domenica dal rabbino Riccardo Di Segni, è fiducioso: certi fenomeni «non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno. Il nostro Paese e l’Unione europea hanno oggi gli anticorpi necessari». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/01/26/italia/cronache/mattarella-monito-ai-politici-no-al-mito-del-fascismo-buono-A6aMWB1PLcwmXFeJAYknuJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI. Gentiloni duella con Erdogan sui diritti civili e curdi: “Così ... Inserito da: Arlecchino - Febbraio 09, 2018, 10:36:53 am Gentiloni duella con Erdogan sui diritti civili e curdi: “Così indebolisci la lotta all'Isis”
Distanze sulla Siria anche nel colloquio con Mattarella Pubblicato il 06/02/2018 UGO MAGRI ROMA Leader duro e spigoloso, Recep Tyyip Erdogan non è venuto a conquistare l’Italia con lo charme. Nei suoi colloqui romani ha scelto la strada della schiettezza e, va detto, è stato ricambiato con altrettanta sincerità. Non per nulla, il colloquio avuto durante la colazione al Quirinale viene descritto come «franco e rispettoso», che nel linguaggio di tutti i giorni significa: il presidente turco e Sergio Mattarella hanno manifestato opinioni diverse tanto sulla Siria quanto sui diritti umani. L’accoglienza con tutti gli onori non ha impedito di rimarcarlo. Stessa cosa a Palazzo Chigi, nel successivo incontro con Paolo Gentiloni, molto incalzante quando si è passato a parlare dell’offensiva militare turca contro i villaggi curdi in Siria. Sull’altro piatto della bilancia, era nostro interesse cercare una sponda nello scacchiere libico, dove l’instabilità fa il gioco degli scafisti. Erdogan è tra i principali attori di quell’area, per cui nel giro diplomatico pare strano che certi sdegni contro la visita siano stati manifestati proprio da chi, per esempio Matteo Salvini, vorrebbe fermare gli sbarchi. L’ospite turco sostiene la mediazione Onu, punta all’accordo tra le fazioni, si augura che in Libia venga adottata una carta costituzionale. È stato possibile accertare, insomma, che condivide la posizione italiana, e ai piani altissimi ciò viene considerato molto positivo. Si aggiunga che con Ankara abbiamo grandi business, specie nel settore della difesa, e per moltiplicare in futuro i 20 miliardi di interscambio commerciale ieri sera il presidente turco ha incontrato a cena la créme della nostra imprenditoria, guidata dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Contrariamente ai programmi della vigilia, nessuna rimpatriata con Silvio Berlusconi, che da premier andò apposta a Istanbul per fare da testimone di nozze al figlio del Sultano. Erdogan è infuriato con gli americani. Non perdona all’ex presidente Barak Obama di avergli garantito una zona di sicurezza tra Turchia e Siria, senza mai darvi seguito. Parimenti è deluso da Donald Trump che, se non altro, evita di fare promesse non mantenute. Considera tutti i curdi alla stregua di terroristi e rivendica il diritto di colpirli come sta facendo con ferocia in questi giorni. Mattarella e Gentiloni gli hanno fatto entrambi notare che un conto è il Pkk, organizzazione dedita al terrorismo, altra cosa il Ypg, la milizia curda che si batte in Siria contro il regime di Assad. Nel faccia a faccia con Gentiloni, il leader turco si è sentito apostrofare così: «La vostra offensiva contro Afrin e i curdi rischia di danneggiare la lotta all’Isis». Il presidente della Repubblica ha ribadito con cortesia ma senza sconti la posizione europea, da cui l’Italia non si discosta di un millimetro: le operazioni di polizia al confine non possono degenerare nei bombardamenti in corso sui civili. Fonti bene informate raccontano che a quel punto Erdogan è scattato polemico: «L’Europa si preoccupa dei curdi e mai dei nostri morti». Distanza inevitabile pure sui diritti umani calpestati dopo il tentato golpe di un anno e mezzo fa: il presidente turco è stra-convinto che dietro ci fosse la regia del predicatore Fethullah Gülen e, soprattutto, che la minaccia sia ancora viva. Per questo non intende allentare la repressione sul dissenso. Ma nello stesso tempo preme per essere ammesso nell’Unione europea, richiesta incompatibile con la morsa sugli oppositori (ne avevano scritto nei giorni scorsi a Mattarella l’Anm, le Camere penali e la Fnsi). Gentiloni ha fatto intendere che scarcerare subito i giornalisti e i rappresentanti delle Ong sarebbe di buon auspicio in vista del vertice tra Turchia e Ue in calendario a marzo, che viceversa partirebbe in salita. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/02/06/esteri/gentiloni-duella-con-erdogan-sui-diritti-civili-e-curdi-cos-indebolisci-la-lotta-allisis-qRRNIYoYkWMScm5UzKQT2K/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Vittoria del centrodestra o pareggio: sarà una battaglia all’ultimo... Inserito da: Arlecchino - Febbraio 16, 2018, 05:29:26 pm Vittoria del centrodestra o pareggio: sarà una battaglia all’ultimo voto
La fotografia di Piepoli prima del black out sui sondaggi: Pd in lieve calo, la rimborsopoli grillina non penalizza il M5S Il sondaggista: Nicola Piepoli curerà gli exit poll per la Rai la notte del 4 marzo Pubblicato il 16/02/2018 UGO MAGRI L’ultima istantanea dell’Istituto Piepoli, che precede il black out sui sondaggi, è quasi identica a quella di sette giorni fa. Cambiano solo un paio di zero virgola: come se certi fatti, dal delitto orrendo di Macerata alla «rimborsopoli» grillina, fossero scivolati via senza lasciare traccia. Di sicuro non ne ha profittato il leader della Lega Matteo Salvini, che molti davano in forte crescita; dal suo punto di vista, questi orientamenti di voto rappresentano una delusione, mentre proveranno sollievo i Cinquestelle rimasti aggrappati al loro 27 per cento. Percentuali stabili Ma pure tornando indietro di due mesi, la «scoperta» è che già allora le percentuali dei tre schieramenti erano grosso modo le stesse. Il calo Pd e l’avanzata berlusconiana (con conseguente sorpasso di Forza Italia sulla Lega) risalgono a prima di Natale. Dopodiché nessuno ha avuto più un guizzo, uno scatto, un colpo d’ala. Può significare che la gente si è fatta un’idea, e da quella ormai non si schioda tanto facilmente; oppure che i leader hanno sparato con troppo anticipo le rispettive cartucce, col risultato di trovarsi adesso a corto di munizioni. Le ultime cartucce Sia come sia, gli ultimi fatti di cronaca non hanno spostato i consensi e da molte settimane nemmeno la propaganda riesce a ottenere grandi risultati. Per cui viene da chiedersi se davvero, nei 16 giorni di qui al voto, potranno verificarsi eventi tali da sconvolgere le previsioni. Qualche volta in passato è successo, per esempio alle Europee del 2014 la vittoria Pd fu travolgente e inattesa, ma di regola non funziona così. Allo stesso modo, nessuno può escludere che proprio alla vigilia del 4 marzo Renzi, Berlusconi o Di Maio estraggano dal cilindro qualche coniglio, tipo Mago Forest. Però non è detto che l’Italia abbocchi; per essere efficace dovrà trattarsi di una proposta originale e per giunta credibile, due qualità molto rare, figuriamoci insieme. Gli schieramenti Al momento, dunque, il centrodestra rimane davanti. Ha un margine di quasi otto punti sull’alleanza che fa saldamente capo al Pd, e di dieci su M5S. Nel grosso dei collegi uninominali, pari a circa un terzo del totale, Berlusconi Salvini e Meloni partono favoriti, specialmente al Nord. Però nessuno può pronosticare con certezza se i tre litigiosi alleati conquisteranno la maggioranza assoluta dei seggi che permetterebbe loro di governare. Il testa a testa finale Sono in largo vantaggio, si proclamano vicini alla meta, eppure gli ultimi metri sono di solito i più difficili. Le percentuali dell’Istituto Piepoli inducono alla massima prudenza. L’unica vera certezza, evidente nel sondaggio, è che pochi elettori potranno fare la differenza. Col risultato in bilico tra centrodestra e «pareggio», andare alle urne non sarà fatica sprecata. Ogni singolo voto conterà. --- Il sondaggio qui presentato è stato eseguito dall’Istituto Piepoli per il quotidiano La Stampa con metodologia mista Cati-Cawi, su un campione di 500 casi rappresentativo e segmentato della popolazione italiana (maschi e femmine dai 18 anni in su). Il documento della ricerca è pubblicato sul sito www.agcom.it e/o www.sondaggipoliticoelettorali.it Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/02/16/italia/politica/vittoria-del-centrodestra-o-pareggio-sar-una-battaglia-allultimo-voto-92z48vuwALbpBEHuKVzh5I/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E Berlusconi apre al Pd: “Ma il premier sia dei nostri” Inserito da: Arlecchino - Febbraio 18, 2018, 05:49:31 pm E Berlusconi apre al Pd: “Ma il premier sia dei nostri”
L’ex Cavaliere: «Anche Salvini nella coalizione» Pubblicato il 17/02/2018 - Ultima modifica il 17/02/2018 alle ore 12:00 UGO MAGRI ROMA Tra i capi del centrodestra, «pareggio» è una parolaccia. Considerano il trionfo tuttora alla portata, e i berlusconiani addirittura si guardano già in cagnesco per la futura spartizione delle cadreghe. Fino al 4 marzo le tenteranno tutte per vincere, del resto chiunque al posto loro ci proverebbe. Poi, quel che sarà, sarà. Interpellato su possibili «piani B», il Cav ha svicolato come solo lui sa fare. Garantendo che senza maggioranze torneremmo alle urne, dunque pazienza se nel frattempo Gentiloni si trattenesse a Palazzo Chigi per qualche mese in più. In realtà l’ex premier sa benissimo (Gianni Letta è lì apposta) che il Colle non considera affatto l’ipotesi di rivotare. Rischieremmo un esito in fotocopia. Tra l’altro, nuove elezioni quando? A Ferragosto? Oppure in autunno, con la legge Finanziaria da fare? Non se ne parla. Nell’ottica del Quirinale, i partiti dovranno assumersi le loro responsabilità davanti al paese. E allora, tra la destra qualche riflessione sul «dopo» si sta facendo. Ad esempio, nessuno pensa seriamente che si possa sciogliere l’alleanza. L’ipotesi di Salvini coi Cinquestelle è giudicata fantasiosa dagli stessi forzisti; idem tra i salviniani che Berlusconi si precipiti nelle braccia di Renzi. Forza Italia e Lega resteranno insieme anche in caso di larghe intese: su questo c’è largo consenso nel centrodestra. Non per amore ma per calcolo di convenienza. Solo uniti, i rispettivi leader potranno contare qualcosa. Nel peggiore dei casi varranno insieme 280 seggi alla Camera, 140 al Senato. Divisi, sarebbero sovrastati dal Pd o (nel caso della Lega) dai Cinquestelle. Berlusconi: “Ho la bacchetta magica, non sono la Fata turchina ma mago Silvio” Ciò reca con sé due corollari. Il primo: Berlusconi non accetterebbe alcun veto Pd su Salvini e Meloni. Qualora Matteo restasse fuori dai giochi, avrebbe campo libero per scatenare la concorrenza a destra. Giorgia idem. Forza Italia verrebbe massacrata proprio come ai tempi del governo Monti, un’esperienza che chi la visse oggi dice: «Mai più». Se responsabilità nazionale dovrà essere, all’appello presidenziale tutti dovranno rispondere «presente». Compresi se possibile i Cinquestelle e, per forza, la Lega. Tra gli strateghi più ascoltati ad Arcore, Renato Brunetta la mette così: «Un’intesa “larga” non basterebbe, ci vorrebbe “larghissima”. Dovrebbe essere davvero una “Grosse koalition”», da fare invidia a quella tedesca. L’altro corollario è che, perfino se la vittoria dovesse sfuggire, Berlusconi e Salvini uniti sarebbero comunque il raggruppamento maggiore. Sosterrebbero un governo solo a patto di dare le carte, incominciando dal premier. Via perciò Gentiloni, espressione di Renzi, che tra l’altro fa campagna per il Pd. E veto totale su personalità come Carlo Calenda, stimate da Berlusconi ma del tutto indigeste a Salvini. Per nascere, l’ipotetica «larghissima intesa» dovrebbe avere una guida spostata a destra. «In caso contrario», prevede Brunetta, «la “Grosse koalition” non vedrebbe mai la luce. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/02/17/italia/politica/e-berlusconi-apre-al-pd-ma-il-premier-sia-dei-nostri-14INcgcvxX6LVRfOZSLTlJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il piano di Mattarella, evitare di tornare subito alle urne Inserito da: Arlecchino - Febbraio 25, 2018, 11:07:09 am Il piano di Mattarella, evitare di tornare subito alle urne
Incarico non al primo partito, ma chi ha più chance Pubblicato il 21/02/2018 UGO MAGRI ROMA Il piano d’azione è tutto scritto, quasi nei dettagli. Qualunque risultato emergerà dalle urne, sul Colle sanno già come regolarsi: ecco perché, a 12 giorni dal voto, lassù si respira aria tranquilla. Ma non c’è nulla di «top secret» nelle intenzioni presidenziali. Per scoprirle in anticipo è sufficiente un buon manuale di diritto costituzionale, a scelta tra i tanti che circolavano nella Prima Repubblica. Per un quarto di secolo sono rimasti a impolverarsi negli scaffali perché non servivano più, si disse, dopo l’avvento del sistema maggioritario. Ma adesso, col Rosatellum per due terzi proporzionale, si ritorna alle origini, quando la nascita dei governi veniva scandita da regole che agli attori attuali forse sfuggono. Sergio Mattarella ne possiede il know-how, un po’ perché appartiene a un’altra generazione e poi, se non bastasse l’anagrafe, in quanto prof di diritto parlamentare. Insomma, dal 5 marzo si muoverà lungo i binari della prassi codificata nell’arco di 50 anni, in modo trasparente e soprattutto prevedibile. Se vince la destra Esempio numero uno: il centrodestra conquisterà la maggioranza, tanto alla Camera quanto al Senato? L’incarico di governo non potrà che andare a un personaggio di quel mondo. Saranno i partiti a suggerirne il nome. Qualora indicassero Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue, Mattarella potrebbe forse far notare che all’Italia non conviene perdere quella poltrona. Tuttavia certo non si metterebbe di traverso. Sbaglia invece Berlusconi a ripetere che, come ministro dell’Interno, vorrebbe Matteo Salvini. Senza accorgersene, il Cav invade le prerogative quirinalizie, come vengono definite all’articolo 92 della Costituzione: «Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri». In altre parole, Mattarella dovrà dare l’okay. Ma dopo le uscite di Salvini sui migranti, che definire sopra le righe è poco, qualche frequentatore del Quirinale si domanda se la poltrona del Viminale sarebbe la più adatta per un leader così divisivo e, dunque, il Capo dello Stato ci metterebbe la firma. Di sicuro, sui nomi dirà la sua. Nell’ipotesi di pareggio Caso numero due: nessuno vince le elezioni. Anche qui, soccorrono le regole antiche. Dove conta poco se arrivi primo, importa semmai se riesci a mettere insieme una maggioranza. L’incarico viene dato a chi ha chance di farcela. Fino a un paio di mesi fa, questa sfumatura non era ben colta dai grillini, i quali ripetevano: «Se saremo il partito più votato, Mattarella dovrà darci l’incarico». Poi d’improvviso la svolta: Luigi Di Maio ha preso atto che non funziona così, cambiando registro. A fare chiarezza sono stati, pare, ambasciatori parecchio schivi, che non lo ammetterebbero mai. Di sicuro, i canali di comunicazione tra Quirinale e Cinquestelle sono numerosi e attivi. Il presidente non vuole tagliare fuori nessuno, chi ha buona volontà deve poter dare una mano. È un po’ il senso della «pagina bianca» di cui aveva parlato la sera di San Silvestro. Nel vicolo cieco E se non si trovasse una via d’uscita? Prima di sciogliere le Camere una seconda volta, Mattarella metterebbe in campo tutta la pazienza necessaria. Lascerebbe svelenire il clima dalle tossine della campagna elettorale o, se l’immagine non convince, darebbe tempo di posarsi alla polvere sollevata in battaglia. Le larghe intese, qualora si realizzassero, sarebbero frutto di lunghe attese. Ai tempi di Aldo Moro si parlava, non a caso, di «decantazione». Il Capo dello Stato le proverebbe tutte, tentativi su tentativi. E perfino i fallimenti sarebbero di aiuto: farebbero capire che non ci sono alternative a un compromesso serio. Poco per volta i protagonisti dovrebbero prenderne atto. Ecco spiegato il clima, nonostante tutto, speranzoso; ed ecco come mai Gentiloni, per quanto Mattarella lo apprezzi, difficilmente resterà a Palazzo Chigi. Senza il sostegno del Parlamento non potrebbe tirare avanti, e chi lo va dicendo rilegga il Mortati. Ma se i partiti trovassero un accordo, figurarsi se centrodestra e M5S accetterebbero un premier targato Pd. Chiederebbero di iniziare una storia nuova. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/02/21/italia/politica/il-piano-di-mattarella-evitare-di-tornare-subito-alle-urne-R2MXna77rAS9dLenmWqDHI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Porte aperte a chiunque darà una mano, il metodo inclusivo per ... Inserito da: Arlecchino - Marzo 05, 2018, 12:11:39 am SERGIO MATTARELLA
