Titolo: Non è più il caso Regeni deve diventare il "CASO EGITTO ANTIDEMOCRATICO". Inserito da: Arlecchino - Aprile 09, 2016, 10:38:58 am Caso Regeni, fallito l'incontro con Egitto.
Renzi: "Richiamo ambasciatore scelta di dignità" Decisivo il rifiuto di consegnare dati traffico telefonico. Boldrini: "L'Italia non si ferma fino a piena verità". Bonini e Foschini: nessun dossier di duemila pagine, dal Cairo solo "un modesto scartafaccio". La famiglia di Giulio: "Amareggiati, ma certi che Istituzioni non si fermeranno" 08 aprile 2016 ROMA - Si è rivelato un sostanziale fallimento il vertice tra Italia ed Egitto sul caso Regeni. È quanto si è appreso in ambienti giudiziari della Capitale. Dal comunicato diramato dalla Procura di Roma emerge la forte delusione di inquirenti e investigatori che non hanno viste soddisfatte le richieste avanzate per rogatoria l'8 febbraio scorso. Di fatto la collaborazione con le autorità giudiziaria egiziane è interrotta. L'Italia ha richiamato l'ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari. Sulla vicenda è intervenuto il premier. "L'Italia - ha detto Matteo Renzi - ha preso un impegno con la famiglia Regeni, con la memoria di Giulio Regeni, ma anche con la dignità di ciascuno di noi nel dire che non ci saremmo fermati se non davanti alla verità. Il procuratore di Roma, dottor Pignatone e i suoi collaboratori si sono espressi considerando deludenti i colloqui con le autorità egiziane e quindi è arrivato il richiamo in Patria per consultazioni dell'ambasciatore. Ci fermeremo solo davanti alla verità quella vera". Delusione degli inquirenti. La delusione della delegazione italiana è legata, come emerge anche da un comunicato emesso dalla Procura, dalla mancata consegna, tra l'altro, dei tabulati telefonici di una decina di utenze riconducibili ad altrettanti cittadini egiziani. Inoltre, secondo quanto si apprende, non sono state consegnate anche le richieste "relative al traffico di celle”. Tutti elementi ritenuti indispensabili dalla Procura di Roma. La famiglia: "Istituzioni non si fermeranno". "Siamo certi - hanno detto i genitori di Giulio - che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia, non si fermeranno fino a quando non otterranno verità". La famiglia Regeni aveva "preso atto con amarezza del fallimento del vertice tra le autorità giudiziarie italiane e quelle egiziane" e aveva "espresso soddisfazione per la decisione del ministro Gentiloni di richiamare in Italia l'ambasciatore Massari". Rep-FbLive, Bonini: "Fine del bluff egiziano sul caso Regeni. E' crisi diplomatica" Egitto insiste su banda criminale. Nella loro nota gli inquirenti italiani fanno sapere che i colleghi egiziani "hanno riferito le circostanze attraverso le quali sono stati" ritrovati i documenti di Regeni e che solo al termine delle indagini "sarà possibile stabilire il ruolo che la banda criminale, coinvolta nei fatti del 24 marzo 2016". Ma Procura di Roma ha ribadito di essere convinta che questa banda non sia coinvolta in modo diretto nelle torture e nell'omicidio. Sono stati inoltre consegnati alle autorità italiane "i tabulati telefonici delle utenze egiziane" di due amici di Regeni", "la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l'11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni" e "hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell'incontro". Quella odierna era l'ultima tranche del confronto tra il pool di inquirenti italiano e quello del Cairo. Una fonte di alto livello della presidenza egiziana al Cairo aveva detto in precedenza che la delegazione di inquirenti a Roma "ha presentato gli ultimi sviluppi delle inchieste" sul caso di Giulio Regeni e "speriamo che ciò metta fine alle ambiguità". La fonte si è limitata a premettere che "lo scopo della visita della delegazione egiziana a Roma è un tentativo di chiarire alla parte italiana molti punti ambigui a proposito dell'uccisione dell'accademico". Ma la ricerca della verità prosegue: "Di fronte a un fatto così grave l'Italia non può fermarsi se non quando avrà ottenuto la piena verità", ha sottolineato ancora una volta la presidente della Camera Laura Boldrini nel corso dell'incontro, a Stoccolma, con la Ministra degli Esteri svedese Margot Wallstrom. Delusione già ieri. Di ieri si sa poco, ma l'esito è stato deludente. Gli italiani, si è appreso, hanno illustrato i risultati dell'autopsia e l'analisi del computer di Giulio Regeni. La delegazione egiziana ha solo aggiornato i titolari dell'inchiesta romana dell'attività svolta successivamente al 14 marzo, giorno in cui il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco si recarono al Cairo per un primo confronto. Nonostante le