Titolo: GIORDANO STABILE. Inserito da: Arlecchino - Marzo 22, 2016, 05:57:43 pm Siria, nasce il Kurdistan “federale”, primo passo della spartizione
Federazione Di Giordano Stabile Le autorità curde del Rojava, il Kurdistan siriano, hanno annunciato il passaggio a “entità federale” della nuova....... Siria dei tre cantoni sotto il loro controllo. Il passaggio avverrà su decisione di una assemblea che riunirà le diverse rappresentanze politiche ed etniche della regione, in particolare curdi e arabi. La nascita della prima entità federale può essere il preludio di una nuova Siria, divisa fra curdi, alawiti e sunniti. Rojava, occidente in lingua curda, comprende tre cantoni – Afrin, Kobane, Jazira – che occupano la striscia di terra settentrionale della Siria, lungo il confine con la Siria. Hanno una superficie di circa 25 mila chilometri quadrati e due milioni di abitanti. Sono sotto il controllo militare dei guerriglieri dello Ypg, vicino alla posizioni del Pkk, il movimento armato curdo in Turchia. Per questo la nascita di un Kurdistan siriano, che potrebbe essere già annunciata domenica, allarma al massimo Ankara, impegnata a reprimere la guerriglia del Pkk appena oltre il confine e a bombardare le postazioni dello Ypg in Siria. Oggi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha di nuovo intimato alla Grande Assemblea Nazionale, il Parlamento monocamerale di Ankara, di revocare l’immunità ai deputati dell’Hdp, il filo-curdo Partito Democratico del Popolo: “Dobbiamo chiudere velocemente la questione dell’immunità”. L’Hdp, che alle ultime elezioni ha preso l’11 per cento dei voti, è accusato di essere complice del Pkk. Fonte: La Stampa dal Inviato da Beirut Da - http://www.hetawikurdistan.it/articoli/2048-siria-nasce-il-kurdistan-federale-primo-passo-della-spartizione.html Titolo: GIORDANO STABILE. Croci sfregiate e chiese profanate: quel che resta dei cristia Inserito da: Arlecchino - Marzo 07, 2017, 12:45:06 pm Croci sfregiate e chiese profanate: quel che resta dei cristiani in Iraq
Dopo i massacri dell’Isis i fedeli sono fuggiti: “C’è stata una pulizia etnica”. Ora qualcuno torna: non si può lasciare la terra dove sono sepolti i nostri cari Gli edifici sacri sono stati profanati Pubblicato il 07/03/2017 GIORDANO STABILE INVIATO A BATNAYA (IRAQ) All’ingresso della canonica della chiesa di Mar Kriakhos a Batnaya c’è la statua di una Madonna decapitata. I combattenti dell’Isis che ci hanno bivaccato per due anni e mezzo l’hanno lasciata lì, in mezzo alla porta sfondata, forse come monito. Dentro ci sono scritte in arabo sui precetti del Corano e altre in tedesco, di qualche foreign fighter europeo: «Merdosi schiavi della croce, vi uccideremo tutti. Questa è terra dell’Islam, non c’è posto per voi». I cinquemila abitanti, cristiani caldei, sono fuggiti. Batnaya è una città fantasma, neanche un cane randagio. Padre Salar osserva le scritte, scuote la testa: «Prima qui erano tutti cristiani, non so quando torneranno. E quanti. Molte famiglie sono fuggite all’estero. Bisogna ricostruire da zero». Batnaya, fra le città cristiane della piana di Ninive, è quella che ha subito le maggiori distruzioni: il 95 per cento delle case è raso al suolo o gravemente danneggiato. E' qui che la pulizia etnica dei jihadisti ai danni dei cristiani appare in tutta la sua ferocia. Con la macchina si avanza a fatica fra cumuli di macerie, carcasse di auto-kamikaze, mobilia abbandonata per strada. La chiesa è rimasta in piedi solo perché risparmiata dai bombardamenti. Quello che non hanno devastato i combattimenti è stato saccheggiato e bruciato dagli islamisti prima di andar via. La linea del fronte correva qui, a 20 chilometri a Nord di Mosul, e solo alla fine di gennaio è stata messa in sicurezza. In città girano soltanto i Peshmerga curdi. Per due anni e mezzo sono cadute bombe, razzi ma ora il fronte caldo è a Sud, sul lato opposto della capitale dell’Isis in Iraq. L’esercito avanza dal 19 febbraio, ieri ha preso un altro ponte e sta per lanciare l’assalto al quartiere di palazzi governativi, una piazzaforte dell’Isis. La pulizia etnica «Rabbi». Il parrocchiano che accompagna padre Salar gli si rivolge con l’appellativo in lingua aramaica, e non quello arabo di «abuna». Poi indica la parete dietro l’altare distrutto, crivellata di colpi. «I terroristi la usavano per il tiro a segno, per esercitarsi». La piana di Ninive era l’unica zona dell’Iraq a maggioranza cristiana, circa 150 mila persone. Gli abitanti di quest’area, fra Batnaya e Al-Qosh, parlano ancora l’aramaico, la lingua dei tempi di Gesù perché è qui che il cristianesimo fiorì dove si fermarono gli ebrei deportati da Nabocodonosor dopo la distruzione del Primo Tempio di Gerusalemme nel 586 A.C. I bambini a scuola però studiano in arabo, e ora alcuni anche in curdo. La zona a Nord e Est di Mosul è stata difesa dai Peshmerga dal 2014, a caro prezzo, oltre 1800 caduti. E quello che era una volta parte della provincia di Ninive è ora annesso al Kurdistan iracheno, una regione autonoma che marcia a passo spedito verso l’indipendenza. Per i cristiani il Kurdistan è stato l’unico porto sicuro dopo la presa di Mosul da parte di Isis. In realtà fin dal 2003, quando la deposizione di Saddam scatenò la guerra settaria di sunniti contro sciiti, e tutti contro i cristiani. «Quindici anni fa i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo. Oggi sono 300 mila, e i due terzi vivono nel Kurdistan - conferma il vescovo caldeo di Erbil, Bashar Warda -. L’Isis è stato il colpo finale, ma l’esodo è cominciato prima. Le famiglie prima fuggono in Giordania, Libano, Turchia. Poi cercano una nuova vita in Occidente, soprattutto in Australia, che si è mostrata la più accogliente». Certo più accogliente dell’America di Trump. Il primo «bando», che comprendeva anche l’Iraq, ha costretto il vescovo a rinviare il viaggio a New Yorkin febbraio. Ora il bando è stato «corretto» e i cittadini iracheni non sono più nella lista, ma l’amarezza resta. Senza l’aiuto di Usa ed Europa i cristiani d’Oriente scompariranno, e quello che è successo in Iraq descrive una pulizia etnica sistematica. A Baghdad, conferma il vescovo, «è sempre più difficile vivere». Lui stesso si è dovuto trasferire a Erbil, per seguire la maggioranza del gregge, e per ragioni di sicurezza. I cristiani sono sotto tiro. «Minacce, lettere a casa con dentro proiettili, negozi distrutti». E soprattutto sequestri. «La famiglia paga, 10 mila dollari, e poi se ne va all’estero». E ora alla violenza degli islamisti sunniti si aggiunge l’ostilità crescente delle milizie sciite. In Kurdistan invece i cristiani aumentano. Dalla piana di Ninive ne sono arrivati 125 mila. La Chiesa caldea è autonoma, con un suo patriarca, Raphael Sako, ma è unita a quella di Roma e gode di un forte sostegno internazionale. La diocesi di Erbil ha procurato 1400 case per ospitare i profughi, e spende oltre un milione di dollari al mese per gli affitti, 700 mila in aiuti alimentari. «Volevamo creare piccole comunità - spiega il vescovo -, per evitare la dispersione e la fuga. E abbiamo costruito 14 nuove chiese». Il ritorno Uno sforzo enorme per evitare l’annientamento. Erbil è a un’ora di macchina dalle cittadine della piana di Ninive e la speranza è di riportare a casa almeno una parte delle famiglie. «Conosco la mia gente - spiega padre Salar -. vogliono prima di tutto la dignità. Non accetteranno di accamparsi. Bisogna portare acqua, elettricità, ricostruire le case. Altrimenti non torneranno». Dal 2003 in poi, l’Isis è stata solo l’ultima incarnazione del male. «Non abbiamo più avuto pace, sotto Saddam eravamo poveri, i servizi scarseggiavano, ma non eravamo costretti a scappare, la vita della comunità era intensa». Dieci chilometri a Nord di Batnaya, a Tellesqef, gli sforzi però cominciano a pagare. Duecento famiglie sono tornate, un piccolo ambulatorio è stato aperto in una villetta di un concittadino abbiente, fuggito anche lui in Australia. (Nella chiesa Mar Kriakhos una Madonna è stata decapitata) C’era poca scelta davanti a Isis. «Convertirsi, scappare, o morire». Sulla stessa strada c’è la casetta a due piani di Abu Nataq. Davanti alla porta un frigo ancora imballato, comprato «con l’aiuto della chiesa». Abu Nataq, due figli maschi e due femmine, è stato l’ultimo a fuggire, a Dahok, 70 km a Nord-Ovest. «Erano le 22 del 6 agosto 2014», ricorda, seduto nel salotto riarredato, nella sua jalabya grigia, dietro un quadretto di San Giuseppe. «E sono stato il primo a tornare. Ringrazio il Signore: nessuno di noi è stato ucciso o ferito. Qua vicino c’era una famiglia yazida, otto persone, li hanno ammazzati tutti». Abu Nataq ha 65 anni e deve ricominciare da capo ma non lascerà l’Iraq, perché «la terra dove sono sepolti i tuoi cari vale più di ogni cosa». L’Isis si è accanito anche contro il cimitero, ma le tombe dei famigliari di Abu Nataq ci sono ancora. Oggi ci poserà sopra un mazzo di gardenie bianche, il simbolo della rinascita di primavera. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/07/esteri/croci-sfregiate-e-chiese-profanate-quel-che-resta-dei-cristiani-in-iraq-n4E0qXd5xbl4wyg5jzP8ZM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, arrivano i Marines per l’assalto a Raqqa Inserito da: Arlecchino - Marzo 10, 2017, 12:40:43 pm Siria, arrivano i Marines per l’assalto a Raqqa
Pubblicato il 09/03/2017 Ultima modifica il 09/03/2017 alle ore 10:05 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT I Marines americani sono arrivati nel Nord della Siria per partecipare all’attacco finale a Raqqa, capitale del Califfato, nelle “prossime settimane”. Il dispiegamento è stato confermato a media statunitensi da ufficiali voluti rimanere anonimi. Il Corpo dei Marines non ha voluto commentare, per ragioni diplomatiche, e non ha voluto rivelare l’esatta dislocazione delle forze. I reparti sono dotati di artiglieria pesante, come quelli dispiegati a Sud di Mosul, a Makhmour, nelle fasi preliminari dell’offensiva sulla roccaforte dell’Isis in Iraq. L’artiglieria, probabilmente pezzi da 155 millimetri, servirà a distruggere le postazioni fortificate degli islamisti nel perimetro esterno di Raqqa, in modo da consentire alle forze curdo-arabe, Syrian democratic forces (Sdf), di avanzare verso il centro. Le Sdf si trovano in alcuni punti a soli 15 chilometri dal centro e a ridosso della linea fortificata. Marines americani in Siria per lanciare l’offensiva a Raqqa L’uso dei Marines è il primo segno del nuovo piano, più “muscolare”, voluto dall’Amministrazione Trump nell’offensiva contro il Califfato. Lo spostamento dei reparti di artiglieria, già presenti nella regione, non richiedeva un’approvazione diretta del presidente o del Segretario alla Difesa James Mattis, ma comunque la Casa Bianca e il Pentagono hanno esaminato la mossa. Con la perdita di tre quarti di Mosul, Raqqa, 500 mila abitanti prima della guerra, resta l’unica grande città nelle mani dello Stato islamico. Le Sdf dispongono di 30-40 mila uomini, per tre quarti guerriglieri curdi dello Ypg, un movimento che la Turchia considera “terrorista”. L’attacco finale a Raqqa è stato presumibilmente discusso in un vertice di due giorni fa ad Antalya, in Turchia, fra i capi di Stato maggiore turco, russo e americano. Verso Raqqa si stanno dirigendo anche le forze governative siriane, appoggiate da reparti speciali russi. Il governo di Bashar al-Assad non ha finora protestato per la presenza di truppe americane sul suo territorio, senza autorizzazione formale, probabilmente su pressione di Mosca che cerca una prima collaborazione con Washington proprio contro l’Isis in Siria. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/09/esteri/siria-arrivano-i-marines-per-lassalto-a-raqqa-NDRp8BuxQOwF01VvXtn5tO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Le lotte fra clan beduini del deserto che segnano il ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 08:50:24 pm Le lotte fra clan beduini del deserto che segnano il destino del Paese
Il regime del Colonnello era riuscito a neutralizzare le rivalità tribali. Poi con la sua caduta nel 2011 il conflitto nel Fezzan è riesploso Pubblicato il 02/04/2017 - Ultima modifica il 02/04/2017 alle ore 07:21 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Sono sei anni che al posto di frontiera di Tumu, al confine con il Niger, lo Stato libico non esiste più. Gli edifici della dogana e di controlli di polizia, che d’inverno le tempeste di sabbia quasi sommergono, stanno ancora in piedi perché i giovani combattenti delle tribù Tebu fanno i turni di guardia e controllano chi entra nel loro territorio. Sono tribù che vivono di qua e di là dal confine e conoscono bene tutte le strade dei contrabbandieri e dei trafficanti di uomini. Ai tempi di Gheddafi, trafficavano anche loro ma ora la situazione si è rovesciata. Se manca il potere centrale, sono quelli locali che devono provvedere. In Libia è vero più che altrove. La dittatura di Gheddafi aveva in parte neutralizzato l’influenza delle tribù, in un equilibrio che aveva soprattutto penalizzato la Cirenaica. Dal 2011, le forze centrifughe si sono di nuovo scatenate. All’estremo Sud del Fezzan, Tumu è uno sbocco naturale per le colonne di migranti che dal Sahel risalgono verso la Libia. Sono carovane di camion stracarichi, anche 70-80 alla volta, che partono da Agadez, la più importante città nel Nord del Niger, e arrivano fino a Dirku, l’ultima cittadina prima del confine. Poi, di lì cercano di passare in Libia, raggiungere Sebha, attraversare il deserto libico fino alla costa. È il Fezzan, una regione grande quanto la Francia, la porta di accesso per l’Europa. E il Fezzan, dopo la caduta di Gheddafi, è tornato il regno assoluto delle tribù. Soprattutto ora che il controllo della Libia è conteso fra il premier legittimo Fayez al-Sarraj e il rivale appoggiato da russi ed egiziani Khalifa Haftar. I Tebu, di etnia e lingua africani, spesso apostrofati come «mori» dai libici della costa, controllano la parte meridionale, alle frontiere con Niger e Ciad. Sono «neri del deserto», sparsi fino al Sudan e al Darfur, guerrieri coraggiosissimi che spesso combattono al soldo di milizie arabe. Nella lotta per il potere nel Fezzan, dopo l’uccisione di Gheddafi, hanno alla fine scelto di stare con Al-Sarraj. È un punto importante, conquistato anche nella battaglia di Sirte contro l’Isis, quando piccole milizie Tebu hanno combattuto al fianco di quelle di Misurata alleate di Al-Sarraj. Ora i Tebu, il «popolo delle rocce», sono la chiave per chiudere il confine con il Niger e il Ciad. L’altra sono i Tuareg. Altra popolazione non araba. Berberi, «navigatori del deserto». Come i Tebu non conoscono frontiere, sanno come attraversarle e quindi anche come sigillarle. In Libia, la loro roccaforte è la zona di Ghat, dove lo scorso settembre erano stati rapiti Danilo Calonego e Bruno Cacace, poi rilasciati anche grazie all’aiuto delle tribù berbere. Ghat è un crocevia di traffici e terrorismo. Al-Qaeda nel Maghreb islamico, Aqmi, si è impiantata nelle montagne, ha cercato alleanze, si è inserita nei traffici e si è espansa soprattutto durante gli scontri fra Tuareg e Tebu per il controllo della cittadina di Ubari, nel 2015. Sotto Gheddafi, i Tuareg avevano goduto di un rapporto privilegiato con Tripoli, a scapito dei Tebu, soprattutto durante l’intervento libico in Ciad negli anni Ottanta, quando si erano trovati sui fronti opposti. Nel 2011, la rivalità era esplosa. Nel novembre del 2015, però, con la mediazione del Qatar, il leader Tuareg Abu Bakr Al-Faqi ha raggiunto un accordo con i Tebu, e sempre sotto l’influenza qatarina si è schierato in favore degli accordi di Skhirat che hanno portato alla nascita del governo di Al-Sarraj. L’accordo ha permesso all’attuale premier di prevalere nel Sud del Fezzan, ma Haftar ha cercato subito di avere il sopravvento nel Nord, verso Sebha, il capoluogo. Il generale ha trovato un forte alleato negli Al-Qadhadhfa che da Sirte, città natale di Ghedaffi, si sono spostati negli scorsi decenni verso il Fezzan. Questa tribù berbera arabizzata è stata la principale base di sostegno tribale di Gheddafi. A Sirte si è scontrata con le milizie di Misurata, prima dell’avvento dell’Isis. A Sebha si è trovata di fronte un potente alleato di Misurata, la tribù degli Awlad Sulaiman, i figli di Solimano, beduini, arabi nomadi del deserto, ostili a Gheddafi fin dalla sua presa del potere. Come indica il primo nome del loro leader, Senussi Omar Massaoud, sono legati alla Senussia, la confraternita salafita più importante della Libia. La rivalità con gli Al-Qadhadhfa è scoppiata lo scorso novembre per il «caso della scimmietta», quando una bertuccia di un commerciante ha strappato il velo a una ragazza Awlad. Un pretesto per scatenare la guerra per il controllo di Sebha. Ora, con gli accordi di Roma, gli Awlad Sulaiman hanno due potentissimi alleati nei Tuareg e nei Tebu e possono contrastare gli aiuti che arrivano dal generale Haftar agli Al-Qadhadhfa. La battaglia nel Fezzan non è solo per il controllo delle frontiere. É per il controllo della Libia. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/02/esteri/le-lotte-fra-clan-beduini-del-deserto-che-segnano-il-destino-del-paese-w2TB9Oy1fbbATCJueWVzvK/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Le grandi potenze pronte a creare zone cuscinetto per ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 11, 2017, 06:13:46 pm Le grandi potenze pronte a creare zone cuscinetto per contenere Assad