Porte aperte a chiunque darà una mano, il metodo inclusivo per evitare il caos (Di Ugo Magri) La speranza, ovvia, del presidente è di non essere protagonista. Dipenderà non da lui ma dagli elettori: se sceglieranno con chiarezza, conferire l’incarico di governo diventerà quasi una formalità. Come massimo, il Quirinale sarà chiamato a vigilare sulla scelta dei ministri, ma non sembra impresa da far tremare i polsi. Altra cosa sarebbe invece se dalle urne non emergesse una maggioranza. In quel caso, suo malgrado, Sergio Mattarella dovrebbe assumere la regia della crisi e sulla sua persona si appunterebbero enormi responsabilità. Ancora non si conoscono i risultati, eppure già c’è un’attesa perfino un po’ malata delle mosse e, addirittura, delle acrobazie che il Capo dello Stato sarebbe costretto a compiere per evitare il caos. Si dà per scontato che i partiti non riuscirebbero a mettersi d’accordo, e forse nemmeno ci proverebbero, cosicché l’ultima salvezza andrebbe cercata nei super-poteri presidenziali. In caso di stallo, ecco l’aspettativa, Mattarella dovrebbe imporre una soluzione, proprio come fece Giorgio Napolitano dall’alto della sua autorità. Purtroppo non funziona così. I super-poteri esistono soltanto nel mondo dei fumetti. Lo stesso Napolitano si mantenne sempre nell’ambito delle regole: mai avrebbe potuto designare Mario Monti senza il via libera preventivo, e poi anche in Parlamento, di chi oggi da destra gli rimprovera addirittura un golpe. Ci vollero 127 giorni, oltre quattro mesi in «stand-by», prima che Pd e Forza Italia trovassero un accordo sul governo Letta: nemmeno in quel caso vi furono forzature, solo tanta intraprendenza del Colle. Chi si attende che Mattarella possa spingersi oltre quei confini, e mettere in pratica ciò che nessun predecessore aveva mai osato pensare, mostra di non conoscere il successore di Napolitano. Il campo da gioco è quello tracciato dalla Costituzione, l’arbitro vorrà essere il primo a rispettarlo. Poi è chiaro che, come ogni figura arbitrale, pure Mattarella ci metterà del suo. Un paio di novità si colgono fin d’ora. Anzitutto, lo sforzo presidenziale di spiegare che «compromesso» non è una parola oscena, anzi stipulare accordi è nella logica sana del sistema. Se nessuno vince, venire a patti resta l’unica via d’uscita. È chiaro che, dopo una campagna elettorale in cui tutti hanno promesso di non «inciuciare» con gli avversari, difficilmente vedremo i partiti subito a braccetto. Serviranno tempo e pazienza. Magari si renderanno necessari svariati tentativi, anche solo per constatarne il «fiasco» e riportare certi protagonisti con i piedi per terra. L’aspetto positivo, colto da qualche frequentatore del Colle, è che nessun leader muore dalla voglia di andare all’opposizione. Tutti sono animati, semmai, dalla smania di governare. E questa voglia collettiva di mettersi alla prova viene colta lassù come un segnale, incoraggiante, di potenziale disponibilità. Mattarella (ecco l’altro elemento nuovo) non mette alla porta nessuno. Se Luigi Di Maio è stato ricevuto al Quirinale, nella persona del segretario generale Ugo Zampetti, va proprio nel senso dell’inclusione. Il messaggio è chiaro: chiunque volesse dare una mano, verrebbe bene accolto. Il bipolarismo appartiene al passato, e la nuova sfida consiste nel far funzionare la democrazia tripolare, a Costituzione invariata. Come? Rendendo tutti partecipi, Cinquestelle compresi. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. http://www.lastampa.it/2018/03/04/italia/speciali/elezioni/2018/politiche/la-posta-in-gioco-per-i-leader-e-il-ruolo-di-mattarella-Ra5H47whTUdhHkVIzm8F4O/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella chiederà ai leader di giocare a carte scoperte Inserito da: Arlecchino - Marzo 29, 2018, 06:18:05 pm Nessun incarico a perdere. Il Colle si prepara allo stallo, possibili consultazioni bis
Mattarella chiederà ai leader di giocare a carte scoperte La cerimonia di riconsegna della bandiera, da atleti delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali, a Sergio Mattarella Pubblicato il 28/03/2018 UGO MAGRI ROMA Se si prosegue tra puntigli e veti, con Di Maio che ripete «sarò io premier oppure nessuno» e Salvini gli ribatte «ok, allora nessuno», con il primo che non vuole ritrovarsi insieme a Berlusconi e l’altro che viceversa se lo porta dietro, se insomma continuerà questo stallo tra i protagonisti, e nemmeno l’incontro previsto per la prossima settimana registrerà significativi passi avanti, a quale dei due darà l’incarico il presidente della Repubblica? Chi rivolge questa domanda al Quirinale è quasi certo di sentirsi ripetere la stessa formula adottata ormai dal 4 marzo: «Avete sbagliato indirizzo, il Capo dello Stato è come un notaio, lui può solo prendere atto, i veri attori sono i partiti, è a loro che tocca scoprire le carte, e prima lo faranno più presto il paese avrà il suo governo». In altre parole, sul Colle allargano le braccia invitando a portare pazienza. Del resto, c’è chi nota lassù, non si può pretendere da nuovi leader di movimenti cresciuti in fretta che trovino al volo la quadra in un contesto del tutto inedito, scaturito da un sistema elettorale collaudato per la prima volta. Nella cosiddetta Prima Repubblica certe svolte maturavano nell’arco di anni, si abbia dunque un po’ di pietà. Dopodiché, tra i frequentatori più assidui del Quirinale, circola la seguente convinzione: continuando all’infinito con le «schermaglie tattiche» (come le definisce Salvini) Sergio Mattarella non darà alcun incarico. Né all’uno né all’altro dei litiganti. Perlomeno, non immediatamente. Concluso senza esito il primo round delle consultazioni, che inizieranno martedì prossimo, potrebbe esserci un secondo giro di colloqui, magari per approfondire certi specifici aspetti venuti a galla, nell’attesa che qualcuno ceda o qualcosa maturi. E dopo? Dopo si vedrà. Potrebbe sembrare una tattica alla Quinto Fabio Massimo, detto il «Temporeggiatore», ma l’idea di conferire un mandato così, tanto per provarci, ai consiglieri presidenziali non sembra una soluzione interessante. Magari a un certo punto diventerebbe la via obbligata, però sapendo dall’inizio che l’incaricato verrebbe mandato allo sbaraglio e finirebbe per gettare la spugna. Un modo alternativo di guadagnare tempo. Il fatto compiuto Altra domanda che spesso risuona: cosa aspetta Mattarella a intervenire pesantemente, mettendo i partiti davanti al fatto compiuto e nominando lui un governo come fece Giorgio Napolitano con Mario Monti? L’obiezione, dalle parti del Quirinale, è che pure quel governo dovrebbe ottenere la fiducia del Parlamento, impossibile esentarlo. E al momento nessuno, non la Lega e nemmeno i Cinquestelle, sembrano propensi a sostenere formule emergenziali. Entrambi i partiti si sentono vincitori, vorrebbero tentare di governare. Se Mattarella tirasse fuori adesso un «governo del presidente», verrebbe sommerso dai no. Diverso sarebbe se il coniglio venisse estratto alla fine, a grande richiesta, dopo un «sequel» di tentativi falliti e di illusioni infrante, con un’Italia snervata dall’attesa e (speriamo di no) i mercati in agitazione. Per ora, a fibrillare è soltanto l’Europa, siamo ancora ben lontani dallo sfinimento collettivo. Anzi, la trattativa deve ancora iniziare. L’unica vera certezza è che, prima o poi, una soluzione andrà trovata. Magari soltanto per superare l’estate (le urne in agosto sarebbero una follia). E non è detto che Mattarella debba intervenire lui. Gli stessi vincitori potrebbero farsi carico di un governo-ponte, capace di traghettarci dopo l’estate, auspicando che possa maturare qualcosa in grado di cambiare gli equilibri: nel centrodestra, tra i Cinquestelle o anche dentro il Pd, oggi sull’Aventino e fuori da tutti i giochi, ma se si attende, chissà. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/03/28/italia/politica/nessun-incarico-a-perdere-il-colle-si-prepara-allo-stallo-possibili-consultazioni-bis-pP3oSWhjqMApwYJTIwzECM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere non si fida. Teme un accordo segreto tra leghisti e ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 04, 2018, 12:37:27 pm Il Cavaliere non si fida. Teme un accordo segreto tra leghisti e Cinquestelle “Di Maio non mi vuole avere come interlocutore? Peggio per lui, d’ora in poi sarò io a non voler trattare” Le donne sono le meno disposte, in Forza Italia, alla resa ai grillini. Pubblicato il 04/04/2018 Ultima modifica il 04/04/2018 alle ore 07:39 Ugo Magri Roma Berlusconi si fida di Salvini e non crede che farà mai accordi con Di Maio tagliando via Forza Italia. O meglio: il Cav se ne fida «per ora», fino a prova contraria, in quanto sarebbe ben grave se l’altro lo pugnalasse alla schiena. Anzi, per essere ancora più precisi: Silvio di Matteo non si fida per niente, in cuor suo sa già che l’alleato leghista è pronto a scaricarlo, addirittura non vede l’ora di liberarsi della palla al piede berlusconiana e il veto grillino è arrivato a proposito. Dopodiché l’ex premier è deciso a reagire con tutta l’energia necessaria: «Io mai con i Cinquestelle, piuttosto all’opposizione», va ripetendo. Tuttavia c’è sempre la possibilità che qualcuno lo chiami, come accadde una decina di giorni fa, per minacciarlo o per fargli credere che le sue aziende sarebbero in pericolo, e dunque in quel caso Berlusconi potrebbe ripensarci, magari all’ultimo momento, dopo aver mandato allo sbaraglio la truppa, nel nome della realpolitik. Per farla breve ieri sera, dopo il veto posto da Di Maio e la risposta in chiaroscuro di Salvini, tra i gerarchi berlusconiani nessuno, ma proprio nessuno, se la sentiva di garantire sul conto del leader. Tiene il punto? Per adesso sì, lo tiene. Ma lo terrà anche in futuro? Boh, vai a sapere. L’eterno pendolo L’unica certezza è che l’uomo oscilla, e nelle sue continue evoluzioni ieri ha toccato l’apice dello sdegno contro Di Maio. «Ah sì, non mi vuole come interlocutore? Non sa quello che si perde. Peggio per lui perché d’ora in avanti sarò io a non voler trattare con i Cinquestelle e se ne accorgeranno cosa significa avermi contro». Il gruppo dirigente lo sostiene compatto nell’intima certezza che, se il veto grillino venisse subìto senza colpo ferire, in quel preciso momento Forza Italia cesserebbe di esistere e le sue ceneri sarebbero sparse al vento. Non stupisca dunque che la reazione più immediata sia venuta dalle donne, in primo luogo da Anna Maria Bernini e da Mariastella Gelmini, appena elevate al rango di capigruppo, nonché da Mara Carfagna, neo vice-presidente della Camera: nessuna di loro vuole perdere la scommessa sul futuro. Altri esponenti azzurri, come Osvaldo Napoli, si sono tuffati nella mischia e lo stesso governatore della Liguria Giovanni Toti, spesso accusato di tifare per l’intesa con la Lega, sparge prudenza: «Senza Forza Italia sarebbe difficile fare un governo, e comunque significherebbe che il centrodestra diviso regala la guida del governo al M5S, arrivato secondo». La nota serale di Salvini non tranquillizza Berlusconi, semmai il contrario: «Sì al dialogo coi Cinquestelle ma no ai veti», dice il leader della Lega. Dichiarazione leggibile pure al contrario: «No ai veti però sì al dialogo». Chissà se Salvini accetterebbe di sedersi a un tavolo con Di Maio, qualora i grillini gli vietassero di portare con sé Berlusconi. Il timore diffuso dentro Forza Italia è che Salvini si accomoderebbe lo stesso. E magari alla fine delle trattative programmatiche direbbe al Cav: «Nel governo, purtroppo, per voi non c’è posto». A quel punto i Fratelli d’Italia salterebbero a bordo, così pure qualche decina di deputati e senatori berlusconiani desiderosi di non perdere i rispettivi collegi che dipendono dai voti leghisti. «Ce n’è una quantità già pronti a tradire», assicura il tam-tam dei bene informati. Col risultato che Berlusconi si troverebbe a scegliere tra la padella e la brace: sostenere il governo senza contare nulla, o in alternativa opporsi con il rischio di finire nel mirino per il solito conflitto di interessi (precisa minaccia di Di Maio). Oggi ne discuterà con i fedelissimi a pranzo, insieme decideranno che cosa raccontare domattina al capo dello Stato. L’ultima da Palazzo Grazioli è che Antonio Tajani, destinato al ruolo di vice-Silvio, non farà parte della delegazione al Quirinale. Ufficialmente perché presiede il Parlamento Ue, ma si sussurra che Salvini avrebbe visto male la sua presenza, dunque Berlusconi abbia preferito soprassedere. Per litigare, si sarà tempo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/04/italia/politica/il-cavaliere-non-si-fida-teme-un-accordo-segreto-tra-leghisti-e-cinquestelle-wmOgzHjyb3WqHXOZ8bfDeI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Centrodestra unito da Mattarella, ma gli ultimi a essere ascoltati... Inserito da: Arlecchino - Aprile 13, 2018, 04:10:09 pm Centrodestra unito da Mattarella, ma gli ultimi a essere ascoltati saranno i Cinque Stelle
