Titolo: CLAUDIO TITO. Inserito da: Admin - Giugno 25, 2007, 12:37:44 pm La Repubblica 25 GIUGNO
di CLAUDIO TITO Dati incoraggianti dalle entrate fiscali, più risorse per assecondare le richieste degli alleati E Palazzo Chigi continua a mediare: "Ci giochiamo tutto" La mossa concorda-ta dopo il rientro di Prodi da Bruxelles ROMA - Il "tesoretto" cresce. Il Tesoro mette sul piatto della trattativa un pacchetto che supera i 2,5 miliardi già noti e arriva a sfiorare i 3,5 miliardi. Una quota sufficiente per convincere i sindacati e tranquillizzare l´ala radicale dell´Unione. Ecco la mossa di Tommaso Padoa-Schioppa. Ecco l´ultima carta che oggi si giocherà anche Romano Prodi. Quella del Dpef e della riforma previdenziale, infatti, sono sue partite decisive per il governo. «Stavolta ci giochiamo davvero tutto. È in gioco la vista stessa del governo», ha ripetuto ieri il premier in tutti i suoi contatti. Il presidente del consiglio e il titolare dell´Economia, allora, si presenteranno prima ai capigruppo della coalizione e poi al consiglio dei ministri, con un´ultima proposta. Con ogni probabilità avranno un colloquio informale anche con i segretari di Cgil Cisl Uil (non è escluso un faccia a faccia di buon mattino). E a tutti esporranno le "nuove possibilità" offerte dalle casse dello Stato. Forse quasi un miliardi in più stimato in base ai primi dati arrivati a Via XX Settembre in base all´autotassazione che si è chiusa lunedì scorso. Indicazioni che secondo il Tesoro confermerebbero l´andamento strutturale degli introiti fiscali. Da utilizzare, quindi, anche subito. Risorse che non solo saranno indirizzate per rivedere lo "scalone" previdenziale con un sistema mix tra "scalini" e "quota 96". Ma andranno ad assecondare le richieste degli alleati. A cominciare da quelli della sinistra radicale, dai quattro ministri che hanno spedito venerdì scorso la lettera di protesta a Palazzo Chigi. Fino a Clemente Mastella che teme uno slittamento a sinistra della manovra economica. «Il nostro Dpef e anche la Finanziaria 2008 - ha spiegato ieri Prodi a tutti i suoi interlocutori - guarderà con attenzione soprattutto al fronte "sociale". Anzi sarà l´obiettivo principale». Quindi se gli sforzi di Tps si erano già concentrati su un impegno maggiorato a favore della Ricerca (un tasto su cui batte il ministro Mussi), adesso la nuova dimensione dell´extragettito potrebbe rivolgersi pure agli ammortizzatori sociali per il lavoratori precari e al "piano casa", compreso il taglio dell´Ici tanto caro alla Margherita e all´Udeur. Tutti elementi che verranno inseriti nel Documento di programmazione economica. E quindi riportati nella prossima Finanziaria che conterrà molte delle misure indicate nel Dpef. Prodi e Padoa-Schioppa hanno concordato la nuova mossa nel week end. Dopo il rientro in Italia del Professore dal consiglio europeo di Bruxelles. Contatti fittissimi. Con un solo obiettivo: far scendere la temperatura che nella maggioranza stava diventando altissima. Basti pensare che il Guardasigilli ha addirittura minacciato di abbandonare il consiglio dei ministri di oggi se non avrà risposte, appunto, sull´Ici e sugli studi di settore. «Perché - avverte il capogruppo mastelliano, Mauro Fabris - non si vive di sole pensioni». Non solo. Antonio Di Pietro oggi potrebbe addirittura disertare la riunione di governo. E non per «impegni precedentemente assunti», ma per una vera e propria scelta politica. Una situazione di cui il premier è ben a conoscenza. Tant´è che oggi insieme al "rilancio" sul "tesoretto", spedirà un messaggio alla coalizione: «Stavolta ci giochiamo tutto». Secondo Prodi, infatti, con il Dpef e la riforma previdenziale il centrosinistra può dare la «svolta» richiesta. Ma solo se sui due provvedimenti non scatta l´assalto alla diligenza: «fornirebbe l´immagine di una alleanza dilaniata, al di là dei contenuti». E lo sforzo diventerebbe inutile. «Chiederò la massima responsabilità - ha spiegato ai suoi il presidente del consiglio riferendosi alle riunioni che avrà oggi -. Questo è un passaggio decisivo». E solo se verrà superato anche l´ascesa di Walter Veltroni al vertice del Partito Democratico «avrà un senso» e non dovrà «subire» un penalizzante sfilacciamento dell´Unione. Un discorso che il Professore esporrà più o meno negli stessi termini a Epifani, Bonanni e Angeletti. «Perché - ha ricordato con il suo staff - senza accordo resta lo "scalone" e i sindacati saranno costretti allo sciopero generale. Ma noi non possiamo affrontare uno sciopero generale». da dsmilano (citando repubblica del 25/6/2007) Titolo: CLAUDIO TITO. Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2007, 06:42:17 pm POLITICA
Arturo Parisi lancia l'allarme dopo la nomina per acclamazione dei vertici e delle regole primarie del nuovo soggetto politico "Una partenza non democratica Walter cambi o potrei cambiare" Il ministro della Difesa: "A Milano abbiamo sprecato un'occasione" Sulla legge elettorale "Veltroni ha confermato la sua contrarietà al sistema tedesco" di CLAUDIO TITO ROMA - "Un'occasione sciupata, se non addirittura sprecata". Arturo Parisi sospira. Quasi non vuole credere a quello che è successo sabato all'Assemblea del Pd. "Con tre colpi di sciabola", è stato definito l'intero organigramma. Una procedura cui mettere riparo, altrimenti "non potrei non interrogarmi sulla possibilità di aderire". "E dire - premette il ministro della Difesa - che nella mattinata la consonanza profonda tra la relazione di Veltroni e quella di Prodi, mi avevano indotto a riconoscere nel Pd di Veltroni una nuova stagione dell'Ulivo. Una stagione guidata dalla stessa speranza che ci ha guidato negli ultimi 15 anni". E poi cosa è successo? "La gelata del pomeriggio non ci voleva". Si è discusso poco? "No, non si è discusso per niente. Se ci si fosse fatti carico di continuare sotto il segno dell'unità il cammino che stavamo aprendo, si sarebbe potuto anche accettare la riduzione di quello che era il primo passo del partito ad un momento di festa. Ma l'unico rischio che un Partito Democratico non può correre è quello di minare la base della qualifica di 'democratico' ". Cioè? "In tre minuti l'assemblea si è vista paracadutare dall'alto un partito preconfezionato. L'inesorabile finale del disegno iniziale. La conferma definitiva del peccato d'origine che ci aveva portati a pensare come primo atto del partito la consacrazione plebiscitaria del segretario designato dai vertici dei partiti passati, anziché il riconoscimento delle ragioni ideali del partito. E poi la sanzione di un vicesegretario prima ancora di definire nello statuto la presenza e i poteri di una figura di questo tipo". Insomma si è perseverati nell'errore? "È così. Questa era un'assemblea costituente e non una festa costituente. I partiti sono chiamati ad anticipare al loro interno la visione della democrazia che propongono ai cittadini come regola della Repubblica. Qui si è fatto tutto con tre colpi di sciabola. Chi avrebbe il coraggio, chi potrebbe mai essere orgoglioso di essere cittadino di una Repubblica governata con questo metodo?". E la responsabilità è di Veltroni? "Dal punto di vista formale mi sembra fuori discussione. Mi rendo anche conto che le condizioni in cui si è svolta l'Assemblea possono essere considerate delle attenuanti. Quello che mi preoccupa è l'indebolimento della cultura della legalità nei partiti. Sembra non interessare più a nessuno". Anche Prodi in qualità di presidente del partito ha delle colpe? "È evidente che se noi disponiamo di uno statuto che configura delle responsabilità, tutti quelli che fanno parte di quel processo ne sono coinvolti. A cominciare dalle mie responsabilità, dalle azioni ed omissioni che sento di dover imputare a me stesso come membro del comitato dei 45. Ma Romano ha una collocazione diversa, un ruolo distinto". Quali sono le conseguenze? "Dobbiamo mettere riparo a quel che è accaduto. Ma bisogna prima verificare se esista o meno una condivisione di giudizio". E se non riscontrasse questa "condivisione di giudizio"? "Ognuno deciderà ciò che la coscienza gli suggerisce. Abbiamo detto che partecipare al processo costituente non corrispondeva ad una adesione al partito, ma alla condivisione di una speranza, alla accettazione di una scommessa. È una scelta che farò da cittadino e da eletto all'Assemblea caricato almeno del dovere di dare conto dell'aggettivo "democratico" che abbiamo scelto per il partito". È il primo effetto del partito "liquido", senza tessere? "Quello che mi preoccupa è il partito delle tessere non quello dei tesserati. Io sono per il partito dei partecipanti, che si affida nelle grandi scelte alla partecipazione dei cittadini, e alla partecipazione degli aderenti per le scelte quotidiane. Noi corriamo invece da una parte il rischio di un partito inesistente e personale, e dall'altra parte di un partito anche troppo esistente come sempre nelle mani delle oligarchie costituite. Vorrei evitare il rischio peggiore. Sommare cioè i due rischi, dando luogo ad un partito oligarchico a livello locale e liquido a livello nazionale". Da Veltroni si attendeva una linea diversa anche sulla riforma elettorale? "È stato prudente. C'è stata una certa incompiutezza ma era doveroso accettare le sue spiegazioni per consentire al confronto la massima apertura. Mi sembra, comunque, che sia stata confermata la sua contrarietà - o il minor favore - nei confronti del sistema tedesco o pseudo-tedesco. In presenza delle diverse posizioni, svolte con chiarezza da D'Alema e Rutelli, nella prudenza di Veltroni ho visto il segno di una svolta. Forse è solo la mia speranza. Ma a questa mi aggrappo". Un passaggio decisivo riguarda la possibilità per il Pd di presentarsi alle prossime elezioni senza la sinistra radicale. È un rischio per il governo Prodi? "Vocazione maggioritaria significa sentirsi chiamati a governare da soli, ma con la consapevolezza dei propri limiti. Nel partito c'è chi crede che il nuovo soggetto nasca per dare compimento al progetto dell'Ulivo. Ci sono altri, che con coraggio, - lo dico senza ironia - ritengono che esso sia invece lo strumento per poter uscire dalla stagione dell'Ulivo. Non vorrei che qualcuno pensasse ancora al Pd come ad una gamba di un sistema duale: prima c'erano il Ppi e i Ds, poi la sinistra e il centro, ora il Pd e la sinistra radicale. Sempre uniti e divisi dal trattino, da quel maledetto trattino". In conclusione che consiglio darebbe a Veltroni? "Più che un consiglio, un memento sulle sue responsabilità. Svolga la guida di un processo unitario, guidato da uno spirito di unità all'interno di regole condivise. Insomma, faccia il segretario. Se, come mi auguro, saprà essere il segretario democratico di tutti i democratici, tutti i democratici saranno con lui". (29 ottobre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO - L'exit strategy di Fini e Casini "Non si può stare sull'Aventino" Inserito da: Admin - Novembre 10, 2007, 10:16:51 am POLITICA
Il leader dell'Udc: "Andrò al convegno di D'Alema sulle riforme, io tratto in autonomia" Berlusconi: "Sono deboli con i forti alla fine tornano sempre nel mio ovile" L'exit strategy di Fini e Casini "Non si può stare sull'Aventino" di CLAUDIO TITO ROMA - "Io non sono disponibile a salire sull'Aventino. Mica posso andare dietro a chi pensa che dobbiamo stare fermi. Sarebbe una follia. I lavori parlamentari vanno avanti? Si discutono le riforme? E allora venerdì vado al convegno di D'Alema sulle riforme. Io tratto, e lo faccio in piena autonomia. Ripeto: in piena autonomia". Quando Pier Ferdinando Casini esce dal suo studio a Montecitorio, ha appena letto la smentita con cui Silvio Berlusconi ha negato di avere attaccato i suoi alleati. In particolare i leader dell'Udc e di An accusati di tramare alle sue spalle. Ma l'ex presidente della Camera non sembra convinto: "L'ho letta, l'ho letta... sono beghe che non mi interessano...". D'un tratto il pranzo di lunedì scorso, quello in cui il Cavaliere ha ucciso il "vitello grasso" per salutare il ritorno a casa di Pier, sembra evaporato. Come se non ci fosse mai stato. "È stato solo un pranzo - avverte Casini - per dare un segnale sulla sicurezza. Punto e basta". Si è riformato il diaframma di ghiaccio tra il capo centrista e quello forzista. Ed ora il gelo arriva fino a Via della Scrofa. Anche dalle parti di Alleanza nazionale, infatti, le ultime uscite berlusconiane hanno lasciato l'amaro in bocca. "Straparla", ha sibilato Gianfranco Fini con i suoi. Al presidente di An, poi, non pesano solo le parole al curaro del Cavaliere. Non gli è sfuggita la circostanza che siano stati due giornali del gruppo Mediaset-Mondadori a pubblicizzare la relazione con Elisabetta Tulliani e la gravidanza di quest'ultima. Tant'è che da ieri pure a Via della Scrofa la "spallata" viene considerata inesistente. "A noi interessano gli atti politici. Per ora ci fidiamo di quel che ci dice Berlusconi - è il ragionamento dell'ex vicepremier - se poi la prossima settimana Prodi non cade, non è che possiamo stare fermi". Riflessioni che accomunano Fini a Casini. Che pensano ormai all'"exit strategy" rispetto al tentativo di far cadere l'esecutivo. E forse non è un caso che al Senato, mentre i due "delfini" scuotono le pinne, le votazioni sulla Finanziaria registrano tra i banchi della Cdl qualche decisiva defaillance. Reazioni che hanno infastidito Berlusconi. Il suo dito indice è rivolto ancora verso "Pier e Gianfranco": "Fanno i forti con i deboli e i deboli con i forti. Alla fine, tornano sempre nel mio ovile". Il leader forzista va su tutte le furie per le "occasioni perse" a Palazzo Madama, per le assenze di alcuni senatori centristi in un paio di votazioni delicate. "Ora - si è sfogato con un europarlamentare che è andato a trovarlo nella mattinata - pensano di vendicarsi tenendo in vita Prodi. Quelle assenze non sono fortuite. Non solo è un tradimento, ma è anche inutile. Perché questo governo comunque cadrà". Eh già, perché l'ex premier è ancora sicuro che ci sarà la crisi e il voto nel 2008. "Se non ci sarà adesso, ci sarà sulla legge elettorale. All'inizio dell'anno Mastella o chi per lui li farà cadere pur di evitare il referendum. Per questo non dobbiamo accettare le loro offerte. Sulle riforme non si dialoga e vedrete che alla fine qualcuno staccherà la spina". Un'analisi che per certi versi avvicina il Cavaliere al segretario di Rifondazione, Franco Giordano. "Noi non lo faremo mai - è la sua premessa - ma è evidente che se non si fa la riforma e si va al referendum, qualcuno si sfilerà e Prodi si ritroverà senza maggioranza. E per trovare un'intesa, si deve andare sul modello tedesco. Quello vero, però, non il trucco che sento vogliono proporci. I trucchi si scoprono presto". Lo stesso trucco nel quale anche Casini non vuole cadere. "Se il governo resterà in vita - scandisce ancora Casini - io non posso far finta che in agenda non ci sia la riforma elettorale. Noi siamo interessati al modello tedesco. A quello vero. Se ci dicono un terzo spagnolo e due terzi tedeschi, noi non ci stiamo". "Ma tanto - ripete Berlusconi - non ci sarà il tempo". E ad alcuni senatori di Forza Italia fa notare che in due votazioni cruciali Dini e i "diniani" si sono dileguati. Che Cossiga adesso minaccia di votare contro il governo. E per un pomeriggio l'adrenalina torna a scorrere tra gli scranni forzisti. (10 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO - Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 03:23:16 pm POLITICA
Il retroscena. Il leader di An sta valutando la svolta per rispondere al Cavaliere Pensa a un patto con Casini per un soggetto che aderisca al Ppe. Prepara una Fiuggi 2 Fini studia la mossa del cavallo "Andiamo al centro con l'Udc" di CLAUDIO TITO ROMA - Una "Fiuggi2". Una svolta che può cambiare i connotati di Alleanza nazionale più di quanto sia successo nel 1995 con la metamorfosi Msi-An. Un "cambio" che i militanti di Via della Scrofa sentiranno sulla loro pelle come un marchio a fuoco. Un addio alla "destra" per abbracciare il "centro". Gianfranco Fini si sente all'angolo, la demolizione della Casa delle libertà imposta da Silvio Berlusconi, è vissuta dallo stato maggiore dell'ex fiamma come un incubo. In cui i sussulti peggiori scuotono il corpaccione di An ogni volta che si prospetti il rischio di diventare marginali come nella Prima Repubblica, come nell'"era missina". "E allora non possiamo restare fermi", va ripetendo. Per questo sta preparando il partito ad una sorta di "rivoluzione": sbarcare definitivamente sulla sponda dei moderati. Appoggiando il progetto centrista di Pier Ferdinando Casini. Accettando la confluenza in un unico soggetto insieme all'Udc e al Family day di Savino Pezzotta. Con rappresentanti dell'establishment economico-finanziario alla Mario Monti e come Luca Cordero di Montezemolo. "Solo così - è il suo ragionamento - possiamo rispondere a Berlusconi". Un percorso che il presidente di An ha messo in cantiere concretamente. Ieri, nel corso dell'ufficio politico, ne ha fatto solo un cenno. Che molti non hanno nemmeno colto o hanno considerato oscuro. Un'opacità, in realtà, giustificata dal fatto che il disegno va ancora approfondito e definito. L'esecutivo di oggi, l'assemblea nazionale del 9 dicembre e la conferenza programmatica di febbraio (che con ogni probabilità convocherà il congresso) saranno le tappe della nuova svolta finiana. Il recinto del centrodestra ormai è diventato angusto e il leader di Via della Scrofa inizia pensare che per uscire dalla trappola del Cavaliere serva una sorta di "mossa del cavallo", un colpo a sorpresa proprio come ha fatto Berlusconi a Piazza San Babila. "La Cdl non c'è più, Berlusconi ha fatto saltare le incrostazioni e adesso il quadro è tutto in movimento - dice Altero Matteoli - e lo è anche per noi". O meglio, annuncia a chiare lettere Ignazio La Russa, "noi discuteremo anche con le forze che si pongono a presidio dell'area di centro". Non a caso Fini ha già chiesto un incontro a Casini. I due si vedranno quando il capo dell'Udc tornerà dagli Stati Uniti. L'inquilino di Via della Scrofa vuole stringere i tempi e arrivare ad un faccia a faccia già nel prossimo week end. Per proporre un patto all'"amico Pier". Un'intesa per dare corpo ad una "cosa bianca" senza tentazioni destrorse. Un soggetto che da subito aderisca al Partito popolare europeo. Anche prima che Berlusconi accrediti nel Ppe il suo Pdl. Un giro di boa che uno degli ideologi di An, Gennaro Malgieri (ora membro del Cda Rai), ha già messo nero su bianco in un articolo che sarà pubblicato sul prossimo numero del periodico "Formiche". "Vogliamo dirla brutalmente? - scrive - Se due partiti come An e Udc si coalizzassero al fine di "svuotare" il nuovo imprecisato contenitore berlusconiano, farebbero un'opera di demistificazione nel centrodestra e si proporrebbero come interlocutori di un'area che richiede prospettive solide e, per sua natura, rifiuta l'avventurismo". Malgieri, che seppure impegnato a Viale Mazzini continua a suggerire le mosse all'ex ministro degli esteri, ritiene che se i due partiti "deberlusconizzati" "agganciassero quella rete di movimenti, associazioni, club, circoli, segmenti sindacali, frammenti di società civile che con disagio vivono la vita pubblica e costituissero una rete di interessi diffusi e finora mai rappresentati, potrebbero davvero dare un senso al centrodestra e porsi come necessari, per quanto insopportabili, antagonisti del neonato partito di Berlusconi". L'adesione al Ppe sarebbe un passaggio chiave in questo quadro. Un obiettivo, del resto, che il capo di An coltiva da tempo. Nell'estate del 2006 era stato esplicito: "Porteremo An nel Ppe entro la prossima legislatura europea". Ossia entro il 2009. Un orizzonte di cui ha riparlato ancora un volta il 15 maggio scorso in occasione della partecipazione dell'ex premier spagnolo, Josè Maria Zanar, alla presentazione della Fondazione "Fare futuro". Adesso è proprio questa l'ipotesi che Fini sta valutando con un gruppo ristrettissimo di collaboratori. Per il momento soltanto con gli uomini più fidati di Alleanza nazionale. Tenendo all'oscuro la maggior parte dei "colonnelli". Anche perché non è affatto certo della risposta che riceverà da Casini. I dubbi a questo proposito non mancano. E, come avverte Clemente Mastella, "An con i moderati non c'entra proprio niente. Un soggetto di centro lo faremo ma molto dipende dalla nuova legge elettorale. Fini, però, non può entrare in un partito centrista". Ma una carta per convincere i centristi, il leader di Alleanza nazionale ce l'ha: se verrà siglato il patto con Casini, potrebbe accettare anche il ritorno alla proporzionale. (22 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO - Prodi stop alle modifiche "Non si cambia un'intesa approvata" Inserito da: Admin - Novembre 24, 2007, 05:08:20 pm ECONOMIA
Il premier vuole mettere la fiducia sull'accordo originale sottoposto a referendum Su quel testo avrebbe il sì di Dini. Diliberto: "Così andiamo tutti a casa" Welfare, da Prodi stop alle modifiche "Non si cambia un'intesa approvata" di CLAUDIO TITO ROMA - "Non possiamo venir meno alla parola data". Romano Prodi sa bene che il Protocollo welfare è l'ultimo vero scoglio per far superare al governo il 2007. Stretto tra le rivendicazioni della sinistra radicale e gli aut-aut di Lamberto Dini, il premier fa un passo indietro e torna al testo originario. E su quella formulazione con ogni probabilità porrà la fiducia. Senza le modifiche apportate in commissione alla Camera. "Anche perché su quel testo - ha avvertito facendo riferimento proprio a "Lambertow" - al Senato cadiamo". Una scelta annunciata ieri in consiglio dei ministri. Che ha subito fatto drizzare le antenne a Rifondazione comunista, al Pdci e ai Verdi. La parola "crisi", scomparsa dopo il sì del Senato alla Finanziaria, ieri è improvvisamente ricomparsa nel vocabolario dell'Unione. Il ministro Ferrero ha subito messo a verbale la sua contrarietà nei confronti della soluzione prodiana. In coro l'intera "cosa rossa" ha avvertito che "il voto non è per niente scontato". Nervi tesi, tensione di nuovo alle stelle. Ieri sera tra il leader Pdci e il Professore si è persino consumato un piccolo strappo. Una telefonata a dir poco tempestosa. "Ti stai facendo ricattare da Dini, è questa la verità - è stata la staffilata di Diliberto -. Ma quelli sono in due e non tieni conto di gruppi parlamentari composti da centinaia persone. Dini si assuma la responsabilità di votare contro. Voglio vedere se lo fa". "Tu non hai capito invece - è stata la risposta - che se ci presentiamo con quelle modifiche, andiamo davvero tutti a casa". E in effetti proprio tra giovedì e ieri sera, il capo dei Liberaldemocratici ha lanciato un segnale inequivocabile. Ha parlato con alcuni "emissari" del Professore e con i capigruppo di Palazzo Madama: "Il Protocollo, così come è uscito dall'esame in commissione alla Camera, io non lo voto. Vi porto dritti dritti alla crisi di governo". Un avvertimento che a Palazzo Chigi viene preso sul serio. E proprio per la sua credibilità, Prodi preferisce "ripassare dal via" e riesumare il pacchetto welfare nella versione estiva. Non solo. Secondo il presidente del consiglio, nella sua scelta ha pesato anche un altro fattore, più formale: "Quel Protocollo è come un contratto e non possiamo cambiarlo senza consultare gli altri contraenti. Non possiamo dimenticare che lo hanno votato 5 milioni di lavoratori". Per questo lunedì prossimo Prodi convocherà a Palazzo Chigi le parti sociali. Obiettivo: verificare se in qualche punto l'accordo di luglio possa essere "migliorato". Ma, di fatto, si tratta di un'ipotesi remota visto che già ieri il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha incontrato il premier e gli ha ripetuto che quel patto "non può essere cambiato". Una linea che stavolta mette insieme industriali e sindacati. Anche Cgil Cisl e Uil non hanno alcuna intenzione di accettare un nuovo testo a scatola chiusa. Per l'organizzazione di Guglielmo Epifani, poi, i "miglioramenti" rappresenterebbero una delegittimazione del sindacato: scavalcato da Rifondazione nella trattativa di merito. Davanti all'esecutivo, dunque, non c'è solo il fronte "diniano" a minacciare. Il rischio di affrontare un "inverno caldo" con i sindacati non lascia per niente tranquillo il capo del governo. La protesta su questo fronte potrebbe ad esempio saldarsi con la vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Tutti argomenti che stanno inducendo il premier a recuperare a porre la fiducia sul protocollo originario (senza escludere la possibilità di trasformarlo in un emendamento alla Finanziaria per velocizzare l'iter parlamentare soprattutto a Palazzo Madama). Sulla base di una convinzione: "La sinistra alla fine non romperà". Certo, la battaglia dell'ala radicale non si fermerà. I punti nodali restano l'ampliamento della platea dei lavoratori usuranti e la rivisitazione dei contratti a termine. E se il via libera di Montecitorio (previsto per il 28 novembre) non è messo in discussione dai numeri della maggioranza, al Senato il discorso cambierà. In quella sede difficilmente il governo avrà il voto dei due "comunisti dissidenti", Ferdinando Rossi e Franco Turigliatto e i voti dei senatori a vita potrebbero essere determinanti. "Romano - ha fatto sapere con allarme Franco Giordano - non ha capito dove si sta infilando". Sarebbe pure l'ulteriore prova di un rapporto, quello tra il Professore e il Prc, che non è più privilegiato ma deteriorato. "La fiducia - dicono, allora, a denti stretti dalle parti di Rifondazione - alla fine la voteremo. Ma solo alla fine". (24 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO - Casini: "Bene il dialogo ora un altro governo Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2007, 07:02:43 pm POLITICA
Il leader dell'Udc: "Il Cavaliere ha fatto marcia indietro. Sono essenziali le riforme istituzionali" "Si potrà votare nel 2009. È la soluzione più probabile. Dalle urne un esecutivo di Grande coalizione" Casini: "Bene il dialogo ora un altro governo In Parlamento prevarrà il modello tedesco" di CLAUDIO TITO ROMA - "Mi sembra un incontro positivo. Finalmente si va verso un bipolarismo fatto senza la demonizzazione dell'avversario". Pier Ferdinando Casini canta vittoria. Considera il feeling tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni il frutto della sua politica. E proprio sulla base di questo dialogo, intravede la "possibilità" di dare vita ad un "nuovo governo". Un esecutivo che faciliti il percorso riformatore per poi andare a votare nel 2009. Un appuntamento che aprirà la strada ad una "Grande coalizione". Ma lei non si sente tagliato fuori? Non teme di essere emarginato? "Perché dovrei? Perché si sta realizzando quello che dico da un anno? Perché finalmente emerge la possibilità di dar vita ad una democrazia dell'alternanza senza demonizzare l'avversario? Eppoi mi pare di capire che si discuta su un'intesa in cui c'è la proporzionale e non c'è il premio di maggioranza. In cui si ipotizza la riforma dei regolamenti parlamentari. Questa è la mia linea". Non mi dica che se due grandi partiti, come il Pd e Forza Italia, si incontrano non c'è il rischio di marginalizzare le altre forze. "Proprio perché sono due grandi partiti hanno la responsabilità di discutere, di incontrarsi. È come se gli Usa e la Russia si mettono d'accordo e l'Italia si dispiace. L'Italia, se c'è la possibilità di un mondo più sicuro e pacificato, sarà contenta. Ma poi le dico: vi sembra questo il risultato della manifestazione del 2 dicembre scorso? Quella voluta dal Cavaliere e alla quale io non ho partecipato? L'incontro tra Veltroni e Berlusconi è figlio della "spallata"? A me sembra di no". Quindi lei è contento dell'ipotesi di riforma elettorale presentata da Veltroni e accolta dal leader forzista? "Guardi, io credo che a questo punto si aprirà un tragitto in Parlamento. E nelle Camere esiste una maggioranza a favore del modello tedesco più di quello spagnolo. E, vedrete, saranno gli esperti a decrittare le scelte tecniche". Ad esempio: lei voterebbe uno sbarramento al 7 per cento? "Al 5-6 per cento sì. Non più alto. Ma credo anche che nessuno si impiccherà su questo". Anche lei, come il leader del Partito Democratico, ritiene indispensabile accompagnare una nuova legge elettorale con un pacchetto di riforme istituzionali? "Lo considero essenziale". Berlusconi no. "Berlusconi, quando si renderà conto definitivamente che non ci sono le elezioni subito, darà il suo contributo. Per me sarebbe essenziale poter mettere mano ad alcuni interventi: il Senato regionale, il rafforzamento dei poteri del premier, il dimezzamento del numero dei parlamentari". Non ha paura che il processo riformatore stabilizzi il governo Prodi? "Sono due binari diversi. Noi siamo per continuare una dura opposizione a questo governo. In ogni caso sono convinto che a questo punto si sia ormai aperta la possibilità di un altro governo". Di che tipo? "Un esecutivo di decantazione per arrivare alle elezioni". Per facilitare le riforme? "Ecco, penso che da oggi sia un'ipotesi sul tappeto". E con quale maggioranza? "Ogni giorno ha la sua pena. Per ora godiamoci il fatto che si stanno diradando le nebbie". Un governo che dopo le riforme porti il Paese alle urne nel 2009? "Sì, è la soluzione più probabile. Mi sembra il percorso più corretto". A quel punto, se davvero ci sarà una legge elettorale proporzionale, come si ridisegneranno i poli? "Il proporzionale alla tedesca, più o meno "veltronizzato", porta alla formazione di 5-6 aree politiche. Ci sarà un Centro moderato che faremo noi, poi ci sarà il partito della Libertà, la destra, la Lega, la Cosa rossa e il Partito Democratico". Beh, allora cambieranno pure le alleanze. "Ciascuno indicherà il proprio presidente del consiglio e ciascuno dirà con chi vorrà allearsi. Noi siamo concorrenziali e competitivi con il Partito Democratico". Per il suo Centro Berlusconi non esisterà più? "Guardi, sono convinto che ci sarà una grande coalizione. Soprattutto dopo le prossime elezioni". Per il Cavaliere è un bene che non ci sia più un partito dei cattolici. Anche per lei? "È inutile dire se è un bene o un male. Il partito dei cattolici non c'è più semplicemente perché da 30 anni non esiste l'unità politica dei cattolici. I cattolici decidono liberamente quale partito votare". (1 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO - L'iniziativa del Csm avallata dal Quirinale Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2007, 05:00:31 pm POLITICA
IL RETROSCENA. L'iniziativa del Csm avallata dal Quirinale L'ex premier: approvare il ddl sulle intercettazioni Il Colle concorda le mosse con Mancino "Inaccettabili quegli attacchi alle toghe" Il presidente ha voluto il richiamo al corretto uso degli atti coperti dal segreto Il Guardasigilli: "Il testo è bloccato al Senato, io sono pronto a votarlo immediatamente" di CLAUDIO TITO ROMA - Un'iniziativa concordata e avallata. Due "pratiche" che hanno ricevuto l'assenso del presidente della Repubblica. Prima di riunire d'urgenza il comitato di presidenza del Csm, Nicola Mancino ha voluto informare Giorgio Napolitano di quel che stava accadendo. "Dobbiamo subito porre un limite", è stato l'invito del capo dello Stato. "Quelle parole sono inaccettabili". Le polemiche scatenate dall'indagine rivelata da Repubblica e che coinvolge Silvio Berlusconi, sono infatti approdate in un batter d'ali al Consiglio superiore della magistratura. Gli attacchi del Cavaliere e di Forza Italia ai Pm di Napoli hanno fatto scattare l'immediata reazione di buona parte dei consiglieri di Palazzo de Marescialli. Nel giro di due giorni lo scontro tra il centrodestra e le toghe sembrava far tornare le lancette dell'orologio indietro di qualche anno. E soprattutto hanno posto nuovamente al centro del dibattito politico il provvedimento, predisposto l'estate scorsa dal ministro della Giustizia Mastella, sulle intercettazioni telefoniche. "Veltroni - è ad esempio la sfida lanciata ora dal Cavaliere - dimostri coraggio anche su questo punto". I toni della contesa, dunque, si sono alzati nel giro di poche ore. Il confronto tra berlusconiani e giudici non ha risparmiato colpi. Napolitano e Mancino, allora, hanno deciso insieme di intervenire in tempi brevi. L'inquilino del Quirinale al telefono da New York ha studiato tutte le mosse con il vicepresidente del Csm. Primo obiettivo: stoppare l'affondo del leader forzista. Ma senza schierare l'intero Csm solo ed esclusivamente su quel fronte. È indispensabile - è stato il ragionamento del Colle - dare un "segnale" ai magistrati ma senza infierire nei confronti del capo dell'opposizione. Lo spunto era già servito: l'iniziativa di 18 (su 24) membri del Csm che chiedevano la "tutela" dei giudici napoletani. Abbastanza per convocare il comitato di presidenza. Ma non per chiudere la vicenda. I due vertici del Consiglio, infatti, consideravano ineludibile pure un riferimento all'uso delle intercettazioni. Certo, per il Quirinale il nodo principale da sciogliere riguarda le espressioni usate da Berlusconi. Aggettivi "inaccettabili". Napolitano boccia da sempre questo tipo di attacchi come un vero e proprio tentativo di "delegittimazione" della magistratura. E l'organo di autogoverno del potere giudiziario non può che stigmatizzare quegli attacchi da parte di un esponente politico e soprattutto da parte di un ex presidente del consiglio. In questo caso, anzi, pure il Colle ha ritenuto "prioritario" far sentire la voce delle Istituzioni. Ma nello stesso tempo, anche per non far naufragare la navicella del dialogo tra i poli sulle riforme, la massima carica dello Stato ha invitato a sottolineare la necessità di un riferimento al corretto uso degli atti coperti dal segreto di indagine. Napolitano considera, infatti, opportuno disciplinare la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Lo aveva sottolineato già il 22 novembre scorso quando infuriava la battaglia sul caso Rai-Mediaset. "Le intercettazioni sarebbe bene che restassero dove devono restare - ammoniva - almeno fino a che c'è il segreto di indagine". Appunto, il disegno di legge sulle intercettazioni. Da mesi, ormai, quel testo giace esanime sul tavolo della commissione giustizia del Senato. "Non per colpa mia", ripete il Guardasigilli: "io sono pronto a votarlo immediatamente. A Berlusconi gliel'ho detto. Quella legge lui la vuole". Su quel testo adesso si concentrano quindi le attenzioni del Cavaliere. Vuole che l'esame riprenda a gennaio, dopo la pausa natalizia. "Walter - è l'analisi ripetuta ieri con i suoi - deve sapere resistere anche su questo campo. Altrimenti, è chiaro, sarà più difficile discutere sul resto. Quella legge deve essere votata a Palazzo Madama". Del resto, la risposta del Consiglio superiore della magistratura Berlusconi l'aveva messa nel conto. "È tutto scontato e prevedibile", ha spiegato ai fedelissimi. Così come era scontata la reazione dei membri togati del Csm vicini alla Cdl. Scesi in campo contro la maggioranza. Ma soprattutto, Forza Italia a questo punto vuole creare un "link" tra il capitolo giustizia e la riforma elettorale. Una scelta che poggia non solo sul fatto che l'inchiesta napoletana viene considerata un "atto di sabotaggio" dell'intesa con il Pd, ma anche sui segnali lanciati da Via del Plebiscito verso la sponda veltroniana dell'Unione. Circostanza rafforzata dalle dichiarazioni contro Berlusconi arrivate ieri solo dai partiti "minori" del centrosinistra. Quelli che contestano l'asse tra il capo di Forza Italia e del partito Democratico. (14 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO Tensione sul caso Mastella. Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 12:14:37 am POLITICA
Il Piano B del premier se i senatori a vita saranno decisivi Vuole portare il Paese alle elezioni che potrebbero tenersi nel 2009 "Rimpasto e governo per le riforme" D'Alema: "Tutti dietro Romano. Poi, se si apre un'altra fase, si vedrà" di CLAUDIO TITO Prodi a caccia del voto salvezza ROMA - Un nuovo governo. Con una nuova missione programmaticamente limitata. Con un orizzonte temporale definito. E magari con una struttura seriamente "rimpastata". Romano Prodi si gioca l'ultima carta. Prova a modificare la natura del suo esecutivo e rilanciare la sua azione per un anno, con una veste del tutto rinnovata. E allora chiama al telefono Giorgio Napolitano per annunciare che se la maggioranza politica non si confermerà, ma si registrerà una maggioranza numerica, allora la sua "squadra" potrebbe cambiare vestito. Il Professore prova così a sparigliare. Sa che oggi a Montecitorio incasserà la fiducia. Ma è consapevole pure che al Senato i rapporti di forza sono decisamente più critici. E se anche otterrà una risicata fiducia grazie solo ai senatori a vita, il suo governo sarebbe comunque appeso ad un filo. In balia degli eventi. "In quel caso - è il ragionamento del presidente del consiglio - andrò al Quirinale a spiegare la situazione. A chiarire che la maggioranza numerica - con i senatori a vita - non rappresenta pure una maggioranza politica. Dovremo parlarne e trovare una soluzione". Il Professore è convinto di poter essere lui il "king maker" di se stesso e puntare a un reincarico. Con l'obiettivo di arrivare, entro un anno, alle elezioni anticipate. "Voglio essere io - aveva ripetuto fin dall'altro ieri agli alleati del Pd - a portare il Paese alle elezioni". Ma per tutti, quella frase andava riferita solo al voto nella prossima primavera. Ed invece l'inquilino di Palazzo Chigi pensava ad un itinerario ben più lungo. Sta di fatto che Prodi non ha alcuna intenzione di lasciare ad altri la chance di affrontare le emergenze del Paese: la riforma elettorale, la crisi mondiale delle borse. Ma soprattutto si irrigidisce dinanzi alla possibilità che qualcun altro redistribuisca il "suo" tesoretto. Ma in primo luogo batterà sul tasto sulle urgenze. Le stesse che da tempo vengono rimarcate dal Presidente della Repubblica. Certo, tutto dipende dal risultato di Palazzo Madama. L'ultima sfida prodiana è strettamente legata al voto di "sopravvivenza" del Senato. Solo in quel caso, infatti, avvierà i contatti con l'Udc di Casini, con la Lega di Bossi e soprattutto con Silvio Berlusconi. Al quale offrirà una sola assicurazione: le elezioni nel 2009. Eppure qualche segnale positivo già lo ha conquistato. "Rinunci al Senato - è la prima apertura del leader centrista - e poi vedremo cosa fare...". "Se si fa un altro governo - ammette un altro Udc come Bruno Tabacci - allora si discute. L'unica cosa che non ci può chiedere è di aggiungerci a questo esecutivo". Al momento, però, le sorti di Palazzo Madama restano in bilico. "A me - dice ottimista il sottosegretario D'Andrea - non sembra che il clima sia così negativo". Certo il "no" dell'Udeur peserà, le incognite di Fisichella e Pallaro persistono. Ma gli "ambasciatori" del Professore contano anche sul "partito del non voto" , su qualche assenza nell'opposizione (il forzista Guido Possa è bloccato da una frattura), sui contatti con il senatore Pistorio ("non siamo pregiudizialmente contrari al governo Prodi") e sui dubbi che dentro il partito di Mastella potrebbero emergere viste le alleanze locali con l'Unione. Anche perché Prodi non si stanca di ripetere che molti dei "mastelliani" "li abbiamo eletti noi in Parlamento. Fabris e altri dell'Udeur stavano nella lista dell'Ulivo". A parte le rivendicazioni, comunque, pure tra le file del centrodestra, non tutti danno per certa la morte del governo. "Ci dicono - raccontava una parlamentare vicina a Berlusconi - che al Senato Prodi sta ancora sopra di uno". I big del Pd - e anche il Colle - avevano invece suggerito in questi due giorni di presentare subito le dimissioni. Senza il passaggio parlamentare. Ma alla fine hanno accettato la strada indicata da Palazzo Chigi. E anche Massimo D'Alema non sembra affatto contrario all'ipotesi immaginata dai prodiani. "Noi - ha fatto sapere il ministro degli Esteri - in questa fase stiamo tutti dietro Prodi. Poi, se si apre un'altra fase, allora si vedrà. Ma prima si dovranno consumare una serie di passaggi". Nel centrosinistra, del resto, sono in molti a lavorare fin da ora per un governo istituzionale temendo il peggio a Palazzo Madama. Fausto Bertinotti è stato esplicito. In questa direzione sta lavorando anche il presidente del Senato, Franco Marini. E poi il segretario del Pd, Walter Veltroni: "Non ci sono subordinate rispetto a Romano - si raccomandava ieri davanti ai parlamentari del Pd - ma le elezioni sarebbero la cosa peggiore". Il sindaco ha parlato di buon'ora con Gianni Letta per capire le prossime mosse del Cavaliere: e la risposta è stata poco incoraggiante: da soli al voto non andiamo, e le riforme, in questo quadro, ci sembrano in alto mare. E se anche nei Palazzi della politica già si snocciolano i nomi dei potenziali premier "tecnici" o "istituzionali" come Franco Marini, Mario Draghi, Giuliano Amato e Nicola Mancino, nello stesso tempo Prodi scommette sulla sua "rivoluzione": da "politico" a "tecnico". (23 gennaio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO Napolitano pressing su Berlusconi Senza Forza Italia nessuno sbocco Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2008, 11:07:33 am POLITICA
Il capo dello Stato si prenderà tutto il tempo necessario per evitare il ricorso alle urne. "So che il sentiero è stretto ma ci devo provare" Napolitano, pressing su Berlusconi 'Senza Forza Italia nessuno sbocco' di CLAUDIO TITO ROMA - "Senza Forza Italia non si fa un altro governo". Il cuore di questa crisi politica è tutta qua. In questa frase che Giorgio Napolitano si è lasciato scappare nei colloqui della prima giornata di consultazioni. Il punto nevralgico che può evitare al Paese nuove elezioni ad aprile è rappresentato da Silvio Berlusconi. I riflettori del partito del "non voto" sono puntati su di lui. È scattato il pressing per costruire intorno al Cavaliere un muro di gomma che gli impedisca di dire la prossima settimana quel che sta ripetendo in queste ore: "Subito alle urne". Un fuoco concentrico che parte dai "cannoni" del Quirinale e del Pd. Che trova una sponda nell'Udc di Pier Ferdinando Casini e nella Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo. Non a caso ieri Walter Veltroni, al vertice del suo partito ha ripetutamente fatto riferimento alle posizioni assunte dal "mondo dell'economia e della finanza". Un fuoco concentrico, dunque, che punta a convincere il capo forzista. A fiaccarne la resistenza. E che trova in Franco Marini, l'uomo che, al momento, il Colle considera come il candidato più accreditato. Così, il presidente delle Repubblica ha già fatto sapere che si assumerà l'onere di provare a indebolire il niet berlusconiano. Mettendo nel conto anche una crisi dai tempi lunghi. "Lo so - ha detto a chiare lettere negli incontri di ieri pomeriggio - che il sentiero è stretto. Ma io ci devo provare". Napolitano da tempo aveva avvertito che con l'attuale sistema non si possono richiamare i cittadini al voto. "Bisogna garantire stabilità ai governi - ha ragionato davanti ai rappresentanti dei gruppi misti di Camera e Senato - e quel che è successo ieri ne è la dimostrazione. Serve una nuova legge elettorale, ma anche le riforme istituzionali e i regolamenti dei due rami del parlamento". Per raggiungere il suo obiettivo il capo dello Stato ha deciso di non affrettare la sua esplorazione. Quattro giorni di consultazioni e poi, dopo martedì un fase di riflessione. "Non so - ha confidato ieri ai "consultati" - quanto tempo mi prenderò". Il tutto nella convinzione che i giudizi senza appello emessi ieri da Berlusconi, tra una settimana o due non saranno altrettanto irremovibili. "Mi preparo da un anno a questa partita - diceva l'altro ieri con una battuta con un segretario di partito - e adesso la giocherò fino in fondo". Mettendo in campo il richiamo al "senso di responsabilità" delle forze politiche, le emergenze del Paese (compresa quella economica e quella dei rifiuti) e persino gli ultimi sondaggi secondo cui - raccontavano ieri nella sede del Pd - la maggioranza degli italiani non vuole tornare alle elezioni. Un forcing che nel frattempo è stato preceduto dal tentativo di tenaglia esercitato dal Partito Democratico e dall'Udc. Ieri Veltroni e Casini si sono sentiti la telefono. Hanno concordato la sostanza del comunicato diramato dal leader centrista e la disponibilità piena ad accogliere qualsiasi soluzione, di metodo e di merito, proclamata dai democratici. "Io però - gli ha detto Casini - di più non posso fare". I centristi spingono per un governo istituzionale, ma solo se aderisce pure Forza Italia. "Non mi chiedere di più - ha spiegato ad un Veltroni che lo sondava sull'ipotesi di un esecutivo senza i forzisti - . Ci stimiamo troppo per valutare questa opzione. Bisognava pensarci prima, e non ora con Prodi caduto. E comunque sarebbe contro la mia storia. Io posso fare un appello forte per un governo di responsabilità nazionale, ma senza Berlusconi io non ci posso stare". Una delusione, per il segretario Pd. Che nel pomeriggio, davanti ai maggiorenti di Piazza Santa Anastasia, ha fatto poco per nascondere il suo pessimismo. Del resto, attraverso i contatti costanti con Gianni Letta, sa bene cosa pensa Berlusconi. Ma anche per lui il tentativo va compiuto fino in fondo. Persino fino al punto di dire sì ad un esecutivo guidato dallo stesso Letta. "Noi però - ha messo le mani avanti Veltroni - non abbiamo paura delle elezioni". E già, perché le urne a tutti appaiono dietro l'angolo: il 6 o il 13 aprile. E questo pure se il fronte che vuole ritardare il voto è composto anche da soggetti esterni alla politica. I vertici del Pd hanno salutato ieri le parole di Montezemolo. Confindustria è una punta di quel pressing. Un tassello di cui il Cavaliere dovrà comunque fare i conti se e quando tornerà a Palazzo Chigi. Considerando che Emma Marcegaglia, la donna che a maggio prenderà il posto dell'attuale presidente di Via dell'Astronomia, è una "montezemoliana" di ferro. L'unica che nel 2002, per protesta contro la vittoria tra gli industriali del "berlusconiano" Antonio D'Amato, si dimise dalla carica di vicepresidente della Confindustria per l'Europa. Insomma tutte armi che in questi giorni vengono innescate per creare un clima che sconsigli Berlusconi di imboccare lo scioglimento del parlamento a dispetto di tutti. Anche del Colle con cui, eventualmente, dovrà fare i conti per i prossimi 5 anni. Ma appunto, il sentiero resta stretto. Tanto che persino il "papabile" Marini è turbato dalla sua pole position. L'inquilino di Palazzo Madama è davvero preoccupato che il pallino cada sul suo numero. Teme la situazione generale, ha paura che la spirale dell'economia internazionale si aggrovigli ulteriormente e soprattutto è terrorizzato che alla fine gli facciano fare un "governicchio" che lo esponga davanti all'opinione pubblica. "Ma come si fa - ha detto giovedì sera lasciando il Senato - a fare qualcosa? Chi ha la forza di fare qualcosa?". Per ora, intanto, Berlusconi resiste. Anche in una telefonata a Casini lo ha ribadito. Sebbene la "carta Letta" rimanga in tasca per la prossima settimana. Il partito del "non voto" spera ancora nel miracolo. Magari confidando proprio in Santa Anastasia, cui è dedicata la chiesa adiacente la sede del Pd, cui veniva accreditata una speciale capacità nel sciogliere i nodi. (26 gennaio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO Tensione sul caso Mastella. Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2008, 10:53:15 am POLITICA
Agli alleati: "Basta giochetti". Rosa Bianca, Tabacci candidato premier Tensione sul caso Mastella. Storace e Castelli: no al suo ingresso nel centrodestra La sfida di Berlusconi: voglio correre da solo di CLAUDIO TITO ROMA - "Non ne posso più di tutti questi giochetti. Io voglio presentare una lista unica". Dopo un primo momento di euforia, nel centrodestra la tensione è di nuovo salita. E Silvio Berlusconi inizia a spazientirsi. Il tira e molla sui simboli da presentare alle elezioni lo indispettisce. Le lamentele degli alleati, pure quelli "storici", lo irritano. E se l'altro ieri "un'utopia" era il patto con il Partito Democratico, adesso il "sogno" è correre con una sola lista alle prossime elezioni. Un "sogno" che l'ex premier vuole trasformare in realtà. Nei contatti avuti con i partiti "minori", infatti, è stato esplicito. "Voglio raccogliere la sfida di Veltroni, non mi va di andare alle urne con un caravanserraglio. Non voglio essere il rappresentante del "vecchio" contro il "nuovo"". Il Cavaliere, allora, sta sondando la disponibilità dei "piccoli" per poi convocare i "grandi" e tentare di metterli davanti al fatto compiuto. Per questo ieri pomeriggio è improvvisamente saltato l'incontro con Gianfranco Fini, fissato fina dalla mattina. Il leader di Forza Italia è deciso. Tanto che ha fatto predisporre una serie di "bozzetti" per il nuovo simbolo che dovrebbe rappresentare l'intero centrodestra. Una lista che potrebbe avere una sola denominazione: "Berlusconi Presidente". Il tutto per chiudere nel dimenticatoio le pastoie dei rapporti interni alla coalizione. A cominciare dall'assalto dei "piccoli". La "Destra" di Storace e della Santanché che pianta i suoi paletti. La Nuova Dc di Rotondi che reclama spazio. L'Udeur di Mastella che chiede un riconoscimento. Il Pri di Nucara e i Socialisti di Caldoro che invocano seggi. E dall'altro lato An che pone il veto contro gli "storaciani", l'Udc che guarda con sospetto ai movimenti di Rotondi, la Lega che punta il mirino contro Mastella ("Non lo vogliamo", dice Roberto Castelli). Una battaglia che sta preoccupando il Cavaliere. "Certe richieste - si è sfogato l'ex premier con i suoi - non le sopporto più". Il "sogno", certo, per il momento non si è ancora trasformato in realtà. Ma il Cavaliere ci sta scommettendo. Non è un caso che ieri il direttore di Libero, Vittorio Feltri, abbia pronosticato: "Berlusconi correrà da solo. Vuole raccogliere la sfida di Veltroni". Un'idea prospettata anche da Rotondi: "Noi siamo per una lista unica per Berlusconi che sia la premessa per il partito unico. Una lista gollista con dentro Forza Italia, An, Nuova Dc, Nuovo Psi, Pensionati e Mastella". Il capo forzista ha in mente pure l'escamotage per risolvere il nodoLega: seguire per il partito di Bossi l'esempio catalano. Autonomia e rappresentanza solo in alcune regioni. Probabilmente è solo un modo per mettere pressione agli alleati, per non farsi tirare per la giacca. Ma non è ancora certo che l'operazione riesca. Soprattutto che riesca a convincere Fini, Casini e Bossi. Ma a loro un messaggio lo ha già spedito: "Se non si fa la lista unica, non pensiate che si presentano solo quattro simboli. A quel punto do il via libera alla Destra per dar fastidio ad An e ai Dc di Rotondi per rubare terreno ai centristi di Casini". E ci sarà spazio per i laicosocialisti di Nucara e Caldoro, per l'Udeur e anche per i gruppi alla destra di Storace. "Noi - assicura infatti Storace - allo stato ci saremo con il nostro simbolo. Lo presenteremo in tutte le regioni alla Camera e al Senato. Stiamo già raccogliendo le firme. Se c'è una cosa di cui si è stufato Berlusconi è dei veti degli alleati. Certo non di noi". Mastella si riserva di decidere: "Dirò di sì se la proposta del centrodestra mi convince". Al momento, però, Forza Italia sembra pronta a offrirgli solo trequattro seggi. Nel frattempo si attrezza per la "corsa" vero il 14 aprile anche la "Rosa Bianca", il partito di Bruno Tabacci e Savino Pezzotta nato da una costola dell'Udc. La nuova formazione correrà da sola. E il candidato premier sarà proprio Tabacci. (7 febbraio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere: ho chiesto un sacrificio a Letta Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2008, 09:48:15 am POLITICA
IL RETROSCENA. Berlusconi non esclude un apparentamento anche con la Dc di Pizza Rapporti tesi con Fini. L'ex premier irritato per il pressing su liste e candidature I sondaggi allarmano il Cavaliere "Al Senato vantaggio troppo esiguo" di CLAUDIO TITO Silvio Berlusconi ospite di Matrix, il programma di Mentana ROMA - L'ultimo sondaggio ha ingigantito i dubbi. Quei dati arrivati nelle ultime ore a Via del Plebiscito hanno improvvisamente dato corpo a quel sospetto fino a quel momento solo temuto. Il vantaggio del Pdl sul Pd al Senato è "contenuto". E la maggioranza del centrodestra potrebbe non essere sufficientemente ampia. Con pochi senatori di scarto. Il fantasma che ha accompagnato Romano Prodi nel biennio 2006-2008, adesso sembra materializzarsi anche nei numeri che i sondaggisti stanno recapitando a Palazzo Grazioli. Una sorta di contrappasso che ha fatto scattare l'allarme nel quartier generale berlusconiano. Certo, la superiorità numerica è nettissima alla Camera e chiara a Palazzo Madama (grazie soprattutto agli eletti all'estero) ma non così larga da consentire margini operativi agili al futuro esecutivo. Dati solo in parte inaspettati. Ma che ora stanno facendo riflettere Silvio Berlusconi. Non è un caso che ieri abbia confermato apertis verbis che in caso di pareggio, con i rapporti di forza già registrati nel 2006 a parti invertite, lui darà il via libera alle "larghe intese". Ma per evitarle, l'ex premier ha già messo in cantiere le sue contromosse. "Dobbiamo ritoccare la nostra tattica", ha ammesso ai suoi il Cavaliere. Non tanto per quanto riguarda la campagna elettorale, quanto per le alleanze. Il primo passaggio, allora, riguarda la Sicilia. L'ex premier è letteralmente infuriato per come si sta dipanando la trattativa con l'Mpa di Lombardo. "Ma non possiamo fare a meno di loro - ha ripetuto - non possiamo permetterci di perdere il premio di maggioranza". Che in quella regione significano ben 12 senatori. Gli equilibri tanto precari che per il momento vengono segnalati a Palazzo Madama, stanno suggerendo al Cavaliere un atteggiamento morbido nei confronti degli autonomisti lombardiani. Alla fine, è la sua convinzione, l'accordo "lo chiuderemo". Il tira e molla siciliano, però, lo sta allarmando per l'impatto che potrebbe avere sull'opinione pubblica. Senza contare che anche l'ultima carta veltroniana giocata in Lombardia non è stata digerita dallo staff berlusconiano. Il "capolistato" del Pd riservato a Umberto Veronesi ha sorpreso Berlusconi e soprattutto lo ha messo sul chivalà. Un nome, quello dell'oncologo, che a Milano ha un peso specifico particolare. Insomma, tutti tasselli che stanno facendo riflettere il Cavaliere. In particolare sulle alleanze. "Avete visto cosa ha fatto Veltroni con Di Pietro e i Radicali? Lo ha fatto lui, forse...". Ecco, appunto. Se il partito unico del centrodestra resta il "sogno" da non infrangere, il capo di Forza Italia vuole superare qualche tabù. A cominciare da paletti troppo "rigidi" sugli apparentamenti. Adesso l'idea di far sostenere la sua premiership con "più simboli" non è più un tabù. È così ripartito l'approccio nei confronti della Dc di Pizza. Un simbolo che, sempre secondo l'ultima ricerca demoscopica commissionata da Berlusconi, sarebbe in grado di dragare quasi il 2 per cento di votanti. Così come vorrebbe riaprire il discorso con la Destra di Storace e Santanché. L'1,5 per cento l'ultimo dato. Ma con un potenziale superiore al 4 per cento. L'ex premier, proprio per questo, è tornato a non escludere l'apparentamento con gli "storaciani". Nelle regioni più a rischio (come il Lazio e la Campania) ma non solo. Un tema che ha già fatto infuriare il leader di An, Gianfranco Fini. Non solo. I rapporti tra il Cavaliere e l'ex ministro degli Esteri negli ultimi giorni segnano cattivo tempo. L'idea che rientri dalla finestra la Destra fa indispettire l'inquilino di Via della Scrofa. Ma il braccio di ferro riguarda le candidature. "Ne vuole troppe", dicono i forzisti che si occupano della questione. E Berlusconi ha letto l'affondo finiano sulle "liste pulite" come una vera e propria "ritorsione". "Un argomento - è sbottato l'altro ieri dopo aver letto anche la lettera di Bondi ai coordinatori regionali - di cui nessuno sentiva il bisogno di sollevare". Anche perché la paura di Forza Italia è proprio questo possa diventare il cavallo di battaglia di Veltroni e Di Pietro. "Un'arma" che in campagna elettorale può diventare dirompente contro il centrodestra. L'unico scoglio che non vuole superare è quello dei centristi: "con loro mai più. Eppure, l'ultimo sondaggio riporta solo il 3,5 per cento assegnato all'Udc. La lista unica, con il nuovo simbolo, non è stata ancora saggiata. "Stanno sotto il 6 per cento - ripete tranquillo l'ex premier - e fino a quella cifra saranno irrilevanti". (23 febbraio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere: ho chiesto un sacrificio a Letta Inserito da: Admin - Aprile 24, 2008, 08:56:34 am POLITICA L'incontro al Quirinale.