Stati Uniti, Turchia e Israele vogliono istituire dei corridoi interdetti sia alle forze di terra sia all'aviazione del Raiss. L’incognita russa Pubblicato il 09/04/2017 - Ultima modifica il 09/04/2017 alle ore 07:45 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il blitz sulla base di Al-Shayrat, tornata operativa già ieri con un raid sulla cittadina colpita dall’attacco chimico, Khan Sheikhoun, ha soltanto scalfito le capacità offensive dell’aviazione siriana. L’avvertimento sulle armi chimiche è arrivato. La strategia del dopo non è ancora chiara. Se l’azione si ferma qui i più importanti alleati degli Usa nella regione saranno delusi. Israele, Turchia e Paesi del Golfo vogliono un’azione più incisiva che dia garanzie sugli assetti regionali alla fine della guerra civile. Ma le tre potenze hanno anche obiettivi strategici molto diversi. L’unico punto in comune è la convergenza verso le «safe zone», cioè zone cuscinetto da dove l’aviazione e l’esercito di Bashar al-Assad sarebbero esclusi. E’ una versione ridotta della no-fly-zone su tutta la Siria proposta per esempio dal senatore repubblicano John McCain già cinque anni fa. Ma può consentire di cogliere più risultati. Per Israele è strategico impedire che Hezbollah e le milizie fedeli all’Iran si installino sul confine Sud della Siria. I media israeliani hanno rilanciato ieri «indiscrezioni» provenienti dall’entourage di Benjamin Netanyahu. Il premier ha chiesto alla Casa Bianca due zone cuscinetto: una al confine fra Siria e Israele, lungo le alture del Golan, l’altra al confine fra Siria e Giordania, nella provincia di Daraa. Le «buffer zone» sarebbero tutte in territorio siriano e senza la presenza di soldati israeliani. L’ipotesi più plausibile è che siano sul modello del Libano, con un contingente Onu a far da cuscinetto fra le forze siriane e le milizie sciite e gli eserciti israeliano e giordano. In questo modo, secondo Israele, si limiterebbe la capacità di Hezbollah di lanciare un attacco, e su un fronte molto più ampio di quello libanese. LE AMBIZIONI DI ERDOGAN Molto diversa è la «safe zone» che ha in mente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. L’attacco chimico a Khan Sheikhoun gli ha dato l’occasione di smarcarsi da Mosca, tornare ad attaccare Assad e allargare le sue ambizioni nel Nord della Siria. Anche perché la sua operazione «Scudo dell’Eufrate» non ha raggiunto l’obiettivo di respingere i curdi a Est dell’Eufrate e prendere la città di Manbij, proprio per l’opposizione della Russia. Ora il leader turco, alla vigilia del referendum costituzionale di domenica 16 aprile, punta a estendere l’influenza turca nella provincia di Idlib. Può contare sull’alleanza con il gruppo salafita di Ahrar al-Sham, presente nella provincia di Idlib assieme ai qaedisti di Hayat al-Tahrir al-Sham. Ma proprio la forza delle formazioni jihadiste rende molto più problematico un ingresso delle truppe turche. IL KURDISTAN SIRIANO Con il riallineamento della Casa Bianca sulle posizioni anti-Assad, Erdogan spera ora di ridimensionare il potere del raiss di Damasco, nemico dei Fratelli musulmani e dell’islam politico. E’ il modello che vorrebbe esportare in tutto il Medio Oriente. L’altro avversario da ridimensionare sono i curdi. Ma qui la «safe zone» che hanno in mente gli americani si scontra frontalmente con quella di Erdogan. Anche se la scelta definitiva su chi debba entrare a Raqqa, dove ieri è stato compiuto un raid della coalizione a guida Usa che avrebbe causato anche 20 vittime civili, non è stata ancora presa, è chiaro che i curdi dello Ypg sono in pole position. Con Raqqa, e forse Deir ez-Zour, il Kurdistan siriano avrebbe dimensioni simili a quello iracheno, in marcia verso la piena indipendenza. Washington ha promesso molto ai curdi e difficilmente si potrà tirare indietro. Con il Nord alla Turchia, il Nord-Est ai curdi e il Sud sotto controllo internazionale, la spartizione della Siria sarebbe un realtà. Soprattutto senza Assad al potere e con un governo centrale dominato dall’opposizione islamica sunnita filo-saudita (o in alternativa filo-Qatar). Ma arrivare a questo occorre smantellare le difese aeree russe per poter distruggere l’aviazione di Assad. Il problema è militare e politico. Vladimir Putin ha schierato il meglio della tecnologia anti-aerea russa: l’ultima versione degli S300 e gli S400. Per l’analista militare Alex Kokcharov, dell’IHS Maarkit, questi sistemi sono «pienamente in grado» di intercettare i missili Cruise Tomahawk e la maggior parte dei cacciabombardieri americani, a parte gli invisibili F-22. Se venerdì gli S300 non hanno abbattuto i Tomahawk è perché i russi «hanno scelto di non farlo». Imporre le zone cuscinetto implica un impegno militare americano di proporzioni molto più vaste. Uno scontro aperto con la Russia. L’alternativa è concedere una «safe zone» anche a Mosca: il nucleo duro del potere alawita, Tartus e Lattakia, e magari anche Damasco, con un Assad dimezzato. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da – http://www.lastampa.it/2017/04/09/esteri/le-grandi-potenze-pronte-a-creare-zone-cuscinetto-per-contenere-assad-VMtf6fZAJV2SEl6FR030QJ/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Assad: “L’attacco chimico? Una completa invenzione” Inserito da: Arlecchino - Aprile 13, 2017, 05:50:31 pm Assad: “L’attacco chimico? Una completa invenzione”
Il presidente siriano ribadisce che Damasco «ha consegnato tutte le armi chimiche» Pubblicato il 13/04/2017 - Ultima modifica il 13/04/2017 alle ore 16:07 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il presidente siriano Bashar al-Assad ha replicato alle accuse dell’Occidente sull’attacco chimico del 4 aprile a Khan Sheikhoun, dove sono morte 85 persone: «È una montatura, al 100 per cento», ha detto all’agenzia Afp. Assad ha ribadito che Damasco «ha consegnato tutte le armi chimiche», in suo possesso, in base all’accordo con l’Onu del settembre 2013, dopo l’attacco chimico nel Goutha del 2013: «Anche se avessimo ancora armi di quel tipo, non le useremmo». Sì all’inchiesta internazionale Il governo siriano, ha sottolineato è pronto ad aprire il paese agli ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ma l’inchiesta deve essere “imparziale” e condotta da «paesi che abbiano un giudizio obiettivo sulle cose e non la utilizzino per motivi politici». Gli Stati Uniti, ha concluso, non sono “seri nei tentativi” di trovare una soluzione politica per mettere fine alla guerra civile che in sei anni ha fatto almeno 320 mila morti: «Usano il negoziato per favorire i terroristi». Il regime considera terroristi tutti i gruppi armati, anche quelli “moderati” sostenuti da Usa e Gran Bretagna. Va detto che nella provincia di Idlib i gruppi ribelli predominanti sono legati ad Al-Qaeda. Gli Stati Uniti hanno intercettato la preparazione dell’attacco chimico Militari e intelligence Usa hanno intercettato comunicazioni di membri dell’esercito siriano ed esperti chimici che parlavano dei preparativi per l’attacco con armi chimiche di martedì 4 aprile in Siria nella provincia di Idlib. È quanto riferisce alla Cnn un alto funzionario Usa, spiegando che le intercettazioni rientrano nelle informazioni di intelligence revisionate nelle ore successive all’attacco per provare a risalire alla responsabilità dell’uso delle armi chimiche. Secondo le autorità degli Stati Uniti “non c’è dubbio” che il presidente siriano Bashar Assad sia responsabile dell’attacco chimico. La fonte Usa sottolinea però che Washington non sapeva dell’attacco prima che succedesse. Raid errato degli Usa, uccisi 18 combattenti anti-Isis La replica del raiss arriva nel giorno in cui il Pentagono ha rivelato di aver ucciso per sbaglio “18 combattenti” delle Syrian democratic forces (Sdf), la coalizione anti-Isis che sta conducendo l’offensiva su Raqqa. Il raid, dell’11 aprile, aveva come obiettivo posizione dell’Isis a sud di Tabqa, roccaforte dello Stato Islamico: le bombe sono invece finite sulle linee delle Sdf, causando 18 vittime. A subire le perdite è stata una formazione araba delle Sdf, I Falchi di Raqqa. I miliziani hanno accusato i curdi, che costituiscono l’80 per cento dell’alleanza, di “aver fornito le coordinate sbagliate” e si sono ritirati momentaneamente dalla coalizione. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/13/esteri/gli-stati-uniti-hanno-intercettato-la-preparazione-dellattacco-chimico-del-aprile-in-siria-EMwfp2PlmymXDUMzq17IhJ/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Stati Uniti, sganciata in Afghanistan la bomba più potente ... Inserito da: Admin - Aprile 14, 2017, 06:24:49 pm Stati Uniti, sganciata in Afghanistan la bomba più potente della storia
Conosciuta come “la madre di tutte le bombe” la Moab - non atomica - non era mai stata usata prima Pubblicato il 13/04/2017 - Ultima modifica il 13/04/2017 alle ore 23:40 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Donald Trump mostra i muscoli anche con l’Isis in Afghanistan. Per la prima volta le forze armate americane hanno usato “la madre di tutte le bombe”, l’ordigno più potente a loro disposizione, a parte quelli nucleari. La terribile esplosione è stata usata per distruggere una rete di tunnel usati dai jihadisti nella provincia di Nangahar, al confine con il Pakistan. Il lancio della più potente bomba non nucleare L’ordigno ha come nome tecnico Gbu-43/B Massime Ordnance Air Blast (Moab) ma è conosciuta come “la madre di tutte le bombe” ed è stata sviluppata nel 2003, durante la Seconda Guerra del Golfo. In pratica è un passo prima dell’uso dell’atomica, perché distrugge tutto nel raggio di centinaia di metri. È la prima volta che viene usata in combattimento. Caratteristiche La Moab è lunga 9,17 metri ed ha un diametro di 1,02 metri. Guidata da un sistema Gps sull’obiettivo, pesa 8,5 tonnellate di esplosivo H-6 ad altissimo potenziale la sua deflagrazione equivale all’esplosione di 11 tonnellate di tritolo. Esplode prima di raggiungere il suolo e sviluppa un’onda d’urto e un calore devastanti. Probabilmente è stata usata per espugnare la rete di tunnel che altrimenti avrebbero richiesto una battaglia corpo a corpo con gli islamisti, con gravi perdite per le truppe americane. Nei giorni scorsi un soldato statunitense è morto in combattimento nella zona. Casa Bianca: “Preso di mira un sistema di tunnel e grotte dell’Isis” L’Isis nel “Khorasan” L’Isis si è installato al confine fra Afghanistan e Pakistan alla fine del 2014, quando è stata fondata la Wilaya Khorasan, dall’antico nome islamico della regione. Conta dai 2 ai 3 mila combattenti ed è in lotta anche con gli stessi Taleban, che sono rimasti fedeli all’alleanza con Al-Qaeda. La provincia di Nangahar è però un territorio montagnoso, aspro, che mette a dura prova le truppe occidentali e anche quelle del governo di Kabul. Molti villaggi non possono essere raggiunti con i mezzi blindati e i soldati devono raggiungerli a piedi. La “madre di tutte le bombe” ha probabilmente tagliato corto una battaglia che si annunciava difficile e sanguinosa. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/13/esteri/stati-uniti-sganciata-la-bomba-pi-potente-della-storia-gSUj3RV3JZ6GXUvdaLcDGL/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Afghanistan, i Taleban fanno strage di soldati: 140 uccisi ... Inserito da: Arlecchino - Aprile 22, 2017, 04:55:19 pm Afghanistan, i Taleban fanno strage di soldati: 140 uccisi
I jihadisti hanno attaccato una base travestiti da militari Pubblicato il 22/04/2017 - Ultima modifica il 22/04/2017 alle ore 09:56 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Oltre 140 soldati afghani sono stati uccisi in un attacco condotto da jihadisti talebani travestiti da militari. I Taleban hanno assaltato una base alla periferia di Mazar-i-Sharif, la più importante città nel Nord del Paese. Ufficiali rimasti anonimi hanno detto all’agenzia Reuters che il bilancio “è destinato a salire”, anche se il governo non ha comunicato cifre ufficiali. E’ il più grave massacro di soldati dal 2001, quando il regime talebano è stato abbattuto dall’intervento americano dopo l’11 settembre. Dieci combattenti sono arrivati in uniforme militare e alla guida di veicoli dell’esercito. Hanno passato i controlli e hanno aperto il fuoco all’interno della base con armi automatiche e lanciato granate. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce talebano Zabihullah Mujahid come “vendetta” per l’uccisione di un loro leader nella provincia di Mazar-i-Sharif. Nella base non c’erano addestratori della Nato. L’Alleanza mantiene circa 14 mila uomini a sostegno dell’esercito afghano, circa mille italiani. L’esercito e le forze di sicurezza afghane contano invece su circa 300 mila uomini, meno di metà però effettivamente operativi. I guerriglieri talebani sono stimati in 40-60 mila e nel Paese operano altri gruppi islamisti, compreso l’Isis. Nella provincia di Nangahar una settimana fa gli Usa hanno sganciato la più potente bomba convenzionale a loro disposizione contro le fortificazioni dello Stato islamico. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/22/esteri/afghanistan-i-taleban-fanno-strage-di-soldati-uccisi-Vk1LqH3DvO71lmqFIvruTN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, raid israeliano contro una milizia pro-Assad Inserito da: Admin - Maggio 03, 2017, 10:54:21 am Siria, raid israeliano contro una milizia pro-Assad
Aerei in azione vicino alla alture del Golan: uccisi tre combattenti Pubblicato il 23/04/2017 - Ultima modifica il 23/04/2017 alle ore 09:05 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT L’aviazione israeliana è tornata a colpire in territorio siriano. Media online libanesi riportano che gli aerei, non è chiaro se jet o droni, hanno colpito postazioni di una “milizia pro-governativa” vicino alla alture del Golan: tre combattenti sarebbero stati uccisi, due feriti. Non si tratterebbe di Hezbollah ma delle Unità di difesa nazionale, una formazione che nell’area è composta principalmente da drusi che vivono nella zona del Golan e che sta partecipando con l’esercito regolare a un’offensiva contro i ribelli attorno alla città di Quneitra. Colpi di mortaio L’offensiva è scatta due giorni fa e alcuni colpi di mortai sono caduti vicino alle postazioni dell’esercito israeliano nel Golan tanto che sono scattate le sirene di allarme anti-aereo. Il sistema anti-missilistico Iron Dome è stato attivato, ed è in grado di intercettare anche proiettili di artiglieria. Poi è arrivata l’azione dell’aviazione probabilmente per neutralizzare i mortai. Attacco con droni Israele non ha confermato né smentito, come di solito fa in queste occasioni. Fra i media filo-Assad notizia è stata riportata al momento solo sul sito libanese Al-Mayadin. Il sito Al-Masdar ha invece riportato un attacco con droni “su posizioni dell’artiglieria dell’esercito siriano”, venerdì sera, che però non avrebbe causato vittime. Il regime sta cercando di cacciare i ribelli dalla strategica città di Quneitra, la “porta di accesso” al Golan. Zona cuscinetto L’area attorno a Quneitra era fino all’agosto del 2014 sotto il controllo della missione Onu Un Disengagement Observer Force (Undof), quando il gruppo jihadista Al-Nusra attaccò i Caschi Blu delle Filippine e delle Isole Fiji e ne rapì 43. I Caschi Blu dell’Undof sono poi stati rilasciati dopo lunghe trattative ma la zona cuscinetto fra Israele e la Siria è finita sotto il controllo di svariati gruppi ribelli. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/23/esteri/siria-raid-israeliano-contro-una-milizia-proassad-HycPkDq1p3M8uNn9ugmJMM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Il mattatoio del regime con 50 impiccagioni al giorno Inserito da: Arlecchino - Maggio 17, 2017, 06:00:18 pm Il mattatoio del regime con 50 impiccagioni al giorno
Nella prigione rinchiusi militari disertori e oppositori del dittatore. Le esecuzioni nella notte. Molti detenuti morti per torture e stenti Pubblicato il 16/05/2017 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il «mattatoio» di Bashar al-Assad ora è anche «forno crematorio». Un dettaglio che avvicina ancora di più gli orrori della guerra civile siriana a quelli dell’Europa nazista. Il luogo è sempre quello, la prigione di Sednaya. Trenta chilometri a Nord-Est di Damasco. Il nome della località viene da Saydna, Nostra Signora, perché il punto più alto delle alture che culminano a 1500 metri è dominato da uno dei più belli e importanti santuari dedicati alla Madonna in Siria. Luogo millenario di pellegrinaggi. Più in basso, alla periferia della cittadina, si trova però la più famigerata delle carceri del regime. Dal paradiso all’inferno. Il mattatoio è cominciato nel 2012. Il complesso si distingue per due edifici. La «divisione rossa», per i civili, e la «divisione bianca», per i militari. Sednaya è soprattutto una prigione dell’esercito, ma con lo scoppio della guerra civile deve far fronte a un flusso di prigionieri sempre più massiccio. La maggior parte sono soldati e ufficiali disertori. Le condizioni peggiorano rapidamente. I primi a farne le spese sono gli ammalati. Vengono portati all’ospedale di Tishreen, a Damasco, solo per essere lasciati morire senza cure, come hanno raccontato alcuni sopravvissuti alle organizzazioni umanitarie. Una delle prime testimonianze è quella di un ex ufficiale delle forze speciali, raccolta dal Syrian Observer, vicino all’opposizione. L’uomo ha assistito alla morte di quattro compagni, tanto che «più nessuno voleva essere portato all’ospedale, preferivano morire in cella». Spesso i compagni, e qualche volta anche lui, «speravano che morissero in fretta, in modo di poter prendere il loro cibo e i loro vestiti». Con l’intensificarsi della guerra e della repressione la «Divisione rossa» si riempie all’inverosimile. È un edificio a forma di stella a tre punte, a cinque piani, due sotterranei. Ogni piano ha 60 camerate, ciascuna può ospitare fino a 50 prigionieri. In tutto possono starci circa 15 mila persone. Manca il cibo, i detenuti si indeboliscono e si ammalano. Molti vengono semplicemente «lasciati andare», ma per altri ci sono i processi sommari e le esecuzioni. Il rapporto di Amnesty È quello che ha ricostruito un’indagine di Amnesty International, pubblicata lo scorso febbraio. Migliaia di corpi, secondo l’inchiesta, sono stati sepolti «in fosse comuni» nei dintorni di Damasco. Per cinque anni esecuzioni e sepolture si sono svolte di notte. Ogni giorno verrebbero impiccate 50 persone. Amnesty ha raccolto 84 testimonianze, ricostruito il percorso di morte di 31 uomini, sia della «Divisione rossa» che della «Divisione bianca». Il rapporto testimonia che molti altri, ammalati, sono morti all’ospedale militare di Tishreen e sepolti in terreni dell’esercito a Nahja, a Sud di Damasco, e nella cittadina di Qatana. Il rapporto, redatto da Nicolette Waldman, non fa però cenno ai «forni crematori». La necessità di bruciare corpi si è manifestata probabilmente nell’ultimo periodo. Un modo per nascondere le esecuzioni, evitare sospetti. Per Waldman, «non ci sono ragioni di credere che le impiccagioni si sono fermate». Le ha definite «una politica di sterminio». I processi durano «pochi minuti». Le condanne sono sottoscritte dal ministro della Difesa. La fine della de-escalation Ora le rivelazioni sui «forni crematori» aggiungono orrore all’orrore. La denuncia arriva in un momento positivo per il regime. I ribelli di due quartieri periferici di Damasco, Qabun e Barzé, si sono appena arresti, e l’evacuazione dei combattenti è cominciato ieri. Fra poco toccherà a Yarmouk e a quel punto i ribelli controlleranno solo la zona del Ghouta. La fine dell’insurrezione a Damasco, dopo Aleppo. L’opposizione ridotta a qualche frangia di territorio al confine con la Turchia e la Giordania. Per Jones, assistente del Segretario di Stato, la terribile scoperta getta cattiva luce anche sull’intesa raggiunta ai colloqui di pace di Astana per l’istituzione di «zone sicure» e la «de-escalation» del conflitto. Gli Stati Uniti restano «scettici». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/16/esteri/il-mattatoio-del-regime-con-impiccagioni-al-giorno-NjC2eawMBmLvhMefSVH8ZL/pagina.html Titolo: Orrore a Mosul, l’Isis ha usato prigionieri come cavie per le armi chimiche Inserito da: Arlecchino - Maggio 22, 2017, 11:53:54 am Orrore a Mosul, l’Isis ha usato prigionieri come cavie per le armi chimiche Documenti ritrovati all’università: testati pesticidi, come i nazisti Pubblicato il 22/05/2017 - Ultima modifica il 22/05/2017 alle ore 11:22 Giordano STABILE Inviato a Riad L’Isis come i nazisti. Decine di prigionieri sono stati usati come cavie per testare nuove armi chimiche, basate su componenti di pesticidi. Sono sostanze simili ai gas nervini, in esperimenti che ricordano quelli nei lager durante la Seconda guerra mondiale. Agonie di settimane La scoperta è stata fatta dopo il ritrovamento di documenti dello Stato islamico nell’Università di Mosul Est, il quartiere generale degli islamisti fino allo scorso gennaio. L’ha rivelata il quotidiano britannico The Times. I prigionieri sarebbero morti dopo agonie «anche di dieci giorni» o addirittura «settimane», fatto che presuppone che gli agenti chimici non fossero molto potenti. Due agenti chimici nuovi Nelle stanze dell’università sono stati ritrovati due agenti chimici. L’Isis ha usato armi al cloro e all’iprite contro i curdi e anche contro le forze irachene, ma in quantità limitate. Non ha mai usato invece agenti nervini, più difficili da produrre e gestire. Ma evidentemente ha provato a sviluppare una sua arma chimica di questo tipo. «Arma letale» Sempre nei documenti, i terroristi parlano di «arma letale ideale» e sostengono di essere in possesso «di diverse soluzioni» per raggiungere i propri scopi. Uno scenario che il Times ha definito «un salto indietro verso il nazismo». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/22/esteri/orrore-a-mosul-lisis-ha-usato-prigionieri-come-cavie-per-le-armi-chimiche-DxrzWq2CTAQc15nmpwCg8N/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Le truppe governative irachene entrano nel centro storico di.. Inserito da: Arlecchino - Giugno 25, 2017, 04:43:52 pm Le truppe governative irachene entrano nel centro storico di Mosul