Per il Movimento questa decisione rappresenta un incoraggiamento verso il governo, ma l’ordine adottato dal Colle non forniscono un vero indizio su cosa intende fare Mattarella Pubblicato il 10/04/2018 - Ultima modifica il 10/04/2018 alle ore 16:58 UGO MAGRI ROMA Cambia l’ordine dei fattori, però non il risultato finale. Salvini, Berlusconi e Meloni si presenteranno tutti insieme al Quirinale ma, per quanto coalizzati rappresentino il 37 per cento, cioè la maggioranza relativa degli elettori, alle prossimo giro di consultazioni non verranno ricevuti per ultimi dal capo dello Stato. Sergio Mattarella ascolterà il centrodestra alle 17,30 di giovedì, cioè dopodomani. E come interlocutore finale terrà alle ore 18,30 i Cinque stelle (che alle elezioni del 4 marzo avevano sfiorato il 33 per cento). Secondo i grillini, ciò rappresenta una chiara rappresentazione di come il Quirinale si regolerebbe, dovendo conferire l’incarico di governo: partirebbe cioè dal partito più votato anziché dalla coalizione arrivata prima. Ciò rappresenta ai loro occhi un motivo di incoraggiamento. In realtà, secondo quanto risulta, l’ordine delle precedenze adottato dal Colle corrisponde a criteri che non forniscono alcun vero indizio su quanto intende fare (o non fare) Mattarella. Lassù vale infatti la regola secondo cui, quando più gruppi parlamentari si presentano insieme ai colloqui, la gerarchia delle consultazioni viene fissata in base al gruppo tra questi più numeroso, in questo caso quello leghista. Sul piano cerimoniale, la sommatoria non vale. Ai fini del governo, viceversa, conta la prassi degli ultimi 70 anni, che presuppone una maggioranza già definita e disposta a sostenere il presidente incaricato. Ma al momento questa maggioranza ancora non c’è, e si fa molto desiderare. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/04/10/italia/politica/cinque-stelle-gioved-al-colle-dopo-il-centrodestra-spiazzato-salvini-UoSibzrVZdokqXfE6dzgWP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il numero due del Carroccio rimetterebbe in gioco il Pd. Inserito da: Arlecchino - Aprile 15, 2018, 12:10:46 pm Rosa di cinque nomi per l’incarico. Si fa strada il governo del presidente
I leader di Lega e Movimento 5 Stelle, i presidenti di Camera e Senato e la carta Giorgetti. Il numero due del Carroccio rimetterebbe in gioco il Pd. A giorni la scelta del Quirinale Pubblicato il 14/04/2018 - Ultima modifica il 14/04/2018 alle ore 08:07 Ugo Magri Roma Il vento dalla Siria sparge su Roma sabbia finissima, però almeno non porta guerra. Dunque perde forza l’ipotesi più drammatica, che Sergio Mattarella debba imporre di corsa una soluzione per fronteggiare l’emergenza internazionale. Però, Siria o non Siria, l’ipotesi di un intervento risolutivo del Colle va crescendo di ora in ora. Con i partiti che non riescono ad accordarsi, dopo sei settimane sprecate, la via d’uscita più probabile appare quella che, a parole, tutti i protagonisti vorrebbero evitare: un governo del Presidente messo in piedi per mancanza di alternative, cui nessuno che voglia bene al paese potrebbe negare il sostegno. Non siamo ancora a questo punto, ma ci stiamo avvicinando passo passo. Per il momento, Mattarella si limita a constatare che neppure nel secondo giro le consultazioni hanno registrato progressi. Dunque (lo ha detto ieri) farà passare «alcuni giorni», trascorsi i quali valuterà «in che modo procedere per uscire dallo stallo». Ci si attende che tra mercoledì e giovedì il Capo dello Stato metta termine al traccheggiamento dei partiti. Lo potrà fare in due modi diversi: 1) affidando un pre-incarico; 2) scegliendo un esploratore. Nel primo caso Mattarella convocherebbe anzitutto Matteo Salvini, in quanto leader del raggruppamento più numeroso. Gli chiederebbe di tuffarsi nell’impresa e tornare dopo poco a riferirgli. Salvini si troverebbe in seria difficoltà perché, rifiutando, pregiudicherebbe la possibilità di riprovare in seguito; accettando il pre-incarico al buio, senza accordi coi Cinquestelle, verrebbe inesorabilmente «bruciato». Lo stesso succederebbe a Di Maio, se toccasse a lui. Ma di accordi tra grillini e Lega non se ne vede traccia. Sembravano praticamente fatti qualche giorno fa, salvo poi naufragare sul solito scoglio di Berlusconi. Può darsi che qualcosa ripigli durante il weekend, Mattarella se lo augura ma, va detto, dalle sue parti non si respira ottimismo. E allora, perché iniziare con Salvini, pur sapendo che andrebbe quasi certamente a sbattere? Il ragazzo la vivrebbe come una cattiveria, ma sul piano politico il suo sacrificio servirebbe a fare chiarezza, permetterebbe di accertare definitivamente che Lega e Cinque stelle non sanno mettersi d’accordo, e passare oltre. Per indorare la pillola, o renderla meno amara a Salvini, Mattarella potrebbe ottenere lo stesso risultato mettendo in campo un esploratore. In quel caso si rivolgerebbe a Elisabetta Casellati, presidente del Senato, oppure a Roberto Fico, corrispettivo della Camera, affinché vadano di persona a verificare che diavolo sta succedendo tra M5S e Lega. Anche in questo caso, tempo pochi giorni tornerebbero a riferirgli. Il vantaggio della Casellati è che ha parecchie aderenze a destra, dove il suo verdetto sarebbe inappellabile. Il pregio di Fico, viceversa, è che sarebbe la Cassazione nel mondo grillino, se lui dicesse che non c’è niente da fare sarebbero tutti quanti costretti a credergli. Qui terminano i ragionamenti dei consiglieri di Mattarella. Immaginare che cosa potrebbe accadere dopo, è puro esercizio di chiromanzia. Eppure, qualche previsione si può azzardare lo stesso. Una volta constatato che all’orizzonte non c’è alcun governo grillo-leghista, potrebbe spuntare l’ipotesi Giorgetti. Del numero due leghista si parla non per un governo «giallo verde» ma, molto eventualmente, tra il centrodestra e una parte del Pd, quella renziana. Presuppone una scissione a sinistra di cui molto si vocifera, finora senza strappi concreti. Difficile che ciò accada. Dunque, dopo aver fatto tabula rasa di qualunque altra soluzione, non resterebbe che l’estrema risorsa concessa dalla Costituzione: il governo del Presidente, appunto. Indiziati a guidarlo sarebbero sempre loro, Casellati e Fico. Con un punto importante di vantaggio per l’esponente pentastellato: Fico rappresenta un movimento uscito vittorioso dalle urne laddove Casellati è in quota berlusconiana, orgogliosa di sentirsi tale, dunque praticamente indigeribile per i presunti vincitori. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/14/italia/politica/rosa-di-cinque-nomi-per-lincarico-si-fa-strada-il-governo-del-presidente-WJOa60T2t1O1RdswNtJwcK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mandato a Casellati poi toccherà ai grillini Inserito da: Arlecchino - Aprile 19, 2018, 01:41:45 pm Ci prova il centrodestra. Mandato a Casellati poi toccherà ai grillini
L’esplorazione della presidente del Senato sarà volta a certificare se esiste una possibilità tra M5S e Lega Tocca alla presidente del Senato verificare le carte sul tavolo di tutti i partiti Pubblicato il 18/04/2018 - Ultima modifica il 18/04/2018 alle ore 12:27 UGO MAGRI ROMA Delle cinque carte che ha in mano, Sergio Mattarella è pronto a calare la Donna di cuori. I dubbi svaniranno in giornata quando, come pare ormai certo, inviterà sul Colle Elisabetta Alberti Casellati. La presidente del Senato riceverà un mandato di tipo esplorativo, strada niente affatto nuova nella storia della Repubblica. Venne imboccata altre 8 volte, l’ultima dieci anni fa con Franco Marini, e tra i precedenti illustri spicca un’altra donna: Nilde Iotti, detta la «Migliora». Nel suo caso, come in tutti gli altri, fu un vero fiasco, ma stavolta il compito sarà parecchio più semplice. A Elisabetta Casellati il Capo dello Stato non chiederà di formare un governo. Nemmeno la spingerà a cercare la mossa vincente. Inviterà l’esploratrice ad accertare, né più né meno, se l’alleanza centrodestra-M5S è in grado di vedere la luce oppure è defunta prima di nascere. Al Quirinale risulta una via di mezzo: la trattativa non è interrotta però la pazienza grillina sta per finire, entro lunedì prossimo sarà del tutto esaurita. Casellati dovrà accertare l’esito del negoziato, riferire a Mattarella e stop. In attesa del Jolly Il Quirinale si è dato questo metodo, da taluni scambiato per frenetico immobilismo, in realtà un procedere passo dopo passo, scartando una formula via l’altra, finché non ne sarà sopravvissuta una soltanto, l’unica percorribile in quanto a quel punto obbligata. Se l’esplorazione della Casellati avrà esito positivo, Mattarella potrà giocare alternativamente il Re di Picche (Luigi Di Maio) o l’Asso di bastoni (Matteo Salvini), in base a come quei due si saranno messi d’accordo tra loro per quanto riguarda la guida del governo, vero motivo di discordia. Se invece l’esito sarà negativo, la Donna di cuori se li porterà via entrambi, e Mattarella potrà mettere sul tavolo le ultime carte del mazzo: il Due di picche (Roberto Fico) ovvero il Due di bastoni (Giancarlo Giorgetti). La scelta tra Giorgetti e Fico dipenderà da circostanze che al momento sul Colle sono impossibili da valutare perché dipendono da chi pescherà il famoso Jolly, in altre parole otterrà il sostegno del protagonista tra tutti meno prevedibile, che è Matteo Renzi. La carta Fico L’ex segretario Pd si sta tenendo ostentatamente fuori, come se la faccenda governo non lo riguardasse più; però mille segnali inducono a credere che Renzi possa cedere alla tentazione di riprovarci. Se con il suo beneplacito i «Dem» accettassero di sedersi al tavolo programmatico proposto dai Cinque stelle, allora Fico sarebbe il principale indiziato a favorire quel tragitto in quanto presidente della Camera, con un compito speculare a quello di Elisabetta Casellati: invece di «esplorare» l’alleanza tra centrodestra e M5S, Fico si concentrerebbe su quella tra M5S e Ps. In caso di esito favorevole, potrebbe essere lui stesso a mettere in piedi un governo, o magari tornerebbe in campo Di Maio: per saperlo adesso con certezza ci vorrebbe una cartomante. L’estrema risorsa Qualora invece Renzi provasse nostalgia per i tempi del Nazareno, e decidesse di puntare nuovamente sul Re di denari (Silvio Berlusconi), in quel caso Mattarella potrebbe giocarsi l’ultima carta rimasta: quella di Giorgetti appunto, braccio destro di Salvini, suo ambasciatore presso i «poteri forti», personaggio pragmatico e dunque capace di fare sintesi con chiunque. Incaricare adesso Giorgetti sarebbe inutile, il leader della Lega vivrebbe la scelta del suo vice come provocatoria. Però tra un paio di settimane, quando la finestra di elezioni bis si sarà chiusa per motivi di calendario, chissà che la politica non ci riservi grandi sorprese, soluzioni cui tutti dicono giammai. Per adesso si parte da Casellati, che dopo molte esternazioni da un paio di giorni, stranamente, tace. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/18/italia/ci-prova-il-centrodestra-mandato-a-casellati-poi-toccher-ai-grillini-Iu117cWjO433LKqDJtzDzO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Governo, ipotesi M5S-Pd: la palla passa a Renzi Inserito da: Arlecchino - Aprile 19, 2018, 01:42:59 pm Governo, ipotesi M5S-Pd: la palla passa a Renzi
Ora si gioca a carte scoperte. Mattarella accelera, dopo Casellati toccherà a un grillino Pubblicato il 19/04/2018 - Ultima modifica il 19/04/2018 alle ore 11:41 UGO MAGRI ROMA Nell’apprendere che il suo mandato durerà un batter d’occhi, e che dovrà limitarsi a constatare se c’è il famoso accordo Salvini-Di Maio, Elisabetta Alberti Casellati non ha nascosto un filo di delusione che si è colto davanti alle telecamere. Dal Presidente della Repubblica si sarebbe aspettata un po’ di respiro, e comunque lei avrebbe volentieri esplorato anche altre piste, in particolare quelle che portano al Pd. Scoprire ad esempio che Matteo Renzi sarebbe disponibile a fare un patto col centrodestra (tesi puramente ipotetica), farebbe molto contento il leader cui la Casellati deve tutto, cioè Silvio Berlusconi. Invece no: le reali intenzioni del Pd sono un accertamento che Sergio Mattarella non le richiede. Anzi, nel comunicato ufficiale ha espressamente escluso. Il triangolo no Dunque verrebbe da chiedersi a che serva investire altri tre giorni (che dalle elezioni del 4 marzo fanno già 48) in una verifica così «mirata», di cui oltretutto fin da adesso è facile intuire l’esito: un buco nell’acqua. I Cinquestelle non sono disposti a «inciuciare» con Forza Italia, e la Lega non intende rompere coi suoi alleati. La risposta più ovvia, dunque, è che forse di questa esplorazione si poteva fare a meno passando direttamente alla mossa successiva; per esempio, chiedendo al presidente della Camera Roberto Fico di sondare l’altra ipotesi di governo M5S-Pd. Logico, no? Ma se la stessa domanda viene girata ai frequentatori del Colle, la spiegazione che là si riceve non è altrettanto banale e scontata. Da quelle parti si fa notare come sia impossibile avviare un negoziato serio tra Cinque stelle e «Dem» fino a quando Di Maio avrà per così dire l’amante, politicamente rappresentata da Salvini. Nessun governo potrà nascere finché esisterà questo triangolo. Non a caso, dalle parti di Renzi hanno sempre rifiutato le avance grilline sostenendo che erano solamente un trucco per fare ingelosire la Lega o, scegliendo un linguaggio più consono, per mettere in concorrenza due forni, quello Pd e l’altro padano. Niente più scuse L’apparentemente inutile «mission» della Casellati serve dunque a eliminare pretesti, si spera al Quirinale, una volta per tutte. Salvini deve chiarire le sue intenzioni rispetto ai Cinque stelle. Gli viene richiesto di scoprire le carte adesso e senza che tutti attendano per altri dieci giorni i comodi suoi, vale a dire le elezioni in Friuli del 29 aprile dove la Lega spera in un trionfo. E una volta accertato che Salvini non rompe con Berlusconi, dunque il «forno» della Lega ha chiuso definitivamente, a quel punto il Pd non avrà più questa scusa per rifiutare una trattativa con i grillini. Chiuso il «triangolo», cesseranno anche gli alibi. Renzi potrà sostenere che i Cinque stelle ne hanno dette troppe sul suo conto, dunque giammai farà un governo con gente così; però Matteo sarà poco creduto se insisterà che tocca a M5S e Lega trovare l’intesa: una volta constatato che è defunta, risuscitarla sarà difficile. Non a caso, gli sguardi sono già tutti proiettati al «dopo», a quanto succederà da domani sera, quando l’esploratrice sarà tornata sul Colle presumibilmente a mani vuote. Le prossime mosse In realtà, spiegano ai piani alti, non è importante che cosa farà Mattarella. Conta piuttosto che cosa sta maturando nella testa di Renzi. Il quale da mesi ha interrotto i contatti col Quirinale, probabilmente offeso dalla conferma di Ignazio Visco alla Banca d’Italia, e da qualche giorno risulta una sfinge pure con gli amici. Se darà il via libera a un negoziato serio, di tipo programmatico, allora il Capo dello Stato adotterà la formula più adatta per assecondarlo. Potrà lanciare in pista Fico, anche lui in tenuta kaki da esploratore; o magari darà un pre incarico a Di Maio nel caso in cui il Pd evitasse di sollevare veti sulla sua persona. Al momento, entrambe le strade sono possibili a patto, naturalmente, che Casellati non scopra qualcosa di nuovo sulla destra. Il metodo è rispettoso dei partiti e Di Maio ne ha voluto rendere pubblicamente atto a Mattarella. Il quale sta accendendo un credito con tutti, se alla fine per caso si accerterà che l’unica via d’uscita è il tanto temuto governo «del Presidente». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/19/italia/governo-ipotesi-mspd-la-palla-passa-a-renzi-iBkNu5Fqht9Xb5aW5iaTrO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi punta su Casellati. Ecco il piano per isolare l’alleato Inserito da: Arlecchino - Aprile 19, 2018, 02:04:39 pm Berlusconi punta su Casellati. Ecco il piano per isolare l’alleato