Napolitano chiede rispetto della riforma che impone non più di 12 dicasteri con portafoglio Il Colle: "Non fate troppi ministri" Il Cavaliere: "Gli alleati insistono" Problemi per Berlusconi che ieri ha detto: "Stiamo un po' stretti" di CLAUDIO TITO ROMA - "Attenzione alla proliferazione dei ministeri". Il confronto non poteva che essere interlocutorio. Un faccia a faccia preliminare. I tempi delle Istituzioni impongono di rinviare le scelte definitive ancora di qualche giorno. Eppure Giorgio Napolitano qualche indicazione l'ha voluta fornire a Silvio Berlusconi. Del resto l'incontro è stato organizzato dalle "diplomazie" del Quirinale e di Palazzo Grazioli per cominciare a studiarsi. Per conoscersi e prendere le misure. In discussione non è l'incarico al Cavaliere, ma la struttura del prossimo esecutivo. E in particolare i limiti imposti dalla recente riforma che indica solo 12 ministeri con portafoglio. E il presidente della Repubblica ha chiesto di rispettare nei limiti del possibile la norma approvata il dicembre scorso. "Ma non so se ce la farò a tenermi entro quel limite", ha spiegato il capo del Pdl. Un punto - insieme ai chiarimenti reclamati da Napolitano sugli accordi in corso con la Commissione europea per il nuovo commissario italiano - che ha occupato buona parte della riunione cui ha preso parte anche Gianni Letta. Una questione che preoccupa il Colle. "Attenzione alla proliferazione dei ministeri". Il primo giro d'orizzonte sulle scelte per il prossimo governo si è concentrato proprio su questo aspetto. "Io - è stato il ragionamento fatto dal premier in pectore - devo tenere conto dell'equilibrio che si sta formando nel nuovo partito. E anche dell'equilibrio rispetto agli alleati". Ha fatto capire che le richieste dei partner sono pressanti. Basti pensare che già ieri mattina ad un suo ex ministro "tecnico" considerato sicuro anche nella nuova squadra, Berlusconi ha dovuto dare una brutta notizia: "Stiamo un po' stretti". Napolitano gli ha suggerito di non allontanarsi troppo da quei 12 dicasteri previsti dalla legge. E soprattutto ha sconsigliato di usare un unico maxi-decreto per "spacchettare" le deleghe. Un modo per far capire che sarebbe preferibile intervenire con un disegno di legge. Sul resto, poi, il quadro prospettato dal Cavaliere ha mostrato una situazione magmatica. Ad esempio, sono stati solo quattro i nomi dei potenziali ministri accennati al capo dello Stato: Giulio Tremonti, Roberto Maroni, Franco Frattini e Ignazio La Russa. E non tutti e quattro sono stati inseriti in una casella ben definita. Se, infatti, Tremonti e Frattini sono sicuri di occuparsi dell'Economia e degli Esteri, per gli altri due c'è ancora un margine di incertezza. Tutta colpa del vero e proprio rebus che accompagna il ministero della Giustizia e il resto del team. Sul Guardasigilli, infatti, rischia di incepparsi il mosaico berlusconiano. Con Maroni agli Interni, infatti, spetta ad uno forzista quella competenza. Il leader Pdl ha contattato Elio Vito ma sull'attuale capogruppo alla Camera sono emerse le perplessità di molti dei "colonnelli" di Forza Italia e anche dei membri del Csm che fanno riferimento al centrodestra. "Io comunque - ha chiarito ai suoi interlocutori Berlusconi - a Via Arenula voglio un politico, non un tecnico. Uno che sappia trattare con i magistrati". Tant'è che la sua seconda scelta - e forse la preferita - cade su Roberto Castelli: "Lo ha già fatto per cinque anni e lo ha fatto bene". Solo che una soluzione di questo tipo implicherebbe la riscrittura di quasi tutta la compagine. A cominciare, appunto, da Maroni che dovrebbe scambiare con Claudio Scajola il Viminale per le Attività produttive. Senza contare che Gianfranco Fini, invece, insiste nel caldeggiare una terza opzione: Giulia Bongiorno. Anche dentro An, però, non manca qualche problema. Gianfranco Fini ha prospettato a La Russa l'idea di trasferirsi al partito. Ma il "colonnello" di Via della Scrofa non ci sta. Vuole andare al governo e ha chiesto proprio al Cavaliere di confermare la sua nomina alla Difesa: "Già due volte mi hanno fatto fuori per lo stesso motivo. Ora basta". Il puzzle dell'esecutivo, dunque, è ben lontano dall'essere completato. Sebbene ieri un altro elemento è emerso. Nel duello tra Gianni Letta e Roberto Calderoli sulle vicepresidenze del consiglio, il Cavaliere ha fatto capire di non voler fare un torto al suo braccio destro. Pedina fondamentale per curare i rapporti più "delicati" come quello con il Quirinale. E con il Vaticano. Basti pensare che è già in corso la preparazione - ne sta tenendo le fila proprio Letta - per un incontro con il Papa da organizzare entro l'estate. Non è un caso che ieri mattina Fini abbia chiarito ad esponente del suo partito: "Non è escluso che alla fine Silvio non faccia nessun vicepremier, ma Gianni sarà il sottosegretario unico". (24 aprile 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere: ho chiesto un sacrificio a Letta Inserito da: Admin - Aprile 26, 2008, 06:33:29 pm Il Cavaliere a un gruppo di sostenitori: "Spero di fare bene"
"La squadra non è definita". Oggi il futuro premier incontra il senatur Berlusconi, pressing sulla Lega Bossi vice, Calderoli ministro di CLAUDIO TITO ROMA - Umberto Bossi vicepremier e Roberto Calderoli alla Riforme. Oggi Silvio Berlusconi incontrerà a Milano il Senatur per provare a trovare la "quadra" del governo. E in vista di questo appuntamento ieri ha spiegato ai vertici di Forza Italia che cercherà di convincere il segretario leghista della necessità di un "scambio" di ruoli all'interno del Carroccio. "Stiamo lavorando per la composizione del governo - ha chiarito ieri il Cavaliere durante una breve passeggiata nel centro di Roma - si procede molto bene. Stiamo cercando di mettere in ogni posto uomini in grado di svolgere il compito affidato". Però, appunto, "il lavoro non è ancora ultimato. La squadra non è ancora definita". I punti interrogativi sono distribuiti su tutto lo schema che si è preparato l'inquilino di Palazzo Grazioli. In effetti tutto dipende dal faccia a faccia con l'"amico Umberto". La delegazione lumbard annunciata la scorsa settimana da Bossi non convince il premier in pectore. Soprattutto non è intenzionato ad avallare la vicepremiership per Calderoli. Il capo del Pdl non vuole schiacciare l'immagine del futuro governo con un uomo "mediaticamente" vivace come l'attuale vicepresidente del Senato. E poi teme che Riforme e Interni possano monopolizzare l'attività del centrodestra nei cinque anni di legislatura. Per questo vuole imporre qualche ritocco ai paletti piantati dalla Lega. Non è un caso che ieri proprio alla domanda se saranno due i vicepresidenti del consiglio, ha risposto con un interlocutorio "vediamo, vediamo". La questione è legata al ruolo che Berlusconi vuole affidare a Gianni Letta. Il suo braccio destro sarà con ogni probabilità vicepremier ma non gradisce di essere affiancato da Calderoli. Altra cosa sarebbe, invece, Bossi. Oggi, allora, il leader forzista non sottoporrà allo stato maggiore del Carroccio solo questo punto interrogativo. Il Cavaliere, infatti, è ancora convinto che alla Giustizia debba andare l'ex Guardasigilli Roberto Castelli. Una scelta che reclamerebbe il trasloco dell'altro leghista, Roberto Maroni, dagli Interni alle Attività produttive. Per ora i Lumbard insistono nel chiedere il Viminale, l'Agricoltura, le Riforme per Bossi e la vicepremiership per Calderoli. "Questa è la nostra richiesta", conferma Maroni. Tante questioni cui i leghisti dovranno dare oggi una risposta per sbloccare il resto del puzzle governativo. "Sono sicuro di poter convincere Umberto - ha ripetuto il Cavaliere nella riunione con i big di Forza Italia - . Dovremo trovare una mediazione". Ma soprattutto è fermo nel non cedere alla Lega su tutti i fronti. A differenza del suo precedente esecutivo, è convinto di dover frenare l'attivismo leghista. Con ogni probabilità, però, l'accordo finale difficilmente verrà trovato prima che Giorgio Napolitano affidi l'incarico al Cavaliere. E per lunedì sera è fissato un altro vertice di maggioranza per fare il punto della situazione e ufficializzare le candidature per le presidenze di Senato e Camera: Renato Schifani e Gianfranco Fini. "Speriamo di fare bene - è stato poi l'augurio manifestato ieri con i fans riuniti a Via del Plebiscito - se no mi fate fuori. Che Dio me la mandi buona". Intanto ieri Forza Italia ha messo a punto la propria delegazione di governo, compresi i sottosegretari. Seguendo un criterio territoriale per rappresentare nell'esecutivo tutto il Paese. Oltre a Giulio Tremonti e Franco Frattini, confermati all'Economia e agli Esteri, se il Carroccio si terrà il Viminale in pole position per la Giustizia c'è il forzista Elio Vito. Sandro Bondi andrà ai Beni Culturali, Claudio Scajola alle Attività produttive (se non ci sarà lo scambio con Maroni) e Paolo Bonaiuti ai Rapporti con il Parlamento. Maria Stella Gelmini è destinata ala Pubblica Istruzione. Maurizio Lupi alla Sanità e Stefania Prestigiacomo alle politiche comunitarie. Mara Carfagna attende un ruolo ministeriale, probabilmente alla Solidarietà sociale, anche se qualcuno le attribuisce anche il compito di portavoce del governo (funzione che al momento rimarrebbe nelle mani di Bonaiuti se il suo dicastero sarà quello dei Rapporti con il Parlamento). Tra gli uomini di An è sicuro del posto Altero Matteoli (Infrastrutture), Ignazio La Russa (Difesa, ma potrebbe essere lui la sorpresa per la Giustizia) e Gianni Alemanno (Welfare) se non vincerà il ballottaggio di Roma. Altrimenti il presidente di An sceglierà un sostituto tra Alfredo Mantovano e Adriana Poli Bortone. (26 aprile 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere: ho chiesto un sacrificio a Letta Inserito da: Admin - Aprile 27, 2008, 11:09:42 am POLITICA
Il Cavaliere: per sciogliere il nodo ho chiesto un sacrificio a Letta In un sondaggio di Forza Italia il 68% degli elettori boccia l'esponente del Carroccio "Non sarà il governo del Nord con Calderoli eravamo sbilanciati" "Non possiamo sbagliare sulla immagine che avrà la nostra squadra" di CLAUDIO TITO ROMA - "Questo governo non può avere l'immagine della Lega". Erano dieci anni che Silvio Berlusconi non usava parole di questo tipo nei confronti del Carroccio. Da quando ha ricomposto l'asse con Umberto Bossi dopo la frattura del 1995. I Lumbard sono stati sempre i "guardiani" del centrodestra. Il primo contrappeso all'Udc di Casini. Ora, però, il Cavaliere vuole aprire una "nuova stagione". Nella quale il baricentro della coalizione non sia troppo spostato verso il nord. E quello che è accaduto ieri a Milano ne è la prima conseguenza. Il capo del Pdl ha voluto porre un freno alle richieste dell'"amico Umberto" e segnare una piccola "svolta". Non si tratta certo di una rottura politica, ma del tentativo di instaurare un nuovo equilibrio. "Questo governo - è il ragionamento del premier in pectore - non potrà correre il rischio di essere considerato "leggero". Dovrà dimostrare di cambiare davvero le cose". E in questo quadro l'idea di ritrovarsi Roberto Calderoli a Palazzo Chigi non lo ha mai convinto. E men che meno convinceva Gianni Letta. "Non possiamo sbagliare nemmeno sull'immagine che avrà la nostra squadra - ha convenuto il Cavaliere con il suo braccio destro - . Calderoli non può fare il vicepremier. Il governo andrebbe sui giornali e in tv più per le esternazioni di Roberto che per i risultati". Non per niente a Palazzo Grazioli hanno perfino commissionato un sondaggio per verificare il gradimento dell'esponente leghista: bocciato dal 68% degli elettori. A Via del Plebiscito, insomma, temevano che i "colpi di testa" di Calderoli potessero spostare il fulcro del centrodestra troppo verso nord, condizionare l'azione della coalizione e compromettere pure il dialogo con il Pd. Un peso l'ha avuto anche la lettura regione per regione dei dati elettorali. Dati che hanno confermato un passo indietro del Pdl al nord e un netta affermazione al sud. Con un differenziale di oltre il 12% a favore del Mezzogiorno. Un elemento che in queste ore sta avendo un peso determinante per stabilire criteri e candidature per i 60 posti dell'esecutivo. Basti pensare che i forzisti hanno puntato le loro attenzioni su tre regioni: la Lombardia, certo, ma soprattutto il Lazio e la Sicilia. Ed è per lo stesso motivo che Berlusconi ha chiesto un "sacrificio" a Letta sapendo che la nomina di un solo "vice" sarebbe stata colta come una provocazione dai lumbard. "Gianni deve svolgere un ruolo di coordinamento - ha chiarito ai suoi - e lo può fare anche da sottosegretario. Gli ho chiesto un sacrificio e lui è d'accordo. È stato lui stesso a dirmelo qualche giorno fa". Non ci saranno dunque vicepremier. Sebbene ieri il futuro presidente del consiglio abbia ragionato con lo stato maggiore leghista sull'ipotesi di promuovere Bossi alla vicepresidenza del consiglio. Ma lo ha fatto sapendo che il Senatur non avrebbe gradito quel ruolo. "Non ne ho voglia - ha ripetuto anche ieri - perché il mio ruolo non è quello, non posso rappresentare l'intera coalizione. Ma se non lo sarà Calderoli, non lo sarà nessuno. I miei voti invece servono per fare il federalismo". Esattamente la delega che riceverà quando il Cavaliere salirà al Quirinale per presentare la lista dei ministri. Un equilibrio, però, che i leghisti hanno digerito malvolentieri. E che alla fine hanno accettato per non compromettere la candidatura di Maroni al Viminale (e per non perdere i due viceministri che rientrano nell'intesa). Soluzione che fino a ieri il leader forzista caldeggiava per far tornare Castelli alla Giustizia. Dicastero che al momento vede in pole position Elio Vito (non è però escluso che possa essere assegnato a Gianni Alemanno se il candidato sindaco perderà la corsa per il Campidoglio). Sono poi confermati Tremonti all'Economia e Frattini agli Esteri. Matteoli alle Infrastrutture e La Russa alla Difesa. Per le Attività produttive dovrebbe esserci Scajola e ai Beni Culturali Bondi. Gli altri incarichi - è l'avvertimento di Berlusconi - saranno "ballerini fino alla fine". (27 aprile 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere si sfoga con Bossi "Meglio se Calderoli rinuncia" Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 01:01:37 am POLITICA
Il retroscena. Il premier in pectore teme i rilievi del Quirinale sulla nomina, ma non vuole scontri con la Lega Il Cavaliere si sfoga con Bossi "Meglio se Calderoli rinuncia" Il leader: "Dopo il caso Libia mi arrivano tante pressioni" di CLAUDIO TITO ROMA - "Ci sono tante pressioni, tienine conto". Silvio Berlusconi e Umberto Bossi hanno colto l'occasione del viaggio in aereo da Milano a Roma per fare il punto della situazione sul governo. Per schiarirsi le idee su quello che accadrà da qui alla fine del mese. Per studiare le mosse che il Pdl e la Lega dovranno compiere nel prossimo futuro. Ma anche per confrontarsi con quella che rappresenta ancora una "questione aperta". Ossia la "vicenda Calderoli". E già perché l'intervento irrituale con cui la Libia è scesa in campo, qualche detrito nel centrodestra lo ha lasciato. Certo, quel diktat contro l'esponente leghista non è piaciuto a nessuno. Nemmeno al ministero degli Esteri del Pd, Massimo D'Alema, che lo ha bocciato come una inaccettabile invasione di campo. Lo stesso premier in pectore non intende dare l'impressione di "cedere alle minacce" di fronte all'integralismo islamico. Non vuole trasformare un caso diplomatico in segno di "debolezza" del nuovo esecutivo. Non può accettare che la lista dei ministri venga condizionata dal pressing di un paese straniero. Eppure una riflessione sull'argomento la sta facendo anche Berlusconi. Anzi, ieri ha sottoposto i suoi dubbi proprio al Senatur. Intanto gli ha chiesto di limitare le esuberanze dei Lumbard e lo ha invitato a valutare l'impatto internazionale di alcune "sparate" dei suoi uomini. "Devi far capire a tutti che in quel modo non si può andare avanti, non possiamo sottoporre il governo a quel tipo di tensioni. I rischi sono troppo alti". E soprattutto gli ha raccontato delle tante "pressioni" ricevute affinché Calderoli faccia un passo indietro. "Pressioni" esercitate all'interno dei confini nazionali e non all'esterno. Certo quella del Cavaliere non è stata una richiesta ufficiale, ma una esortazione a soppesare i pro e i contro quella sì. Il Cavaliere, infatti, al di là degli aspetti politici e di quelli "folcloristici" legati all'azione della Lega, ha iniziato a coltivare qualche preoccupazioni sulle conseguenze che le posizioni leghiste potranno avere sulla politica estera dell'Italia. E soprattutto sulla sicurezza interna. Il futuro presidente del consiglio ricorda ancora bene quello che accadde nel 2006 al Consolato italiano a Bengasi dopo l'esposizione della maglietta anti-Islam di Calderoli. Ancor di più rammenta la bufera che lo investì nel 2001 dopo il suo discorso a Berlino sulla "superiorità" della civiltà occidentale. Errori che stavolta non vuole ripetere. Anzi, è deciso a invertire la rotta rispetto a quegli "incidenti". Dalle parti di Via del Plebiscito, poi, sono già arrivati alcuni segnali sugli allarmi registrati dai nostri servizi segreti. Un "alert" che tocca direttamente il potenziale ministro leghista e pure le possibilità che l'indice di rischio aumenti nei prossimi mesi nel nostro Paese. La risposta di Bossi, però, è stata inequivocabile. "Non esiste proprio", ha detto con la massima nettezza. Il segretario leghista ha fatto quadrato intorno al suo colonnello e ha ricordato al Cavaliere che sarebbe veramente un atto di "debolezza" e che verrebbe incrinato il rapporto fiduciario. Nel Carroccio, inoltre, i dubbi di Berlusconi sono stati letti come una "ritorsione" di Gianni Letta. Come l'ultimo capitolo di quella battaglia combattuta a colpi di fioretto dal braccio destro di Berlusconi e dall'ex ministro delle Riforme. Un braccio di ferro che ha già fatto saltare le loro rispettive vicepresidenze del consiglio. Il muro alzato dai lumbard, comunque, per il leader forzista non può essere abbattuto con la forza. Insomma, se il Carroccio e Calderoli vorranno fare un passo indietro bene, altrimenti difficilmente il futuro presidente del consiglio forzerà la mano. Tant'è che nel frattempo ha cercato di correre ai ripari azionando la rete di rapporti creata nei cinque anni a Palazzo Chigi. Non solo dovrebbe rinviare il viaggio in Israele che in un primo momento era stata calendarizzato come la sua prima missione all'estero. Ma ha inserito in testa al programma di incontri internazionali un colloquio con il presidente egiziano Hosny Mubarak. Un appuntamento fissato per il 5 giugno, addirittura prima di quello con il presidente Usa, George Bush, atteso a Roma per l'11 giugno. Il timore di Berlusconi, però, è che la casella di Calderoli possa essere oggetto di una analisi "speciale" quando salirà domani al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il governo. Il premier in pectore, infatti, è sicuro che il capo dello Stato formulerà i suoi appunti. Attraverso i consueti "canali diplomatici" lo ha già fatto. Così, il "caso Calderoli" potrebbe non essere definitivamente chiuso. (6 maggio 2008) darepubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi: "Che figuraccia" Inserito da: Admin - Maggio 28, 2008, 11:14:25 pm POLITICA
Il Cavalier infuriato con i suoi per le tante assenze al primo vero voto Letta al lavoro per ricucire con il Pd: per viale Mazzini in corsa Bettini e Rizzo nervo Berlusconi: "Che figuraccia" Il premier ora vuol cambiare la Rai di CLAUDIO TITO ROMA - "A questo punto servirebbe una soluzione innovativa per la Rai". Silvio Berlusconi rilancia. A suo giudizio, le polemiche sull'emendamento "salva-Rete 4" sono "ingiustificate". E allora non è più il momento di usare le maniere morbide. Anche sulla Rai la maggioranza vuole andare dritta verso il rinnovo. A giugno, subito dopo l'assemblea dei soci. Senza la proroga chiesta da Walter Veltroni. Nella giornata di ieri, il premier non ha risparmiato fendenti all'opposizione ma anche alla sua coalizione. Le assenze registrate a Montecitorio sul decreto che recepisce le direttive Ue lo hanno mandato su tutte le furie. "Siamo caduti sull'uccello", ha detto con una battuta il sottosegretario Paolo Romani. Il capo del governo, però, non l'ha presa con altrettanta filosofia. Ha telefonato al capogruppo, Fabrizio Cicchitto, e al ministro della Attività produttive, Claudio Scajola. "Non è possibile, non è accettabile che al primo voto importante si faccia questa figuraccia". Il suo dito è rimasto puntato contro l'organizzazione del gruppo e contro la "superficialità" di molti deputati. Molti dei quali, come i sottosegretari, non si sono fatti registrare l'assenza per missione. "Non accetterò più episodi del genere - ha avvertito - altrimenti adotterò provvedimenti esemplari". Nello stesso tempo, l'inquilino di Palazzo Chigi non ha nascosto una certa delusione per la "propaganda" cavalcata dal Pd. Tanto da studiare un dialogo con la minoranza su binari diversi. "Anche perché non hanno capito che il nostro emendamento - si è lamentato il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani - con Rete 4 non c'entra proprio niente. Riguarda solo le tv digitali. Ora, però, non hanno più il coraggio di fare marcia indietro. Me la ricordo ancora la faccia di Zaccaria quando gliel'ho spiegato". Eppure un tentativo di mediazione ieri e l'altro ieri, c'è stato. Lo stesso Romani ha parlato a lungo con i rappresentanti del Pd: Paolo Gentiloni e Michele Meta. E anche Gianni Letta ha attivato i suoi canali con l'opposizione. "La soluzione - ha osservato proprio Meta - era a portata di mano, ma loro hanno preferito adottare modifiche del tutto secondarie". I democratici hanno suggerito pure lo stralcio dell'emendamento sulle frequenze per approdare ad un ddl ad hoc da esaminare in tempi brevi. "Non esiste - è stata la risposta di Romani - adesso si va avanti. Non cambiamo per un loro errore". Un'incomprensione che rischia di non essere contingente: molti temono conseguenze sui colloqui bipartisan impostati nelle settimane scorse. Non è un caso che il Cavaliere a questo punto abbia dato l'input per proseguire sul decreto che tocca pure le frequenze tv e abbia avviato le prime mosse per il consiglio di amministrazione della Rai. Un primo schema sul futuro cda è stato già depositato sulla scrivania di Palazzo Chigi. Berlusconi vorrebbe portare a Viale Mazzini un uomo fidato come Alessio Gorla. Un esperto di tv e il collaboratore che nel 1994 confezionò la sua "discesa in campo". Per gli altri tre membri in quota Pdl, c'è la probabile conferma della leghista Giovanna Bianchi Clerici e una chance per lo storico Piero Melìgrani. Mentre An sta facendo salire i nomi di Mauro Mazza e di Marcello Veneziani. Ma il vero nodo riguarda la presidenza. Che la legge Gasparri vuole di "garanzia". In sostanza dovrà essere segnalata dal Pd. Berlusconi vorrebbe mantenere al suo posto Claudio Petruccioli. Ma al Loft non la pensano così. La componente ex popolare dei Democratici sta spingendo per Nino Rizzo Nervo, attuale membro del cda. Tra i veltroniani, invece, sta emergendo un'ipotesi nuova: quella di Goffredo Bettini. Che sta lasciando la guida della Festa del Cinema e ha ottimi rapporti con Gianni Letta. Nella segretaria democratica, viene considerata una soluzione accettabile anche per il Cavaliere. Il quale, peraltro, è soprattutto preoccupato di scegliere il direttore generale. A Palazzo Grazioli tutti escludono il ritorno di Agostino Saccà. "Voglio una soluzione innovativa", ripete il presidente del consiglio. Ossia un manager esterno. E il candidato cui spesso fa riferimento è Stefano Parisi, ex direttore generale di Confindustria e amministratore delegato di Fastweb. L'ostacolo, però, è costituito dallo stipendio. Il tetto previsto dalla legge è troppo basso per un dirigente proveniente dall'esterno e infatti è allo studio la possibilità di abolire quel limite con una circolare ministeriale. Molto, comunque, dipenderà da chi verrà eletto alla presidenza della commissione di vigilanza: la maggioranza non gradisce la candidatura di Leoluca Orlando, ma alla fine potrebbe digerirla. Anche se con una astensione. (28 maggio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Inserito da: Admin - Luglio 01, 2008, 06:21:04 pm POLITICA
Il retroscena. Stop alla nota contro le toghe. Il premier: il Quirinale sia garante Nel documento si denunciava "l'invasione di campo" di palazzo dei Marescialli Napolitano boccia i due presidenti "Non appoggerò attacchi al Csm" di CLAUDIO TITO ROMA - "Se sulla nostra legge c'è un giudizio politico, la nostra risposta sarà politica. E le conseguenze saranno quelle di chi non assolve ai propri doveri istituzionali". Ecco il redde rationem, ecco la resa dei conti. Per il suo futuro e per il prosieguo della legislatura. Così domenica scorsa ne ha discusso con i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini. "Questa volta non transigo", ha ripetuto. E forse non è stato un caso che ieri gli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama abbiano chiesto un incontro "urgente" a Giorgio Napolitano. Un colloquio - a tratti molto teso - per esporre le loro "preoccupazioni" sul parere che oggi il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe esprimere sulla cosiddetta norma "Salva-Premier". Un summit organizzato in fretta e furia, con una procedura d'emergenza che ha sorpreso il presidente della Repubblica appena rientrato da Capri. Un appuntamento cui Schifani e Fini si sono presentati con una lettera. Poche righe per denunciare l'allarme legato all'"invasione di campo" del Csm. E sulle quali chiedevano l'avallo del capo dello Stato. "Il giudizio di costituzionalità - è il ragionamento svolto dai due sul Colle - è una prerogativa parlamentare, delle commissioni affari costituzionali e quindi della Corte costituzionale. Non del Csm che sta scavalcando i compiti delle Camere. E il Quirinale, come garante della Costituzione non può non tenerne conto". Un faccia a faccia piuttosto nervoso, con toni cordiali ma con una sostanza ben poco diplomatica. Anche perché la risposta di Napolitano è stata piuttosto ferma. "Io - è stato il suo discorso - non intervengo nell'attività di altri organi istituzionali". Soprattutto il presidente della Repubblica ha richiamato i suoi due interlocutori sui rischi della loro nota. Uno "scontro istituzionale" senza precedenti tra poteri dello Stato. Un conflitto tra Parlamento e Csm in grado di aprire una voragine nei rapporti tra Istituzioni. "Non potete", ha avvertito. Un confronto acceso, insomma, in cui alla fine Fini e Schifani hanno derubricato il loro documento con la nota diramata dagli uffici stampa. Ma incassando un impegno del Quirinale a "intervenire" nella vicenda. E già, il punto di mediazione faticosamente raggiunto ieri è stato proprio questo. I presidenti di Camera e Senato adesso si aspettano un passo "formale" di Napolitano. La richiesta di uno slittamento del Plenum fissato per oggi pomeriggio o un richiamo del capo dello Stato a rispettare le competenze di tutti gli organi istituzionali. Anche Palazzo Chigi si attende una mossa di questo tipo da parte della più alta carica dello Stato. Stamani, in effetti, ci dovrebbe essere un colloquio tra il presidente e il vice presidente del Csm, Nicola Mancino. Per valutare le diverse opzioni. Sebbene, al momento, non c'è un'indicazione precisa sulle scelte che compirà il capo dello Stato. Sta di fatto che Berlusconi aspetterà che si consumi questo passaggio per imboccare una strada o un'altra. "Perché questa volta - ha fatto sapere attraverso i suoi "ambasciatori" al Colle - non transigo". Teme, infatti, che il parere del Csm induca Napolitano a non firmare il "blocca-processi". Un'ipotesi che al momento nemmeno nel centrosinistra prendono in considerazione. Semmai, la firma potrebbe essere accompagnata da un messaggio "critico". Eppure a Via del Plebiscito, molti pensano il contrario. E del resto il premier ha messo ieri sul tavolo le sue carte. La "missione" di Fini e Schifani in qualche modo rispondeva a questa paura. Non solo. Il presidente del consiglio considera cruciali le prossime due settimane. Il parere del Csm, poi il voto a Montecitorio sul decreto sicurezza quasi in contemporanea con la decisione della Corte d'appello di Milano sulla ricusazione formulata nei confronti della presidente Gandus. E infine, appunto, la controfirma del Quirinale. "Se tutto si risolverà come temo - ha avvertito - allora anche Napolitano avrà fatto una scelta politica e la nostra risposta sarà politica". Se la Gandus non verrà ricusata e la legge non arriverà sulla Gazzetta ufficiale, l'affondo contro il Colle sarà senza tregua. "Terremo conto di chi non ha assolto ai propri doveri istituzionali. E le conseguenze saranno riconducibili a questa mancanza". Un riferimento nemmeno tanto implicito ai percorsi che la Costituzione traccia per le responsabilità della più alta carica dello Stato. Come minimo, allora, è il monito di Palazzo Chigi ci sarà la "Scalfarizzazione" (da Oscar Luigi Scalfaro) del settennato di Napolitano. E quindi la guerra aperta con i magistrati: "Anche il capo dello Stato deve sapere che se andrà a finire così, noi non solo riformeremo il Csm, ma incideremo sulla gestione dei giudici. Separazione delle carriere, orario di lavoro con il tesserino da timbrare all'ingresso dei tribunali, ferie di 30 giorni come tutti i dipendenti pubblici e lo stipendio indicizzato ai contratti del pubblico impiego". (1 luglio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Nessuno detta la linea al Colle... Inserito da: Admin - Luglio 03, 2008, 06:54:23 pm POLITICA
Il capo dello Stato precisa che la sua missiva al Csm è un'iniziativa autonoma Anche Fini irritato per l'interpretazione che Palazzo Chigi ha dato alla lettera "Nessuno detta la linea al Colle" Tensione tra Quirinale e Cavaliere di CLAUDIO TITO ROMA - "Nessuno si può permettere di dettare la linea al capo dello Stato. Questo è davvero l'abc della politica". La tensione è altissima. I rapporti tra il Quirinale e Palazzo Chigi ricadono nel turbine della polemica. E anche un alleato del Cavaliere, come Gianfranco Fini, si spende a favore del Colle. Proprio per non compromettere definitivamente il dialogo con il presidente della Repubblica. L'"abbraccio" con cui Silvio Berlusconi si è appropriato della lettera spedita da Napolitano a Nicola Mancino, infatti, ha fatto di nuovo calare il gelo tra il Colle e il Pdl. "Il presidente della Repubblica - si legge in una nota - ha indirizzato la lettera di sua autonoma iniziativa e non in accoglimento di alcuna richiesta". La missiva indirizzata al vicepresidente del Csm, assicurano poi a Palazzo dei Marescialli, era stata concordata da tempo. Tant'è che nessuno dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura se ne è stupito. Un atto già pronto, insomma, quando Schifani e Fini sono saliti allo studio alla Vetrata per parlare con Napolitano. Un incontro durante il quale, proprio per tranquillizzare i suoi interlocutori, il "padrone di casa" ha solo avvertito di quanto avrebbe fatto il giorno successivo. Ma le parole di Berlusconi hanno fatto tornare indietro le lancette della polemica. Tanto da far dire al presidente della Camera di giudicare "profondamente inadatto" il comportamento del premier. E in effetti lo stesso Napolitano ha letto con irritazione le dichiarazioni del presidente del consiglio. Anche perché il contenuto del messaggio trasmesso al Csm non puntava affatto a indebolire le competenze del Consiglio - come ha sostenuto il Pdl - ma a confermarne al contrario il potere di emettere pareri anche non sollecitati dal ministro della Giustizia. Per di più, adesso il conflitto tra il Colle e Palazzo Chigi si arricchisce di un altro capitolo. Quello sulle intercettazioni. L'ipotesi, annunciata dal Cavaliere, di un decreto per fermarne la pubblicazione viene considerata un altro colpo al dialogo. E persino rischiosa da una parte della maggioranza. L'idea del decreto, del resto, era stata adombrata nella scorsa legislatura anche dall'allora Guardasigilli Clemente Mastella e poi rapidamente archiviata dopo i rilievi forniti dalle più alte cariche istituzionali. Eppure tra i fedelissimi del premier non si esclude che il consiglio dei ministri possa essere convocato oggi o domani proprio per discutere questa eventualità. In qualche modo ventilata due settimane fa in un "refuso" nella nota di convocazione della riunione di governo. Le voci su telefonate che riguarderebbero dialoghi privati, stanno innervosendo il capo del governo. Che a questo punto ha messo nel mirino anche questo versante. La giustizia, nel suo complesso, rimane il chiodo fisso del premier. Non a caso ieri sera, appena tornato da Napoli a Via del Plebiscito, la prima persona che ha ricevuto è stato Nicolò Ghedini, avvocato e senatore di Forza Italia. "C'è un attacco concentrico contro di me - ripete Berlusconi -, una catena che va spezzata. Il processo Mills, queste presunte intercettazioni, gli attacchi del Csm. Tutti questi elementi fanno capire che c'è una manovra in corso. Da bloccare adesso. Adesso". Per questo è pronto ad affrontare con Napolitano un altro braccio di ferro sulle intercettazioni. E poi ha dato il via libera all'affondo contro Palazzo dei Marescialli. Sebbene a Palazzo Chigi tutti siano sicuri che il capo dello Stato firmerà il decreto sicurezza - la firma semmai verrà preceduta da una esternazione per criticare l'eterogeneità delle misure inserite nel provvedimento -, il premier è dunque intenzionato a non accettare una "tregua" fino a quando il caso Mills sarà in piedi e l'inchiesta napoletana sulle veline ancora in corso. La sua vera paura, infatti, è che i due emendamenti "sospendi-processi" e anche il cosiddetto Lodo Schifani - quando diventeranno legge - possano essere dichiarati incostituzionali dalla Consulta, altro anello della catena "manovrista". In un solo caso, dunque, Berlusconi è pronto a siglare un armistizio: se il presidente del tribunale di Milano, Nicoletta Gandus, verrà ricusata la prossima settimana. O se nella prima udienza del processo Mills, i magistrati di Milano faranno capire che l'accelerazione impressa nelle ultime settimane verrà in qualche modo sterilizzata. Se uno di questi due passaggi, dovessero consumarsi prima che il decreto sicurezza approdi in aula alla Camera, il Cavaliere potrebbe accettare di ritirare almeno uno dei due emendamenti "salva-premier". E concentrarsi sullo "scudo" istituzionale con un disegno di legge costituzionale. "Ma prima voglio passi concreti". (2 luglio 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi vede la lotta per la successione dietro le mosse... Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 10:57:08 pm POLITICA
Berlusconi vede la lotta per la successione dietro le mosse del leader di An Ronchi: l'uscita sul voto agli immigrati era sul piano culturale, non politico Scontro An-Lega, gelo del premier "Fini vuole smarcarsi alla Casini" di CLAUDIO TITO ROMA - "Ora si vuol mettere pure alla guida del dialogo con il Pd...". Da tempo aveva cominciato a far trasparire segni di nervosismo nei confronti del suo primo alleato, ossia Gianfranco Fini. Già a luglio, Silvio Berlusconi non nascondeva ai suoi fedelissimi il gelo nei confronti del presidente della Camera. E in parte nei confronti di Alleanza nazionale. Le mosse dell'inquilino di Montecitorio, in aula e in pubblico, non gli piacevano. L'altro ieri, però, dopo l'apertura al voto agli immigrati durante un dibattito alla Festa del Partito Democratico, il presidente del consiglio ha iniziato spazientirsi. Fino a sorprendere i suoi interlocutori con un paragone che fa tornare la memoria a due legislature fa: "Fini pensa di fare come Casini". Non rompere la coalizione, ma autonomizzarsi. Smarcarsi tendendo la mano all'opposizione. Provando a intestarsi la primogenitura di un dialogo con il centrosinistra. Muovendosi pensando alla "successione". In poche parole al "dopo-Berlusconi". Uno scenario, però, che il premier non gradisce. Nemmeno ci vuole pensare al suo "dopo". E comunque si innervosisce quando coglie un'operazione politica che scommette sulla sua fine. Così a luglio iniziò a bacchettare il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per la troppa intraprendenza. Ieri, invece, è stato il turno di Fini. "Pensa di candidarsi alla mia successione? Allora - si è sfogato Berlusconi - non ha capito niente. Senza di me, nessuno di loro sarebbe al governo. Starebbero ancora dove stavano fino al 1994". Tant'è che anche in vista della nascita ufficiale del Pdl, il leader di Forza Italia ha piantato con forza - di nuovo ieri sera in un vertice a Via del Plebiscito - i suoi paletti: la nuova formazione politica non sarà un partito tradizionale e comunque i rapporti di forza interni saranno l'esatta traslazione di quelli attuali: con i forzisti nettamente maggioranza. Il confronto sul voto amministrativo per gli immigrati, poi, ha ufficializzato uno scontro nella maggioranza rimasto fino ad ora nell'ufficiosità. E già perché i colpi che si sono scambiati in questi giorni gli uomini di Alleanza nazionale e quelli della Lega sono state delle vere e proprie sciabolate. Prima il duello a distanza tra Maroni e La Russa sui tifosi napoletani, poi quello tra lo stesso ministro degli Interni (spalleggiato da Umberto Bossi) e il presidente della Camera sugli immigrati, quindi le posizioni divaricate sul futuro dell'aeroporto di Fiumicino e di Malpensa. Senza contare che dalle prossime settimane inizierà l'esame del federalismo, su cui il partito di Via della Scrofa non ha archiviato il suo scetticismo. Ma su tutto, il premier ha sempre compiuto la medesima scelta: difendere il Carroccio. Il braccio di ferro, però, è destinato a continuare. Sebbene, lo stesso Fini ieri abbia cercato di ridimensionare la sua uscita alla Festa del PD: "Il mio era un ragionamento culturale". "Anche Gianfranco - spiega allora il ministro di An Andrea Ronchi - sa che la questione non è all'ordine del giorno. Ma il vero problema non è questo. La vera rivoluzione è capire che il voto da solo non è sufficiente a garantire l'integrazione. Per questo ha esposto la sua opinione non sul piano politico ma su quello culturale". Eppure i chiarimenti di Via della Scrofa non sono stati considerati accettabili dai lumbard. Che considerano gli affondo di questi giorni i prodromi di quel che potrà accadere quando si discuterà la riforma federalista. E comunque il titolare del Viminale ha provato "indignazione" per gli attacchi che considera personali. Sembrano allora lontani i tempi in cui, il Cavaliere se la prendeva proprio con l'attuale ministro degli Interni. Solo qualche mese fa, all'inizio dell'anno, il capo di Forza Italia stigmatizzava la disponibilità di Maroni al dialogo con l'allora maggioranza: "Roberto si sta "follinizzando"". Un concetto che adesso riversa su Fini. Anzi, ha iniziato a avvertire che "se devo tenermi un Casini, allora mi riprendo l'originale". Da qualche settimana infatti, il presidente del consiglio non nasconde che l'Udc potrebbe rientrare nel gioco proprio per fare da ago della bilancia tra le "intemperanze" di An e Lega. E il primo passo potrebbe essere il via libera ad un presidente centrista della commissione di Vigilanza. (5 settembre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. "Quel monito è proprio per Silvio basta con veline e calciatori" Inserito da: Admin - Settembre 08, 2008, 04:45:35 pm ESTERI L'INTERVISTA.
Casini: "Ma anche io mi sento chiamato in causa come cattolico dalle parole del Papa" "Quel monito è proprio per Silvio basta con veline e calciatori" di CLAUDIO TITO ROMA - "Certo che mi sono sentito chiamato in causa. Proprio come ogni cattolico che va a messa e si sente tirare le orecchie dal suo parroco". Pier Ferdinando Casini non nasconde di aver ascoltato le parole di Benedetto XVI "in modo particolare": un richiamo che ha investito anche la sfera "personale". Per il leader dell'Udc, però, l'ammonimento del Pontefice riguarda tutti e tutti gli schieramenti, dal Pd al Pdl di Silvio Berlusconi. Allora ricorda al premier di non poter essere "al di sopra" del richiamo papale e poi punta l'indice contro la televisione. Contro chi propaganda la "società delle veline e dei calciatori". "Bisognerebbe - dice - guardare meno la televisione e fare più volontariato". Cosa ne pensa del discorso del Pontefice a Cagliari? "Intanto credo che il richiamo del Papa sia ineccepibile. Chi riteneva che la Chiesa dovesse essere confinata in un ruolo testimoniale, ora dovrà meditare sulle parole del Pontefice. La Chiesa è una risorsa per la società, un elemento fondamentale". Però Benedetto XVI sembra bacchettare proprio i cattolici impegnati in politica come lei. Tanto da invocarne una nuova generazione. "So bene che nel Dopoguerra c'è stata una generazione di cattolici - penso a De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti - capace di impregnare la prima fase della Repubblica a cominciare dalla definizione della Costituzione. E so bene che oggi, al contrario, si avverte un deficit di rappresentanza". Un deficit che tocca anche lei? "Chi non si sente chiamato in causa, forse non capisce. Ciascuno poi cerca di dare il proprio contributo. Io difendo un partito che si poggia sui principi richiamati da Sua Santità". Una riflessione che riguarda solo la politica o anche la sfera personale? "Chi è senza peccato scagli prima pietra. E chi è abituato a farlo evidentemente ha poca dimestichezza con il nostro mondo. Certo, a partire dal tema dei divorziati, ciascun credente è chiamato a interrogarsi profondamente. Altri, invece, non si pongono il problema. Ma nell'appello del Pontefice c'è dell'altro". Ossia? "Ci fa capire che la politica non è solo pragmatismo, non è solo selezione della classe dirigente attraverso la cooptazione del capo. Non è la spartizione dei posti negli studi notarili: l'esigenza che pone il Santo Padre è di far avanzare una generazione nuova che si costruisca sulla idealità e sui principi". Un modo per dire che anche Berlusconi non si può considerare immune? Eppure il Cavaliere da tempo dice che i cattolici li rappresenta lui. "Se è per questo, allora mi dica: chi non rappresenta Berlusconi? Se parlassimo dei musulmani, direbbe esattamente la stessa cosa. Ma a parte le battute, il deficit di rappresentanza esiste, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di questo richiamo. Nessuno può pensare di essere al di sopra delle parole di Benedetto XVI". Qualcuno ha letto come una stoccata al Cavaliere anche l'invito a non farsi affascinare da chi è ricco e famoso. "In effetti quel che conta è l'essere e non l'apparire. Ma la società di oggi idolatra veline e calciatori perché siamo tutti schiavi di un consumismo che mercifica ogni riferimento. Penso che i nostri figli dovrebbero guardare meno la televisione e frequentare di più certe straordinarie esperienze di volontariato e di assistenza ai disabili. Ma forse questo vale per tutti noi. Le veline e i calciatori non sono dei miti, ma dei finti modelli". Per recepire l'intervento del Pontefice, bisognerebbe tornare all'unità politica dei cattolici? "Quella è morta e sepolta da tempo. E la Chiesa non ha mai contato tanto come in questa fase, proprio perché interloquisce con tutti. Però è vero che un'azione congiunta su alcuni temi specifici - come sulla fecondazione assistita - ci dovrebbe essere". In che senso? "Su alcune battaglie, sulla "fine vita" che io non chiamo testamento biologico, sui temi etici insomma, i cattolici devono uscire dall'infantilismo politico. Al di là degli schieramenti in cui sono eletti, bisogna cercare una trasversalità. Va recuperata la difesa dei valori. Questo è un grande disegno cui l'Udc sta lavorando da tempo". E vorrebbe coinvolgere anche i cattolici del Pd? "Certo, mica sono dei credenti di serie B. Le grandi questioni etiche riguardano tutti e forse in Italia ce ne accorgiamo solo adesso. Se andiamo negli Usa vediamo come tra Obama e McCain la sfida sui valori etici sia centrale. Dunque smettiamola di avere complessi di inferiorità verso un certo mondo laicista che vorrebbe confinare i cattolici in "riserve di caccia". È ora che anche chi sta all'avanguardia nel centrosinistra si dia una mossa". (8 settembre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere non si dà pace "Bisogna riallacciare il dialogo" Inserito da: Admin - Settembre 19, 2008, 08:44:01 am ECONOMIA
Pressing sulla cordata. E spunta la nazionalizzazione a tempo Telefonata di chiarimento tra il presidente della Cai e il leader Cgil Il Cavaliere non si dà pace "Bisogna riallacciare il dialogo" di CLAUDIO TITO ROMA - "Io non mollo, non posso mollare". Silvio Berlusconi non si da pace. Di fronte al "baratro" che si aperto dinanzi ad Alitalia, sta cercando di afferrare qualsiasi ramo per non precipitare giù. Mettendo in campo persino la "nazionalizzazione a tempo", come accadde per Air France nel 1994. Così ieri ha chiamato uno ad uno i partner della Cai per convincerli a tornare al tavolo delle trattative. Ha chiesto loro di ripensare l'addio al negoziato. Ha illustrato le conseguenze del fallimento della Compagnia di bandiera. Ha implorato un "sacrificio". Che, però, difficilmente la "squadra" di Colannino compirà. Almeno se non cambieranno le condizioni. Eppure, al presidente della Cai ha dato ragione sull'atteggiamento "irresponsabile" di "alcuni" sindacati e ha promesso un impegno dell'esecutivo su tutti i fronti. Ma gli ha anche illustrato gli effetti del "disastro annunciato". Per ora la risposta è rimasta negativa. Eppure il richiamo, almeno in Colannino, ha aperto una piccolissima breccia. Niente di concreto, nulla che possa allo stato far riaprire il dossier. Ma certo non può essere un caso che dopo quella fitta ragnatela di contatti "diplomatico-economici" tessuta ieri pomeriggio, proprio il leader della Cai abbia provato a rasserenare i rapporti persino con il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani. Una telefonata per chiarirsi. Un colloquio nel quale il capo di Corso Italia ha illustrato il senso della sua lettera. E che alla fine si è chiusa con una battuta che sembra lasciare socchiusa la porta del dialogo: "Cerchiamo di far scoccare una scintilla", ha detto Colannino. Quella "scintilla" che anche il Cavaliere sta inseguendo in tutti i modi. Certo, i segnali che ieri sera arrivavano dal socio "forte" della Cai, ossia Banca Intesa, non erano affatto confortanti: "non ci sono le condizioni", ripetevano i vertici dell'Istituto agli uomini del premier. L'idea che si vada verso il fallimento, però, fa raggelare il premier. Che per l'intera giornata di ieri se l'è presa con la Cgil e con i piloti Alitalia. Ha sperato in un rinsavimento delle altre sigle e alla possibilità di raggiungere l'accordo senza il sindacato di Epifani. Il tentativo di "isolare la sinistra" è rimasto un suo chiodo fisso. Ma poi quando ha visto i dipendenti AZ saltare per la gioia per il fallimento del negoziato, non ci ha visto più: "Contenti loro, contenti tutti. Perdono il posto e sono felici... sarebbe da abbandonarli tutti al loro destino". Ma il timore di ritrovarsi 20 mila dipendenti per strada e il blocco delle comunicazioni sull'intero territorio nazionale costituiscono per Palazzo Chigi un incentivo irresistibile a insistere. A indagare sulle possibile e eventuali soluzioni alternative che adesso sono diventate ancora più complicate dopo la crisi delle borse e delle banche che sta investendo gli Usa e l'Europa. "Le ristrutturazioni - si è lamentato per tutto il pomeriggio - sono state fate ovunque. In America e in Europa. Solo da noi diventa un dramma". Un "dramma" che si sta lentamente trasformando in un "baratro". tant'è che sul tavolo del governo due alternative di emergenza sono improvvisamente comparse. Se la Cai si ritirerà definitivamente, allora la prima mossa sarà quella di "allungare" la fase commissariale di Augusto Fantozzi. Al momento la cassa di Alitalia sembra dare respiro per un altro mese. Ma potrebbe essere rimpinguata con un altro prestito-ponte. Una strada cui il commissario sarebbe obbligato per dare continuità all'azienda e creare le migliori condizioni di vendita. L'articolo 52 della legge sull'amministrazione straordinaria, anzi, consente l'attivazione di mutui con priorità assoluta su tutti gli altri debiti. Una procedura adottata persino negli Usa dalle Compagnie aeree fallite e poi vendute. Ma la carta su cui Palazzo Chigi è pronto a puntare come extrema ratio è allo studio in queste ore. Una procedura che rischia di scontrarsi con la legislazione dell'Unione e che però prende spunto proprio da un precedente "europeo": quello di Air France. L'azienda francese nel 1994 è stata nazionalizzata per quattro mesi, quindi ceduta ai privati e rilanciata da Cyril Spinetta. Un episodio rammentato martedì scorso dal presidente francese Nicolas Sarkozy nell'incontro a Parigi con Berlusconi. Il premier italiano, da quel momento, ha inserito "l'esempio francese" nell'agenda delle cose possibili. Un percorso per riattivare dopo qualche mese i contatti con le aziende interessate: appunto Air France, Lufthansa e British Airways. La "nazionalizzazione a tempo" entra così nel novero delle mosse disperate da effettuare se tutto precipiterà nel "baratro". (19 settembre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Attacco plateale di Tremonti frena l'asse premier, Letta, Geronzi Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2008, 12:03:47 pm ECONOMIA
L'emendamento salva-manager contestato più che scomparire verrà riscritto Il presidente di Mediobanca rivendica il ruolo di Fazio: "Merito suo le banche solide" E l'attacco plateale di Tremonti frena l'asse premier, Letta, Geronzi di CLAUDIO TITO ROMA - "Se il nostro sistema bancario è solido, lo dobbiamo soprattutto ad Antonio Fazio". L'altro ieri mattina Cesare Geronzi l'ha buttata là. Facendo finta di niente e lasciando ammutolito il padrone di casa, ossia Giulio Tremonti. Il ministro dell'Economia aveva convocato banchieri e imprenditori al Tesoro per concordare il decreto anti-crisi finanziaria e proprio non si aspettava una citazione del genere. Quasi un salto nel passato. A tre-quattro anni fa, quando lo scontro con l'allora Governatore della Banca d'Italia era durissimo. Una battaglia alla fine vinta con il siluramento di Fazio dopo gli scandali Cirio, Parmalat e quello dei "furbetti del quartierino". In quel momento il sospetto che quel "mondo" possa ricompattarsi definitivamente con una parte dell'esecutivo si è improvvisamente materializzato. Un "dejavu'" che l'inquilino di Via XX Settembre vorrebbe allontanare per sempre. E non è un caso che da quando è nato il nuovo governo Berlusconi, la sfida quotidiana tra Tremonti e Gianni Letta si è intensificata. Quella frase, quindi, ha avuto un peso non indifferente sulla giornata di ieri. Sul "no" all'emendamento "salva-manager" inserito nel decreto Alitalia. "Chi nelle aziende sbaglia - è stato il concetto ripetuto da Tremonti a tutti i suoi interlocutori fino alla partenza per Washington - deve pagare. E non è possibile che qui non si paghi mai: sia quando il dirigente non si dimostra all'altezza e sia quando va sotto processo". Un ragionamento esplicitato nei contatti con Silvio Berlusconi e anche, appunto, con il sottosegretario alla presidenza del consiglio. E anche stavolta lo stop, sancito nell'aula di Montecitorio, sembra rivolto in primo luogo al braccio destro del Cavaliere. O meglio all'asse che da tempo mette in connessione il presidente di Mediobanca, il sottosegretario e il premier. Lo stesso Berlusconi non nasconde in tutti i suoi contatti di aver ricomposto "l'amicizia con Cesare". Di fronte alle polemiche, però, ha cercato di minimizzare: "E' stato solo un disguido", ha assicurato in riferimento al "lodo" che blinda i vertici delle aziende. Eppure i senatori che l'hanno presentato spiegavano ai colleghi del gruppo Pdl di aver ricevuto il via libera di Palazzo Chigi. Sta di fatto che già mercoledì scorso Tremonti aveva puntato l'indice contro i manager che sbagliano. Nel modo felpato e indiretto che si addice a questo tipo di incontri, aveva invitato Geronzi (socio di Unicredit) a criticare pubblicamente le mosse di Alessandro Profumo, a partire dalla recente ricapitalizzazione. Un'esortazione non recepita dal numero uno di Piazzetta Cuccia. Un elemento che ha irritato ancor di più il ministro costretto ad accettare un decreto in cui le "colpe" dei banchieri non emergevano anche dinanzi all'aiuto di Stato. E alla prima occasione ha fatto in modo di far emergere il suo disappunto. A cominciare dalla norma salva-manager. "Chi sbaglia - ripetevano al Tesoro - deve pagare". In questo caso si tratta in primo luogo dei vertici di Cirio e Parmalat. Procedimenti che vedono il coinvolgimento anche di Geronzi. Gli uomini di Mediobanca, però, rifanno presente che il ruolo del loro presidente in quelle inchieste è assolutamente secondario: "non abbiamo bisogno di quell'emendamento e soprattutto ne eravamo all'oscuro". Sta di fatto che ieri mattina Tremonti ha fatto di tutto per render plateale il suo "no" a quell'emendamento. Persino applaudendo il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. Ora, intanto, anche Palazzo Chigi non vuol più sentire parlare di quel "salvagente". "E' un disguido", garantisce il Cavaliere. Che ha dato ordine di correggere l'articolo del decreto provando a limitare il "salvacondotto" solo ai manager, come Augusto Fantozzi, che stanno gestendo l'Alitalia (in particolare la bad company) in questa fase. L'emendamento insomma, più che scomparire, verrà riscritto. Negli ultimi due giorni, però, il Cavaliere ha fatto poco per occultare le sue punture di spillo nei confronti del ministro. Ha pubblicamente contestato il paragone citato ad ogni piè sospinto da Tremonti. "Questa crisi - ha sottolineato il Cavaliere - non è affatto come quella del '29". Eppoi, dopo aver riferito che il decreto non è esattamente come quello richiesto dal suo ministro, ha puntualizzato: "E' proprio quello che volevo io". Del resto, non è solo Letta a privilegiare il rapporto con Geronzi. Quello tra il leader di Forza Italia e il presidente di Mediobanca è un'intesa che va via via rafforzandosi. Perché come osservò Berlusconi in una cena poco prima che cadesse il governo Prodi, "tutti devono fare i conti con Geronzi". E dopo la vittoria del Pdl alle elezioni, "tutti devono fare i conti anche con me". (10 ottobre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Ma il premier teme il calo di consensi "Walter cavalca ... Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2008, 03:08:18 pm IL RETROSCENA.