È l’ultima roccaforte dell’Isis nella seconda città irachena. Lo ha detto il generale Abdul-Amir Rasheed Yar Allah Pubblicato il 18/06/2017 - Ultima modifica il 18/06/2017 alle ore 09:11 Giordano STABILE Inviato a Beirut E’ cominciato l’assalto alla Città vecchia di Mosul, l’ultima quartiere ancora in mano all’Isis in quella che era la capitale dello Stato islamico. “Le forze speciali, l’esercito e la polizia federale stanno prendendo parte all’operazione”, ha riferito il generale Abdul-Amir Rasheed Yar Allah, comandante delle operazioni terrestri nella provincia di Ninive. La battaglia di Mosul è cominciata lo scorso 16 ottobre. Circa 80 mila uomini dell’esercito, delle milizie sciite e dei Peshmerga curdi hanno affrontato dai 6 agli 8 mila jihadisti trincerati in quella che era una metropoli di due milioni di abitanti. Ora ne sarebbero rimasti 5-600, solo nella centro storico, un quadrato di due chilometri per due. Assieme agli islamisti ci sono ammassati 100 mila civili, usati come scudi umani. I cecchini dell’Isis sparano su chiunque cerchi di fuggire. I jihadisti si sono fortificati attorno alla moschea Al-Nouri al-Kabir, dove il 29 giugno di tre anni fa Abu Bar al-Baghdadi ha proclamato la rinascita del Califfato. La bandiera nera sventola sul minareto “gobbo” della moschea, simbolo della città e del sunnismo radicale dei salafiti jihadisti. Ancora per poco. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/18/esteri/le-truppe-governative-irachene-entrano-nel-centro-storico-di-mosul-XIPHlyBpCYu82A9yD4gRuN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Infiltrati in Asia e attacchi in Europa, i nuovi confini... Inserito da: Arlecchino - Giugno 28, 2017, 12:12:16 pm Infiltrati in Asia e attacchi in Europa, i nuovi confini del Califfato “liquido” Quasi sconfitto in Siria e Iraq, l’Isis si espande in zone remote difficili da controllare In due anni la coalizione anti Isis ha recuperato due terzi dei territori governati da Abu Bakr Al Baghdadi Pubblicato il 28/06/2017 - Ultima modifica il 28/06/2017 alle ore 09:29 Giordano Stabile Inviato a Beirut C’è stato un Califfato «solido» che fra il 2014 e il 2015 ha pensato di creare in Medio Oriente uno Stato islamico egemone nel mondo musulmano. Il progetto è stato bloccato da una coalizione mondiale che, per quanto litigiosa, in due anni ha recuperato i due terzi dei territori governati da Abu Bakr al-Baghdadi e ridotto i suoi domini a una striscia lungo l’Eufrate e qualche pezzo di Mosul e Raqqa. Ma dal Califfato «solido» ne sta nascendo uno «liquido». Come l’acqua, va a infilarsi ed Tre anni fa, quando il 29 giugno 2014 dalla moschea Al-Nuri di Mosul Al-Baghdadi proclamava la rinascita del Califfato abolito nel 1924, l’Isis è stato a un passo da compiere il più grande sconvolgimento in Medio Oriente dalla Prima guerra mondiale. Tra Siria e Iraq contava su 100 mila «soldati» e le sue colonne erano a 40 chilometri da Baghdad. La leva di massa di 200 mila miliziani sciiti in poche settimane, ordinata dall’Ayatollah Ali Al-Sistani, e i raid martellanti dall’aviazione americana, hanno salvato la capitale irachena. Se avesse preso Baghdad il califfo si sarebbe insediato in pianta stabile in Mesopotamia, ora invece si deve trovare un nuovo rifugio. La parola d’ordine dei primi anni, «baqiyah e mutamedidah», «rimanere ed espandersi», è quasi scomparsa nel corso del 2017. Un’analisi dell’International Center for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr) ha documentato il cambio. I video che esaltavano la vita nel Califfato in Siria e Iraq, come meta ideale per tutti i «veri» musulmani, erano il 53 per cento nel 2015 ma sono passati al 14 per cento quest’anno. Quelli dedicati alla guerra sono passati dal 39 all’80 per cento. Le perdite territoriali sono adesso ammesse e giustificate, come una «fase» negativa in una storia secolare, allo stesso modo delle prime sconfitte di Maometto poi trasformate in trionfi. E vengono tracciati nuovi confini. L’ultimo numero del mensile «Rumayah» incita i jihadisti perché le sconfitte non faranno che «accendere il fuoco in tutto il mondo» e alla fine «ogni centimetro quadrato di territorio musulmano verrà riconquistato». Gli attacchi a Manchester, Londra, sugli Champs Elysées mostrano che l’Isis è ancora in grado di colpire in Europa, anche se su scala ridotta. L’assalto a Teheran del 7 giugno è frutto di un’infiltrazione pesante e gli apparati di sicurezza iraniani hanno rivelato di aver smantellato «45 cellule in 12 mesi». Poi ci sono le conquiste territoriali. Non paragonabili a quelle in Siria e Iraq, ma significative. Fra il 2015 e il 2017 ha espanso il suo controllo, in aree di Algeria e Tunisia, in Somalia, Africa Occidentale, Afghanistan. In Libia ha perso Sirte ma è presente fra Bani Walid e l’oasi di Jufra. Le posizioni acquisite nel Sinai sono in gran parte integre. Il caso più clamoroso sono le Filippine. Nell’isola di Mindanao l’Isis ha integrato i gruppi jihadisti locali, Abu Sayyaf e Maute, con combattenti stranieri dall’Asia meridionale, ha creato un battaglione di 800 uomini, conquistato un centro di 200 mila abitanti, Marawi, che dopo un mese e mezzo controlla ancora per due terzi. Anche dove è costretto a ritirarsi, secondo l’analisi dell’Icsr, l’Isis cerca di mettere le basi per un ritorno. Con i conflitti settari, contro cristiani, sciiti, fra tribù sunnite rivali, con la diffusione dell’ideologia «salafita jihadista», vecchia di un secolo, e il progetto di ricostruzione di un grande Stato islamico anti-occidentale. Il punto debole dello schieramento anti-jihadisti resta l’Iraq, «lontano un milione di miglia dall’essere uno Stato stabile e coeso» e dove in autunno, con l’indipendenza del Kurdistan, si potrebbe aprire una nuova fase della guerra civile. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/28/esteri/infiltrati-in-asia-e-attacchi-in-europa-i-nuovi-confini-del-califfato-liquido-hPbgbOcoIXJwoVgQ1zXSkL/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. In Iraq la Norimberga dell’Isis tra processi sommari ed esecuz Inserito da: Arlecchino - Luglio 09, 2017, 09:57:12 am In Iraq la Norimberga dell’Isis tra processi sommari ed esecuzioni
Il tribunale speciale allestito in ciò che resta della città cristiana di Qaraqosh Ogni giorno giudicati 60 miliziani del Califfato. La pena minima è di 15 anni Pubblicato il 02/07/2017 - Ultima modifica il 02/07/2017 alle ore 07:28 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT C’è una Norimberga anche per l’Isis. Sotto tono, lontano dai riflettori dei media, ma dove fino a 60 ex combattenti dello Stato islamico vengono processati ogni giorno. La sede di questo tribunale speciale, nei fatti anche se non nel nome, è a Qaraqosh, una volta la più grande città cristiana dell’Iraq, sessantamila abitanti, quasi tutti appartenenti alla Chiesa cattolica sira. A Qaraqosh, conosciuta anche con il nome di Al-Hamdaniya, non è rimasto quasi nessuno. Una città fantasma, con la chiesa principale accartocciata su se stessa, attraversata da una strada che da Erbil porta a Mosul Ovest, l’unica percorribile dopo la distruzione dei ponti sul Tigri. Per una sorta di contrappasso si è trasferito qui il tribunale della provincia di Ninive, subito dopo la liberazione della cittadina. Ed è qui, man mano che Mosul veniva riconquistata, che sono stati portati gli islamisti catturati, pochi, e i civili sospettati di aver fatto parte dell’Isis e poi fuggiti in mezzo al fiume di profughi che ogni giorno usciva dalla città. Tra marzo e giugno quasi mezzo milione di persone ha lasciato Mosul Ovest. Ora il flusso si è quasi interrotto, anche se nella Città vecchia restano ancora 50 mila persone intrappolate. La selezione comincia alle porte della città, sulla strada che collega Mosul ad Hammam al-Ali, dove ci sono i più grandi campi profughi. La polizia federale divide uomini da donne e bambini. E poi verifica le identità su una «lista» dove sono segnati tutti i sospetti. Quelli identificati sono portati a Qaraqosh. La Corte unificata di Ninive occupa due edifici. In una c’è una specie di anagrafe. Per tre anni tutte le nuove nascite sono state segnate nel sistema del Califfato, come anche le nuove carte di identità, i certificati di matrimonio. Gli ex sudditi del califfo Abu Bakr al-Baghdadi vengono al primo edificio del tribunale per rimettersi in regola e tornare cittadini iracheni. Nel secondo edificio invece si tengono i processi. È un edificio a due piani, forse una villetta privata requisita per le esigenze dello Stato, anche perché meno di un decimo degli abitanti sono tornati. Al primo piano si tengono i processi per i risarcimenti dei danni di guerra. Famiglie che hanno perso la casa, la macchina, nei combattimenti fra esercito e jihadisti, e anche sotto i bombardamenti. La «Norimberga dell’Isis» è al secondo piano. Decine di sospetti «legati e bendati», secondo testimoni, vengono portati ogni giorno nelle stanze di sopra. Non ci sono «pezzi grossi». L’attenzione è soprattutto concentrata sugli appartenenti alla tribù dei Joubari, che forniva, secondo le milizie sciite, «l’80 per cento degli uomini della polizia dell’Isis». È una cifra difficile da verificare, ma è confermato, da fonti indipendenti, che nel 2014 l’Isis aveva stretto accordi con le più importanti tribù sunnite ostili a Baghdad e affidato a loro la gestione della città, mentre l’aspetto militare restava nelle mani dei jihadisti, soprattutto stranieri. Ora però la «Norimberga» di Qaraqosh potrebbe portare a una giustizia sommaria. Non a caso il premier Haider al-Abadi, su suggerimento degli americani, si è sempre opposto a processi di massa. Alla Corte le cose vanno spedite. Secondo il portale «Al Monitor» gli imputati rischiano pene da un mimino di 15 anni fino alla condanna a morte. Il capo di accusa è sempre quello, «terrorismo», in base a una legge del 2005 varata per stroncare la ribellione nelle province sunnite. Alcuni imputati vengono poi spediti a Baghdad. Altri, secondo la testimonianza di avvocati voluti restare anonimi raccolta da «Foreign Affairs», «sono mandati a combattere nelle file di milizie sunnite anti-Isis, se non si sono macchiati di fatti di sangue». Questo «riciclaggio» non è anomalo: il governo di Baghdad ha un bisogno disperato di combattenti per controllare le vaste aree sunnite strappate all’Isis, quasi metà del Paese. Gli interrogatori dell’accusa «durano al massimo quindici minuti». Le domande sono sempre le stesse: «Hai sparato colpi di mortaio o razzi sulle nostre truppe? Hai usato armi da fuoco? Nella tua unità altri hanno sparato contro i nostri soldati? Quanti combattenti stranieri o arabi erano con voi?». E poi la domanda finale. «Ti sei pentito?». I giudici cercano soprattutto di capire se il sospetto ha fatto parte del Diwan al-Jund, il corpo militare dell’Isis, incaricato di resistere all’offensiva dell’esercito. Il Diwan al-Jund aveva due guarnigioni, una a Mosul Est l’altra a Ovest, e ha inflitto perdite pesanti alle forze anti-terrorismo. Quasi tutti gli imputati cercano invece di farsi passare per semplici «impiegati» del Califfato, al massimo alle dipendenze del Diwan al-Morabata, cioè la polizia locale, «reclutati a forza, per evitare rappresaglie sulla famiglia» e avere diritto alla «distribuzione del cibo». La realtà del Califfato è anche questa: un nucleo di fanatici che ha tenuto in pugno una città di due milioni di abitanti ridotti alla fame. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/02/esteri/in-iraq-la-norimberga-dellisis-tra-sospetti-e-processi-sommari-btc607JpgyCFUdkgylQVgL/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. I curdi siriani: Al-Baghdadi è ancora vivo, si trova a Raqqa Inserito da: Arlecchino - Luglio 18, 2017, 04:23:47 pm I curdi siriani: Al-Baghdadi è ancora vivo, si trova a Raqqa
Anche gli Usa dubitano della morte del “califfo” dell’Isis, mentre Iran e Russia confermano l’uccisione Pubblicato il 17/07/2017 - Ultima modifica il 17/07/2017 alle ore 16:51 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Continua il rimpallo di notizie sulla sorte di Abu Bakr al-Baghdadi. Dopo che un mese fa il ministero della Difesa russo aveva detto che era stato ucciso vicino a Raqqa, e dopo che i media sciiti iracheni avevano confermato la morte e aggiunto che anche l’Isis l’aveva ammessa, oggi i servizi dei curdi siriani si dicono invece certi “al 99 per cento” che il leader dell’Isis è ancora vivo. I dubbi americani Già ieri i servizi segreti iracheni avevano ridimensionato le certezze sull’eliminazione dell’autoproclamato califfo, mentre quelli americani erano sempre stati molto scettici. Ora le forze curde siriane impegnate nella battaglia contro lo Stato islamico a Raqqa, si dicono convinte che il capo dell’Isis non è morto e che si nasconde nei pressi di Raqqa, “capitale’ “del califfato in Siria, ora assediata. La capitale assediata “Sono sicuro al 99% che il capo dell’Isis, il terrorista che si fa chiamare Abu Bakr al-Baghdadi sia ancora in vita e che si trovi in una zona a sud di Raqqa”, ha dichiarato Lahur Talabani, “un alto funzionario curdo nella lotta al terrorismo” come riportano diversi media arabi tra i quali Sky News Arabyyi, una tv satellitare basta ad Abu Dhabi, sul modello della saudita Al-Arabiya. Battaglia di propaganda Il rimpallo di notizie si lega però anche alla guerra propagandistica che oppone i due principali fronti impegnati nella lotta all’Isis, in concorrenza fra loro. Il fronte formato da Bashar al-Assad, Iran, milizie sciite irachene e Russia tende a confermare la morte di Al-Baghdadi perché sarebbe opera di una raid russo, quindi merito loro. I media filo-sciiti alimentano questo filone. Il fronte formato da parte del governo iracheno, Paesi sunniti del Golfo, Stati Uniti tende a ridimensionarla. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/17/esteri/i-curdi-siriani-albaghdadi-ancora-vivo-si-trova-a-raqqa-SaZzgRv6VIoBd4WoQffHJN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Yemen, primo raid Usa contro l’Isis: uccisi 50 jihadisti Inserito da: Arlecchino - Ottobre 18, 2017, 07:10:33 pm Yemen, primo raid Usa contro l’Isis: uccisi 50 jihadisti
Pubblicato il 17/10/2017 - Ultima modifica il 17/10/2017 alle ore 09:46 GIORDANO STABILE L’aviazione americana ha compiuto il primo raid contro l’Isis in Yemen. Droni armati hanno bombardato due campi di addestramento nella zona centrale del Paese. Nei campi c’erano almeno 50 jihadisti e «decine» di loro sono stati uccisi, ha precisato il Pentagono. I due campi, situati nel governatorato di Al-Bayda, venivano utilizzati per «addestrare i miliziani a compiere attacchi con kalashnikov, mitragliatrici, lanciarazzi». In competizione con Al-Qaeda La provincia di Al-Bayda è finita sotto il controllo dei gruppi islamisti da quando nel 2015 è scoppiata la guerra civili fra gli sciiti Houti e le forze del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi. In Yemen opera soprattutto Al-Qaeda nella penisola arabica (Aqap), ma l’Isis sta cercando di inserirsi, come ha già fatto in Libia e Somalia. Due settimane fa i media ufficiali dell’Isis, Al-Furqan, avevano diffuso immagini di un campo nello Yemen, all’interno di un «wadi», una stretta valle in mezzo al deserto. Il «servizio» di propaganda sottolineava la capacità dello Stato islamico di riorganizzarsi, nonostante le sconfitte in Siria e Iraq, e di espandersi verso nuovi territori. Pericolo per il mondo Per questo gli Stati Uniti hanno deciso di colpire rapidamente. «Le Forze Usa stanno sostenendo le operazioni antiterrorismo contro l’Isis e l’Aqap – ha sottolineato il Pentagono - per ridurre le capacità dei due gruppi di coordinare attacchi esterni e mantenere il controllo di pezzi di territorio nel Paese», anche perché l’Isis ha usato questi territori «per pianificare, dirigere, ispirare, reclutare per attacchi terroristici contro l’America e i suoi alleati in tutto il mondo». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/10/17/esteri/yemen-primo-raid-usa-contro-lisis-uccisi-jihadisti-cAKVk4cpxVm4hfDmxPeQmM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. I pasdaran pronti alla guerra: “Possiamo colpire le basi Usa” Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2017, 12:16:14 pm I pasdaran pronti alla guerra: “Possiamo colpire le basi Usa”
