Titolo: Luigi Ferrarella Trasparenza unico rimedio ai guasti delle intercettazioni Inserito da: Arlecchino - Settembre 27, 2015, 11:28:14 am Confronto
Trasparenza unico rimedio ai guasti delle intercettazioni Decidere cosa è una notizia spetta non alla legge ma ai giornalisti, segnala la Corte di Strasburgo. Se la delega in bianco al governo promette male, peggio ancora è l’assenza di un diritto di accesso diretto agli atti Di Luigi Ferrarella In politica vince chi impone la propria agenda, e perde chi se la fa imporre. Perciò Renzi sta riuscendo a fare sulle intercettazioni quello che non era riuscito a Berlusconi: perché, proprio come l’ex Cavaliere ma senza il suo fardello di processi, sta riuscendo a schiacciare i giornalisti sulla distorta immagine di spioni dal buco della serratura giudiziaria, voyeur sciacalli delle vite degli altri. Aiutato, per paradosso, proprio da chi alimenta questa distorta visione inneggiando all’«intercettateci tutti», flirta con il totalitarismo mentale del «nulla teme chi nulla ha da nascondere», inflaziona il retorico riflesso condizionato della legge-bavaglio, o corre come un bambino dell’asilo a piagnucolare sotto la gonna dei magistrati che «è colpa loro inserire le intercettazioni negli atti». E più ci si impigrisce a scrivere «spunta il nome di Tizio» o «nelle carte il nome di Caio», e meno risulta credibile la difesa – prima contro i progetti legislativi di Prodi/ Mastella, poi di Berlusconi/Alfano e adesso di Renzi/Orlando - del diritto dei lettori di essere informati anche sui contenuti di intercettazioni e atti non più coperti da segreto, regolarmente depositati, e di rilevanza pubblica non necessariamente solo giudiziaria nè legata soltanto alla posizione degli indagati. Informare significa non limitarsi al copiaincolla di atti, sforzarsi di restituire al lettore anche il contesto di alcune frasi, estrarre i temi imprescindibili e nel contempo minimizzare i danni per le persone coinvolte, distinguere chi “fa” qualcosa da chi “dice” qualcosa, ed entrambi da chi invece è soltanto evocato da altri. Ma in questa operazione è esclusivamente il giornalista a doversi assumere la responsabilità (sociale dinanzi ai lettori, prima ancora che penale davanti alle querele) di decidere che cosa sia notizia di interesse pubblico da trattare secondo deontologia e già vigenti regole della privacy: senza che il concetto di rilevanza di una notizia possa essere fatto dipendere solo dal suo peso giudiziario, e tantomeno delegato alla selezione della politica tramite una legge, o al filtro dei procuratori tramite una procedura, o al setaccio degli avvocati attraverso le relazioni con le imprese, i partiti e le persone loro clienti (con il risultato pratico di creare se va bene una casta di “iniziati”, e se va male un potenziale arsenale di piccoli e grandi segreti scambiati al mercato nero dei ricatti). Che questa non sia una arrogante pretesa dei giornalisti lo si ricava dalla casistica delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Per essa, infatti, il diritto di dare e di ricevere informazioni – in bilanciamento con i diritti all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e al giusto processo – è certamente un diritto condizionato, che cioè ammette interferenze da parte di uno Stato, ma solo alla duplice condizione che esse siano «necessarie in una società democratica » e «proporzionate»: nel contributo a temi di dibattito generale, «ciò che è di interesse generale dipende dalle circostanze del caso concreto» (sentenza Axel Springer contro Germania 2012), non spetta ai giudici nazionali sostituirsi ai giornalisti nell’indicare le modalità con le quali scrivere gli articoli (Marques da Silva contro Portogallo 2010), e un Paese può essere condannato nel caso in cui i suoi giudici nazionali «in modo sorprendente» riversino sul giornalista l’onere di provare l’interesse pubblico di una notizia (Kydonis contro Grecia 2009). Ha dunque poco senso asserragliarsi nella trincea del rintuzzare preventivamente l’incongruenza spicciola di questa o quella norma futuribile, peraltro a tutt’oggi confusamente destinata a riempire una legge-delega ieri data dalla Camera totalmente e assurdamente in bianco al governo, mentre da ribaltare è l’agenda pubblica sottostante a questo primo voto in Parlamento: espresso peraltro con l’autorevolezza che contraddistingue partiti appena autoabbuffatisi di finanziamenti pubblici 2013-2014, nonostante l’apposita Commissione di Garanzia abbia attestato di non essere stata messa in condizione di verificare la trasparenza minima di molti dei precedenti bilanci di partito. Rovesciare l’agenda: a cominciare dal fatto che Parlamento e Governo - tanto smaniosi di discettare di privacy quanto curiosamente àfoni ad esempio sui finanziatori di cene elettorali dietro il ridicolo alibi proprio della privacy dei donatori - mettono mano alle intercettazioni ma ancora non dotano l’Italia di un effettivo diritto di accesso generalizzato alle informazioni pubbliche (anche in assenza di un interesse giuridicamente legittimante richiesto invece come requisito dalla legge 241 del 1990): lo statunitense «Freedom of Information Act» è un modello ormai patrimonio di moltissime nazioni dalla Finlandia sino al Rwanda, ma lontano anni luce dalla finta imitazione del governo Monti nel 2013 o dal pallido emendamento alla riforma Madia della P.A. pensato solo per gli archivi pubblici di cui però sia già prevista come obbligatoria la pubblicazione. Più informazioni diventasse legittimo attingere, infatti, e più si sgonfierebbe l’esasperata attenzione a quei brandelli di verità afferrati talvolta tra le righe delle intercettazioni. Perché anche per esse, come più in generale per gli atti giudiziari, l’unico realistico efficace rimedio ai guasti del «Far West» giornalistico sarebbe non iniettare una maggiore dose di segreto, ma al contrario riconoscere ai giornalisti e disciplinare un accesso diretto e trasparente ai medesimi atti man mano già depositati alle parti: le quali verrebbero tutelate - nella loro dignità di persone e nella loro posizione di indagati/ testimoni/vittime - da un meccanismo di lecita e sorvegliata disponibilità, alla luce del sole, molto più che dagli spizzichi e bocconi dell’odierna clandestinità, del (finto) proibizionismo, e della babele di pseudo-fonti giornalistiche tutte per definizione non disinteressate. lferrarella@corriere.it 23 settembre 2015 (modifica il 23 settembre 2015 | 09:27) © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_23/informazione-che-puo-battere-far-west-segreti-a6a6d0e6-61bc-11e5-a22c-898dd609436f.shtml |