due delegazioni ieri siano rimaste chiuse nei locali della Scuola di polizia di via Guido Reni, a Roma, per cinque ore, la verità è che non è accaduto nulla di nuovo. Nei faldoni dei due magistrati e quattro dirigenti degli apparati di sicurezza (polizia e Sicurezza Nazionale) arrivati dal Cairo non c'è l'ombra delle annunciate duemila, tremila pagine. Come scrivono oggi su Repubblica, Carlo Bonini e Giuliano Foschini, è stato portato dal Cairo solo "un modesto scartafaccio". Il dossier incompleto. C'è delusione perché gli italiani non avrebbero ricevuto, anzitutto, i tabulati delle utenze riconducibili a egiziani presenti al Cairo nel gennaio scorso, quando Regeni è sparito in circostanze mai chiarite, e neppure i filmati delle telecamere della metro e del quartiere dove viveva il 28enne ricercatore italiano. Non ci sono i tabulati telefonici di almeno venti utenze di altrettante figure di interesse investigativo che, intorno a Giulio, si sono mosse prima e dopo il sequestro, a meno di non voler ritenere tali - scrivono Bonini e Foschini - l'elenco delle chiamate effettuate prima della scomparsa dal cellulare di Giulio. Non hanno alcuna rilevanza investigativa le immagini vuote di alcune delle telecamere di sorveglianza del tratto di strada tra l'abitazione di Giulio e la metropolitana di Dokki. Sono neutre le fotografie del ritrovamento del corpo del ragazzo lungo la strada Cairo-Alessandria così come i verbali di sopralluogo dell'appartamento in cui Regeni abitava. Caso Regeni, il vertice investigativo Italia-Egitto Le nuove indagini. La riunione di oggi doveva servire a impostare le prossime attività di indagine, per questo si è mantenuto il massimo riserbo sui materiali ricevuti, per non compromettere l'atmosfera già tesa tra i due Paesi dopo le dichiarazioni del Governo italiano che a più riprese ha sottolineato come la due giorni di Roma fosse una sorta di ultima chance per l'Egitto di dare prova di un cambio di passo nelle indagini. In caso contrario "ci saranno contromisure" aveva avvertito due giorni fa il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Caso Regeni, Gentiloni: "Senza svolta pronti a misure immediate" L'Italia chiede nuovi accertamenti. Durante l'incontro con la delegazione egiziana, le "forze di polizia italiane hanno richiesto una serie di accertamenti - si legge nel comunicato della procura - per una efficace collaborazione alle indagini condotte dalle autorità egiziane. Queste ultime hanno preannunciato nuove richieste di atti ed informazioni alle autorità italiane". "La Procura egiziana - conclude la nota - ha assicurato che la collaborazione continuerà attraverso lo scambio di atti di indagine fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni". Il pool. La squadra di oggi è rimasta invariata. I dirigenti del Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato e del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma dei carabinieri. Il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco. Dal Cairo, con il procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman e Mohamed Hamdy, suo segretario, erano presenti il generale Adel Gaffar della Sicurezza Nazionale, il 'comandante' Mostafa Meabed, l'ufficiale Ahmed Aziz e, al posto del brigadiere generale Alal Abdel Megid dei servizi centrali della polizia egiziana, il generale Alaa Azmi, indicato come 'vice-direttore delle indagini criminali di Giza'. Vale a dire, il vice di Khaled Shalaby, indicato dall'Anonimo a Repubblica come l'uomo che dispose la sorveglianza di Giulio prima del suo sequestro, ne "ordinò" e "supervisionò" la tortura in una caserma di Giza e quindi lavorò al depistaggio. Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/04/08/news/caso_regeni_incontro_secondo_giorno-137167603/?ref=HREA-1 Titolo: Giovanni Bianconi. Regeni, il dossier beffa e i depistaggi Inserito da: Arlecchino - Aprile 11, 2016, 05:59:28 pm L’incontro a Roma con gli inquirenti egiziani
Regeni, il dossier beffa e i depistaggi E Renzi: «Non sarà nuovo caso Marò» Invocata la Costituzione per negare l’accesso alle celle telefoniche, Il Cairo insiste sulla banda dei 5: e i pm hanno capito che collaborare è molto difficile Di Giovanni Bianconi Quando dopo un tira e molla di due giorni (che in realtà va avanti da due mesi), gli egiziani hanno invocato la loro Costituzione che, per tutelare la privacy dei cittadini, non consente di condividere i dati dei telefoni cellulari attivi sul luogo del rapimento di Giulio Regeni e in quello in cui fu ritrovato cadavere, i magistrati e gli investigatori italiani hanno avuto la conferma definitiva che il tanto atteso «vertice bilaterale» non avrebbe portato a nulla. Come