L’ex premier scommette su un mandato esplorativo alla presidente del Senato Solo così tornerebbe protagonista in un “governissimo” guidato dal centrodestra Pubblicato il 16/04/2018 - Ultima modifica il 16/04/2018 alle ore 08:28 UGO MAGRI ROMA Come gli alligatori sulla riva del grande fiume, Silvio Berlusconi attende che nelle fauci spalancate gli cada un esploratore. Se la scelta del Colle premiasse (come lui si augura) Elisabetta Alberti Casellati, il leader di Forza Italia non vedrebbe in lei la presidente del Senato e nemmeno la seconda carica della Repubblica eletta perfino con i voti dei Cinque Stelle, bensì una sua fedelissima che non esita a dichiararsi tale nelle numerose esternazioni post-voto. Certe sottigliezze agli occhi di Berlusconi poco importano: si sentirebbe destinatario di un mandato esplorativo per interposta persona che, in questa fase così incerta, avrebbe per lui un enorme valore strategico. Per esempio, gli permetterebbe di verificare che Matteo Salvini non tiri qualche scherzetto, tipo accordarsi con Luigi Di Maio in un patto generazionale tra due giovani leader che per età, sommati insieme, non raggiungono i suoi anni. Se a condurre le danze fosse qualcun altro, il Cav resterebbe all’oscuro di tutte le manovre, salvo scoprire magari proprio alla fine di essere stato scaricato. Ma l’uomo (dato politicamente per defunto con troppa precipitazione dopo il 4 marzo) ha fatto due conti, condivisi con pochi intimi. Berlusconi è sicuro in cuor suo che la forza delle cose non potrà portare a nomi diversi da Casellati. Prima cinica previsione berlusconiana: né Salvini né tantomeno Di Maio vogliono essere messi alla prova. Se il Presidente li convocasse per conferire loro un pre-incarico, quelli lo vivrebbero non quale un onore ma come il dispetto di un prof pignolo che li interroga proprio quando sono impreparati. In pratica, si sentirebbero lanciati allo sbaraglio, costretti a rinunciare, e Sergio Mattarella non è portato agli inutili spargimenti di sangue. Per cui via loro e avanti i presidenti delle due Camere: il Cav scommette che uno dei due salirà al Quirinale per ricevere il berretto da esploratore. Ma qualora il mandato toccasse a Roberto Fico, il suo amico-rivale Di Maio si butterebbe in un pozzo per disperazione; potrebbe venire frainteso, anche se non lo fosse, come un tentativo di destabilizzare la dirigenza grillina, rivelandosi controproducente. Ecco dunque come mai Berlusconi, per esclusione, ritiene che in campo ci sia solo lei, Elisabetta. E da vero Caimano già pregusta un boccone perfino più abbondante, cioè Salvini. Sul quale in privato sparge giudizi non proprio positivi, specie dopo le uscite di Matteo sulla Siria: «Come si permette di attaccare l’America in quel modo? Anch’io sono amico di Vladimir, ma altra cosa è ribaltare le alleanze internazionali, con posizioni simili non va da nessuna parte». La lista segreta Il piano anti-Salvini fa leva su Alessandro Di Battista che, da peggior nemico, è diventato senza volere l’alleato più indispensabile. Con i suoi anatemi, Dibba permette al Cav di scagliarne a sua volta, occhio per occhio veto per veto, e di silurare sistematicamente tutte le speranze di intesa tra M5S e Lega, in modo che alla fine resti all’Italia una sola possibilità: cioè il famoso governo istituzionale, del Presidente, di traghettamento, di tregua, indispensabile per non lasciare una sedia vuota nei vertici Ue e per passare quantomeno l’estate. Altra soluzione cui lavora alacremente Gianni Letta, tornato di prepotenza in auge come certi fiumi carsici che sprofondano e poi invece rieccoli: un esecutivo col baricentro a destra (però guidato non da Salvini) che nei piani berlusconiani avrebbe il sostegno di parte Pd e, se non bastasse, di numerosi grillini. Addirittura pare certo che Berlusconi conservi un elenco di parlamentari pentastellati, in gran parte eletti nei collegi uninominali, che in base alle informazioni da lui raccolte sarebbero pronti a tutto, pur di scongiurare un voto-bis in ottobre. La lista contiene 50 nomi, ed è tenuta sotto chiave in un cassetto di Arcore: nella sua testa saranno loro i nuovi «responsabili». Avranno in cambio poltrone, e non dovranno più rinunciare a metà dello stipendio. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. http://www.lastampa.it/2018/04/16/italia/politica/la-casa-bianca-al-futuro-governo-non-togliete-le-sanzioni-a-mosca-EWIW80QzyR5tau8LbciIBK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Premier politico e ministri tecnici, l’ultima carta del Colle per ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 25, 2018, 04:14:17 pm Premier politico e ministri tecnici, l’ultima carta del Colle per non tornare al voto
Al Quirinale perde quota l’ipotesi di un “governo-paracadute”. Cresce il rischio di nuove elezioni a settembre, se Fico fallisse Pubblicato il 25/04/2018 - Ultima modifica il 25/04/2018 alle ore 07:11 UGO MAGRI ROMA Chi volesse attirarsi i fulmini del Quirinale, non dovrebbe fare altro che alimentare la chiacchiera sparsa da quanti, e non sono pochi, tentano di presentare il Capo dello Stato come se fosse lui il regista della trattativa M5S-Pd. Facile capire perché cercano di tirarlo per la giacca. I fautori dell’intesa non trovano di meglio che appellarsi all’autorità somma del Presidente («se è lui a domandarcelo, come potremmo rispondergli di no?»); agli avversari del patto grillo-dem, invece, fa comodo allontanare la colpa da se stessi e trascinare il Colle nella mischia. Peccato che Sergio Mattarella, in linea con il suo personaggio, se ne stia totalmente alla larga da questi giochi. I rari frequentatori del suo studio ne sintetizzano così l’atteggiamento: «Non commenta gli sviluppi, non formula giudizi, non manifesta sentimenti di ansia, di sollievo, di preoccupazione o di altro. Semplicemente ascolta. E osserva con attenzione». Tuttavia, proprio perché la visuale da lassù è parecchio migliore, certe novità non sono sfuggite. Margini ristretti Ad esempio, al Quirinale si è preso nota che Luigi Di Maio sgombera il terreno dai sospetti di doppio gioco. Dichiara solennemente che con Salvini ha chiuso. Comunque andrà l’esplorazione di Roberto Fico, il governo grillo-leghista non potrà essere riesumato. È defunto e stop. Altra svolta importante datata ieri: il capo politico dei Cinque stelle scarta con fermezza i governi «del Presidente, di garanzia, di scopo » (e avrebbe potuto aggiungere alla sua lista quelli di tregua, di transizione, balneari). La somma delle due novità fa sì che, se pure il tentativo con il Pd fallisse, Mattarella avrebbe serie difficoltà a mettere in campo soluzioni ulteriori. Compreso, appunto, un governo calato dall’alto come fece Giorgio Napolitano ai tempi di Mario Monti. Torna il fantasma Ecco come mai sta tornando a circolare il fantasma del voto bis. Non tra un anno, magari in concomitanza con le elezioni europee, e nemmeno a ottobre ma addirittura in settembre, con le liste dei candidati da presentare intorno a Ferragosto e le Camere sciolte ai primi di luglio: uno scenario da vero incubo per la nostra democrazia. Non sarebbe una scelta di Mattarella, la cui ostilità a nuove elezioni è stranota, ma la conseguenza del no leghista e grillino a un governo «del Presidente». Tradotto nel linguaggio di tutti i giorni, ciò significa che il tentativo messo in campo da Fico rappresenta davvero l’ultima spiaggia. Dopodiché non ci sarebbe più alcun paracadute, né potrebbe garantirlo il Capo dello Stato i cui margini di intervento si sono notevolmente ristretti. Di nuovo al bivio Chi, tra deputati e senatori, non vorrà tornare da dove è venuto, dovrà dunque incrociare le dita e sperare che tra M5S e Pd qualcosa maturi, magari nella formula che più sta prendendo piede in queste ore di confusione: un governo a guida politica, però con ministri «di area», in parte indicati dai «Dem» e i parte dai Cinque stelle. Lasciando fuori tutte quelle figure che potrebbero aggiungere motivi di discordia, come se non ce ne fossero già abbastanza. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/25/italia/premier-politico-ministri-tecnici-lultima-carta-per-non-rivotare-BXjLRyoAzQO7o2XWRnqexH/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Gelo di Mattarella: niente incarico a Matteo. ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 25, 2018, 04:37:57 pm Gelo di Mattarella: niente incarico a Matteo. Pesano i tentativi falliti e l’anima sovranista Da Casellati zero spiragli. Lunedì il mandato al presidente della Camera Dopo due giorni di tentativi la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati è tornata dal presidente Sergio Mattarella per spiegare: non ci sono spiragli per un governo M5S-centrodestra in questa fase politica Pubblicato il 21/04/2018 - Ultima modifica il 21/04/2018 alle ore 07:06 UGO MAGRI ROMA La prossima mossa dev’essere ancora annunciata, ma salvo colpi di scena non è difficile da indovinare: dopo Elisabetta Casellati, il Capo dello Stato metterà quasi certamente in campo Roberto Fico. Si affiderà al presidente (grillino) della Camera come «pendant» della presidente (berlusconiana) del Senato. Il percorso logico sarà lo stesso. All’esploratrice che ieri è tornata da lui per riferirgli, Sergio Mattarella aveva chiesto di verificare se esiste una possibile maggioranza tra centrodestra e M5S. La risposta è stata zero spiragli, al massimo qualche spunto di riflessione. Fico sembra destinato a ricevere lo stesso mandato della sua dirimpettaia a Palazzo Madama, però speculare: a lui verrà sollecitata un’esplorazione sulla sinistra. Dovrà tastare il polso al Pd e capire se i «Dem» resteranno in eterno sull’Aventino oppure con i Cinque stelle accetteranno perlomeno di sedersi a un tavolo programmatico. In pratica, come Indiana Jones davanti a un geroglifico, Fico dovrà decrittare il «codice Renzi» che, finora, è stato più enigmatico di una sfinge. Non conta il perimetro Il nuovo mandato arriverà tra un paio di giorni, probabilmente lunedì. Ma nei partiti già si sta almanaccando sul suo «perimetro»: Fico dovrà davvero limitarsi a indagare sul secondo forno (il Pd) dopo che l’altro (il centrodestra) ha chiuso, oppure da Mattarella gli sarà consentito di lanciare un ultimo ponte tra Di Maio e Salvini? Sembra questione di lana caprina e, per certi versi, lo è dal momento che nessuno vieta ai protagonisti di approfondire questa ipotesi senza bisogno di Fico. Comunque sia, sul Colle il quesito non appassiona. Ogni tentativo di riportare in vita l’asse grillo-leghista viene considerato lassù con notevole freddezza, se non proprio gelo. E non solo per le posizioni filo-russe di Salvini che hanno messo in allarme tutte le cancellerie europee. Moniti come quelli piovuti dagli Stati Uniti durante la crisi siriana sarebbe difficili da ignorare. E se davvero Salvini farà un comizio a Nizza il primo maggio con Marine Le Pen, si può immaginare come la prenderebbe l’attuale inquilino dell’Eliseo. Chiunque abbia la testa sulle spalle non può non valutare l’impatto internazionale di un eventuale governo a trazione sovranista. E ci sarà certamente un motivo se, dalle parti del Quirinale, nessuno prende sul serio il pressing di Salvini, che a gran voce pretende di essere incaricato. Tra i consiglieri del Presidente, l’interrogativo è: a quale titolo Mattarella dovrebbe metterlo alla prova? Se il leader della Lega volesse dar vita a un governo centrodestra-M5S, sarebbe addirittura il quarto tentativo in un mese dopo ben tre fallimenti, dunque somiglierebbe tanto a una scusa per perdere altro tempo. Qualora invece Salvini rompesse definitivamente con Berlusconi, quella sì che sarebbe una novità importante. Secondo alcune fonti parlamentari, la trattativa per mettere su un governo Giallo-Verde sarebbe molto avanzata, e addirittura potrebbe maturare entro il weekend. Ma perfino in quel caso la Lega peserebbe per il suo 17 per cento, al massimo potrebbe trascinare con sé la Meloni. Dunque, a rigore, l’eventuale pre-incarico conseguente a un accordo tra Salvini e Di Maio andrebbe conferito non a Matteo, bensì a Luigi che, elettoralmente, pesa quasi il doppio. Per convincere Mattarella a cambiare metro di giudizio, il capo politico dei Cinque stelle dovrebbe compiere un clamoroso passo indietro che però, al momento, non pare alle viste. Ricostruzione smentita Insomma, per quanto Salvini faccia la voce grossa, i suoi ultimatum non stanno facendo tremare i vetri del Quirinale. Vengono considerati parte del gioco politico. Altra cosa sono le bugie, le maldicenze, le «fake news» che abbondano in questa fase politica. Per esempio, il tentativo di addossare alla Casellati le colpe del fallito accordo tra centrodestra e Cinque stelle. Oppure certe altre voci fuori controllo. A questo proposito, dal Quirinale giunge una netta smentita alla ricostruzione, raccolta dalla Stampa in ambienti leghisti qualificati, del colloquio che ebbe luogo nel corso delle consultazioni tra il Presidente della Repubblica e la delegazione della Lega, guidata dal suo leader. Viene in particolare escluso che Mattarella abbia espresso opinioni circa la presenza o meno del Pd nel futuro governo. E chi conosce il riserbo del Presidente, non può nutrire dubbi a riguardo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/21/italia/gelo-di-mattarella-niente-incarico-a-matteo-pesano-i-tentativi-falliti-e-lanima-sovranista-0E3kEvbpwcdtNW4dAtg04M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi tentato dall’offerta ma insiste per Salvini premier Inserito da: Arlecchino - Maggio 01, 2018, 12:10:39 pm Berlusconi tentato dall'offerta ma insiste per Salvini premier