Il comandante Suleimani deciso a dare battaglia in Iraq e Siria. Rohani: continueremo a rafforzare le nostre capacità di difesa Pubblicato il 14/10/2017 - Ultima modifica il 14/10/2017 alle ore 11:15 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Qassem Suleimani, leader delle forze d’élite dei pasdaran, gli Al-Quds, è l’uomo che ha scompaginato i piani degli americani in Medio Oriente. Nel 2008, durante la guerriglia contro le forze statunitensi in Iraq, condotta dai sunniti quanto dagli sciiti, si è guadagnato il soprannome di «viceré dell’Iraq». Ora il titolo andrebbe esteso alla Siria e al Libano, dove la sua influenza è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi sei anni. Il comandante «è come l’acqua», spiega un ufficiale di Hezbollah, «si infila appena vede un fessura strategica». La grande fessura, una voragine, l’ha scavata per lui l’Isis nel 2014. Uno degli obiettivi del califfo Abu Bakr al-Baghdadi era cancellare i confini di Sykes-Picot e creare un impero sunnita. Adesso, con lo Stato islamico ormai quasi sconfitto, le frontiere fra Libano, Siria, Iraq sono destinate a rimanere, sulla carta. Ma sul terreno si è creato un grande spazio libero, dove operano senza ostacoli, dal Mediterraneo all’Iran, le forze paramilitari costruite da Suleimani. È questa forza, flessibile e poco controllabile, a dare sicurezza (a volte supponenza) ai pasdaran. Se il presidente iraniano Hassan Rohani ha usato il fioretto nella sua replica a Donald Trump, accusato di ignorare «storia, geografia e diritto internazionale», e di aver dimenticato «il golpe della Cia» contro il premier Mohammad Mossadegh nel 1953 e l’appoggio americano a Saddam Hussein nella guerra Iran-Iraq. Il presidente ha poi aggiunto che Teheran continuerà «a rafforzare le nostre capacità di difesa». Mentre il leader del «Corpo delle guardie della rivoluzione islamica» (pasdaran significa «guardie»), Mohammed Ali Jafari, ha minacciato rappresaglie con i missili «sulle basi americane» e di considerare l’esercito statunitense «un’organizzazione terroristica». Ma dietro alle sparate propagandistiche c’è l’azione di Suleimani. Già lo scorso luglio il comandante ha chiamato il premier iracheno Haider al-Abadi. «Dì ai tuoi amici americani – è il succo della conversazione – che in Iraq ci sono 100 mila combattenti ai miei ordini e che se loro ci attaccano in Siria io posso trasformare l’Iraq di nuovo in un inferno». L’avvertimento è valido anche adesso. L’Iran ha uno stretto controllo su almeno metà delle milizie sciite irachene, al-Hashd al-Shaabi. Ai centomila uomini in Iraq, vanno sommati altri cinquantamila in Siria, fra siriani, iracheni, sciiti afghani e pachistani, e altrettanti di Hezbollah in Libano. In tutto quasi il doppio dei pasdaran iraniani, 125 mila, compresi i 25 mila che operano nei reparti missilistici e nel Golfo Persico. Secondo l’antiterrorismo americano le forze sciite fuori dall’Iran vanno considerate «parti integranti» dei pasdaran: siamo quindi di fronte a oltre 300 mila combattenti. Lo stretto controllo iraniano è vero per l’ala militare dei movimenti sciiti, ma non va dimenticato che Hezbollah, ma anche molte milizie degli al-Hashd al-Shaabi in Iraq, possiedono un’ala politica, sono radicati sul territorio, hanno rappresentanti in Parlamento e nei governi libanese e iracheno. Sono questi aspetti che rendono la «guerra ibrida» praticata da Suleimani molto efficace. Le milizie riescono a reclutare giovani anche perché in cambio danno servizi gratuiti, ospedali e scuole superiori. La leadership dei pasdaran non intende però andare allo scontro diretto con le forze militari americane in Medio Oriente. Ci potrebbero essere «scherzetti», soprattutto nella zona di Al-Tanf in Siria, un posto di frontiera con Iraq e Giordania controllato dalle forze speciali americane. Una pratica consolidata per i pasdaran, che provocano e «testano» spesso con i loro barchini veloci le unità della Marina americana nel Golfo Persico. L’altro punto dove le milizie sciite potrebbero alimentare le tensioni è il fronte di Kirkuk in Iraq. Qui la potente milizia Kataib Imam Ali è arrivata a contatto con i peshmerga curdi a Sud della città e ieri ha occupato alcuni check-point. Colpire i curdi, i più affidabili alleati degli Stati Uniti nella regione, è una possibile ritorsione. Ma la pressione più grande è sull’alleato strategico di Washington, Israele. L’ufficiale di Hezbollah fa notare che con gli sviluppi della guerra in Siria ora l’ampiezza del fronte fra la milizia libanese e le forze israeliane «non è più di cento chilometri ma di trecento». Come dire, possiamo infiltrarci più facilmente. Hezbollah è già finito nel mirino nella nuova strategia anti-Iran di Trump, e sulle teste di due comandanti, Talal Hamiyah, il capo delle «operazioni estere», e Fuad Shukr, sono state messe taglie di sette e cinque milioni di dollari. «Come mettere una taglia su due fantasmi», è la replica. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/10/14/esteri/i-pasdaran-pronti-alla-guerra-possiamo-colpire-le-basi-usa-WB2MV5cf2OXZ5d51UiDfMO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Raqqa, viaggio nella terra dell’Apocalisse Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2017, 07:16:35 am Raqqa, viaggio nella terra dell’Apocalisse
L’ex capitale dell’Isis è una città fantasma. Le famiglie che provano a tornare saltano sulle mine lasciate dai miliziani. Ed è emergenza umanitaria per i civili in fuga dagli sciiti Pubblicato il 02/11/2017 - Ultima modifica il 02/11/2017 alle ore 12:57 GIORDANO STABILE INVIATO A RAQQA Un ponte sopra un torrente che scorre in un fosso, fra i canneti ingialliti dalla sabbia del deserto. È questo il limite occidentale della città fantasma, Raqqa, l’ex capitale dello Stato islamico ridotta a un cumulo di macerie. Da questa parte, lungo la strada polverosa, qualche bottega ha riaperto e le prime famiglie sono tornate. Di là è una terra di nessuno, dove possono entrare solo gli sminatori inviati dagli Stati Uniti. La maggior parte dei quartieri, i tre quarti di una città che una volta contava mezzo milione di abitanti sono disabitati. Tutti gli accessi sono sorvegliati ma ogni notte qualcuno cerca di entrare, di andare a vedere che cosa è rimasto della propria casa. E ogni notte si sentono le esplosioni delle bombe trappole piazzate dall’Isis prima della disfatta. In due settimane, dopo la fine della battaglia, sono morte 19 persone. Una volta perduta, Raqqa doveva diventare inabitabile. Ed è così, per ora. Subito dopo il ponte, al check point delle Forze democratiche siriane, sventola la bandiera dello Ypg, i guerriglieri curdi che hanno condotto il grosso della battaglia, per oltre quattro mesi, e perso 600 combattenti, i loro «martiri». Accanto alla moschea semidistrutta, due fuoristrada sbarrano la strada. Oltre si prosegue nel quartiere di Sibahiya e poi nel centro della città moderna, dove l’Isis ha condotto l’ultima resistenza. Ma la strada è ancora chiusa. «L’Isis ha minato tutto, anche le porte delle case, le pentole, i giocattoli», conferma Danis, il comandante dell’area, in mimetica, maglioncino e scarpe da ginnastica blu. È un esercito che veste casual quello dello Ypg, ma sulla terrazza della moschea c’è ancora piazzata una mitragliatrice da 7,62, nera luccicante. Il califfato a Raqqa è finito, ma «non si sa mai». La tensione che ancora si sente, dopo una lotta così dura, non è però soltanto per il fantasma dell’Isis, che continua a uccidere dopo esser stato distrutto. I guerriglieri curdi faticano a controllare la pressione degli abitanti che vogliono entrare, a qualsiasi costo. C’è una famiglia accampata proprio davanti al check-point. Il vecchio con il copricapo a quadretti rossi e bianchi dei beduini agita il bastone e fa la faccia dura, ma poi si siede, quasi si accascia. Si chiama Mohammad Qassim, ed è lì con la moglie, una sorella e il nipotino. La notte scorsa hanno arrestato il figlio maggiore: «Era andato soltanto a vedere la casa», spiega. Non è un «criminale, devono liberarlo». Anche perché di notte la città «pullula di sciacalli, si portano via tutto, ma quelli non li fermano». I pochi commercianti del quartiere accanto, Jazira, confermano. I combattenti stranieri La più combattiva è Fatima Mustafa, una donna sulla cinquantina, il viso tondo, con il vestito e l’hijab neri, come gli occhi che a un certo punto si riempiono di lacrime. «La casa mia è distrutta, in quella di mio figlio non c’è più nulla, neanche l’acqua per bere». Altri però l’interrompono. La vita è durissima ma è vita, «non la morte su questa Terra come sotto Daesh», cioè l’Isis. «Abbiamo visto tante decapitazioni, mani mozzate in piazza Al-Naim», raccontano: «Qualcuno ha creato questo mostro e ce l’ha messo in testa, come a Mosul, a Deir ez-Zour, sono venuti da tutto il mondo a massacrarci, noi di Raqqa non c’entriamo nulla». Tutti i capi, spiegano, erano stranieri, e anche la manovalanza più fanatica: «Almeno il 70 per cento: maghrebini, tunisini, sauditi, europei, anche americani, e tantissimi ceceni e russi», cioè combattenti dell’Asia centrale ex sovietica, uzbeki e tajiki, che qui come a Mosul hanno condotto una resistenza accanita e suicida. Ma non tutti. La battaglia si è chiusa due settimane fa con un accordo fra i curdi e i combattenti stranieri rimasti, circa trecento. Si sono arresi in cambio - anche se non è la versione ufficiale - di un salvacondotto verso le ultime zone ancora in mano allo Stato islamico, a valle lungo il fiume Eufrate. Il timore che possano in qualche modo tornare nei Paesi d’origine, anche in Europa, è elevato. L’ultima fase della guerra al Califfato sta scardinando tutte le frontiere. Da Ovest avanzano le forze governative e assediano i quartieri ancora in mano all’Isis di Deir ez-Zour; da Raqqa, verso Sud-Est, premono le Forze siriane democratiche guidate dai curdi; da Est sono l’esercito iracheno e le milizie sciite ad attaccare verso il confine fra Siria e Iraq e le città di Al-Qaim e Al-Bukamal. È una morsa tremenda, che schiaccia anche centinaia di migliaia di civili in fuga da tutto, dagli islamisti, dagli sciiti, dai governativi. Siamo di fronte a una «catastrofe umanitaria», conferma Angélique Muller, coordinatrice delle emergenze per Medici senza frontiere nel Nord della Siria. «Solo nei primi sette mesi del 2017 un milione e mezzo di persone hanno dovuto lasciare le loro case», a un ritmo mai visto in sette anni di guerra pure durissima. L’impatto è stato devastante verso la fine della battaglia di Raqqa e con l’inizio delle nuove offensive. «Due settimane fa - continua Muller - nel campo di Ain Issa c’erano 7 mila rifugiati, oggi sono 22 mila». Ma la maggior parte dei nuovi arrivi non sono dalla Siria. «Stanno arrivando migliaia di iracheni. All’inizio non capivamo poi è emerso un fenomeno sconvolgente: questa gente, sunnita, scappa dalle milizie sciite irachene, arriva fin qui per poi proseguire lungo l’Eufrate fino al confine con la Turchia, poi si sposta di nuovo verso Est in territorio turco e cerca di entrare nel Kurdistan iracheno». Un esodo biblico che si spiega soltanto perché il Kurdistan «è ancora considerato l’unica zona sicura per i sunniti in Iraq», nonostante lo scontro con il governo centrale iracheno delle ultime settimane. La guerra all’Isis ha lasciato in macerie anche gli Stati, la Siria e l’Iraq, non solo Raqqa. Il fanatismo sunnita ha massacrato sciiti, cristiani, curdi, yazidi. Ora i sunniti temono la vendetta sciita. «Assistiamo persone che sono dovute scappare due, tre volte, arrivano da tutta la Siria, anche dalle zone ora sotto controllo turco, come Idlib», continua Muller. Il Kurdistan siriano, il Rojava, è diventata l’ultima spiaggia per tutti, ma è poverissimo, «non ha nulla da offrire» e soprattutto «non ha più un sistema ospedaliero». Fin dove possono, sopperiscono le Ong, come Msf. I campi L’amministrazione locale messa in piedi alla meglio dai curdi del Pyd, il braccio politico dei guerriglieri, è «sopraffatta» da una crisi che metterebbe alla prova uno Stato solido. Nel campo principale di Ain Issa i funzionari che distribuiscono i buoni pasto urlano sempre più nervosi. Scandiscono nome e cognome e poi: «Min wein enta?», tu da dove vieni? La risposta che arriva dalla fila interminabile davanti allo sgabuzzino che funge da ufficio è quasi sempre «Iraq». Dalla zona di Al-Qaim, soprattutto, ma anche da province più lontane, come Salahuddin, Diyala. Sono i disperati in cerca di un porto sicuro che non esiste più in questo Medio Oriente scardinato dalle guerre. Anche i due Kurdistan, quello iracheno e quello siriano, sono sotto assedio, pressati dalla Turchia, e dai governi di Baghdad e di Damasco dominati dagli sciiti e alleati dell’Iran. L’esercito iracheno sta per prendere il posto di frontiera che collega i due Kurdistan, Fish Khabour. A quel punto i rifornimenti di armi per i guerriglieri, ma anche gli aiuti umanitari, saranno molto più difficili. I curdi siriani non ci vogliono pensare. Hanno un loro progetto, senza mezzi ma pieno di idealismo, anche se condito da una dose di marxismo-leninismo. In ogni caso all’opposto di quello dell’Isis. Parità fra donne e uomini, anche nell’esercito, e tante scuole, per tutti i bambini. Nel campo di Ain Issa è il primo giorno dell’anno scolastico, sotto la tende certo, ma si festeggia comunque assieme agli insegnanti. Per molti bambini fuggiti da Raqqa è la prima volta in assoluto, alcuni hanno anche dieci anni. Sotto il califfato c’erano solo lezioni di jihad e istruzione a uccidere. Ora questi bambini inzaccherati dal fango ballano in circolo e cantano. Non hanno più nulla, solo fame e freddo, ma per un’ora possono ridere felici. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/11/02/esteri/raqqa-viaggio-nella-terra-dellapocalisse-7NkTsheNlp5CAM9A9rzDUO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, vicino l’accordo fra Stati Uniti e Russia Inserito da: Arlecchino - Novembre 12, 2017, 12:20:26 pm Siria, vicino l’accordo fra Stati Uniti e Russia
Oggi l’incontro Trump-Putin in Vietnam per definire i dettagli del dopo-Isis Pubblicato il 10/11/2017 - Ultima modifica il 10/11/2017 alle ore 10:54 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Stati Uniti e Russia sono vicini a un accordo per i futuri assetti della Siria, ora che la guerra contro l’Isis è vicina alla fine. Il presidente americano Donald Trump e quello russo Vladimir Putin dovrebbero annunciarlo oggi nell’incontro previsto, anche se non formalizzato, in Vietnam. Il leader americano si trova in viaggio in Estremo Oriente e il summit con il capo del Cremlino non era in un primo momento previsto. I punti in discussione Il portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee ha confermato che ci potrebbe essere un incontro “meno formale”. Le due parti stanno lavorando per un’intesa che si articola su tre punti, secondo fonti rimaste anonime dell’entourage di Trump: una de-escalation fra le forze russe e americane presenti in Siria in modo da evitare incidenti, riduzione della violenza nella lotta fra le forze governative di Bashar al-Assad e i ribelli non Isis, un nuovo slancio alla missione di pace e di aiuti umanitari condotta dalle Nazioni Uniti. Caduto l’ultimo bastione dell’Isis La nuova prospettiva è stata aperta dalla sconfitta ormai inevitabile dello Stato islamico. Ieri l’esercito di Assad, appoggiato dalla Russia, dalle milizie libanesi di Hezbollah e anche da forze irachene, ha espugnato l’ultima cittadina ancora controllata dai jihadisti, Al-Bukamal, sul confine fra Siria e Iraq. Il territorio dell’Isis si estende ora soltanto su zone desertiche a Nord e a Sud dell’Eufrate, sia sul lato iracheno che siriano del confine. Il corridoio sciita Con la presa di Al-Bukamal e l’ingresso di forze irachene, milizie Hash al-Shaabi in Siria, il conflitto però assume una nuova dimensione. Il temuto “corridoio sciita” fra Baghdad e Damasco è ora effettivamente aperto e l’influenza dell’Iran sia in Siria che in Iraq è molto accresciuta, con la presenza di decine di migliaia di combattenti addestrati e inquadrati dal generale dei Pasdaran Qassem Suleimani. L’America, e Israele, vogliono evitare un dominio assoluto di Teheran sulla Mesopotamia. Evitare incidenti La nuova situazione potrebbe anche condurre a una guerra per procura fra Russia e America. Mosca appoggia Assad ma Washington addestra e arma i guerriglieri curdi dello Ypg, che dopo aver liberato Raqqa dall’Isis potrebbe scontrarsi con le forze governative proprio nella zona di Al-Bukamal e di Deir ez-Zour. Per questo le due potenze vogliono potenziare lo scambio di informazioni sulle loro attività in Siria, come già avviene in una “war room” comune costituita l’hanno scorso ad Amman in Giordania. Le richieste americane Washington vuole anche potenziare la “safe zone”, in realtà una zona cuscinetto nel Sud della Siria, al confine con la Giordania, dove i ribelli controllano ancora parte della provincia di Daraa. La de-esclation in quella zona è vista anche come una garanzia per la sicurezza di Israele. Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Russia di evitare che sia una presenza permanente di forze iraniane o milizie legare a Teheran. I colloqui di Ginevra La casa Bianca vorrebbe anche rilanciare la mediazione dell’Onu. I colloqui di Ginevra sono stati di fatto scavalcati dall’iniziativa di Astana, in Kazahstan, dove Russia, Iran e Turchia hanno delineato i futuri assetti della Siria senza tenere conto di Stati Uniti ed Europa. Mosca e Washington si sono però scontrati a Ginevra sulla sorte di Assad: per i russi non si può discutere il suo ruolo e deve rimanere al potere durante la transizione politica. Gli americani, e i loro alleati sunniti, a cominciare dall’Arabia saudita, chiedono invece che si faccia da parte. Tillerson Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha ribadito che Ginevra resta “il posto giusto per discutere”. Mosca aveva chiesto che il vertice Trump-Putin, visto che i due leader si trovavano contemporaneamente in visita ufficiale in Vietnam, fosse organizzato in maniera formale. Ma Tillerson ha frenato: “Siamo sicuri che ci sia abbastanza sostanza e valga la pena di tenere un summit formale?”, ha spiegato. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/10/esteri/siria-vicino-laccordo-fra-stati-uniti-e-russia-OORRMOF5v5fC8brzFeGVqL/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE Esercito sciita e milizie curde i protagonisti del dopo Isis... Inserito da: Arlecchino - Novembre 12, 2017, 12:46:24 pm Esercito sciita e milizie curde, i protagonisti del dopo Isis che allarmano Usa e Russia