temevano. E così è stato. La necessità di tenere aperto un canale di formale collaborazione impedisce di esplicitare fino in fondo il disappunto della Procura di Roma, che sull’omicidio del giovane ricercatore ha aperto un fascicolo ancora troppo scarno; soprattutto in mancanza degli elementi chiesti al Cairo, che nemmeno stavolta sono arrivati. I contatti telefonici, ma non solo. L’importanza delle «celle» Ci sono almeno due passaggi nel comunicato del procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto Sergio Colaiocco che — al di là dei toni diplomatici — lasciano trapelare tutta l’insoddisfazione degli inquirenti italiani; che non a caso hanno redatto un proprio resoconto pubblico, non condiviso con la delegazione egiziana, come immaginato alla vigilia della riunione. Il primo è proprio quello relativo al «traffico di celle», rispetto al quale solo adesso, e non dalla prima richiesta, è stata opposto l’impedimento di legge (che evidentemente c’era anche prima; perché non dirlo subito?). Nella versione ufficiale si legge: «L’autorità egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine degli accertamenti che sono ancora in corso»; ma subito dopo: «La Procura di Roma ha insistito perché la consegna avvenga in tempi brevissimi, sottolineando l’importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzature all’avanguardia disponibili in Italia». Polizia e carabinieri dispongono di software capaci di elaborare e analizzare velocemente le attività di migliaia di numeri telefonici. Gli egiziani sono pressoché a digiuno di tutto ciò, e questo aumenta l’importanza dei dati, poiché è verosimile che rapitori e assassini non abbiano preso troppe precauzioni, non essendo abituati a indagini così tecnologiche. Il ruolo della banda L’altro punto «critico» è quello relativo alla gang di criminali comuni uccisi il 24 marzo e inizialmente indicati come responsabili del sequestro e dell’omicidio, poiché nelle case dei morti c’erano il passaporto e altri documenti di Regeni. Gli inquirenti egiziani ne hanno parlato avvertendo che — riferisce il comunicato — «solo al termine delle indagini sarà possibile stabilire il ruolo che la banda criminale abbia avuto nella morte del ragazzo italiano». Chiosano Pignatone e Colaiocco: «La Procura di Roma ha ribadito il convincimento che non vi sono elementi sul coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte di Giulio Regeni». Come dire che è inutile correre dietro a ipotesi inverosimili, e che semmai bisognerebbe concentrarsi sul perché i documenti del ricercatore siano comparsi nella disponibilità dei bandati ammazzati. La spiegazione fornita dalla moglie del capobanda agli inquirenti del Cairo, i quali sostengono la necessità di verificarla, è che guardando alla tv il volto di Giulio, dopo la sua morte, il marito le disse che quel ragazzo l’aveva aggredito in strada nei giorni precedenti, e che per reazione lui e i suoi amici l’avevano rapinato, sottraendogli la borsa con i soldi, il passaporto e tutto il resto. Una versione talmente poco credibile (perché mai, una volta scoperta dalla tv la rilevanza internazionale del caso, dei criminali comuni avrebbero dovuto conservare la prova regina di un loro eventuale coinvolgimento?) che il solo ipotizzare di doverla approfondire fa pensare a un depistaggio. Niente verbali Tra le poche carte portate dall’Egitto non c’è nulla che possa offrire nuovi spunti investigativi. Le riprese delle telecamere di una stazione della metropolitana sono inutili perché sovrapposte a immagini successive al giorno del sequestro, e adesso si aspetta di trovare (in Germania secondo gli egiziani, o altrove) qualcuno in grado di far ricomparire ciò che è stato cancellato. Della riunione sindacale a cui partecipò Regeni nel dicembre 2015 non esistono filmati, mentre i tabulati telefonici di un paio di conoscenti di Giulio dicono poco o nulla. Piuttosto, sul cellulare del ricercatore italiano comparirebbero due contatti con numeri arabi il 25 gennaio, giorno del sequestro, che però gli investigatori locali non hanno ancora sviluppato per capire a chi appartengano. E non ci sono i verbali di nuovi testimoni ascoltati. Niente, insomma. Tranne la promessa che «nessuna pista investigativa è esclusa». Quanto all’interessamento preventivo degli apparati di sicurezza a Regeni, addirittura con qualche pedinamento, ipotizzato nei giorni scorsi dalla stampa locale, dal team egiziano è arrivata solo una secca smentita: «Non ci risulta». 8 aprile 2016 (modifica il 9 aprile 2016 | 10:40) © RIPRODUZIONE RISERVATA DA - http://www.corriere.it/esteri/16_aprile_08/regeni-dossier-beffa-depistaggi-69ad7412-fdcd-11e5-820b-500d9d51558a.shtml |