Il Cavaliere ne ha parlato con Tremonti chiedendogli uno sforzo per aumentare il potere d'acquisto Ma il premier teme il calo di consensi "Walter cavalca la crisi e la scuola" di CLAUDIO TITO ROMA - "Gliel'hanno detto a Veltroni che nelle banche ci sono i risparmi degli italiani? Gliel'hanno detto che io sto facendo esattamente quello che fanno in tutti gli altri paesi? Gliel'hanno detto che se il governo non difende gli istituti di credito crolla l'intero sistema? Ma si rende conto di dire delle cose assurde?". Quando ha letto la sintesi del comizio del segretario Pd al Circo Massimo, Silvio Berlusconi si trovava ad Astana, la capitale del Kazakhstan. La sosta tecnica di sabato notte al rientro da Pechino si era trasformata in una breve visita ufficiale con tanto di cena formale con il presidente kazako Nazarbayev. Lo scalo allora gli ha consentito di ricevere tutti i fax e le "brutte notizie" da Roma. Le parole del leader Pd gli hanno mandato di traverso la cena. In particolare gli attacchi sulla situazione economica e sulla crisi dei mutui. Allora, con lo staff che lo accompagnava sul velivolo dell'Aeronautica militare, non ha fatto niente per nascondere la rabbia. "Non possiamo lasciare che tutto passi senza una risposta. Domani parlo io". E già, perché l'attenzione di Palazzo Chigi su quel versante è altissima. Il presidente del Consiglio monitorizza gli umori della gente con continui sondaggi ed è convinto che l'"emergenza portafoglio" sia l'unico fronte che può incrinare la cosiddetta "luna di miele". Quella sintonia con gli elettori che gli ha permesso fino ad ora di incassare indici di popolarità piuttosto alti. Eppure, la bufera finanziaria qualcosa ha cambiato nell'umore degli italiani. "I sondaggi che cita Veltroni sono del tutto falsi - ripete ai suoi -. Quel calo del 18% non esiste". Ma anche a Via del Plebiscito temono che il combinato disposto tra la "protesta scolastica" e le difficoltà economiche possano invertire il trend. Qualche preoccupazione, del resto, l'ha provocata anche l'ultimo sondaggio di Mannheimer che segnala una certa flessione. A Via del Plebiscito non è ancora suonato l'allarme rosso, ma è la prima apprensione che si manifesta da maggio. Non è un caso che ieri sera, il premier abbia parlato proprio dei sondaggi con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. E non è nemmeno un caso se, pur sbattendo la porta in faccia all'opposizione, l'abbia tenuta ben aperta nei confronti del sindacato. Anche della Cgil. Berlusconi vuole infatti evitare che il Pd diventi il portabandiera delle famiglie in difficoltà, il portavoce di chi non arriva alla quarta settimana. Sta quindi cercando di capire con Tremonti se sia in qualche modo realizzabile la proposta formulata un paio di settimane fa dalla Confcommercio: detassare le tredicesime. Un'ipotesi complicatissima per il Tesoro, ma il presidente del consiglio sta insistendo per una misura che tocchi almeno i redditi più bassi. Anche perché una manovra in questo senso, a suo giudizio, piazzerebbe il Pdl con il vento in poppa nella campagna elettorale per le prossime europee di maggio. O almeno renderebbe stabile la tendenza a non trasferire verso il Pd il voto dei "delusi" dal governo. "Altro che difendere le banche - si è allora sfogato ieri anche sull'aereo in volo da Astana - io difendo i soldi degli italiani. So bene che la situazione è quella che è, ma facciamo tutto il possibile". Così ai ministri che ha sentito per concordare l'affondo di ieri pomeriggio, ha di nuovo ribadito che un dialogo con il centrosinistra allo stato è impossibile. "Quello - si è ancora lamentato di Veltroni - mi accusa di guidare il Paese come un consiglio di amministrazione, ma non sa di cosa parla. Io concordo sempre tutto con ciascun alleato". Ma il suo vero chiodo fisso sembra soprattutto Antonio Di Pietro. "Mi chiedo? Dopo tutto quello che gli ha combinato, come fa Veltroni a manifestare con quello lì? A cosa gli serve tornare insieme all'Italia dei Valori? A cosa gli serve usare quel linguaggio?". A suo giudizio, infatti, l'ex pm resta "il vero problema del riformismo italiano". Senza contare che l'abbraccio tra "Walter e Tonino" può risultare fatale per quanto riguarda la Rai. In questo clima, il premier scommette ben poco sull'accordo per eleggere il nuovo presidente della commissione di Vigilanza. "A meno che il Pd non si decida a ragionare". Della manifestazione del Circo Massimo, poi, ha parlato pure con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Ha preso atto che tutto si è svolto pacificamente ammettendo che sotto il profilo della partecipazione "a Veltroni non è andata male". Ma fin dalla scorsa settimana il Cavaliere era certo che la piazza sarebbe stata riempita e che non si sarebbe trattato di un flop. Pure il titolare del Viminale, però, gli ha confermato i dati forniti dalla questura: "ad ascoltare il leader democratico non c'erano più di 300 mila persone". Con i "fedelissimi", poi, è tornato a ricordare gli incontri avuti a Pechino. I contatti con i leader di tutto il mondo. I colloqui con il governo del Kazakhstan dove l'Italia ha "interessi enormi" a cominciare dall'Eni e da Unicredit. L'agenda internazionale del prossimo anno che prevede missioni in Giappone, Vietnam, Corea del Sud, Cina e India nei primi mesi del 2009. "Poi torno qui a Roma - ha allargato le braccia dinanzi a tutti i suoi interlocutori - e devo assistere a questa vecchia politica". (27 ottobre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Università, stop del governo "Prima calmiamo le acque" Inserito da: Admin - Novembre 02, 2008, 11:45:15 am SCUOLA & GIOVANI
La riforma doveva essere discussa in settimana ma dopo le proteste Berlusconi preferisce rimandare. E Bossi rilancia: "Gli atenei vanno finanziati" Università, stop del governo "Prima calmiamo le acque" di CLAUDIO TITO ROMA - "Il clima è troppo acceso. Adesso dobbiamo andare avanti con un po' più di calma". Silvio Berlusconi accende il semaforo rosso. La riforma dell'università deve attendere. Maria Stella Gelmini lascerà per un po' nel cassetto il suo "piano" per gli atenei. Le manifestazioni di questa settimana, insomma, un effetto l'hanno avuto. E il Cavaliere non vuole correre rischi. Non ha alcuna intenzione di incendiare la piazza. Soprattutto in una fase in cui le proteste di studenti e professori sembrano sempre più intersecarsi con le difficoltà della crisi economica. "Ora - è quindi la scelta del presidente del Consiglio - andiamo avanti con un po' di calma". Il secondo passo studiato dal governo per ristrutturare l'Istruzione pubblica, dunque, verrà rallentato. Il provvedimento - stavano esaminando pure l'opzione di un nuovo decreto - era previsto per la prossima settimana, ma i tempi si allungheranno. Di un bel po'. Eppure solo quattro giorni fa l'intervento era stato annunciato con tutti i crismi dell'ufficialità dallo stesso ministro dell'Istruzione. "Entro una settimana presenterò il piano sull'università", aveva scandito dopo il sì del Senato alla sua riforma scolastica. Del resto, pure il Cavaliere fino a qualche giorno fa sfidava tutti gli scettici, compresi quelli del centrodestra, ripetendo: "E ora tocca all'università". Qualcosa, però, negli ultimi giorni è cambiato. Le proteste degli studenti. Le manifestazioni dei docenti. La stagnazione dell'economia. Il clima nei confronti dell'esecutivo non è più lo stesso. Sul tavolo del premier i sondaggi lo confermano. Già una settimana fa i dati avevano impensierito l'inquilino di Palazzo Chigi, e adesso ha avuto una controprova. La riforma Gelmini non è "popolare", soprattutto è stata percepita in senso negativo dalle famiglie. "Non si può insistere subito sullo stesso punto", ha allora fatto sapere il Cavaliere. Bisogna che si calmino le acque per non trasformare la protesta in un rogo in cui si saldano studenti medi, studenti universitari e professori. Come va ripetendo Umberto Bossi "è inutile far unire anche gli universitari alla protesta della scuola". Il premier, insomma, ha dovuto prendere atto anche delle resistenze all'interno della maggioranza. "Occorre trovare i finanziamenti adatti - ha avvertito ieri il ministro delle Riforme - perché l'università è una cosa importante". E in effetti il piano, che è già pronto nel cassetto del ministro dell'Istruzione, si metterebbe nella scia della manovra economica approvata a luglio scorso. Il decreto di Tremonti, cioè, che ha sforbiciato gli stanziamenti per gli atenei nei prossimi tre anni. Nel 2009 il Fondo per il finanziamento ordinario dell'università è stato ridotto di oltre 700 milioni, gli importi per l'istruzione universitaria di 1600 milioni, i soldi per il "diritto allo studio" ridotti del 60% e persino le risorse per le facoltà "non statali" - tanto care a Berlusconi - decrescerà di 60 milioni. Per il presidente del consiglio, quindi, "al momento è meglio evitare di andare subito anche sulla riforma dell'università". Un suggerimento su cui giovedì scorso ha battuto con insistenza pure il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il quale durante una colazione di lavoro, ha sottolineato i rischi di uno scontro che coinvolga i docenti e i giovani universitari. Gli esperti di An poi sono usciti allo scoperto chiedendo un confronto con tutte le parti in causa e bocciando preventivamente la strada del decreto e della fiducia. "Servirebbe - ammette anche Stefano Caldoro, socialista eletto dentro Forza Italia, impegnato a luglio come relatore della manovra Tremonti - un patto con il mondo dell'università. Un patto di stabilità condiviso". Anche perché la seconda puntata del pacchetto Gelmini prende spunto proprio dai "tagli" stabiliti dal ministro dell'Economia. Secondo alcune indiscrezioni, il progetto punterebbe a bloccare la "proliferazione" dei corsi, a cancellare le sedi distaccate considerate in eccesso e a trasformare gli istituti in Fondazioni di diritto privato (il decreto 112 già contemplava la "possibilità" per i singoli di atenei di compiere questa scelta che diventerebbe invece obbligatoria). Non solo. Il piano verrebbe accompagnato dalla "sospensione" dei concorsi per i professori - quelli già banditi nel 2007 e nel 2008 - al fine di rendere effettivo il blocco del turn over. Ai piani alti del ministero si sventola una ricerca in cui si evidenza come i docenti italiani assunti a tempo indeterminato siano circa 65 mila e in Germania "solo" 40 mila. Per Berlusconi, però, non è più il tempo di forzare la mano. (2 novembre 2008) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Colaninno minaccia: 'Chiudo Linate' ... Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2009, 01:13:33 pm ECONOMIA
Alta tensione ieri a palazzo Grazioli nel vertice tra Berlusconi, il leader della Lega e i vertici di Cai. Tregua siglata con le garanzie sul futuro degli scali lombardi Colaninno minaccia: 'Chiudo Linate' Bossi si riappacifica con il premier di CLAUDIO TITO ROMA - "Abbiamo due anni per riflettere, non dobbiamo decidere tutto ora. Abbiamo il tempo di potenziare le rotte. Nessuno vuole penalizzare Malpensa e nessuno vuole far chiudere Linate". Fino a ieri mattina la partita Alitalia sembrava contrapporre il "partito del nord" pro Malpensa a quello del "sud" pro Fiumicino. Nel doppio vertice di ieri a Palazzo Grazioli, invece, Silvio Berlusconi ha dovuto prima di tutto sedare lo scontro tra i "nordisti". Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, spalleggiato da An (in particolare dal "collega" Alemanno), pronto a guerreggiare contro i lumbard in difesa dello scalo cittadino. La tregua - perché i leghisti non la vogliono ancora chiamare "pace" - è stata siglata proprio sulle garanzie fornite dal premier e dal presidente di Cai, Roberto Colannino, sul futuro degli scali lombardi. Assicurazioni, però, che facevano perno su un unico presupposto: l'intesa con Air France è imprescindibile, "si chiude lunedì prossimo". E già, perché le insistenze del Carroccio sull'aeroporto di Varese e sull'opzione Lufthansa per un momento anche nel summit di Via del Plebiscito avevano provocato un impasse. Con tanto di nervosismi malcelati dai "bossiani". "Se volete che Malpensa sia da subito un Hub - è stato il ragionamento svolto dal "capitano" della nuova Alitalia - per noi va bene. Ne abbiamo parlato anche con Air France. Spostiamo tutti i voli di Milano a Malpensa". Una provocazione, per di più calcolata. Perché l'ipotesi era già stata archiviata nei contatti con Gianni Letta e con il premier. Sta di fatto che la semplice eventualità che Linate potesse chiudere i battenti ha diviso e indebolito il "partito del nord". "Non è accettabile, anzi sarebbe disastrosa", ha tuonato la Moratti. Da qual momento, il Cavaliere ha cominciato a fare la spola tra i due incontri. Da un parte il vertice politico con la Lega e il ministro Altero Matteoli, dall'altra quello "aziendale" con i vertici di Cai, della Sea e i sindaci di Roma e Milano. La tensione è salita. La delegazione lumbard con Bossi, Maroni e Calderoli, si è irrigidita. Il malumore, del resto, serpeggiava da giorni. "Io faccio un discorso politico - ha spiegato il Senatur -: il nord non può rimanere isolato. Sapete quante aziende ci sono? Quante di queste contano su Malpensa? Quella è gente che guarda a noi e non possiamo lasciarla a secco". Un calcolo che il sottosegretario ai Trasporti Roberto Castelli ha snocciolato in un attimo. Rispetto all'altro ieri però, quando il premier e Bossi avevano addirittura evitato di parlarsi, stavolta i due si davano di gomito. Il premier ha recepito le lamentele leghiste, per smontarle un attimo dopo: "Sono d'accordo. È chiaro che ci facciamo carico delle esigenze del nord e di Malpensa. Anche io sono un industriale del nord. Le rotte possono crescere. Ne ho appena parlato con Colaninno". Un attimo ed è stato proprio il capo di Cai ad avvicinare il ministro delle riforme. Memore dei tempi in cui il Senatur lo definiva il "campione degli imprenditori padani", gli ha stretto la mano. E poi ha tirato fuori dalla borsa il piano industriale di Alitalia. Nel quale il futuro di Malpensa dovrebbe irrobustirsi nel giro di due anni con le rotte intercontinentali: passerebbero da 3 a 17. L'aeroporto varesino, dunque, si trasformerebbe nell'hub per le tratte con l'estremo oriente e il Sud America e a Linate verrebbe riservata la navetta Roma-Milano. L'unico modo, ha chiarito Colaninno e ha convenuto Berlusconi, per costruire un'azienda "pulita" in grado di raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di 24 mesi. Traguardo che invece Lufthansa non può certificare. "Anche perché - ha ripetuto il premier a Bossi - non esiste una vera offerta da Berlino. C'è una lettera di intenti, ma niente di più". Non solo. Per "coprire" l'offerta francese, i tedeschi dovrebbero mettere sul piatto della bilancia circa 600 miliardi: 310 per arrivare al cash di Af, 200 per pagare la penale per l'uscita dall'alleanza Sky Team, e il resto per sostituire i sistemi operativi di Alitalia ormai integrati con Air France. Argomenti che alla fine hanno in parte convinto il Carroccio. Basti pensare che lo stesso Senatur ha lasciato per primo la riunione con un rassegnato "vabbè, fate voi". Oggi, comunque, i leghisti proveranno a insistere chiedendo attraverso Castelli l'incremento complessivo dei voli sugli scali lombardi. Ma niente di più. E per indorare la pillola, alla fine il presidente del consiglio ha anche promesso un iter parlamentare velocizzato per il federalismo. La riforma della giustizia verrà ritardata almeno di un mese per evitare ostruzioni. Il premier non vuole sentire invece parlare di "rimpastini". Vorrebbe promuovere i sottosegretari Fazio e Brambilla. Ma non a costo di arrivare ad una tornata di nomine troppo ampia come reclamano gli stessi leghisti e anche An. "E comunque - ha chiuso Berlusconi tendendo la mano al segretario leghista del Carroccio - nei giorni scorsi i giornali hanno esagerato. Io non volevo attaccarti. Solo che non dobbiamo dare l'immagine di una coalizione litigiosa. Basta polemiche in pubblico". (9 gennaio 2009) da repubblica.it Titolo: DAL TESORETTO A CAPORETTO Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2009, 11:40:48 pm DAL TESORETTO A CAPORETTO
di Tito Boeri e Pietro Garibaldi 07.01.2009 Se il Governo Prodi continuava a scoprire tesoretti, il nuovo governo sta facendo l'errore opposto. Nonostante il forte rallentamento della congiuntura, non ha aggiornato le previsioni sui conti pubblici e si trova ora costretto a motivare consistenti peggioramenti dei saldi. Per rassicurare i mercati occorrono trasparenza e chiare scelte di politica economica contro la recessione. Rimanere in mezzo al guado, tra la sponda del rigore e quella di una politica fiscale espansiva, è la peggiore soluzione possibile perché i conti si deteriorano senza migliorare le prospettive dell'economia. Che ne è dei tesoretti della passata legislatura su cui si accapigliavano tutti? Che ne è di quelle entrate sempre superiori alle previsioni? Sono un lontano ricordo. Ora è l’epoca delle botti vuote, con saldi molto peggiori delle previsioni. Sbagliare i conti può servire forse a evitare l’assalto alla diligenza ma è un pessimo segnale ai mercati. Rischia di essere un autogol addirittura peggiore dell’invenzione del tesoretto. Vediamo perché. LA TRASPARENZA: UN BENE PREZIOSO IN TEMPO DI CRISI Soprattutto in tempi di crisi ci vorrebbe più trasparenza sull’andamento dei nostri conti pubblici. Serve a rassicurare i mercati, dunque a ridurre lo spread fra il rendimento dei nostri titoli di stato e quello sui Bund tedeschi. Ma il Governo ha scelto la strada della reticenza. Nonostante il forte deterioramento del quadro macroeconomico, non fornisce previsioni sull’andamento dei nostri conti pubblici da settembre. Questo fa apparire ogni dato di consuntivo molto peggiore di quanto sarebbe se si tenesse conto dell’andamento dell’economia. Pensiamo ai dati del fabbisogno resi noti in questi giorni. Nella Nota di Aggiornamento al Dpef, si prevedeva per il 2008 un fabbisogno sia del settore statale che del settore pubblico (comprese amministrazioni locali, aziende municipalizzate, Inps, etc.) di 46,2 miliardi. Queste previsioni si basavano sulla di una stima di un’economia italiana in crescita, seppur di poco, nel 2008. Inevitabile che con l’entrata del nostro paese in recessione i saldi dovessero peggiorare. Ne abbiamo avuto conferma con i primi dati di consuntivo usciti in questi giorni, quelli sul fabbisogno. E’ più alto di quanto previsto a settembre di quasi sette miliardi. Una grossa parte, se non la totalità, di questa differenza, può essere spiegata con il peggioramento della congiuntura. Se si prendono per buone le ultime previsioni, quelle del Centro Studi Confindustria, il Pil nel 2008 potrebbe essere diminuito dello 0,5 per cento. Ipotizzando che ogni punto percentuale in meno di Pil faccia diminuire le entrate di un punto percentuale, il fabbisogno avrebbe dovuto solo per questo salire a quasi 51 miliardi. La spesa in Italia è molto meno reattiva al ciclo delle entrate, ma comunque aumenta durante le recessioni. Ipotizzando che un punto di pil in meno faccia aumentare la spesa primaria di mezzo punto percentuale, il fabbisogno sarebbe salito a 52,8 miliardi, addirittura 200 milioni in più del dato di consuntivo. L’AFFANNOSA RICERCA DI SPIEGAZIONI Non avendo aggiornato le previsioni, ora il Governo si trova invece a dover rassicurare i mercati rispetto a una variazione del fabbisogno di circa mezzo punto di Pil, a quella che appare come una vera e propria disfatta. Le spiegazioni fornite nel comunicato del ministero sono peraltro tutt’altro che convincenti. Fanno quasi tutte riferimento a eventi che si conoscevano già a settembre (abolizione totale ICI, mancato versamento straordinario di Fintecna) oppure agli effetti del decreto di fine novembre che è coperto, tant’è che non ha richiesto variazioni di bilancio e dei saldi della Finanziaria 2009 (vuole il Governo insinuare dubbi sulle coperture di quel provvedimento?). In realtà il peggioramento nei dati del fabbisogno rispetto alle stime di settembre è tutto nei dati di dicembre, mese in cui il fabbisogno scende sempre di molto (nel 2006 si ridusse di 20 miliardi, nel 2007 di 12 miliardi, nel 2008 di soli 3 miliardi, si veda il grafico qui sotto) e il dubbio è che quest’andamento deludente sia dovuto agli acconti Irpef, Ires e Irap. In altre parole, la crisi in atto potrebbe aver spinto molte imprese e famiglie ad autoridursi l’acconto (cosa ammessa se si prevede che il reddito 2008 sia più basso di quello del 2007). Se così fosse, sarebbe un peggioramento dei conti interamente motivato dal ciclo. Quindi non tale da variare il dato più importante agli occhi degli investitori e della stessa Commissione Europea, quello relativo all’indebitamento al netto delle una tantum e depurato dagli effetti del ciclo. Perché in attesa di questi dati, il Governo non rende pubblici i dati sugli acconti di cui già dispone e, alla luce di questi, rivede o mantiene inalterate le sue stime sull’indebitamento? Al contrario del comunicato del Ministero, servirebbe a rassicurare i mercati. MEGLIO NON STARE IN MEZZO AL GUADO Più che di scelte precise di politica economica, il peggioramento in atto sembra perciò il frutto della crisi economica. Nonostante le richieste del G20 e i pressanti richiami del Fondo monetario internazionale, l'Italia non ha sin qui messo in atto una politica fiscale espansiva. Addirittura il decreto anti-crisi di fine novembre attua una contrazione fiscale. Allo stesso tempo, tuttavia, non possiamo sostenere che in Italia vi sia stata una politica fiscale davvero rigorosa. I meccanismi principali della spesa non sono stati riformati, nonostante il Governo abbia già approvato un quadro pluriennale di finanza pubblica. Sono state introdotte una serie di nuove imposte, come la Robin Tax, che hanno un gettito molto aleatorio. E sono stati varati un’infinità di micro provvedimenti (dal bonus famiglia alla social card, dall’intervento sui mutui alla detassazione dei premi di produttività, dalla deduzione dall’Ires di una quota Irap alla detassazione dei microprogetti di arredo urbano) anziché concentrare gli interventi su una o due misure ritenute prioritarie. Sarà così molto difficile monitorare l’andamento della spesa e tenerla sotto controllo. Rimanere così, in mezzo al guado, senza decidere come impegnare le poche risorse disponibili non serve, come si è visto a migliorare i conti pubblici. Non serve neanche a migliorare l’economia durante e, soprattutto, dopo la crisi. Dopo aver giustamente anticipato alla primavera la definizione dei cardini della manovra di politica economica, il Governo ha scelto la strada dell’inerzia. Ed è in forte ritardo anche sugli adempimenti previsti allora. In questi giorni anche la Germania ha annunciato un consistente pacchetto di stimolo fiscale: l’Italia sarà così l’unico grande paese europeo a rimanere fermo di fronte a una grande recessione. E’ un atteggiamento che rischia di lasciarci coi piedi a mollo per molto tempo, anche perché i meccanismi di formazione della spesa non sono stati in alcun modo modificati. Al Governo decisionista chiediamo ora di dire al Paese in modo chiaro dove si vuole andare con la politica economica. Stare in mezzo la guado durante la tempesta ci potrebbe fare affondare. da www.lavoce.info Titolo: CLAUDIO TITO. Ma Gianfranco resta in trincea "È in gioco il mio futuro politico" Inserito da: Admin - Gennaio 15, 2009, 03:31:05 pm POLITICA
Lo scontro con Berlusconi è ancora aperto. Il presidente della Camera va da Napolitano e trova un'intesa sulla difesa del Parlamento Ma Gianfranco resta in trincea "È in gioco il mio futuro politico" Nasce un correntone dei suddisti del Pdl, in 72 vanno da Berlusconi di CLAUDIO TITO ROMA - La pace è ancora lontana. Lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi non si ferma. E il presidente della Camera, per frenare il premier, gioca anche la carta "istituzionale". Sale sul Quirinale e riferisce quel che è successo martedì scorso dopo la richiesta di fiducia del governo. L'inquilino di Montecitorio cerca insomma l'appoggio del Colle e lo ottiene. Del resto, Giorgio Napolitano è da sempre uno strenuo difensore della "centralità del Parlamento". Anche in occasione dell'incontro natalizio con le alte cariche dello Stato aveva puntato l'attenzione sul ruolo delle Camere. La sintonia tra i due è ormai una costante di questa legislatura. Anche le proposte "finiane" sulla giustizia sono state in parte il frutto del confronto con il presidente della Repubblica. Ieri allora per il capo di An, l'incontro con il capo dello Stato ha rappresentato in primo luogo un'arma difensiva. Gli affondi di Palazzo Chigi non sono mancati. Come quelli della Lega e di quel "partito del nord" che nella maggioranza sta quotidianamente schierando le sue truppe. Il chiarimento tra il Cavaliere e Fini, dunque, pure ieri non c'è stato. I due non si sono visti e nemmeno parlati al telefono. In aula, anzi, si sono accuratamente evitati. "I problemi - ripeteva ieri il leader di Alleanza nazionale - restano tutti". "E - spiega uno che conosce entrambi come il segretario del Pri, Francesco Nucara - sono di natura politica, non tecnica". A cominciare dalla definizione del Pdl. Un appuntamento che per gli uomini di Via della Scrofa sta diventando un vero e proprio incubo. Tanto da metterne in discussione la data, ossia il 27 marzo. "Non c'è nulla di fissato", si sgolava ieri Ignazio La Russa. I fedelissimi di Fini invocano un intervento politico da parte del loro leader. L'equilibrio su cui viene costruito il Popolo delle libertà, a loro giudizio, è infatti troppo sbilanciato su Forza Italia. Ma soprattutto non esiste al momento una carica da affidare al presidente della Camera. Che rischia di restare fuori dalla "corsa" per la leadership del prossimo decennio. Nei giorni scorsi, proprio l'inquilino di Montecitorio spiegava: "Io so bene che non figuro nella linea di successione stabilita da Berlusconi. Devo puntare sul partito per giocare le mie chance". E, appunto, adesso ha iniziato a giocarle. Tanto che dalle parti di Via dell'Umilità, la sede del Pdl, è tornata a circolare l'ipotesi di istituire un ruolo ad hoc per Fini. Forse di rappresentanza nelle sedi internazionali. Ma allo stato tutto resta nebuloso. Per il Cavaliere, al contrario, "tutto è chiaro". La tela tessuta dall'alleato sta diventando troppo fitta. Più che assecondarlo, allora, lo ignora. Parla con Umberto Bossi per placarlo. Ma non lui. Discute con i parlamentari medridionali, ma non con lui. "Perché è lui che si cerca i problemi, non glieli determino io". Nelle dichiarazioni pubbliche lo ha quasi provocato. Perché l'applauso alla sua funzione "super partes" va interpretata proprio come l'esclusione dalla futura guida del centrodestra: "È "super partes" , quindi non può essere il leader del Pdl". Ma soprattutto il premier non riesce a capire le questioni sollevate dagli esponenti di An. "Cavillano sullo statuto. Mi parlano di probiviri e poi vengo sapere che si tratta di un tribunale interno. Dovrei avere a che fare con i tribunali anche nel mio partito?". Per di più nella singolar tenzone tra i due big della maggioranza, si è infilato Umberto Bossi. Che capeggia il fronte "nordista" della coalizione cui adesso si sta opponendo quello "sudista". I ministri di Forza Italia, convocati a Via del Plebiscito, ieri invitavano il Cavaliere a riprendere il rapporto con Fini. Ma lui replicava: "Non mi preoccupa Gianfranco, mi preoccupa Umberto. Fino alle europee non la smetterà". E già, perché il premier continua a considerare la Lega l'unico alleato con cui davvero fare i conti. Tant'è che ha convocato il Senatur per tranquillizzarlo. Anche se i dossier aperti continuamente dal Carroccio ormai stanno diventando una via crucis per la maggioranza. In particolare per gli eletti nelle regioni meridionali. Che cominciano a fremere. Il federalismo, gli immigrati, Alitalia, i fondi per le aree sottoutilizzate: temi sollevati dal Carroccio e poi sostenuti da ministri come Giulio Tremonti e Maria Stella Gelmini o da "big" del Pdl come Roberto Formigoni e Letizia Moratti. Un "correntone" che ha costretto gli esponenti del Mezzogiorno a organizzarsi nello stesso modo. Non a caso mentre ieri parlava con Bossi, quasi contemporaneamente ha dovuto ricevere 72 parlamentari "sudisti" guidati dal ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, con l'unico obiettivo di garantire su un programma "concreto" che ribilanci i fondi a favore del meridione. Un gioco di equilibrismo che dovrà andare avanti ancora per molto tempo. (15 gennaio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. I segreti che inquietano il Palazzo arma finale del Cavaliere Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2009, 04:05:37 pm IL RETROSCENA
I segreti che inquietano il Palazzo arma finale del Cavaliere di CLAUDIO TITO ROMA - "Ora si rimette tutto in discussione". Dopo i resoconti ricevuti l'altro ieri da Gianni Letta e Fabrizio Cicchitto, Silvio Berlusconi vuole sparigliare. E riportare al punto di partenza il confronto sulla nuova disciplina per le intercettazioni telefoniche. La "bomba" dell'archivio Genchi un primo effetto l'ha prodotto. E il Cavaliere lo vuole utilizzare fino in fondo. Sperando che anche nel centrosinistra si possa aprire un varco. I paletti fissati nei giorni scorsi dalla Lega e Alleanza nazionale, del resto, non lo hanno mai convinto. Ora vuole farli saltare. Al prossimo vertice della coalizione, nei prossimi giorni, riporrà il problema. "E' indispensabile una normativa più severa", ripete da due giorni. Non quella reclamata dagli alleati, dall'opposizione e anche dal Quirinale. Da qualche giorno, gli uomini del premier ripetevano che non si sarebbero fatti imporre una revisione delle intercettazioni "troppo debole". Adesso c'è lo spunto per tornare alla carica. E dunque, se Bossi e Fini considerano un muro insormontabile la necessità di non prevedere un elenco preciso di reati per cui è possibile effettuare i controlli sulle conversazioni al telefono, il capo del governo intende ricorrere ad un'altra arma. Inserire nella riforma un serie di vincoli e condizioni che di fatto ne restringeranno l'uso. Il punto, allora, non sarà più se il magistrato può agire con questo strumento per le indagini relative a atti di corruzione o concussione. Per Berlusconi, esistono tanti altri modi per arrivare ad una disciplina "più severa". La limitazione temporale delle intercettazioni, la non reiterabilità, la loro utilizzazione nei procedimenti come prova aggiuntiva e non decisiva. Tutte osservazioni che il capo del governo tornerà a formulare nel summit con i "big" del centrodestra. Con i quali ha preferito cedere su altri aspetti: ad esempio il futuro equilibrio del Pdl. Non a caso ieri ci ha tenuto a puntualizzare che l'intesa con il presidente della Camera e con il senatùr è "piena". I colloqui e gli incontri dell'altro ieri, poi, rappresentano per il presidente del Consiglio un'arma in più per convincere tutti gli interlocutori più riottosi. I contatti degli ultimi giorni, infatti, gli hanno fornito un quadro preciso di quel che ci potrebbe essere nell'archivio di Gioacchino Genchi: 350 mila telefonate - o tracce di telefonate - che spaziano in ogni direzione. Ne ha parlato con il sottosegretario Letta che ha la delega ai servizi segreti. E quest'ultimo ne ha discusso telefonicamente con il presidente del Copasir, Francesco Rutelli, e con il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, che fa parte dello stesso comitato. L'insieme che ne è uscito ha scosso un po' tutti, a partire dal Cavaliere. Un allarme che lo induce a "rimettere tutto in discussione". Soprattutto la difficoltosa trattativa avviata nella maggioranza. "Ora - è il suo ragionamento - se ne convinceranno tutti di quel che bisogna fare". Una considerazione basata anche sui giudizi preoccupati dello stesso Rutelli: "Una questione rilevante per la nostra libertà e democrazia". A questo punto, infatti, Berlusconi è sicuro di poter convincere anche il Pd ad assumere una atteggiamento diverso. E pure il Quirinale. Che, a suo giudizio, in questa partita ha giocato finora di sponda con Lega e An. L'accordo siglato informalmente - ma blindatissimo - tra i membri del Pd e del Pdl nel Copasir per evitare che le intercettazioni finiscano sui giornali, rappresenta per Palazzo Chigi la dimostrazione che uno spiraglio si può aprire un varco nella barricata alzata in questi mesi. "Perché - è l'avvertimento del premier ai suoi - nessuno si può sentire al sicuro". (25 gennaio 2009) repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Tregua armata tra Fini e Berlusconi Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 11:13:34 am Toni più distesi nel faccia a faccia dopo le polemiche sull'uso della decretazione d'urgenza e i rapporti con Napolitano, ma ognuno resta sulle proprie posizioni
Tregua armata tra Fini e Berlusconi "Un errore l'attacco al Colle". "No, un dovere" di CLAUDIO TITO ROMA - "È stato un errore lo scontro con il Quirinale". "No, è stato un dovere. Mi è dispiaciuto semmai che non tutti l'abbiano capito". La mezz'ora passata nello studio di Montecitorio, non è bastata a sciogliere il gelo che si è formato nell'ultima settimana tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Certo l'incontro non ha assunto i toni aspri dei giorni scorsi. A tratti è stato anche disteso. Ma, dopo il convegno sul Pinuccio Tatarella, i due più che una pace hanno siglato una sorta di "tregua armata". Con un'intesa che riguarda più il passato che il futuro: ossia archiviare la disputa dei giorni scorsi. E già, perché in realtà sui contenuti il presidente della Camera e il premier sono rimasti sulle loro posizioni. Come due amanti traditi si sono scambiati impressioni e giudizi con una certa freddezza. Basti pensare che alla fine il Cavaliere ha anche provato a concordare una nota congiunta per spiegare che "non era successo niente". Ma il "padrone di casa" ha declinato l'invito. Le scorie della polemica sul caso Eluana, i detriti lasciati dopo lo scontro con il Colle, dunque, non sono ancora scomparsi. E il punto di divergenza resta appunto il rapporto con il capo dello Stato e l'uso della decretazione d'urgenza. Questioni su cui stavolta Fini è riuscito a tirare dalla sua parte Umberto Bossi. La scorsa settimana si erano visti a quattr'occhi e avevano registrato una inusuale "convergenza". E così ieri il Senatur non ha aspettato un attimo a difendere in pubblico la terza carica dello Stato: "Gianfranco fa bene a comportarsi come sta facendo. Anche nei confronti di Silvio. Lui è il presidente della Camera e deve fare così. Berlusconi si adegui". Sta di fatto che nel faccia a faccia tra Fini e il Cavaliere, nessuno ha ingranato la marcia indietro. "Sapevi - è il ragionamento svolto dal leader di An e poi riferito ai "big" di Alleanza nazionale - che il decreto per bloccare il protocollo Englaro sarebbe andato a finire in quel modo. Ti avevano avvertito. Insistere a cosa è servito?". Esattamente l'interrogativo formulato venerdì scorso mentre impazzava il braccio di ferro tra il consiglio dei ministri e il Quirinale. Non solo. Fini ha esposto pure le sue convinzioni sul merito ripetendo parole già usate con i fedelissimi: "Guarda, anche io dico no all'eutanasia. Ma quello era accanimento terapeutico. E pure la Chiesa non lo consente. Mi inquietava che alcuni politici avessero tante certezze. Perfino i medici erano divisi. Anche gli italiani, lo dicono tutti i sondaggi, sono confusi e divisi". "Io - ha ribadito il presidente del consiglio - non l'ho fatto per provocare una rottura con Napolitano. L'ho fatto per convinzione. Semmai mi è dispiaciuto non avere il consenso di tutti". "Sappi però - ha smorzato i toni Fini - che se il disegno di legge fosse arrivato alla Camera, da parte mia non sarebbe stata alcuna azione dilatoria". L'inquilino di Palazzo Chigi a questo punto è preoccupato più di quel potrà accadere nel prossimo futuro. Anche ieri ha continuato a reclamare una specie di primazia sull'uso dei decreti. "Devo essere messo in condizione di governare". Entrambi, alla fine, hanno convenuto di stendere un velo sulle polemiche passate. Hanno concordato nuovamente di risentirsi più frequentemente ("non parliamoci attraverso i giornali", è stato l'invito del premier) provando a fissare un pranzo tutti i martedì. Per affrontare così le prossime scadenze. Gli assetti della Rai, ad esempio, e ila nascita del Pdl. Perché, ha ammonito di nuovo Fini, "il nuovo partito deve essere culturalmente forte. Dobbiamo costruire una forza in grado di parlare a tutti". (12 febbraio 2009) da repubblica.it Titolo: Nel totonomine per la direzione del Tg1 ballottaggio fra Belpietro ed Orfeo Inserito da: Admin - Marzo 09, 2009, 10:27:51 am Oggi Letta e Franceschini torneranno ad incontrarsi.
Nel totonomine per la direzione del Tg1 ballottaggio fra Belpietro ed Orfeo Tra le liti spunta il patto della mimosa Berlusconi dà l'ok: "Non porto rancori" di GOFFREDO DE MARCHIS e CLAUDIO TITO ROMA - "De Bortoli è un nome inattaccabile, all'altezza di Zavoli". Dario Franceschini l'ha proposto a metà della scorsa settimana a Gianni Letta. Venerdì, in un incontro a quattr'occhi, ha avuto una prima risposta positiva. Poi ieri pomeriggio i due si sono sentiti di nuovo al telefono per il via libero definitivo. Silvio Berlusconi ha cancellato le ultime ombre. Quelle sui suoi vecchi rapporti con l'attuale direttore del Sole e prossimo presidente della Rai: l'addio al Corriere della Sera nel 2003 dettato secondo alcune voci dalla conflittualità con il Cavaliere e lo sfogo pubblico di Berlusconi all'assemblea di Confindustria a Vicenza, alla vigila delle elezioni del 2006. "Il tempo cancella molte cose - ha spiegato Berlusconi ai collaboratori che gli ricordavano il passato - . E io non porto rancore". Su queste basi è nato una sorta di "patto della mimosa" siglato per l'appunto nella telefonata di ieri tra Franceschini e Letta. Il segretario del Pd ha sparigliato i giochi precedenti, ha cancellato da subito l'ipotesi di una conferma di Claudio Petruccioli d'accordo con il centrodestra, ha sbarrato la strada all'accordo stretto da Walter Veltroni per Pietro Calabrese (gradito invece al Pdl). Per portare all'approdo la trattativa, ha dovuto trovare un nome veramente nuovo e difficilmente discutibile. Non era l'unico ma è sempre stato in cima alla lista del leader democratico. Altri candidati sono stati in campo, da Giuliano Amato ad Andrea Manzella, ma De Bortoli ha sempre avuto la priorità. Franceschini lo ha sondato nei giorni scorsi, lo ha chiamato più volte e, ottenuto il "sì", ha puntato tutto su di lui. Oggi il segretario del Pd e Letta torneranno a incontrarsi come previsto, segno che alla vigilia dell'assemblea degli azionisti Rai di domani tutti i dettagli vanno curati. Ma si può dire che sul vertice di Viale Mazzini è andata in onda la prima intesa tra il premier e il capo dell'opposizione, in un momento di forte conflittualità del confronto tra gli schieramenti. La scelta di De Bortoli sembra a questo punto poco contestabile dentro il Partito democratico, dove i sostenitori di una conferma di Petruccioli non mancano (dagli ex ds a Paolo Gentiloni). E ha superato, pur con qualche resistenza, anche la prova del Pdl. Franceschini ha spiegato il suo percorso a Letta: "Per la presidenza della Rai cerchiamo di trovare insieme un candidato a prova di bomba come Sergio Zavoli, che sia in grado di superare le tensioni. Per noi è De Bortoli, non c'è un nome migliore. E se non va bene sappiate che un altro ve lo votate da soli". Ma Berlusconi e il direttore del Sole negli ultimi tempi hanno ricucito, dimenticato le vecchie ruggini, e il Cavaliere ha riconosciuto in De Bortoli "un punto di equilibrio adeguato". Del resto due opposti veti avevano eliminato i concorrenti di partenza. Petruccioli paga il caso Saccà, l'aver guidato l'allontanamento dell'ex direttore generale dall'azienda. Calabrese invece è stato cassato dal nuovo corso del Pd. Fin dall'inizio era stato il nome del dialogo tra Berlusconi e il predecessore di Franceschini, Veltroni. Uscito di scena l'ex sindaco di Roma, ha perso terreno anche Calabrese. Se domani la nomina di De Bortoli diventerà ufficiale già mercoledì si aprirà il valzer delle nomine Rai. Berlusconi ha fretta, vuole disegnare la nuova Rai prima della fine di marzo, quando si celebra il congresso fondativo del Pdl, e prima della campagna elettorale delle europee. Mauro Masi prenderà il posto di Cappon alla direzione generale. Sotto di lui potrebbero esserci tre vice: Antonio Marano, Lorenza Lei, Giancarlo Leone e Guido Paglia sono i papabili. La poltrona più ambita è sempre quella del Tg1. Maurizio Belpietro, oggi direttore di Panorama, sembra davvero in pole position. Al sostegno di Berlusconi, in questi ultimi mesi ha aggiunto un forte legame con il Carroccio. Gianfranco Fini vorrebbe al posto di Gianni Riotta l'attuale direttore del Tg2 Mauro Mazza. Ma alcuni nel Pdl parlano di un terzo nome: cresce in questo senso la candidatura di Mario Orfeo, direttore del Mattino. In alternativa Mazza potrebbe conquistare Raiuno. Clemente Mimun ambisce a tornare in Rai, in una rete (Raidue?). E per il Tg5 il nome più gettonato è ancora una volta Belpietro. Per la poltrona di Raidue, oggi occupata da Marano, corre anche un interno vicino ad Alleanza nazionale come De Pasquale, stimato anche a sinistra. All'opposizione viene lasciata Raitre. Al Tg3, diretto da Antonio Di Bella vicino agli ex Ds, punta forte Antonio Caprarica che lascerebbe così il Giornale Radio. Appare scontata invece la conferma alla rete di Paolo Ruffini, che è stato per alcuni momenti nella lista dei possibili presidenti. Il risiko di Viale Mazzini apre nuovi scenari anche fuori di lì, basti pensare alle direzioni del Sole e di Panorama. Ma sulla griglia di partenza delle nomine Rai va adesso verificato l'impatto del nuovo vertice e soprattutto del nuovo presidente De Bortoli. (9 marzo 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. I silenzi del Cavaliere irritano Fini Inserito da: Admin - Marzo 30, 2009, 09:16:34 am Il Congresso Pdl. Partenza in salita per la 'difficile coabitazionè dei due fondatori
Il premier dopo il discorso: "Il mio erede lo sceglie il Pdl, farò il padre nobile" I silenzi del Cavaliere irritano Fini "Timido sul dialogo, proposte vaghe" di CLAUDIO TITO ROMA - "Il mio erede lo sceglierà il Pdl, io mi accontenterò di fare il padre nobile". Non è bastata questa frase di Silvio Berlusconi a rassicurare i colonnelli di Alleanza nazionale. Non è stata sufficiente l'evocazione di un futuro avvicendamento per tranquillizzare gli ex missini. E già, perché il discorso con cui il Cavaliere ha chiuso le prime assise del Popolo delle libertà sono piaciute davvero poco ai big di An. E in particolare a Gianfranco Fini. Inizia così la "difficile coabitazione" nella "casa comune". Una "convivenza" di cui il capo del governo e il presidente della Camera hanno provato a prendere atto nei giorni scorsi. Alla prima prova, però, ne è emersa tutta la complessità. Fini - che aveva concordato con il premier l'assenza di ieri alla Fiera di Roma - non ha infatti apprezzato l'intervento del capo del governo. "Meglio non commentare - ha fatto sapere ai suoi - altrimenti rischiamo di rovinare tutto". Le parole berlusconiane sono state una "delusione" per l'ex leader di An. Nessun riferimento al testamento biologico, neanche un secondo speso sul referendum elettorale. Nemmeno una "risposta concreta" sul percorso riformatore. Aspetto, quest'ultimo, che ha più colpito il presidente della Camera. Il quale, al contrario, scommette sulla revisione della seconda parte della Costituzione e sul dialogo con l'opposizione. La mano tesa del premier viene giudicata "fin troppo timida". Stesso discorso per quanto riguarda i tre quesiti elettorali. "Comprensibile la prudenza con la Lega - è il ragionamento dei finiani - ma almeno un accenno lo poteva fare". Anche sul biotestamento, "l'amico Gianfranco" avrebbe preferito una esplicitazione di quel "patto segreto" a favore di un rinvio a settembre del provvedimento approvato al Senato. "Così insomma - è la sintesi di Fini - non va". E in effetti, anche nel backstage del padiglione 8, Berlusconi ha fatto ben poco per smentire le impressioni dell'inquilino di Montecitorio. "Ci sono riforme importanti da fare - ha spiegato ai big del Pdl che lo circondavano -. Dobbiamo ammodernare il Paese altrimenti non si esce dalla crisi". Ma il dialogo con il Pd è considerato alla stregua di una chimera: "Abbiamo tanta buona volontà rispetto alla sinistra, ma quelli non fanno altro che mettere paletti. È chiaro che in questa situazione noi faremo le riforme solo con i nostri voti". Nella "difficile coabitazione", però, il Cavaliere ha cercato di garantire a Fini il ruolo ufficiale di "numero due". Nel pranzo di giovedì scorso a Montecitorio, del resto, era stata siglata una sorta di tregua proprio per impedire che la fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale fallisse. "Senza un'intesa ferrea con Gianfranco - ha spiegato lo stesso Berlusconi a diversi parlamentari forzisti - rischiamo di spaccare il partito". Ed è esattamente la preoccupazione che molti esponenti di Forza Italia di lungo corso hanno iniziato a coltivare. Un timore basato sulla certezza che a livello locale - e non solo - i dirigenti di Via della Scrofa possono sistematicamente mettere in difficoltà la componente berlusconiana. In questi giorni, ad esempio, è accaduto sulla battaglia per lo statuto del partito. Non è un caso che ancora ieri, il premier abbia ammesso la necessità di una sua "mediazione: io ho sempre fatto il mediatore e dovrò continuare a farlo. Non l'ho fatto prima per non dare l'idea di una incorparazione". Dentro Forza Italia, però, per molti l'incubo è rovesciato: hanno paura che "l'incorporazione di An" si riveli un boomerang. Uno spettro materializzatosi sabato sera con l'intervento di Giulio Tremonti. Fissato nel calendario congressuale in chiusura di giornata e con la sala semivuota. La "difficile coabitazione", dunque, sta mostrando già tutte le sue spine. Senza contare che i due "conviventi" dovranno fare i conti con il terzo incomodo: la Lega. Il referendum elettorale evocato con forza da Fini è il primo banco di prova. Non solo. Lo stesso capo del governo riconosce che la nascita del Pdl, se gestita male, può incrinare l'amicizia con il Senatur. "Il rapporto con Umberto, però - ha cercato di chiarire nella saletta dietro il palco - è come sempre. Alcuni dei loro obiettivi sono anche i nostri". Appunto, "alcuni". Il richiamo al raggiungimento del 51%, però, non rasserena affatto i leghisti. Così come - in modo speculare rispetto ad An - preoccupa la mancata smentita alla convocazione per il 7 giugno del referendum. E forse le spiegazioni fornite nel baskstage ad un gruppo di "maggiorenti" piediellini non hanno rasserenato nè i leghisti nè gli aennini: "Oggi ho voluto rivolgermi al popolo. Dobbiamo raggiungere il 51% il prima possibile e per farlo devo parlare a tutti. Questo deve diventare il partito di tutti gli italiani". (30 marzo 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi: "Napolitano parlava a me" Inserito da: Admin - Aprile 23, 2009, 02:55:41 pm Il monito del capo dello Stato sui rischi di derive autoritarie arriva a destinazione
Ma il Cavaliere, che da più di un mese non sale al Quirinale, evita la polemica Berlusconi: "Napolitano parlava a me" Ma il premier, ora, non vuole scontri Il presidente del consiglio tentato da dialogo sulle riforme: "Ma guido io" di CLAUDIO TITO ROMA - "So bene che quelle parole erano rivolte a me. Ma non voglio aprire un fronte con il Quirinale. Non è il momento di un conflitto istituzionale". A Silvio Berlusconi non è certo piaciuto il discorso pronunciato da Giorgio Napolitano a Torino. Il richiamo al rispetto della Costituzione e la citazione di Norberto Bobbio che associava la "denuncia dell'ingovernabilità" a "soluzioni autoritarie" hanno in qualche modo indispettito il presidente del consiglio. Eppure non intende rispondere. Il Cavaliere è convinto che in questa fase sia indispensabile mantenere un rapporto dialogante con il Colle. "Non subire - è la sua sintesi - ma nemmeno attaccare". Una linea che ieri è stata trasmessa a tutti i "big" del Pdl come una vera e propria parola d'ordine. Un ragionamento fatto anche ai tre coordinatori del Popolo delle libertà convocati ieri sera a Palazzo Grazioli. A Palazzo Chigi, quindi, preferiscono cogliere esclusivamente gli aspetti considerati positivi. "Alla fine - ha spiegato il premier a tutti i suoi interlocutori - è stato un discorso equilibrato. Anche il capo dello Stato non nega la necessità delle riforme, né l'esigenza di garantire una maggiore governabilità". Non per niente Sandro Bondi, in qualità di coordinatore del Pdl, ha diramato un comunicato per definire "saggio" e "corretto" l'appello di Napolitano. Una nota concordata per filo e per segno con il capo del governo. Rispetto all'inizio della legislatura, però, qualcosa si è rotto tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Dopo lo scontro durissimo sul caso "Eluana" e quello sull'uso dei decreti legge, i rapporti sono stati sempre più formali. Basti pensare che è ormai più di un mese che i due non parlano faccia a faccia. L'ultimo incontro risale al 17 marzo. E si è trattato di un vertice allargato a numerosi ministri per discutere delle scadenze europee. Per non parlare poi della lettera spedita una settimana dopo, il 24 marzo, in cui l'inquilino del Colle metteva nero su bianco le sue osservazioni sull'eventuale "piano casa" varato per decreto. Insomma, il "patto" che era stato sottoscritto tra presidente della Repubblica e presidente del consiglio nella prima riunione dopo la formazione del governo, sembra venuto meno. Nonostante tutto, però, il premier ha spiegato ai fedelissimi, e ha confermato al sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, di considerare "inopportuno" uno scontro con Napolitano. "La mia popolarità è ai massimi, alle europee avremo un risultato straordinario - sottolinea - non c'è bisogno di aprire un contenzioso". Soprattutto in questa fase - dopo il terremoto in Abruzzo - in cui si è persuaso della convenienza di un confronto con l'opposizione. "Anche sulle riforme - ripete in tutte le riunioni del centrodestra -. Ma ad una condizione: il dialogo non mi deve essere imposto. Non voglio subire la mediazione della Lega sul federalismo o di An sul resto. Si fa tutto in Parlamento e il dialogo lo guido io". Il riferimento è diretto pure alla sintonia che sistematicamente unisce il capo dello Stato e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il quale ieri ha fatto sapere di aver apprezzato l'intervento della più alta carica dello Stato. Fini, fanno notare i suoi uomini, "sottolinea costantemente la centralità del Parlamento". Sulle eventuali modifiche alla Costituzione, allora, il Cavaliere ha in mente un metodo ben preciso. L'esempio che ormai si è fatto strada nello staff di Palazzo Grazioli fa perno sui criteri adottati per la data del referendum: concordata tra i gruppi parlamentari con la regia del governo. Su questa scia, allora, non è escluso che alla fine Berlusconi contatti Napolitano nei prossimi giorni. Magari per il 25 aprile. (23 aprile 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. G8 da la a qua... Inserito da: Admin - Aprile 24, 2009, 10:28:51 am Da Frattini a Matteoli, fino a ieri mattina lo spostamento ritenuto impossibile
Fugati i dubbi del premier con un sopralluogo nei cantieri in Sardegna L'idea ispirata da Bertolaso e il blitz spiazza i ministri dal nostro inviato CLAUDIO TITO ROMA - La decisione è stata presa nove giorni fa. Dove? Ironia della sorte, proprio alla Maddalena. "Galeotto" l'ultimo sopralluogo sull'isola sarda. Compiuto il 14 aprile scorso da Silvio Berlusconi, Gianni Letta e Guido Bertolaso. Un controllo nato non per caso. Perché il giorno prima, a una sola settimana di distanza dal terremoto abruzzese, il capo della Protezione civile aveva sorpreso il premier con una proposta shock: "Perché non facciamo il G8 a L'Aquila?". Lo "spariglio", insomma, questa volta non è stato del Cavaliere. "Sarebbe un'ottima soluzione - ha spiegato Bertolaso - portare tutti in Abruzzo. Daremmo una mano a quella regione". Parole che all'inizio hanno lasciato il premier piuttosto interdetto. Berlusconi non aveva preso in considerazione una "follia" di questo tipo. "Ma sei sicuro? E dove mettiamo tutti quanti?". Soprattutto il premier è stato colto da un sospetto. "Me lo stai dicendo perché sei in ritardo sui preparativi della Maddalena?". Piccata la risposta del capo della Protezione civile. Che lo ha subito sfidato a controllare lo stato dei lavori: "Viene a vedere tu, di persona: E poi mi dice cosa ne pensi". Il giorno, dopo, allora, ecco il volo in Sardegna insieme a Letta. Una volta verificato che i preparativi stavano seguendo il calendario stabilito, Berlusconi ha cominciato a rivalutare l'idea. "Hai ragione è tutto a posto. L'importante, però, è che sia tutto davvero possibile". Bertolaso, in realtà, aveva già effettuato una valutazione sulle capacità ricettive della scuola della Guardia di Finanza dell'Aquila che negli ultimi 15 giorni è diventato il centro di comando delle operazioni di soccorso. A quel punto sono iniziati i contatti con le altre istituzioni coinvolte. Il presidente della Regione, della Provincia, il sindaco, il prefetto e il comandante delle Fiamme Gialle. E, ovviamente, il ministero degli Interni. Il nodo da sciogliere, infatti, riguardava la sicurezza. Dopo qualche giorno è arrivato il via libera di Maroni. Un disco verde acceso anche ieri al consiglio dei ministri: "E' molto più facile garantire la sicurezza a L'Aquila che non alla Maddalena". Un'indicazione che ha dissolto i dubbi e le perplessità manifestate da qualche ministro. Anche perché nessun altro era stato preavvertito. Basti pensare che solo una settimana fa, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha troncato sul nascere la possibilità di un "trasloco" del G8: "E' semplicemente impossibile". Altero Matteoli, poi, prima della riunione di governo escludeva assolutamente il blitz: "Non è plausibile spostare il G8". La scelta invece era già stata compiuta. "Penso che sia giusto tenere il G8 qui - ha detto Berlusconi - Non me la sento di organizzare un vertice in una località dove si fanno vacanze di lusso. Voglio dare un messaggio di sobrietà". Un ragionamento che non ha convinto subito tutti. "Siete sicuri - ha avvertito lo stesso Matteoli - che sia possibile garantire l'ordine pubblico?". Dubbi raccolti poco dopo pure dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Prudenze, appunto, svanite dopo l'intervento di Maroni. E alla fine anche il Ministro delle Infrastrutture ha dovuto ammettere: "E' stata presa una decisione politica". (24 aprile 2009) Tutti gli articoli di cronaca da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Oggi la Brambilla ministro Inserito da: Admin - Maggio 08, 2009, 04:46:59 pm Il premier da Napolitano parla anche del rimpasto. Oggi la Brambilla ministro
In arrivo anche alcune promozioni: Urso, Romani, Castelli, Fazio e Vegas viceministri Caso Lario, Berlusconi sul Colle "Sul divorzio montatura politica" di CLAUDIO TITO ROMA - "Presidente, posso assicurare che è tutta una montatura". L'affaire Veronica Lario è arrivato anche al Quirinale. Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi non si vedevano faccia a faccia da quasi due mesi. E ieri sono stati un'ora fare il punto della situazione sul governo, sull'emergenza in Abruzzo e sulla preparazione del prossimo G8. Ma soprattutto il Cavaliere si è lasciato andare ad un lungo sfogo proprio sul caso Veronica-Noemi. Il premier ha riproposto punto per punto al capo dello Stato tutte le argomentazioni utilizzate in questi giorni. Napolitano ha ascoltato. Non lo ha mai interrotto. E soprattutto non ha detto una sola parola sull'argomento. Il presidente del Consiglio, invece, ha provato a sondare le opinioni della prima carica dello Stato. Ha cercato di cogliere un cenno di assenso nel suo interlocutore. Ma l'inquilino del Quirinale ha evitato con cura di esprimere valutazioni o giudizi. "Mi hanno anche accusato di frequentare minorenni - si è lamentato il capo del governo - una vera menzogna". Berlusconi è convinto che si tratti di un "disegno", di una "montatura" per colpire la sua persona. "Una trappola - ha detto - in cui è caduta anche Veronica". Come ha fatto nei giorni scorsi, anche ieri pomeriggio ha ribadito di essere amico del padre di Noemi. "Siamo amici di famiglia e sono andato a festeggiare la festa dei 18 anni di una ragazza. Che c'è di male? Se non facessi queste cose, non sarei più io". Stesso discorso sulle "veline" candidate alle europee. "Anche lì è stata tutta una macchinazione. Si trattava di giovani e laureate. Una scelta che ogni partito dovrebbe fare per innovare la politica. Non è assolutamente vero che il Pdl le avrebbe candidate tutte se non ci fosse stato l'intervento di mia moglie. Un'altra menzogna". In quasi un'ora di incontro, però, il capo dello Stato non ha solo ascoltato lo sfogo del premier sulle vicende familiari. Oggi, infatti, il presidente del consiglio metterà mano ad un'ampia "riorganizzazione" del suo esecutivo. Ha preannunciato l'intenzione di proporre la nomina a ministro di Michela Vittoria Brambilla. L'attuale sottosegretario giurerà oggi al Quirinale per assumere la guida del dicastero senza portafoglio del Turismo. In più ci dovrebbe essere altre 4-5 "promozioni": uno per ogni partito della coalizione. Si tratta di sottosegretari che avanzerebbero al ruolo di viceministri. Paolo Romani (Fi) alla Comunicazione, Adolfo Urso (An) al Commercio Estero, Roberto Castelli (Lega) ai Trasporti, Ferruccio Fazio alla Sanità. Tutte caselle, queste, che il premier ha concordato nei giorni scorsi con gli alleati. Ieri, però, dal cilindro ha fatto uscire un altro nome: quello del forzista Giuseppe Vegas come viceministro all'Economia. Una candidatura di cui il consiglio dei ministri discuterà stamattina. Ma sulla quale sia gli uomini della Lega sia quelli di An stanno montando una decisa reazione. Il Carroccio e il partito di Gianfranco Fini hanno fatto sapere che la "promozione" Vegas sarebbe un elemento di squilibrio rispetto agli attuali assetti della maggioranza. Novità anche per quanto riguarda la gestione dell'emergenza terremoto. Napolitano e Berlusconi hanno esaminato le richieste provenienti dagli enti locali abruzzesi. Il presidente del consiglio ha assicurato al capo dello Stato che l'esecutivo valuterà le proposte dei sindaci: "abbiamo già deciso di presentare alcuni emendamenti in Parlamento". Infine il G8. L'organizzazione del summit dei "grandi" della terra a L'Aquila desta più di una preoccupazione. Lo stesso Berlusconi ha ammesso con l'inquilino del Colle l'esistenza di alcuni "problemi logistici". Che, però, sono "assolutamente affrontabili". (8 maggio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Stop di Bossi: sui pm non ti seguiamo Inserito da: Admin - Maggio 21, 2009, 10:24:03 am Caso Mills, anche Fini convinto che le Camere non c'entrano niente col processo milanese.