Pressing sul Quirinale per un incarico al leader leghista. Obiettivo: un esecutivo di minoranza sulle orme di Andreotti Su Instagram Salvini ha pubblicato gli scatti che lo ritraggono mentre pesca in Puglia e con il frico, un prodotto tipico friulano Pubblicato il 30/04/2018 - Ultima modifica il 30/04/2018 alle ore 07:24 UGO MAGRI ROMA Salvini si trova nella classica situazione «win-win», comunque vada ci guadagna. Salta tutto e torniamo a votare? È la volta che la Lega divora Forza Italia, Fratelli d’Italia e forse pure l’Italia. Nasce per il rotto della cuffia un governo grillo-dem? Matteo stappa spumante, perché va a guidare la ribellione del Nord. E se Di Maio restasse a cuocersi per altre settimane, ancora meglio. Ecco come mai, finora, Salvini non ha insistito per ottenere l’incarico: vuole che si logorino gli avversari. Forte è il sospetto che certe sparate filo-russe fossero finalizzate a dissuadere il Colle, casomai lassù venisse in mente di metterlo alla prova. Difatti, non ce n’è aria. Ma qualcosa potrebbe cambiare. Berlusconi, per citare uno a caso, giudicherebbe inconcepibile che Sergio Mattarella si rassegnasse a sciogliere le Camere senza nemmeno un tentativo imperniato sul centrodestra. Vale a dire su Salvini per il quale, praticamente ogni giorno, sollecita un incarico. Non è ben chiaro se Silvio insista sull’alleato per «bruciarlo» o per timore che, continuando di questo passo, dopo l’estate si vada a elezioni-bis (dove lui rischierebbe l’umiliazione). Sia come sia, il Cav ha lanciato un pressing sul Quirinale, anche attraverso canali riservati, per superare le resistenze. Sa perfettamente che il Capo dello Stato. del quale canta privatamente le lodi, non può conferire incarichi «a perdere». Al momento, una maggioranza salviniana non esiste e se ne sta tentando un’altra M5S-Pd, Però quando questa fallirà, è l’argomento di Berlusconi, bisognerà battere strade un tantino spericolate. Di troppa prudenza (insistono ad Arcore) si può morire. Dunque, perché non tentare un governo di minoranza, che si regga in Parlamento sui voti del centrodestra e sulle astensioni altrui? Fino adesso si sono prese in esame soltanto maggioranze con tutti i crismi, ma senza risultato; è tempo di esaminare i possibili ripieghi. Il ripiego numero uno sarebbe quello del governo istituzionale, finalizzato a un percorso di riforme della Costituzione e della legge elettorale (che non ha dato buona prova di sé). Ne ha lanciato la proposta ieri sera Renzi da Fazio, e idealmente Berlusconi l’avrebbe abbracciato dall’entusiasmo. Gianni Letta non ha mai smesso di tessere la tela del «governissimo», magari c’è di mezzo pure il suo zampino. «Il semi-presidenzialismo sarebbe l’unico modo per dare un senso a questa legislatura», dà voce al mood berlusconiano Andrea Cangini. Però, pubblicamente, l’ex premier dovrà frenarsi in quanto, se da subito si sbilanciasse a favore del governo per le riforme, un minuto dopo Salvini potrebbe accusarlo di tradimento, e approfittarne per accasarsi finalmente con Di Maio. Dunque meglio insistere per il momento sul governo di minoranza, cercando di convincere il Colle con un precedente illustre e un argomento costituzionale. Il precedente è rappresentato dal terzo governo Andreotti, che nacque nel 1976 con la «non sfiducia» del Pci. Basti dire che le astensioni alla Camera (303) furono più numerose dei voti a favore (258). Senza la generosità di Enrico Berlinguer, la Repubblica sarebbe piombata nello stallo, esattamente dove rischia di affogare oggi. Anche un semplice pre-incarico permetterebbe a Salvini di contrattare un’astensione grillina o addirittura del Pd. E comunque (argomento su cui batte Gaetano Quagliariello) perfino un governo di minoranza sarebbe costituzionalmente più legittimo di quello in carica, che ebbe la fiducia dal passato Parlamento, un’era geologica fa. Tajani garantisce: l’Europa sarebbe d’accordo. Ma Salvini accetterebbe di farsi lanciare in pista? Non è detto che rifiuti, sussurrano ad Arcore. E se dicesse no a Mattarella, poi dovrebbe trovare la maniera di spiegarlo ai suoi elettori. Impresa complicata. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/30/italia/berlusconi-tentato-dallofferta-ma-insiste-per-salvini-premier-IeF9Mps9jaPMCYmvbPVppN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Sfuma il governo del Presidente, cresce il rischio di elezioni a ... Inserito da: Arlecchino - Maggio 01, 2018, 12:15:06 pm Sfuma il governo del Presidente, cresce il rischio di elezioni a luglio
Escluso l’incarico a Salvini nonostante il pressing del centrodestra. Adesso Mattarella non ha più assi da giocare. Ma c’è il rebus delle date Il capo dello Stato Sergio Mattarella tenterà di evitare un ritorno alle urne. Ma M5S e Lega hanno già detto no a un governo del Presidente Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 11:17 UGO MAGRI ROMA Se Cinque stelle e Lega volessero tornare di corsa al voto, e dichiarassero che il tempo dei tentativi è scaduto, in quel caso il Capo dello Stato non avrebbe armi per impedire nuove elezioni, perfino se queste dovessero tenersi entro l’estate, addirittura a luglio se prima fosse impossibile. Non è ovviamente la soluzione che Sergio Mattarella desidera, anzi farà il possibile per evitarlo; tuttavia nessuno, dalle sue parti, sembra nutrire illusioni. Di Maio e Salvini, insieme, dispongono in Parlamento della maggioranza assoluta. Per una questione puramente aritmetica, il loro «no» sarebbe una sentenza definitiva, anzi tombale per la diciottesima legislatura appena nata. Che cosa potrebbe fare il Presidente per frenare quei due, sempre che vadano entrambi a dirgli «vogliamo per forza votare»? La risposta che si coglie tra i frequentatori del Quirinale è: nulla, purtroppo, tranne che prenderne atto con grandissimo dispiacere. L’asso sparito A lungo si era favoleggiato di un asso che Sergio Mattarella nascondeva nella manica: il cosiddetto governo istituzionale, di tregua o di decantazione. Doveva essere calato sul tavolo alla fine dei giochi, accompagnato magari da un robusto appello al Paese per segnalare i rischi del voto-bis e da un estremo solenne appello ai partiti nel nome della responsabilità nazionale. Ma pure ammesso che sia mai esistito, del presunto asso adesso nessuno parla più, tantomeno i consiglieri del Presidente. E se ne comprende il motivo: i grillini non hanno la minima intenzione di sostenere un governo di tutti, l’hanno comunicato forte e chiaro. Idem la Lega, Salvini risulta contrario nonostante il fido Giorgetti avesse fatto balenare qualche apertura. Dunque per Mattarella sarebbe inutile provarci, ulteriore tempo perso. Un esecutivo calato dall’alto potrebbe vedere la luce e forse la vedrà, però al solo fine di portare l’Italia alle urne qualora si ritenesse che Gentiloni ha fatto il suo tempo, non rappresenta più nessuno. Ma è questione di cui al momento nessuno si sta occupando. Il Guinness delle date Di Maio vuole elezioni-bis entro giugno. Definire ardua l’impresa sarebbe poco. Nel testo unico elettorale, all’articolo 11, si parla di 45 giorni come minimo tra scioglimento e voto. Dunque, per tornare in cabina l’ultima domenica di giugno le Camere andrebbero sciolte da Mattarella entro il 9 maggio, vale a dire tra 8 giorni: tempi davvero ristretti, considerato che un passaggio parlamentare sarebbe difficilmente evitabile. I partiti dovrebbero fare le liste in 15 giorni, e pure questa sarebbe impresa da Guinness. Il record precedente fu battuto nel 1976, quando tra decreto di scioglimento e urne passarono appena 50 giorni. Ma a quell’epoca non esisteva il voto degli italiani all’estero, con annesse complicazioni. Il Dpr 104/2003 stabilisce che le liste dei nostri connazionali vadano comunicate dal ministero dell’Interno a quello degli Esteri almeno 60 giorni prima del voto. Cambiare il Dpr è sempre possibile: basta che il governo ne sforni un altro, salvo scatenare in seguito un caos di ricorsi. Più facile scivolare al 1° luglio, oppure all’8 successivo. Sospetti renziani Se a luglio non si è mai votato, ci sarà pure un perché. Fa caldo, le scuole sono chiuse, milioni di italiani vanno in vacanza. Sarebbe il trionfo dell’astensionismo. Eppure la situazione è tale che, se Di Maio e Salvini si impuntassero, lì potremmo finire senza nemmeno attendere settembre. E, in fondo, qualche settimana prima o dopo sul Colle non farebbe questa gran differenza. I renziani sospettano che la minaccia delle urne sia una messinscena per spaventare il Pd e favorire il «golpe» interno di Franceschini dopodomani in direzione. Sempre i renziani pretenderebbero che Mattarella si immolasse annunciando «alle urne giammai!», in modo da rasserenare qualche senatore cuor di leone che, pur di difendere lo scranno, bacerebbe la pantofola di Di Maio. Però il Capo dello Stato, ammettono i suoi, non possiede la bacchetta magica. Non ancora, perlomeno. L’incarico impossibile L’unica certezza è che un incarico a Salvini non sembra affatto alle viste. E non solo per le posizioni di politica estera che metterebbero in allarme Europa e America. Il centrodestra ha escluso qualunque contaminazione col Pd e si è dato il MoVimento come unico alleato possibile. Ma quella strada è stata esclusa nel corso delle due consultazioni prima, dall’esploratrice Casellati poi. Nonostante il pressing berlusconiano, e la minaccia leghista di organizzare una «passeggiata a Roma», per Mattarella è ormai acqua passata. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/italia/sfuma-il-governo-del-presidente-cresce-il-rischio-di-elezioni-a-luglio-q5s2wXuwmpuuCHYrh5FoCJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella lavora a un governo di tregua probabili nuove consultazioni Inserito da: Arlecchino - Maggio 03, 2018, 08:52:52 pm Mattarella lavora a un governo di tregua, probabili nuove consultazioni
Le ipotesi del Colle: esecutivo a un presidente delle Camere o Gentiloni fino a ottobre Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scelto la giornata di venerdì per un importante annuncio sullo stallo politico. Forse non è stata una scelta casuale: il 4 maggio saranno passati due mesi dal voto dello scorso 4 marzo Pubblicato il 03/05/2018 - Ultima modifica il 03/05/2018 alle ore 08:07 UGO MAGRI ROMA Nel cimitero dei governi mai nati, accanto alla lapide del patto grillo-leghista, stasera ne verrà posata un’altra: quella dell’accordo tra Cinque Stelle e Pd. È defunto domenica sera, quando Matteo Renzi l’ha stroncato a «Che tempo che fa», ma pietosamente provvederà la Direzione Pd a celebrare le esequie. Chi si cimenterà adesso nell’impresa impossibile? Sul Colle sono ore di riflessione che preludono a una difficile scelta. Di sicuro, sotto i cipressi, non si aggiungerà il cippo del governo Salvini. Pare escluso, infatti, che Sergio Mattarella voglia conferirgli un incarico nonostante il centrodestra lo rivendichi a gran voce. Il «no» presidenziale ha una chiara spiegazione: dei 60 giorni trascorsi dal voto, quasi la metà sono stati sperperati proprio nel tira-e-molla tra M5S e Lega su Berlusconi dentro o fuori, e su chi dovrebbe guidare il triciclo. Per tornarci su servirebbe qualche fatto nuovo che però non si vede. Salvini fa di tutto per dissuadere Mattarella: rifiuta di mettersi a capo di una maggioranza raccogliticcia, nello stesso tempo però rifiuta di avere rapporti con il Pd, e con l’unico alleato possibile (Di Maio) se le cantano allegramente. Dunque non si capisce quale maggioranza Salvini potrebbe mettere in piedi (tra l’altro si scatenerebbe l’ira degli Usa e delle cancellerie europee). Il Colle in campo Scartata pure l’ipotesi Giorgetti. Il numero due della Lega è persona ragionevole, con molti amici in tutti i partiti, perfino tra i renziani. I quali forse potrebbero astenersi, se fosse lui a guidare un governo. Ma nei contatti informali, i fan di Giorgetti si sono sentiti rispondere dal Colle con un mix di scetticismo e ironia: «Ah sì? Ottima idea, a patto però che il Pd si sbilanci ufficialmente». Cosa finora non avvenuta, e che forse non accadrà mai. Dunque, se nessuno cambia posizione, restando inchiodato alle proprie fisime, il Presidente non potrà far altro che mettere in gioco se stesso. Risulta che stia lavorando all’ipotesi tenuta in serbo per ultima, nella speranza di non doverla mai tirare fuori dal cassetto: il governo di tregua. Orizzonte limitato Mattarella ne vorrà ragionare con i vari protagonisti. Si preannuncia un terzo giro di consultazioni, finalizzato a sondare l’accoglienza che riceverebbe in Parlamento un esecutivo guidato dal presidente del Senato, o della Camera, o da qualche altra figura semi-istituzionale (ne circolano una quantità, tutte improbabili), con un orizzonte temporale molto limitato: il governo di tregua durerebbe al massimo fino a dicembre, per poi tornare alle urne nella primavera 2019. Un tempo comunque sufficiente per non lasciare la sedia vuota al Consiglio europeo di fine giugno, dove l’ultima tegola per l’Italia è che si parla di tagliare del 5 per cento i nostri fondi agricoli e del 7 quelli «di coesione» per il Mezzogiorno. Un governo di qui a fine anno permetterebbe inoltre di varare la legge finanziaria, scongiurando l’aumento stratosferico dell’Iva al 25 per cento conseguente all’eventuale esercizio provvisorio 2019. Non è da escludere che possa essere affrontato il tema della nuova legge elettorale. Riecco Gentiloni Se Mattarella troverà ascolto nei partiti, allora il governo di tregua verrà mandato in Parlamento a riscuotere la fiducia. Qualora invece Salvini e Di Maio alzassero le barricate, allora sul Colle verrebbe issata bandiera bianca e lo scioglimento delle Camere sarebbe ineluttabile. Per votare a luglio sembra ormai tardi, si riparla di ottobre. In quel caso, fino ad allora, Paolo Gentiloni resterebbe a Palazzo Chigi per gli affari correnti, cioè per disbrigare il nulla o quasi che si può fare, nel bene e nel male. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/05/03/italia/si-lavora-a-un-governo-di-tregua-probabili-nuove-consultazioni-MeYDUGULQ9aw4UFTlmiXwM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Mattarella farà un appello al Paese e per l’esecutivo cerca nomi “pop” Inserito da: Arlecchino - Maggio 06, 2018, 06:32:27 pm Mattarella farà un appello al Paese e per l’esecutivo cerca nomi “pop”