Scomparso il “cuscinetto” dei jihadisti ora le due forze potrebbero scontrarsi Pubblicato il 11/11/2017 - Ultima modifica il 11/11/2017 alle ore 07:16 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT La guerra all’Isis in Siria sta per finire e Usa e Russia non vogliono ritrovarsi invischiati in un altro conflitto per procura, al fianco dei rispettivi alleati. È il paradosso della vittoria contro gli islamisti del Califfato, ormai ridotto a qualche striscia di territorio desertico a Nord-Est dell’Eufrate, su entrambi i lati della frontiera fra Siria e Iraq. Con la liberazione di Raqqa, poi la conquista di Deir ez-Zour da parte dell’esercito di Assad, infine la caduta ieri di Al-Bukamal, l’ultima cittadina in mano all’Isis, si è chiuso un ciclo durato quasi quattro anni, durante i quali i seguaci del califfo al-Baghdadi hanno governato centinaia di centri urbani grandi e piccoli. La situazione però non è tornata quella del 2014 e nemmeno quella del 2011, prima dell’inizio della rivolta contro Assad. Due forze sono emerse dalla «ristrutturazione» del Medio Oriente e sono destinate a pesare nei prossimi anni. La loro gestione, e la loro «limitazione», è al centro delle trattative fra Mosca e Washington. Il primo dato, il più impressionante, è la nascita di un esercito transnazionale sciita, libero di muoversi fra Siria e Iraq e connesso con l’Hezbollah libanese. Sono le milizie Hashd al-Shaabi create e modellate dal generale dei Pasdaran Qassem Suleimani. Milizie sciite esistevano anche prima in Iraq e Libano, e in maniera molto limitata in Siria. Ma ora sono organizzate in maniera organica, contano dai 150 ai 300 mila combattenti, hanno imparato a combattere come un esercito regolare: assalti con l’appoggio di artiglieria e aviazione, blitz delle forze speciali, guerra urbana con uso di droni e intelligence. Queste capacità preoccupano l’America e ancor più Israele. Nell’assetto del dopo-Isis, è la prima richiesta di Washington, non ci deve essere «una loro presenza permanente» in Siria, in particolare nella regione al confine con lo Stato ebraico e la Giordania. L’altra forza emersa dalla disfatta dell’Isis è quella dei guerriglieri curdi dello Ypg. Sono loro il nerbo delle Forze democratiche siriane che hanno liberato la provincia di Raqqa, quasi metà di quella di Deir ez-Zour e ora controllano circa un quarto della Siria. Finché c’era il «cuscinetto» dello Stato islamico curdi ed esercito siriano hanno rispettato un tacito accordo: «Io non ti attacco, tu non mi attacchi». Ma ora l’intesa vacilla anche perché Assad ha detto che vuol riprendersi «ogni centimetro quadrato di territorio». Ci sono le premesse per uno scontro che questa volta vedrebbe Mosca e Washington una contro l’altra. In Siria ci sono oltre 10 mila militari russi, almeno 4 mila americani, e nei cieli volano decine di aerei ogni giorno. Per questo l’intesa su cui lavorano le diplomazie prevede prima di tutto di potenziare la «war room» che ufficiali russi e Usa condividono ad Amman, in Giordania, e che serve a comunicare i rispettivi movimenti e a evitare «incidenti». È questo il primo dei tre punti in discussione, fatti trapelare da funzionari della Casa Bianca. Il secondo si incentra su una «riduzione della violenza» nelle zone dove ancora si scontrano i governativi con ribelli non-Isis. Sono in particolare la periferia Est di Damasco e la provincia di Daraa, al confine con la Giordania. Un rafforzamento delle «safe-zone» dove vige la tregua servirebbe anche a creare una «zona cuscinetto» vicino a Israele e a escludere appunto la presenza di milizie sciite. L’ultimo punto prevede «un nuovo slancio» alla missione di pace e di aiuti umanitari condotta dalle Nazioni Unite. I colloqui di Ginevra sotto egida Onu sono stati di fatto scavalcati dall’iniziativa di Astana, in Kazakhstan, dove Russia, Iran e Turchia hanno delineato i futuri assetti della Siria senza tenere conto di Usa e Ue. Ma il segretario di Stato Tillerson ha insistito ieri che è Ginevra la «sede appropriata» per il processo di pace. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/11/esteri/esercito-sciita-e-milizie-curde-i-protagonisti-del-dopo-isis-che-allarmano-usa-e-russia-oVEGjNnfwqpUkPQKmrvkUI/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Il Kurdistan verso la rinuncia all'indipendenza Inserito da: Arlecchino - Novembre 16, 2017, 09:00:20 pm Il Kurdistan verso la rinuncia all'indipendenza
Il governo di Erbil accetta la sentenza della Corte suprema: referendum illegale Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 15/11/2017 alle ore 07:38 Giordano Stabile Il governo regionale del Kurdistan iracheno fa un passo decisivo verso la rinuncia all’indipendenza. In un comunicato ufficiale le autorità di Erbil riconoscono la sentenza dell’Alta corte suprema che aveva giudicato il referendum illegale sulle base dell’Articolo 1 della Costituzione. Secessione vietata I curdi avevano in un primo momento contestato l’interpretazione dato dalla Corte all’Articolo 1, che garantisce “l’unità dell’Iraq”. Ora invece accettano il fatto che la Carta fondamentale impedisce “la secessione di ogni parte dell’Iraq”, compresa la Regione autonoma del Kurdistan. La battaglia per Kiruk La rinuncia all’indipendenza è il primo punto delle richieste del premier iracheno Haider al-Abadi nelle trattative per risolvere la crisi cominciata dopo il voto del 25 settembre, e che hanno portato allo scontro fra le forze armate curde, i Peshmerga, e l’esercito federale, appoggiato dalle milizie sciite. Blocco totale Lo scorso 18 ottobre Baghdad ha riconquistato Kirkuk e gran parte dei “territori contesi” fra la Regione autonoma e il governo federale, compresa la Piana di Ninive, abitata in maggioranza da cristiani, a Nord di Mosul. Ma il governo di Al-Abadi chiede anche il controllo di tutti i posti di frontiera, degli aeroporti (sottoposti a un blocco) e delle esportazioni di petrolio verso la Turchia. Il premier Al-Abadi Al-Abadi ha accolto “positivamente” la decisione di Erbil di accettare la sentenza dell’Alta corte. Il premier ha già incassato le dimissioni del presidente curdo Massoud Barzani, artefice della marcia verso l’indipendenza culminata con il referendum del 25 settembre. Ora può trattare da una posizione di forza la resa totale del Kurdistan alle sue condizioni. Usa e Ue Barzani aveva deciso di indire il referendum nonostante il parere contrario dei suoi principali alleati internazionali, Usa e Ue. Sia Washington che Bruxelles ha tenuto una posizione “neutrale” durante lo scontro con Baghdad. Senza appoggi internazionali il Kurdistan ora si è reso conto che la scommessa di Barzani non era destinata al successo e ha cominciato la ritirata. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/esteri/il-kurdistan-verso-la-rinuncia-allindipendenza-IwYm5b7V8kA1Wf3sPhzfZK/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Lo sporco segreto di Raqqa: lasciati fuggire i terroristi... Inserito da: Arlecchino - Novembre 20, 2017, 05:30:09 pm Lo sporco segreto di Raqqa: lasciati fuggire i terroristi dell’Isis
Inchiesta delle Bbc rivela i dettagli dell’accordo fra curdi e islamisti: salvi anche i foreign fighters Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 14/11/2017 alle ore 15:59 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT L’accordo per l’evacuazione di centinaia di combattenti dello Stato islamico, con le loro famiglie, aveva gettato un’ombra sulla vittoria a Raqqa delle Forze democratiche siriane (Sdf), guidate dai guerriglieri curdi dello Ypg. Ora un’inchiesta della Bbc rivela nuovi, inquietanti, dettagli sull’intesa che ha permesso di accelerare la caduta della capitale del Califfato in Siria, un mese fa, ma ha messo in salvo almeno 250 combattenti, comprese decine di stranieri, anche europei. Terroristi che sono stati portati negli ultimi territori ancora in mano allo Stato islamico, nella provincia di Deir ez-Zour e da lì, perlomeno alcuni, hanno imboccato del vie dei trafficanti di esseri umani fra la Siria e la Turchia. I CONDUCENTI NON PAGATI L’accordo, nei suoi dettagli, doveva rimanere segreto. Ma già fra il 12 e il 14 ottobre, erano circolate immagini di pullman verdi (quelli che di solito vengono usati per l’evacuazione di combattenti islamisti in Siria) alla periferia di Raqqa. Spezzoni di filmati da cellulari avevano anche mostrato parti del convoglio che usciva dalla città, con combattenti in piedi sui cassoni dei camion che li trasportavano, con le loro armi. Alle trattative fra capi dell’Isis e le Sdf avevano assistito anche rappresentati della Coalizione a guida americana che ha addestrato e armato i guerriglieri curdi e i loro alleati, ma «senza partecipare». I curdi, rivela ora la Bbc, avevano promesso «migliaia» di dollari ai conducenti dei pullman e dei camion perché «mantenessero il segreto». Invece gli autisti non sono mai stati pagati e ora hanno raccontato tutto all’inviato dell’emittente britannica Quentin Sommerville. UNA COLONNA LUNGA CHILOMETRI Il convoglio era composto da 45 camion, 13 pullman e un centinaio di veicoli dell’Isis. In tutto ha trasportato almeno 250 combattenti jihadisti, la maggior parte con le loro armi, persino cinture esplosive, e 3500 famigliari. La colonna si snodava per sei chilometri e mezzo. Agli autisti non era stato anticipato né le dimensioni dell’evacuazione («Ci avevano parlato di alcuni centinaia di persone», rivela uno dei conducenti Abu Fawzi, di Tabqa) né il fatto che sarebbero dovuti entrare dentro la città assediata da soli, senza scorta, dove si sono trovati davanti ai terroristi armati fino ai denti, con le cinture esplosive addosso, che hanno «minato con l’esplosivo tutti i mezzi» per farli saltare in aria nel caso l’accordo non fosse stato rispettato. I FOREIGN FIGHTERS Invece di un «lavoro di poche ore» gli autisti si sono imbarcati in una odissea di tre giorni, verso Sud e la zona di Al-Bukamal, al confine fra Siria e Iraq. Gli aerei della coalizione a un certo punto hanno cominciare a «volare basso e sganciare bombe illuminanti», ma non hanno attaccato il convoglio. A bordo dei mezzi c’erano anche molti combattenti stranieri, compresi francesi. Alcuni si sono mescolati al flusso di profughi che da Al-Bukamal e da tutta la provincia di Deir ez-Zour risale l’Eufrate fino alla zona di Raqqa per rifugiarsi nei campi e poi tentare di passare in Turchia con i trafficanti di uomini. Come si temeva a metà a ottobre, quando erano trapelati i primi dettagli dell’intesa, l’evacuazione ha permesso la conquista di Raqqa un mese prima del previsto, ma ha lasciato a piede libero centinaia di terroristi, decine europei. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/esteri/lo-sporco-segreto-di-raqqa-lasciati-fuggire-i-terroristi-dellisis-qXFZUyv54s7onBfIpck8iO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Yemen, l’ex presidente Saleh ucciso mentre fuggiva da Sanaa Inserito da: Arlecchino - Dicembre 04, 2017, 11:06:55 pm Yemen, l’ex presidente Saleh ucciso mentre fuggiva da Sanaa
Scontri nella capitale. Raid dei sauditi, gli Houthi lanciano un missile verso Dubai Pubblicato il 04/12/2017 - Ultima modifica il 04/12/2017 alle ore 14:10 Giordano Stabile Inviato a Beirut L’emittente televisiva ufficiale del movimento ribelle yemenita Houthi ha annunciato la morte dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh. I ribelli sciiti hanno diffuso un video in cui viene mostrato quello che loro identificano come il cadavere dell’ex presidente yemenita. È avvolto in una coperta e viene caricato a bordo di un pickup dai militanti che esultano per la sua uccisione. Secondo le versioni fornite dai combattenti, e riprese da diversi canali tra cui anche Al Jazira, il convoglio di Saleh sarebbe stato intercettato e fermato mentre tentava di lasciare la città in seguito all’esplosione dell’abitazione dell’ex presidente. Le immagini, che ricordano molto quelle dell’assassinio del dittatore libico Muammar Gheddafi, nel 2011, sono state riprese anche dai canali arabi e stanno facendo il giro del web L’alleanza fra l’ex presidente Ali Abdullah Saleh e i ribelli sciiti Houthi si è rotta e nello Yemen ora si combatte una guerra civile dentro la guerra civile. Gli scontri sono concentrati nella capitale Sanaa e nei dintorni. I morti nel fine settimana sarebbero almeno 200, compresi alcuni civili, vittime dei raid dell’Arabia Saudita, che appoggiavano Saleh nella speranza che potesse cacciare gli Houthi dalla capitale. Si è combattuto vicino all’aeroporto, nei palazzi governativi che erano controllati dagli uomini dell’ex presidente, attorno alle sue residenze e a quella del fratello minore. Le sue forze sono però inferiori a quelle a disposizione degli sciiti: soltanto mille uomini dell’ex Guardia presidenziale contro decine di migliaia. Caccia all’uomo Le tensioni sono andate fuori controllo dopo che gli Houthi hanno cercato di arrestare un ufficiale di Saleh accusato di aver attaccato una loro pattuglia. Ma l’alleanza fra gli sciiti e Saleh scricchiolava già da mesi. A partire dal febbraio 2015 Saleh aveva appoggiato i ribelli sciiti nella speranza di tornare al potere dopo essere stato scalzato nel 2012 dall’attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi. Ma negli ultimi mesi i rapporti si sono deteriorati perché gli Houthi si sono presi tutto il potere e hanno attaccato ufficiali di Saleh che non obbedivano ai loro ordini. L’intervento saudita Domenica Saleh ha lanciato un appello all’Arabia Saudita per aprire le trattative e arrivare alla fine del blocco, che sta causando migliaia di morti per denutrizione e malattie. Il suo gesto è stato considerato un «tradimento» dal leader degli sciiti Ali al-Houthi. I miliziani hanno dato l’assalto alle residenze di Saleh in città e nei dintorni, compreso il villaggio natale vicino a Sanaa. Ali al-Houthi avrebbe ordinato di «catturare o uccidere» Saleh. Ieri sera gli aerei della coalizione saudita sono intervenuti e hanno colpito colonne di ribelli sciiti vicino all’aeroporto. Gli Houthi però avrebbero il controllo dei centri di potere, dello scalo e della tv di Saleh. Missile contro gli Emirati Saleh è difeso solo dai reparti d’élite della vecchia Guardia presidenziale, mille uomini in tutto. La sua defezione comunque indebolisce il fronte sciita e potrebbe accelerare la fine della guerra civile, anche se gli Houthi sono ancora in grado di mobilitare forze per lanciare controffensive. Ieri hanno attaccato le truppe degli Emirati arabi uniti nella zona di Mokka e hanno annunciato di aver lanciato un missile, uno Scud modificato Burkan-2, con gittata teorica di 1400 chilometri, verso Dubai, con obiettivo una centrale nucleare. Gli Emirati hanno smentito. Guerra per procura Gli Houthi, appartenenti al ramo zaidita dello sciismo, sono appoggiati dall’Iran. Il presidente Mansour Hadi è invece sostenuto da una coalizione di una trentina di Paesi sunniti, anche se soltanto tre partecipano alla guerra sul terreno: Arabia Saudita, Emirati, Sudan. Il fronte di Mansour Hadi controlla Aden e gran parte del Sud, gli Houhti quasi tutto il Nord. L’Arabia Saudita ha accusato Teheran di inviare componenti missilistiche e altre armi ai ribelli, aggirando l’embargo che stringe lo Yemen del Nord da terra e dal mare. Riad ha anche accusato Hezbollah di aver inviato consiglieri militari a Sanaa. In quasi tre anni di guerra civile sono morte, negli scontri e a causa di bombardamenti, almeno 10 mila persone. Altre migliaia, soprattutto bambini, sono morti per le epidemie, a partire da quella di colera, e la malnutrizione. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/04/esteri/yemen-si-spacca-il-fronte-ribelle-lex-presidente-saleh-contro-gli-sciiti-YkJQOcfOMc7fyhftpSSOAP/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, nuovi raid turchi contro i curdi ad Afrin Inserito da: Arlecchino - Gennaio 21, 2018, 12:23:49 pm Siria, nuovi raid turchi contro i curdi ad Afrin
I guerriglieri: “Abbiamo ucciso 4 soldati di Ankara” Pubblicato il 20/01/2018 - Ultima modifica il 20/01/2018 alle ore 09:27 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT L’esercito turco ha lanciato nuovi attacchi nella notte contro i guerriglieri curdi dello Ypg, nel cantone di Afrin, nel Nord-Ovest della Siria. Ieri il ministro della Difesa Nurettin Canikli aveva dato di fatto il via libera all’operazione, che dovrebbe portare all’occupazione dell’area controllata fin dal 2013 dai curdi, quando i governativi siriani sono stati costretti a ritirarsi nel caos della guerra civile. Almeno 70 colpi di artiglieria pesante sono caduti nel capoluogo Afrin, mentre lo Ypg sostiene di aver ucciso “quattro soldati turchi” che cercavano di entrare dalla frontiera settentrionale del cantore. Ankara però non conferma. Le forze in campo Secondo il ministero della Difesa turco le azioni sono dettate da “legittima auto-difesa”. I militari di Ankara hanno colpito campi e rifugi usati da Ypg, “in risposta al fuoco sparato dalla zona di Afrin”. Nella notte quattromila miliziani arabi dell’Esercito libero siriano (Fsa) hanno sfilato nella cittadina di Azaz, vicino al cantone di Afrin, con bandiere “rivoluzionarie” e turche. L’Fsa dovrebbe fornire il grosso della fanteria nell’attacco ad Afrin, difesa da almeno cinquemila curdi dello Ypg. Lo Ypg però può contare su altre decine di migliaia di uomini nei cantoni di Kobane e Jazeera, nel Nord-Est della Siria, dove sono presenti anche truppe e addestratori americani. Il giallo dei militari russi Ankara conta sull’aviazione e le truppe corazzate per avere la meglio. Per poter dispiegare le forze aeree deve però avere il consenso della Russia, che controlla le difese dei cieli in Siria. Mosca per ora lo ha negato e ha anche negato di aver ritirato il suo piccolo contingente che da circa un anno staziona in una base vicino ad Afrin. Il ritiro effettivo dei militari russi sarebbe un via libera implicito all’operazione di terra turca. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/01/20/esteri/siria-nuovi-raid-turchi-contro-i-curdi-ad-afrin-6lQZGYv3sMJfIXfeA7Nt1I/pagina.html Titolo: Giordano Stabile. Giallo ad Ankara, sequestrata sostanza radioattiva usata ... Inserito da: Arlecchino - Marzo 23, 2018, 05:55:37 pm Giallo ad Ankara, sequestrata sostanza radioattiva usata nelle atomiche Trovati 1,4 chili di Californium per un valore di 72 milioni dollari Pubblicato il 20/03/2018 - Ultima modifica il 20/03/2018 alle ore 12:33 Giordano Stabile Inviato a Beirut La polizia turca ha sequestrato ad Ankara un carico di 1,4 chili di Californium, un elemento radioattivo artificiale usato per realizzare testate atomica. La sostanza è stata trovata durante un’operazione anti-contrabbando, a bordo di un’auto. Quattro persone sono state arrestate. La polizia sospetta che la banda di trafficanti fosse pronta a vendere il carico per almeno 70 milioni di dollari. Il Californium non esiste in natura e può essere prodotto soltanto in laboratorio. Stati Uniti e Russia hanno la capacità di farlo ma non si sa se altri Stati abbiamo sviluppato le competenze tecniche. Non è stato ancora scoperto da dove provenga il materiale, consegnato all’Ente atomico turco per essere esaminato. Il Californium viene usato anche in medicina per radioterapie anti-cancro. Ma è in questo caso viene prodotto in quantità molto più piccole. Si chiama così perché è stato sintetizzato per la prima volta in California. Il timore è che sostanze simile possano cadere in mano ad organizzazioni terroristiche per realizzare una “bomba sporca” in grado di diffondere grandi quantità di radioattività in una città. Al-Qaeda è sospettata di aver cercato per decenni di mettere le mani su sostanze radioattive per compiere attentati. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/03/20/esteri/giallo-ad-ankara-sequestrato-sostanza-radioattiva-usata-nelle-atomiche-fPqOCXeTOyAyZJd60Xxq5J/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. La Francia si schiera con i curdi ma non invierà truppe Inserito da: Arlecchino - Marzo 31, 2018, 12:55:22 pm La Francia si schiera con i curdi ma non invierà truppe