A Palazzo Chigi si temono nuove inchieste Stop di Bossi: sui pm non ti seguiamo E Silvio rinvia l'arringa in Parlamento di CLAUDIO TITO ROMA - "Qualcuno mi consiglia di evitare in questi giorni il Parlamento". Come spesso accade in queste situazioni, il Pdl si divide tra "falchi" e "colombe". Silvio Berlusconi fino a ieri mattina era convinto di dover scendere nell'arena di Palazzo Madama e battersi per difendere la sua posizione e per rivendicare ogni estraneità nella vicenda Mills. È ancora sicuro che questi siano i cavalli di battaglia più redditizi dal punto di vista elettorale. Nella giornata di ieri, però, i dubbi hanno cominciato a montare. Soprattutto tra le file degli alleati. E già, perché il premier avrebbe voluto effettivamente partire lancia in resta, ma dalle parti della Lega e di Alleanza nazionale le perplessità non mancavano. La linea dettata da Umberto Bossi, infatti, non è affatto accondiscendente nei confronti dell'inquilino di Palazzo Chigi. "Su questo non possiamo seguirlo", è stato il messaggio lanciato dal Senatur. Nel Carroccio del resto il fronte anti-magistrati non ha mai fatto breccia. Persino il lodo Alfano è stato considerato a suo tempo dai lumbard come il modo per liberarsi dalla necessità di blindare il premier dinanzi alla guerra con i giudici. Senza contare che per le riforme, il Carroccio continua a coltivare il seme del dialogo con il centrosinistra e uno scontro sulla giustizia potrebbe compromettere i buoni rapporti costruiti in questi mesi. I leghisti, insomma, non vogliono farsi schiacciare sul "rilancio" berlusconiano. Ragionamenti che ieri sono arrivati in modo più o meno esplicito a via del Plebiscito. Non una frattura, ma dei suggerimenti. Del resto, lo stesso Berlusconi non nascondeva ieri ai suoi di voler "riferire" sul caso Mills al Senato e non a Montecitorio. Per la presenza di Antonio Di Pietro in aula. Ma anche per la presidenza di Gianfranco Fini. Che ha accolto con un certo sollievo la marcia indietro ingranata dal presidente del Consiglio. Tanto che ieri mattina in conferenza dei capigruppo ha dribblato con cura l'argomento. E comunque per Fini, "il Parlamento non c'entra niente con il processo di Milano". Espressioni bene note a Palazzo Chigi. Tante perplessità dunque che, accompagnate dai consigli delle "colombe" forziste e dagli impegni della campagna elettorale, hanno fatto slittare l'appuntamento parlamentare. "Non vorrei - è stato allora il ragionamento del Premier - che arrivo in aula e poi i nostri non ci sono. Un po' perché molti sono in giro a sostenere i nostri candidati alle europee e un po' per altri motivi. Rischio di ritrovarmi solo davanti a quelli dell'opposizione". Per lo stesso motivo è stato anticipato a oggi il consiglio dei ministri. Per consentire ai ministri di correre nei territori di elezione in vista del voto del 7 giugno. Non solo. Gli "ambasciatori" di Palazzo Chigi si sono messi in movimento per sondare pure gli umori di tutte le più alte cariche dello Stato. E tra i collaboratori del premier, c'è stato anche chi ha avvertito che un affondo sui magistrati in Parlamento avrebbe potuto provocare un irrigidimento sul Quirinale. Un insieme di condizioni, dunque, che ha indotto il Cavaliere a rinviare a giugno la sua arringa. Nel frattempo valuterà l'atteggiamento seguito dal Pd. "Fino ad ora sono stati davvero incredibili. Anche quel Franceschini ha deciso di inseguire Di Pietro. Ma se da qui a metà giugno non insisteranno, allora neanche io insisterò". Sullo sfondo, poi, ci sono i magistrati. A Palazzo Grazioli, in molti temono una recrudescenza del conflitto con i giudici. Non solo in previsione della sentenza della Consulta che entro l'autunno dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità del Lodo Alfano, ma anche di nuove inchieste. L'attenzione da questo punto di vista è concentrata su Napoli. Da qualche giorno i legali e lo staff di Berlusconi hanno iniziato a guardare con sospetto alle iniziative dei magistrati napoletani sul fronte della discarica di Ferrandelle. Ma se la conflittualità con i magistrati tornerà a toccare i picchi di qualche anno fa, allora il Cavaliere rilancerà. "Se mi attaccano, anche io lo farò". Rispolverando la riforma della giustizia. (21 maggio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. L'amarezza di Veronica Lario "Il problema non è quella ragazza" Inserito da: Admin - Maggio 26, 2009, 03:14:04 pm IL RETROSCENA
L'amarezza di Veronica Lario "Il problema non è quella ragazza" E il Cavaliere accusa le ministre: "Non mi difendono" di CLAUDIO TITO ROMA - "Niente e nessuno mi farà tornare indietro". L'ultima puntata della saga "Noemi-Silvio" ha di nuovo lasciato il segno in casa Berlusconi. Sia sul versante del premier, sia su quello di Veronica. Così, mentre il Cavaliere è furibondo e se la prende pure con le donne del Pdl che "non mi difendono", la signora Lario è rimasta esterrefatta dopo aver letto l'intervista all'ex fidanzato di Noemi. Da circa un mese non parla con il marito. I rapporti si sono azzerati. E, ancora ieri, ha confermato i suoi propositi: "Niente e nessuno mi farà tornare indietro". Per stemperare il nervosismo, ha visitato la mostra di Monet in corso a Palazzo Reale a Milano. Il pressing degli "amici", la tensione in famiglia e i "suggerimenti disinteressati" sono le tappe di tutte le giornate da un mese a questa parte. "Non accetto i consigli di Emilio Fede", si è sfogata con un'amica. Il divorzio insomma resta il suo obiettivo. E non la famiglia Letizia. Che tiene lontana dalla crisi matrimoniale. "Non ho mai voluto accusare Noemi e la sua famiglia - si è lasciata andare con l'amica che la accompagnava -. Questo non è il "caso Noemi"". Un modo, forse, per ribadire che la questione riguarda solo il presidente del consiglio. Tanto da citare anche le osservazioni di Dario Fo: "Questi sono i comportamenti di un uomo pubblico che è a capo del governo". Tra Macherio e Arcore, dunque, il filo della comunicazione sembra inesorabilmente interrotto. Ieri Berlusconi è rimasto chiuso a Villa San Martino. È infuriato. La "querelle Casoria" lo sta davvero disturbando. Con Gianni Letta e Nicolò Ghedini sta studiando le contromosse. "Dobbiamo ribaltare la situazione", è il suo refrain. Si sente "sotto assedio". Un "accerchiamento" di cui scarica la responsabilità anche sugli alleati. A cominciare dalle donne del Pdl. Le "ministre", in particolare. Che dal 28 aprile, da quando cioè Veronica ha rilasciato la dichiarazione all'Ansa sul "ciarpame politico", non hanno speso una parola in sua difesa. Il suo dito indice è puntato contro Stefania Prestigiacomo che il 4 maggio scorso si è limitata solo a sottolineare che "lui ha bisogno della famiglia. Spero che non si separino, per Berlusconi la famiglia è un grande rifugio". Ce l'ha con Mara Carfagna che ha evitato con cura qualsiasi presa di posizione. Ma pure con Michela Vittoria Brambilla, promossa di recente ministro, e con Giorgia Meloni. Quest'ultima, consultata sull'argomento, ha sempre cercato di dribblare: "non tiratemi in questa vicenda". Le uniche voci in difesa del premier sono state quelle di Daniela Santanché ("Veronica ha fatto un danno agli italiani") e di due parlamentari "semplici": Beatrice Lorenzin ("il Pd ha inaugurato la quarta via: il gossip casereccio") e Barbara Saltarmartini ("la sinistra utilizza le donne, infangandole e attaccandole, per colpire il presidente Berlusconi"). Il premier dunque si sente "isolato", "lasciato solo" da molti dei partner di maggioranza. Sta studiando una via d'uscita. Prima delle elezioni proverà a sminare il terreno. Con una controffensiva mediatica. Le parole di Elio Letizia sono state solo la prima mossa. Non è escluso che nei prossimi giorni possa intervenire anche l'amica di Noemi, Roberta. Così come a Via del Plebiscito è stata presa in considerazione la possibilità di un "messaggio" tv alla nazione e di una lettera "elettorale" agli italiani. Sta di fatto che i collaboratori più stretti del Cavaliere stanno vagliando le diverse opzioni. E si rincorrono anche tante voci incontrollate sulle origini del legame tra Berlusconi e la famiglia Letizia. Alcuni dei fedelissimi del presidente del consiglio, ad esempio, addirittura accennano ad una antica amicizia tra il Cavaliere e la nonna di Noemi. Nata quando il futuro premier ancora intratteneva gli ospiti sulle navi da crociera. In vista del voto del 7 giugno, intanto, l'inquilino di Palazzo Chigi cerca di stringere i bulloni della coalizione. Giovedì prossimo, ad esempio, incontrerà a pranzo Gianfranco Fini. Per rasserenare il clima, Gianni Letta ieri ha parlato a lungo con il presidente della Camera e con il capo dello Stato. Ma a Palazzo Chigi l'allarme è ancora rosso. (26 maggio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi teme il trappolone "Sono pronto a tornare alle urne" Inserito da: Admin - Maggio 29, 2009, 04:43:39 pm A pranzo si sfoga con Fini: non mi avete difeso abbastanza
Sacconi: vogliono far fuori il Cavaliere ma gli italiani sono pronti a rivotare Berlusconi teme il trappolone "Sono pronto a tornare alle urne" di CLAUDIO TITO ROMA - Per ora è solo una minaccia. L'arma fine di mondo. Eppure Silvio Berlusconi ha iniziato a sventolarla. Non nelle occasioni ufficiali. Ma nelle riunione informali. Negli ultimi giorni, la "soluzione finale" è stata accennata in più di una circostanza. Quale? Le elezioni anticipate. Il presidente del consiglio si sente sotto assedio. Stretto tra le inchieste giornalistiche, le indiscrezioni sulle indagini condotte dai magistrati a Napoli e il terrore che altre intercettazioni telefoniche possano improvvisamente riemergere dal silenzio. E allora, ha detto ieri mattina in consiglio dei ministri, "non mi farò piegare". Davanti ai ministri ha evitato con cura di parlare esplicitamente di ricorso alle urne. Eppure nell'ultima settimana con i fedelissimi non ha affatto nascosto che l'ultima carta da giocare sarebbe proprio questa. "Se ci fosse uno show down - sono state le parole ripetute a diversi esponenti del governo - allora dovremmo ripresentarci davanti agli elettori. Chiedere il loro giudizio. E sono convinto che gli italiani staranno ancora con me". Allo stato, il premier non ha ancora deciso di imbracciare concretamente il fucile che possa porre fine alla legislatura. Vuole aspettare il risultato delle europee. Soprattutto vuole capire se il "Noemigate" e le inchieste napoletane sul termovalorizzatore imboccheranno una svolta decisa. Circostanze che lui definisce "scorciatoie" per disarcionarlo. "Ma se qualcuno insegue scorciatoie - ha ammonito - sarò io il primo a prenderle. Si torna al voto". Uno schema proposto pubblicamente pure dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: Si cercano armi improprie per far fuori il presidente. Ma gli italiani sono pronti a rivotare". Ragionamenti che in modo meno esplicito il capo del governo ha fatto anche durante la riunione dell'esecutivo di ieri. "Più mi danno delle botte in testa - ha avvertito - più mi sento forte. Di certo tutte queste bugie, tutti questi attacchi non riusciranno a intimidirmi. Io non mi piegherò". Sta di fatto, che il sospetto di una macchinazione per assestargli una "spallata" è andato via via crescendo nell'ultimo mese. Il fantasma del "ribaltone" guidato nel 1995 da Lamberto Dini è tornato a materializzarsi dalle parti di Via del Plebiscito. Lo spettro di un governo istituzionale magari per realizzare una parte di riforme istituzionali o una nuova legge elettorale aleggia sui tetti di Palazzo Chigi. Le mosse compiute da settori della finanza e dell'industria lo hanno innervosito. Sospetta che anche in quegli ambienti si stia creando una sponda "ribaltonista". Il Cavaliere vuole subito spazzare via tutti i dubbi. Che in una certa misura ha manifestato anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma soprattutto li ha espressi con veemenza agli alleati. E già, perché dai partner di maggioranza avrebbe voluto più solidarietà dopo la richiesta di divorzio di Veronica, dopo le polemiche sulla famiglia Letizia e dopo la sentenza Mills. Tant'è che ancora in consiglio dei ministri ha protestato per come è stato difeso l'altro ieri nel corso della trasmissione "Porta a porta". Lì, a rappresentare il centrodestra, c'era Ignazio La Russa. "La prossima volta - lo ha rimproverato - chiamami e ti spiego come sono andate le cose". Del resto si è lamentato anche con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ieri i due sono tornati a parlarsi dopo un bel po' di tempo. Il Cavaliere si è lasciato andare ad un lungo e appassionato sfogo. Non a caso da Montecitorio è uscita una sola indiscrezione sul pranzo: "solidarietà umana all'amico Silvio". Una formula, usata anche dal capo dello Stato, che non ha convinto del tutto il premier. Poi, certo, il capo del governo e il presidente della Camera hanno concordato i prossimi passi da compiere per ridurre il numero dei parlamentari e per le nomine Rai. Ma il cuore dell'incontro sono state le vicissitudini del Cavaliere. La carta del voto anticipato resta comunque una "extrema ratio". Berlusconi ha fatto sapere di volersi buttare a capofitto nella campagna elettorale. "Le volgarità di Franceschini sono un tonico per me". Adesso considera la frase del segretario democratico sull'educazione dei figli il suo cavallo di battaglia. Secondo il premier, anche il sondaggio recapitato ieri pomeriggio a Via del Plebiscito dimostrerebbe che il passo falso di Franceschini sta penalizzando il Pd. Sebbene sia cresciuta pure l'astensione di centrodestra. "Se poi c'è lo show down...". (29 maggio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. I sospetti di Silvio su Murdoch Inserito da: Admin - Giugno 02, 2009, 11:47:12 am Berlusconi e l'ipotesi di un "complotto" animato dal tycoon australiano
Il patto con Veronica: "E' stata lei a romperlo. Mi secca passare per quello tradito" "Manovra internazionale contro di me" I sospetti di Silvio su Murdoch di CLAUDIO TITO ROMA - Una manovra internazionale. Una macchinazione che fa perno anche all'estero. Nei mass media e persino in alcuni esecutivi. Ed uno dei protagonisti è Rupert Murdoch. Dopo l'attacco del "Times", Silvio Berlusconi si è fatto la convinzione che contro di lui si stia muovendo in prima fila il "tycoon" australiano. I rapporti con il gruppo "Sky", del resto, si sono incrinati da tempo. L'amicizia si è trasformata in concorrenza. E dopo che l'ultima Finanziaria ha decretato l'aumento dell'iva al 20% per la tv satellitare, tutto è precipitato. La guerra della Rai al "parabolone" non è mai stata così intensa. In gioco c'è perfino l'uscita della tv pubblica e di Mediaset dalla piattaforma del satellite. E lo stesso presidente del consiglio non fa niente per smentire la tensione. "Anche Murdoch fa parte del complotto? Non fatemi parlare di Murdoch. È meglio se lasciamo stare", dice uscendo dal Quirinale dove ha partecipato alla celebrazione del 2 giugno. Insomma, non fa niente per negare. Le osservazioni della stampa internazionale stanno insomma provocando più di una preoccupazione a Palazzo Chigi. Un nervosismo celato solo nelle dichiarazioni pubbliche. "Io sono contento - dice -. Mi rivolgo alle persone che quando mi incontrano per strada mi salutano e mi stringono la mano. Del resto, non mi interessa". Eppure, negli ultimi giorni lo stesso capo del governo ne ha discusso con il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Nessuno a Via del Plebiscito nasconde la paura che le ultime vicende abbiano intaccato l'immagine del presidente del consiglio all'estero. Basti pensare che ancora ieri Berlusconi ha confermato l'incontro con il presidente Usa, Barak Obama: "È tutto a posto. Andrò in America". Eppure da Washington ancora non è arrivato la conferma ufficiale. Con ogni probabilità arriverà alla fine di questa settimana. Ma molti temono che il ritardo con cui agisce la Casa Bianca sia un modo per prendere le distanze. Un sospetto confermato nei giorni scorsi dai rappresentanti della diplomazia italiana negli States che hanno spiegato al governo italiano di non aver riscontrato entusiasmo nello staff di Obama. Per il momento, però, l'obiettivo primario del Cavaliere sono le elezioni europee. Le polemiche degli ultimi giorni hanno messo a rischio l'obiettivo del 40% per il Pdl. Il "Noemigate" e il divorzio da Veronica hanno avuto un qualche effetto sui sondaggi. Lo stesso Berlusconi ha ammesso che il suo indice di popolarità ha avuto una flessione del 2%. Dopo l'ultima offensiva di "Libero" contro la signora Lario, però, Berlusconi è sicuro di poter nuovamente invertire il trend e recuperare quanto ha perso nell'ultimo mese. "Certo - si è confidato con i suoi rivelando una certa irritazione - mi secca che ora mi diano del cornuto". Ma sul resto non ha nulla da recriminare. "È passato un giorno - ha fatto notare ad alcuni parlamentari del Pdl che lo hanno chiamato per esprimergli solidarietà - e la signora non ha smentito. Quindi cosa devo pensare?". Dal punto di vista della comunicazione, dunque, l'uomo di Palazzo Chigi ritiene di poter cambiare i rapporti di forza. "C'era un patto con Veronica - ha ricordato - ed è stato lei a romperlo. Un patto sulla nostra vita privata. È stata lei a modificare gli accordi con l'intervista a Repubblica. A questo punto mi sono tolto un peso". (2 giugno 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi incolpa gli ex di An "Ho combattuto solo contro tutti" Inserito da: Admin - Giugno 09, 2009, 10:22:37 am Il presidente minaccia una "rivoluzione" ai vertici del Popolo della libertà
Il Cavaliere pronto a cedere alla Lega la Lombardia. Per Formigoni c'è la Commissione Ue Berlusconi incolpa gli ex di An "Ho combattuto solo contro tutti" di CLAUDIO TITO ROMA - "Per il governo non cambia niente. Con la Lega una soluzione la troveremo. Ma i problemi sono altri e vengono dall'estero...". Silvio Berlusconi ieri si è sfogato con i suoi fedelissimi. Al telefono da Arcore ha bacchettato il partito che "non mi ha aiutato", ha gelato i "colonnelli" di An e Gianfranco Fini che "pensano di scaricare su di me ogni colpa" e ha tranquillizzato Umberto Bossi. Non si aspettava un verdetto "severo" dalle urne. Ma con il suo staff è partito all'attacco: "Ho fatto tutto io, mi hanno lasciato solo. Se non mi fossi candidato sarebbe andato anche peggio. E ora si lamentano pure". Una delusione che non riguarda solo il mancato raggiungimento degli obiettivi annunciati. L'inquilino di Palazzo Chigi, infatti, teme che lo stop di domenica vada oltre il meno 2,2%. "In gioco - si è lamentato - c'è la mia immagine. Se finisce la luna di miele è tutto più complicato". Anche perché i suoi timori, negli ultimi giorni, si sono concentrati sui risvolti internazionali che, a suo giudizio, hanno già accompagnato la campagna elettorale: "Solo qualche manovra dall'estero può davvero mettermi in difficoltà". Per di più i risultati delle europee hanno fatto scattare la baraonda nel centrodestra. Il premier ha prima messo sul banco degli imputati il suo partito ("cosa hanno combinato? Niente") e poi ha puntato l'indice contro "finiani". Una furia che i tre coordinatori nazionali (Veridni, Bondi e La Russa) hanno ben ascoltato al telefono. Una rabbia che ha indotto il premier a prospettare una "rivoluzione" nel partito già in estate. Anche perché il sostanziale "flop" sulle preferenze è per il Cavaliere una vera ferita. Aveva lavorato al "record assoluto" per dimostrare che il suo nome aveva "sfondato" in tutto il paese come elemento di unità nazionale: "ma qualcuno ha remato contro, anche tra i nostri". Ora invece deve fare i conti con i lumbard. Ieri sera Umberto Bossi ha reclamato un adeguamento nei rapporti di forza. In gioco ci sono i decreti attuativi del federalismo fiscale, un ruolo più penetrante per i leghisti nelle aziende pubbliche e soprattutto le future presidenze di Lombardia e Veneto. Tant'è che tra le ipotesi c'è anche quella di una "promozione" di Roberto Formigoni, l'attuale governatore lombardo, alla Commissione europea. Una nomina che libererebbe il Pirellone a favore di un esponente del Carroccio. Il premier è disponibile, i lumbard restano strategici per il capo del governo. "Con Umberto - ripete - una soluzione la troviamo. Non vado al braccio di ferro. Il patto con loro non si rompe". Così, in cambio il premier ha ottenuto una rassicurazione: ai ballottaggi i leghisti voteranno i candidati del Pdl nonostante il referendum. Sul piatto della trattativa, però, potrebbe presto entrare un altro elemento: il dialogo con l'Udc in vista delle regionali del prossimo anno. Anche perché il vero fantasma che aleggia su Palazzo Chigi è un altro. Il Cavaliere teme "l'isolamento internazionale". Il suo cruccio stanno diventando i rapporti con Barack Obama. Con il quale, ripete, "va assolutamente costruito un rapporto". Il presidente del consiglio è sempre più convinto di aver affrontato nell'ultimo mese una "manovra esogena". I giornali stranieri, Rupert Murdoch, quelli che chiama i "poteri forti". Teme allora che le europee possa essere il pretesto per "isolare" diplomaticamente Palazzo Chigi. "Solo qualche manovra internazionale - è la sua idea - può mettermi davvero in difficoltà". L'incontro di lunedì prossimo a Washington sta dunque diventando una tappa "cruciale". Il Cavaliere sa bene che con la Casa Bianca non c'è più la sintonia di un tempo. Le feluche italiane gli hanno spiegato che Obama ha accettato malvolentieri l'appuntamento del 15 giugno. Ha poi saputo che i resoconti provenienti dall'Ambasciata americana a Roma non sono affatto positivi. Report che in modo particolare guardano con sospetto all'asse Roma-Mosca. Il premier italiano ricorda che proprio durante la presidenza di un democratico, Bill Clinton, gli arrivò l'avviso di garanzia a Napoli. "È difficile fare bene se non c'è la sponda Usa", è la sua riflessione. Dubbi e paure che ora si concentrano sul filo diplomatico che corre tra Roma e Washington. Tant'è che Berlusconi vorrebbe presentarsi al colloquio della prossima settimana con due "trofei": l'aumento del contingente italiano impegnato in Afghanistan (da rifinanziare a fine mese) e l'"ammorbidimento" di Gheddafi che arriva nella Capitale proprio domani. (9 giugno 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO e CARMELO LOPAPA. Draghi il "non eletto" che il Cavaliere teme... Inserito da: Admin - Giugno 14, 2009, 12:15:35 pm È il governatore della banca d'Italia il "non eletto" che il Cavaliere teme
Il timore del premier che ci siano ripercussioni con le cancellerie internazionali Berlusconi e il fantasma di Draghi "Ma non riusciranno a farmi fuori" E dieci giorni fa il presidente del Consiglio aveva attaccato il governatore sui precari di CLAUDIO TITO e CARMELO LOPAPA ROMA - Il fantasma di un governo tecnico guidato da Mario Draghi e l'incubo che lo scandalo foto possa compromettere seriamente i rapporti con le cancellerie internazionali. Ecco cosa ha spinto il premier Silvio Berlusconi all'intemerata sul "progetto eversivo" dinanzi alla platea dei giovani industriali, a meno di un mese dal G8 sul quale il governo scommette una buona fetta della sua credibilità e alla vigilia della tanto agognata visita a Washington per incontrare Obama. Numeri della maggioranza blindati, governo compatto, leggi come caterpillar in Parlamento, dunque, non fanno sentire il presidente del Consiglio al riparo, sufficientemente sicuro. Complici, la crisi economica montante - al di là delle rassicurazioni ribadite fino a ieri - e i nuovi risvolti legati al Casoriagate, alle foto di Villa Certosa, alle veline sui voli di Stato. Il timore che il Cavaliere ancora ieri mattina confidava a ministri e parlamentari Pdl che lo hanno seguito a Santa Margherita, è che si stia muovendo una sorta di "tenaglia", intenta a schiacciarlo su due fronti, interno e internazionale: "Pensano di farmi fuori con una manovra di Palazzo, ma non mi metteranno all'angolo, gli italiani stanno dalla mia parte". In privato, non è un mistero, Silvio Berlusconi ormai da un mese dà un volto e un nome a quell'"altra persona non eletta dagli italiani" evocata ieri e che potrebbe prendere il suo posto. Volto e nome che portano dritti al vertice della Banca d'Italia. A Palazzo Chigi sentono da settimane gli echi dell'indiscrezione che circola negli ambienti confindustriali e che indicano nel governatore Mario Draghi il potenziale presidente di un esecutivo tecnico, di "salute pubblica", un governo per gestire la crisi. I boatos hanno fatto presto a giungere alle orecchie di Berlusconi, ovvia la sua forte irritazione. A quanto sembra ne avrebbe parlato anche con la numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia, presumibilmente lo ha fatto anche ieri durante la colazione con lei nella residenza di Portofino, al termine del convegno. I rapporti tra l'inquilino di Palazzo Chigi e il governatore sono cortesi, formali, ma ormai niente più di questo. Il 5 giugno scorso, alla vigilia delle Europee, Berlusconi non ha esitato a smentire pubblicamente la previsione preoccupata del governatore su quel milione e 600 mila lavoratori che rischiano di restare senza sussidio in caso di perdita del posto: "Questa è un'informazione di Draghi che non corrisponde alle nostre conoscenze". E le bordate sempre più frequenti del ministro dell'Economia Tremonti nei confronti di Draghi sono la conferma di un clima, di un'insofferenza che fa da sfondo a un antagonismo sotto traccia. Il premier non dimentica che l'inquilino di Palazzo Koch è stato uno dei "Ciampi boys". Come non si stanca mai di far notare ai suoi come Pd e Casini prendano le difese di Draghi tutte le volte in cui emerga una qualche contrapposizione col governo. Nei giornali berlusconiani, in queste ore, è tutto un fiorire di "complotti", "congiure", "assalti" e "avvoltoi". Non a caso. Alla fobia interna, se ne sta affiancando un'altra, riconducibile alla storia delle 5 mila foto private che hanno immortalato Berlusconi (e le sue ospiti) a Villa Certosa e che ora sono in circolazione. Il presidente del Consiglio dà per scontato che presto alcuni di quegli scatti saranno pubblicati all'estero, nonostante l'ulteriore richiesta di sequestro avanzata dal suo avvocato Ghedini. "Il timore - racconta chi è più vicino al premier - è che una qualsiasi cancelleria europea prenda a pretesto quelle immagini e le fandonie che le circondano per decidere di non incontrare più il presidente". Ecco il rischio isolamento che si affaccia. A quel punto, solo a quel punto, Berlusconi si sentirebbe spalle al muro. I più espliciti tra i fedelissimi, come Osvaldo Napoli tra gli altri, denunciano in un tam tam crescente che una regia sta lavorando per portare indietro l'orologio, magari al '94, "qualcuno vuole tenere in scacco la democrazia italiana e impedire che si concluda la transizione che dura da 17 anni". Ma non tutto il Pdl, come sempre più spesso accade, segue il premier sulle barricate. La teoria del complotto sembra non convincere affatto gli ex An, il presidente della Camera Fini e gli ambienti a lui più vicini. "Come non è stata mai credibile la teoria del complotto delle toghe rosse - racconta il finiano Fabio Granata - così non sembra fondata la tesi che ci sia un'eversione in atto. C'è un fuoco di fila, è vero, ma si argina solo con un'azione di governo incisiva". (14 giugno 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. "Attenti che riporto l'Italia al voto" (... magari ndr). Inserito da: Admin - Giugno 15, 2009, 11:37:07 am Il Cavaliere all'incontro con Obama spiega ai suoi la mossa davanti agli industriali
I militari in più per l'Afghanistan saranno presi dal contingente in Kosovo Il premier e l'affondo sul complotto "Attenti che riporto l'Italia al voto" dal nostro inviato CLAUDIO TITO WASHINGTON - "Il mio governo andrà avanti tranquillamente, ma se non sarà così allora si tornerà al voto". Non è la prima volta che Silvio Berlusconi minaccia le elezioni anticipate. Quando sente "aria di complotto" brandisce il ritorno alle urne come un'arma. Sabato notte con gli amici a cena e poi ieri mattina al telefono con i suoi fedelissimi e con alcuni ministri ha spiegato il senso del suo affondo al convegno di Confindustria di Santa Margherita. Il riferimento al "disegno" per portare un "non eletto" a Palazzo Chigi ha come prima contromisura proprio la minaccia di interrompere la legislatura. Prima di partire per Washington dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il premier ha confermato a diversi big del centrodestra di voler rompere il tentativo di assedio che si starebbe organizzando intorno al suo esecutivo. "Ho voluto far capire - è stata la sua spiegazione - che stavolta non mi faccio ingannare". Naturalmente il riferimento è sempre al 1995, al governo Dini, insomma al "ribaltone". La sede scelta per "smascherare" il complotto non è stata frutto del caso: gli imprenditori. Gli esponenti del mondo economico e dei "poteri forti" che - a suo giudizio - vedono in Mario Draghi un'alternativa. Perché Berlusconi è convinto che tra i "complottardi" ci siano proprio diversi rappresentanti dell'imprenditoria. Così, sabato li ha avvertiti e nello stesso ha trovato il modo per tenerli sulla corda. Un modo, ha fatto capire ai suoi, per ammonire: "Quando verrete a chiedermi qualcosa, ricordatevi di cosa vi ho detto". Tant'è che, in partenza per gli States, i suo collaboratori lo hanno descritto più "soddisfatto" che "preoccupato" rispetto alla situazione italiana. Semmai l'apprensione è concentrata sul colloquio con l'inquilino della Casa Bianca. Il Cavaliere ha preparato il summit pronto a giocarsi tutte le carte pur di convincere Obama, di persuaderlo che "l'Italia sta dalla sua parte". Sa che al momento lo stato di rapporti con gli Usa non è più sereno come sei mesi fa. Il caffè che prenderà oggi pomeriggio con il presidente americano rischia di essere un test decisivo. Il presidente del Consiglio è il secondo leader europeo - dopo l'inglese Gordon Brown - a varcare la soglia della Casa Bianca. Lo farà in qualità di presidente di turno del G8. Le due delegazioni, sette persone per parte, si vedranno nello Studio Ovale. Obama chiederà cosa può fare l'Italia per onorare l'alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all'ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l'Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000) del contingente in Kosovo. Sul tavolo anche altri temi: Medio Oriente, Libano e soprattutto il G8 dell'Aquila. Ci sono anche temi potenzialmente spinosi. La recente visita di Gheddafi in Italia e la grande visibilità concessa al colonnello libico, i rapporti con Mosca (in particolare l'amicizia con Vladimir Putin e la politica energetica dell'Italia a favore del gas russo), le elezioni in Iran dove sono presenti molte nostre aziende, gli accordi disdetti con Fimeccanica (il "no" Usa agli eliccotteri Agusta), la possibilità che vengano trasferiti in Italia alcuni dei detenuti di Guantanamo e infne alcune affermazioni fatte di recente dal capo del governo come l'impossibilità che l'Italia possa diventare un paese multietnico. Prima di entrare alla Casa Bianca, il premier italiano visiterà una mostra sull'Abruzzo alla National Gallery. Poi renderà omaggio ai caduti del cimitero di Arlington. Dopo il faccia a faccia con Obama, avrà un incontro con la speaker del Congresso Nancy Pelosi. (15 giugno 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Pronto un Piano B "Ma il vertice si farà" Inserito da: Admin - Luglio 04, 2009, 04:46:25 pm IL RETROSCENA
Pronto un Piano B "Ma il vertice si farà" di CLAUDIO TITO ROMA - Nessuno intende attivarli. Tutti sono sicuri che il G8 si terrà regolarmente a L'Aquila nei modi e nei tempi previsti. Però, due "piani di riserva" sono già pronti. Le ultime scosse di terremoto, infatti, una variante al programma l'hanno apportata. Sulle scrivanie della Protezione civile e della Presidenza del consiglio adesso sono ricomparsi due progetti: uno totalmente "alternativo" al summit abruzzese e l'altro di "evacuazione". Due schemi che fino a ieri erano rimasti nel cassetto. Silvio Berlusconi e i ministri direttamente interessati all'organizzazione del vertice "mondiale" li avevano predisposti da tempo ma solo come clausola di salvaguardia. Adesso sono stati rispolverati. Perché lo sciame sismico ha messo in allarme Palazzo Chigi. Ma anche le delegazioni straniere. Molte delle quali, dopo la scossa di ieri, hanno contattato gli uffici di Guido Bertolaso proprio per capire se e quali conseguenze ci fossero sul programma del G8. Rassicurazioni che gli uffici italiani hanno immediatamente fornito a tutti mettendo a disposizione anche la possibilità di un altro sopralluogo a Coppito e un'altra verifica sulla tenuta antisismica del caserma della Guardia di Finanza che ospiterà i "big". "La sede dei lavori è a prova di terremoto - ha chiarito il sottosegretario alla protezione civile - non c'è alcun pericolo". I contatti tra le ambasciate e la Protezione Civile, però, sono il segno che gli "ospiti" in arrivo in Italia seguono con attenzione l'evolversi della situazione in Abruzzo. Non tutti i timori sono dissipati. E del resto, anche Silvio Berlusconi è "preoccupato". La notizia dell'ennesimo terremoto ha fatto irruzione nel consiglio dei ministri riunito a Palazzo Chigi. La seduta era iniziata da una ventina di minuti. All'ordine del giorno un'altra tragedia: il terribile incidente ferroviario di Viareggio. Per un momento la riunione si è interrotta. Il Cavaliere ha letto un foglio e subito dopo ha informato i ministri. Ha ripetutamente scosso la testa e poi ha scandito ad alta voce il breve dispaccio. Qualcuno gli ha chiesto informazioni sui danni provocati. "Non ci sono vittime né danni - ha tranquillizzato - . Anche perché quello che doveva crollare è già crollato il 6 aprile. Questa volta è stato solo di un grado inferiore rispetto a quello di tre mesi fa". Nessun riferimento esplicito al summit che inizierà mercoledì prossimo. Semmai il timore che gli aquilani a questo punto ritardino i tempi per il ritorno alla normalità in città. "Il 60% delle abitazioni - ha spiegato - sono agibili ma nessuno rientrerà a casa fino a quando ci saranno questi terremoti". Compromettendo così la scaletta temporale che, per il premier, prevede in autunno lo smantellamento delle tendopoli. Ma se con i ministri non si è sbilanciato sullo svolgimento del G8, Berlusconi ne ha parlato a fondo con Bertolaso. Colloqui che si sono ripetuti nell'arco della giornata. A Palazzo Chigi, del resto, erano consapevoli delle preoccupazioni emerse nelle delegazioni straniere. Proprio per questo sono stati recuperati e definiti i "due B". Quello "alternativo", studiato da tempo secondo le procedure standard seguite per tutte le occasioni di questo tipo, prevede il "trasferimento" complessivo del vertice in un'altra sede. Una scelta che verrebbe adottata come extrema ratio, solo nel caso in cui le scosse da qui a martedì avessero un andamento crescente e tali da impedire lo svolgimento ordinato dei lavori nell'edificio di Coppito. Un piano che di fatto trasformerebbe Roma nella sede del G8. La Farnesina sarebbe il palazzo in grado ospitare i lavori del vertice. Nella capitale, poi, ci sono tutte le ambasciate in grado di accogliere i leader e gli alberghi sufficienti per ricevere delegazioni e giornalisti. Il piano di "evacuazione", invece, riguarda l'eventuale necessità di abbandonare L'Aquila a summit già iniziato. Se, insomma, un terremoto dovesse verificarsi proprio mentre i "grandi" della Terra sono già riuniti a Coppito. Alcuni degli elicotteri già pronti per trasferire le delegazioni dagli aeroporti di Roma in Abruzzo, saranno tenuti pronti all'interno della caserma della Guardia di Finanza proprio per effettuare una "fuga rapida". Una soluzione su cui ha insistito in modo particolare lo staff del presidente americano, Barack Obama. La Casa Bianca ha chiesto che l'eventuale evacuazione venga realizzata in due fasi: la prima con gli elicotteri per mettere in salvo i capi di Stato e di Governo. L'altra, con i mezzi di auto-trasporto, per trasferire a Roma i membri delle delegazioni (si tratta di 26 persone per ognuno dei 39 paesi presenti al summit). Per il governo, ovviamente, si tratta di soluzioni che con ogni probabilità non verranno adottate. Berlusconi è sicuro che il G8 si svolgerà senza sorprese e senza problemi. "Bertolaso mi ha garantito che tutto è a posto". Ma in caso di necessità sono pronti i "piani B". (4 luglio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Pressing di Bossi: "Poi serve una svolta, anche col rimpasto" Inserito da: Admin - Luglio 08, 2009, 12:57:03 pm Pressing di Bossi: "Poi serve una svolta, anche col rimpasto"
Dietro gli attacchi, gli interessi "di chi vuol fare shopping tra le aziende italiane" Il Cavaliere e l'incubo dello scandalo "Devo superare il summit senza danni" di CLAUDIO TITO ROMA - "Superare senza danni il G8". Silvio Berlusconi misura i passi che lo stanno portando al summit dell'Aquila con attenzione. Ma anche con molta tensione. Ormai considera l'appuntamento abruzzese un vero e proprio spartiacque. "Superare senza danni il vertice", ripete ad ogni piè sospinto, perché solo così sarà possibile puntare sulla "fase due" del governo. Così con i suoi collaboratori e anche nella conferenza stampa di ieri non è riuscito a nascondere un certo nervosismo puntando l'indice per l'ennesima volta contro "Repubblica". L'ombra del "complotto", a suo giudizio, parte infatti dall'Italia per allungarsi sugli altri paesi occidentali. "Qualcuno - è la sua difesa - vuole indebolire il nostre Paese. Offrono elementi per attaccarci, solo menzogne. Non si rendono conto quello che stanno facendo". Così il sospetto che il G8 diventi il palcoscenico per l'ennesima puntata di foto osè e per le inchieste che lo riguardano, è il suo principale assillo. Il timore che il summit non vada per il verso giusto si sta lentamente trasformando in un incubo. Del resto, i recenti affondi dei giornali stranieri, la difficoltà incontrata a Strasburgo sulla candidatura di Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo, l'apprensione con cui ha affrontato l'incontro con Barack Obama: sono tutti elementi che hanno segnato gli ultimi due mesi del suo governo. E in una certa misura hanno modificato i suoi comportamenti. Basti pensare che da due mesi a questa parte sono state drasticamente ridotte le sue uscite pubbliche. Ostacoli che, secondo l'inquilino di Palazzo Chigi, possono essere aggirati con un "sereno e tranquillo" svolgimento del vertice aquilano. Il suo obiettivo, quindi, è quello di tranquillizzare i "grandi della Terra" sulla tenuta del suo esecutivo e ricomporre un'immagine internazionale intaccata da questi due mesi di polemiche. Tant'è che una cura particolare verrà dedicata proprio alla stampa estera. Lo staff berlusconiano si aspetta domande insidiose proprio dai giornalisti stranieri. "Ma il problema non viene da tutti i giornali stranieri - dicono a Via del Plebiscito - ma da una parte". Quelli che, per il premier, fanno capo a Rupert Murdoch e ai poteri finanziari interessati a fare "shopping" tra le aziende del nostro paese: "Non vorrei ci fosse una svendita come è accaduto una quindicina di anni fa". Il G8, insomma, rappresenta il confine da cui far partire "un nuovo inizio". Una richiesta che l'altro ieri sera è stata avanzata esattamente in questi termini dallo stato maggiore della Lega. Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Roberto Cota hanno reclamato nel corso di una cena a Via del Plebiscito, un "cambio di marcia". Il premier si è sentito sotto pressione anche davanti al forcing del suo "migliore alleato". Davanti ad un presidente del consiglio pronto ad ascoltare i consigli lumbard, il Senatur è stato allora piuttosto esplicito. "Dopo il G8 - è stato il suo ragionamento, ribadito in un vertice del Carroccio riunito ieri a Montecitorio - serve una svolta. Non è che possiamo andare avanti in questo modo. Bisogna governare e instaurare un nuovo clima pure con l'opposizione". E già, perché il pensiero dei leghisti è sistematicamente rivolto al federalismo. In gioco c'è la cosiddetta "bicameralina" che deve studiare i costi del federalismo fiscale e porre le condizioni per il varo dei regolamenti attuativi. Si tratta di una commissione bipartisan. Per questo Bossi pretende dal Cavaliere un "nuovo clima". Tanto da ipotizzare una presidenza "di opposizione" da affidare ad un giurista come Franco Bassanini. Non solo. Proprio per dare il segno di una cesura, è stata di nuovo ventilata l'idea di un rimpasto insieme al già annunciato "conclave" governativo. Soluzione che Berlusconi non ha scartato pur avendo chiesto di derubricare il "conclave" a singole sessioni ministeriali. Il pressing lumbard non gli è piaciuto. Sa che la Lega si sente rafforzata dall'ultima tornata elettorale. E non intende rispondere con un no, ma considera "troppo insistenti" i diktat del Senatur. "Riflettiamo su tutto ma senza esagerazioni". Prima del "nuovo inizio" e della bicameralina per il federalismo fiscale, però, il presidente del consiglio deve superare lo scoglio G8. "Intanto - si raccomanda - cerchiamo di superare questo vertice senza danni. Poi ci mettiamo al lavoro, senza soste". (8 luglio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. ... Silvio è turbato dal no del Vaticano Inserito da: Admin - Luglio 11, 2009, 04:06:54 pm Il retroscena.
Chiesto da Letta un incontro, gelo da Oltretevere: non è il momento Il Cavaliere mette in riga la maggioranza: "Si ricorderanno che comando io" "Ora voglio vedere chi parla di declino" ma Silvio è turbato dal no del Vaticano Il premier prepara il vertice di governo e non nasconde il fastidio per le mosse del Colle di CLAUDIO TITO L'AQUILA - "Ora voglio vedere chi ha ancora il coraggio di criticare e di pensare che è iniziato il mio declino". E' convinto di aver ricomposto un po' delle fratture che si erano aperte nella sua immagine internazionale. Ma soprattutto Silvio Berlusconi, dopo il G8 dell'Aquila, è sicuro di aver riportato ordine nel governo e nella sua maggioranza. Il malessere nella coalizione, la sfiducia nella "pancia" più profonda del Pdl, le riunioni tra ministri per organizzare il "dopo-Silvio". Fattori che avevano agitato i sonni del Cavaliere fino al summit abruzzese. "Adesso, vedrete, - ha ragionato ieri pomeriggio al telefono con un esponente del centrodestra - tornerà tutto a posto. Tutti si ricorderanno che comando io". Berlusconi, insomma, lancia il suo guanto di "sfida". Sa che gli incidenti di percorso legati all'inchiesta di Bari e alle foto di Villa Certosa potrebbero non essere finiti. "Dobbiamo ancora stare attenti", ripete come un mantra ai "suoi". Nello stesso tempo punta il dito contro gli alleati interni più recalcitranti e contro l'opposizione. Con i fedelissimi non nasconde nemmeno un certo fastidio per le mosse del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E già, perché l'azione svolta dal Quirinale in questi giorni solo in parte è stata apprezzata da Palazzo Chigi. Il presidente del consiglio aveva accolto con favore l'invito alla "tregua" ma poi ha seguito con preoccupazione quella che ha definito "l'eccessiva esposizione" del Colle. A partire dall'incontro tra Napolitano e Barack Obama a Roma e il pranzo con i "grandi della Terra" a L'Aquila. La più alta carica dello Stato ha più di una volta "spiazzato" gli uomini di Via del Plebiscito. L'aut-aut sul disegno di legge che disciplina le intercettazioni telefoniche, i rilievi alla legge sulla sicurezza (misure non ancora promulgate), il colloquio svolto con il presidente brasiliano Lula il cui oggetto quasi esclusivo è stato l'estradizione di Cesare Battisti. Non è un caso che proprio ieri, al termine del G8, il capo del Governo abbia snobbato l'appello quirinalizio alla "tregua" dicendo apertamente: "Io non ne ho goduto". A questo punto, poi, vuole chiudere i conti anche con i "nemici" interni. "Non voglio più sentire quelli che frenano, non voglio più problemi e distinguo". E il "conclave" di coalizione potrebbe essere la sede per il redde rationem. Ieri ha confermato ad un ministro l'intenzione di tenere il vertice entro luglio ma con una formula diversa: tutto si svolgerà a Palazzo Chigi con una serie di incontri interministeriali. Obiettivo: invertire l'attuale trend. Raccontano, infatti, che in occasione dell'ultimo consiglio dei ministri abbia ascoltato con fastidio il richiamo di Giulio Tremonti a contenere le spese. "Per andare avanti su questo provvedimento - spiegava un ministro sollecitato da Berlusconi ad agire - servono soldi e tempo". Una frase chiosata proprio dal titolare dell'Economia: "Di tempo ne abbiamo quanto ne vogliamo". Con smorfia innervosita del Cavaliere. Non solo. Il capo del governo adesso vuole rivedere i tempi della riforma della Giustizia e delle intercettazioni: evitando i rinvii ipotizzati in questi giorni. Del resto anche l'incontro di lunedì scorso con Bossi gli aveva lasciato l'amaro in bocca. I leghisti gli avevano chiesto più incisività sul federalismo fiscale e tempi rapidi sulla "bicameralina" che dovrà monitorarne le risorse. Soprattutto aveva subito la spinta ad aprire il dialogo con l'opposizione. Così, oggi ha lanciato uno stop pure ai lumbard: "Nessun dialogo con questa opposizione". Per il Cavaliere, a questo punto, i rapporti di forza sono cambiati. "Decido io", è il suo leit motiv. Se c'è un punto, invece, su cui Berlusconi si sente in deficit è il rapporto con la Chiesa. Dopo l'affondo effettuato pochi giorni fa dalla Cei, aveva sperato in un incontro con il Papa a conclusione del G8. Il segretario della Cei, monsignor Crociata, lunedì scorso aveva stigmatizzato un certo "libertinaggio". Il Cavaliere, nel tentativo di ricucire il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche, aveva incaricato Gianni Letta di sondare informalmente la possibilità di un'udienza in Vaticano. Un passo diplomatico che però non ha raggiunto il risultato sperato: "Questo non è il momento" è stata la risposta arrivata da Oltretevere. Abbastanza chiara da sconsigliare agli uffici del Cavaliere la presentazione di una "formale" richiesta di colloquio. Tant'è che ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede - mentre Benedetto XVI riceveva il presidente americano, Barack Obama - è arrivata la notizia che "nessuna richiesta formale di udienza è arrivata al Pontefice". Ma per tranquillizzare gli ambienti cattolici il premier punta tutto sul testamento biologico all'esame a Montecitorio, che proprio giovedì scorso ha subito un'accelerazione da parte del Pdl. (11 luglio 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Fini: "Questa volta Silvio non lo capisco proprio" Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2009, 12:25:41 pm Il retroscena. Il capo dello Stato chiede una "rete di sicurezza" e ottiene una tregua.