Le armi contro il voto bis: parlerà chiaro e sceglierà ministri innovativi Il Presidente ha intenzione di rivolgersi direttamente agli italiani spiegando loro che chi spinge per un voto bis si assumerà anche la responsabilità di mettere in difficoltà le tasche degli italiani, per esempio a causa dell’Iva Pubblicato il 05/05/2018 - Ultima modifica il 05/05/2018 alle ore 20:23 Ugo Magri Roma Tutto e tutti sembrano remare contro il governo di tregua, al punto che tra i nemici del Colle (ce ne sono un certo numero, perfino nell’ex-partito del Presidente) ieri fiorivano battutacce irriguardose tipo «colpito e affondato», insieme a discorsi fintamente preoccupati per la «brutta figura» che Sergio Mattarella farebbe qualora la sua proposta venisse bocciata dal Parlamento. Il rischio senz’altro esiste e sul Colle ne sono consapevoli. Tuttavia a sera non si percepiva lassù quel clima di resa che precede le grandi disfatte. Al contrario, circolava un’aria di cauto ottimismo, come se l’impresa di evitare elezioni-bis risultasse ancora fattibile. Inutile domandare su cosa si fondi tale speranza: il Quirinale non è mai stato il palazzo degli spifferi. La sensazione è che il terrore di tornare al voto stia provocando riflessioni a 360 gradi, e non soltanto tra i «peones», i quali già si sentono condannati a tornare nel nulla da cui sono venuti. Accordi impossibili oggi (tra M5S e Lega, oppure tra Centrodestra e parte del Pd) potrebbero diventarlo tra pochi mesi: perché gettare la spugna subito e non attendere quanto basta affinché le intese maturino? Gelo su Salvini Di certo, il Presidente non ingrana la retromarcia. Il suo programma resta invariato. Lunedì ascolterà i partiti per verificare se gli porteranno qualche novità oppure verranno a ripetergli le solite tiritere. Il colloquio con Salvini si annuncia particolarmente difficile perché il leader della Lega, che ieri sembrava disponibile a ragionare di tregua, alla fine chiederà un incarico per se stesso o, in subordine, per qualche personaggio di centrodestra che vada in Parlamento a raccattare i voti necessari. Mattarella gli chiederà in quali aree politiche immagina di trovare quei voti e Salvini risponderà (ne ha ragionato ieri a lungo con Berlusconi per evitare discussioni nel salotto presidenziale) che qualora rivelasse i nomi dei potenziali sostenitori, rischierebbe di far implodere il suo tentativo, dunque manterrà il riserbo. Per farla breve: lunedì si dimostrerà che, purtroppo, i partiti sono annegati nel classico bicchier d’acqua. Quella sera stessa, o l’indomani, il Capo dello Stato metterà in campo il «suo» governo. Lo farà giurare fedeltà alla Repubblica, cosicché Gentiloni uscirà di scena. E il nuovo premier andrà in Parlamento per chiedere la fiducia. Se verrà negata, gestirà le elezioni dopo l’estate. A occhio nudo sembra la prospettiva più probabile. Eppure, al Quirinale pensano di avere ancora un paio di buone cartucce. Le due cartucce Anzitutto, il discorso del Presidente. Mattarella parlerà al Paese facendo leva sulla propria immagine e cavalcando l’onda del malessere collettivo. Ognuno ha il proprio stile, per cui sarebbe incauto tirare in ballo Pertini o gli altri predecessori che si rivolsero direttamente al popolo. Sia come sia, l’attuale inquilino del Colle non le manderà a dire; additerà i fautori di elezioni anticipate quali colpevoli degli inevitabili rincari che colpiranno anzitutto la povera gente (per congelare l’aumento dell’Iva al 25 per cento servirebbe un governo che approvi entro l’anno la Finanziaria, in caso di nuove elezioni non si farebbe in tempo). Chi si opporrà al governo di tregua dovrà pagare un prezzo politico. E poi Mattarella, a quanto si dice, sceglierà una squadra di governo parecchio innovativa. Altro che ministri tecnici, funzionari semi-sconosciuti o grand commis dalla dubbia reputazione: sul Colle si sta lavorando, nelle intenzioni, a nomi super-partes che colpiscano l’immaginario, a soluzioni sorprendenti, perfino un po’ «pop», alle quali chi rappresenta il nuovo faticherà a rispondere no. O dovrà farlo a malincuore. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/05/05/italia/mattarella-far-appello-al-paese-per-il-governo-cerca-nomi-pop-winMjYPqnUtArXaQ99gyNP/pagina.html Titolo: UGO MAGRI L’ipotesi di un governo affidato a un esperto super partes Inserito da: Arlecchino - Maggio 06, 2018, 06:39:55 pm L’ultimatum di Mattarella “Un’intesa entro lunedì altrimenti deciderò io”
L’ipotesi di un governo affidato a un esperto super partes Pubblicato il 04/05/2018 - Ultima modifica il 04/05/2018 alle ore 08:53 UGO MAGRI ROMA Sergio Mattarella ha maturato la sua decisione. Se entro lunedì i partiti non si dimostreranno capaci di mettere in piedi un governo, e andranno a ripetergli le consuete favole, come estremo tentativo prima di tornare al voto ci proverà lui, in prima persona, mettendo in gioco la propria credibilità. Chiederà al Parlamento di dare fiducia a un esecutivo super-partes, dalla durata breve, finalizzato esclusivamente a proteggere gli italiani dalle tegole che ci stanno piovendo numerose in testa: l’aumento dell’Iva, i dazi americani, i tagli alle nostre quote di aiuti europei, le nuove regole Ue sui migranti. Spiegherà al paese che cosa si rischierebbe, nel caso in cui l’Italia rimanesse altri mesi senza guida. Sfiderà pubblicamente i leader a compiere un atto di generosità. E per mettere tutti quanti nella condizione di dare una mano, come ministri sceglierà figure senza casacca, a maggior ragione il premier. Nessun permesso Per realizzare questo suo piano di emergenza, Mattarella non chiederà l’autorizzazione alle forze politiche. Sa già che, se domandasse in anticipo il permesso, Cinque stelle e Lega si metterebbero immediatamente di traverso. Dunque le consultazioni convocate in tutta fretta per lunedì avranno un diverso obiettivo. Serviranno (fa sapere il Quirinale) a «verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo». E a farle venire a galla, ammesso che esistano. Esempio: Salvini, che sta reclamando l’incarico per provarci lui, sarà invitato a indicare i gruppi disposti a votarlo. Se la risposta non sarà stata soddisfacente, avanti un altro. Esempio numero due: qualora Berlusconi sostenesse di avere in tasca non si sa quanti deputati e senatori grillini, Mattarella lo pregherà di farne i nomi seduta stante, non si accontenterà di fumisterie. Sessanta giorni di veti incrociati, fanno sapere lassù, sono stati anche troppi. Basta scuse In sostanza, l’ulteriore giro di consultazioni servirà al Presidente per fare piazza pulita degli alibi, in modo che nessuno passa ragionevolmente sostenere un domani: «Io avevo la chiave di volta, ma l’inquilino del Colle non mi ha dato retta». Lunedì sarà l’ultima occasione per scoprire le carte, iniziando alle 10 dai Cinque Stelle. Ecco, appunto, perché l’ultimo round di consultazioni comincerà proprio da loro? Contrariamente al solito, Mattarella riceverà per primo il gruppo più numeroso e, a decrescere, tutti gli altri. Pare che dietro ci sia una esigenza pratica: esauriti entro l’ora di pranzo i gruppi maggiori, il Capo dello Stato avrà l’intero pomeriggio per preparare le mosse dell’indomani. I suoi collaboratori negano che Mattarella abbia in mente il nome del premier. Circola solo un identikit che ancora attende sembianze umane. Dovrà trattarsi di uomo o donna capace di destreggiarsi nei labirinti dell’economia, ma anche (e soprattutto) di farsi rispettare nelle sedi europee. Un frequentatore del Quirinale, spiritosamente, ieri sera informava che da quelle parti si attendono suggerimenti. Il nuovo premier presterà giuramento, i ministri idem, e si presenteranno alle Camere per la fiducia. Non è affatto certo che riusciranno a ottenerla. Dalle prime reazioni, sembra improbabile. Per invogliare le forze politiche, Mattarella spiegherà che a dicembre si tireranno le somme; aggiungerà che, nel frattempo, nulla vieterà di tentare gli accordi fin qui falliti. Casomai Salvini e Di Maio finalmente trovassero la famosa intesa, il loro governo prenderebbe subito il posto di quello presidenziale. In caso di rifiuto E se il Parlamento, insensibile, negasse un via libera? Il governo del Presidente resterà in carica per accompagnarci alle urne. Negli ambienti di governo si ipotizza una data: il 30 settembre. Non ci sarà più tempo per approvare la Finanziaria, dunque piomberemo nell’esercizio provvisorio. Per colpa delle «clausole di salvaguardia», l’Iva balzerà al 25 per cento. Con la sedia dell’Italia vuota, a Bruxelles ci taglieranno i fondi per agricoltura e Sud, sugli immigrati ci metteranno spalle al muro. Mattarella resterà forse profeta inascoltato, ma perlomeno lui ci avrà messo la faccia. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/04/italia/lultimatum-di-mattarella-unintesa-entro-luned-altrimenti-decider-io-uTeRADP9QWerQF5WalCbML/pagina.html Titolo: UGO MAGRI I primi paletti di Mattarella: no a un governo a scatola chiusa Inserito da: Arlecchino - Maggio 10, 2018, 09:06:29 pm I primi paletti di Mattarella: no a un governo a scatola chiusa
Il Colle vuole approfondire i termini dell’accordo M5S-Lega prima di dare l’incarico. Sui ministri non sarà solo un notaio: niente via libera se i nomi non lo convincono Pubblicato il 10/05/2018 - Ultima modifica il 10/05/2018 alle ore 08:42 UGO MAGRI ROMA Il governo presidenziale è sempre lì, pronto nel cassetto. Ma la curiosità di sapere chi ne farebbe parte, incominciando dal premier, forse non verrà soddisfatta. Dipenderà dal negoziato in corso tra Cinque stelle e Lega, aperto a qualunque sbocco. Il Quirinale sarebbe lieto che i partiti trovassero da soli la quadra, senza bisogno di intervenire. Per questo motivo, Sergio Mattarella non ha avuto difficoltà a concedere le 24 ore di «time out» richieste ieri mattina tanto da Luigi Di Maio quanto da Matteo Salvini. La scadenza delle ore 17 è slittata a questo pomeriggio, e in teoria entro stasera qualcosa dovrà succedere, in un senso o nell’altro. Pazienza «zen» Mettiamo dunque che in giornata Salvini e Di Maio facciano sapere per telefono al Colle di avere raggiunto un’intesa. In quel caso, Mattarella ne vorrebbe approfondire i termini, magari incontrando i partiti interessati all’accordo per ragionarci a voce e in maniera formale, perché non può essere che un Presidente si limiti a metterci su il timbro. Quando si potrebbero svolgere questi incontri chiarificatori non è ben chiaro, visto che l’agenda quirinalizia è colma di impegni: oggi a Firenze per una conferenza europea, domani a Palermo, sabato a Dogliani per le celebrazioni di Einaudi. Di sicuro, Mattarella chiederebbe lumi sulla composizione della maggioranza, sugli obiettivi cardine del programma, sulla struttura ministeriale e, dulcis in fundo, domanderebbe a chi si pensa quale possibile premier. La decisione di conferire o meno l’incarico discenderebbe dalla somma delle risposte. Bisogna vedere se i protagonisti saranno in grado di fornirle, in tutto o in parte. Circola insistente voce che oggi, quando si faranno vivi col Quirinale, Di Maio e Salvini difficilmente saranno in grado di annunciare «abbiamo sciolto ogni nodo», e dunque possano sollecitare altri giorni di proroga, magari una settimana o forse più. Impossibile prevedere se il Capo dello Stato accorderebbe o meno la dilazione, e in che misura. Di sicuro, pretenderebbe anzitutto di toccare con mano gli eventuali passi avanti, senza accontentarsi della dichiarazione serale di Berlusconi che compie il famoso passo «di lato». Oltretutto, fanno presente con una punta di disagio i frequentatori del Colle, Mattarella sta dimostrando una pazienza mai vista, quasi zen. In solo tre giorni si è visto cambiare altrettante volte le carte in tavola: prima Salvini pretendeva un incarico per sé, poi ha reclamato elezioni subito, e adesso si riparla di accordo coi Cinquestelle. È un balletto che non potrà trascinarsi all’infinito. Servono punti fermi. Paletti europei In generale, l’impressione è che il Capo dello Stato confidi in una soluzione positiva, ma non intenda approvare nulla a scatola chiusa. Un’alleanza inedita come quella in cantiere presenta numerosi aspetti problematici, incominciando dal terreno internazionale. Già stamane Mattarella pianterà i primi paletti, parlando a Badia Fiesolana in occasione della conferenza sulla solidarietà in Europa. Ribadirà che l’Italia ha preso impegni con l’Ue e con la Nato cui resterà fedele. La Lega al governo non comporterebbe un rovesciamento filo-russo delle nostre alleanze internazionali. È ancora presto per pronosticare fino a che punto si spingerà la vigilanza del Colle su altri vincoli, tipo articolo 81 (pareggio di bilancio). Di certo il Presidente eserciterà le prerogative di nomina dei ministri che gli vengono dall’articolo 92: se non sarà convinto della scelta, niente cadrega. Parlando alle vittime del terrorismo, Mattarella ha ribadito che prima vengono gli interessi fondamentali del Paese: riguardano tutti e sono «in questo senso neutrali». Da arbitro, considera suo compito farli valere. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/10/italia/mattarella-pianta-i-primi-paletti-no-a-un-governo-a-scatola-chiusa-FdLFRv0s2FPOOPXjD7XnVI/pagina.html Titolo: Re: UGO MAGRI Inserito da: Arlecchino - Maggio 15, 2018, 05:40:48 pm Il Colle non dà alibi a chi cerca pretesti: “Altre 48 ore purché sia la volta buona”
Nonostante le dichiarazioni bellicose dei partiti, Mattarella registra nelle consultazioni una volontà costruttiva Pubblicato il 15/05/2018 UGO MAGRI ROMA Quando Salvini è comparso davanti alle telecamere, con Giorgetti e Centinaio al fianco come i due evangelici ladroni, sembrava appena uscito da una discussione agitata. Quasi che col Presidente se le fossero dette sui migranti, sull’Europa e chissà su che altro. In realtà, nonostante i toni da comizio rivolti agli italiani, nello studio «alla Vetrata» Salvini è stato educatissimo, forbito, istituzionale. Non ha dato affatto l’impressione di un leader in difficoltà, pentito della trattativa avviata con i Cinque stelle, pronto a ritornare tra le braccia di Berlusconi. Seduto davanti a Sergio Mattarella, il leader della Lega ha svolto le stesse identiche tesi del suo quasi socio Di Maio: il negoziato procede bene, si stanno facendo passi avanti importanti sul programma e, quanto al nome per Palazzo Chigi, non è stato ancora individuato ma pure qui sono in corso serie riflessioni. Ufficialmente sul Colle non si è parlato del professor Giuseppe Conte, sponsorizzato dai grillini; di sicuro non è stato nemmeno evocato l’altro prof messo in campo dalla Lega, Giulio Sapelli, anche perché si era auto-affondato con una serie di esternazioni fuori controllo prima ancora di essere esaminato (e magari bocciato) dal Quirinale. Il «do ut des» Insomma, il Capo dello Stato non ha ricevuto, nelle consultazioni lampo di ieri, due partiti ansiosi di ritornare al voto. Tutt’altro. Semmai completamente immersi nel «do ut des» sul programma e, magari, anche sulle posizioni di potere che maggiormente fanno gola, dai ministeri alla Rai alla Cassa depositi e prestiti (ultimo forziere ancora intatto). Prova ne sia che Cinque stelle e Lega all’unisono hanno chiesto un po’ di giorni in più; faranno sapere loro se un paio saranno sufficienti a chiudere, stavolta per davvero. Se la trattativa fallisse, tornerebbe in campo il “governo di servizio” fino alla fine dell’anno Ma allora, come mai Salvini uscendo ha chiamato alle armi il suo popolo? Al Quirinale allargano le braccia, inutile cercare da quelle parti la risposta. Altrove, la tesi più gettonata è che un po’ di teatro facesse comodo per giustificare il ritardo. Motivarlo con la mancata intesa sul nome del premier sarebbe stato brutto, c’è un intero paese che attende «quota 100» per le pensioni, 780 euro al mese per chi non lavora e meno tasse per tutti. Meglio usare come schermo le divergenze sul programma. Nuova terra e nuovo cielo C’è pure chi drammatizza lo scontro sulle cose da fare, dunque pronostica una possibile clamorosa rottura dei negoziati. Al Quirinale sono rimasti in pochi a crederlo. Comunque sia, Mattarella non ha la minima intenzione di passare per quel Presidente pignolo che, cronometro alla mano, dopo aver pazientato due mesi e mezzo nega altre 48 ore necessarie a fondare addirittura la Terza Repubblica (copyright grillino). Ovvio che le abbia concesse, anche per togliere un alibi a quanti eventualmente cercassero pretesti di rottura. Il Capo dello Stato, dicono i suoi, confida che si metta in piedi un governo politico capace di avviare finalmente la legislatura. Sta dando prova di tutta la disponibilità necessaria. Poi, naturalmente, se il tentativo dovesse fallire, nessuno potrebbe scaricarne la colpa sul Quirinale. E Mattarella avrebbe un argomento in più per tirare fuori dal cassetto il «suo» governo, quello neutro e di servizio che dovrebbe scongiurare l’aumento dell’Iva al 25 per cento e, fino a dicembre, far sentire la nostra voce nei prossimi summit europei. Lo stesso Di Maio riconosce che non sarebbe bello lasciare una sedia vuota a Bruxelles, quando si discuterà a fine giugno di migranti e di fondi comunitari all’Italia. Oltretutto, se domani stesso Mattarella sciogliesse le Camere si voterebbe non prima del 22 luglio. Il Generale agosto si avvicina, e anche i nostri eroi preferiscono le vacanze. Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/05/15/italia/il-colle-non-d-alibi-a-chi-cerca-pretesti-altre-ore-purch-sia-la-volta-buona-HECYeQ5AKUjymFn9HM4GlJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Leghisti e grillini pronti a convergere al secondo turno. Inserito da: Arlecchino - Giugno 10, 2018, 01:02:29 pm Voto in salita per il Pd. L’alleanza populista deciderà i ballottaggi