Macron offre la sua “mediazione”, Erdogan dice no Pubblicato il 30/03/2018 - Ultima modifica il 30/03/2018 alle ore 13:52 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT La Francia offre la sua mediazione nella contesa fra Turchia e curdi in Siria per evitare una eventuale offensiva turca su Manbij, la città controllata dalle Forze democratiche siriane, in gran parte composte da guerriglieri curdi dello Ypg. Ma il ventilato invio di truppe francesi, o “europee”, è stato poi smentito. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato una delegazione delle Forze democratiche siriane e ha offerto il suo sostegno per la stabilizzazione del Nord della Siria e la lotta contro l’Isis. Fonti curde avevano poi fatto trapelare che Parigi era pronta anche a inviare truppe a Manbij ma in tarda mattinata la presidenza francese ha smentito e precisato che la Francia “non pianifica una nuova operazione militare nel nord della Siria al di fuori delle operazioni della coalizione internazionale a guida statunitense contro lo Stato Islamico”. La rabbia di Ankara: “Legittimate i terroristi” La situazione è complicata dalla volontà di Ankara di prendere il controllo della zona di frontiera, e in particolare della città di Manbij, per cacciare lo Ypg che considera la costola siriana del Pkk. La reazione turca all’incontro fra Macron e le Forze democratiche siriane è stata del tutto negativa. “I Paesi che vediamo come alleati e amici dovrebbero mostrare una posizione chiara conto tutti i tipi di terrorismo, e non compiere passi che li legittimano”, ha detto questa mattina Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ankara non fa distinzione fra Ypg e Forze democratiche siriane, che considera solo un paravento dei guerriglieri curdi. Erdogan ha detto decine di volte che intende cacciare lo Ypg da tutto il Nord della Siria, e ha minacciato anche operazioni nel Nord dell’Iraq contro i guerriglieri curdi del Pkk che hanno stabilito basi nei Monti Qandil e vicino al Monte Sinjar. La reazione dopo Afrin L’invito di Macron ai curdi è arrivato dopo le critiche per la posizione francese, ed europea, molto prudente di fronte all’offensiva dell’esercito turco ad Afrin, l’enclave curda nel Nord-Ovest della Siria che è stata conquistata da turchi e ribelli arabi alleati dopo due mesi di battaglia. Duecentomila civili curdi sono fuggiti dalla città verso zone della Siria controllate dai governativi. Ora la Francia dà il suo sostegno ai curdi e alla Forze democratiche siriane per evitare che si ripeta lo stesso scenario a Manbij. Nella delegazione accolta all’Eliseo c’erano rappresentanti del Pyd, il braccio politico dello Ypg, ma anche delle componenti arabe e cristiane delle Forze democratiche siriane. E’ la stessa alleanza che governa ora la città di Manbij, strappata all’Isis dopo un battaglia di tre mesi nell’estate del 2016. Vertice turco-americano a Washington Un eventuale dispiegamento di truppe francesi complicherebbe i piani della Turchia per l’occupazione di Manbij in tempi rapidi. Il maggiore ostacolo finora è stata la presenza di un contingente di un centinaio di soldati americani in città. Oggi Washington si vedranno il vice ministro degli Esteri turco Umit Yalcin e il vice Segretario di Stato John J. Sullivan. Ankara spera in una via libera alle operazioni contro lo Ypg per lo meno fino alla sponda occidentale dell’Eufrate. Ma la Turchia nel frattempo sta trattando con la Russia per avere un’altra cittadina nel Nord della Siria, Tell Rifat, dove è presente un piccolo contingente russo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/03/30/esteri/la-francia-pronta-a-inviare-truppe-in-siria-a-difesa-dei-curdi-RHP9t1LjIDgHrNJqg1CB9N/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Putin condanna il blitz: un’aggressione. Inserito da: Arlecchino - Aprile 16, 2018, 11:45:03 am Usa, Francia e Gran Bretagna lanciano l’attacco in Siria: colpito centro di ricerche
La Turchia approva i raid. Alle 17 il Consiglio di sicurezza dell’Onu Pubblicato il 14/04/2018 - Ultima modifica il 14/04/2018 alle ore 15:55 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Usa, Francia e Gran Bretagna hanno lanciato prima dell’alba un attacco missilistico contro il centro di ricerche di Barzeh, pochi chilometri a Nord di Damasco. Il sito è sospettato di aver sviluppato armi chimiche e biologiche e di essere usato anche come deposito per stoccarle. La tv di Stato ha mostrato il fumo che si levava dalla zona. L’attacco arriva a una settimana dal sospetto raid con agenti chimici sulla città ribelle di Douma, quando morirono dalle 43 alle 70 persone, secondo gli attivisti dell’opposizione. Damasco e Mosca hanno negato di aver condotto attacchi chimici e hanno accusato i ribelli di aver «inscenato» l’attacco per innescare l’intervento americano. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato la rappresaglia in diretta tv. L’ambasciatore russo ha replicato che «ci saranno conseguenze». Almeno sei «forti esplosioni» sono state udite a Damasco nelle primissime ore del mattino. «Ho ordinato alle forze armate di lanciare attacchi di precisione su obiettivi legati alle capacità chimiche del dittatore siriano Bashar al-Assad», ha detto il leader Usa dalla Casa Bianca. L’attacco senza un mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu è una violazione del diritto internazionale: lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, citato dalla tv filo-Cremlino Russia Today. Mosca ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che è dunque stata convocata per le 17 ora italiana. Missili abbattuti: i conti non tornano La tv di Stato ha citato «fonti militari» che affermano di aver «abbattuto o deviato» 13 missili in arrivo, circa «un terzo del totale». Fonti occidentali non ufficiali parlano di un «centinaio» di missili, non soltanto sulla capitale. L’Osservatorio per i diritti umani, vicino all’opposizione, sostiene che sono stati colpiti in tutto tre centri di ricerche, due vicini a Damasco, e uno nella provincia di Homs, oltre a una «base militare», sempre nella provincia di Damasco. I russi confermano che non hanno attivato le loro difese ma «la maggior parte dei missili» sono stati intercettati dalle difese siriane. In totale fra i 103 sono stati lanciati verso la Siria da sottomarini, navi e cacciabombardieri. Secondo Washington, Londra e Parigi «nessun missile» è stato intercettato. Il ministero degli Esteri siriano ha invece definito l’attacco «un fallimento» e «una vergogna» per gli Stati Uniti e i suoi alleati. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong vicina all’opposizione con base in Gran Bretagna, ha confermato che un’elevata percentuale di missili è stata intercettata: almeno 65 sono distrutti dalla contraerea di Damasco. Mosca in precedenza aveva affermato che 71 sono stati colpiti o deviati. A Damasco sono stati usati i sistemi a medio raggio Pantsir S-1, che dispongono di missili anti-missile a guida radar e cannoni da 30 millimetri anch’essi a guida radar. Non ci sono conferme indipendenti che siano riusciti a colpire i Tomahawk americani e missili britannici e francesi. Un anno fa Nell’aprile 2017, dopo un sospetto attacco con gas sarin a Khan Sheikhoun, gli Stati Uniti attaccarono con 59 missili Tomahawk la base aerea di Shayrat, in provincia di Homs. Sembra che anche il raid di questa mattina sia stato condotto da missili da crociera, forse lanciati da sottomarini. La Siria non ha comunicato se ci sono state vittime e quante. La Russia aveva ripetuto nei giorni scorsi che avrebbe risposto all’attacco se fossero «state messe in pericolo le vite dei soldati russi» che stazionano nelle basi militari siriane. Al momento non si hanno notizie di vittime. Gli obiettivi Mano a mano che passano le ore emergono nuovi dettagli sugli obiettivi colpiti. Sarebbero tre i centri di ricerca militare finiti nel mirino a Damasco, e testimoni sul posto riferiscono di esplosioni in posti diversi della città; poi sarebbero stati colpiti altri due siti sospettati di attività legate allo sviluppo di armi chimiche nella provincia di Homs e in quella di Hama, a Misyaf; e infine sarebbero stati bombardati anche i centri di comando della Quarta divisione meccanizzata e della Guardia repubblicana, sul Monte Qasyoun vicino a Damasco: sono due unità d’élite dell’esercito che hanno partecipato all’assalto finale a Douma, quando c’è stato il sospetto attacco chimico. I militari siriani hanno diffuso foto di rottami di ordigni che sostengono di aver abbattuto in zona e sembrano in effetti missili da crociera. I Tornado britannici In particolare i Tornado britannici hanno colpito con “missili a lungo raggio Storm Shadow” un deposito di armi chimiche nella provincia di Homs, “a 80 chilometri a Ovest” del capoluogo”. Lo Storm Shadow è un missile semi-furtivo sviluppato da Francia, Gran Bretagna e Italia, con una portata di 560 chilometri. È stato lanciato dai Tornado al largo delle coste siriane, senza entrare nello spazio aereo siriano. Le difese anti-aeree I russi confermano che non hanno attivato le loro difese ma “la maggior parte dei missili” sono stati intercettati dalle difese siriane (coadiuvate dai militari russi). In totale fra i 100 e i 120 missili sono stati lanciati verso la Siria da sottomarini e forse navi. Il ministero degli Esteri siriano ha definito l’attacco “un fallimento” e “una vergogna” per gli Stati Uniti e i suoi alleati. Le reazioni regionali La Turchia ha approvato i raid contro le armi chimiche e li ha definiti “appropriati”. Il riallineamento sulle posizioni americane in Siria, dopo il vertice Putin-Erdogan-Rohani ad Ankara che aveva delineato la spartizione a tre del Paese, arriva forse come in cambio del non intervento Usa ad Afrin ma anche in attesa del via libera per attaccare i curdi a Manbij. Anche Israele ha definito “appropriati” i raid e ha avvertito che potrebbero essercene altri in caso di nuovo utilizzo di armi chimiche. Assad si mostra a Damasco Poche ore dopo l’attacco missilistico, il presidente siriano Bashar al-Assad ha raggiunto i suoi uffici alla presidenza siriana e la tv di Stato ha mostrato le immagini del suo arrivo per rassicurare la popolazione. Media emiratini e britannici avevano diffuso nei giorni scorsi la voce che il raiss fosse fuggito nel Nord della Siria o addirittura a Teheran e rumours in questo senso sono circolati anche questa mattina. La Turchia approva i raid: risposta appropriata La Turchia approva i raid definendoli «una risposta appropriata» all’attacco chimico a Douma. In una nota, il ministero degli Esteri scrive: «Accogliamo con favore questa operazione che ha alleviato la coscienza dell’umanità davanti all’attacco di Douma, di cui è ampiamente sospettato il regime». Nella nota, Ankara ricorda tra l’altro che il presidente siriano Bashar al Assad si è già macchiato di «crimini contro l’umanità e di crimini di guerra». Israele: colpito l’Asse del Male Poco dopo è intervenuto il governo di Benjamin Netanyahu che ha parlato di «importante avvertimento all’Asse del male formato da Iran, Siria ed Hezbollah». L’uso di armi chimiche, secondo il ministro Yoav Gallant, «sorpassa una linea rossa che l’umanità non può più tollerare». Fonti dell’Esercito israeliano hanno riferito all’agenzia Reuters che Israele era stato avvertito dei raid tra le 12 e le 24 ore prima dell’attacco, e ha precisato di «non aver collaborato alla individuazione degli obiettivi militari». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/04/14/esteri/siria-usa-francia-e-gran-bretagna-lanciano-lattacco-colpito-centro-di-ricerche-42uNn4YFQF2qBZI5GkJmHK/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, raid israeliano su cargo iraniano all'aeroporto di Dama Inserito da: Arlecchino - Giugno 26, 2018, 04:33:44 pm Siria, raid israeliano su cargo iraniano all'aeroporto di Damasco
Atteso per domani il rapporto dell’Onu sull'attacco chimico a Douma Pubblicato il 26/06/2018 - Ultima modifica il 26/06/2018 alle ore 10:33 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Due missili hanno colpito questa mattina prima dell’alba l’aeroporto internazionale di Damasco. Secondo la tv di Stato siriana si è trattato di una raid israeliano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione, ha confermato l’attacco, che avrebbe preso di mira un deposito di armi destinate ad Hezbollah. Secondo altri gruppi dell’opposizione, però, il raid avrebbe preso di mira un aereo cargo iraniano, appena atterrato. Intercettazione fallita L’attacco potrebbe essere stato condotto con missili terra-terra oppure lanciati da cacciabombardieri. L’Osservatorio ha precisato il raid non ha causato “grosse esplosioni” e quindi potrebbe aver mancato il bersaglio. Le difese anti-aeree siriane “non sono riuscite a intercettare i missili”. Le forze armate israeliano non hanno né confermato né smentito. Offensiva a Daraa Israele ha ammesso di aver condotto in passato decine di raid contro obiettivi iraniani o dell’Hezbollah libanese. La tensione è tornata a crescere dall’inizio dell’offensiva dell’esercito governativo nella provincia di Daraa, vicino alla frontiera con la Giordania e alla Alture del Golan. I cacciabombardieri russi sostengono le operazioni contro i ribelli con raid aerei, i primi su Daraa da oltre un anno. Il rapporto dell’Opac Le potenze occidentali temono un altro scenario come quello fra febbraio e aprile nella Ghoutha orientale, quando centinaia di civili morirono nei bombardamenti. Per domani è atteso il rapporto dell’Opac sul presunto attacco chimico del 7 aprile sulla cittadina di Douma. Secondo il New York Times, che avrebbe avuto visione del rapporto, l’agenzia dell’Onu confermerà che una bomba al cloro ha colpito in effetti un palazzo a Douma e causato 34 vittime. Damasco e Mosca hanno sempre negato. L’attacco chimico ha innescato una rappresaglia condotta da Usa, Francia e Gran Bretagna su siti di ricerca militari siriani. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/06/26/esteri/siria-raid-israeliano-su-cargo-iraniano-allaeroporto-di-damasco-4wC2Q6citbMMXH4GQWO8bM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, raid sull’Isis: uccisi 28 civili Inserito da: Arlecchino - Luglio 14, 2018, 07:40:07 am Siria, raid sull’Isis: uccisi 28 civili
Colpiti anche miliziani sciiti al confine con l’Iraq Pubblicato il 13/07/2018 - Ultima modifica il 13/07/2018 alle ore 09:00 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Almeno 28 civili sono stati uccisi durante un raid aereo su un’ultima sacca di territorio controllato dai jihadisti islamici nella provincia di Deir Ez-Zour, nell’Est della Siria. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra e vicino all’opposizione, potrebbe essere stato condotto dall’aviazione irachena, che ha un accordo con il governo siriano per poter operare nel suo spazio aereo contro i gruppi islamisti. Anche la Coalizione anti-Isis a guida americana conduce raid in appoggio alle Forze democratiche siriane che controllano lo spicco nord-orientale del Paese. Jet non identificati hanno invece colpito ad Al-Bukamal, la cittadina al confine fra Siria e Iraq dove operano milizie sciite siriane e irachene. Nell’attacco sarebbero stati uccisi 35 miliziani, e almeno altri 50 feriti. E’ il secondo raid di questo genere in meno di un mese. Pochi giorni fa ad Al-Bukamal si erano incontrati l’ambasciato iracheno in Siria e il presidente del parlamento siriano, assieme a sceicchi locali, per lanciare l’effettiva apertura del valico di frontiera, ancora chiuso al traffico commerciale a otto mesi dalla liberazione dall’Isis. Ma attraverso il valico passano anche i rifornimenti di armi alle milizie sciite in Siria e a Hezbollah. Per questo è nel mirino dell’aviazione israeliana. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/07/13/esteri/siria-raid-sullisis-uccisi-civili-IyooVMxqnZspvh6NK55XVP/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. L’accordo raggiunto nella notte: i raid israeliani sospesi... Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 01:42:27 pm Hamas e Israele, tregua mediata dall'Egitto
L’accordo raggiunto nella notte: i raid israeliani sospesi, stop ai razzi dalla Striscia Pubblicato il 21/07/2018 - Ultima modifica il 21/07/2018 alle ore 17:52 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Nella notte è stato raggiunto un accordo di tregua a Gaza fra Hamas e Israele, con la mediazione dell’Egitto. I raid israeliani sono cessati attorno alla mezzanotte e non ci sono più state reazioni da parte dei militanti, che ieri sera avevano lanciato tre razzi verso Sderot, intercettati dal sistema Iron Dome. I bombardamenti di ieri sono stati i più pesanti da anni, dopo che un commando palestinese aveva ucciso un militare israeliano di pattuglia lungo il confine con la Striscia. E’ il primo soldato israeliano morto in servizio dall’estate del 2014, quando Israele aveva rioccupato Gaza durante l’operazione Protective Edge. I raid israeliani hanno fatto quattro morti e 120 feriti. L’aviazione e i cannoni dei carri armati hanno colpito «68 obiettivi di Hamas» e distrutto «circa 60 edifici e infrastrutture, indebolendo in maniera significativa le capacità di controllo e comando» del gruppo islamista, ha precisato un portavoce delle forze armate. Leggi anche - Palestinesi sparano sui soldati israeliani, una vittima La crisi è la più grave dal 2014 e ha spinto la diplomazia mondiale a intervenire. Dopo l’appello dell’Onu a «fermarsi prima del baratro», diplomatici egiziani e di altri Paesi arabi, probabilmente del Golfo, hanno fatto pressione su Hamas e mantenuto i contatti con Israele, fino al raggiungimento della tregua. A differenza della settimana scorsa, il gruppo non ha reagito con razzi e colpi di mortaio, per evitare un intervento di terra che avrebbe conseguenze devastanti soprattutto sulla popolazione civile, già stremata. A Gaza vivono 2 milioni di persone su una superficie di soli 360 chilometri quadrati. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/07/21/esteri/hamas-e-israele-tregua-mediata-dallegitto-zqhfptk2BSyhgXQGZRk9pI/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Israele mette in salvo 800 “Caschi Bianchi” dalla Siria Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 01:46:20 pm Israele mette in salvo 800 “Caschi Bianchi” dalla Siria