Fini: "Questa volta Silvio non lo capisco proprio" Il Colle esige il chiarimento: basta strappi Il premier: "Troppe istituzioni alla sinistra" di CLAUDIO TITO ROMA - "Bisogna mettere un punto fermo". La tensione è altissima. Il rischio di uno conflitto istituzionale senza precedenti aleggia sul Quirinale e su Palazzo Chigi. Le bordate sparate l'altro ieri da Silvio Berlusconi contro il presidente della Repubblica hanno provocato una vera e propria crisi nei rapporti tra le massime cariche dello Stato. Napolitano è preoccupatissimo. Soprattutto non accetta che sia messa in dubbio la sua "correttezza" costituzionale. Nell'altra "palazzo", quello di via del Plebiscito, i toni sono ancor più aspri. La parola "complotto" viene ripetuta ossessivamente. E il Cavaliere pone un interrogativo ai suoi fedelissimi: "Perché, se abbiamo la maggioranza nel Paese, alcune istituzioni sono in mano all'opposizione?". Il clima è pesantissimo. I canali di comunicazione tra Quirinale e governo sono praticamente interrotti. Di buon mattino, allora, Napolitano chiama prima il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e poi quello del Senato, Renato Schifani. Li convoca al Quirinale per un vertice straordinario. Obiettivo: dare atto che la più alta magistratura dello Stato ha agito nel "pieno rispetto" delle prerogative costituzionali. E poi tessere una "rete" di sicurezza che salvaguardi l'equilibrio tra le istituzioni. Il presidente della Repubblica, insomma, chiede un pronunciamento pubblico. Un "chiarimento" definitivo. L'allarme scatta anche a Montecitorio. Le uscite di Berlusconi non sono piaciute a Fini. "Non si può attaccare il capo dello Stato in questo modo", si lamenta con gli "ambasciatori" del Cavaliere: "Silvio proprio non lo capisco. Ma come si fa a sparare in quel modo? Deve capire che non può attaccare così il presidente della Repubblica. Cosa ha in mente?". È d'accordo con Napolitano. Ma è Schifani a sollevare dubbi. L'incontro sul Colle si trasforma in una trattativa difficilissima. Le posizioni tra i tre, in un primo momento, non sono convergenti. Del resto, proprio mentre i presidenti dei due rami del Parlamento salgano al Quirinale, Berlusconi continua a sparare alzo zero verso il Colle. È furibondo e anche davanti alla "colomba" Gianni Letta non riesce a trattenersi. "Anche io pretendo rispetto". E soprattutto butta là una domanda che lascia di stucco i suoi interlocutori: "Io sono eletto dal popolo. La maggioranza del paese è con noi, ma alcune della massime cariche dello Stato sono dall'altra parte. È possibile andare avanti così?". Il riferimento è chiaro: il Quirinale, la Consulta, il Csm. Il vertice tra Napolitano, Fini e Schifani, dura oltre un'ora. In passato, i medesimi summit erano iniziati e finiti con una intesa totale. Così fu nel novembre del '93 quando Scalfaro convocò lo stesso Napolitano e Giovanni Spadolini per poi pronunciare il famoso "non ci stò" in seguito all'inchiesta sui fondi Sisde. E così fu anche nel 2002 quando Ciampi consultò Casini e Pera sulla crisi che si era aperta al vertice della Rai. Stavolta la seconda carica dello Stato presenta, in partenza, i suoi appunti. A quel punto il presidente della Repubblica ripercorre punto per punto la vicenda. Rammenta che tutto nasce con il cosiddetto provvedimento "blocca processi" ideato dall'esecutivo. Ricorda l'intervento svolto a Torino nell'aprile scorso in riferimento ai "limiti che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa". Soprattutto chiede di intervenire per far "ragionare" il capo del governo. Fini si schiera al suo fianco. Il presidente del Senato prende tempo. Non vorrebbe un comunicato congiunto. E comunque chiede di apportare dei correttivi. Si impunta sulla necessità di inserire un passaggio pure sul "risultato delle elezioni". Il confronto prosegue. Il presidente della Repubblica deve lasciare la riunione per un appuntamento non procrastinabile, cui prende parte pure Papa Benedetto XVI. Fini e Schifani restano al Quirinale per altri venti minuti a limare il testo e l'accordo viene trovato solo esplicitando il valore della "volontà del corpo elettorale". La tregua alla fine viene siglata. Ma la pace è ancora lontana. In gran segreto, infatti, Schifani, lasciato il Quirinale, va a palazzo Grazioli. Spiega tutto a Berlusconi. Il Cavaliere si infuria ancora di più. Le sue sono parole di fuoco contro il presidente della Repubblica. "Sono io a pretendere rispetto - sbotta -. Forse ieri avrò pure esagerato ma è chiaro che c'è un complotto contro di me". Nell'ufficio di presidenza del Pdl molti evocano le elezioni anticipate. Il Cavaliere non li smentisce. Ma il suo "chiarimento", a questo punto, riguarda gli equilibri nelle più alte cariche dello Stato. © Riproduzione riservata (9 ottobre 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO Il Cavaliere per ora cede. "Ma a marzo serve una soluzione" Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2009, 09:26:09 am ECONOMIA
RETROSCENA. Il Cavaliere per ora cede. "Ma a marzo serve una soluzione" Il Cavaliere teme che le mosse del suo ministro puntino al "dopo" E Giulio minaccia le dimissioni "Se non mi difendi me ne vado" di CLAUDIO TITO "O blocchi subito le polemiche oppure io non posso più stare qui". Di buon mattino Giulio Tremonti aveva letto la prima pagina di "Libero" e aveva capito che qualcosa stava accadendo. Poi era stato avvertito della contestazione in corso tra molti dei "big" del Pdl. Quell'evocazione del "posto fisso" stava insomma scatenando un pandemonio. E il ministro solo in parte se lo aspettava. Allora ha alzato il telefono e ha chiamato Silvio Berlusconi. Minacciando a chiare lettere le dimissioni. I rapporti tra i due, del resto, sono ormai quelli di due "separati in casa". I "duelli" in consiglio dei ministri si ripetono quasi ogni settimana. Non è la prima volta che il superministro agita l'addio. Lo ha fatto anche nell'ultima riunione di governo. "Preparate le valige - è il refrain che Tremonti ripete come un mantra ai suoi collaboratori - perché tanto da qui ci cacciano". Domenica scorsa, poi, visitando la Fiera del Tartufo a Pecorara, in provincia di Piacenza, si era lasciato andare ad una espressione simile: "Non vedo l'ora di andare in pensione...". Berlusconi, invece, lo segue "con sospetto". Non sopporta quelle riunioni dell'Aspen Institute con tanti, "troppi", esponenti dell'opposizione. Compresa quella fissata per il prossimo 23 novembre a Lecce. Stavolta, inoltre, le parole del capo dell'Economia sono state colte come una "invasione di campo, una provocazione". Come l'ennesimo tentativo di uno strappo" al di là del merito della questione. Ieri, infatti, la tensione era altissima. Tremonti temeva "l'accerchiamento". Il titolo in prima pagina del giornale diretto da Maurizio Belpietro ha fatto scattare il campanello d'allarme al ministero dell'Economia. E in effetti, il colloquio tra "Silvio e Giulio" non è stato affatto distensivo. "Non capisco - è stato il ragionamento del Cavaliere fatto ad Arcore con i fedelissimi - perché se ne è uscito in questo modo proprio ora. C'è qualcosa dietro?". Il capo del governo teme il tentativo di imporre un'agenda "dialogante" con il centrosinistra. Dopo un giro di consultazioni con Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, alla fine ha deciso di ridimensionare con una nota ufficiale la polemica scoppiata nel centrodestra. Ma solo per evitare che "Giulio faccia colpi di testa". Durante la sessione di bilancio, mentre la Finanziaria fa il suo corso in Parlamento, sarebbe troppo rischioso aprire un buco nella gestione della politica economica. Eppure il "caso Tremonti" resta aperto. Basti pensare che la scorsa settimana, poco prima dell'ultimo consiglio dei ministri, il premier si era sfogato con il sottosegretario Letta - alla presenza di altri ministri - invocando una "soluzione definitiva". Una formula che tutti hanno interpretato come la richiesta di un vero e proprio allontanamento. E già perché i fattori del conflitto tra Presidenza del consiglio e Via XX Settembre si stanno moltiplicando. Per ultimo lo scudo fiscale. Secondo il Cavaliere è stato confezionato in modo da "penalizzare le banche e il risparmio". Non solo. Il premier ha chiesto di utilizzare subito il gettito proveniente dai capitali "scudati". Ma la risposta è stata un secco "niet". "Non siamo in grado di affrontare altre uscite - è la posizione di Tremonti - non possiamo non tenere conto dell'andamento dei nostri conti pubblici". Ma quel che più sta facendo montare la rabbia del Cavaliere, è la linea del confronto con il centrosinistra. Una ragnatela di contatti che per il premier sta diventando troppo fitta. Il dialogo con D'Alema, i rapporti con Casini, il feeling ritrovato con Gianfranco Fini. Un quadro che fa aleggiare su Via del Plebiscito uno spettro: che sia già iniziata la corsa al "dopo-Berlusconi". E che anche "l'amico Giulio" si stia attrezzando. Anche perché nella "campagna del dialogo" sta entrando perfino la Cgil di Guglielmo Epifani. Sospetti che presto potrebbero gonfiarsi. I riflettori verranno puntati sul prossimo convegno organizzato, attraverso Tremonti, dall'Aspen Institute. Il 23 novembre, a Lecce, si terrà infatti un incontro dal titolo "Nuovi paradigmi di progresso e capitalismo". Con una lista di ospiti piuttosto indicativa. I "mediatori" sono Giuliano Amato e lo stesso ministro. Tra gli invitati non c'è nemmeno un esponente del Pdl. C'è però Massimo D'Alema e Guglielmo Epifani. Nel campo della maggioranza c'è solo un leghista, Giancarlo Giorgetti. Poi una sfilza di imprenditori e boiardi di Stato, di banchieri e professionisti. Il direttore generale del Tesoro Grilli e il presidente della Banca Popolare di Milano Ponzellini, l'Ad della Cassa Depositi e Prestiti Verazzani e il presidente di Rcs Marchetti, il garante Catricalà e l'ad di Vodafone Colao, il capo di Fasteweb Parisi e il presidente della Lega delle Cooperative Poletti. Un analogo seminario, tenutosi l'8 ottobre scorso, aveva mandato Berlusconi su tutte le furie. Forse, allora, non è un caso che di recente si sia attivata la diplomazia di Palazzo Chigi. Contattando alcune cancellerie europee per porre sul tappeto la candidatura dell'Italia alla presidenza dell'Eurogruppo. Una poltrona disponibile a marzo e idonea al ministro dell'Economia. E marzo sarà il mese più adatto per un eventuale "rimpasto". Dopo le regionali qualche altro ministro potrebbe lasciare l'esecutivo per un "Governatorato". © Riproduzione riservata (21 ottobre 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Mastella: "Attacco vergognoso io e Sandra non ci arrenderemo" Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2009, 10:26:26 am L'europarlamentare Pdl nega ogni responsabilità nell'inchiesta su appalti e favori in Campania
"Oggi mia moglie deciderà sulle dimissioni. Massimo rispetto per i magistrati, ma ci difenderemo" Mastella: "Attacco vergognoso io e Sandra non ci arrenderemo" di CLAUDIO TITO ROMA - Fugge via dall'Europarlamento non appena gli comunicano la notizia. Destinazione Roma e poi Ceppaloni. Per abbracciare la moglie, perché "i sentimenti vengono prima di tutto". Nega Clemente Mastella. Nega di essere invischiato in questa storia di posti regalati e abuso d'ufficio, di favori e di appalti. Perfino di sostegni elettorali dai clan. Ma non esclude che, come per l'inchiesta che lo ha costretto nel gennaio 2008 a dimettersi, anche sua moglie Sandra possa decidere di farsi da parte. Tutto resterà sospeso fino ad oggi. L'ex Guardasigilli, oggi deputato europeo del Pdl, è convinto che si risolverà tutto come due anni fa: "In un nulla di fatto". E avverte: "Noi non ci arrenderemo". Viene raggiunto al telefono un paio d'ore dopo che la notizia rimbalza dal capoluogo campano. Clemente Mastella come si sente? L'inchiesta colpisce duro sua moglie ma tocca anche lei. "Sono sereno. Non ho paura di niente". Dove si trova? È tornato a Roma? "Sto rientrando dalla sessione dei lavori parlamentari a Strasburgo, mi trovo a Parigi in transito ma sto tornando di corsa a Roma per raggiungere mia moglie. Perché prima di ogni cosa ci sono i sentimenti e poi tutto il resto. Però in questa vicenda ci sono delle cose che davvero non funzionano. Che mi risultano alquanto oscure". A cosa si riferisce? "Mi ha chiamato mia figlia stamattina presto da Roma. E mi ha detto che dentro casa mia sono arrivati all'alba quattro carabinieri. Stavano là dentro senza alcun permesso. Mi chiedo: cosa facevano? Cosa cercavano? Sono stati lì tre ore. Dalle 6 alle nove di mattino. Capite che shock per mia figlia? Ho dovuto ricordare loro che sono un parlamentare e che esistono certi limiti. E che quella era una violazione. Mi hanno solo risposto che stavano lì per attendere ordini". Che tipo di violazione, onorevole Mastella? "Quella è una violazione di domicilio. Una cosa inaccettabile. A questo punto sua moglie che farà? "Sandra è tranquilla. Semmai, è amareggiata. Ma noi abbiamo tutti la coscienza a posto. Sappiamo di non dover temere nulla". Ma si dimetterà dalla presidenza del Consiglio regionale campano? "Non posso escludere niente. Su questo, però, non mi faccia dire niente. Domani (oggi, ndr) faremo una conferenza stampa a Napoli. E lì saprete tutto. Lei cosa si aspetta e soprattutto come intende muoversi? "Io sono assolutamente sereno. Andremo in tutte le sedi opportune a difenderci. Non ci arrenderemo. Nessuno può dire che io sono contro i magistrati. Nessuno può dire che io mi sia mosso contro le prerogative che sono proprie della magistratura. E continuerò a comportarmi in questo modo, difendendo i nostri diritti nel massimo rispetto". Ma lei si è fatto un'idea di questa inchiesta? Si parla di raccomandazioni, di liste di clienti, perfino di corruzione. "Assolutamente no. Mi sembra tutto impossibile". Ritiene che questa inchiesta sia legata a quella che due anni fa l'ha costretta alle dimissioni da ministro? "Temo che tutto nasca da lì. Anche se quella ormai è una vicenda superata. Mi chiedo: anche il governatore Antonio Bassolino è coinvolto nelle indagini?". © Riproduzione riservata (22 ottobre 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. "Io non tratto né con l'opposizione né con altri soggetti" Inserito da: Admin - Novembre 27, 2009, 11:13:42 am Berlusconi furibondo e allarmato per le voci su un suo coinvolgimento nelle inchieste di mafia
"Io non tratto né con l'opposizione né con altri soggetti" "Stavolta non mollo per un avviso" Il Cavaliere deciso ad andare avanti di CLAUDIO TITO "SE qualcuno pensa che si debba trattare su queste vicende, allora sappia che io non negozio. Né con l'opposizione, né con qualunque soggetto ritenga di potermi ricattare. Io andrò avanti comunque. In un modo o in un altro". Da giorni Silvio Berlusconi è letteralmente infuriato. È convinto di trovarsi sotto un assedio che diventa sempre più asfissiante. Una condizione che il premier chiama a chiare lettere "accerchiamento". "È saltato l'equilibrio costituzionale dello Stato", è la versione fornita nel documento approvato dall'Ufficio di presidenza del Pdl. Sta di fatto che il capo del governo è ormai convinto di subire un attacco concentrico portato da più "nemici": dall'opposizione, da alcuni dei suoi alleati (a cominciare da Gianfranco Fini), da settori dell'imprenditoria, dai magistrati e soprattutto da quelli che negli ultimi giorni definisce "altri soggetti". Una "battaglia" da combattere con tutte le armi: a partire dal provvedimento per il processo breve e dalla legge costituzionale per il nuovo Lodo Alfano. Del resto, le voci che da luglio si inseguono sul suo potenziale coinvolgimento nelle inchieste di mafia sono arrivate anche a Palazzo Chigi. Tutti i suoi più stretti collaboratori lo hanno messo in guardia sulla possibilità che il capitolo giustizia si arricchisca di un'altra pagina. E così, l'altro ieri ad Arcore, le riflessioni su questo punto sono diventate via via più allarmate. Ma l'elemento di maggiore preoccupazione riguarda proprio quegli "altri soggetti" che corrono sulla direttrice Palermo-Firenze. "Soggetti" che il presidente del consiglio, anche nelle riunioni più private, si rifiuta di specificare. Ma con i quali non intende scendere a patti: "Io non tratto con nessuno, se tratto ora poi devo farlo con tutti e su troppi piani". Una linea che sta guidando pure i rapporti burrascosi con i partner della coalizione, con i magistrati e con l'opposizione. Non a caso, è stato proprio Berlusconi a chiedere ieri all'ufficio di presidenza del Pdl l'approvazione di un documento che mette sul banco degli imputati la magistratura ordinaria e quella "alta" della Corte costituzionale. Gli incubi di nuove implicazioni in azioni giudiziarie stanno dettando i tempi delle scelte del Cavaliere. "Se anche mi mandassero un avviso di garanzia - è sbottato con i fedelissimi prima a Villa San Martino e poi ieri a Palazzo Grazioli -. Io andrò avanti come se nulla fosse. Di certo non farò come nel '94. Stavolta non mi farò da parte". Nella cena con i "Club del buongoverno", ha provato a sdrammatizzare con una barzelletta raccontata ("Un bambino chiede al papà siciliano: "perché Einstein è morto?" Troppo sapeva..."), eppure considera le prossime scadenze come una sorta di "battaglia all'ultimo sangue". Il processo breve e il Lodo Alfano da inserire nella Costituzione. Chiede tempi strettissimi. Il primo provvedimento - è la sua formale istanza - dovrebbe essere approvato entro il 25 gennaio. Una data che viene considerata a Via del Plebiscito una sorta di spartiacque per il futuro delle inchieste che lo riguardano. Ma soprattutto è la data entro la quale il Cavaliere vuole sapere se la sua coalizione è in grado di sostenerlo o meno. È il limite entro il quale ha ancora forza la minaccia del voto a marzo con le regionali: "O si risolvono i problemi oppure li risolveranno gli italiani". Tant'è che i "messaggeri" del premier hanno sondato il presidente della Camera sulla possibilità di convocare l'Aula per il voto finale sul processo breve subito dopo le feste natalizie, ossia il 7 gennaio. Un pressing che prende il via dai dubbi sul comportamento del presidente della Repubblica e dello stesso Fini. "Se Napolitano non firma la legge e temo che non lo farà - ha avvertito il premier - la ripresentiamo in Parlamento così com'è. E dobbiamo votarla in una settimana. A quel punto dovrà promulgarla". Le altre "attenzioni", Berlusconi le riserva ai partner di governo. La tensione è altissima. Non si fida di Fini e nemmeno di Tremonti. Anzi, a palazzo Chigi sono ormai convinti che ci sia un asse tra i due: il no congiunto al taglio dell'irap e alla fiducia sulla Finanziaria ha ulteriormente alimentato i dubbi. L'inquilino di Montecitorio ieri ha telefonato al presidente del consiglio prima del vertice Pdl per ammorbidire i toni: "Evita lo scontro. Non mi mettere in condizione di risponderti negativamente". Ma Berlusconi non ha raccolto il consiglio. Anzi ha ingranato la marcia per arrivare allo "show down". "Ora - ha spiegato ai suoi - devono stare tutti dietro di me. Si deve fare il processo breve e il lodo Alfano. Chi non ci sta lo dica subito. In questo caso si va a votare". Un segnale lanciato anche verso il ministero dell'Economia. Quel "no" alla riduzione delle tasse lo ha fatto infuriare. Lunedì scorso, poi, il suo umore è diventato ancora più nero quando gli hanno riferito che molti sindaci - compresi i leghisti (ad esempio quelli di Varese e Novara) - sono pronti a scendere piazza contro l'esecutivo per i tagli ai comuni. Una manifestazione senza precedenti. Per di più il feeling mostrato da Tremonti con il centrosinistra lo innervosisce da tempo. "Se facesse l'accordo con l'opposizione - ripete da tempo il titolare del Tesoro - risolverebbe anche i suoi guai". "Ma si scordino tutti - è esploso ieri mattina Berlusconi - che io mi metta a trattare pure con la sinistra. Mi dicono che posso ottenere una tregua dialogando con la sinistra sulle riforme. Ma questa è un'emergenza e io non tratto. Con nessuno. Piuttosto, meglio andare a votare". © Riproduzione riservata (27 novembre 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Nuova battaglia Mediaset-Murdoch il governo taglia ... Inserito da: Admin - Dicembre 15, 2009, 04:06:08 pm Il provvedimento, preparato da Paolo Romani, è atteso già al consiglio dei ministri di giovedì
Il tetto di raccolta abbassato al 12%. Il decreto colpisce soprattutto il tycoon australiano Nuova battaglia Mediaset-Murdoch il governo taglia la pubblicità a Sky di CLAUDIO TITO ROMA - Un anno fa, era stata la volta dell'Iva per gli abbonamenti alla pay-tv, portata di colpo al 20%. Adesso la sfida tocca i tetti di raccolta pubblicitaria. E' l'ennesima battaglia della guerra tra Mediaset e Sky, tra "Silvio e Rupert". La tv di Murdoch - che oggi potrebbe infilare spot sui suoi canali per il 18% di ogni ora - dovrà scendere al 12. Un taglio che, pur riguardando tutte le emittenti a pagamento, anche Mediaset Premium, colpisce in primo luogo il gruppo del tycoon australiano. Il governo, dunque, ha predisposto un altro affondo per arginare la tv satellitare. Lo schema di decreto legge - messo a punto dal viceministro Romani - può approdare in Consiglio dei ministri questo giovedì (a meno che l'incidente al premier non porti al suo rinvio). Il tutto inserito in un provvedimento che recepisce la nuova direttiva Ue sulla "Tv senza Frontiere". Per ora è una bozza, ma Palazzo Chigi accende il disco verde per renderla definitivo. E' un insieme di norme congegnate, insomma, per accogliere le indicazioni europee. Ma diversi articoli sono dedicati alla quantità di pubblicità in onda sui canali non gratuiti. "La trasmissione di spot - si legge - da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere il 12% di una determinata ora d'orologio". Un limite che non riguarda solo Sky ma anche Mediaset Premium o i canali presenti sulla piattaforma satellitare ed editi da altri soggetti come Disney, Fox, Discovery, Rcs, De Agostini. Al momento, però, Mediaset Premium non supera ancora il tetto del 12% e quindi non subisce alcuna contrazione. Il danno, semmai, si concentra proprio sulla "parabola" di Murdoch e in particolare sulla programmazione sportiva (le partite di calcio) e il cinema. Senza considerare che il rapporto tra la raccolta di Mediaset Premium e Sky è di circa 1 a 10. Non solo. Gli ideatori del provvedimento, hanno pensato a un ulteriore beneficio. Imporre il tetto del 12% rappresenta un modo efficiente per evitare una sorta di "cannibalizzazione interna": si evita che i canali in chiaro di Mediaset siano danneggiati non solo dalla competizione con Sky ma anche da quella con le reti a pagamento dello stesso gruppo Berlusconi. L'operatore che già raccoglie quasi il 60% della pubblicità tv, in qualche modo è in condizione di conservare il primato. Contemporaneamente, se il tetto per la Rai rimane quello già stabilito del 12% - nessun beneficio per Viale Mazzini che copre ampiamente la sua raccolta - per le private il limite viene reso più elastico: queste emittenti potranno trasmettere fino al 20% di spot, telepromozioni e televendite - durante una giornata - senza che la legittimità di questo mix di pubblicità sia più messo in discussione (come invece avviene oggi). Quel tetto (il 20%) e quel mix vengono definitivamente legittimati, ed anzi l'affollamento potrà spingersi fino al 22% nelle ore di maggiore ascolto. Su molti altri aspetti, le scelte del governo vanno in direzione di una più ampia liberalizzazione: passa da 45 a 30 minuti il tempo minimo di trasmissione per l'inserimento di uno spot nei film. Spuntano pure delle "innovazioni" che agevolano in modo particolare le reti in chiaro. Durante gli eventi sportivi - si legge al comma 2 dell'articolo 37 - le interruzioni (si pensi alle pause durante le partite di calcio) possono ospitare non solo spot (come fa Mediaset) ma anche televendite. E nei programmi per bambini di durata superiore a 30 minuti le interruzioni pubblicitarie salgono da una a due. In un comma di sole quattro righe del Titolo II, si introduce un'ulteriore novità relativa ai permessi per la trasmissione via parabola. "L'autorizzazione ai servizi audiovisivi o radiofonici via satellite - si legge nel testo - è rilasciata dal Ministero". In sostanza le tv satellitari devono essere autorizzate dal governo e non più dall'Autorità per le Comunicazioni. In questo modo, si fa dipendere dall'esecutivo l'ingresso nel mercato tv di nuovi "competitor". Basti pensare al caso di "Cielo", la rete digitale di Murdoch che ancora attende il placet ministeriale. © Riproduzione riservata (15 dicembre 2009) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. D'Alema alla commissione per i servizi segreti Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2009, 03:51:15 pm L'ex presidente del Consiglio è in prima linea per guidare il delicato organismo parlamentare di vigilanza.
L'attuale presidente, Rutelli, sta per dimettersi D'Alema alla commissione per i servizi segreti Il Pdl: nell'opposizione è il più autorevole di CLAUDIO TITO ROMA - "Sicuramente è il candidato più autorevole che l'opposizione possa presentarci". Di chi si tratta? Di Massimo D'Alema. E la candidatura riguarda la presidenza del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Sebbene nel Pd sia scoppiata una vera e propria baraonda, per le parole dell'ex ministro degli Esteri sull'"utilità di certi inciuci", il suo nome è iniziato a correre in modo sempre più insistente nei canali informali di comunicazione tra governo e centrosinistra. Al punto che uno dei ministri "competenti" conferma l'esistenza di una trattativa in corso e la approva. La successione a Francesco Rutelli, infatti, dovrebbe presto trasformarsi in una emergenza. Il leader dell'Alleanza per l'Italia è intenzionato a lasciare l'incarico di Palazzo San Macuto già questa settimana. Il 12 dicembre scorso aveva annunciato: "in settimana le dimissioni irrevocabili". Una scelta programmata dopo aver dato l'addio al Pd, che ricopriva quell'incarico in qualità di maggior partito d'opposizione. Se dovesse emergere una convergenza forte sul "successore", il passo rutelliano assumerebbe ancora maggiore velocità. Sta di fatto, che il nome di D'Alema è diventato ormai il primo della lista per la "corsa" alla presidenza del Comitato. "Tutti i 'sospetti' - spiega ancora un ministro che ha un rapporto diretto con il Copasir - ricadono su di lui. Ha tutti i requisiti indispensabili per questo ruolo. È forse l'unico. Speriamo ne abbia voglia". Del resto, la pratica è ormai da tempo nelle mani di Gianni Letta. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio - che in questi giorni sta vestendo i panni di "vicepremier plenipotenziario" - ha messo il dossier in bella vista sulla sua scrivania. Ne ha parlato con i leader del centrosinistra - in particolare con il nuovo segretario dei Ds, Pierluigi Bersani - e anche con quelli del centrodestra. La figura di D'Alema, come ex ministro degli Esteri ed ex presidente del Consiglio, viene considerata la più adatta per guidare una commissione bicamerale, che esercita la supervisione dei nostri 007. E avrebbe ricevuto il benestare anche dei presidenti dei due rami del Parlamento: Renato Schifani e Gianfranco Fini. "Bersani e D'Alema - diceva giovedì scorso l'inquilino di Palazzo Madama - in questi giorni sono stati apprezzabili". E forse non è un caso che nei giorni scorsi, dopo l'aggressione a Piazza Duomo, Berlusconi abbia espresso più di una lode nei confronti dell'esponente democratico. "Si è comportato in modo corretto - si è lasciato andare con i fedelissimi -. Con lui si può sempre parlare". Tant'è che il nome dell'ex premier è risuonato pure nella cena di ieri sera ad Arcore, tra il Cavaliere e lo Stato maggiore del Carroccio. I lumbard lo considerano un interlocutore privilegiato per le riforme. Si è accennato anche all'ipotesi del nuovo ruolo. Nessun approfondimento, però, a causa dell'assenza del ministro degli Interni, Roberto Maroni, che con il Copasir ha un rapporto di diretta competenza. La "carta-D'Alema", fino ad ora, è stata tenuta coperta. In primo luogo perché il capo del Governo, pur considerando positivamente l'opzione, vuole precise garanzie su come verrà interpretato l'incarico all'interno del Comitato. Ma soprattutto perché non tutti nell'opposizione sono intenzionati ad accendere il disco verde per Massimo. Nella minoranza democratica, infatti - da quando Rutelli ha fondato l'Api - sono spuntate diverse "rose" di candidati. Da Arturo Parisi a Enzo Bianco, fino a Walter Veltroni. Ma di fronte ai dubbi formulati dalla segreteria di Largo del Nazzareno, di recente era stata pure avanzata un'alternativa: quella di far cadere la preferenza sul "più esperto" degli attuali commissari. Ossia su Emanuele Fiano. Un modo per sbarrare la strada a "concorrenti" imposti dall'alto. Ma non ha fatto presa né su Bersani, né sui rappresentanti del Governo. Berlusconi e Letta preferiscono un parlamentare con "autorevoli" esperienze all'interno dell'esecutivo. "Se D'Alema andava bene per fare Mr. Pesc - dicono i fedelissimi del Cavaliere - può andare bene pure per il Comitato sui servizi. Senza contare che a Palazzo Chigi vedono con paura la possibilità che per il "dop-Rutelli" si affacci Antonio Di Pietro. Anche l'Italia dei Valori, infatti, sta reclamando la medesima poltrona: i "dipietristi" lamentano di essere stati esclusi da tutte le commissioni di garanzia e anche dal Consiglio di amministrazione della Rai. Il segretario del Pd, però, dopo la bocciatura di D'Alema alla Commissione europea, non ha mai nascosto in privato di condividere l'esigenza di individuare un altro incarico di prestigio. Per l'ex premier, si era fatto avanti di recente anche il Pse offrendogli, in occasione dell'ultimo congresso di Praga, la presidenza del "Global progressive forum", la fondazione dei socialisti europei. Ma a questo punto, la guida del Copasir sta diventando la via più facilmente percorribile. (20 dicembre 2009) da repubblica.it Titolo: Berlusconi "Due aliquote nella riforma fiscale" (ma il totale cambia?). Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2010, 12:18:24 pm "Dialogo col Pd? I problemi sono altri". Il premier con un segno in faccia dopo l'aggressione
"Nel 2010 la riforma tributaria, la riforma della giustizia e poi delle istituzioni" Il ritorno di Berlusconi "Due aliquote nella riforma fiscale" di CLAUDIO TITO ROMA - "Sogno una vera riforma tributaria. Come quella che avevamo immaginato nel '94. Con due sole aliquote. E adesso stiamo studiando tutte le possibilità per realizzarla". Silvio Berlusconi sta concludendo il periodo di convalescenza a Villa San Martino. Dal 13 dicembre, dopo il ricovero in ospedale, è rimasto nella sua residenza di Arcore. Per smaltire i postumi dell'aggressione a Piazza Duomo. Ora prepara il rientro alla "piena" attività politica. Giocando contemporaneamente le tre "carte" che a suo giudizio dovranno segnare il 2010: la riforma fiscale, quella della giustizia e infine i correttivi alla Costituzione. E l'ordine non è casuale. Perché, spiega conversando con Repubblica, il primo passo è proprio la "riorganizzazione" del sistema fiscale. Recuperando il "vecchio" progetto del 1994. Quello che portò alla vittoria elettorale dell'allora Polo delle libertà: due sole aliquote, al 23% e al 33%. Un disegno che adesso preferisce chiamare "riforma tributaria" per far capire che non riguarderà solo gli scaglioni Irpef, ma l'insieme dell'imposizione. Sebbene il cuore dell'intervento governativo si concentrerà proprio sul taglio delle tasse per le persone fisiche. "Da lunedì sarò a Roma e riprenderò a fare tutto quello che serve", annuncia cercando di smussare le polemiche di questi giorni. Comprese le incomprensioni con gli alleati. I rapporti con Gianfranco Fini, le diatribe sul probabile ampliamento della squadra di governo, il difficile confronto con l'opposizione, sembrano interessarlo poco seduto sul divano della sua villa. "Sono rimasto qui per recuperare - sbuffa accennando ad un sorriso - e invece mi fanno lavorare. Ma adesso sto bene. Ho ancora un piccolo segno in faccia. Ancora si vede. Mi dicono che andrà via. Purtroppo, invece, ho perso un dente". Per un momento si ferma. Vuole cambiare discorso. Poi riprende a parlare con un tono di voce divertito: "Mi fanno lavorare lo stesso. Oggi dovevo fare solo una riunione di venti minuti... ne esco adesso, dopo due ore. A pranzo, poi, avevo già avuto un lungo incontro con il ministro Tremonti. Con lui ho esaminato proprio le possibilità che abbiamo per la riforma tributaria". Un disegno ripescato in questo mese di "inattività" ad Arcore. Una pausa intervallata solo da qualche breve "visita" a Lesmo per ispezionare i lavori di costruzione dell'Università del pensiero liberale. E una in Costa Azzurra per trascorrere l'Epifania con la figlia Marina. Ieri, invece, oltre al vertice con il titolare del Tesoro è stato continuamente al telefono per essere aggiornato su quanto sta avvenendo a Rosarno. Il sottosegretario Letta e il ministro degli Interni Maroni lo hanno tenuto informato. "Di questo però - premette - non mi faccia dire niente. Voglio aspettare". Ha, però, già in mente un'agenda di appuntamenti e interventi da lunedì in poi? "Credo che si debba in primo luogo riprendere il lavoro ordinario del governo. Da lunedì sarò a Palazzo Chigi e riannoderò tutti i fili. Ho intenzione in primo luogo di incontrare il presidente della Repubblica. Parlerò con tutti i ministri e mi confronterò con i gruppi parlamentari e gli organismi dirigenti della maggioranza". Anche per risolvere i problemi emersi in questi giorni nel centrodestra? C'è stata qualche incomprensione con Fini. "Ma no, non c'è alcun problema. Non c'è bisogno di questo. Vedrete". E allora di cosa c'è bisogno? "Ci sono delle emergenze. Come la riforma tributaria, la riforma della giustizia e la riforma istituzionale". Proprio il 6 gennaio scorso una sua frase sul taglio delle tasse ha scatenato un bel po' di polemiche. "Guardi, con Tremonti stiamo studiando una riforma tributaria. Un progetto che avevamo indicato già nel 1994. Noi vogliamo un sistema che dia ordine, che sia meno confuso. Che non obblighi i contribuenti a rivolgersi al commercialista per pagare le tasse. Serve una semplificazione complessiva". Nel '94, però, lei propose due aliquote irpef: una al 23% e una al 33%. "Sì, con il ministro dell'Economia stiamo studiando tutte le possibilità per arrivare alla fine a questo sistema. Sarebbe più razionale. Di certo, non abbiamo alcuna intenzione di aumentare le tasse. Ecco, questa è l'unica cosa impossibile". E sulla giustizia? Sulle altre riforme? È ancora possibile coltivare il dialogo con l'opposizione e in particolare con il segretario del Pd Bersani per le altre riforme? "Il problema non è il dialogo, il problema non è questo". E qual'è? "Sono le riforme che interessano il Paese. Noi stiamo uscendo da una crisi economica che ci è venuta addosso. Una crisi davvero straordinaria che non ha colpito solo noi. Un crollo da cui ci stiamo risollevando, anche prima degli altri. E dobbiamo fare in modo che tutti escano da questa situazione. Il 2010 è l'anno in cui possiamo uscire definitivamente dalla crisi". Il ministro Tremonti, però, in questi mesi ha sempre frenato su questo punto. Ha sottolineato lo stato di salute dei nostri conti e in particolare i rischi connessi all'aumento del debito pubblico. "E infatti dobbiamo procedere con attenzione. Sappiamo che ripartiamo ogni anno con 8 miliardi di interessi passivi. Una cifra impressionante. Noi, però, sappiamo che a questo punto non torneremo indietro. Ma forse le ho detto pure troppo". © Riproduzione riservata (09 gennaio 2010) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Governo e Santa Sede Berlusconi offre un patto di non belligeranza Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2010, 11:44:57 am IL RETROSCENA.
Silenzio da parte italiana sulle presunte trame in cambio di uno stop ai giudizi morali sul presidente del Consiglio Governo e Santa Sede alle grandi manovre Berlusconi offre un patto di non belligeranza di CLAUDIO TITO ROMA - Un patto di non belligeranza. Una pace lunga tutta la legislatura tra gerarchie della Chiesa e Governo. Poggiata su un solo architrave: l'archiviazione definitiva e "senza conseguenze" del caso Boffo. Senza far sprofondare nel polverone mediatico i vertici della Segreteria di Stato. Nel giro di cinque mesi gli interessi del Vaticano e di Silvio Berlusconi sembrano di nuovo convergere. E si sono materializzati in una telefonata che all'inizio di questa settimana ha messo in contatto il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, con Palazzo Chigi. Un colloquio che ha avuto un unico argomento: la conclusione "immediata e senza conseguenze" della querelle aperta a fine agosto con l'editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale. Il filo che univa il presidente del consiglio e i vertici d'Oltretevere cinque mesi fa si era ingarbugliato. La vicenda dell'allora direttore di Avvenire era deflagrata in un campo di sospetti. Tanti gli interessi che univano la Curia e la presidenza del consiglio, pesanti invece i distinguo che separavano il Cavaliere da una parte ancora influente dei vescovi italiani: quelli che facevano capo alla Cei, al cardinal Ruini e a Angelo Bagnasco. Convinti, questi ultimi, che l'affondo del quotidiano di casa Berlusconi fosse la risposta alle lettere critiche pubblicate da Avvenire. Ora, però - racconta chi frequenta gli ovattati corridoi vaticani - nel contatto telefonico con Bertone è stata concordata una nuova linea: ristabilire un "corretto" rapporto nelle relazioni tra Chiesa italiana e governo, saldando un'intesa che possa reggere agli urti della legislatura e arrivare agli appuntamenti cruciali del 2013: ossia al prossimo voto politico e all'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Proprio per questo, negli ultimi quindici giorni, il premier ha messo in campo tutti suoi ambasciatori per ottenere il massimo risultato dalla "archiviazione" del "caso Boffo". "Io sono sempre stato dalla loro parte - ha raccontato in settimana il capo del governo - e non c'è bisogno di conferme da questo punto di vista. Però non voglio più che mi si accusi o mi si faccia la morale". Il primo passaggio allora si è consumato nel colloquio riservato (il 20 gennaio scorso) con Camillo Ruini, l'ex presidente della Cei e prelato ancora potente nelle gerarchie ecclesiastiche. Il secondo con la telefonata che ha messo in contatto la Segreteria di Stato e Palazzo Chigi. Due conversazioni che si sono concentrate sulle polemiche scatenate dalla pubblicazione sul "Giornale" del dossier Bobbo, rivelatosi poi falso; e sulle rivelazioni circa il ruolo della Segretaria di Stato e del direttore dell'Osservatore romano, Giovanni Maria Vian. Il pranzo "chiarificatore" tra Vittorio Feltri e Boffo, infatti, ha messo in allarme gli ambienti più vicini al governo della Santa Sede. Il rischio che il nome di Vian e, soprattutto, quello di Bertone possa essere esplicitato in una sede pubblica - ad esempio in occasione della convocazione a fine mese di Feltri davanti all'Ordine dei giornalisti - ha provocato un vero sussulto nelle stanze di San Pietro. Un timore recapitato ai vertici dell'esecutivo italiano. Poche ore dopo, negli uffici d'Oltretevere, è stata letta con un sospiro di sollievo la precisazione di Feltri di mercoledì scorso: "Non conosco né Bertone, né Vian". Una puntualizzazione, però, che ancora non lascia tranquilli. Anche perché manca un ulteriore tassello per chiudere il "caso". La "tregua" tra ruiniani e bertoniani, infatti, non riesce a prendere forma. La richiesta avanzata dai primi - fa notare chi ha parlato con i due "contendenti" - di "pareggiare" il conto con il "siluramento" di Vian, al momento è stata respinta. Motivazione: negli uffici della Segreteria di Stato, nessuno riesce a prevedere la reazione del "licenziando". Il sospetto di una risposta scomposta con il convolgimento esplicito dei piani alti del Vaticano fa ancora premio sulla volontà di una "tregua". Tant'è che negli ultimi giorni è stata persino valutata un'altra opzione: quella di aprire la trattativa per concedere il "riscatto" a Boffo con un altissimo incarico nella galassia editoriale della Cei. La paura di un coinvolgimento ufficiale della Segreteria di Stato, insomma, mette il Cavaliere nell'insolita condizione di accedere al confronto in una posizione di forza. Anzi, in questa fase si sente addirittura al centro della "mediazione" in corso tra le "correnti" cardinalizie. Non a caso il faccia a faccia di due settimane fa con Ruini - spiega chi frequenta il mondo della Conferenza episcopale - si è concentrato su questi aspetti. Ricostruire un dialogo anche con i vescovi italiani e massimizzare il profitto della battaglia tra i due fronti della Chiesa. Anche perché, il presidente della Cei Bagnasco - a differenza di Bertone il cui incarico alla segreteria di Stato non ha scadenze - dovrà tra poco più di due anni chiedere a Benedetto XVI il secondo mandato quinquennale. © Riproduzione riservata (06 febbraio 2010) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Governo e Santa Sede alle grandi manovre Berlusconi offre ... Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2010, 06:33:02 pm IL RETROSCENA.
Silenzio da parte italiana sulle presunte trame in cambio di uno stop ai giudizi morali sul presidente del Consiglio Governo e Santa Sede alle grandi manovre Berlusconi offre un patto di non belligeranza di CLAUDIO TITO ROMA - Un patto di non belligeranza. Una pace lunga tutta la legislatura tra gerarchie della Chiesa e Governo. Poggiata su un solo architrave: l'archiviazione definitiva e "senza conseguenze" del caso Boffo. Senza far sprofondare nel polverone mediatico i vertici della Segreteria di Stato. Nel giro di cinque mesi gli interessi del Vaticano e di Silvio Berlusconi sembrano di nuovo convergere. E si sono materializzati in una telefonata che all'inizio di questa settimana ha messo in contatto il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, con Palazzo Chigi. Un colloquio che ha avuto un unico argomento: la conclusione "immediata e senza conseguenze" della querelle aperta a fine agosto con l'editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale. Il filo che univa il presidente del consiglio e i vertici d'Oltretevere cinque mesi fa si era ingarbugliato. La vicenda dell'allora direttore di Avvenire era deflagrata in un campo di sospetti. Tanti gli interessi che univano la Curia e la presidenza del consiglio, pesanti invece i distinguo che separavano il Cavaliere da una parte ancora influente dei vescovi italiani: quelli che facevano capo alla Cei, al cardinal Ruini e a Angelo Bagnasco. Convinti, questi ultimi, che l'affondo del quotidiano di casa Berlusconi fosse la risposta alle lettere critiche pubblicate da Avvenire. Ora, però - racconta chi frequenta gli ovattati corridoi vaticani - nel contatto telefonico con Bertone è stata concordata una nuova linea: ristabilire un "corretto" rapporto nelle relazioni tra Chiesa italiana e governo, saldando un'intesa che possa reggere agli urti della legislatura e arrivare agli appuntamenti cruciali del 2013: ossia al prossimo voto politico e all'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Proprio per questo, negli ultimi quindici giorni, il premier ha messo in campo tutti suoi ambasciatori per ottenere il massimo risultato dalla "archiviazione" del "caso Boffo". "Io sono sempre stato dalla loro parte - ha raccontato in settimana il capo del governo - e non c'è bisogno di conferme da questo punto di vista. Però non voglio più che mi si accusi o mi si faccia la morale". Il primo passaggio allora si è consumato nel colloquio riservato (il 20 gennaio scorso) con Camillo Ruini, l'ex presidente della Cei e prelato ancora potente nelle gerarchie ecclesiastiche. Il secondo con la telefonata che ha messo in contatto la Segreteria di Stato e Palazzo Chigi. Due conversazioni che si sono concentrate sulle polemiche scatenate dalla pubblicazione sul "Giornale" del dossier Bobbo, rivelatosi poi falso; e sulle rivelazioni circa il ruolo della Segretaria di Stato e del direttore dell'Osservatore romano, Giovanni Maria Vian. Il pranzo "chiarificatore" tra Vittorio Feltri e Boffo, infatti, ha messo in allarme gli ambienti più vicini al governo della Santa Sede. Il rischio che il nome di Vian e, soprattutto, quello di Bertone possa essere esplicitato in una sede pubblica - ad esempio in occasione della convocazione a fine mese di Feltri davanti all'Ordine dei giornalisti - ha provocato un vero sussulto nelle stanze di San Pietro. Un timore recapitato ai vertici dell'esecutivo italiano. Poche ore dopo, negli uffici d'Oltretevere, è stata letta con un sospiro di sollievo la precisazione di Feltri di mercoledì scorso: "Non conosco né Bertone, né Vian". Una puntualizzazione, però, che ancora non lascia tranquilli. Anche perché manca un ulteriore tassello per chiudere il "caso". La "tregua" tra ruiniani e bertoniani, infatti, non riesce a prendere forma. La richiesta avanzata dai primi - fa notare chi ha parlato con i due "contendenti" - di "pareggiare" il conto con il "siluramento" di Vian, al momento è stata respinta. Motivazione: negli uffici della Segreteria di Stato, nessuno riesce a prevedere la reazione del "licenziando". Il sospetto di una risposta scomposta con il convolgimento esplicito dei piani alti del Vaticano fa ancora premio sulla volontà di una "tregua". Tant'è che negli ultimi giorni è stata persino valutata un'altra opzione: quella di aprire la trattativa per concedere il "riscatto" a Boffo con un altissimo incarico nella galassia editoriale della Cei. La paura di un coinvolgimento ufficiale della Segreteria di Stato, insomma, mette il Cavaliere nell'insolita condizione di accedere al confronto in una posizione di forza. Anzi, in questa fase si sente addirittura al centro della "mediazione" in corso tra le "correnti" cardinalizie. Non a caso il faccia a faccia di due settimane fa con Ruini - spiega chi frequenta il mondo della Conferenza episcopale - si è concentrato su questi aspetti. Ricostruire un dialogo anche con i vescovi italiani e massimizzare il profitto della battaglia tra i due fronti della Chiesa. Anche perché, il presidente della Cei Bagnasco - a differenza di Bertone il cui incarico alla segreteria di Stato non ha scadenze - dovrà tra poco più di due anni chiedere a Benedetto XVI il secondo mandato quinquennale. © Riproduzione riservata (06 febbraio 2010) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. La rabbia di Gianni Letta "Sono stato ingannato" Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2010, 02:53:38 pm Berlusconi difende a spada tratta il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
"Se toccano lui cade tutta una classe dirigente. Anche quelli di sinistra" La rabbia di Gianni Letta "Sono stato ingannato" di CLAUDIO TITO ROMA - "Forse sono stato ingannato, ma mi sono sempre comportato in maniera corretta. Io e Guido siamo sempre stati corretti". Gianni Letta difficilmente perde la pazienza. Ieri, però, Silvio Berlusconi e alcuni ministri per la prima volta lo hanno visto infuriato. Il caso Bertolaso, le inchieste sui lavori per il G8 della Maddalena e per la ricostruzione dell'Aquila stanno tenendo banco facendo impennare la fibrillazione in tutta la coalizione. Anche il summit governativo che si è tenuto ieri a Palazzo Grazioli, si è concentrato sulla tempesta che si è abbattuta nelle ultime ore. Ma l'elemento di assoluta novità riguarda appunto il sottosegretario alla presidenza del consiglio. Perché il timore che il temporale giudiziario possa investire pure lui, costituisce un fattore con il quale la maggioranza non si è mai confrontata. Un aspetto tanto straordinario da far ritirare fuori al premier l'ombra del "complotto". Il sospetto che dietro l'affondo giudiziario ci sia qualcosa di più di una semplice indagine. Qualcosa che investe soggetti "non istituzionali". "Allora, deve essere chiaro a tutti - ha avvertito il Cavaliere - che Gianni non si tocca". E già, perché nelle ultime 48 ore, l'allarme a Palazzo Chigi è iniziato a suonare con sempre maggiore fragore. Un coinvolgimento del vero numero due della "squadra" costituisce un sorta di incubo. Che Berlusconi vuole interrompere rapidamente facendo capire - anche dentro l'alleanza - che "il dottor Letta è imprescindibile. Se cade lui, cade tutto". Anzi, "se vogliono colpire lui, vogliono colpire tutti. Anche quelli della sinistra. Se davvero stanno così le cose, vogliono fare fuori un'intera classe dirigente". Non a caso, per tutta la giornata di ieri, la paura ha attraversato anche i banchi di Montecitorio. Durante l'esame del decreto che riforma la Protezione civile, "peones" e "colonnelli" non hanno fatto altro che parlare della "vicenda Letta". Una scossa che si è infilata negli scranni del centrodestra per finire in quelli del centrosinistra. "È chiaro - è il monito di un autorevole ministro - che nessuno può dormire sonni tranquilli. Anche quelli dell'opposizione. Del resto, anche su di loro stanno facendo uscire lo stesso fango". La tensione, però, sta mettendo a soqquadro soprattutto gli uffici della presidenza del consiglio. "Io comunque - ha ripetuto Letta al Cavaliere e a diversi esponenti dell'esecutivo - sono tranquillo. Non ho nulla di cui pentirmi. Abbiamo sempre agito rispettando la legge e facendo valere gli interessi del Paese. Ma...". Ecco, appunto esiste un "ma". Quello di essere stato "ingannato". Dubbi che nelle ultime ore sono andati rafforzandosi. E che il capo del governo ha esposto ieri pomeriggio ai suoi fedelissimi in modo esplicito. "Come è possibile che in questi due anni i servizi segreti non ci abbiano avvisato di niente? Come è possibile che i Ros indaghino su di noi e non esca un solo fiato in un Paese in cui parlano tutti?". Se Letta non arriva a esprimere pubblicamente le stesse perplessità, lo fa dunque il premier. Anche perché da maggio 2008 la delega a gestire i nostri 007 l'ha avuta proprio Letta. Per Berlusconi, quindi, troppe coincidenze si sono concentrate nelle ultime settimane. L'incidente diplomatico di Bertolaso con gli Usa sugli aiuti ad Haiti, le manovre in corso su alcuni capisaldi della finanza e dell'industria italiana a cominciare da Generali, Mediobanca e Fiat. La linea editoriale del "Corriere" che per il premier rappresenta ancora il termometro dei cosiddetti "poteri forti". Tutti elementi che a Palazzo Cigi fanno sospettare la presenza di una "manina esterna" interessata a dettare le prossime scelte strategiche del "sistema Paese". Tant'è che il presidente del consiglio ha chiesto a Letta cosa stia accadendo nei nostri servizi segreti e al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha reclamato spiegazioni sul comportamento del Ros. Quest'ultimo, con i giornalisti, si è limitato a osservare che "i carabinieri fanno il loro dovere". Parole che con ogni probabilità, La Russa ha evitato di pronunciare davanti al premier. Se non altro per non rientrare nell'elenco dei "sospettati". E già, perché anche il sottosegretario ha iniziato a lamentarsi della presenza in questa "partita" di giocatori "amici". Di ministri interessati a indebolirlo nella prospettiva della "successione berlusconiana". In molti a Palazzo Chigi hanno ad esempio notato i silenzi di Giulio Tremonti, il gioco di sponda di Umberto Bossi e l'insistenza con cui Gianfranco Fini ha difeso il ruolo delle Camere. La "corsa" alla successione, però, innervosisce in primo luogo Berlusconi. "Deciderò io chi dovrà essere il mio erede. A tempo debito". E forse non è un caso che negli ultimi mesi proprio Letta abbia fatto sentire la sua voce in pubblico come non mai. In questa settimana per difendere se stesso e Bertolaso. Ma prima per non lasciare spazio ai "competitor". © Riproduzione riservata (18 febbraio 2010) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Verdini e Bondi "fratelli coltelli", La Russa e Matteoli pure Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2010, 05:32:58 pm E' un tutti contro tutti.