Leghisti e grillini pronti a convergere al secondo turno. Di Maio: governo dalla parte dei sindaci M5S. Poi frena Pubblicato il 10/06/2018 UGO MAGRI ROMA Per la sinistra e i suoi elettori sarà una triste nottata. A più emotivi addirittura si sconsiglia di vegliare oltre le ore 23, quando arriveranno i primi dati delle amministrative: assisterebbero, più che a uno spoglio, a un massacro. Su 20 Comuni capoluogo, è già tanto se il Pd arriverà a 4-5 ballottaggi, e potrebbe perfino capitare che alla fine non elegga nemmeno un sindaco (alle scorse elezioni erano stati ben 15). Sinistra desaparecida Le migliori speranze di sfuggire all’annientamento, i Dem se le giocheranno nelle solite zone un tempo considerate «rosse»: dunque a Siena, a Pisa, a Massa, forse ad Ancona. Li fa sperare l’inerzia di 70 anni, che ha creato un sistema di potere, unita a una tradizione di amministratori in gamba. Ma pesa come un macigno l’estinzione del partito sul territorio (ne parla affranto l’ex ministro Andrea Orlando). E a peggiorare l’isolamento della sinistra si aggiunge adesso pure il flirt giallo-verde, un patto di governo nazionale che in teoria non dovrebbe valere nelle elezioni locali. Difatti Cinque stelle e Lega si presentano ovunque come rivali, Salvini di regola alleato con Berlusconi. Tuttavia, nei rari casi in cui il Pd raggiungerà il ballottaggio, già si può immaginare come si regoleranno tra due settimane gli elettori «populisti»: quelli di destra sosterranno i candidati-sindaco grillini, e viceversa. In un paio di città (Vicenza e Siena), il M5S non ha nemmeno presentato una lista, alimentando il sospetto di una desistenza che mira a favorire l’alleato di governo in tutto il Centro Nord. Il vento del Sud Del resto, il 4 marzo scorso l’Italia ha cambiato verso e, se si dà retta ai sondaggi, specie nel Sud non ci sarà partita. I grillini, che cinque anni fa avevano conquistato un solo Comune capoluogo (Ragusa), stavolta sono in condizione di portarne a casa una decina. Sarebbe una vera sorpresa, ad esempio, se il M5s si facesse sfuggire Siracusa dove tre mesi fa aveva raggiunto il 55 per cento, oppure Trapani (53 per cento) o Brindisi (52). Sulla carta, i suoi candidati potrebbero farcela già stasera. Dovrebbero aspettare i ballottaggi del 24 giugno a Barletta (49 per cento nelle ultime elezioni politiche), a Catania (47,5 per cento), a Ragusa (47) a Messina (45), ad Avellino (40). Grillini in pole position pure ad Ancona e a Teramo. Cosicché circa metà dei 20 Comuni capoluogo, e dei 109 sopra i 15mila abitanti che vanno alle urne, sembrano destinati a tingersi di giallo. Voto di scambio È vero che non sempre i risultati delle Politiche si trasferiscono in fotocopia. Per esempio un mese fa, alle elezioni regionali molisane, i pronostici erano stati ribaltati. Ma adesso Di Maio ha una carta in più da giocare: quella del potere, che gli permette di promettere una mano ai Comuni pentastellati. «Avranno dalla loro parte il governo e potranno parlare con i ministri per risolvere problemi complessi come le crisi aziendali»: attenzione e favori in cambio dei voti. Poi Di Maio si è reso conto che così non funziona, e ha promesso ecumenico: il governo aiuterà tutti, avversari compresi. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/06/10/italia/voto-in-salita-per-il-pd-lalleanza-populista-decider-i-ballottaggi-l4VABKNL9pjkoZa8SNXDLO/pagina.html Titolo: CAPURSO e UGO MAGRI Inserito da: Arlecchino - Luglio 14, 2018, 07:38:55 am Si apre una frattura istituzionale. E il M5S si smarca dalla Lega
Braccio di ferro nel governo. L’anomalia di una nave militare italiana bloccata in un porto nazionale. Dopo l’intervento del capo dello Stato il premier telefona al leader leghista: “Facciamoli scendere “ Pubblicato il 13/07/2018 FEDERICO CAPURSO E UGO MAGRI ROMA «Facciamo almeno scendere a terra le donne e i bambini». È ormai sera quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte telefona al suo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per ottenere il via libera nei confronti delle tre donne e dei sei bambini presenti sulla Diciotti, la nave della guardia costiera bloccata dallo stesso Salvini al porto di Trapani da ieri mattina, con 67 migranti a bordo. Il passo avanti è simbolico, ma decisivo per diverse ragioni. Prima fra tutte, per la difficile cura degli equilibri interni a Palazzo Chigi. Si è infatti alzata a livelli di guardia l’irritazione di alcuni ministri del M5S per l’atteggiamento con cui il leader della Lega, Matteo Salvini continua a trascinare l’intero governo (e l’attenzione mediatica) sul solco del suo aratro, «senza un coordinamento, né alcun rispetto per le competenze degli altri dicasteri». Tanto da far sbottare, in mattinata, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che avrebbe dato ordine alla Diciotti di attraccare, comunicando solo a operazione conclusa a Salvini che le responsabilità sarebbero passate interamente al ministero dell’Interno. Ma una volta nel porto, la nave non ha avuto il consenso allo sbarco dei migranti da parte del Viminale. L’intervento del Quirinale Da qui lo stallo che ha spinto il Presidente della Repubblica a intervenire personalmente. E Mattarella lo ha fatto nella maniera più diretta, con una telefonata al presidente del Consiglio di cui il Colle, per carità di patria, non ha reso noto i contenuti; ma se ne possono intuire i presupposti: una nave militare italiana bloccata in un porto nazionale, le tensioni paralizzanti tra poteri dello stato, la totale contraddittorietà di direttive. Per farla breve, una confusione tale da mettere in allarme la massima carica della Repubblica che ne ha chiesto spiegazioni al presidente del Consiglio e, soprattutto, gli ha sollecitato uno sblocco immediato della situazione. La reazione di Salvini Salvini, messo alle strette dalle richieste del Colle e del premier, cede e annuncia: «Spero che in nottata ci sia lo sbarco» degli altri 58 migranti. Ai suoi confida, «non ho sentito addosso le pressioni», ma dal Viminale trapela «lo stupore per l’intervento del Quirinale e il rammarico per la decisione della Procura di Trapani di non arrestare nessuno». Al centro delle rimostranze di Salvini c’è infatti il mancato arresto dei due migranti, il sudanese Ibrahim Bushara e del ghanese Hamid Ibrahim, indagati per concorso in violenza privata aggravata nei confronti del personale della nave Vos Thalassa, che li aveva salvati al largo delle coste libiche. È a causa di quelle minacce che si è reso necessario l’intervento della guardia costiera italiana e la conseguente presa in carico dei migranti sulla nave militare fino all’attracco nel porto di Trapani. Nel pensiero di Salvini resta lo scontento per il mancato arresto dei due «pur essendoci prove schiaccianti contro di loro». Per questo, di fronte alla prospettiva di una sconfitta politica, il leader della Lega è deluso: «L’unica cosa che provo in questo momento è amarezza e stupore». Il sollievo dei Cinque stelle Il passo indietro di Salvini, più dell’imminente sblocco della situazione per i 67 migranti, fa tirare un sospiro di sollievo a Conte e agli uomini del Movimento. L’agitazione interna al gruppo parlamentare iniziava ad essere qualcosa di più di un fremito sottopelle. Quando proprio nel giorno dei loro festeggiamenti organizzati in piazza per l’approvazione del ricalcolo dei vitalizi, l’attenzione continuava ad essere catalizzata dall’alleato leghista e da quella che viene considerata, da una nutrita truppa di parlamentari, niente di più di una «politica migratoria rozza». Proprio in questo caso, infatti, il blocco dello sbarco dei migranti nel porto di Trapani sarebbe arrivato, come ammesso dallo stesso Salvini, senza che venisse firmato alcun provvedimento. «Ma fino a prova contraria siamo in uno stato di diritto e un comportamento del genere non è immaginabile», sottolinea Gregorio De Falco, senatore del M5S ed ex comandante della guardia costiera. E poi, ragiona il deputato Davide Tripiedi, c’è una questione politica: «Tra la copia e l’originale, l’elettore sceglie sempre l’originale. E noi, anche se per una buona causa, stiamo correndo dietro alla Lega». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/07/13/italia/si-apre-una-frattura-istituzionale-e-il-ms-si-smarca-dalla-lega-syvaoz7LlTlzquZvSD57LL/pagina.html Titolo: AMEDEO LA MATTINA E UGO MAGRI La vera storia della telefonata fra il Capo ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 16, 2018, 10:38:31 am Il richiamo di Mattarella al premier: “Adesso basta conflitti fra poteri”
La vera storia della telefonata fra il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio dopo il primo stop alla nave Diciotti: Salvini aveva già deciso di concedere l’attracco, ma al Viminale hanno preferito che la responsabilità ricadesse sul Colle Pubblicato il 14/07/2018 AMEDEO LA MATTINA E UGO MAGRI ROMA Il governo ha fretta di voltare pagina. Pur di chiudere il «caso Diciotti», Di Maio e Salvini sono pronti a riconoscere che l’intervento di Mattarella è stato di aiuto, ha consentito di sbloccare una situazione da cui gli stessi protagonisti non sapevano come uscire. La versione che 24 ore dopo si raccoglie dalle parti del Viminale è quasi spiazzante. Pare infatti che il ministro dell’Interno, nelle stesse ore in cui Mattarella chiamava il premier per sollecitare una soluzione, avesse già deciso di dare il via libera allo sbarco dei 67 migranti. Si era reso conto di combattere da solo contro i mulini a vento rappresentati, ai propri occhi, dai colleghi della Difesa e delle Infrastrutture, per non parlare dei pm di Trapani. Se nessuno fosse sceso dalla nave con le manette ai polsi, l’effetto propaganda sarebbe stato pari a zero, anzi mediaticamente un boomerang. Per fortuna, dicono nel giro leghista, il Quirinale ha imposto la sua visione umanitaria, togliendo Salvini dall’imbarazzo di una retromarcia. Addirittura il ministro si è consentito il lusso di criticare Mattarella («stupore» per il suo intervento), salvo poi ridimensionare tutto in attesa del prossimo barcone. Rispetto dei ruoli Di questi giochi tattici sul Colle nessuno si scandalizza. Lassù hanno imparato a convivere con la doppia natura del vice-premier. In privato, Jekyll-Salvini è gentile, amichevole, confidenziale al punto che nell’ultimo pranzo di governo al Quirinale (racconta con il sorriso sulle labbra un ministro di peso) Matteo ha passato tutto il tempo a chattare sul telefonino, incurante della conversazione, un po’ come usava un altro Matteo prima di lui. Salvo trasformarsi pubblicamente in un Mr.Hyde che tenta di far indossare al Presidente la maglietta rossa dell’accoglienza ai migranti, presentandolo come un capofila. Nella realtà, tiene a sottolineare chi lo conosce, Mattarella ha posto una questione istituzionale che va molto oltre l’accoglienza delle donne e dei bambini trattenuti a bordo. Nella telefonata al premier, intorno alle 18 di mercoledì, il Presidente ha chiesto come fosse possibile che a una nave militare italiana venisse impedito di attraccare in un porto nazionale, in base a quali norme e su disposizione di chi. Senza chiamare in causa Salvini, Mattarella ha preteso rispetto per la Procura di Trapani e, in futuro, per tutte le Procure cui spetterà di decidere su eventuali arresti. Ha sollecitato un po’ d’ordine tra i poteri coinvolti nella vicenda, in quanto ognuno deve stare al proprio posto senza invasioni di campo. E soprattutto, Mattarella ha esortato Conte a esercitare senza indugio la leadership connaturata al ruolo, lasciando all’interlocutore la sensazione che, in caso contrario, il Colle avrebbe pubblicamente manifestato un vivo disappunto. Fuga di notizie Un’ora più tardi, stando ad autorevoli ricostruzioni, Conte si è rifatto vivo per assicurare che i migranti sarebbero sbarcati di lì a poco, la controversia si era risolta con sua personale soddisfazione mista a sollievo. Lo scambio di telefonate doveva restare segreto perché rientra nella cosiddetta «moral suasion» presidenziale, che tanto più risulta efficace quanto meno filtra all’esterno. Tuttavia qualcuno ha ritenuto che convenisse scaricare sul Colle la responsabilità dello sbarco, in modo da creare un alibi ai campioni della fermezza. Cosicché il segreto è durato al massimo un paio d’ore. Su chi possa essere la «talpa», sul Colle si sono fatti un’idea. Però non lo diranno mai. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/07/14/italia/il-richiamo-di-mattarella-al-premier-adesso-basta-conflitti-fra-poteri-oOwx7bQL1ngfXarpseVYtK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Cena con Salvini, Berlusconi sdogana Foa Ma è deluso: Matteo sempre... Inserito da: Arlecchino - Settembre 17, 2018, 11:47:42 am Cena con Salvini, Berlusconi sdogana Foa Ma è deluso: Matteo sempre più legato ai 5S