Saranno accolti da Germania, Olanda e Canada Pubblicato il 22/07/2018 - Ultima modifica il 22/07/2018 alle ore 09:26 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Israele ha messo in salvo 800 “Caschi Bianchi”, i volontari della cosiddetta Difesa civile siriana. L’operazione è stata condotta al posto di frontiera fra Quneitra e le Alture del Golan. I volontari sono stati portati in territorio israeliano e poi in Giordania L’esercito israeliano ha confermato l’operazione di salvataggio. “Su richiesta degli Stati Uniti e di Paesi europei – ha precisato in un comunicato – le forze armate hanno portato a termine uno sforzo umanitario per mettere in salvo i membri della Difesa civile siriana”. Anche la Giordania ha collaborato “I civili – continua il comunicato – sono stati evacuati da una zona di guerra del Sud della Siria a causa dell’immediato pericolo per le loro vite. Il trasferimento effettuato attraverso Israele è un eccezionale gesto umanitario ma Israele continua a mantenere la sua posizione di non-intervento riguardo il conflitto in Siria”. Anche la Giordania ha confermato di aver autorizzato il passaggio degli 800 siriani sul suo territorio per “il trasferimento in Paesi occidentali”. Trasferiti in Occidente Secondo indiscrezioni di media americani e tedeschi, i “Caschi Bianchi” saranno trasferiti in Germania, Olanda, Gran Bretagna e Canada, dove otterranno lo status di rifugiati. I “Caschi Bianchi” sono il volto più mediatico, ma a volte controverso, dell’opposizione al regime di Bashar al-Assad. In questi anni hanno operato nelle aree controllate dai ribelli e soccorso migliaia di persone vittime dei raid. Le accuse del regime I “Caschi Bianchi” hanno denunciato le violazione dei diritti umani e i crimini di guerra delle forze governative, in particolare l’uso di armi chimiche. L’ultima denuncia però, l’uso di cloro e gas nervini a Douma, nella Ghoutha orientale, non ha trovato riscontro nell’indagine condotta dall’agenzia Opac dell’Onu. Damasco accusa i “Caschi Bianchi” di essere al servizio dei gruppi ribelli, anche islamisti. In trappola Quneitra Per questo gli 800 volontari sono fuggiti dalle zone man mano riconquistate dall’esercito nelle province di Daraa e Quneitra, finché si sono trovati intrappolati nella città di Quneitra. Ieri pomeriggio anche Quneitra si è arresa e nella notte è scatta l’operazione di salvataggio. I “Caschi Bianchi” rischiavano di essere arrestati e torturati dalle forze governative, in quanto considerati “terroristi”. Trump taglia i fondi La cosiddetta Difesa civile siriana è stata finanziata in questi anni proprio da Stati Uniti, Gran Bretagna e altri Paesi europei, gli stessi che hanno deciso di accogliere i volontari. Donald Trump ha però tagliato quest’anno la maggior parte dei 200 milioni di dollari previsti. E gli Stati Uniti non accoglieranno rifugiati dalla Siria proprio per le leggi volute da Trump che limitano l’immigrazione da “Paesi a rischio”. Intesa Francia-Russia I Caschi Bianchi sono ora presenti in un piccolo spicchio di Siria nel Nord Ovest, ma privi di gran parte dei mezzi finanziari. Con la resa di Daraa ai ribelli resta soltanto la provincia di Idlib, dove sono sotto tutela turca, non si sa fino a che punto protetti da un eventuale attacco del regime. E anche la Francia sembra essersi allineata all’intesa fra Trump e Vladimir Putin. Ieri è partito da Chatearoux un aereo da trasporto russo con 44 tonnellate di medicinate destinate alla Ghoutha orientale. La prima collaborazione di questo genere fra Parigi e Mosca. Coordinamento Israele-Russia Anche l’operazione di salvataggio dei “Caschi Bianchi” ha visto la collaborazione della Russia. L’evacuazione è stata concordata in una telefonata fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Putin e poi fra il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman e il suo omologo russo Sergey Shoygu. Putin e Netanyahu si sono incontrati dodici volte in meno di due anni per coordinare le operazioni in Siria, dove l’aviazione israeliana colpisce obiettivi iraniani senza opposizione da parte delle forze aeree e missilistiche russe. Putin ha promesso una fascia al confine con Israele profonda 80 km “senza presenza iraniana”. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/07/22/esteri/israele-aiuta-il-passaggio-di-caschi-bianchi-siriani-dalla-siria-alla-giordania-Zrl4kCTXCAPeWdarq2FXGN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Trump: i palestinesi otterranno “qualcosa di molto buono” Inserito da: Arlecchino - Agosto 25, 2018, 05:58:30 pm Trump: i palestinesi otterranno “qualcosa di molto buono”
Il presidente sul piano di pace: «Israele pagherà un prezzo alto per lo spostamento dell’ambasciata» Pubblicato il 22/08/2018 - Ultima modifica il 22/08/2018 alle ore 13:05 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il presidente Donald Trump è tornato sul piano di pace per il Medio Oriente, “l’accordo del secolo” che aveva promesso all’inizio del suo mandato. Nella tarda serata di ieri ha precisato che i palestinesi otterranno «qualcosa di molto buono» e che «Israele pagherà un prezzo molto alto» in cambio dello spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, cioè dovrà fare più concessioni alla controparte. Nessun dettaglio Ora «è il turno dei palestinesi», ha spiegato. Non ha però fornito dettagli. Al piano di pace lavorano l’inviato per il Medio Oriente Jason Greenblatt e il consigliere speciale della Casa Bianca Jared Kushner, assieme al principe saudita Mohammed bin Salman e all’Egitto. Il piano dovrebbe essere un’evoluzione della proposta saudita del 2002, con la nascita di uno Stato palestinese in parte dei Territori: Cisgiordania e Gaza. Bolton in Israele Del piano hanno discusso anche il governo israeliano e il consigliere alla Sicurezza della Casa Bianca John Bolton, arrivato ieri in Israele. Bolton ha soltanto detto che ci sono «molti progressi nella regione» e non ha fornito una data per l’annuncio del piano di pace. La visita coincide anche con il 25esimo anniversario degli Accordi di Oslo, firmati nell’agosto del 1993, che sembravano aver spianato la strada verso un’intesa ma poi si sono arenati. Il leader di Hamas Un no alle proposte americane è arrivato però subito dal leader di Hamas Ismail Haniyeh, che in un discorso per la festa del sacrificio, l’Aid al-Adha, ha detto che “l’accordo del secolo è clinicamente morto”. Il leader islamista ha però confermato che «il blocco di Gaza sta per finire» e quindi l’intesa per una tregua fra Hamas e Israele, raggiunta con la mediazione dell’Egitto ma senza la partecipazione dell’altra fazione palestinese, Al-Fatah, il partito del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, con sede a Ramallah in Cisgiordania, Abu Mazen. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/08/22/esteri/trump-i-palestinesi-otterranno-qualcosa-di-molto-buono-G5kNk0i6oug7Prp0u98VhN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Abu Mazen svela il piano di pace Usa: una confederazione fra.. Inserito da: Arlecchino - Settembre 02, 2018, 11:07:55 pm Abu Mazen svela il piano di pace Usa: una confederazione fra palestinesi e Giordania
Il presidente palestinese a PeaceNow: ho risposto che vogliono l’unione anche con Israele Pubblicato il 02/09/2018 - Ultima modifica il 02/09/2018 alle ore 16:49 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il presidente palestinese Abu Mazen ha rivelato in un incontro con attivisti di PeaceNow e deputati israeliani il punto centrale del piano di pace dell’Amministrazione Trump per il Medio Oriente. “Ho incontrato Jared Kushner e Jason Greenblatt e mi hanno proposto una confederazione con la Giordania – ha detto -. Ho risposto che volevo una confederazione con la Giordania ma anche con Israele”. Il presidente Donald Trump aveva promesso la scorsa settimana che i palestinesi avrebbero ottenuto “qualcosa di molto buono”. La Casa Bianca sta lavorando “all’accordo del secolo” con il consigliere Kushner, genero del presidente, e l’inviato speciale Greenblatt. Alle trattative partecipano anche Egitto e Arabia Saudita. L’idea di una confederazione fra Cisgiordania e Giordania è sostenuta soprattutto dal partito del premier Benjamin Netanyahu, il Likud, ma non è mai stata accettata dai palestinesi. La controproposta di Abu Mazen troverà invece difficilmente consensi in Israele. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/02/esteri/abu-mazen-svela-il-piano-di-pace-usa-una-confederazione-fra-palestinesi-e-giordania-nvkqjGLfCcRBL9JIH0dCtO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Attacco in Cisgiordania, ucciso noto attivista ebreo-americano Inserito da: Arlecchino - Settembre 17, 2018, 11:51:14 am Attacco in Cisgiordania, ucciso noto attivista ebreo-americano
Pubblicato il 16/09/2018 - Ultima modifica il 16/09/2018 alle ore 17:28 Giordano Stabile Inviato a Beirut Un palestinese diciassettenne ha ucciso all’intersezione di Gush Etzion, in Cisgiordania, un noto attivista ebreo-americano, Ari Fuld, 45 anni. L’assalitore lo ha colpito con un coltello, e poi è stato catturato da alcuni abitanti di un vicino insediamento. I genitori del killer avevano avvertito l’Autorità palestinese che stava probabilmente per compiere un attentato, perché era sparito di casa all’improvviso, ma le forze di sicurezza non sono riuscite a intervenire in tempo. Ari Fuld era un attivista conosciuto anche negli Stati Uniti, dove era nato prima di trasferirsi in un insediamento in Cisgiordania. Era un sostenitore degli insediamenti e sta per compiere un tour di conferenze in America, a novembre. Il giovane palestinese lo ha accoltellato dietro un centro commerciale a Etzion. Ora è agli arresti in Israele. L’attacco a Gush Etzion, già teatro di più gravi attentati con auto lanciate sui passanti, è l’ultimo della cosiddetta “Intifada dei coltelli”, che dall’ottobre del 2015 ha fatto oltre 40 vittime israeliane. Un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, lo ha definito una «risposta naturale ai crimini commessi da Israele nei confronti dei palestinesi». L’ambasciatore americano David Friedman ha espresso il dolore «dell’America per uno dei suoi cittadini brutalmente ucciso da un terrorista palestinese». Anche il presidente israeliano Reuven Rivlin si è unito alle condoglianze: «Nessuno ha lottato con così tanta forza contro il terrorismo come Ari, ha combattuto fino al suo ultimo istante». Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/16/esteri/attacco-in-cisgiordania-ucciso-noto-attivista-ebreoamericano-sn7MbB4SxIMiVOypPgxwAM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Haftar minaccia di nuovo Tripoli: “Pronti all'azione militare” Inserito da: Arlecchino - Settembre 23, 2018, 04:25:39 pm Haftar minaccia di nuovo Tripoli: “Pronti all'azione militare”
Intanto la tregua imposta dall’Onu continua a essere violata da scontri nella periferia meridionale della capitale libica Pubblicato il 20/09/2018 - Ultima modifica il 20/09/2018 alle ore 10:06 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Khalifa Haftar torna a minacciare un’azione militare contro Tripoli mentre la tregua imposta dall’Onu continua a essere violata da scontri nella periferia meridionale della capitale libica. Il portavoce dell’Esercito nazionale libico guidato da Haftar, Ahmed al Mesmari, ha annunciato che le forze armate della Cirenaica “non resteranno con le mani legate rispetto agli scontri a Tripoli” e “formeranno un fronte militare nella regione occidentale, dopo aver preso il controllo di alcuni punti importanti”. Ultimatum dei miliziani anti-Serraj Domenica la Settima brigata, una milizia basata a Tarhouna, a 60 chilometri a Sud di Tripoli, aveva dato un ultimatum al governo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj perché disarmasse le altre milizie. La Settima Brigata si è scontrata nella scorse settimane con altre formazioni, fedeli ad Al-Serraj, per il controllo della strada che conduce all’aeroporto internazionale, chiuso dal 2014 e di altri quartieri meridionali e centrali. Salamé: sanzioni Onu a chi viola la tregua Le minacce arrivano dopo le dichiarazione dell’Inviato speciale dell’Onu Ghassam Salamé che ha detto che tutti i leader dei gruppi responsabili delle violazioni del cessate-il-fuoco saranno messi in una lista e “sottoposti a sanzioni”. Salamé ha confermato la sua partecipazione alla conferenza di Roma prevista per novembre, che dovrebbe tracciare una road map verso la pacificazione della Libia. La conferenza è osteggiata dalla Francia. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/20/esteri/haftar-minaccia-di-nuovo-tripoli-pronti-allazione-militare-uoZlwfKS5xPI9A16GDH25K/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. La Russia sfida Israele, missili più moderni ad Assad Inserito da: Arlecchino - Settembre 28, 2018, 12:48:40 pm La Russia sfida Israele, missili più moderni ad Assad
L’annuncio del ministro della Difesa: entro due settimane forniremo gli S-300 Pubblicato il 24/09/2018 - Ultima modifica il 24/09/2018 alle ore 17:33 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha annunciato che la Russia fornirà alla Siria «entro due settimane» i moderni sistemi anti-aerei S-300, molto più avanzati rispetto agli attuali S-200. Una settimana fa un missile lanciato da una batteria siriana di S-200 ha colpito per sbaglio un Ilyushin, quadrimotore russo di ricognizione, durante un raid condotto da quattro F-16 israeliani. Ieri Mosca ha accusato Israele di essere responsabile dell’abbattimento, costato la vita a 15 avieri. Le forze aeree israeliane hanno ribattuto che la colpa era dei siriani che avevano risposto al fuoco alla cieca. Fine di una tacita intesa L’incidente è dovuto però anche ai sistemi obsoleti in dotazione ai siriani, che erano sprovvisti del meccanismo di riconoscimento elettronico in grado di distinguere gli aerei nemici da quelli amici. Anche per questo Mosca ha deciso di consegnare subito gli S-300, che saranno integrati nei sistemi russi presenti in Siria. Il contratto, firmato all’inizio degli anni Duemila, prevedeva la consegna già nel 2013 ma la Russia l’aveva sospesa proprio su richiesta israeliana. L’aviazione di Israele ha condotto in questi ultimi cinque mesi centinaia di raid in Siria su obiettivi legati ai Pasdaran iraniani e alle milizie sciite alleate, a cominciare da Hezbollah, con il tacito assenso di Mosca. Ma l’abbattimento dell’Ilyushin ha cambiato la situazione. Decisione di Putin in persona La decisione, ha precisato Shoigu, è stata presa in persona dal presidente Vladimir Putin, che aveva annunciato la scorsa settimana misure drastiche «per aumentare la sicurezza delle nostre truppe in Siria». I militari siriani delle difese anti-aeree «hanno già ricevuto l’addestramento» e questo significa che gli S-300 saranno operativi in tempi brevi. Rispetto agli S-200 sono dotati di un radar molto più potente, che individua obiettivi fino a 350 chilometri di distanza, e di missili più veloci e agili, in grado di mettere in seria difficoltà gli F-16 israeliani. La mossa, assieme alla chiusura dello spazio aereo siriano, è un segnale chiaro allo Stato ebraico: la risposta a eventuali nuovi raid sarà molto più decisa. La risposta israeliana, gli F-35 Israele però dispone di una dozzina di F-35, cacciabombardieri a bassa visibilità radar, che possono essere usati in missioni notturne senza essere individuati dai sistemi di difesa russa. Finora l’aviazione israeliana li ha usati soltanto una volta, come test operativo. Ora i jet “Stealth” potrebbero essere la risposta alle nuove difese siriane. Gli F-35 sono stati concepiti proprio per distruggere le difese aeree - come gli S-300 e gli ancora più avanzati S-400 - per poi permettere ai cacciabombardieri “tradizionali” di compiere i raid senza ostacoli. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/24/esteri/la-russia-sfida-israele-missili-pi-moderni-ad-assad-wzblNaGoUhpTNHHPmFGgQN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Egitto, denuncia molestie sessuali su Facebook: condannata a.. Inserito da: Arlecchino - Ottobre 01, 2018, 08:52:03 pm Egitto, denuncia molestie sessuali su Facebook: condannata a due anni È la moglie del consulente legale della famiglia Regeni Pubblicato il 30/09/2018 - Ultima modifica il 30/09/2018 alle ore 09:34 Giordano Stabile Inviato a Beirut L’attivista Amal Fathy, moglie del consulente legale della famiglia Regeni, che aveva postato un video in cui aveva accusava le autorità egiziane di non fare nulla contro le molestie sessuali, è stata condannata a due anni di carcere per aver “diffuso fake news”. In Egitto si intende per “fake news” versioni dei fatti non in linea con quanto sostiene il governo o le autorità di polizia. Fathy, che si batte per i diritti civili e la parità fra uomini e donne in Egitto, è già da 141 giorni in carcere per accuse di “terrorismo” e dovrà pagare anche una multa di 1120 sterline egiziane, circa 50 euro. Per questo caso potrà essere rilasciata dietro pagamento di una cauzione di 20 mila sterline, circa 1000 euro. Ma le imputazioni più gravi sono quelle di “appartenenza a un gruppo terroristico” per avere “usato un sito Internet nel promuovere idee che spingono ad attacchi terroristici”, accuse che potrebbero costarle anni di carcere. “Si stava meglio settant’anni fa” Nel video di dodici minuti, postato a maggio, Fathy spiegava che lei è stata molestata due volte nello stesso giorno e criticava il governo egiziano per la mancanza di progressi nel contrastare il fenomeno. Secondo l’Onu il 99,3 per cento delle egiziane ha subito almeno una molestia nella sua vita. Fathy, 33 anni, raccontava che in taxi un conducente “ha aggiustato lo specchietto per potermi guardare poi ha fatto commenti disgustosi”. In un altro caso un bancario ha cercato di ricattarla mentre cercava di risolvere un problema con un prestito. “Stavamo meglio settant’anni fa – è la conclusione del video – quando le donne andavano in giro in minigonna e se qualcuno le importunava bastava chiamare un agente per farlo finire in carcere”. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/09/30/esteri/egitto-denuncia-molestie-sessuali-su-facebook-condannata-a-due-anni-YEAraGeNo2Iab5nlxZvVXO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Caso giornalista Khashoggi, Riad: Reagiremo a misure punitive Inserito da: Arlecchino - Ottobre 17, 2018, 10:41:25 pm Caso giornalista Khashoggi, Riad: “Reagiremo a misure punitive”.