Verdini e Bondi "fratelli coltelli", La Russa e Matteoli pure "Disgustato" dalle lotte intestine, il presidente pensa a Scajola coordinatore Berlusconi pronto a rivoluzionare il Pdl "Pentito della fusione con quelli di An" di CLAUDIO TITO ROMA - "Mi sono pentito. Non c'è stata la fusione come la immaginavo io. Anzi, quelli di An hanno iniettato nel nostro partito il virus delle correnti. Forse si poteva studiare un'altra soluzione. Ma oramai dobbiamo fare i conti con quello che c'è". L'amarezza è quella del "fondatore". Di Silvio Berlusconi, che aveva progettato di costruire il "primo partito italiano" e di fare da levatrice ad un movimento politico di lungo periodo. Ora, però, quel "sogno" si è trasformato in un incubo. Che agita i suoi sonni in maniera tanto energica da fargli proclamare persino il "pentimento". Dopo il coinvolgimento del coordinatore Denis Verdini nell'inchiesta G8, la pentola del Pdl si è scoperchiata in un attimo. Con un tutti contro tutti che ha messo in mostra odi antichi e scontri recenti. Ha fatto nascere correnti e camarille. Basate su un solo presupposto: piazzarsi nel posto migliore in vista della "successione". "Ma io - ha avvertito il capo del governo - non ho alcuna intenzione di mollare". Non solo. L'idea che qualcuno pensi al "dopo" lo fa letteralmente infuriare. "Sono disgustato. Così non si può andare avanti e se perdiamo le regionali , cambio tutto". E nella "rivoluzione" rientrerà anche il "triumvirato" Verdini-La Russa-Bondi. Tant'è che ieri il presidente del consiglio ha iniziato a sondare Claudio Scajola. "Faresti il coordinatore unico?". "Solo se continuo a fare il ministro", la risposta. Da qualche giorno, dunque, la sede del partito è attraversata dal fragore della lotta intestina. E i riflettori sono puntati su gli ex aennini. "Mi dicono - si è sfogato Berlusconi - che le loro correnti a livello locale stanno cannibalizzando tutto". I "finiani" addirittura stano pensando a far nascere dei "Club" nel nome del presidente della Camera. Ma non solo loro si muovono. Anche la galassia degli ex forzisti si è messa in azione. "Fratelli coltelli", è il motto più usato per descrivere il clima. E già, perché la guerra non è combattuta solo dagli uomini di Alleanza nazionale. A volte taglia trasversalmente le due componenti d'origine. Basti pensare che Verdini e Bondi sono soprannominati "parenti serpenti". Un tempo "amicissimi", adesso si odiano. Motivo? "Denis ha fatto asse con La Russa", emarginando il ministro dei Beni culturali. Oppure è sufficiente leggere le ultime intercettazioni di cui è stato protagonista ancora Verdini nell'inchiesta fiorentina. "Io - sibilava conversando nel 2008 con Riccardo Fusi spiegando le nomine ministeriali - a Scajola non glielo fò il vice... A Vito sì". Con Verdini ce l'hanno in molti: "Non ci ha mai difeso e non è mai presente", è l'accusa che tutti i "peones" ripetono ad ogni piè sospinto. Ma un altro che nel Transatlantico di Montecitorio viene seguito con sospetto dai forzisti è il finiano Italo Bocchino. "Pensa di comandare con il gruppo dei napoletani", si sfoga un deputato piediellino del nord. Con Bocchino, anche Mara Carfagna si è fata un bel po' di nemici. Compreso il Cavaliere che non ha gradito la sua preferenza pubblica per Fini: "Dopo il Cavaliere vedo Gianfranco", aveva detto. E il gruppo forzista se l'è legata al dito. Così, non a caso, sono usciti dal congelatore due iniziative messe in campo qualche mese fa. I "Club della libertà" di Valducci e i "Promotori della libertà" della Brambilla. "Ho avuto il via libera del presidente", spiega il forzista della prima ora. I suoi Club serviranno a "fronteggiare quelli di An che si stanno impadronendo di tutto". I "Promotori" brambilliani, invece, saranno dei "raccoglitori di voto": andranno porta a porta a convincere gli elettori, come "I comitati civici" messi in piedi da Gedda nel '48. Sta di fatto che gli esponenti di Forza Italia non riescono a organizzarsi come quelli di Alleanza nazionale. Tante "microcorrenti" che fanno riferimenti a singoli ministri o plenipotenziari: Scajola, Pisanu, Valducci. Mai in grado, però, di fronteggiare la struttura dell'ex Msi. Non a caso da Palazzo Chigi è arrivato un via libera informale: "a questo punto strutturatevi pure voi". Le correnti, però, stanno facendo a pezzo anche i vecchi assetti. Ad esempio: i due "colonnelli" Ignazio La Russa e Altero Matteoli non si parlano più da quasi due anni. Il ministro della Difesa ha dato vita al "Correntone di Arezzo" con Gasparri e Cicchitto. Quello delle Infrastrutture preferisce restare autonomo e coltivare il rapporto solo con il premier. Non più con Fini. Tant'è che l'inquilino di Montecitorio, della vecchia squadra non si fida più. Non considera più "fedelissimi" La Russa e Matteoli e su Gasparri è andato addirittura oltre: nei giorni scorsi ha chiesto a Berlusconi di valutare la possibilità di rimuoverlo dall'incarico di capogruppo al Senato. Anche Fini, dunque, inizia a piazzare le sue truppe. Tutti si muovono per il "dopo Berlusconi". A Palazzo Chigi, ad esempio, c'è chi imputa pure al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di non essersi speso nella difesa della "squadra" sulle vicenda G8-Bertolaso-Letta. Il titolare del Tesoro, del resto, si è costruito un "plotone" di fedelissimi pronti a progettare un'altra "fusione a freddo": quella con la Lega. Per giocarsi la sua partita. E nel risiko complicatissimo del Pdl, Berlusconi ha dovuto aspettare un turno per "promuovere" il "suo" Gianni Letta a vicepremier. © Riproduzione riservata (24 febbraio 2010) da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Bersani Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni Inserito da: Admin - Aprile 26, 2010, 03:44:01 pm L'INTERVISTA
Bersani: "Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni" Il leader Pd: il governo non durerà altri tre anni. "L'opposizione deve essere pronta se ci sarà uno scivolamento di CLAUDIO TITO ROMA - In questa maggioranza "non ci sono le condizioni per affrontare le riforme". Anzi, Berlusconi utilizzerà il primo pretesto possibile per andare al voto. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, non crede affatto al dialogo offerto dal presidente del consiglio. A suo giudizio, non ha alcuna intenzione di compiere delle "scelte". Semmai, il premier è pronto all'ennesimo "strappo": perché questo governo "non potrà andare avanti così altri tre anni". Ma sulle urne "decide il capo dello Stato" e in quel caso non si può "indicare ora soluzioni a tavolino Berlusconi ha colto l'occasione del 25 aprile per proporre un'intesa sulle riforme istituzionali. "Sono parole apprezzabili. Il presidente del consiglio, però, ha scoperto solo di recente la solennità del 25 aprile. Ma più che questi messaggi, colpiscono le sue altalenanti contraddizioni: da mesi va avanti a strappi con i successivi aggiustamenti. Dobbiamo guardare ai fatti, le parole non servono". In che senso? "Negli ultimi 9 anni, sette sono stati governati dal centrodestra. E si è visto che la democrazia populista non è in grado di decidere. Non ci sono scelte in nessun campo. Né in economia, né sul terreno istituzionale. Un sintomo evidente è l'impennata orgogliosa di Fini. Una reazione che non è la malattia o la medicina della destra, ma è il sintomo di un malessere. Per questo è necessario uscire dalla chiacchiere". Sta di fatto che stavolta il premier vi chiede collaborazione. "Ma il loro modello di azione non è fatto per decidere. È costruito per accumulare il consenso, ma poi non lo usano per governare. Io ho insomma profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto. È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme. Infatti, prima o poi, davanti alla difficoltà di decidere, Berlusconi prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare in curva". Accelerare verso dove? "Verso le elezioni. O verso un qualsiasi tipo di strappo. La bozza Calderoli che altro era? Un'accelerazione per coniugare solo l'interesse del premier con quello della Lega. In Fini c'è questa consapevolezza. Lui stesso elenca alcuni nodi cruciali: il programma economico da aggiornare alla luce della crisi, il federalismo senza compromettere l'unità del Paese". Anche il Quirinale, però, vi chiede uno sforzo bipartisan. "Accettiamo l'appello del presidente della Repubblica. Noi, però, una proposta l'abbiamo presentata. Non conosco quella del Pdl. Fini gliel'ha chiesta. Aspetteremo, ma sono pessimista sulla possibilità che questo governo affronti temi cruciali". Quindi non ci sono le condizioni per un dialogo. "L'opposizione è davanti ad un nuova responsabilità. Bisogna stringere le maglie per una piattaforma che abbia il sapore di un'alternativa di governo. Dobbiamo essere pronti perché il Paese sta scivolando". Per questo ha proposto il Patto repubblicano pure al presidente della Camera? "Il patto repubblicano non esclude Fini, ma certamente non è rivolto solo a lui. Nella proposta c'è l'esigenza che le forze dell'opposizione sui temi cruciali della democrazia e delle priorità economiche e sociali si rivolgano in modo ampio alle forze sociali civiche e politiche che riconoscono l'esigenza di una svolta che avvenga nel solco della Costituzione". Questo, però, è uno scenario possibile solo in caso di crisi del governo. "Io voglio capire chi non accetta la deriva. Qualcuno mi ha accusato di fare tattica sulle alleanze, ma è esattamente il contrario. Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo". Ma se entra in crisi la maggioranza ci saranno le elezioni o ci sarà una soluzione intermedia con un governo tecnico? "Quel che vedo è che non si potrà andare avanti così altri tre anni e non vedo scenari intermedi". Qualcuno ha letto il Patto repubblicano come una premessa per un esecutivo di transizione. "Niente di tutto questo. Non voglio sproloquiare su formule. Credo che, nell'impotenza del centrodestra, qualcuno possa dare uno strattone. Ma la sorte della legislatura non è in mano a un uomo solo, c'è anche il presidente della Repubblica". Nel '95, quando entrò in crisi il primo governo Berlusconi, nacque l'esecutivo Dini. "Ogni fase ha il suo schema, ma la storia non si ripete. Vedremo cosa accadrà. Non siamo in condizione ora di indicare soluzioni a tavolino e non abbiamo messo in moto movimenti per un cambio di maggioranza. Quando ho parlato di patto repubblicano, pensavo a cose più profonde. Ad esempio: si può tornare a votare con questa legge elettorale? Si può andare avanti con questo sistema dell'informazione. Possiamo proseguire senza affrontare la crisi economica? Che benefici ci ha portato questa curvatura personalistica della nostra democrazia?". C'è chi - come il professor Campi - propone di riformare proprio la legge elettorale per poi tornare al voto. Si aspetta che il presidente della Camera opti per questa strada? "Non arrivo a questo. Penso però, se sarà coerente, che dovrà sciogliere alcuni nodi fondamentali: i temi sociali, le norme sugli ammortizzatori sociali, la giustizia (basti pensare alle intercettazioni), il federalismo che è arrivato ai decreti attuativi. La palla, a quel punto, toccherà a Berlusconi. Se saprà risolvere i problemi, andranno avanti, altrimenti si porrà una questione di stabilità politica. Per quanto ci riguarda, il Paese si aspetta solo che lavoriamo a una piattaforma alternativa. E chi fino ad ora ha sonnecchiato dovrà accorgersi che a Palazzo Chigi non si decide niente". E chi ha sonnecchiato? "Ad esempio qualche rappresentanza sociale. Ho assistito all'ultima assemblea di Confindustria e ho notato un certo spaesamento e ho sentito stavolta parole nette dalla presidente Marcegaglia. C'è sempre meno fiducia. Basta pensare al federalismo: ne parlano continuamente ma poi il Tesoro non ci porta le tabelle. Senza numeri e soldi, questa operazione non esiste". Ma in caso di voto anticipato, il Pd è pronto? "Non lo vedo per domani ma certamente una fase di logoramento potrebbe portarci fin lì. Stiamo lavorando sul progetto Italia 2011 lanciato nell'ultima direzione. Da lì usciranno le nostre idee per l'alternativa". (26 aprile 2010) © Riproduzione riservata da repubblica.it Titolo: CLAUDIO TITO. Il Cavaliere e l'incubo di Letta Qualcuno vuole coinvolgere Gianni Inserito da: Admin - Maggio 15, 2010, 12:27:04 pm IL RETROSCENA
Il Cavaliere e l'incubo di Letta "Qualcuno vuole coinvolgere Gianni" Effetto negativo di Bertolaso sui sondaggi. Il premier: "Può ancora restare?" di CLAUDIO TITO ROMA - "La "Lista Anemone" non è il vero obiettivo. Quei nomi non sono il bersaglio di questa inchiesta. A Perugia sperano di colpire qualcun altro...". La tensione è altissima. L'attesa che qualcosa possa ancora accadere paralizza ogni mossa. E Silvio Berlusconi, bloccato dall'influenza a Palazzo Grazioli, si presenta ai suoi interlocutori come un leone in gabbia. Assillato dai pronostici giudiziari. E così, seleziona i suoi colloqui. Misura i suoi incontri. Ma ai fedelissimi confida i dubbi che lo stanno tormentando. La paura che le indagini in corso a Perugia possano silurare i "piani alti" del governo. Non solo Claudio Scajola e Guido Bertolaso. Ma anche alcuni dei più stretti collaboratori del premier. Compreso Gianni Letta, il vero "braccio destro" del Cavaliere. E già, perché è questo l'incubo che sta avvolgendo Via del Plebiscito: che le operazioni dei magistrati avvolgano altri ministri e "Gianni". Soprattutto Berlusconi ha iniziato a sospettare che la "lista di proscrizione", l'elenco dei lavori edili effettuati da Diego Anemone circolato negli ultimi giorni, sia solo una mossa tattica. Un diversivo per nascondere le vere intenzioni delle toghe perugine. Teme, insomma, che la procura umbra abbia come "target" finale proprio il sottosegretario alla presidenza del consiglio. Del resto, da giorni chi frequenta la procura sente parlare come un refrain di intercettazioni che non sono state ancora sbobinate. "Su di lui, però, - ripete l'inquilino di Palazzo Chigi - posso mettere la mano sul fuoco. È impossibile che si sia fatto coinvolgere in qualcosa di non chiaro. Gianni è trasparente e nessuno può sporcare la sua figura". Quelli del premier sono solo sospetti, confessati però nelle ultime ore alla cerchia più ristretta del suo staff. Già in settimana, tra i corridoi di Montecitorio, erano circolate le voci circa il coinvolgimento nelle indagini di altri dicasteri. Adesso, però, lo spettro rischia di materializzarsi improvvisamente. Al punto che la strategia difensiva immaginata in un primo momento, è stata ritoccata in corsa. L'idea di un "Predellino morale" è stato per il momento rinviato. "A questo punto è chiaro che bisogna fare pulizia. Ma non posso farla ora, bisogna prima capire i veri obiettivi di questa indagine. E comunque voglio aspettare dei verdetti concreti e non quelle liste di proscrizione. Al momento bisogna stare fermi". Eppure, l'idea di una "rivoluzione" nella sua strategia di lungo termine è ormai maturata. È emersa da quando sul tavolo del presidente del consiglio sono stati recapitati gli ultimi sondaggi. Che gli uomini del premier hanno sintetizzato con una battuta: "Effetto Bertolaso". Il coinvolgimento del capo della Protezione civile nelle "vicende immobiliari" ha provocato una sorta di effetto "boomerang" sulla popolarità e il gradimento dell'intero esecutivo. Tanto aveva contribuito a far impennare gli indici con gli interventi in Campania a L'Aquila, così sta determinando la pesante flessione. "Sulla casa - è l'amara riflessione di Berlusconi - gli italiani si arrabbiano davvero". E infatti si è convinto che il sottosegretario per i grandi eventi non possa rimanere a lungo al suo posto. "Nessuna precipitazione. Ma quanto può rimanere ancora? Può ancora mettere la faccia sull'operato del governo?", ha chiesto il premier ai suoi. Un interrogativo posto l'altro ieri sera anche al diretto interessato. Al quale ha pure rimproverato quella conferenza stampa "improvvisata" a Palazzo Chigi, e "senza alcun senso politico". E forse non è solo un caso che proprio oggi arrivi nell'amministrazione della Protezione civile il successore designato: Franco Gabrielli. Da tempo il Cavaliere si è quindi messo nell'ottica di "compiere dei sacrifici". Per evitare che la "valanga" giudiziaria investa anche lui. "Io non ho nulla a che vedere con chi ruba. Non ne ho bisogno". Non solo. A Via del Plebiscito, in molti temono che l'attuale situazione possa "paralizzare" la maggioranza e l'esecutivo per troppo tempo: una inattività che Berlusconi giudica "dirompente" per il centrodestra. Tant'è che lo stesso presidente del consiglio da qualche giorno non esclude più la possibilità che tutto precipiti verso le elezioni anticipate. Magari nella prossima primavera. In quel caso, il "Predellino morale" diventerà il leit motiv della campagna elettorale. "Farò come nel '94: tutte facce nuove e giovani. Mi presenterò agli italiani come il campione del rigore etico". Utilizzando le urne come il lavacro della "nuova Tangentopoli". "Le prossime liste le farò io personalmente - ha avvertito -. farò piazza pulita. Ricandiderò solo una dozzina dei deputati e senatori uscenti. Tutti gli altri saranno "esordienti"". E lo stesso farà per i vertici del Pdl. Ma sa anche che questa tattica ha bisogno ancora di un po' di tempo. Soprattutto non può oltrepassare un limite: quello che riguarda gli "amici di sempre". Quel gruppo di persone che rappresentano il centro dei suoi successi imprenditoriali e politici. (15 maggio 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/05/15/news/la_tentazione_dei_repulisti-4078244/ Titolo: CLAUDIO TITO. "Hanno tentato di farmi fuori" i sospetti del Cavaliere Inserito da: Admin - Maggio 27, 2010, 04:32:43 pm IL RETROSCENA
"Hanno tentato di farmi fuori" i sospetti del Cavaliere Berlusconi teme un accordo contro di lui da parte di Tremonti, la Lega e i poteri forti. "C'è chi ha messo in gioco la fine del berlusconismo" di CLAUDIO TITO "C'E' QUALCUNO che stavolta sta giocando davvero contro di me". Trentasei ore vissute sull'onda dei sospetti. Ogni parola letta in controluce. E gli "alleati più leali" che si rivelano "non più affidabili". Per Silvio Berlusconi non si è trattato solo di discutere la manovra economica "più pesante della mia vita", ma anche di rivedere la gerarchia delle alleanze. Di allontanare i sospetti del "complotto". Riformulare le amicizie dentro il governo. A cominciare dal rapporto con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e con la Lega di Umberto Bossi. E già, perché dietro ogni singola misura, si è giocato qualcosa di più di una semplice battaglia sui numeri. Come ha ripetuto ieri mattina lo stesso Cavaliere, "è stato messo in gioco il "berlusconismo"". E i protagonisti non sono stati solo il titolare del Tesoro e il sottosegretario Letta, Bossi e Gianfranco Fini. Secondo il premier, si sono improvvisamente attivate le lobby più potenti. Quei "poteri forti" che hanno cercato di coagularsi intorno ai protagonisti della vicenda. "Per farmi fuori, per preparare un altro governo, per profilare un'emergenza nazionale". L'ombra del "complotto", insomma, che ha innervosito il presidente del consiglio e che si è stesa persino sul "socio" più leale: il Senatur. Da tempo, del resto, molti ministri hanno seguito il braccio di ferro tra Letta e il capo del Tesoro, come la rappresentazione plastica di un duello più ampio. Con il sottosegretario spalleggiato dall'uomo forte della finanza, Cesare Geronzi, una parte della gerarchia ecclesiastica e dai giornali d'area che in questi giorni hanno infatti agitato lo spauracchio di un esecutivo tecnico. Con Tremonti, invece, sostenuto dalla Lega, da alcune banche del nord, da una parte della Finanza cattolica che nel mondo tremontiano ha le sembianze di Ettore Gotti Tedeschi, presidente del potentissimo Ior, e da settori del centrosinistra. Uno scontro nel quale Berlusconi ha sempre svolto la parte dell'arbitro, ma che ora teme di non poter più controllare. "Forse - è stata la sua riflessione - qualcuno pensa di poter cambiare la posta". Infatti, nonostante l'armistizio firmato in extremis, il capo del governo è stato durissimo con il ministro dell'Economia. "Giulio - ha ripetuto anche ieri sera il Cavaliere - ha costruito la manovra come se volesse smentire tutto quello che ho fatto in questi anni". Non solo. Tutti provvedimenti, a suo giudizio, sono stati concordati solo con i Lumbard, e in particolare con il ministro Roberto Calderoli, scatenando le ire di tutti gli altri dicasteri. Ma soprattutto il premier ha scorto un obiettivo ben preciso: "Hanno calcato la mano - si è lamentato - per mettere al riparo il federalismo fiscale. Pensano che l'Ue non accetterebbe la riforma federalista se prima non diamo garanzie sui conti. Ma i progetti della Lega non possono venire prima di tutto il resto". Il suo dubbio, dunque, è che il pacchetto "tremontiano" contenga in sé una sorta di "tesoretto" da utilizzare proprio per il federalismo fiscale. Sospetti che il titolare di Via XX Settembre ha respinto con decisione. Lo ha fatto l'altro ieri nell'ufficio di Berlusconi a Palazzo Chigi e lo ha ripetuto ieri prima della conferenza stampa congiunta. "Senza un intervento rapido, salta tutto: mi sono mosso su una linea molto delicata. Dopo quel che è accaduto in Grecia, dovevamo dare un segnale ai mercati. Lo faccio per il bene di tutti. Il mio rigore non ha altre ragioni se non la stabilità finanziaria del Paese e il suo futuro". Eppure nella cena di martedì sera a Via del Plebiscito, Berlusconi ha sentito parlare l'intero stato maggiore leghista solo ed esclusivamente di federalismo fiscale. Ha ascoltato il Senatur definirlo "un'occasione da non perdere". Tant'è che proprio negli ultimi giorni ha provato ad accorciare le distanze con Fini. Una mossa tattica. Per frenare l'irruenza del Carroccio, ha rispolverato il "vecchio" alleato. "Se fate così - è stata la mossa compiuta con Bossi - cosa dico a Fini?". Ha persino incontrato l'odiato finiano Italo Bocchino e riesumato la commissione sui costi del federalismo suggerita dall'ex leader di An e che concluderà i lavori a fine giugno. Una sponda che stavolta Fini ha colto. Ma non per siglare la pace - "niente sarà più come prima" - bensì per dimostrare di avere ragione quando si lamenta che "il governo è a trazione leghista". Sta di fatto, che fino al ritorno di Napolitano in Italia le misure verranno ulteriormente limate. Il premier ha imposto di alzare il tetto per la tracciabilità, ha elevare la soglia per imporre la tassa del 10% sugli stipendi pubblici (sopra i 150 mila euro) e ha reclamato di rinviare la cancellazione delle province. Tutti emendamenti che Tremonti sta apportando al suo testo. In più, ha imposto al suo ministro le parole d'ordine con cui presentare la manovra: "non siamo in recessione", "facciamo tutto per colpa della Grecia", "le tasse le abbasseremo". Ma il feeling tra i due sembra definitivamente rotto. E tutti se ne sono accorti martedì sera quando il Cavaliere, nella riunione a Via del Plebiscito, si è improvvisamente bloccato e lanciato un'occhiataccia di fuoco al ministro che gli sedeva accanto: "Giulio, perché scrivi quello che dico?". "Mi segno le barzellette che racconti". (27 maggio 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/05/27/news/cavaliere_sospetti-4363829/ Titolo: CLAUDIO TITO. Pisanu: governo di solidarietà nazionale per la crisi economica Inserito da: Admin - Giugno 13, 2010, 08:55:20 am L'INTERVISTA
"La libertà di stampa va difesa più deboli le indagini dei magistrati" Pisanu: governo di solidarietà nazionale per la crisi economica di CLAUDIO TITO ROMA - La legge sulle intercettazioni? Non deve "indebolire un prezioso strumento investigativo né limitare la libertà di informazione". La manovra? Potrebbe non essere sufficiente: serve un governo di "solidarietà nazionale", pilotato da Silvio Berlusconi ma allargato alle forze di opposizione, per affrontare l'emergenza. Beppe Pisanu non usa mezzi termini. Spera che il testo sugli ascolti cambi alla Camera. E avverte che questa fase presenta molte analogie con quella vissuta negli anni '70. "L'altro ieri - spiega - ho votato doverosamente la fiducia condividendo la necessità di bloccare sì gli abusi ma non il rischio di indebolire questo prezioso strumento investigativo e di limitare la libertà di informazione". Eppure un bel po' di limiti alla stampa sono stati posti. "Non ho difficoltà a riconoscere che la responsabilità della divulgazione di atti riservati debba essere attribuita a chi ha il dovere di custodirli e non a chi ha il diritto di pubblicarli". Non c'è anche il rischio, a cominciare dal cosiddetto comma-Ghedini, di penalizzare la magistratura nella lotta contro la criminalità? "Vedo diverse questioni tecniche e di buon senso che si possono ancora risolvere. Personalmente avrei preferito affrontare una discussione anche lacerante prima di arrivare alla fiducia". Ma come si apportano le correzioni di "buon senso" a un testo blindato? "La speranza è l'ultima Dea". Ma davvero, come dice il presidente del consiglio, la sovranità è in mano ai pm e alla Corte costituzionale? "La sovranità appartiene sempre al popolo che la esercita però attraverso le istituzioni democratiche". Berlusconi, però, sostiene che è un inferno governare con questa Costituzione "Mi pare che la polemica sia rivolta più alla complessità delle procedure e degli accordi politici che ai principi costituzionali. Il presidente Berlusconi sa benissimo, come tutti noi, che con questa Costituzione abbiamo fatto il miracolo economico e costruito la settima potenza industriale del mondo. Nella Parte Seconda ci sono alcune norme che vanno aggiornate. Ma taluni principi essenziali della Parte Prima non possono essere sovvertiti o modificati neppure con leggi di revisione costituzionale come ha stabilito una celebre sentenza della Consulta". Il ministro dell'Economia vorrebbe un sistema in cui è lecita ogni cosa non espressamente vietata. "Attenti all'anarchia. Dove non c'è regola, dicono in Toscana, non ci sono frati. E infatti il santo più generoso e rivoluzionario della storia, Francesco d'Assisi, si diede per prima cosa una regola". E la manovra correttiva è sufficiente? "Per ora basta. Ma in giro per il mondo si parla già di un "double deep", cioè di una seconda caduta, che ci costringerebbe a decisioni più severe. Peraltro lo stesso Tremonti dice che non siamo al punto più basso di un normale ciclo economico, bensì ad una svolta della storia. E questo, aggiungo io, dovrebbe comportare cambiamenti profondi negli stili di vita, nei modi di produrre, di consumare e anche di fare politica. Altrimenti come ci andiamo all'appuntamento con la storia? Con i fichi secchi di questa manovra?". E come si va oltre i fichi secchi? "Intanto bisognerebbe superare la logica dei tagli indiscriminati che, come la falce manzoniana, pareggia tutte le erbe del prato. E andare invece alla boscaglia degli apparati pubblici sempre più costosi e sempre meno utili". Come le province? "Certo, e come per tutti gli altri enti intermedi. Tra il comune e lo Stato basta la Regione. La società italiana è stanca di gabbie e gabbiette pubbliche che alimentano il sottobosco politico. Enti regionali, comunità montane, aree industriali, consorzi di bonifica, municipalizzate. Bisogna lasciare spazio alla creatività dei cittadini che si organizzano liberamente, alle istituzioni spontanee della società civile. Basti pensare all'enorme servizio a costo zero del volontariato italiano". Ma può questo centrodestra affrontare un eventuale "double deep"? "A condizione che abbia un'intesa di fondo con l'opposizione e con le grandi organizzazioni sindacali. Intendiamoci: qui non si tratta solo di fronteggiare la crisi economico-finanzaria. Ma di arginare e invertire la tendenza al declino generale del nostro Paese". Negli anni '70, di fronte all'emergenza, nacquero i governi di solidarietà nazionale. È una soluzione? "Non siamo agli anni di piombo. Però i problemi di governo non sono meno impegnativi". E un uomo di rottura come Berlusconi può percorrere questa strada? "Sì, finché gode di un così ampio consenso popolare, Berlusconi può essere la soluzione. Secondo me, tocca a lui lanciare alle forze politiche e sociali dell'intero Paese un appello ampiamente motivato per affrontare insieme l'emergenza e per superare insieme questo tornante della Storia". Un altro governo sostenuto da Pd e Udc? "Un governo o una larga maggioranza che comprenda quanti raccolgano questo appello e concorrano a definire un programma di solidarietà nazionale". Con un tempo definito? "Certamente sì, perché una volta cessata l'emergenza, come direbbe Aldo Moro, i due schieramenti tornerebbero a essere tra loro naturalmente alternativi". Come presidente della Commissione Antimafia condivide la connessione tra le stragi di mafia del '93 e la nascita di Forza Italia? "Il procuratore Grasso ha chiarito quella vecchia congettura escludendo simili legami. La sola cosa certa è che agli inizi degli anni '90 la mafia cercò di dar vita a un partito politico regionale denominato "Sicilia libera". Ma ancora oggi le relazioni delle mafie sono molte e vanno in tutte le direzioni". Ossia? "Ci sono stati e ancora ci sono legami inquietanti delle grandi mafie sia con la politica sia con il mondo degli affari, con logge massoniche ultrasegrete, interessi stranieri e pezzi deviati delle istituzioni. Su questi oscuri intrecci bisogna vigilare ancora oggi con scrupolosa attenzione". (12 giugno 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/06/12/news/la_libert_di_stampa_va_difesa_pi_deboli_le_indagini_dei_magistrati-4778647/ Titolo: CLAUDIO TITO. Le condizioni di Fini per la tregua Inserito da: Admin - Luglio 17, 2010, 10:46:22 am LA POLEMICA
Le condizioni di Fini per la tregua "Non posso mollare sulla legalità" Il "confondatore" del Pdl pianta i paletti nello scontro con Berlusconi. I sondaggi mostrano il segno meno per il governo. Il ddl intercettazioni rischia di imboccare la strada del binario morto, la Lega è sempre più innervosita. E il presidente della Camera si è convinto che sia il momento migliore per porre le sue condizioni di CLAUDIO TITO "UN'INTESA si può fare solo se è rivoluzionaria". Gianfranco Fini sa che Silvio Berlusconi questa volta cerca una tregua. Per il premier, è "l'unica soluzione". "Altrimenti - ripete come un mantra - tanto vale andare alle elezioni anticipate". Il "Cofondatore", però, pianta i suoi paletti. I sondaggi mostrano il segno meno per il governo. Il disegno di legge sulle intercettazioni rischia di imboccare la strada del binario morto, la Lega è sempre più innervosita dalla paralisi. E Fini, allora, si è convinto che questo è il momento migliore per alzare l'asticella e porre le sue condizioni. Non a caso lunedì prossimo, Fini farà in modo di tendere ulteriormente la corda. Volerà in Sicilia e, a titolo non solo istituzionale, parteciperà alla cerimonia per commemorare il diciottesimo anniversario della strage di Via D'Amelio, dove persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Prenderà parte alla fiaccolata e soprattutto rilancerà il tema della "legalità": tema su cui "non si può mollare". Un fattore che, a suo giudizio, nel Pdl presenta ancora aspetti deficitari. Anzi, ripetono in corso quasi tutti i finiani, "il vero punto debole è proprio la legalità". E ogni riferimento alle ultime vicende e all'inchiesta P3 è assolutamente voluto. Insomma, l'accordo è possibile ma deve modificare le basi su cui è stato gestito fino ad ora il partito. E deve essere centrato sulla "legalità". Berlusconi, invece, - stretto nella guerra tra falchi e colombe, tra gli ex An e i "neo-forzisti" - gioca l'ultima carta. Boccia come una "manovra contro di me" l'inchiesta sulla P3. In consiglio dei ministri la liquida con una battuta: "Questa è la prima riunione presieduta da "Cesare" Berlusconi". Eppure, la tensione a Via del Plebiscito è altissima. Il Cavaliere cerca l'ultima chance. Scarta perfino la "mediazione politica" per affidarsi a un "esterno". Ossia a Fedele Confalonieri. E già, perché nei giorni scorsi perfino Gianni Letta si era arreso dinanzi alle rigidità dei due co-fondatori. "A questo punto - aveva detto un paio di settimane fa a Fini - io alzo le braccia. Non posso più fare niente". Ma a riannodare i fili del dialogo ci ha pensato il presidente di Mediaset. Ed è stato lui, lo scorso week end, a prospettare al presidente del consiglio tutti gli aspetti negativi di una rottura. "Guarda - è stato il suo ragionamento - che ci rimettiamo tutti". E il pensiero è volato anche alle prossime sfide televisive con Sky che presto "scenderà" dal satellite per approdare al digitale terrestre. Discorso che - seppure indirettamente - Confalonieri ha fatto pervenire anche al presidente della Camera. "Si può trovare una soluzione, non serve rompere". Ma soprattutto i consigli dell'amico hanno indotto il Cavaliere a riflettere sugli assetti della maggioranza: "È più pericoloso Fini o Tremonti? Bocchino o Bossi?". Perché il sospetto che il ministro dell'Economia stia erodendo la leadership berlusconiana è ormai un dato acquisito nello staff del premier. Tanto che persino la presenza del Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, alla cena di casa Vespa è stata letta come un segnale al titolare del Tesoro. Sta di fatto che gli uomini di Fini si sentono rafforzati dalle "vittorie" ottenute, proprio sul fronte della "legalità": con le dimissioni di Brancher prima e di Cosentino poi. E infine con la legge per le intercettazioni che alla Camera verrà stravolta rischiando per di più di finire su un binario morto. Sono poi convinti che anche Denis Verdini, il coordinatore del Pdl, e Giacomo Caliendo, sottosegretario alla giustizia, verranno in tempi brevi posti sotto esame. Sebbene da giorni, proprio il Cavaliere vada ripetendo: "Io, Denis non posso mollarlo. Non posso proprio, sarebbe un errore". Per questo i "finiani" non intendono mollare sul fronte della "legalità". Anche perché sono convinti che l'arma delle urne anticipate sia ormai spuntata. "L'accordo, allora, è possibile solo se è "rivoluzionario"". Negli incontri più riservati, infatti, l'obiettivo dichiarato dai fedelissimi del presidente della Camera, è quello di evitare le elezioni nel 2011 senza comunque chiudere un patto con il premier. Spostando l'appuntamento al 2012. Sicuri che il presidente del consiglio non abbia in questa fase la forza di imporre la fine della legislatura. "Berlusconi - sono i loro conteggi sulle forze in campo - può anche strapparci 4-5 parlamentari, ma se c'è la possibilità di un governo istituzionale, ne troviamo 30 dei suoi pronti a difendere la loro permanenza in Parlamento". E forse non è un caso che ieri l'inquilino di Via del Plebiscito, abbia rilanciato il piano "quinquennale" del suo esecutivo. "Nessuno mi butterà giù. E comunque non si ripeterà un altro '94". Ma poi cerca di ridimensionare le richieste di Fini che a suo giudizio punterebbe a "ridisegnare" l'organigramma del Pdl e dei gruppi parlamentari: "Vorrebbe una struttura con due coordinatori, uno suo e uno mio. E vuole un vicecapogruppo vicario alla Camera e al Senato". Ma forse la tregua definitiva è ancora lontana. (17 luglio 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/07/17/news/fini_tregua-5640300/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Pisanu: "No alle elezioni anticipate in Parlamento tantissimi ... Inserito da: Admin - Agosto 06, 2010, 02:55:04 pm L'INTERVISTA
Pisanu: "No alle elezioni anticipate in Parlamento tantissimi i contrari" Il senatore ed ex ministro dell'Interno critica il premier: grave errore aver cacciato Fini. "Era arrivato un gesto distensivo, il vertice Pdl gli ha dato una risposta brutale: bisogna ripararvi". "C'è un problema di illegalità diffusa che corrode la vitalità del Paese" di CLAUDIO TITO ROMA - Se Berlusconi chiedesse le elezioni anticipate, "io mi opporrei", perché il ritorno alle urne sarebbe un "macigno" sulla "fragile" situazione economica del Paese. Beppe Pisanu non usa giri di parole. La linea dello scontro con Fini seguita dal premier e dai vertici del suo partito, il Pdl, non gli è piaciuta affatto. Avverte che nelle aule del Senato e della Camera "la contrarietà" al voto è "più ampia di quanto appaia" e spera in un esecutivo di "solidarietà nazionale" guidato dal Cavaliere. E poi non nasconde la sua preoccupazione per lo "smarrimento della moralità" in politica e per la "diffusa illegalità". Ma se fosse stato deputato, come avrebbe votato su Caliendo? "Probabilmente avrei votato a favore di Caliendo e non per garantismo, ma per evitare altri traumi politici al mio partito e alla stessa maggioranza di governo". A che cosa si riferisce? "Alla risposta brutale e lacerante dell'ufficio di presidenza del Pdl al gesto di distensione compiuto, seppure in extremis, da Fini. E' stato un grave errore politico e bisognerebbe correggerlo". Scusi, ma correggere come? Ritirando l'espulsione? "Non oso sperarlo, ma sarebbe già tanto se si cominciasse a rasserenare gli animi e ci si preparasse a discutere tra i gruppi parlamentari del centrodestra sull'agenda della ripresa autunnale". Eppure sembra che il vertice del Pdl e il premier stiano puntando molto sulla vicenda della casa di Montecarlo per attaccare Fini. "Non voglio entrare su terreno per me impraticabile". Sarà pure impraticabile, ma non teme il ritorno della stagione dei dossier? Casini parla di squadrismo. "Sarebbe un ritorno indietro di mezzo secolo ai giorni più bui del governo Tambroni. La maturità democratica delle nostre forze di sicurezza e dei nostri servizi di informazione m'induce ad escludere simile eventualità". Esiste in Italia un'emergenza-legalità? "C'è un problema di illegalità diffusa che corrode la vitalità complessiva del nostro Paese e che, allo stesso tempo, rende più acute e insopportabili le disuguaglianze prodotte dalla crisi generale". Quindi le inchieste sul G8 e sulla P3 impongono una riflessione? "Certamente la violazione continua delle norme di condotta pubblica e privata allarma i cittadini onesti e interroga più da vicino la classe dirigente. Quel che più mi preoccupa è lo smarrimento della moralità o meglio la dissociazione crescente tra l'ordine della morale e l'ordine della politica". Vede analogie tra queste inchieste, quelle sulla P2 e quelle su tangentopoli? "Di analogie se ne possono trovare tante. Ma non vedo il classico ripetersi della tragedia vecchia in farsa nuova. Amoralità e corruzione gravano su questo momento di storia. Secondo me siamo nel mezzo di una transizione che può portarci alla risalita o al declino in Europa e nel mondo. Molto dipenderà dalla politica". Dopo la frattura con il presidente della Camera, è inevitabile la crisi di governo? "Può essere evitata tranquillamente, perché Fini non ha mai messo in discussione né la leadership del presidente Berlusconi né la fiducia al suo governo". Sembra però la fine di questa maggioranza? "No, la maggioranza non si è dissolta. Semmai si è articolata diversamente, con la nascita quasi obbligata di un altro gruppo parlamentare di centrodestra che, peraltro, può creare nuovi spazi di dialogo con l'opposizione a tutto vantaggio della governabilità". La crisi di governo però è dietro l'angolo. La strada delle elezioni anticipate è segnata? "Con le premesse che le ho detto si può soltanto ipotizzare una crisi pilotata da Berlusconi in quanto leader dello schieramento maggioritario". E se il Cavaliere insistesse sulle elezioni anticipate, lei che farebbe? "Mi opporrei. Perché lo scioglimento anticipato delle Camere piomberebbe come un macigno sulla fragile situazione economico sociale del nostro Paese, spianando la strada agli speculatori della finanza internazionale. Sono comunque sicuro che la contrarietà alle elezioni anticipate sia molto più ampia di quanto non appaia, tanto nella società quanto nelle aule del Senato e della Camera. In ogni caso, e per nostra fortuna, la decisione finale spetta al Presidente della Repubblica". Molti hanno fatto circolare il nome di Tremonti per un esecutivo di transizione. "Mi pare che la Lega Nord lo abbia escluso e io comunque resto della mia opinione: un governo di solidarietà nazionale guidato da Silvio Berlusconi". Il centrodestra è in fase di ristrutturazione. Le forze di centro hanno la possibilità di riorganizzarsi? "La mia impressione è che invece siano in fase di destrutturazione sia il centrodestra sia il centrosinistra: in parte per la loro evidente inadeguatezza rispetto ai grandi problemi dell'Italia e in parte per la crisi di questo bipolarismo immaturo, e a tratti selvaggio, che mette insieme forze troppo disaffini e in sorda concorrenza tra loro. Una buona legge elettorale potrebbe favorire la ricomposizione degli schieramenti maggiori su basi più solide ed omogenee, e dar vita finalmente ad una democrazia matura dell'alternanza". Cosa ne pensa della convergenza tra finiani, Udc e Api? "Le ultime dichiarazioni di Casini sembrano collocarla al di fuori dei vecchi schieramenti descrivendola come un'area di responsabilità nazionale, dove possono incontrarsi cattolici e laici preoccupati per le sorti dell'Italia e impegnati a migliorarle. Se questa convergenza serve a ricollegare i moderati italiani nella prospettiva democratica che ho prima indicato, si tratta di una cosa nuova e positiva". Quindi è un progetto che le interessa? "Vedremo. Siamo solo ai primi, timidi passi di un processo politico. Se son rose fioriranno". Si può parlare di fine del berlusconismo? "Io non so che cosa sia esattamente il berlusconismo. So bene però che attraverso Berlusconi parlano ancor oggi milioni di italiani. Con loro bisogna fare i conti, senza per questo accendere ipoteche sul nostro futuro. Sento però il respiro affannoso delle cose vecchie che muoiono, con tutti i rischi che questo comporta, e sento il bisogno di persone prudenti e coraggiose che si mettano alla ricerca delle cose nuove che devono nascere". (06 agosto 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/08/06/news/pisanu_intervista-6100656/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Ma ora il Cavaliere si sente accerchiato... Inserito da: Admin - Agosto 19, 2010, 03:16:22 pm IL RETROSCENA
Ma ora il Cavaliere si sente accerchiato "La crisi un rischio, temo il ritorno al '93" Gianfranco gelido: chi attacca le istituzioni danneggia il Paese. Il sottosegretario al presidente della Camera: "Mi dispiace ma questa volta Silvio è irremovibile" di CLAUDIO TITO "Troppe cose mi ricordano il '93, la stagione dei governi tecnici. Dovremo stare attenti prima di aprire una crisi. Stanno facendo di tutto per rendermi ogni cosa difficile". Allarga le braccia, sbuffa. Silvio Berlusconi si sente accerchiato da un nemico invisibile. Chi lo ha visto o anche chi lo ha ascoltato al telefono, ha colto nel premier lo stato d'animo di chi si sente sotto assedio: pronto alla battaglia ma cosciente dei tanti ostacoli che si frappongono da qui alle elezioni anticipate. Deciso allo scontro, ma disponibile a valutare ulteriori soluzioni. Anche a far retrocedere il ritorno al voto all'ultimo posto nella classifica dei suoi desideri. Ma il senso dell'accerchiamento non gli viene trasmesso solo da Gianfranco Fini. Un complesso di fattori, nazionali e internazionali, agitano il soggiorno del premier a Porto Rotondo. E forse non è un caso che ieri mattina, Gianni Letta si sia fermato a parlare con il presidente della Camera. Anche il tenue filo che legava il sottosegretario all'inquilino di Montecitorio, nei giorni scorsi si era spezzato. Ora, certo, non si è ricomposto. Ma il braccio destro del Cavaliere, in una sala dell'ospedale Gemelli, si è quasi sfogato in quel breve faccia a faccia. Deluso per non essere riuscito a disegnare un "percorso di tregua". "Mi dispiace - si è giustificato con la terza carica dello Stato - ho sempre cercato di mettere pace. Ma il mio ruolo di mediazione è finito. Stavolta Silvio è irremovibile. Dopo questa svolta, non vuole tornare indietro. Lo capisci anche tu". Parole pronunciate più con rassegnazione che con fermezza. Il rapporto con Letta è sempre stato cordiale. Anche Fini, però, come il Cavaliere, "stavolta" non intende fare un passo indietro. Soprattutto non vuole concedere una sola arma per rendere "meno difficile" la traiettoria verso le urne agognata dal presidente del consiglio. "Guarda, noi comunque manteniamo fermi i punti del programma elettorale. La fedeltà a quel patto è fuori discussione, noi la fiducia la votiamo. Tu dici che la mediazione è ormai impossibile. Certo, con questa campagna che state facendo anche contro tutte le Istituzioni e non solo contro di me. Chi spara contro le Istituzioni danneggia il Paese. Voi, poi, vorreste distruggermi con il mio consenso e darmi pure la colpa. Tu dici mediazione, ma se poi Berlusconi vuole scaricare a noi la colpa della crisi, è un altro paio di maniche". Il gruppo di Futuro e Libertà, insomma, non intende fornire alcun pretesto che consenta al Cavaliere di salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni. L'inquilino di Palazzo Chigi lo sa. Ma soprattutto si è convinto che il presidente della Camera non sia l'unico scoglio. Negli ultimi giorni ha più volte fatto riferimento a quel che accadde negli anni di Tangentopoli. All'esecutivo di Carlo Azeglio Ciampi. Ha citato il recente viaggio di Giorgio Napolitano negli Usa, le pressioni dall'estero e quelle di vari settori finanziari e di Confindustria a cominciare da Luca Cordero di Montezemolo. "Non vorrei - è la sua riflessione - che in caso di mie dimissioni, si replichi la spinta per rinnovare quel metodo". Anche perché a dicembre è fissato un appuntamento considerato decisivo per il capo del governo: la decisione della Corte costituzionale sul legittimo impedimento. Se la Consulta lo dichiarerà incostituzionale, ripartiranno contemporaneamente tre processi: Mills, Mediaset e Mediatrade. E il rischio di una condanna in tempi brevi diventerebbe concreto. "Ecco - ragionava nei giorni scorsi il premier - temo l'esistenza di un'operazione contro di me. Proprio come nel '93". La strada che porta alle elezioni, poi, passa per il Colle. E il capo dello Stato, seguendo il dettato costituzionale, in caso di crisi sarebbe costretto prima a rinviare il premier alle Camere e successivamente a verificare l'esistenza di un'altra maggioranza. E proprio Berlusconi ha paventato in queste ore il rischio che un mandato del genere possa essere affidato alle due più alte cariche istituzionali (Schifani e Fini) o al ministro dell'Economia (proprio con lo stesso mandato affidato nel '93 all'allora Governatore della Banca d'Italia Ciampi) incaricato di affrontare la crisi finanziaria e riformare la legge elettorale. Ipotesi che non lasciano tranquillo il capo del Pdl: costretto a formalizzare l'esistenza della componente finiana nella maggioranza nel caso di rinvio alle Camere o a cedere il passo nell'altra eventualità. Proprio per questo Berlusconi in questa fase intende giocare su più tavoli. E l'opzione elettorale non rappresenta più la prima scelta. Il pressing di Bossi su questo è fortissimo, ma i dubbi del Cavaliere lo sono altrettanto. Chiama e cerca di persuadere tutti i parlamentari di "confine" come Beppe Pisanu invitato ieri a cena. Non vuole allora la pace con Fini, ma si "appella" ai moderati di Futuro e Libertà. Spera di "strapparne" una decina per proseguire con l'attuale esecutivo. E nello stesso tempo prepara il documento da sottoporre all'esame del Parlamento. Quattro punti dettagliati, in larga parte concentrati sulla giustizia. Con cui chiederà l'approvazione per la separazione delle carriere, il processo breve e il Lodo Alfano costituzionale. "Ma prima di chiedere un voto - ha spiegato ai fedelissimi - bisogna pensarci bene". (19 agosto 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/08/19/news/ma_ora_il_cavaliere_si_sente_accerchiato_la_crisi_un_rischio_temo_il_ritorno_al_93-6364922/?ref=HRER2-1 Titolo: TITO. Bersani e D'Alema: "Alleanza costituzionale", nuovo Cln con Casini e Fini Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2010, 09:52:00 am RETROSCENA
Riforma elettorale incubo del Cavaliere "Arrivare a gennaio per evitare ribaltoni" Bersani e D'Alema: "Alleanza costituzionale", nuovo Cln con Casini e Fini. Bossi avvisa il premier: "Il tuo vero salvacondotto è l'attuale legge elettorale". Il vertici Pd temono che col Porcellum il premier si farà comunque eleggere al Quirinale di CLAUDIO TITO "I voti in Parlamento non ci servono più per governare, ma per evitare che si formi un esecutivo tecnico e che quegli altri cambino la legge elettorale". Mai come stavolta Silvio Berlusconi non è riuscito a dissimulare il senso di impotenza. Si sente "solo", ingabbiato in uno schema che non aveva previsto. Con il governo "paralizzato" dallo scontro con Gianfranco Fini e il Pdl indebolito dalla scissione. "Nessuno riesce darmi un consiglio efficace, faccio tutto da solo", si è allora lamentato nei pochi colloqui avuti al Senato dopo il suo intervento in aula. Uno sconforto celato solo dai toni trionfalistici del suo discorso. Il Cavaliere, infatti, è scosso dalle manovre "concordate" nel campo finiano e del centrosinistra. Teme che il feeling di questi giorni si trasformi rapidamente in una tenaglia che faccia perno sulla riforma elettorale. E che blocchi il percorso disegnato da tempo per l'approdo al Quirinale nel 2013. E quindi corre ai ripari: "Dobbiamo assolutamente arrivare a gennaio, a quel punto il governo tecnico non si farà più". In effetti i contatti tra Bersani, Casini, Fini e D'Alema stanno ormai diventando quotidiani. L'oggetto del confronto è di certo la revisione del "Porcellum". Ma anche la definizione di un "cartello" elettorale per fronteggiare il fronte Pdl-Lega alle eventuali elezioni della prossima primavera. Una mossa per stravolgere l'attuale quadro politico. Un'opzione diventata prioritaria nelle analisi dei vertici democratici. L'idea di un'intesa con l'ex leader di An fino a luglio veniva decisamente scartata dal segretario pd. Ora, invece, il quadro è cambiato. E D'Alema è arrivato a parlare esplicitamente di una "Alleanza costituzionale". Un patto da stringere subito per dar vita ad una nuova maggioranza che, possibilmente, appoggi un esecutivo transitorio e con un'agenda limitata: la crisi economica e la valutazione di un'ipotesi di riforma elettorale. Per poi giocarsi le carte nella competizione elettorale contro l'inquilino di Palazzo Grazioli. Una sorta di moderno Cln che governi il Paese per un breve periodo e quindi si ridivida in due nuovi schieramenti. "Dobbiamo prepararci - sono i ragionamenti che Bersani e il presidente del Copasir stanno facendo con gli uomini dell'Udc e con i finiani - perché tutto sta precipitando. E da soli si rischia di offrire un'altra chance a Berlusconi". Riflessioni che, dalle parti di Largo del Nazareno, si basano su un presupposto: chi avrà la maggioranza alla Camera dopo le prossime elezioni, sceglierà anche il nuovo presidente della Repubblica. "Se insomma - sono i loro conteggi - il premier confermerà a Montecitorio 340 deputati con il premio di maggioranza, basterà conquistare 140 senatori (meno dei 158 necessari per la maggioranza assoluta) per farsi mandare sul Colle". E nonostante i sondaggi diano il presidente del consiglio in calo (la sua popolarità è scesa al 42% e il Pdl è calato ben sotto il 30%), l'accordo con la Lega al momento gli garantisce la vittoria alla Camera, soprattutto se saranno tre i poli a presentarsi. A Palazzo Madama, invece, al Cavaliere basterebbe spuntare una maggioranza relativa. Non a caso proprio ieri il capogruppo democratico, Dario Franceschini, ha iniziato a prospettare una coalizione tra il Pd e il "terzo polo formato da Casini, Fini e Rutelli". Replicando il modello siciliano studiato da Lombardo. Scenari che sono arrivati all'orecchio del Cavaliere e che hanno gettato scompiglio nel quartier generale del Pdl. "Quelli di Futuro e libertà - si è sfogato il presidente del consiglio - se ci sarà uno scontro vero, si divideranno. E con Fini rimarranno solo gli estremisti. Noi, però, dobbiamo fare di tutto per arrivare a gennaio. A quel punto il governo tecnico non ci sarà più e andiamo a votare a marzo". Fino ad allora è pronto a "ingoiare tutti i rospi". Poi, dopo aver licenziato la Finanziaria 2011 scatterà il "redde rationem". I rospi, però, rischiano di essere un bel po'. Ieri, ad esempio, Casini - con l'appoggio del Pd - ha chiesto alla conferenza dei capigruppo di Montecitorio di calendarizzare la riforma elettorale. E la prima risposta, non a caso, è venuta dai finiani: "Noi sul quel versante - dice Italo Bocchino - ci stiamo e come". E forse è stato un consiglio interessato quello dato da Pasquale Viespoli, il capogruppo di Fli al Senato, ai berlusconiani Bondi e Quagliariello: "Intestatevi voi la guida della riforma elettorale, altrimenti lo facciamo noi". Ma il Cavaliere da questo orecchio non può sentirci. Cercherà, tatticamente di lasciare la porta socchiusa. Ma Umberto Bossi lo ha avvertito: "Questa legge è il tuo vero salvacondotto". Solo con il Porcellum, infatti, il capo del Pdl può davvero iscriversi alla corsa che porta al Quirinale. Solo con il "premio di maggioranza" le chance dell'asse Silvio-Umberto possono rimanere intatte. Eppure il clima tra i peones di Montecitorio e Palazzo Madama nelle ultime 24 ore è improvvisamente cambiato. La fiducia "condizionata" data dai finiani mercoledì alla Camera, ha reso meno "appealing" le sirene berlusconiane. "Chi vuole evitare il voto anticipato - ammetteva amaramente ieri un deputato pidiellino - fino a martedì doveva schierarsi con Berlusconi. Ora si deve mettere con Fini e Casini". Senza contare che a Palazzo Grazioli nessuno si aspettava, ad esempio, il "voltafaccia" dei tre diniani: prima pronti a votare la fiducia, poi decisi a resistere. "È stato facile convincerli - racconta un big del Pd -. Hanno capito che l'aria sta cambiando". Su Palazzo Chigi, poi, si è ieri addensata un'altra nube. L'inchiesta che sta coinvolgendo il presidente del Senato, Renato Schifani. "Non vorrei - ha sospirato Berlusconi - che sia solo un atto preparatorio per colpire me". (01 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/01/news/voglia_cln-7602563/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il ministro: "E basta darmi del nazista". Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2010, 10:41:08 pm L'intervista
Maroni al sindacato: "Isolare i violenti Sia responsabile, mantenga il controllo" Il ministro: "E basta darmi del nazista". Sulla manifestazione Fiom di domani: "Sappiamo che da Firenze arriveranno anche gli anarchici. Mi devo preoccupare oppure no? Saranno a San Giovanni solo per ascoltare? Pensate a quanto accaduto a Bonanni, Schifani e Ichino" di CLAUDIO TITO ROMA - "Io non voglio incidenti e lo dico anche nell'interesse della Fiom. In momenti come questo serve una presa di distanza dai violenti da parte di tutti i soggetti democratici". Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non nasconde che la manifestazione organizzata dalla Fiom per domani è piena di insidie. "Ci sono già stati degli episodi che non possono essere giustificati", ricorda. E avverte che farà di tutto per impedire che si ripetano: "Io comunque faccio riferimento al vostro articolo. L'allarme è del Copasir e dei servizi". Lei ha segnali precisi su chi potrebbe far deragliare la manifestazione? "Sappiamo che la Fiom ha invitato alcuni centri sociali. Se arrivasse anche quello che ha occupato la sede di Confindustria a Padova, cosa dovremmo pensare? Che il rischio c'è, e noi lo vogliamo evitare". Quindi anche la Fiom ha delle responsabilità? "Il problema non è la Fiom. Ma quelli che vogliono utilizzare il corteo per infiltrarsi tra le 50-60 mila persona che parteciperanno alla manifestazione, per andare in giro a spaccare qualche vetrina o qualche testa. Il nostro invito è stato allora al servizio d'ordine: bisogna mantenere il controllo fino alla fine e anche dopo. Credo poi che tutti, in questo momento, debbano fare appello al senso di responsabilità". Ma avete dei sospetti su qualcuno in particolare. Pensate a gruppi italiani o a quelli provenienti dall'estero come i black blok. O a qualcosa di più, a elementi dell'eversione? "Alcuni centri sociali hanno dichiarato che verranno a Roma. Se arriva quello di Padova, il Pedro, cosa facciamo? Si sono vantati di aver occupato la Confindustria, possiamo permettere che lo facciano pure a Roma? Se ci saranno anche i disobbedienti di Casarin, sono curioso di sapere cosa faranno. Diranno che sono stati invitati o che sono venuti da soli? Sono sicuro che vorranno approfittare della maggiore risonanza. Ma io, lo ripeto, non voglio incidenti. E lo dico nell'interesse di tutti e della Fiom in primo luogo". Questo allarme, però, rischia di condizionare la manifestazione di domani. "È una sciocchezza. Sono sempre i soliti, come quel De Magistris, a dire queste cose in giro. Ma io mi sono stancato di chi mi accusa di essere un nazista. Io voglio solo che tutto si svolga pacificamente. E che ci sia uno scambio di informazioni con gli organizzatori". Informazioni di che tipo? "Ho incontrato il segretario della Fiom e mi ha detto: "Non abbiamo conoscenza del fatto che qualcuno voglia venire a Roma per provocare incidenti". Ma noi sappiamo che da Firenze un gruppo di anarchici è intenzionato a raggiungere Piazza San Giovanni. Per fare cosa? Solo per ascoltare? So anche che si stano muovendo quelli di Askatasuna, quelli che a Torino hanno tirato un fumogeno a Bonanni. Devo preoccuparmi oppure no?". Ammetterà, però, che chi sente parlare di questi pericoli è meno invogliato a prendere parte alla manifestazione. Per qualcuno l'allarme preventivo può determinare il successo o l'insuccesso dell'iniziativa. "Figuriamoci! Tant'è che queste preoccupazioni non sono emerse tra gli organizzatori ma da qualche politico". Ma lei ha parlato solo con la Fiom o anche con i partiti che hanno aderito alla manifestazione? "Solo con gli organizzatori e resto convinto che alla fine prevarrà il senso di responsabilità al netto di qualche dichiarazione bellicosa. Ma il problema è un altro". Quale? "Se, come qualche giornale ha fatto, vengo accusato di violare la Costituzione, di essere un colluso con la mafia, di essere un nazista, allora qualcuno può pensare che io sia da eliminare. È il clima del paese che può provocare incidenti". A cosa si riferisce? "Mi riferisco a una serie di episodi: penso a Schifani, a Bonanni a Ichino. Io quegli episodi non li giustifico e non li sottovaluto". Ma questo clima può essere creato pure dalla situazione economica del Paese? Dalla disoccupazione crescente o da scelte come quella della Fiat di Pomigliano? "No, il rischio è che qualcuno utilizzi il corteo per scopi violenti. Il sindacato fa il sindacato e gli industriali fanno gli industriali. Io non temo il confronto aspro. Nel 2002 Cofferati fece una manifestazione con 3 milioni di persone e non è successo nulla. La Cgil fece in modo che non ci fossero incidenti. Adesso temo l'utilizzo del corteo da parte di chi vuole fare violenza a prescindere dai contenuti". Pensa ad un'azione bipartisan per evitare che la temperatura si abbassi? "Non parlo solo di politica. Serve una presa di distanza dai violenti forte e netta da parte di tutti i soggetti democratici". Martedì intanto le scene di violenza si sono consumate allo stadio di Genova. Tutto è successo solo per un difetto di comunicazione con le autorità serbe? "Noi abbiamo seguito le procedure standard. Con l'Interpol di Belgrado. Abbiamo ricevuto due telex. nel primo ci dicevano che sarebbero arrivati un centinaio di persone e ci hanno dato pure la targa di un minibus. Nel secondo che erano stati acquistati 1200 biglietti. Ma non ci hanno evidenziato alcun pericolo". Non si poteva impedirne l'arrivo? "Non c'è alcun modo. Avremmo dovuto sospendere Schengen, ma lo si fa in altre condizioni". Magari potevate attivare i nostri servizi. "Per noi, in questo caso, i servizi sono l'Interpol. Se ci fosse stato il Daspo internazionale, allora sì che avremmo impedito l'arrivo di quella gente. Poi certo lo stadio di Marassi non ci ha aiutato. Forse dovremo individuare stadi "sconsigliabili" per queste occasioni". Vi risulta che gli ultras serbi siano stati ospitati da ultras italiani? "No. Ci risulta semmai che i tifosi doriani e genoani si sono schierati contro quelle persone". Alla luce di questo episodio, tiferebbe ancora per l'ingresso della Serbia nell'Unione europea? "Certo, i Balcani sono il cuore dell'Europa. Solo così si possono isolare i violenti. Con la collaborazione e lo scambio di investigatori". (15 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/15/news/fiom_intervista_maroni-8069458/?ref=HREC1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Bersani Cisl e Uil non hanno tradito ... Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2010, 10:03:55 am L'intervista