Il leader padano rassicura Silvio sulle aziende, ma lo gela sui grillini: “Gente seria e persone ragionevoli” Pubblicato il 17/09/2018 Ugo Magri Roma La cena di Arcore non passerà agli annali della Repubblica. E’ stata poco più che una rimpatriata, in attesa di un nuovo incontro conviviale la prossima settimana pure con Giorgia Meloni. Dunque ci vorrà ancora un po’ di tira-e-molla prima che venga sdoganata la candidatura di Marcello Foa per la presidenza Rai (da cui discenderanno a cascata una quantità di altre nomine), e siano gettate le basi delle alleanze di centrodestra per le Regioni dove si vota. Ma ci sono pochi dubbi che finirà così e tutto verrà formalizzato nero su bianco: il clima della serata, per quanto da zero a zero, è stato definito «cordiale». Al Cav premeva ristabilire un metodo di decisioni condivise e farsi garantire che la sua «roba» non verrà toccata, la Lega farà scudo alle minacce grilline di colpire Mediaset. Scontato che Salvini gli desse soddisfazione. Ma se da Matteo si aspettava un filo di rammarico per averlo tradito, e magari la promessa di tornare presto insieme, il Cav dev’essere rimasto deluso. Pochi spiragli di futuro Già prima di accomodarsi a cena, infatti, il vice-premier aveva messo pubblicamente in chiaro che intende governare insieme a Di Maio per tutti i prossimi cinque anni, che i Cinquestelle sono «gente seria e persone ragionevoli», dunque non è per nulla pentito di averci fatto l’accordo, anzi «lo rifarei domattina». Intervistato da Barbara D’Urso a «Domenica Live», il vice-premier aveva pure aggiunto (sorridendo) che con Silvio avrebbero guardato Cagliari-Milan; e si sarebbe recato ad Arcore, in quanto «lui ha la televisione più grossa della mia». È andata proprio così. Mentre loro guardavano il calcio, il numero due della Lega Giorgetti era nella stanza accanto a seguire l’Italvolley. Evviva l’esperienza Poi, chiaramente, Salvini con l’ex-premier ci sa fare. Sempre nel corso della trasmissione di Canale 5, cioè nel regno di Sua Emittenza, si era sforzato di addolcire la pillola. «I rapporti con Berlusconi sono sempre stati buoni», aveva sviolinato, «ne ho enorme stima perché è stato un grande nella politica, nel calcio, nell’editoria, nella televisione», tutto rigorosamente al passato. Certo, «gli ho detto che alcune cose, non sue ma dei parlamentari di Forza Italia, non le ho proprio capite. Per anni ci siamo impegnati sul taglio dei vitalizi, questo governo li ha fatti in due mesi, e loro hanno votato contro insieme al Pd. Comunque stasera», aveva tagliato corto, «parleremo di futuro». E per futuro Salvini intende ciò che vorrebbe fare lui: cancellare la legge Fornero, abbassare le tasse. Si aspetta da Forza Italia un aiuto fattivo. Di Maio indifferente Anziché preoccuparsi, guarda caso, Luigi Di Maio ha liquidato il summit con nonchalance: «Affari loro». Del resto Antonio Tajani, che era lì pure lui per la prima volta nella sua veste di vice-Silvio, non si era fatto illusioni. Pure lui, al pari di Salvini, aveva piantato in un’intervista televisiva certi paletti. I maligni (dentro Forza Italia sempre numerosi) sostengono che l’avesse fatto per stoppare sul nascere eventuali debolezze del suo capo. Sia come sia, Tajani aveva smentito qualunque ipotesi di partito unico con la Lega, in quanto «siamo troppo diversi anche se crediamo in un minimo comune denominatore». Esiste la concreta possibilità che Forza Italia presenti in futuro liste comuni con l’Udc di Lorenzo Cesa. L’intesa sembra già fatta. Ma la vera incognita «azzurra» è proprio Berlusconi. Non ha ancora deciso se correre alle prossime elezioni europee. La prospettiva di farsi surclassare da Salvini molto poco lo alletta. Tajani spera che il Cav si presenti perlomeno al Sud, dove il match sarebbe più in bilico. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/17/italia/cena-con-salvini-berlusconi-sdogana-foa-ma-deluso-matteo-sempre-pi-legato-ai-s-qIuJv4blP8wdGhG2IYMY0H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Draghi a Mattarella: “Attenti alla manovra. Non sottovalutate lo ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 06, 2018, 12:39:51 pm Draghi a Mattarella: “Attenti alla manovra. Non sottovalutate lo spread e le Borse”
Mercoledì mattina a Roma l’incontro riservato tra il presidente della Bce e il Capo dello Stato Pubblicato il 05/10/2018 UGO MAGRI ROMA Non era la prima volta, ma certo non accade spesso. Mercoledì mattina Mario Draghi è salito al Colle per un incontro riservato con Sergio Mattarella. I due si consultano il più delle volte al telefono, ma con lo spread alle stelle e il governo sotto pressione hanno preferito vedersi a quattr’occhi. L’incontro non è stato reso noto, e la ragione è di prudenza: con un comunicato ufficiale si sarebbe data eccessiva enfasi a un momento già molto delicato di suo. Il presidente della Banca centrale europea ha voluto rappresentare di persona i rischi cui andrebbe incontro l’Italia, nel caso in cui i mercati iniziassero ad accanirsi contro i titoli pubblici, provocando un ulteriore aumento degli spread e dei tassi di interesse fino a livelli insostenibili. Draghi ritiene (e di sicuro al presidente ne avrà parlato) che nel governo italiano ci sia una forte sottovalutazione del contesto in cui si sta scrivendo la manovra. Cartucce quasi esaurite Negli ultimi due anni e mezzo il «Quantitative Easing» della Bce ha contribuito a tenere basso il rischio Paese e il costo del debito. Dal primo di ottobre, però, il piano di Francoforte è entrato nell’ultima fase che terminerà il 31 dicembre. Partita da un totale di 80 miliardi al mese, la Banca centrale europea ora è autorizzata ad acquistare titoli per soli 15 miliardi. Il programma continuerà a calmierare i prezzi grazie al reinvestimento dei titoli già acquistati, ma si tratterà di effetti trascurabili rispetto ad una possibile ondata di vendite. Insomma, ormai gli strumenti a disposizione di Draghi sono terminati: dal primo gennaio l’Italia sarà senza rete. In caso di difficoltà avrebbe come unico salvagente il ricorso al cosiddetto «Omt», lo strumento di sostegno finanziario che costringerebbe Roma ad un programma concordato con la Commissione europea e il Fondo salva-Stati. Di fatto il commissariamento del Paese. Garanzie dal vice-premier Nel pomeriggio di mercoledì pure Matteo Salvini si è recato riservatamente da Mattarella, e l’oggetto del colloquio non si è limitato al decreto immigrazione. I ben informati sostengono che le preoccupazioni di Draghi sarebbero in qualche misura riecheggiate nella conversazione con il vicepremier. Sempre secondo fonti parlamentari, il leader della Lega avrebbe negato qualunque intenzione di causare fuoriuscite dall’euro, attribuendo semmai ad altri l’intenzione di alimentare la spesa facile. In che misura questi due incontri abbiano contribuito ad alzare il livello della consapevolezza politica, è impossibile dirlo. Fatto sta che nelle stesse ore si è consolidata a livello di governo la scelta di riportare il deficit su una parabola discendente. Non più un 2,4-2,4-2,4 nel triennio (che avrebbe contrastato con l’obiettivo di medio termine del pareggio, fissato nella legge 243, sollevando insuperabili problemi costituzionali), ma un più blando 2,4-2,1-1,8 che perlomeno evita un frontale con l’articolo 97 della Carta. L’Italia resterà fuori delle regole europee, la bocciatura di Bruxelles ci sarà comunque, ma per ora si sono evitate le conseguenze peggiori sui mercati. Due tacche dal baratro La scommessa dell’ala più radicale della maggioranza sbaglia bersaglio: più che l’atteggiamento delle istituzioni Ue, l’Italia deve temere il declassamento da parte delle agenzie di rating. Tempo un mese, ce ne sono due che potrebbero prendere una decisione simile: Moody’s e Standard and Poor’s. L’Italia è ancora due «tacche» sopra il livello spazzatura e, per nostra fortuna, finché il giudizio dell’ultima delle quattro grandi agenzie - la canadese Dbrs - sarà «investement» il Paese non corre il rischio di essere tagliata fuori da tutto il sistema di finanziamento di Francoforte, fondamentale per l’operatività delle banche. Ma il singolo downgrading delle due agenzie più grandi sarebbe, già da solo, in grado di provocare danni incalcolabili, moltiplicando la sfiducia sui mercati. Per cui la prudenza del governo è d’obbligo. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/10/05/italia/draghi-a-mattarella-attenti-alla-manovra-non-sottovalutate-lo-spread-e-le-borse-48SUnozEMfuNExyhMYuaoL/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il monito di Mattarella: niente risse con l’Europa. Inserito da: Arlecchino - Novembre 02, 2018, 12:18:34 pm Il monito di Mattarella: niente risse con l’Europa.
Conte: dialogo proficuo I timori sulla manovra in una lettera del Capo dello Stato al premier. Palazzo Chigi: lavoriamo per la stabilità dei conti e la tutela dei risparmi Pubblicato il 02/11/2018 UGO MAGRI ROMA Sergio Mattarella mette nero su bianco le preoccupazioni che non sono solo sue, ma del governatore Ignazio Visco, del super-governatore Mario Draghi e soprattutto di tanti italiani in allarme per i propri risparmi. Ne ha scritto una lettera al premier, resa nota ieri dal Quirinale a rettifica di alcune imprecisioni giornalistiche però inviata già mercoledì sera, cioè un attimo dopo la firma con cui il presidente aveva autorizzato il governo a presentare in Parlamento la Manovra del Popolo. La missiva, nella sostanza, sconsiglia di cercare la rissa con Bruxelles, con la Bce e con tutte le altre istituzioni europee. Dopo averla letta, Giuseppe Conte fa sapere che non chiede di meglio: anche lui sta lavorando per rasserenare gli animi. E con la Commissione Ue non è come sembra, Palazzo Chigi ci vede un dialogo «proficuo e costante». Il “comune intento” Dal garbo della lettera presidenziale, e dall’uso misurato delle parole, si capisce chiaramente che Mattarella non desidera avvelenare i rapporti con l’esecutivo. A Conte, il presidente riconosce se non altro la buona fede, cioè il «comune intento di tutelare gli interessi fondamentali dell’Italia, con l’obiettivo di una legge di Bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese, degli operatori economici e ponga l’Italia al riparo dall’instabilità finanziaria». Inoltre, tra le righe, Mattarella fa intendere che questo suo invito a dialogare con l’Europa è davvero il minimo, alla luce della Costituzione (articoli 81, 97 e 117), delle valutazioni molto critiche sulla manovra espresse dall’Ufficio parlamentare di Bilancio e infine della bocciatura a tempo di record piovuta da Bruxelles: «È mio dovere sollecitare il governo a sviluppare, anche nel corso dell’esame parlamentare, il confronto e il dialogo costruttivo con le istituzioni europee». Concetti che Mattarella va ripetendo ormai quasi quotidianamente. LEGGI ANCHE - Manovra, la lettera di Mattarella a Conte: “Avviare dialogo costruttivo con l’Ue” Replica “zen” dal governo Del resto, sul Colle ammettono senza problemi che questa lettera a Conte non avrà gli effetti di un’atomica. Sconsigliano di interpretarla in chiave di bacchettata, rimbrotto, altolà, memento o monito al governo. Rientra, assicurano lassù, nell’ordinaria e collaborativa dialettica tra poteri dello Stato che insieme lavorano per il bene dell’Italia. In questo spirito è stata scritta e anche recepita, visto il tono «zen» della risposta governativa. Palazzo Chigi rassicura Mattarella sul «comune intento di lavorare alla stabilità dei conti pubblici e alla tutela del risparmio». Spiega come «in un periodo caratterizzato da un ciclo economico avverso», il governo intenda «rilanciare la crescita e l’occupazione, contrastando povertà e diseguaglianze». La replica al Colle assume i contorni di un vero e proprio spot, quando assicura che l’obiettivo è «pervenire a un’Italia deburocratizzata e digitalizzata, attenta ai bisogni dei cittadini, in un quadro di stabilità finanziaria e di sviluppo sociale ed economico». Che poi a Bruxelles si lascino sedurre da questo libro dei sogni, è tutta un’altra faccenda. LEGGI ANCHE - Mattarella teme i contraccolpi della manovra (Magri) Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/il-monito-di-mattarella-niente-risse-con-leuropa-conte-dialogo-proficuo-qlIXVRLiJ4KaHijiK7hLYM/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Attesa la sentenza di Strasburgo, Berlusconi in bilico tra rivincita.. Inserito da: Admin - Novembre 27, 2018, 11:08:37 pm Attesa la sentenza di Strasburgo, Berlusconi in bilico tra rivincita e oblio
Alle 11 il verdetto sulla decadenza dell’ex premier da senatore Pubblicato il 27/11/2018 UGO MAGRI ROMA Se già sono informati, e fingono di non sapere quale sarà oggi il verdetto sul Cav, sono dei bravi attori. Ma probabilmente davvero, dalle parti di Arcore, brancolano nel buio. I collaboratori più stretti di Silvio Berlusconi hanno chiesto lumi al team di avvocati che si è fatto carico del ricorso a Strasburgo contro la decadenza da senatore. Tutto quanto sono riusciti a capire - così assicurano - è che stamane verrà depositato un «ruling» della Grande Chambre, cioè del massimo tribunale facente capo alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Questo «ruling» (tradotto nel nostro giuridichese equivale a «pronuncia»), segnala agli esperti che non si tratterà di una sentenza vera e propria, ma di una decisione procedurale. Si può immaginare che la Grande Chambre vorrà prendere semplicemente atto che il 27 luglio scorso Berlusconi aveva deciso di rinunciare al suo ricorso, e l’aveva comunicato a Strasburgo quattro mesi dopo avere ottenuto in Italia la riabilitazione dalla condanna per frode fiscale. Essendo tornato candidabile, non voleva più correre il rischio di un pronunciamento sfavorevole. Se la rinuncia al ricorso venisse accettata, politicamente finirebbe senza vinti né vincitori. Ma non è detto che si chiuda così. Le ipotesi sul tappeto La Grande Chambre potrebbe infischiarsene della rinuncia, sopravvenuta quando ormai la decisione era matura, e pronunciare ugualmente la sentenza. E perfino nel caso in cui cancellasse il ricorso, avrebbe tanti interessanti modi di calare il sipario. Ad esempio, la Corte potrebbe approfittarne per far intendere con chiarezza come sarebbe andata a finire nel caso in cui Berlusconi non si fosse tirato indietro. Pare che aggiungere una spiegazione del genere rientri nelle facoltà della Grande Chambre («e comunque non lo si può escludere», allargano le braccia gli avvocati berlusconiani). Dunque, ipotesi numero uno: il «ruling» fornirà elementi di giudizio che danno ragione al Cav. Il quale si mangerebbe le mani per non avere insistito col suo ricorso, ma sul piano politico potrebbe comunque cantare vittoria. Un verdetto del genere gli consentirebbe di appendersi al petto la medaglia di vittima dell’ingiustizia, espulso dal Parlamento nel 2013 sulla base di una legge (la «Severino») tutta da riscrivere perché nega i diritti umani. Sarebbe la piattaforma ideale in vista delle prossime elezioni europee. L’altra eventualità è di tutt’altro segno: una «pronuncia» della Grande Chambre dove si farà intendere che Berlusconi aveva torto marcio, se fosse andato fino in fondo il suo ricorso sarebbe stato rigettato senza pietà, anzi bene fecero a cacciare dal Parlamento lui e quelli come lui. Sarebbe una figuraccia micidiale, anzi peggio, un marchio definitivo. Ecco spiegata l’inquietudine, mista a speranza, che si percepisce ai vertici di Forza Italia. In attesa del verdetto, previsto per le 11 in punto. Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2018/11/27/italia/berlusconi-in-bilico-tra-rivincita-e-oblio-Fcy2tvRloUUkd9mWnyAeII/pagina.html |