Intanto la borsa saudita crolla Dopo la minaccia di una “punizione severa” da parte di Trump Pubblicato il 14/10/2018 - Ultima modifica il 14/10/2018 alle ore 18:16 GIORDANO STABILE L’Arabia Saudita è pronta a rispondere con una “azione ancora più forte” a ogni possibile “punizione” da parte degli Stati Uniti per il caso del giornalista Jamal Khashoggi, sparito nel consolato di Istanbul il 2 ottobre e probabilmente ucciso. Dopo le parole di ieri del presidente Usa Donald Trump, che ha promesso una “punizione severa” nel caso le responsabilità saudite venissero accertate, il governo ha affidato la riposta a una dichiarazione anonima all’agenzia Spa. “Il Regno – si afferma – rigetta ogni minaccia o tentativo di indebolirlo, sia attraverso sanzioni economiche che pressioni politiche. Il Regno reagirà a ogni azione con una azione ancora più forte”. E, avverte, “l’economia saudita ha un ruolo vitale e influente a livello globale”. Boicottata la “Davos del deserto” Il riferimento è al petrolio. L’Arabia Saudita è il terzo produttore al mondo, con 10,8 milioni di barili al giorno, e il primo esportatore con 7,5 milioni. Riad teme un boicottaggio della Future Investment Initiative Conference, la “Davos del deserto”, prevista a partire dal 27 ottobre. Il segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin sta ripensando la sua partecipazione. Lo stesso sta valutando il ministro per il Commercio estero britannico Liam Fox. Diplomatici americani ed europei stanno preparando un documento comune di condanna, se l’uccisione da parte dei sauditi venisse confermata. Il rifiuto di aprire il consolato alle ispezioni degli investigatori turchi è visto come una mezza confessione. Ankara ha minacciato di ricorrere alla Convenzione di Vienna per ottenere i permessi. Le parole di Trump Ieri Trump si era detto pronto a “punire severamente” l’Arabia Saudita. Il presidente americano era stato finora prudente, ma i continui dettagli che emergono dalle indagini condotte dagli investigatori turchi l’hanno convinto, o costretto, a una presa di posizione netta. Trump si è detto “molto arrabbiato” e ha definito “terribile e vergognoso” che un reporter sia stato ucciso così: “Siamo decisi ad andare fino in fondo e ci sarà una punizione severa”. Il presidente americano ha però escluso sanzioni sulle forniture di armamenti, che vedono aziende americane impegnate a onorare contratti da 110 miliardi di dollari, “che portano posti di lavoro”. Commesse sui cui hanno già messo gli occhi “la Russia e la Cina”. Ombre sul reporter scomparso Sempre ieri Riad ha respinto le accuse, definite dal ministro dell’Interno Abdulaziz bin Saud bin Nayef “bugie senza fondamento”. I media del Golfo cercano di gettare ombre sulla figura di Khashoggi, che in effetti negli Anni Ottanta era stato embedded con i combattenti arabi di Osama bin Laden in Afghanistan. Si sottolineano i suoi rapporti con il potentissimo uomo dei Servizi sauditi Turki Faisal Al-Saud, sostenitore di Al-Qaeda e dei Taleban ai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi caduto in disgrazia. E si sottolinea persino che il nome Khashoggi è di origine turca (significa “cucchiaio”, che in arabo si dice invece milaaqa). Crolla la Borsa saudita Il comunicato arriva dopo che le azioni saudite hanno subito una flessione del 7 per cento poco dopo l’apertura delle contrattazioni. L’indice Tadawul All-Shares (TASI) ha perso rapidamente più di 400 punti nel primo giorno di negoziazione della settimana, cancellando tutti i guadagni che aveva incassato dall’inizio dell’anno. L’indice era già sceso del 3 per cento giovedì, a seguito di una disfatta sui mercati azionari mondiali alimentata dalle preoccupazioni per i tassi di interesse più elevati e dagli attacchi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Federal Reserve. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/10/14/esteri/caso-giornalista-khashoggi-riad-reagiremo-a-misure-punitive-intanto-la-borsa-saudita-crolla-hhcERp1cis9cJvn0Syr6vN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Khashoggi fatto a pezzi quando era ancora vivo Inserito da: Arlecchino - Ottobre 17, 2018, 10:42:42 pm Khashoggi fatto a pezzi quando era ancora vivo
Nuovi dettagli degli inquirenti turchi sulla morte del giornalista e dissidente saudita Pubblicato il 17/10/2018 - Ultima modifica il 17/10/2018 alle ore 11:29 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Gli investigatori turchi hanno fatto trapelare nuovi dettagli dell’uccisione di Jamal Khashoggi alla stampa locale. Il giornalista e dissidente saudita sarebbe stato torturato e fatto a pezzi all’interno del consolato a Istanbul «mentre era ancora in vita». Il quotidiano filo-governativo turco Yeni Safak cita una registrazione audio di quei momenti da cui risulterebbe anche la presenza del console Mohammed al-Otaibi, ripartito ieri per Riad. A Khashoggi sarebbero state prima tagliate le dita, poi sarebbe stato decapitato, fatto a pezzi e forse sciolto nell’acido. Secondo altri media «Khashoggi è stato depezzato dall’esperto di autopsie Salah Al Tabiqi, in 7 minuti, mentre ascoltava musica, ci sono registrazioni». Giornali americani sostengono invece che almeno quattro dei cinque uomini del commando finora identificati fanno parte dell’entourage del principe ereditario Mohammed bin Salman, uno in particolare lo avrebbe accompagnato anche negli Stati Uniti. La tesi «difensiva» che il giornalista sarebbe morto «durante un interrogatorio» e che i «massimi vertici sauditi non fossero a corrente dell’operazione», regge sempre meno. Il presidente americano Donald Trump però continua a difendere Riad. Questa notte, rispondendo ai giornalisti, ha detto che l’Arabia Saudita è «innocente fino a prova contraria»: «Dobbiamo capire prima che cosa è accaduto. Altrimenti, come si dice, “si è colpevoli finché non si prova la propria innocenza”, e a me questo non piace». La missione di Mike Pompeo a Riad si è conclusa con sorrisi e abbracci con il principe ereditario Mohammed bin Salman. Questa mattina Pompeo è arrivato ad Ankara. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/10/17/esteri/khashoggi-fatto-a-pezzi-quando-era-ancora-vivo-NvsA4U2WyCpT3ftpgCxCvM/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Israele, i laburisti conquistano le grandi città, sconfitta... Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2018, 06:53:52 pm Israele, i laburisti conquistano le grandi città, sconfitta per Netanyahu Pubblicato il 31/10/2018 - Ultima modifica il 31/10/2018 alle ore 10:29 Giordano Stabile Inviato a Beirut Le elezioni municipali in Israele segnano la riscossa dei laburisti e una battuta d’arresto per il Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu. I laburisti vincono nelle grandi città, come Tel Aviv e Haifa, mentre i conservatori rimangono esclusi dal ballottaggio a Gerusalemme. “Le elezioni - ha detto Avi Gabbay, segretario dei laburisti - indicano che gli israeliani vogliono un cambiamento”. L’anno prossimo è previsto il voto parlamentare. I sondaggi danno ancora per favorito il primo ministro ma Gabbay adesso spera in una rimonta. A Tel Aviv il sindaco Ron Huldai, uno dei più popolari nel Paese, è stato rieletto dopo 20 anni consecutivi alla guida della città, che con i sobborghi è la più grande in Israele, oltre tre milioni di abitanti. Lo sfidante, l’ex vice sindaco Asaf Zamir ha ammesso la sconfitta al primo turno. Huldai ha ottenuto secondo in risultati preliminari il 46 per cento dei voti, ben oltre la soglia del 40 per cento che serviva a evitare il ballottaggio. Ma i laburisti festeggiano soprattutto la vittoria della candidata ad Haifa, Einat Kalisch-Roten, che ha sconfitto il sindaco uscente, al potere da 15 anni, Yona Yahav. La Kalisch-Roten sarà la prima donna a governare una città di grosse dimensioni in Israele. Il rinnovamento imposto dal leader Gabbay, più giovani, più donne, comincia quindi a dare i primi frutti. A Gerusalemme invece nessuno dei candidati ha raggiunto il 40 per cento dei voti. Escluso dal ballottaggio il ministro per gli «Affari di Gerusalemme» Ofer Berkovitch, un laico appoggiato da Netanyahu. Al secondo turno se la vedranno l’esponente della destra religiosa Moshe Leon, sostenuto dal ministro della Difesa Avigdor Lieberman, e Arye Dery. Il Consiglio municipale sarà dominato dagli ultra-ortodossi, con 17 seggi su 31, mentre alla destra laica del Likud e partiti minori andranno soltanto 5 seggi. A Gerusalemme, a differenza che nelle altre città, hanno potuto partecipare anche cittadini non israeliani con permesso di residenza permanente, cioè gli arabi, che rappresentano circa il 40 per cento degli 800 mila abitanti. C’era un unico candidato sindaco palestinese, Ramadan Dabbash. L’Autorità nazionale palestinese ha però chiesto il boicottaggio del voto. L’affluenza è stata del 53 per cento, in leggero aumento. Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2018/10/31/esteri/israele-i-laburisti-conquistano-le-grandi-citt-sconfitta-per-netanyahu-eJZNh55o4rK9s9ikV6GfXN/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Erdogan non lo riceve, Bolton lascia la Turchia Inserito da: Arlecchino - Gennaio 08, 2019, 11:27:53 pm Erdogan non lo riceve, Bolton lascia la Turchia
Rottura sulla questione delle basi americane in Siria e l’appoggio ai curdi Pubblicato il 08/01/2019 - Ultima modifica il 08/01/2019 alle ore 13:02 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT E’ finita in anticipo la visita del consigliere alla Sicurezza alla Casa Bianca John Bolton in Turchia. Il presidente turco Recep tayyip Erdogan si è rifiutato di riceverlo e Bolton ha lasciato Ankara in anticipo. La sua missione in Medio Oriente si chiude così con una rottura clamorosa. La frattura nasce da una precisa richiesta di Erdogan, e cioè che gli americani nel corso del loro ritiro consegnino alle forze armate turche, o in subordine distruggano, le “venti basi militari costruite nel Nord-Est della Siria”. Bolton si sarebbe rifiutato di accettare questa richiesta, anche perché il ritiro annunciato alla vigilia di Natale dal presidente americano Donald Trump è stato di fatto rinviato se non cancellato. “Operazione in Siria imminente” Erdogan è rimasto però fermo all’accordo raggiunto a dicembre nel corso di una lunga telefonata con Trump. Il ritiro delle truppe statunitensi sembrava imminente e il leader turco si era offerto di sostituirsi a loro nella lotta all’Isis. Concetto che ha ribadito anche oggi. Ankara sarebbe pronta a una “operazione”, simile a quella condotta nel cantone di Afrin, con il duplice scopo di distruggere i guerriglieri curdi dello Ypg, finora protetti dagli Stati Uniti a Est dell’Eufrate, e i jihadisti dello Stato islamico. Gli Usa però temono che lo scopo principale sia una resa dei conti con i curdi. Bolton, nella sua tappa in Israele, ha detto di volere garanzie da parte della Turchia sul fatto che non saranno “massacrati” dopo il ritiro americano. Erdogan ha risposto indignato e detto che non accetta lezioni, tanto più se provengono da Israele. Controffensiva dell’Isis Bolton poi ha precisato che il ritiro sarà completato dopo la totale “distruzione dell’Isis”. La battaglia è ancora in corso e vede i curdi, inquadrati nelle Forze democratiche siriane (Sdf) sostenute dagli Usa, in prima linea. L’Isis ha lanciato nella notte un contrattacco 32 combattenti curdi sono stati uccisi vicino alla cittadina di Abukamal. Lo notizia è stata data dall’Osservatorio per i diritti umani, una ong con base a Londra ma dispone di una rete di informatori su tutto il territorio siriano. Le Sdf stanno cercando da circa un anno, dopo la liberazione di Raqqa, di riconquistare una stretta striscia di territorio sulla sponda orientale dell’Eufrate, dove si sono asserragliate alcune migliaia di jihadisti, circa un terzo stranieri. Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2019/01/08/esteri/erdogan-non-lo-riceve-bolton-lascia-la-turchia-6XYRmpg4vT7kC0ZR90JasO/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Siria, i curdi annunciano la vittoria finale contro l’Isis Inserito da: Arlecchino - Marzo 27, 2019, 05:58:50 pm Siria, i curdi annunciano la vittoria finale contro l’Isis
Il portavoce delle Forze democratiche siriane ha annunciato la fine della battaglia di Baghuz Pubblicato il 23/03/2019 - Ultima modifica il 23/03/2019 alle ore 09:52 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Il portavoce delle Forze democratiche siriane ha annunciato la fine della battaglia di Baghuz, l’ultimo villaggio ancora controllato dall’Isis in Siria. Mustafa Bali ha dedicato la vittoria alle “migliaia di martiri” e a tutti quelli che in questi anni hanno lottato assieme ai curdi siriani contro gli jihadisti dello Stato islamico. Fra loro ci sono stati anche decine di italiani, compreso Lorenzo Orsetti, caduto proprio sul fronte di Baghuz. Civili scudi umani La battaglia nell’ultima sacca dell’Isis, lungo la sponda orientale dell’Eufrate, al confine dell’Iraq, è durata quasi quattro mesi, dall’inizio di dicembre. I jihadisti avevano ammassato in pochi villaggi e nella cittadina di Hajin migliaia di combattenti e decine di migliaia di civili. La lotta è stata prolungata perché i curdi hanno tentato di evacuare il maggior numero di civili, in totale 46 mila. Migliaia di combattenti si sono arresti e sono prigionieri nei campi, compresi centinaia di stranieri. Tende e cunicoli Gli irriducibili hanno resistito oltre l’inverosimile, facendosi scudo persino dei loro bambini, in un campo di tende fra il villaggio di Baghuz e la collina sovrastante. Le tende in realtà nascondevano gli ingressi di una rete di tunnel e cunicoli che hanno permesso ai jihadisti di tendere agguati e respingere gli assalti dei curdi per settimane. Ma alla fine i raid della coalizione internazionale li hanno costretti a ritirarsi sulla collina e sulla riva del fiume dove sono stati annientati. Da Kobane a Raqqa La battaglia dei curdi contro l’Isis è cominciata alla fine del 2014, quando i jihadisti hanno lanciato l’assalto alla più importante città a stragrande maggioranza curda in Siria, Kobane. I raid americani e la resistenza dei guerriglieri delle Ypg, Unità di protezione del popolo, hanno salvato Kobane e di lì e cominciata una lunga controffensiva che ha portato alla conquista di Raqqa il 17 ottobre del 2017. Ora i curdi, inquadrati nelle Forze democratiche siriane e appoggiati da Stati Uniti ed Europa, controllano un quarto della Siria, tutto il Nord-Est. Nuovi pericoli Il successo dei curdi ha però allarmato la Turchia, che considera le Ypg il braccio siriano del Pkk, la formazione curda che rivendica l’autonomia nei territori curdi della Turchia e ha condotto decenni di guerriglia contro le forze di sicurezza di Ankara. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha minacciato di intervenire in Siria, come ha già fatto ad Afrin, per “distruggere i terroristi”. Dopo la sconfitta dell’Isis il presidente americano Donald Trump ha annunciato una drastica riduzione delle forze americane presenti a sostegno dei curdi, circa duemila uomini, e questo potrebbe esporli a rappresaglie turche. Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2019/03/23/esteri/siria-i-curdi-annunciano-la-vittoria-finale-contro-lisis-7oliXr4dIWmNl1f3eUp1EK/pagina.html Titolo: GIORDANO STABILE. Libia, entrano in azione gli elicotteri di Haftar Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2019, 12:17:11 pm Libia, entrano in azione gli elicotteri di Haftar
Attacchi nei sobborghi meridionali di Tripoli Pubblicato il 26/04/2019 - Ultima modifica il 26/04/2019 alle ore 10:36 GIORDANO STABILE INVIATO A BEIRUT Gli elicotteri d’assalto del cosiddetto Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal maresciallo Khalifa Haftar, hanno bombardato nella notte alcune zone di Tripoli. L’intervento dell’aviazione dell’uomo forte della Cirenaica arriva a tre settimane dall’inizio dell’offensiva per conquistare la capitale libica. Negli scontri, dal 4 aprile in poi, sono morte quasi 300 persone, e 1500 sono rimaste ferite. Haftar dispone di alcuni elicotteri di fabbricazione russa Mi-24, risalenti agli anni Ottanta ma ancora efficienti. Sono in grado di lanciare missili aria-terra con una certa precisione e sono già stati impiegati nelle battaglie di Bengasi e Derna, fra il 2014 e il 2018. Ma le forze dell’Lna allineano anche alcuni Mig-21, Mig-23 e Mirage F-1, già utilizzati senza grossi risultati. Lo scontro con Al-Serraj Il maresciallo ha avviato nel maggio del 2014 l’Operazione Karama, cioè dignità, per conquistare tutta la Libia e cacciare formazioni e partiti politici di ispirazione islamista. Nel dicembre del 2015 gli accordi di Skhirat hanno portato alla formazione di un governo di unità nazionale, conosciuto con la sigla Gna e guidato da Fayez al-Serraj, ma i due leader, nonostante le mediazioni francesi e italiana, non si sono mai messi d’accordo e il 4 aprile Haftar si è lanciato alla conquista di Tripoli. A livello regionale gode del sostegno esplicito di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. A livello mondiale Russia e Francia lo appoggiano ma non apertamente. Ma è stata la telefonata di Donald Trump, il 15 aprile, a dargli il via libera definitivo per quello che dal punto di vista del diritto internazionale è l’assalto a un governo legittimo, l’unico riconosciuto dall’Onu. Il ruolo degli Emirati arabi e dei sauditi La chiamata del presidente Usa ha sdoganato il maresciallo come campione “nella lotta al terrorismo”. Ma prima c’è stata un’altra telefonata decisiva per le sorti della Libia, quella fra il presidente Usa e il principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayef. Sarebbe stato Mbz a convincere il leader americano che Haftar era l’uomo giusto per rimettere le cose a posto nel Paese nordafricano. Poi sono arrivati finanziamenti sauditi per 30 milioni e l’invio di nuovi droni d’attacco che hanno permesso l’avvio dell’offensiva. I piani del maresciallo si sono però scontrati con una forte resistenza con le milizie di Tripoli e Misurata che difendono Al-Serraj. La scorsa settima le forze del Gna hanno riconquistato Azizia e del Wadi al-Rabie, la valle a Sud di Tripoli, fino a 50 chilometri dalla capitale. Con l’uso degli elicotteri Haftar spera ora di sbloccare la situazione. Licenza Creative Commons Da - https://www.lastampa.it/2019/04/26/esteri/libia-nuovi-raid-di-haftar-a-sud-di-tripoli-hHCUPgR4iUykqnj39v05cN/pagina.html |