Bersani: Cisl e Uil non hanno tradito "Il Pd non sceglie tra i sindacati" "Il nostro è un partito di governo momentaneamente all'opposizione e in quanto tale non è un sindacato, non aderisce a manifestazioni sindacali". IL segretario del Pd lo ripete più di una volta: sono due cose diverse e distinte di CLAUDIO TITO IL GIORNO dopo la "pacifica" manifestazione della Fiom, il segretario del Pd non nasconde che tra i democratici siano emerse divisioni. Ma sostiene che il suo partito non debba schierarsi nei confronti sindacali. Ritiene che il suo compito debba essere quello di lanciare un nuovo "Patto sociale" per affrontare l'emergenza-lavoro. E per questo si batte per "l'unità di Cgil, Cisl e Uil". "Ma - premette - sono irritato per come qualcuno ci descrive. Noi non siamo incerti, non abbiamo una linea opportunista. Chi lo dice non capisce un accidente". Con chi ce l'ha? "Con qualche commentatore. Il Pd è un partito che discute. Ma soprattutto ha un compito diverso da quello di aderire o meno a manifestazioni sindacali". Sta di fatto che nel campo dell'opposizione la confusione non è mancata. C'è chi ha appoggiato la linea della Fiom e chi quella della Cisl. "I metalmeccanici della Fiom hanno diverse buone ragioni e vanno ascoltati. Così come quelli della Fim e della Uilm non possono essere considerati dei traditori. E vanno ascoltati anche loro. Chi può ricomporre l'unità, deve dare una mano. Un partito di governo come il nostro, lo ribadisco, non è un sindacato. Si definisce per il patto sociale che propone". Intanto, sabato scorso Bonanni e Angeletti sono stati accusati di tradimento. "Non va bene, l'ho detto. C'erano dei cartelli inaccettabili, ma il leit motiv di quella manifestazione non è stato questo, non è stata la cifra del corteo. Proprio perché in giro c'è questo tipo di problema, ci sono questi toni e queste tensioni, bisogna fare in modo di raffreddare il clima". Le divergenze tra i democratici hanno sfiorato la spaccatura. "E infatti lo dico anche ai miei. Il compito del partito è avere un progetto suo da portare ovunque e non misurare le distanze da un sindacato". E' la linea per tenere insieme Casini e Vendola? Il leader Udc sostiene che la manifestazione di sabato non può essere la base per un'alternativa riformista. "Ma Casini ha anche detto che non si può lavorare per dividere il mondo del lavoro. La gente che stava a San Giovanni è una fonte di energia che va considerata. Guai a pensare che le forze del lavoro e anche quelle delle impresa non siano una risorsa per un progetto di alternativa". Non avverte il pericolo che proprio su questo terreno possa venire meno la possibilità di costruire un'alleanza per battere Berlusconi? "Certo che ho questa preoccupazione e per questo sto lavorando. L'alternativa deve nascere sulla ricomposizione. Sto lavorando per dare corpo all'alternativa con un progetto". Nel frattempo, quando bisognerà schierarsi sulle scelte del sindacato, cosa farete? Ad esempio, appoggerete lo sciopero generale? "Non mi avventuro in scelte che toccano al sindacato. Epifani ha detto che se non verranno risposte, allora ci sarà lo sciopero. Questo per me vuol dire che si può aprire un percorso di confronto. Altrimenti spero che le scelte siano unitarie". Intende dire l'unità di Cgil, Cisl e Uil? "Devono ritrovare la strada del confronto. Perché vedo davanti a noi mesi complicati. Più di un milione e seicentomila persone hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. Le tensioni sindacali rischiano di diventare tensioni tra lavoratori. Ho visto litigare gente che ha lavorato per trent'anni insieme. In questo momento serve senso di responsabilità". Il segretario della Cisl dice che in piazza si è cercata solo l'unità della sinistra. Il sindacato vuol trasformarsi in partito? "E' un'idea fuori dalla realtà". Nel governo c'era chi si aspettava qualche incidente. "E invece è stato tutto pacifico. Certo, non sono mancate posizioni non condivisibili e non mi riferisco al sindacato. Ma abbiamo anche un governo irresponsabile con un ministro del Lavoro che accende il fuoco anziché spegnerlo". Proprio Sacconi sostiene che a protestare c'era l'Italia minoritaria. "La piega di Sacconi è ormai mistica. Pensa a un Paese che si è messo in testa solo lui. C'è un'ideologia berlusconian-tremontian - sacconiana per cui, di fronte all'emergenza della globalizzazione e del lavoro, non si può fare niente. Noi abbiamo un'altra idea". Quale? "Serve un nuovo "patto sociale". In tutto l'occidente c'è la crisi del lavoro. Certamente bisogna spostare l'attenzione sul livello aziendale di contrattazione e flessibilizzare il livello nazionale". Il contratto nazionale per la Cgil non si tocca. Lei mette il dito nelle divisioni del sindacato. "Tutti sanno che la globalizzazione richiede uno sforzo. Per spostare il confronto sul livello aziendale, bisogna pure porre il problema delle regole della rappresentanza. Cioè di una democrazia più compiuta sui luoghi di lavoro. Avremo inoltre bisogno di una nuova legislazione sul lavoro". Ad esempio? "In primo luogo introdurre il salario minimo per chi è fuori dalla contrattazione nazionale. Poi, a parità di costo del lavoro, evitare che un'ora di lavoro precario costi meno di un'ora di lavoro stabile. Non ci può essere l'incentivo al lavoro precario. Per battere i cinesi, insomma, non possiamo diventare anche noi cinesi. Bisogna poi mettere il patto sociale dentro una politica economica industriale fatta di riforme a cominciare da quella fiscale. Certo, questo governo non la farà. Ma non possiamo aspettare che Tremonti apra il discorso solo perché si avvicinano le elezioni". Anche lei definirebbe Marchionne un dittatore? "No, semmai è diventato un po' americano. Ma il problema è che non ha avuto un governo e un ministro. Nessuna interlocuzione, non hanno fatto niente. In questo contesto Marchionne fa un po' il battitore libero". (18 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/18/news/intervista_bersani_tito-8170454/?ref=HREC1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. L'ira di Bossi: pronti all'esecutivo tecnico ... Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2010, 03:12:25 pm IL RETROSCENA
L'ira di Bossi: pronti all'esecutivo tecnico "Il governo non può telefonare alla polizia" «Dobbiamo prepararci. Il governo tecnico è alle porte. E noi andremo all'opposizione. Per certi versi è pure un bene». d La sua analisi è spietata. E non lascia spazio a vie di fuga. Fini valuta la rottura col Pdl, ma vuole arrivarci sulla giustizia e non sul Rubygate di CLAUDIO TITO EPPURE il quadro dipinto ieri da Umberto Bossi ha colto di sorpresa pochi dei membri della segreteria della Lega riunita d'emergenza ieri a Via Bellerio. Il braccio di ferro ininterrotto con Gianfranco Fini, gli esodi che stanno travagliando il Pdl e ora lo shock del «Rubygate» stanno facendo crollare le azioni del quarto esecutivo Berlusconi. Tutti fattori che l'istinto politico del Senatur ha captato con nettezza. Infatti, davanti ad un centrodestra che un "colonnello" berlusconiano definisce «sfinito e depresso», si sta facendo sempre più largo la tentazione del blitz, della spallata al governo. Nelle ultime 48 ore, i contatti tra il segretario del Pd Bersani, il leader Udc Casini, il presidente della Camera Fini e il capogruppo democratico Franceschini si sono via via intensificati. Soprattutto si è accelerato il pressing sul capo di Futuro e Libertà. Che mai come in questo momento ha iniziato concretamente a valutare l'idea di «rompere». Nei colloqui che Fini ha avuto con i vertici del suo movimento e con i rappresentanti dell'opposizione, ha fatto capire che stavolta «qualcosa è cambiato». «Ma il campo su cui far cadere il governo - è il suo ragionamento - non può essere quello delle compagnie femminili del premier». Il «Rubygate», insomma, non può essere l'appiglio per disarcionare il Cavaliere. I finiani, semmai, ora alzeranno il tiro su due fronti: la giustizia (lo stesso Fini ha dato il primo segnale ieri), e su «l'abuso di potere». Il percorso, dunque, non è più quello fissato fino alla scorsa settimana. Non si tratta di aspettare le amministrative di primavera per «cuocere» il presidente del consiglio. Perché, come Casini ha fatto notare ai suoi interlocutori prima di partire per gli Stati uniti, «Berlusconi non sarà mai più così debole». Una debolezza non solo politica ma connessa al «malessere» dei vertici dell'Amministrazione pubblica, alla «freddezza» di ampi settori della Confindustria e alla distanza che le gerarchie ecclesiastiche hanno frapposto tra Palazzo Chigi e Oltretevere. Una considerazione che ha colpito non poco il presidente della Camera. E che sta corroborando le riflessioni di Bersani e Franceschini. Non a caso l'opzione di presentare nei prossimi giorni una mozione di sfiducia sul caso «Ruby» per coinvolgere subito i finiani è stata accantonata. Sia il segretario Pd che il capogruppo hanno recepito il messaggio dei finiani: «non potete pretendere di farci votare la sfiducia su una cosa del genere». Ma sul resto la tensione verrà subito alzata. Nel Pdl poi è ormai scattata la sindrome del «si salvi chi può». Molti dei «maggiorenti» del Popolo delle libertà hanno cominciato a parlare con franchezza persino con gli uomini del centrosinistra: «Così non si va avanti, non abbiamo più un leader. Forse è addirittura meglio che facciate un governo tecnico». L'esodo verso Fli e Udc è senza sosta, in modo particolare a livello locale. E intanto il presidente del consiglio si sente sempre più «accerchiato» e sospetta l'esistenza di un piano per «screditarmi a livello internazionale». Per non parlare della crudezza con cui ieri Bossi ha parlato di Berlusconi e della sua coalizione. Con i big lumbard è stato pesantissimo nei confronti dell'inquilino di Palazzo Chigi anche in riferimento alla vicenda «Ruby». «Ma come gli viene in mente di chiamare la Questura. Un uomo del governo non può farlo, è a dir poco inopportuno. Questa è una cosa che danneggia noi. Ci fa perdere voti, soprattutto a Milano. Come lo spieghiamo?». E ancora: «Il redde rationem sarà a gennaio. Prepariamoci, Silvio cadrà e noi andremo all'opposizione. E ci resteremo. Qualcuno mi dice di un governo Tremonti, ma non esiste. Noi stiamo con Silvio. Tanto il governo tecnico dura comunque poco. Poi si torna al voto. E tutto sommato, prima delle urne, se stiamo un po' all'opposizione ci fa bene. Ci rigenererà». L'obiettivo leghista è far arrivare la legislatura almeno fino a febbraio, quando scadranno i termini per i pareri da formulare ai decreti sul federalismo. Scaduti quei termini, i decreti entreranno in vigore. «A noi basta», ha ripetuto il Senatur. Che nel frattempo ha aperto di fatto la campagna elettorale. Il prossimo 20 novembre, infatti, si riunirà il «Parlamento del nord» che giaceva in sonno da anni: «Lì inizieremo a rullare i tamburi». Una situazione senza vie di fuga di cui il Cavaliere ora inizia a preoccuparsi. «Al consiglio europeo - si è sfogato ieri con i fedelissimi - si parlava solo di quella Ruby. Avevano tutti in mano il New York Times. Ma se arriviamo a dicembre, il governo tecnico se lo scordano». Con l'ultimo scandalo, però, si è riaperto anche il fronte della Chiesa. Gianni Letta è dovuto correre ai ripari. Ha obbligato il premier a partecipare lunedì prossimo ad un meeting sulla famiglia organizzato da Carlo Giovanardi e a prevedere una manovrina a dicembre per finanziarie le scuole cattoliche. Il tutto mentre giovedì scorso si verificava un'assoluta novità per il centrosinistra. Quasi l'intero stato maggiore democratico (ad eccezione di Bersani) è stato ricevuto da Mons. Fisichella e da Josè Martins, ex prefetto della Congregazione per la santificazione. D'Alema, Franceschini, Finocchiaro hanno conversato per quasi un'ora con i due prelati. Segno che davvero nelle sale ovattate del Vaticano qualcosa è cambiato. (30 ottobre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/10/30/news/bossi_premier-8574104/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Ultima offerta il Berlusconi bis" ma Fini dice no all'amico Gianni Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 12:12:49 am IL RETROSCENA
"Ultima offerta, il Berlusconi bis" ma Fini dice no all'amico Gianni Il premier pronto alla crisi pilotata: ma non mi ritiro. Fini gela il sottosegretario: "Non basta cambiare tre ministeri, Silvio faccia un passo indietro". Palazzo Chigi tratta anche sulla legge elettorale: possibile il ritorno al Mattarellum di CLAUDIO TITO "MA E' VERO quello che mi dicono i leghisti? Saresti disponibile ad un Berlusconi bis. Appoggeresti davvero un nuovo governo di Silvio?". La battaglia sulle dimissioni del ministro Bondi si era appena conclusa. La tensione nei corridoi di Montecitorio era altissima. La maggioranza alle prese con l'ennesimo psicodramma: un altro membro dell'esecutivo a un passo dall'addio. E proprio in quel momento, Gianni Letta, ha deciso di tentare l'ultima mediazione. L'estrema trattativa con Gianfranco Fini. È entrato alla Camera da un ingresso secondario e si è diretto al primo piano, nello studio del presidente. Una mossa concordata poco prima con Silvio Berlusconi in partenza per il G20 di Seul. "Se si tratta di fare una crisi pilotata, solo un passaggio rapido al Quirinale e una compagine governativa rinnovata - queste le condizioni dettata dal Cavaliere al suo braccio destro - allora se ne può parlare". Ma la risposta ricevuta dal "plenipotenziario" di Palazzo Chigi non è certo stata delle più confortanti. "Ma di che stai parlando? Questa - lo ha rimbrottato - è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Io non posso fare tutto questo per due ministeri in più". Fini vuole la "svolta". Un nuovo equilibrio nella politica italiana. E, infatti, l'unica ipotesi che i finiani prendono in considerazione per ricucire con "questo centrodestra", è il "passo indietro del Cavaliere". Un concetto che il leader di Futuro e Libertà ha ripetuto Clicca Qui! ai suoi fedelissimi: "È chiaro, che se il nuovo governo fosse presieduto da un altro, da Tremonti, da Maroni, da Letta o da Alfano, tutto cambierebbe. Sarebbe un'altra partita". Un'opzione, però, inaccettabile per il presidente del consiglio. Non a caso il suo sottosegretario l'ha deliberatamente scartata in anticipo: "È chiaro - ha spiegato a Fini - che il capo del governo sarebbe Silvio. Lui non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Su questo nessuna trattativa è possibile". Il rapporto tra Letta e l'inquilino di Montecitorio, anche in questa fase di maggior attrito nel centrodestra, è sempre scivolato sui binari della cordialità. E anche stavolta il clima tra i due è rimasto privo di ostilità. Tanto che lo stesso sottosegretario, di fronte alle argomentazioni esposte si è limitato a dire sconsolato: "Me ne rendo conto". Subito dopo, Letta ha riferito a Berlusconi l'esito della missione. Facendo cadere il castello di certezze costruito nelle ultime ora dagli ambasciatori lumbard. Che nei contatti informali con Fini avevano invece prospettato alcune soluzioni per solleticare l'ex alleato: tre dicasteri a Fli, il siluramento degli ex colonnelli di An come La Russa e Matteoli, la riforma elettorale e il quoziente familiare per invogliare i centristi dell'Udc. E, se fosse possibile, il coinvolgimento diretto di Fini e Casini nella "squadra". Non è un caso che stamattina per rendere più concreta l'offerta, il Pdl ha improvvisamente riunito il gruppo del Senato per mettere in campo una nuova legge elettorale. E dal cilindro è uscita la modifica del porcellum con l'introduzione di una soglia minima per accedere al premio di maggioranza o addirittura il ritorno al Mattarellum (il Cavaliere ha già ordinato dei sondaggi per verificare il risultato dell'asse Pdl-Lega se venisse ripristinato il vecchio sistema). Tutte ipotesi, però, che l'uomo di Montecitorio ha declinato rinviando all'incontro di stamane con Umberto Bossi. E forse quel "vediamo con Bossi", è stato male interpretato dai big lumbard come Maroni e Calderoli. Tant'è che il summit di oggi viene considerato una sorta di formalità. Basti pensare alla domanda che ancora Letta ha posto ieri al presidente della Camera prima di salutarlo. "E la finanziaria? Su quella cosa fate?". "Faremo in modo - ha replicato - che venga approvata". Una formula che non ha affatto tranquillizzato l'emissario berlusconiano. In effetti, il percorso studiato dallo stato maggiore di Fli - a meno che Berlusconi non faccia davvero un passo indietro - prevede un escalation rapidissima. Se Tremonti porrà la fiducia sulla manovra economica, ad esempio, i finiani non parteciperanno al voto. Approveranno la Finanziaria ma non la fiducia. "Se questo non bastasse a far dimettere Berlusconi - spiegano gli uomini del presidente della Camera - allora dopo il via libera definitivo alla legge di stabilità, saranno i gruppi di Futuro e Libertà a presentare la mozione di sfiducia". Un destino, insomma, che i finiani considerano ormai segnato. Tanto da aver messo già in programma per sabato mattina le dimissioni della delegazione governativa. La data è stata scelta per aspettare che il presidente del consiglio torni in Italia dopo il G20 coreano. "Io però - ha fatto sapere Berlusconi - vado avanti comunque. aspetto la sfiducia". Sebbene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si aspetti un passaggio sul Colle da parte del premier dopo l'addio dei finiani. E ieri, durante il Consiglio Supremo di difesa, non ha nascosto di voler mantenere una linea di totale equidistanza in vista dell'apertura della crisi: ha evitato con cura di parlare con il capo del governo della situazione politica. L'ultimo capitolo del rapporto tra Fini e Berlusconi, quindi, verrà scritto solo quando sarà stata votata la sfiducia. Fino a quel momento il Cavaliere vuole tirare avanti e prendere tempo. Per dare corpo ad una nuova campagna acquisti che impedisca la nascita di un esecutivo tecnico. E per far svanire uno degli incubi che da qualche giorno si materializza nei ragionamenti del Cavaliere: "E se Bossi, a crisi aperta, facesse un passo verso chi vuole far nascere un altro governo?". Perché almeno ad un tavolo, il Senatur vorrà comunque sedersi: quello della riforma elettorale. (11 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/11/news/ultima_offerta_il_silvio_bis_ma_fini_dice_no_all_amico_gianni-8985898/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il Quirinale teme l'aut-aut di Bruxelles i conti in rosso pesano.. Inserito da: Admin - Novembre 25, 2010, 09:15:09 am IL RETROSCENA
Il Quirinale teme l'aut-aut di Bruxelles i conti in rosso pesano sull'esito della crisi Le scelte del Consiglio europeo di dicembre sulla riduzione del debito pubblico possono condizionare l'esito del prossimo voto di fiducia. La Ue potrebbe chiederci una manovra correttiva né ribaltoni, né voto anticipato di CLAUDIO TITO ROMA - La crisi economica, i mercati finanziari in fibrillazione, l'euro in pericolo. E soprattutto la concreta possibilità che l'Italia debba mettere mano nel 2011 ad una pesante manovra correttiva su richiesta dell'Unione europea. Sulla resa dei conti dentro la maggioranza si sta allungando un'ombra che non era stata presa in considerazione. E che ora, però, sta diventando il centro dei colloqui informali del capo dello Stato in vista del voto di fiducia: "Un problema che non si può sottovalutare". E già, perché da alcuni giorni Napolitano sta richiamando l'attenzione sulle decisioni che il prossimo 15 dicembre potrebbe adottare il Consiglio europeo. L'ordine del giorno, infatti, prevede la revisione del patto di stabilità. E al suo interno un capitolo che tocca molto da vicino il nostro Paese: il risanamento del debito pubblico. L'accordo non è scontato. La Commissione europea, però, da tempo ha chiesto l'adozione di misure severe per costringere i partner europei ad avvicinarsi al parametro che prevede la soglia del 60% nel rapporto debito-Pil. "Possiamo permetterci di sottovalutare questo problema? - è il richiamo del presidente della Repubblica - Nessuno può farlo". Anche se il voto di fiducia del 14 dicembre che sta facendo traballare il centrodestra è ormai vicino. Proprio il giorno prima del summit europeo, dunque, il governo potrebbe essere sfiduciato e presentarsi dimissionario alla delicatissima trattativa di Bruxelles. Un elemento che costituisce una "preoccupazione" per la massima carica del Paese e che sta diventando l'oggetto dei contatti tra le forze politiche di centrodestra e dell'opposizione. Soprattutto sul Colle stanno ora sottolineando l'opportunità che ad affrontare una situazione di questo tipo sia un governo nella pienezza dei suoi poteri e con una maggioranza solida. Perché se la revisione del patto di Stabilità dovesse imporre una rientro dal debito in tempi brevi, un primo intervento potrebbe rendersi necessario già in primavera. L'Italia ha in Europa il debito più alto, con il 118,2%, dopo la Grecia (124,9%). E se venissero confermate le iniziali richieste della Commissione, si tratterebbe di una correzione dei conti superiore a 25 miliardi di euro. Una stangata che solo un esecutivo solido e non preelettorale si può permettere. Come dice Pier Ferdinando Casini, "servirebbe una Grande coalizione come in Germania". E allora non è un caso che lo stesso Berlusconi di recente abbia iniziato a parlare in termini tranquillizzanti di Napolitano: "Ormai è chiaro che non avallerà ribaltoni". Ma è anche chiaro raccontano gli uomini del Pd in contatto con il presidente della Repubblica che "non vuole nemmeno arrivare alle elezioni anticipate". E in effetti il messaggio lanciato dagli ambasciatori del Colle è proprio questo: "Né ribaltoni, né voto anticipato". In caso di crisi, il capo dello Stato si atterrà ovviamente alle prerogative che gli attribuisce la Costituzione, nella convinzione che bisogna affrontare al meglio la tempesta economica che, partendo dall'Irlanda, rischia di investire l'intera Unione europea. "Chi si assume la responsabilità di andare al voto in questo contesto?", è la domanda che stanno ripetendo al Quirinale. Non solo. Napolitano ha nei giorni scorsi fatto notare le differenze tra l'attuale situazione e quella che portò alla formazione dei cosiddetti esecutivi tecnici, quello di Ciampi e quello di Dini. "Il primo - ha ricordato - venne indicato dal premier uscente Amato e aveva il sostegno dei quattro partiti di maggioranza con l'astensione del Pds. Il secondo venne indicato da Berlusconi e dal partito principale. Non si trattava di governi che non tenessero conto della maggioranza". La gravità della situazione allora sta orientando il confronto in tutte le forze politiche. "Chi chiede di andare a votare con una tale emergenza?", si interroga il segretario Pd, Pierluigi Bersani. Tra i democratici non manca chi ricorda la solidarietà nazionale, una formula varata anche perché l'inflazione navigava oltre il 20%. "Forse - è il dubbio di Pier Ferdinando Casini - sarebbe meglio anche per noi che Berlusconi andasse ancora un po' avanti. Anche per tenerlo a bagnomaria". Ma investe in primo luogo il centrodestra. Il Cavaliere ha iniziato a prendere in esame l'ipotesi del bis con un allargamento ai centristi. Ma si sta anche squarciando in anticipo il velo che copriva la corsa al "dopo-Berlusconi". Perché, come scriveva l'Economist, "Berlusconi non rappresenta la stabilità, ma la stagnazione". "Se avremo una fiducia risicata - ammette allora un autorevole ministro del Pdl - potremo davvero andare avanti? E se Napolitano non ci darà le elezioni anticipate e non accetterà ribaltoni, cosa faremo? Dovremo dar vita ad un nuovo governo e una nuova coalizione. Senza Silvio, però". Appunto, un esecutivo che possa trattare a pieno titolo con i partner europei e sia in grado di sostenere l'impopolarità di eventuali misure draconiane. Non a caso, nel Popolo delle libertà sono in molti a far circolare il nome di Gianni Letta. L'unico che il Cavaliere può considerare una garanzia in caso di un suo passo indietro. L'unico che può convincere Fini e Casini a rientrare nella maggioranza. "Tremonti - si è lamentato di recente il premier - si sta dando troppo da fare. Non mi fido". Nella lista dei potenziali candidati, però, un posto è riservato al Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Nel taccuino dei finiani e dei centristi è il primo nome. Soprattutto se la crisi economica dovesse davvero assumere contorni tragici. (24 novembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/11/24/news/napolitano_e_la_crisi-9438170/ Titolo: CLAUDIO TITO. Lo scontro è aperto Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2010, 12:13:54 am di CLAUDIO TITO Lo scontro è aperto Lo scontro adesso è aperto. E sfiora il conflitto istituzionale. Le parole del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, contro il presidente della Repubblica aprono un altro fronte nella maggioranza. Il "ce ne freghiamo" scandito da quello che può essere considerato il segretario del partito di maggioranza relativa imbarazza buona parte dell'attuale centrodestra. Ma rappresentano soprattutto un motivo in più per Futuro e Libertà e Udc per prendere le distanze da Berlusconi in vista del prossimo voto di fiducia. Non a caso nel Pdl molti sono intervenuti per smentire e ridimensionare il coordinatore piediellino. Anche perché il monito di Napolitano al rispetto delle prerogative che la Costituzione gli assegna, in un primo momento era rivolto a tutti gli esponenti politici e a tutti gli schieramenti. Era anche un modo per rassicurare chi a Palazzo Chigi teme l'esistenza di un orientamento già definito contro le elezioni anticipate. Al di là delle precisazioni, quindi, il Quirinale si aspetta ora un chiarimento sulla vicenda. E lo staff del Cavaliere sta valutando come ricomporre una frattura che non viene considerata utile proprio in vista della prossima, probabile crisi di governo. Anche perché le parole di Verdini - non solo per il loro tono "mussoliniano" - sono state interpretate come una vera e propria minaccia. http://www.repubblica.it/politica/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. L'area dei ragionevoli e il diktat del premier Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2010, 09:11:28 am di CLAUDIO TITO
L'area dei ragionevoli e il diktat del premier "Casini vuole prendere il mio posto". Silvio Berlusconi boccia la proposta di Pier Ferdinando Casini di un governo di "armistizio" guidato da un esponente del Pdl, ma non dal Cavaliere. Il premier vuole andare avanti e sfida opposizion e finiani in vista della sfiducia del 14 dicembre. "Il testimone - dice - prima o poi lo lascerò, ma a giovani e non i vecchi maneggioni della politica". Nessuno passo indietro, dunque, soprattutto non a favore del leader centrista e di Gianfranco Fini. L'inquilino di palazzo Chigi non accetta il confronto su un altro presidente del consiglio e indica come unica soluzione lo sciogliemento anticipato. Casini e il capogruppo pd Franceschini avevano aperto la porta a un esecutivo di larghe intese e il capo dell'Udc aveva indicato tre possibili candidature: Letta, Tremonti e Alfano. Un'ipotesi basata sull'opportunità di non dar vita a "ribaltoni". Ma anche su una considerazione: il capo dello Stato ha comunque l'obbligo - in caso di sfiducia - di verificare se esista una maggioranza per un altro governo. Nella certezza che, dopo il 14, anche nel Pdl può aprirsi un altro scenario. Con tanti parlamentari impegnati a salvare il proprio seggio e quindi la legislatura. Come dice Casini, nel partito del Cavaliere si sta formando "un'area di ragionevolezza". http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2 Titolo: CLAUDIO TITO. Ma una terza ipotesi si affaccia ad Arcore. Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2010, 12:07:52 pm RETROSCENA
Il Cavaliere studia l'extrema ratio "Un altro premier del Pdl e io ministro" Fino al 14 nessuna subordinata allo schema fiducia o voto. Ma una terza ipotesi si affaccia ad Arcore. Il legittimo impedimento lo proteggerebbe anche con il nuovo incarico di CLAUDIO TITO Un "piano B". Una valvola di sicurezza se tutto dovesse precipitare. Un'exit strategy se i pezzi del puzzle disegnato da Palazzo Chigi non dovessero incastrarsi. Silvio Berlusconi anche stavolta ha iniziato a mettere a punto una via d'uscita. Da imboccare solo se il prossimo 14 dicembre il suo governo verrà sfiduciato. "Fino a quel giorno nessuno deve parlare di opzioni diverse - ha ordinato ai suoi fedelissimi - . Il nostro obiettivo è la fiducia piena e in caso contrario le elezioni anticipate. Ma dal 15 in poi valuteremo il da farsi". E nel "da farsi" ora compare anche la possibilità di un altro esecutivo, guidato da un altro esponente del Pdl, e che elenchi tra suoi i ministri proprio il Cavaliere. Magari in un dicastero che ha già ricoperto ad interim, quello degli Esteri. Si tratta solo di una extrema ratio da adottare solo se la situazione non presenterà alternative. Una "mossa del cavallo" per sorprendere tutti e uscire dall'angolo avendo ancora lo "scudo" del legittimo impedimento. Sta di fatto che il progetto ha iniziato a fare capolino dalle parti di Arcore. Un'eventualità che nel week end lo stesso presidente del consiglio ha soppesato. Mal volentieri, certo, ma ammettendo che dopo il 14 "tutto va preso in considerazione". Le "colombe" del suo partito, del resto, sono da tempo all'opera per attenuare la violenza dello scontro con Fini e Casini. Hanno messo in guardia l'inquilino di Palazzo Chigi sulle conseguenze dello scontro all'ultimo sangue. Ci ha provato Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Persino Umberto Bossi lo ha invitato a trovare un'intesa con il presidente della Camera. Soprattutto hanno cercato di fargli capire che la bocciatura dell'esecutivo a Montecitorio potrebbe comportare lo "slittamento" di molti peones verso il sostegno ad un nuovo governo. Una spinta che nel centrodestra potrebbe rivelarsi fatale. Pure nel "blindatissimo" Palazzo Madama, i numeri potrebbero improvvisamente ribaltarsi dopo il 14. Basti pensare a Beppe Pisanu che ripete ad ogni piè sospinto: "Io sono contro le elezioni anticipate". Oppure alla pattuglia dei cosiddetti "scajoliani". Timori che stanno scuotendo il partito di maggioranza relativa impegnato a escogitare un "patto di fedeltà" tra i senatori. Che, però, non riesce a prendere corpo. "Io - ha ripetuto ieri Berlusconi - sono sicuro che avremo i numeri anche alla Camera. Verdini e La Russa me lo hanno giurato. E comunque non voglio farmi ricattare da nessuno". Eppure, anche il Cavaliere sa che in caso contrario la strada delle urne potrebbe, appunto, non essere scontata. Anche per le attenzioni che il Quirinale sta rivolgendo alla grave crisi economica, alla burrasca che sta attraversando l'euro e alle difficoltà del nostro debito pubblico. Non a caso, dicono sul Colle, è sbagliato prefigurare alcunché fino a quando non si conoscerà la portata della verifica parlamentare. Proprio per questo, l'inquilino di Palazzo Chigi non vuole trovarsi impreparato davanti al peggio. E insieme alle "colombe" non esclude ora che, se la richiesta di scioglimento delle Camere non verrà accolta, l'alternativa potrebbe essere sì un altro governo guidato da un esponente del Pdl, ma con lui stesso membro del nuovo esecutivo. In particolare come responsabile della Farnesina. Una mossa fatta apposta per mettere in difficoltà Fli e Udc. E soprattutto un modo per blindarsi rispetto a quella che da sempre chiama la "persecuzione giudiziaria". Perché se la Corte costituzionale, proprio il prossimo 14 dicembre, dovesse confermare la costituzionalità del legittimo impedimento, lui continuerebbe a usufruirne. Quella norma, infatti, vale fino ad ottobre 2011 per il presidente del consiglio e per i ministri. Non solo. Poiché il Cavaliere considera Gianni Letta e Angelino Alfano gli unici affidabili per la realizzazione di questo quadro, conquisterebbe una serie di benefici: contare su un premier "leale", su una presenza costante e "dominante" in consiglio dei ministri, sulla possibilità di continuare a mantenere tutti i contatti con le cancellerie straniere. Soprattutto verrebbero lasciate inalterate le sue chance di una ricandidatura alle elezioni del 2013 e alla corsa per la successione al Quirinale. A quel punto, raccontano le "colombe" che hanno indotto il presidente del consiglio a valutare questa possibilità, "per Fini e Casini sarà davvero difficile sottrarsi. E per Napolitano impossibile non accogliere la nuova maggioranza e il nuovo equilibrio". Al momento, però, si tratta solo una "extrema ratio". Che il premier prenderà in considerazione solo a partire dal 15 dicembre. Anche perché non tutti, nel centrodestra, potrebbero gradire il "rilancio" berlusconiano". Ad Arcore, in questo fine settimana, hanno infatti fatto notare che in uno scenario del genere, la Lega potrebbe puntare le sue fiches su un altro "vice-Cavaliere": ossia su Giulio Tremonti. Il ministro dell'Economia, da sempre vicino al Carroccio, e considerato con le competenze migliori per affrontare la crisi economica. Per questo l'inquilino di Palazzo Chigi vuole tenere nascoste le sue carte. Tentare la prova di forza. Per poi scartare tutti se la situazione fosse senza via d'uscita. Ma senza rompere l'asse con Umberto Bossi. (07 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/07/news/piano_b-9907555/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Accordo e reincarico l'ultima offerta del Fli Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2010, 10:49:55 am di CLAUDIO TITO Accordo e reincarico l'ultima offerta del Fli "Se accetta di cambiare la legge elettorale, potrà avere il reincarico in 72 ore". E' l'ultima offerta dei finiani. Che attraverso Italo Bocchino fanno sapere al presidente del consiglio che una trattativa in extremis si può effettuare. Ad una condizione modificare il "porcellum" introducendo almeno una soglia di accesso al premio di maggioranza. Una soglia che Fli fissa al 45 per cento. Purchè, come dice Gianfranco Fini, "il premier si dimetta". Ma la risposta di Palazzo Chigi per ora punta a prendere tempo. Va bene il confronto sul programma, sulla crisi economicva e sulla riforma elettorale. Ma niente dimissioni. Sostanzialmente il Cavaliere non si fida del presidente del Camera. E l'unica garanzia valida è quella di rimanere alla guida dell'esecutivo. I suoi uomini inoltre sono sicuri che martedì prossimo conquisterà ancora la fiducia. Gli sforzi del Pdl sono ora concentrati sulla "compravendita" di senatori e deputati. Tant'è che nelle ultime ore le attenzioni si sono rivolote sul parlamentare dipietrista Scilipoti. E qualche invito al "ripensamento" viene formulato pure nei confronti delle "colombe" di Fli, a qualche centrista preoccupato e perfino ad alcuni deputati del Pd. Un "calciomercato" molto concreto. E che ora sta innervosendo il terzo Polo. A partire da Casini al quale non è proprio piaciuta la mossa finiana di riaprire il tavolo del confronto con il premier. http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il leader Fli: "I conti non tornano, i berluschini lo sanno". Inserito da: Admin - Dicembre 15, 2010, 05:25:20 pm IL RETROSCENA
Fini: "Ho perso, un punto per Silvio ma ora è impossibile governare" Il leader Fli: "I conti non tornano, i berluschini lo sanno". "L'inquilino di Montecitorio inizia a considerare l'ipotesi delle dimissioni". Lo sconforto del capo futurista: "Mi fa male che siano mancati due di Futuro e Libertà" di CLAUDIO TITO ROMA - "Ora? Ora andiamo a casa. Ma domattina siamo di nuovo qui. A lottare e a continuare la nostra battaglia". Il colpo si è fatto sentire. La sconfitta è stata pesante. Una giornata nera. Gianfranco Fini ammette il passo falso. Ma non si dà pace per i "tradimenti" subiti. È amareggiato. Non si aspettava che fedelissimi della prima ora come Moffa e Polidori potessero girargli le spalle all'ultimo momento. Così come non poteva credere a quegli insulti urlati nel bel mezzo del Transatlantico di Montecitorio da un gruppo di deputati Pdl. Tra le grida ha attraversato il corridoio senza dire una parola, protetto solo dai commessi. La tensione è altissima. Lo sconforto pure. Nel pomeriggio, però, cerca di frenare le emozioni per lasciare il posto all'analisi. Chiuso nel bunker del suo ufficio alla Camera chiama uno a uno tutti i parlamentari di Futuro e libertà. Al primo piano salgono Bocchino e Urso, Briguglio e Menia. Si sente con Pier Ferdinando Casini. Riceve la telefonata di Massimo D'Alema. "Tra una settimana, solo tra una settimana si capirà bene cosa è successo. Aspettiamo che passi l'euforia di Berlusconi e dei "berluschini". Aspettiamo che si depositi la polvere. E poi vedrete che si farà punto e a capo". Nel quartier generale finiano, certo, la delusione sembra avvolgere ogni parola. E il manifesto che campeggia in una stanza con la foto di Pinuccio Tatarella e lo slogan "È necessario inseguire un sogno" sembra stampato per l'occasione. Il leader futurista, del resto, sa che "oggi Berlusconi ha segnato un punto. È riuscito a "scapolare". E questo mi fa particolarmente male perché sono venuti a mancare due di Fli. Berlusconi ha dimostrato che la sua capacità di "convincere" supera le nostre previsioni". Eppure, dopo l'iniziale ira e le telefonate di fuoco con Moffa e la Polidori, ora abbassa i toni e cerca di analizzare la situazione con "freddezza". Ai suoi ripete che la guerra non è stata ancora persa. "Noi ci saremo, come prima e più di prima". Il presidente della Camera considera anzi il voto sulla sfiducia l'ennesima svolta nella sua vita politica. Un'occasione per rendere "libero" il suo gruppo. Per tornare fare politica in autonomia. Tranquillizza i suoi uomini. Mette al riparo il partito dal rischio di una nuova scossa. "Quando si depositeranno le nebbie laudatorie - avverte - tutti capiranno che non si può andare avanti così. Non si governa con questi numeri. Tanto è vero che proprio Berlusconi ha dovuto dire: allarghiamo la maggioranza. Una proposta tanto giusta quanto ardua, non credo ci riuscirà". Non solo. "Ora è anche più complicato andare subito al voto. Si potrebbe dire: ha voluto la bicicletta? Pedala". Ma se sarà complicato per il Cavaliere rendere più forte la coalizione, anche per Fini non sarà facile tenere unito il suo gruppo. E salvaguardare l'intesa con l'Udc. "Non credo che correremo dei rischi. Tutte le ambiguità - è la sua convinzione - se ne sono andate. Le ambiguità tra chi davanti alla "crisi del settimo anno" lavorava per un nuovo "appeasement" e chi pensava a un modo civile per separarsi. Bene, dopo quel che è successo, nessuno di noi pensa che sia possibile cercare un'intesa. Possiamo dire che quel che dovevamo perdere, lo abbiamo perso". A suo giudizio, però, tutto questo offre un'opportunità. Fli potrà decidere come "posizionarsi" sui singoli problemi senza linee "ideologiche o preconcette". Ma questo, avverte, vuol dire anche che su tutti i provvedimenti del governo i futuristi faranno valere le loro ragioni e i loro emendamenti. "Ad esempio: cosa facciamo su Napoli? facciamo una battaglia ideologica? No, spiegheremo i nostri punti di vista. Ma se non saranno accolti voteremo contro. La politica del governo determinerà le nostre reazioni: approveremo solo ciò che condividiamo". Una linea che potrebbe presto mettere a dura prova la maggioranza. E trasformare l'iter parlamentare delle leggi in un "Vietnam". Non a caso il Pdl ha già chiesto di sospendere di fatto l'attività d'aula fino a gennaio. I prossimi appuntamenti rischiano di trasformarsi in ripetute rese dei conti. "Che si fa - è l'esempio del capo futurista - sulla sfiducia a Bondi? Come fa il ministro per i Beni culturali a rimanere al suo posto?". Di certo i finiani non lo difenderanno. Ma c'è anche la mozione su Calderoli, e quella sulla Rai. Quindi, "opposizione non pregiudiziale ma senza ingoiare cose che non ci piacciono". A cominciare dalle famigerate "leggi ad personam" che sulla giustizia hanno accompagnato lo scontro nel Pdl negli ultimi due anni. Fini invoca allora "freddezza". Chiede di aspettare, prima di liquidare il voto di ieri come una vittoria di lunga durata per il Cavaliere: "Vedrete, basta una settimana e sarà tutto già metabolizzato. Gli altri, invece, dovranno fare i conti veri". Ma ammette anche che la "freddezza" va accompagnata con un progetto politico che non può fare a meno dell'Udc di Casini. "Ma vale per entrambi. Ed entrambi dobbiamo tenere". Anche rispetto alle lusinghe del premier che si allungheranno sui centristi e sui singoli deputati di Fli. "La garanzia - dice il presidente della Camera - è che conosciamo bene Berlusconi. Pier non è così sprovveduto da accomodarsi al tavolo del Cavaliere. Intanto perché lascerebbe una prateria sconfinata. E poi, al di là delle nostre intenzioni, c'è una logica politica che vale di più". Una logica che secondo i finiani potrebbe portare ad una "Costituente dei moderati e di centrodestra". Un disegno che "magari avrà degli stop e delle accelerazioni, ma che andrà avanti". "Senza contare - sottolinea Fini - che in Italia c'è un sentimento di voltar pagina rispetto al berlusconismo che va anche oltre la sinistra". Insomma, "oggi Berlusconi è più forte nei numeri ma è montato su un cavallo che non sa dove porta. La sua confusione gli fa persino rivolgere un appello agli ex popolari del Pd. Diamo tempo al tempo e ne vedremo delle belle". E in questo tempo, una delle tappe potrebbero essere le dimissioni dalla presidenza della Camera. Per lanciarsi nell'impegno politico a tempo pieno. E per chiudere definitivamente i conti con il Pdl. (15 dicembre 2010) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2010/12/15/news/fini_dopo_voto-10212883/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il no del Quirinale Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2010, 05:16:02 pm CLAUDIO TITO Il no del Quirinale Le elezioni anticipate sono un una extrema ratio. Sarà anzi preferibile che la legislatura continui fino al 2013. Giorgio Napolitano conferma la sua linea e si dichiara contro un "improvvido" scioglimento delle Camere. Dopo il voto di fiducia della scorsa settimana, il capo dello Stato non modifica la sua posizione ma avverte che questo sarà possibile solo fino a quando il governo dimostrerà "l'efficacia della sua azione". E comunque, in caso di crisi dell'esecutivo, terrà conto della volontà popolare registrata nelle elezioni del 2008. Un discorso che ha suscitato immediatamente la reazione positiva di Silvio Berlusconi: "Ha spezzato una lancia per la continuità". E anche il segretario Pd Bersani ha definito "forte" il messaggio del Quirinale. La giustizia, però, torna ad essere il terreno di scontro tra il premier e Gianfranco Fini. Il Cavaliere ha accusato il presidente della Camera di aver stretto un patto con l'Anm per boicottare tutte le riforme, a cominciare da quella sulle intercettazioni, ricevendo in cambio l'assicurazione che il suo gruppo non verrà coinvolto in inchieste o indagini da parte dei magistrati. "Una barzelletta", è stata la risposta del leader di Futuro e Libertà. Il Cavaliere, dunque, spara alzo zero contro i futuristi. Sforna i suoi sondaggi che danno il Fli al 3,5% ("presto sparirà") e il Pdl al 31%. Anche se poi ammette che il solo Udc supera il 6%. Nonostante il monito del Colle e le dichiarate promesse di Berlusconi, il premier sembra aver dato il via alla campagna elettorale. La tenuta della maggioranza è alla prova in Senato, con le votazioni sulla riforma Gelmini. La tensione è altissima dopo le provocazioni anti-piazza del capogruppo pdl Gasparri. Su questi messaggi incendiari è calato il monito del presidente della Repubblica. Un appello alla classe politica, e segnatamente alla maggioranza, a riallacciare un filo di dialogo. http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Bossi e Maroni: veto sul federalismo "Ma con il Cavaliere non ... Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2011, 05:03:46 pm IL RETROSCENA
Bossi e Maroni: veto sul federalismo "Ma con il Cavaliere non si rompe" Berlusconi punta alle elezioni nel 2012: "Tra un anno il patto con Casini e terrà insieme le scadenze di Colle e Palazzo Chigi". La Lega: "Se salta il decreto, salta tutto. Non ci sono spazi di manovra sul testo" di CLAUDIO TITO "Il testo del decreto è quello, non si può modificare". La Lega blinda il "suo" federalismo. Teme la "trappola" e chiude i battenti. Con una sola precauzione: "Non entrare in rotta di collisione con Berlusconi". La "cena degli ossi" in Cadore non è stato un ordinario appuntamento per archiviare le feste natalizie e riavviare la macchina del governo. Per Umberto Bossi e l'intero stato maggiore della Lega è stata l'occasione per disegnare la road map dei prossimi mesi. Elencare le priorità del Carroccio e dell'esecutivo soprattutto in vista di questo "delicato" gennaio. Soprattutto studiare le mosse per non farsi paralizzare dalla "palude romana" senza far crollare il castello di aspettative che il Cavaliere si è costruito nelle ultime settimane. E già, perché i progetti del premier sono più tortuosi di quelli esposti dal Carroccio. L'inquilino di palazzo Chigi vuole fare di tutto per evitare il voto anticipato. "Almeno per un anno", ha spiegato all'"amico Umberto". Fino alla primavera del 2012: per avere il tempo di ricostruire un rapporto con Pier Ferdinando Casini e evitare l'"ingorgo istituzionale" previsto nel 2013: elezioni, nuovo governo e nuovo presidente della Repubblica nel giro di un mese. Perché è proprio sulla successione a Giorgio Napolitano che Berlusconi pianifica ogni decisione. E i leghisti, adesso, lo hanno capito. Dopo il summit di Calalzo e la telefonata con il Cavaliere, il Senatur ha infatti chiamato a raccolta tutti i "big" del Carroccio: da Maroni a Calderoli, da Giorgetti a Zaia. Con loro ha sviscerato problemi e inquietudini. Il sentiero è "molto stretto". Perché "noi non dobbiamo cedere nemmeno di un millimetro sul federalismo" ma non possiamo nemmeno entrare in rotta di "collisione" con Berlusconi. Sapendo, però, ha spiegato il ministro degli Interni Maroni a un collega del Pdl, che "il 21 o in commissione passa il testo del decreto che attua il fisco municipale o salta tutto". Ma su quel provvedimento adesso pesa la ferrea logica dei numeri: nella commissione bicamerale che dovrà esprimere il parere, il centrodestra non ha la maggioranza. L'ago della bilancia è rappresentato dal finiano Mario Baldassarri. "Lui - ricordano Calderoli e Maroni - ha sempre votato con noi, ci aspettiamo che lo faccia passare. Ma solo lui può decidere cosa fare". Le certezze leghiste di recente sono diventate meno granitiche. Fli e Udc hanno iniziato ad alzare l'asticella della trattativa introducendo nuovi fattori: quoziente familiare e cedolare secca sugli affitti. Argomenti che il Carroccio non considera compatibili con il decreto. "Con l'attuale situazione economica - ha fatto ancora notare il responsabile del Viminale nei contatti con esponenti della maggioranza - non è pensabile immaginare un intervento sul fisco. Non credo che ci possano essere spazi di manovra, ora, sul testo". Quindi, "o il federalismo passa o salta tutto". E per farlo passare, oltre al sì di Baldassarri, "non sono da escludere altre soluzioni". Ma, in ogni caso, i problemi in larga parte resterebbero insoluti. "C'è il problema della navigazione quotidiana", ha osservato il ministro degli Interni negli ultimi incontri con la base leghista. A cominciare dal decreto Milleproroghe. Che deve affrontare anche l'ostacolo della commissione Bilancio di Montecitorio. Nella quale il centrodestra non può contare sulla maggioranza. Una situazione che Bossi gradisce poco. Ma che nello stesso tempo non vuole fare esplodere. "Nessuna rottura con il premier", ripete ad ogni piè sospinto. Anche perché sa che il Cavaliere punta alle elezioni nel 2012. "Possiamo farcela - è il ragionamento fatto nell'ultima telefonata con il Senatur - possiamo allargare un po' la maggioranza. Anche perché nessuno vuole votare: né Casini, né Fini, né Bersani". Il presidente del consiglio è convinto di poter contare "di volta in volta" sui voti di centristi, futuristi o democratici. "Ho bisogno di tempo per stringere un'intesa con Pier". Nella consapevolezza che l'Udc non entrerà mai adesso in maggioranza. Ma nel 2012, con le elezioni, qualcosa può cambiare. Sul tavolo, osserva da qualche giorno Berlusconi, ci sarà "Palazzo Chigi e il Quirinale". "Adesso questo non vale e comunque l'Udc in questo momento si presenterebbe alle urne come terzo polo. Il patto si può chiudere solo dal 2012 in poi. Facendolo maturare e facendo in modo che le due scadenze non siano troppo distanti: non potrei fidarmi dei democristiani se l'intesa va incassata dopo oltre due anni". Programmi di cui Bossi è consapevole e non vuole assumersi la responsabilità di farli saltare. Se non in presenza di uno scoglio insuperabile come la bocciatura del federalismo. Anche per questo, il ministro delle riforme ha fatto sapere di essere pronto a "trattare" con l'opposizione. "Ma senza rompere con Berlusconi - conferma ai suoi Maroni -. Anche le presunte tensioni con Tremonti non provocheranno fratture". (09 gennaio 2011) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2011/01/09/news/trincea_bossi_maroni-10998273/?ref=HREC1-2 Titolo: CLAUDIO TITO. Fini: Paese fermo e governo paralizzato serve patto di salvezza... Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:36:33 pm L'INTERVISTA
Fini: "Paese fermo e governo paralizzato serve patto di salvezza nazionale" Fini: "Mi appello a maggioranza e opposizione. Non mi dimetto. Se la maggioranza riterrà di non poter governare si assumerà la responsabilità delle elezioni. Io e Casini staremmo insieme". Il federalismo: "Decreto importante ma il fisco municipale non è il cuore del problema" di CLAUDIO TITO UN PATTO di salvezza nazionale. Per tirare fuori dalle secche un Paese "fermo e sfiduciato". Gianfranco Fini esce dal silenzio in cui si era trincerato dopo la "sconfitta" del 14 dicembre. È appena tornato dalle vacanze nei mari delle Laccadive. Abbronzato, seduto nel suo studio a Montecitorio descrive le incapacità di Silvio Berlusconi nell'affrontare le emergenze: un governo "paralizzato". Ma il presidente della Camera vuole superare lo scontro dei mesi scorsi. "Per il bene dell'Italia", dice. E rivolge la sua proposta a tutti: "maggioranza e opposizione". Al centro del suo ufficio c'è la foto di Napolitano, quella del Papa e le immagini delle tre figlie. Sulla scrivania un posacenere. E un pacchetto di sigarette. Segno che gli scossoni politici hanno forse fatto naufragare il tentativo di smettere di fumare. L'Italia è sul punto dell'"asfissia" e ha bisogno di "convergenze tra maggioranza e opposizione". Una proposta da sottoporre a "tutti, non solo al governo": al Pdl, alla lega e al Pd. Le elezioni ora sarebbero "una prospettiva rischiosissima". "Perché la situazione, rispetto al 14 dicembre, non è tanto cambiata". Quella giornata è ancora una ferita aperta per lei? "Ho preso atto di una sconfitta politica". Anche di alcuni tradimenti? "Il tradimento è una categoria che non dovrebbe appartenere alla politica. Comunque alcuni hanno fatto delle scelte che vanno rispettate anche se non ne colgo le ragioni politiche". Ora, però, sembra essere tornati al punto di partenza. "Nel voto del 14 c'è sicuramente la conferma che Berlusconi gode della maggioranza al Senato e alla Camera. Ciò che oggi si può fare seriamente è avanzare proposte per il prossimo futuro. Io vorrei iniziare l'anno con un auspicio: spero che nei prossimi mesi si compia un salto di qualità complessivo nel dibattito e nell'azione politica. E questo deve riguardare le forze della maggioranza e quelle dell'opposizione". In che senso? "Ci si può dividere nel dire che gli ultimi sei mesi del 2010 non hanno rappresentato un successo per nessuno? Non credo. Sarebbe invece molto pericoloso continuare a pensare che i prossimi sei mesi saranno come i precedenti. Il rischio è che si ampli la frattura con l'opinione pubblica. Si percepisce il senso di repulsione nei confronti della politica. Questo accade perché il Paese è fermo e sfiduciato. C'è l'incubo dell'abisso". Pensa a una sorta di patto di salvezza nazionale? "faccio notare che la ripresa economica è lontana. La metafora di Tremonti è stata felice: un videogame in cui se uccidi il mostro, ne compare subito un altro. Noi non riusciamo a innestare la marcia. E questo determina una sfiducia complessiva, non solo nel governo. Molti degli interventi del capo dello Stato - che io condivido e con il quale c'è sempre stata sintonia - hanno sottolineato proprio questo aspetto". Le proteste dei giovani contro la riforma Gelmini ne erano un'espressione? "Certo. Ma la sfiducia nel domani va al di là della riforma. Nell'insicurezza scattano i meccanismi di autodifesa individuale. Ad aggravare la situazione ci sono alcune conflittualità storicamente irrisolte: quella tra nord e sud, tra le parite iva e i lavoratori dipendenti, tra precari e garantiti, tra giovani e anziani. O la politica, complessivamente, comprende che stiamo affrontando un tornante difficilissimo oppure i fossati si acuiranno". Ma lei e Fli siete usciti dal governo per questo. Ora cosa pensate di fare? "Se si condivide questo approccio di sano realismo, allora ci possono essere convergenze per le forze di maggioranza e opposizione. Le opposizioni non si possono riparare dietro la logica del tanto peggio, tanto meglio. Sarebbe una logica sfascista. Così come per la maggioranza la logica dell'"andiamo avanti, non c'è alternativa"". Ma lei pensa davvero che Berlusconi lo possa accettare? O pensa ad un altro governo? "Questo non mi compete, lo decide il premier. La mia riflessione è rivolta a tutti e non solo al governo. Vivacchiare è negativo per tutti. Fermo restando i ruoli, della maggioranza e dell'opposizione, è un dovere proporre soluzioni per evitare l'asfissia". Ha pensato di dire queste cose direttamente al presidente del consiglio? "Io faccio un'intervista a un importante giornale per parlare con tutti. Voglio uscire da quello che proprio Berlusconi chiama il teatrino della politica. E non userò nei confronti del premier una sola espressione polemica". I giornali del Cavaliere, però, non sono stati teneri. Le hanno attribuito anche una relazione con una escort. "È solo fango. Non so da chi diffuso. Non ho mai conosciuto quella signora e chiunque affermi il contrario ne risponderà in tribunale". Le hanno chiesto anche le dimissioni. "Mai prese in considerazione. Mi si possono contestare posizioni politiche ma non l'incapacità di rappresentare la Camera e l'imparziale gestione dei lavori d'Aula". L'asse con Casini è saldo? "Certo. L'ho visto anche stamattina". Lei si rivolge anche al Pd? "Io parlo a chi è in Parlamento. Opposizione e governo". Bersani e D'Alema, però, le hanno chiesto qualcosa di più. Immaginano un cartello per sconfiggere Berlusconi. "Le alleanze non si fanno in ragione delle sommatorie di sigle. Ma sulla condivisione di alcuni progetti. E comunque le elezioni non sono vicine". Se non ci fosse la consapevolezza generale di cui parla, l'alternativa sarebbero le elezioni anticipate? "Una prospettiva rischiosissima per l'Italia. In campagna elettorale non si fanno le riforme. Se poi la maggioranza riterrà di non poter governare, spiegherà il perché agli italiani e se ne assumerà la responsabilità. Ma sia chiaro che Futuro e libertà e il Polo della nazione non temono le urne". Più che il voto a Palazzo Chigi stanno cercando di strappare qualche deputato per andare avanti e qualcuno chiede ai centristi di "entrare" in squadra. "È tempo sprecato. Certo, c'è il tentativo di guadagnare dei singoli, ma non ci riusciranno. E se poi lo scarto anziché di tre parlamentari diventasse di cinque, cosa cambierebbe? Continuerebbero a vivacchiare. Ma in questa situazione non si può vivacchiare e l'opposizione non si può limitare a dire valuteremo di volta in volta. Sarebbe un gioco di rimessa, e invece bisognerebbe disegnare un impianto di regole condivise". Regole condivise in due anni di legislatura? "Siamo entrati nel 2011, il 150. mo anno dell'Unità d'Italia. Si può fare una riflessione su cosa significa essere italiani? Sui vizi del nostro sistema bipolare - di cui resto un convinto sostenitore e su questo Casini sarà d'accordo - che ha reso possibile l'alternanza ma non ha innovato sul piano della cultura politica?". Ma l'emergenza sembra soprattutto economica in questa fase. "E infatti ridurre le spese e tenere sotto controllo i conti pubblici è necessario ma non sufficiente". Un limite di Tremonti? "Di tutto il governo. Sarebbe ingeneroso dire che è colpa di Tremonti o pensare che si diverte a tenere sotto schiaffo i ministri. È il deficit di dibattito interno al Pdl che ho denunciato un anno fa. Anche l'Ue ha chiesto politiche riformatrici, che rilancino l'economia. Siamo in ritardo". Il ministro dell'Economia la accuserà di essere uno spendaccione. "Non ci si può dividere tra chi vuole la spesa facile e i rigoristi. Sarebbe più lungimirante individuare progetti strategici. Cito sempre la Germania, non per la Grosse Koalition ma per la cultura politica condivisa che indica gli investimenti nella ricerca e nella tecnologica come strategici". Quindi i tagli lineari sono stati un errore? "Sono l'esatto opposto. Sarebbe più utile una "Grande Assise" dell'economia e del lavoro con 100 teste pensanti in grado di trovare soluzioni. Nel nostro Paese c'è una miscela esplosiva: la giusta flessibilità nel mercato del lavoro si unisce però a un tasso di precarietà altissimo e a un livello retributivo tra i più bassi d'Europa. L'Italia è impoverita. Il ceto medio sta scomparendo. Il 45% della ricchezza delle famiglie è in mano al 10% degli italiani". Tutto questo con il governo in carica? "Noi cerchiamo di farlo. Avanziamo soluzioni, proposte. Il mio auspicio è che non sia solo un'iniziativa di parte. Poi, certo, non si risolve tutto dalla sera alla mattina". Intanto vi aspettano delle scelte da cui dipende la sopravvivenza dell'esecutivo. Come il voto sul federalismo. "Quel decreto è importante, ma il prossimo - quello sulle Regioni - è la vera sostanza. Il fisco municipale non è il cuore del problema. Le scelte sulle regioni saranno determinanti. Non dobbiamo perdere il complesso dei problemi". Ma voi cosa farete? "Vedremo. In quel testo ci sono degli aspetti non so se voluti. I comuni, ad esempio, avranno meno entrate. L'Ici si paga solo nei luoghi dove non si risiede. Verificheremo alla fine se Calderoli troverà un'intesa con Tremonti sui saldi". E la mozione di sfiducia a Bondi? "Non è una questione cruciale, ma deciderà il coordinamento del Polo della Nazione". L'alleanza con Casini è strategica? "Se si votasse, staremmo insieme. Ci sarebbe una competizione con tre soggetti e non con due. Fli comunque farà un congresso a febbraio. Abbiamo un'idea del centrodestra diversa da Berlusconi e Bossi. Senso delle Istituzioni, dello Stato, dell'etica pubblica, della legalità. Fli si muoverà con la sua identità insieme all'Udc, all'Api, all'Mpa e ai Liberaldemocratici. E anche nel Pdl tanti condividono questi ragionamenti". Molti dicono che il leader di questo schieramento è Casini e non lei. "Mi fanno ridere. Qualcuno - soprattutto nel Pdl - ha una scarsa considerazione di me e di Casini. Pensano di farci litigare". Sui temi etici una qualche differenza, però, c'è. "Quando si presenterà il problema, lo risolveremo con un solo principio: la libertà di coscienza. Questa è la regola nei partiti democratici. Questa è una vera concezione liberale che altri ignorano". Lei si sente un uomo di destra o di centro? "I valori restano quelli di destra. Servirebbe però un libro per spiegare cosa si intende nel 2011 per destra, centro o sinistra. Sono categorie del secolo scorso. Se poi per destra si intendesse il prevalere della finanza sull'economia reale, allora non sarei di destra... altri ci si riconoscerebbero più facilmente". C'è chi usa il caso Fiat come bussola. "Marchionne è il segno di quanto l'Italia è in ritardo. Ho tirato un sospiro di sollievo quando ho sentito il segretario della Cisl Bonanni dire che senza le fabbriche non ci sono nemmeno i diritti dei lavoratori". Se fosse un operaio di Mirafiori lo voterebbe l'accordo? "Senza dubbio. Il problema è che la politica è assente. ha delegato tutto alle parti sociali anche sulla rappresentanza. Bersani ha fatto bene a dire che si discute e poi l'esito del referendum si rispetta. Nessun paese occidentale si trova in questa condizione". (12 gennaio 2011) © Riproduzione riservata http://www.repubblica.it/politica/2011/01/12/news/gianfranco_fini-11117108/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il premier, la casa di An per coprire il Rubygate Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2011, 11:32:00 am di CLAUDIO TITO Il premier, la casa di An per coprire il Rubygate Silvio Berlusconi vuole "coprire" mediaticamente il Rubygate. E lo fa scaraventando nello scontro politico la vicenda della casa di Montecarlo un tempo proprietà di Alleanza nazionale. Oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha riferito al Senato che le carte trasmesse dalle autorità dell'isola caraibica di Santa Lucia sono originali. E ora sono a disposizione della procura di Roma. In base a quei documenti, quindi, l'immobile monegasco sarebbe ora di proprietà di Giancarlo Tulliani, cognato del presidente della Camera. Le opposizioni hanno abbandonato per protesta l'aula di Palazzo Madama. Ma al di là dei contenuti della relazione esposta dal titolare della Farnesina, il Pdl sta provando a organizzare un contrattacco mettendo sul tappeto lam richiesta di dimissioni di Fini. Pe rispondere così all'ultma ondata di carte sulla vicenda Ruby. I verbali depositati ieri alla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio stanno mettendo in difficoltà l'intero centrodestra. Il governo si presenta paralizzato dall'inchiesta. E anche i prossimi appuntamenti più delicati, come il voto sul federalismo, appaiono decisamente condizionati dall'immobilismo dell'esecutivo. Il premier non intende per ora assumere provvedimenti. L'idea di fare un passo indietro in favore di un altro esponente della maggioranza non appartiene al novero delle opzioni prese in considerazione dal Cavaliere. Il capo del governo ha incontrato lo stato maggiore del suo partito proprio per ribadire questo concetto e organizzare la controffensiva. Il segertario del Pd Pierluigi Bersani, intanto, invita la Lega e il Pdl a far dimettere Berlusconi. Un appello che, come previsto, sta cadendo nel vuoto. I democratici, poi, sono alle prese con le primarie di Napoli. I sospetti su brogli a vantaggio di Cozzolino stanno scatenando una tempesta. Anche lo scrittore Roberto Saviano ha chiesto di annullare il risultato. Per ora Bersani ha annullato l'Assemblea nazionale del Pd in un primo momento convocata proprio a Napoli per domani e dopodomani. http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il "no" del Quirinale il dilemma della Lega Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2011, 06:13:57 pm di CLAUDIO TITO Il "no" del Quirinale il dilemma della Lega Il "no" del Quirinale al decreto legislativo sul federalismo municipale ripropone il dilemma che ha assillato la Lega in questi giorni. Rompere o ingoiare un altro rospo per andare avanti. Per il momento Umberto Bossi sembra deciso a imboccare la strada della mediazione. Il colloquio con il presidente della Repubblica è il segno che il leader lumbard non intende in questa fase inasprire i toni. Sta di fatto che lo stop del Colle impone tempi decisamente più lunghi al provvedimento per il fisco municipale. Un ritardo che rischia di riflettersi in modo esplosivo nella base del Carroccio e anche nei suoi vertici. Anche perchè, in questo modo, la Lega non potrà presentarsi alle prossime amministrative di maggio sventolando la bandiera del primo decreto federalista. Il testo, infatti, dovrà riprendere il suo iter parlamentare. E il rischio di elezioni anticipate torna a scuotere la magggioranza. Anche il Pdl cerca di non drammatizzare la scelta di Napolitano. Del resto sia Berlusconi, sia Letta avevano ieri avvertito il Senatur sui problemi connessi al decreto legislativo. Il premier è semmai più preoccupato dallo sviluppo dell'inchiesta su Ruby. Non solo aleggia il fantasma delle foto delle cene a Arcore, ma la prossima settimana i pm dovrebbero chiedere il giudizio immediato. Non a caso il presidente del consiglio, prima di prendere parte al consiglio europeo di Bruxelles, ha di nuovo attaccato i giudici definendo l'Italia una "Repubblica giudiziaria". Il centrosinistra torna a chiedere un passo indietro a Berlusconi ed esorta la maggioranza a ritirare il decreto sul federalismo. Questo sarà anche il cuore della relazione che oggi pomneriggio il segretario Pd, Pierlui Bersani, leggerà all'Assemblea nazionale del suo partito. da - repubblica.it/politica Titolo: CLAUDIO TITO. Il premier fa retromarcia sulle intercettazioni Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2011, 05:05:47 pm di CLAUDIO TITO Il premier fa retromarcia sulle intercettazioni SIlvio Berlusconi fa retromarcia sul decreto per le intercettazioni. Dopo la polemica a distanza di ieri sera tra Palazzo Chigi e il Quirinale, oggi il presidente del consiglio ha deciso di tornare sui suoi passi. Ha capito che il capo dello Stato non avrebbe firmato un provvedimento d'urgenza di questo tipo. Considerato anche che un testo - predisposto dalla maggioranza - giace da tempo in Parlamento. E quindi non si giustificherebbe in alcun modo un decreto. Una difficoltà che il sottosegretario Letta e il ministro della Giustizia Alfano avevano intuito già ieri. Non è quindi un caso che stamani il Cavaliere abbia deciso di rinunciare all'incontro con Napolitano. L'occasione era offerta dalla cerimonia per la "Giornata del Ricordo". Ma sul Colle a ricordare le vittime delle foibe è salito il solo Letta. Il rapporto tra il presidente della Repubblica e il capo del governo sembra però di nuovo compromesso. Anche perchè tutti gli interventi di Berlusconi appaiono dettati da uno sforzo opposto a quello del Colle, impegnato ad abbassare i toni e a evitare contrapposizioni radicali tra maggioranza e opposizione. Il centrodestra, dunque, resta invischiato nelle polemiche sulle inchieste di Milano. La decisione sul giudizio immediato dovrebbe arrivare entro martedì prossimo. E il presidente del consiglio sta vivendo l'attesa come un vero e proprio assalto. Si sente perseguitato dai tutti i imagistrati. Anche dalla Corte costituzionale, accusata di cancellare le leggi che la sua maggioranza predispone proprio per fronteggiare i pm. Su questo, però, ha respinto ogni accusa il presidente della Consulta De Siervo che riferendosi direttamente agli attacchi del premier, li ha definiti "gravemente offensivi". I prossimi dieci giorni, quindi, saranno ancora decisivi per la vita del governo e per la prosecuzione della legislatura. Lo spettro delle elezioni anticipate torna a agitare i sonni del centrodestra. http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il Colle, Ruby e Bossi gli incubi di Silvio Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2011, 03:52:34 pm IL RETROSCENA
Il Colle, Ruby e Bossi gli incubi di Silvio Il timore di una condanna nel processo Ruby e l'incognita sulla reazione del Carroccio. Anche il possibile rinvio a giudizio del premier destinato ad appesantire il clima. Per il senatùr, il destino della legislatura" si deciderà in questa settimana" di CLAUDIO TITO C'è un filo invisibile che lega le parole pronunciate nel weekend da Umberto Bossi e gli avvertimenti di Giorgio Napolitano. Un filo che sta scuotendo l'intera maggioranza e che mette in allarme il presidente del Consiglio. "Si decide tutto questa settimana", avverte il Senatur. E il messaggio è arrivato per direttissima anche a Silvio Berlusconi. Perché le riflessioni del suo "miglior alleato" più che una minaccia rappresentano una constatazione. Che in queste ora sta prendendo le forme di una delle norme del codice penale: "L'interdizione dai pubblici uffici". Una pena accessoria che trasforma i sogni del Cavaliere in incubi. Che fa materializzare il fantasma delle elezioni anticipate o "peggio di un governo tecnico". I suoi legali e lo stesso presidente del Consiglio si sono ormai fatti la convinzione che se il processo per il "Rubygate" arriverà a sentenza, allora già in primo grado i magistrati la accompagneranno proprio con l'interdizione dei pubblici uffici. Compresa la presidenza del Consiglio. "È chiaro che l'obiettivo dei magistrati è questo - si è sfogato l'altro ieri il premier con un fedelissimo -. In quel caso cosa faremo? Come si comporteranno i leghisti? Cosa accadrà nel gruppo dei Responsabili? Dobbiamo opporci, fare di tutto per impedirlo. Sarebbe un golpe inaccettabile". Alla fine, però, il capo del governo lascia i suoi interrogativi senza risposte. Quesiti che possono aprire un varco verso le elezioni anticipate. La paura che si é fatta largo a Palazzo Chigi, infatti, ora sta condizionando le mosse di tutti. Del Pdl e, soprattutto, della Lega. Per questo la previsione di Bossi è suonata a Via del Plebiscito come un campanello d'allarme. E il filo invisibile che unisce la Lega al Quirinale si presenta agli occhi del premier come un pericolo costante. Perché al di là delle rassicurazioni ufficiali, il campo del Carroccio è quanto mai in movimento. E il Senatur è deciso a coglierne tutti i segnali. A interpretare i malumori della "pancia" lumbard e a recepire le "prudenze" dei dirigenti. Ma con una certezza: il possibile rinvio a giudizio del premier sul caso Ruby, non potrà risultare indifferente. "Per ora - spiega in queste ore il ministro delle Riforme - io sono in grado di tenere i miei. Se il federalismo va avanti, nessuno si potrà lamentare. Ma se nella palude anche il nostro progetto si blocca allora tutto cambia. E dovrò capire se qualcosa cambia anche nel caso in cui Silvio venisse condannato in tempi brevi". Berlusconi conosce i dubbi dell'alleato. Con l'amico Umberto ha riparlato anche negli ultimi due giorni. È sicuro che "non ci saranno tradimenti". Ma si è anche reso conto che il feeling maturato tra lo stato maggiore leghista e il Quirinale può provocare sviluppi imprevisti. Soprattutto alla luce di quel che accadrà a Milano nei suoi quattro processi. Senza contare che il successo delle manifestazioni di piazza di ieri costituiscono, a suo giudizio, un tassello dello stesso mosaico cospirativo. "Una protesta senza senso - ha commentato vedendo le immagini di Piazza del Popolo - mi vogliono far passare per un mostro. Tutte falsità, è già campagna elettorale. Fanno i bacchettoni con me e poi sono i primi a combinarne di tutti i colori. Io sono un uomo separato e sono libero di fare quello che voglio a casa mia. Vogliono farmi dimettere e basta". Mai come in questo momento, dunque, il partito delle elezioni anticipate è stato così forte. Con l'intera opposizione - da Bersani a Fini - pronta a scendere in campo per le urne. Anche la scelta elettorale del leader Fli - che si è tenuto in contatto con Napolitano - sta sortendo l'effetto di modificare gli equilibri tra il partito "del voto" e quello del "non voto". Anche perché è proprio il presidente della Repubblica a vedere le urne come una possibile soluzione alla "paralisi" che condiziona l'attività del governo. E allora quel "si decide tutto questa settimana", sta riecheggiando nelle orecchie del Cavaliere come un monito. Le difficoltà con cui procede l'iter del decreto Milleproroghe - al cui interno spiccano diverse misure di spesa cui Berlusconi tiene molto - e i "no" di Giulio Tremonti ad allentare i cordoni della borsa hanno assunto nei ragionamenti di Berlusconi tutta un'altra configurazione. Per non parlare dei giudizi taglienti (la cui asprezza è arrivata fino ai piani alti di Palazzo Chigi) del ministro dell'Economia sui provvedimenti per dare una scossa all'economia e per rilanciare il Sud. Fattori che hanno di nuovo illuminato i sospetti sul titolare di Via XX Settembre. Sulla possibilità che faccia parte del ristretto numero di "carte di riserve" pronte all'uso in caso di emergenza. Quell'emergenza evocata, appunto, per ben due volte tra venerdì e sabato scorso dal capo dello Stato. Il "filo" che unisce il Quirinale, la Lega, il presidente della Camera e l'intero arco delle opposizioni, allora, per Berlusconi è qualcosa di più di una semplice sintonia istituzionale. Così come le conseguenze del rinvio a giudizio per il caso Ruby stanno assumendo tutta un'altra configurazione nelle riflessioni del Cavaliere. In cui lo scioglimento del Parlamento è un'opzione, ma l'altra è la nascita di un nuovo governo. "Qualcuno pensa ancora che si possa formare un esecutivo tecnico. Quella sì sarebbe una porcata". Non a caso anche ieri i toni con cui il presidente del Consiglio ha in privato commentato le mosse del Colle non sono stati per niente accondiscendenti. "Vuole sciogliere le Camere anche se ho la maggioranza? Ci provi e vediamo come va a finire. Finché ho i numeri, nessuno può imporre le elezioni". La nota con cui ieri i capigruppo del Pdl hanno ricordato e difeso il lavoro dell'esecutivo, del resto, era diretta proprio al presidente della Repubblica. Sebbene sia sotto gli occhi di tutti, la sostanziale inattività dell'esecutivo e del Parlamento. Basti pensare che l'aula di Montecitorio da tempo si riunisce per non più di 2-3 giorni a settimana. E il motivo è piuttosto semplice: l'assenza di provvedimenti da discutere. Ma i "numeri" invocati dal presidente del Consiglio possono rivelarsi un'incognita. Soprattutto se il "giudizio immediato" della procura di Milano in relazione alle accuse di concussione e prostituzione minorile si chiuderà con una condanna e con "l'interdizione dai pubblici uffici". (14 febbraio 2011) © Riproduzione riservata da repubblica.it/politica Titolo: C. TITO. Il Cavaliere risale sul predellino (dietro il giubbotto antiproiettile) Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:35:26 pm di CLAUDIO TITO
Il Cavaliere risale sul predellino Silvio Berlusconi risale sul predellino. Questa volta lo fa non per imprim,ere una svolta politica alla sua azione. Ma per difendersi dai processi fuori dalle aule di giustizia. Il presidente del consiglio stamani ha preso parte all'udienza preliminare sul caso Mediatrade. Ma lo ha fatto facendo precedere il suo ingresso in Tribunale da una lunga intervista a "Mattino Cinque", la trasmissione in onda su Canale 5. Il Cavaliere ha contestato tutte le accuse, ma soprattutto ha confermato il vecchio teorema secondo cui sarebbe in corso un complotto tra i giudici e i "comunisti" per "eliminarlo". Ha attaccato i pm e anche la Corte costituzionale che ha bocciato la legge sul legittimo impedimento costringendolo così a presentarsi davanti ai magistrati. Chiusa l'udienza preliminare, Berlusconi ha salutato i fans convocati davanto il Palazzo di Giustizia. E' salito sul predellino della sua automobile e ha ringraziato i suoi supporter annunciando che parteciperà anche alle prossime udienze. Ma lo ha fatto soprattutto per contrapporre alle toghe il sostegno dei suoi elettori. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, intanto, dal palco della direzione del suo partito attacca il premier accusandolo di voler solo "resistere" ai processi. E avverte la Lega che se voterà altre "leggi ad personam" allora verrà anche meno il via libera dei democratici al federalismo. Il leader Pd, poi, cerca di fermare l'emorragia interna ripetendo che la presenza di "diverse aree" nel partito sono una "ricchezza". Nel centrodestra, però, si sta aprendo un altro fronte: quello "libico". Le perplessità della Lega sull'intervento armato si stanno rafforzando a causa del pesante flusso migratorio dalle sponde africane verso Lampedusa e la Sicilia. E mercoledì prossimo si terrà a Palazzo Chigi un vertice per affrontare l'emergenza. da - repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. L'allarme del Quirinale "Così non si va avanti" Inserito da: Admin - Aprile 01, 2011, 10:27:52 pm IL RETROSCENA
L'allarme del Quirinale "Così non si va avanti" Si riaffaccia l'ipotesi elezioni. Berlusconi: "Meglio delle figuracce di questi giorni". Cicchitto scarica le colpe sulla piazza. Richiamo alla responsabilità anche sugli immigrati di CLAUDIO TITO Il livello di allarme ha superato ogni limite. Lo scontro tra maggioranza e opposizione rischia di paralizzare l'attività del Parlamento. Il percorso del governo diventa sempre più accidentato. Giorgio Napolitano è appena tornato dal suo viaggio degli Stati Uniti. E subito deve fare i conti con una situazione politica incandescente. La rissa alla Camera con il ministro della Difesa la Russa a far da protagonista. Il blitz della maggioranza per l'ennesima legge ad personam a favore del Cavaliere. L'emergenza immigrati che sta mettendo a repentaglio l'immagine del Paese. Il capo dello Stato è preoccupato. Avverte che il quadro rivela aspetti di gravità senza precedenti. Chiama al Quirinale tutti i capigruppo e senza giri di parole gli spiega che così non si può andare avanti. Lo fa rispettando il suo ruolo istituzionale. Non vuole forzature. Tant'è che prima di tutto avverte il suo interlocutore diretto a Palazzo Chigi: Gianni Letta. Il sottosegretario viene informato della intenzione di svolgere una "ricognizione diretta". Una procedura "istituzionale" ma inevitabile. Ieri quindi l'incontro con gli esponenti del Pdl, poi con quelli del Pd e infine con quelli dell'Udc. Sfilano Cicchitto, Franceschini con la Finocchiaro, Casini con D'Alia. Oggi, invece, sarà il turno della Lega e di Futuro e libertà. Una convocazione in tempi rapidi, segno che la preoccupazione sul Colle ha toccato punte altissime. Per Napolitano, del resto, non si tratta di una semplice udienza. Le sue parole non sono mirate solo a comprendere lo stato dei rapporti politico-parlamentari alla Camera e al Senato. Stavolta il presidente della Repubblica vuole avvertire che un clima di questo tipo è dannoso per tutti. Richiama al "senso di responsabilità". Anche se nei tre incontri svoltisi nello studio Alla vetrata, i toni sono ben diversi nei confronti dei rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione. Proprio a New York, il capo dello Stato aveva rinnovato un invito alla responsabilità e al dialogo sulle riforme, a cominciare dalla giustizia. Appelli ignorati. La scenata di La Russa a Montecitorio è stata quindi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Uno spettacolo indecoroso che per il Quirinale rappresenta in questa fase la prova che così non si può più andare avanti. Cresce il timore che l'esecutivo in questo contesto navighi a vista, nell'impossibilità di affrontare le emergenze: a cominciare da quella che il ministro degli Interni Maroni ha definito l'"esodo di immigrati" fino alla gestione del conflitto libico e all'urgenza che ancora minaccia l'Europa alla luce del pericolo-bailout per il Portogallo. Il capogruppo del Pdl Cicchitto prova a sdrammatizzare e a riversare le colpe sull'opposizione. Ha fatto riferimento all'"aggressività delle manifestazioni di piazza". Ma le argomentazioni non convincono Napolitano. Sul Colle hanno ancora ben presente i recenti incontri con i rappresentanti del governo sulla riforma della Giustizia e le garanzie fornite sul dialogo e sull'intenzione di non procedere con colpi di mano. Così come non è sfuggita la reazione avuta dal sottosegretario agli Interni Mantovano dopo la decisione del Viminale di trasferire a Manduria, in Puglia, da Lampedusa oltre tremila immigrati. Senza trascurare le indecisioni sulla linea da tenere su Gheddafi e le differenze con la posizione della Casa Bianca emerse proprio durante il suo viaggio negli Stati uniti. Tutti elementi, insomma, che stanno facendo impennare la tensione. Nei colloqui non è mai stata evocata esplicitamente la possibilità delle elezioni anticipate. Eppure tutti i capigruppo hanno avuto la sensazione che i discorsi di Napolitano fossero simili a quelli messi nero su bianco lo scorso 12 febbraio scorso. Quando la presidenza della Repubblica fu costretta a rilasciare una nota ufficiale per esortare a "uno sforzo di contenimento delle tensioni in assenza del quale sarebbe a rischio la stessa continuità della legislatura". E in effetti che tutto possa precipitare improvvisamente è diventata di nuovo un'eventualità che nell'agenda di Palazzo Chigi ha preso piede. Berlusconi è infuriato. Ce l'ha con La Russa e con Cicchitto. È scoraggiato per la gestione dei lavori parlamentari. ma vuole andare avanti. "Possiamo arrivare fino alla fine, a Montecitorio supereremo quota 330". Eppure, sebbene il suo progetto primario sia questo, la subordinata sta cominciando a rispuntare. "Se dobbiamo fare figuracce come queste - si è sfogato ieri - allora meglio andare a votare a ottobre". Dopo aver incassato il conflitto di attribuzione sul processo Ruby e la prescrizione breve. Del resto, ammettevano i capigruppo del Pdl dopo l'incontro al Quirinale, "è chiaro a tutti che se le aule di Camera e Senato fossero sempre così, non si potrebbe andare avanti". Ma proprio in vista di questi due appuntamenti, il clima diventerà infuocato. E le manifestazioni di piazza si moltiplicheranno. E il centrosinistra si appresta a scendere in piazza martedì e mercoledì prossimi davanti a Montecitorio per contestare le ultime leggi ad personam della maggioranza. (01 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/01/news Titolo: CLAUDIO TITO. Alfano: "Non ci fermeremo su nessuna legge il Pd vuole solo ... Inserito da: Admin - Aprile 03, 2011, 11:35:18 pm INTERVISTA
Alfano: "Non ci fermeremo su nessuna legge il Pd vuole solo far cadere Berlusconi" Il Guardasigilli: "In piazza per difendere la riforma costituzionale. Per piazza intendo comizi per le amministrative e piazze televisive, spiegherò le norme. Approvazione entro l'estate". Legge ad personam? "Non si applica ai processi in corso, per il premier nessun beneficio". Responsabilità dei giudici: "Chi sbaglia paga" di CLAUDIO TITO ROMA - "Il voto sul conflitto di attribuzione? Certo che ci sarò, sempre che Fini mi permetta di votare". Il Guardasigilli Alfano è in partenza per gli Usa. Incontrerà l'omologo americano Eric Holder, e terrà una conferenza alla Hopkins University. Ma vuole prendere parte al primo dei voti ad alta tensione previsti per martedì: il conflitto di attribuzione, che mira a bloccare il processo Ruby. Subito dopo ci sarà quello sul processo breve con la discussa norma sulla prescrizione. Due appuntamenti cui non vuole rinunciare. "Noi - conferma senza dubbi - su questo terreno andiamo avanti" e il Pd decida se confrontarsi sulla riforma costituzionale rinunciando al tentativo di "far cadere Berlusconi": "Hanno paura di perdere le prossime elezioni" e sanno che in quel caso sarà la "fine" della loro attuale classe dirigente. Scusi Ministro, ma quando ha presentato la riforma costituzionale della giustizia auspicava un confronto con l'opposizione. Quell'apertura sembra svanita. "Invece è in campo. La nostra tabella di marcia prevede che subito dopo Pasqua inizi l'esame della legge. La approveremo alla Camera entro l'estate. E io lavorerò per un confronto serrato con l'opposizione. Oltre che in Parlamento ci batteremo nelle piazze". È pericoloso evocare la piazza per far passare una riforma costituzionale. "Pure lei si mette a strumentalizzare? Contro chi dovremmo agitare la piazza? Contro il governo guidato da noi o contro il Parlamento nel quale siamo maggioranza? Oppure vuole che cancelliamo la piazza dal vocabolario politico? Mi riferisco alle piazze per i comizi, alle amministrative. Mi riferisco alle piazze televisive. Vogliamo spiegare la riforma e rendere l'opinione pubblica consapevole della sfida che abbiamo davanti". E pensa di intavolare una trattativa essendoci di mezzo il conflitto di attribuzione che può paralizzare il processo Ruby e la prescrizione breve che può fa saltare il caso Mills? "Finché si discute del conflitto di attribuzione e del processo europeo (il processo breve ndr), i democratici hanno un bel dire che non possono fare la riforma con noi perché siamo brutti e cattivi. Quando ci si troverà nelle commissioni di fronte a un ragionevole testo di riforma costituzionale, allora saranno chiamati a pronunciarsi nel merito e con serietà. E finalmente capiremo il loro disegno in materia di giustizia". In campo, però, c'è l'ennesima legge ad personam che lei aveva giurato di evitare. "Capisco l'artificio retorico di chi in Parlamento e sui giornali sostiene che il sottoscritto aveva promesso di non fare leggi ad personam ma, per quanto astuta, la considerazione è fraudolenta". Perché? "Perché io ho detto, e lo ripeto, che la riforma costituzionale non si applica ai processi in corso e infatti non ci sarà alcun beneficio per Berlusconi. Questa è la sacrosanta verità e basta leggere l'articolo 17 del ddl per verificarla. Se poi l'onorevole Paniz presenta un emendamento per gli incensurati, non si può affermare che equivale a tradire gli impegni assunti. È solo un pretesto grande come una casa per chi non vuole fare la riforma costituzionale". L'on Paniz, però, è un deputato del Pdl: bastava invitarlo a non depositare quell'emendamento. "Per dirla con le parole che usa sempre il presidente del consiglio: visto il centinaio di provvedimenti a suo carico, non c'è norma in materia di giustizia che non lo coinvolga". Non è la dimostrazione del conflitto di interessi? "Secondo me, è il contrario. Gli altri hanno interesse al conflitto. Vogliono tenerlo sulla corda giudiziaria per logorarlo. Il punto, comunque, è che oggi è complicato parlare di queste cose. La controversia è troppo calda. Tra due o tre settimane, quando si entrerà nel merito della riforma costituzionale, questi argomenti avranno già perso peso". Anche il presidente Napolitano vi ha invitato a sgombrare il campo da equivoci. "Non è un caso che, insieme alla Lega e al relatore Pini, abbiamo rinviato la legge comunitaria che conteneva un intervento sulla responsabilità che, sebbene non esaustivo, avrebbe ottemperato alle indicazioni europee. Ne parleremo tra un paio di settimane. Per il resto, ho sempre orecchie attentissime per ciò che il capo dello Stato dice, per i suoi moniti e le sue preoccupazioni alle quali porgo sempre attenzione operosa anche quando non si vede e quando non ci sono dichiarazioni pubbliche in merito". Quando ha presentato il testo di riforma costituzionale le critiche non sono mancate. La responsabilità civile dei magistrati non è un'intimidazione nei confronti dei giudici. "Ho grande rispetto dei magistrati, di tutti quei magistrati che ogni giorno lavorano con senso del dovere e grande abnegazione. Costoro sono la grandissima maggioranza ed è per questo che categoricamente rifiuto l'idea che la riforma sia punitiva per i magistrati. Sulla responsabilità civile, non intervenire sarebbe un torto ai cittadini. Chi sbaglia, paga. Se un alto dirigente dello Stato commette un errore, se un giornalista diffama, se un medico sbaglia un intervento chirurgico, può essere citato direttamente. Perché no i magistrati? Non mi rassegno a un privilegio di casta". Il centrodestra ha governato per quasi dieci anni degli ultimi 17 anni e il centrosinistra vi ha sempre accusato di varare norme volte a bloccare le toghe e a difendere il premier. Perché ora il Pd dovrebbe credervi? "Intanto negli ultimi 14 anni abbiamo governato 7 anni ciascuno. Eppoi, il confronto non è una cortesia fatta a noi. Se lo vogliono, bene. Altrimenti, amen. Non dobbiamo noi meritare la loro buona grazia. Devono decidere loro se darsi un profilo schiacciato sullo status quo o se vogliono apparire riformatori. Sono stati contrari alla riforma costituzionale del 2006 con cui si dimezzava il numero dei parlamentari, sono stati contro la modifica dell'articolo 18, hanno criminalizzato la legge Biagi, e si sono opposti alla riforma dell'istruzione. Sono sempre contro, eppure qualche cosa di positivo ci sarà pure stata. Ci mettano alla prova con un confronto serio. Se poi risulteremo noi troppo rigidi o capricciosi, ne risponderemo agli elettori". In attesa della riforma costituzionale, su tutte le altre leggi andrete quindi avanti? "Non c'è un obbligo giuridico, né politico, né morale per sospendere l'attività. Abbiamo portato al Senato anche un provvedimento per diminuire l'arretrato civile, nell'ultimo consiglio dei ministri è stato approvato un testo sulla sussidiarietà e al prossimo ne formuleremo uno sulla responsabilità giuridica degli enti. Senza compromettere le iniziative di origine parlamentare come il processo di ragionevole durata o processo europeo (processo breve ndr)". Ma queste sono tutte vostre iniziative. "Propongo subito all'opposizione quattro temi da affrontare dopo la bagarre: lo smaltimento dell'arretrato civile, una seria ipotesi di depenalizzazione che elimini i reati considerati inutili, una più efficiente geografia giudiziaria e alcune proposte sul processo penale relative a formalismi che gli operatori ritiene superflui". Ma lei è sicuro che possiate davvero andare avanti? Non rispuntano le elezioni anticipate? "Non credo proprio. La maggioranza ora è meno ampia ma più coesa. Il programma di governo è chiaro e coerente con i cinque punti su cui abbiamo ottenuto la fiducia. Presto sarà pronto anche il disegno di legge che rinnova la forma di governo e di Stato". Veramente il Quirinale ha paventato un rischio paralisi. "A me non risulta. L'attività parlamentare negli ultimi mesi è stata significativa". Certo il 2013 sembra un traguardo lontano. "La verità è che le opposizioni hanno fretta di far cadere Berlusconi. È l'ultima occasione per la generazione di quelli che erano ancora comunisti quando è caduto il Muro di Berlino. In tanti oggi ai vertici avevano incarichi nel Pci del 1989. È la loro ultima chance. Dunque o fanno cadere subito il Cavaliere o, se perdono nel 2013, un'altra generazione di quarantenni sostituirà loro e quelli del Terzo Polo. Rischia di essere la fine di un'intera classe dirigente della sinistra". Come la Lega anche lei chiede le dimissioni di Fini? "Proprio giovedì ho vissuto sulla mia pelle una grave ingiustizia. Non mi è stato consentito di votare. Da dieci anni sto in Parlamento e non mi era mai capitata una cosa del genere. Non chiedo però le dimissioni di Fini: è un problema che appartiene alla sua coscienza. E mi pare l'abbia risolto... restandosene seduto dov'è". Molti, anche Berlusconi, sostengono che nel 2013 sarà lei il candidato premier con il Cavaliere al Quirinale. "Nel 2013 il candidato premier sarà Silvio Berlusconi. Il resto è fantapolitica. Non gioco al Fantacalcio, figuriamoci alla fantapolitica". (03 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/03/news/ Titolo: CLAUDIO TITO. Immigrati, le paure di Berlusconi e Bossi Inserito da: Admin - Aprile 07, 2011, 04:53:26 pm di CLAUDIO TITO
Immigrati, le paure di Berlusconi e Bossi L'emergenza immigrati sta diventando il vero banco di prova per il governo. Soprattutto in vista delle prossime elezioni amministrative. L'arrivo dei barconi dalla Tunisia e dalla Libia sta infatti mettendo a dura prova la maggioranza e mostrando tutte le lacune dell'esecutivo. Silvio Berlusconi è preoccupatissimo proprio per il voto del 15 maggio. Teme che il calo della sua popolarità possa riflettersi anche nelle prossime elezioni locali. In particolare la corsa per il prossimo sindaco di Milano si sta trasformando in una sorta di test per la sua coalizione. La Lega di Bossi, anzi, ha già avvertito che in caso di sconfitta nel capoluogo lombardo, le conseguenze saranno pesanti sul governo. Del resto anche i lumbard sono in difficoltà con il loro elettorato. La vicenda Lampedusa sta gettando una luce diversa sull'efficacia delle politiche leghiste. Non a caso proprio oggi, nei suoi interventi alla Camera e al Senato, il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha riversato parte della responsbailità sulla Francia. Accusata di coltivare un "atteggiamento ostile" nei confrotni dell'Italia. Sta di fatto dhe il Carroccio sta giustificando i permessi temporanei agli immigrati legali con il tentativo di favorire il loro trasferimento in Francia e in Germania. Nel frattempo a Montecitorio continua la battaglia sulla prescrizione breve. Tutta l'opposizione (Pd, Idv, Udc e Fli) sta mettendo in atto tutte le possibili forme di ostruzionismo per ostacolare il percorso parlamentare del processo breve. E in parte l'effetto è stato ottenuto: il voto finale sul provvedimento, infatti, è già slittato a mercoledì prossimo. Anche se l'obiettivo del centrodestra è di chiudere questa "partita" entro Pasqua con l'approvazione definitiva. Per poi concentrare le attenzioni su un altro disegno di legge contestato: la riforma costituzionale messa a punto dal Guardasigilli Alfano. DA - www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Monito di Napolitano No a ritorsioni, l'Europa è una sola Inserito da: Admin - Aprile 11, 2011, 08:36:42 pm LA POLEMICA Immigrati, monito di Napolitano "No a ritorsioni, l'Europa è una sola" Preoccupazione al Quirinale dopo le frasi del premier e i malumori nella maggioranza contro Bruxelles. "Il mio animo è per un impegno forte dell'Italia nell'Unione affinché il Paese persegua tenacemente una visione comune". Il timore è quello di una frattura nella Ue, il pericolo di un passo indietro verso un riassetto di "separazione" di CLAUDIO TITO ROMA - In Europa serve una visione "comune" anche sull'immigrazione. Ma guai a perseguire atti di "ritorsione" o "linee di divisione". Con il rischio di una frattura nell'Unione europea. O il fantasma di un ritorno al passato, il pericolo di un passo indietro verso un assetto di "separazione" e il precipitare dell'Ue dentro il perimetro angusto della sola unione monetaria. Il conflitto in corso sull'emergenza immigrati 1 per Giorgio Napolitano si sta trasformando rapidamente in un allarme per il futuro dell'Europa. Si materializzano gli scenari più preoccupanti in un crinale scivoloso da cui devono allontanarsi tutti i partner, compreso il governo italiano. A Budapest, dove il presidente della Repubblica ha partecipato al summit dei capi di Stato europei, il suo messaggio da questo punto di vista è stato chiaro. Ma le parole pronunciate sabato scorso a Lampedusa da Silvio Berlusconi ancora risuonano nelle sale del Quirinale e nelle Cancellerie continentali. La minaccia di far esplodere il progetto dell'Ue, sebbene non sia stata compresa pienamente da tutti gli alleati, sta comunque agitando il Colle. "Il mio animo - dice a chiare lettere a Repubblica - è per un impegno forte dell'Italia in Europa affinché il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione comune e elementi di politica comune anche su questo tema dell'immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione, dispetti, divisione o addirittura separazione". Al Quirinale sono consapevoli che lo scontro in corso sui flussi migratori dall'Africa verso Lampedusa e verso l'Europa sta prendendo una piega non certo positiva. Del resto, proprio nel recente vertice ungherese il capo dello Stato ha potuto constatare le consistenti differenze nell'interpretazione del trattato di Schengen e della natura degli eventi di questi giorni. Difformità esplicitate, ad esempio, dal presidente tedesco Christian Wulff con cui Napolitano ha avuto un colloquio bilaterale. Ma le distanze non sono segnate solo da Berlino. Anche perché il vero pericolo che il presidente della Repubblica ha potuto osservare in questi giorni riguarda l'atteggiamento complessivo dei partner europei, di "tutti" i partner. Italia compresa. I quali, in questa fase, sembrano pesantemente condizionati da un vento populista che impedisce un approccio concreto alla questione immigrazione. Basti poi pensare alle scadenze elettorali che la Cdu di Angela Merkel deve affrontare nei prossimi mesi in Germania o alla pressione che sta esercitando la destra di Marine Le Pen in Francia sulla presidenza di Sarkozy. Senza trascurare il sentiero stretto percorso dal ministro degli Interni italiano Maroni vincolato alle richieste della Lega e incalzato dalla base lumbard. Tutti problemi, dunque, che stanno emergendo con fragore in tutte le riunioni europee. Il capo dello Stato li ha soppesati in prima persona nel summit di Budapest. Ma - è il timore degli uomini del Quirinale - rischiano di essere affrontati in Europa con misure provvedimenti mediocri o miserabili. Anche l'improvvida minaccia del Cavaliere, che fortunatamente non è stata recepita pienamente a Bruxelles, non ha aiutato nella ricerca di misure davvero efficaci. Il ministro degli Esteri Frattini, invece, ne ha colto la dirompente pericolosità. È allarmato e sta cercando di ricomporre una situazione che potrebbe rivelarsi deflagrante. Ma, dicono sul Colle, tutti sono obbligati alla "responsabilità" evitando approcci "miopi e difensivi". Certo, lo stesso Napolitano è consapevole del fatto che le soluzioni giuridiche sono piuttosto complicate e la questione è decisamente "controversa". La possibilità, ad esempio, di assegnare i cosiddetti "permessi temporanei" è legata al verificarsi di eventi gravi. In Tunisia, in effetti, nessuno può negare la presenza di uno shock istituzionale. Ma questo può non essere sufficiente. E i Trattati richiedono, in queste circostanze, la presenza di una maggioranza qualificata. Che al momento non ha ancora preso corpo. Una situazione di cui oggi discuterà a Lussemburgo il ministro degli Interni Maroni. Il quale, però, continua ad essere convinto che la procedura adottata dal governo italiano sia adeguata. E anche la lettera perentoria della commissaria Malmstrom viene bocciata dal titolare del Viminale: "Fanno così perché sanno che abbiamo ragione. Sappiamo anche noi che Schengen non è "automaticamente" operativo e che si devono concretizzare determinati requisiti. Requisiti che verranno esauditi". "Il punto semmai - si è sfogato con i suoi Maroni - è che in questi sei mesi l'Europa dovrebbe trovare il modo per garantire soluzioni efficaci o viene mancare a suoi doveri". Un clima di conflittualità complessiva, dunque, che colpisce il capo dello Stato. Infatti, a Budapest ha sollecitato tutti "a una visione più coesa e coerente, a una maggiore convergenza sul piano istituzionale in Europa". Naturalmente il suo richiamo contiene anche "elementi critici" nei confronti di tutte leadership nazionali, compresa quella di Roma. Si tratta di una critica, spiegano sul Colle, che "mira a una maggiore integrazione" da non confondere con posizioni politiche che "prendono le distanze dal progetto europeo". Per questo, avverte, l'impegno dell'Italia deve essere univoco nel "continuare tenacemente a perseguire una visione comune anche sull'immigrazione". Allontanando senza equivoci lo spettro di un futuro di "ritorsione, dispetti, divisione o addirittura di separazione". (11 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/11/news/ Titolo: CLAUDIO TITO. La maggioranza senza freni Inserito da: Admin - Aprile 21, 2011, 05:59:05 pm L'ANALISI
La maggioranza senza freni di CLAUDIO TITO IN QUELLA che Silvio Berlusconi ormai chiama la "guerra" contro i magistrati, sembra tutto possibile. La maggioranza di centrodestra si presenta in Parlamento e all'opinione pubblica sollevata da qualsiasi freno inibitorio. Alla ricerca dell'arma più efficace per vincere la battaglia finale. La Costituzione e le basilari norme del diritto diventano così un intralcio da superare con repentine e fantasiose riforme. E in questa affannosa rincorsa, il centrodestra non ha alcuna preoccupazione di quel che sarà l'assetto istituzionale del prossimo futuro. Anzi, la "casa comune" che ha ospitato l'intera collettività dal 1948 diventa un edificio da abbattere per ricostruirne un altro a immagine e somiglianza della sola maggioranza. Perché tutto è possibile. Diventa possibile persino che un singolo deputato della compagine berlusconiana decida di depositare una proposta di legge al fine di scardinare alla base la nostra Carta fondamentale. Per sovraordinare il Parlamento e quindi il potere legislativo a quasi tutti gli altri poteri dello Stato: a cominciare da quello giudiziario. I magistrati, il Csm, la Corte costituzionale, il presidente della Repubblica diventerebbero tutti soggetti alle dipendenze delle Camere. O meglio alle dipendenze della maggioranza eletta. Il bilanciamento su cui è costruito il nostro sistema costituzionale salterebbe in un colpo solo. E rischierebbe di trasformarsi in quella che Tocqueville definiva tirannide della maggioranza. Farebbe declinare in modo irreversibile il principio della separazione dei poteri che accomuna tutti i sistemi democratici dalla Rivoluzione francese in poi. Certo, il disegno formulato da questo singolo parlamentare del Pdl non è stato avallato dai vertici del suo partito, né dalla presidenza del consiglio. Ma cresce nell'humus che si è formato negli ultimi mesi. Le parole e gli interventi del premier in qualche modo legittimano le iniziative più improvvide. Tutti si sentono titolati a trasformare in atti le sparate da comizio elettorale del capo del governo. Nel Pdl tanti si sono convinti di potersi poi giustificare con un semplice "lo dice anche lui". Del resto, anche i manifesti di Milano che equiparavano i pm alle brigate rosse non possono essere derubricati ad avventata campagna denigratoria di un ignoto politico locale. Rappresentano la pedissequa riproduzione dei giudizi espressi da Berlusconi. E nessuno può negare che dopo il recente richiamo del presidente Napolitano al rispetto della magistratura, l'unica voce muta è stata quella del Cavaliere. Un segnale che nel partito di maggioranza relativa tutti hanno recepito come un'autorizzazione preventiva a mettere nel mirino il Quirinale. A limitarne l'azione e l'autonomia. A minacciarne le prerogative. Come ha fatto l'onorevole Ceroni. Non è un caso poi che proprio mentre questo sconosciuto deputato illustrava a Montecitorio la sua bozza di riforma costituzionale, a Palazzo Chigi mettevano a punto un altro stratagemma per difendere il premier dai suoi processi. La presidenza del consiglio ha deciso di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro i magistrati milanesi impegnati nel processo Mediaset accusandoli di non aver rispettato il legittimo impedimento. Una mossa che in realtà punta a bloccare anche questo procedimento attraverso una "leggina" da approvare in tempi strettissimi. Che renda obbligatoria la sospensione dei processi in presenza di un conflitto di attribuzione. Senza aspettare la sentenza dei giudici costituzionali. Che, anche loro, figurano nella lista nera di Palazzo Chigi. Nel giro di poche settimane, dunque, il centrodestra potrebbe conquistare la prescrizione breve per far saltare la causa Mills. Contestualmente far passare un emendamento che blocca il processo Ruby e, appunto, quello Mediaset. L'ennesimo escamotage per bloccare le inchieste che lo riguardano, dunque, ma anche l'ennesimo tentativo di compromettere i contropoteri che contraddistinguono ogni democrazia. Perché anche la leggina "blocca processi" è potenzialmente in grado di ridurre o arginare i poteri della Corte costituzionale e della Magistratura. Attraverso l'idea che governare equivalga a imporre il volere della maggioranza ad ogni costo. Nella continua "guerra" contro i pm, quindi, ogni leva viene attivata. E ogni equilibrio viene saggiato. Come se ci fosse il perenne bisogno di verificare la tenuta del sistema, di ricercarne i punti deboli su cui insistere o la crepa da divaricare definitivamente. Sebbene, allora, il conflitto tra poteri sollevato sulla vicenda Mediaset corra apparentemente su un binario affatto diverso rispetto alla proposta di modificare l'articolo 1 della Costituzione, in realtà si muove nello stesso contesto. Ceroni probabilmente, dopo qualche giorno di gloria, tornerà nel limbo dell'anonimato e - prendendo in prestito un'opera di Chagall - diventerà "Colui che parla senza dire nulla". Ma gli scatti che Berlusconi proverà da qui alla fine della legislatura non terranno contro del pericolo di incrinare il sistema costituzionale di questo Paese. (21 aprile 2011) © Riproduzione riservata da - repubblica.it/politica/2011/04/21/ Titolo: CLAUDIO TITO. Bossi sigla la tregua ma solo fino al 30 maggio Inserito da: Admin - Maggio 19, 2011, 06:03:28 pm di CLAUDIO TITO
Bossi sigla la tregua ma solo fino al 30 maggio "Il governo non può non fare nulla". Umberto Bossi lancia un avviso a Silvio Berlusconi e sigla la tregua. Che ha però una scadenza ben precisa: il prossimo 30 maggio, quando si conosceranno i risultati dei prossimi ballottaggi. L'incontro tra il Senatur e il premier è stato soprattutto questo. Con il leader leghista che chiede al premier un "cambiamento". E non si tratta di nominare Maroni o Tremonti al posto del Cavaliere. Per Bossi, il vero incubo è la palude che potrebbe aprirsi in questi due ultimi anni di legislatura. Una situazione che il Carroccio non può permettersi. Il governo allora deve dimostrare subito di essere in grado di cambiare marcia e soprattutto di non offrire più lo spettacolo dato ieri alla Camera con ben cinque votazioni che hanno registrato la sconfitta della maggioranza. Toccherà quindi al Pdl registrare i rapporti con i Rereponsabili che rappresentano adesso il vero punto debole della coalizione. Il tutto, però, dovrà essere messo alla prova dei ballottaggi: se la Moratti confermerà la sconfitta, per i lumbard la strada del "cambiamento" sarà obbligata. La base leghista già lo invoca. Come e in che termini è da stabilire, ma certo l'eventuale vittoria di Pisapia non consentirà a Berlusconi di lasciare le cose così come sono ora. Se al contrario la Moratti riuscirà a recuperare, allora il presidente del consiglio potrà contare su un periodo di relativa tranquillità. Il Cavaliere non ha ancora deciso come affrontare questi ultimi 10 giorni di campagna elettorale. Con ogni probabilità eviterà di esporsi a Milano e a Napoli. Ma anche nel Popolo delle libertà la tensione sta salendo. E molte delle cosiddette "colombe" chiedono una correzione di rotta. Il centrosinistra, invece, punta a conservare il vantaggio conquistato domenica scorsa a Milano e a giocaresi tutte le chance per De Magistris a Napoli. Ma soprattutto si prepara alla sfida finale. Avvertendo che in caso di crisi, questa volta l'opzione del voto anticipato sarà prioritaria. da - repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. La sfida referendaria che scuote il governo Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 04:09:19 pm di CLAUDIO TITO
La sfida referendaria che scuote il governo I referendum di domenica prossima si stanno sempre più trasformando nell'ennesimo test per il governo. Al di là del significato tecnico dei quattro quesiti, in realtà la sfida è tutta rivolta al presidentente del consiglio. L'eventuale raggiungimento del quorum, infatti, equivarrebbe a un altro schiaffo per il centrodestra. In questo senso, la decisione della Corte costituzionale di confermare anche la consultazione sul nucleare potrebbe rivelarsi un potente carburante per portare gli italiani al voto. Non a caso Berlusconi si è battutto - anche con un ricorso formale alla Consulta - per impedire che il quesito si tenesse. Il Cavaliere, quindi, sa che i referendum possono assesstare un altro colpo alla sua maggioranza. Che ieri è riuscita a ricomporre i cocci a Arcore dopo la batosta delle ultima amministrative. Ma la tregua siglata ieri con Umberto Bossi e Giulio Tremonti non può ancora considerarsi definitiva. In primo luogo perchè il ministro dell'Economia non intende assecondare le spinte alla "defiscalizzazione" reclamata dal premier e ora anche dal Senatur. In secondo luogo perchè la base del Carroccio non è affatto tranquillizzata dalla linea accondiscendente di Berlusconi. Tra dieci giorni si terrà a Pontida il tradizionale raduno lumbard. E lì si capirà se la verifica prevista per fine giugno possa rivelarsi più cruenta. Non è comunque un caso che oggi il ministro Calderoli abbia depositato una proposta di legge di iniziativa popolare per trasferire i ministeri al nord. Una provocazione nei confrotni della componente "sudista" del Pdl. Ma soprattutto un modo per galvanizzare il popolo leghista che sarà chiamato proprio a Pontida a firmare l'iniziativa legislativa. Prima di allora, però, si deve consumare il passgagio referendario. L'opposizione è convinta di poter assestare un'altro colpo al governo. E venerdì scenderà in piazza proprio per sostenere il Sì. E lo faranno in contemporanea in quattro città: Roma, Milano, Napoli e Palermo. da - repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. La politica del rinvio Inserito da: Admin - Luglio 01, 2011, 11:29:22 pm L'ANALISI
La politica del rinvio di CLAUDIO TITO QUESTO governo è ormai incapace di assumere decisioni. La sua maggioranza è troppo debole e confusa per segnare una linea netta. Ogni scelta diventa un compromesso al ribasso. Quel che è accaduto ieri in consiglio dei Ministri rappresenta plasticamente una coalizione che balbetta senza sosta. Sull'emergenza rifiuti a Napoli si è addirittura spaccata con il voto esplicitamente contrario della Lega al decreto sollecitato anche dal presidente della Repubblica. Sulla manovra economica ha rinviato di fatto ogni risoluzione al 2014: quando l'attuale Parlamento sarà ormai scaduto. E infine ha fatto slittare la designazione del successore di Mario Draghi alla Banca d'Italia. Un esecutivo dunque condizionato dalle sue debolezze e da una alleanza che si sente precocemente esausta. Come se avvertisse in anticipo la fine della legislatura. Non si spiegherebbe altrimenti il clamoroso capitombolo in cui è incorso mercoledì scorso alla Camera sulla cosiddetta legge comunitaria. Un provvedimento delicato, svanito per le assenze di quasi sessanta deputati del centrodestra e che ora può esporre l'Italia a salatissime sanzioni da parte dell'Unione europea. Ma a pagare la fragilità del governo è soprattutto la manovra economica. Che al momento si presenta come un contenitore vuoto. Un insieme di "desiderata" da realizzare successivamente. Il suo obiettivo principale sarebbe quello di rispettare gli impegni europei sul debito, che negli ultimi anni è schizzato al 120 per cento. Eppure tutto viene rimandato al 2013-2014. Come una "maxi-rata" per l'acquisto di una vettura. Un modo per scaricare sul prossimo Parlamento e sul prossimo governo l'urgenza di misure draconiane per recuperare in due anni almeno 40 miliardi di euro. Proprio il contrario dell'appello alla "responsabilità" lanciato dal capo dello Stato. E sebbene il presidente del consiglio continui ad assegnare le colpe dell'esplosione del nostro debito sui governi della Prima Repubblica, dimentica che solo quattro anni fa il rapporto debito/pil si attestava al 103%. E che nel 1990 era stabilmente al 99%. Il punto, comunque, è che tutti gli interventi annunciati sono coniugati al futuro e soprattutto non sono illustrati nei loro contenuti. Non si capisce su cosa inciderà il bisturi del risparmio e come verrà finanziato l'aiuto allo sviluppo promesso. Il governo assicura che ci sarà una graduale riduzione dell'Irap e che i giovani imprenditori saranno incentivati con un forfait fiscale del 5 per cento. Ma la copertura al momento appare ignota. Soprattutto se - come hanno ribadito il premier e il ministro Tremonti - non verrà aumentata l'Iva. Tutto sembra congelato in un equilibrio talmente precario da rendere ogni passo incerto. Anzi, tutto diventa solo futuribile. Come la riforma fiscale e quella previdenziale. Le tre aliquote irpef contenute nella delega entreranno in vigore entro tre anni. Ossia entro il 2014. Quando, appunto, questo governo e queste Camere non ci saranno più. E la riduzione delle tasse verrebbe finanziata con una revisione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni e con il recupero dell'evasione fiscale. Uno strumento, quest'ultimo, che venne criticato già in passato dal Quirinale per un motivo molto semplice: associa uscite certe e entrate incerte. Senza contare che la sforbiciata ai costi della politica non sono affatto immediati: riguarderà, appunto, la prossima legislatura. "Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani", ha detto Berlusconi preoccupato di non peggiorare il suo tasso di popolarità. In questo caso, però, non le ha messe per togliere ma neanche per aggiungere. Tutto è rinviato, tutto appartiene al futuro. Ma, come ammoniva John Maynard Keynes, "nel lungo periodo siamo tutti morti". (01 luglio 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/07/01/news/la_politica_del_rinvio-18480775/?ref=HREC1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. E il Cavaliere annuncia il ritiro Inserito da: Admin - Luglio 08, 2011, 10:05:15 am L'intervista
E il Cavaliere annuncia il ritiro "Nel 2013 lascio, tocca ad Alfano" Intervista al presidente del Consiglio. Che parla di tutto e tutti: "Avrei voglia di lasciare già adesso, ma non lo farò. Dopo Napolitano, al Quirinale andrà Letta. Tremonti? Il solo che non fa gioco di squadra. La P4 è solo fango e se la struttura Delta esistesse sarebbe una struttura di coglioni. La manovra la cambieremo in Parlamento" di CLAUDIO TITO ROMA - "Ma quand'è che smetterete di attaccarmi? Provate a essere più equilibrati. Se ci riuscite". Silvio Berlusconi ha appena presentato il libro del "responsabile" Domenico Scilipoti. Esce dalla sala del Mappamondo alla Camera, dribbla le telecamere e alcuni parlamentari del Pdl in attesa di un colloquio. Ma davanti al cronista di Repubblica fa partire l'offensiva. Attacca, per difendersi e difendere il suo governo. Si dice convinto che non ci saranno le elezioni anticipate e che le inchieste in corso che lo riguardano "finiranno nel nulla". Spara ad alzo zero contro i magistrati ("il partito dei giudici si sta preparando all'appuntamento elettorale del 2013"), sferza il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti ("è l'unico che non fa gioco di squadra") e blinda il cosiddetto Lodo Mondadori ("L'ha scritto il Tesoro e il Guardasigilli"). Soprattutto annuncia formalmente che tra 18 mesi il candidato premier del centrodestra non sarà più lui. Bensì Angelino Alfano, il nuovo segretario del Pdl. E la carta che il centrodestra giocherà per il Quirinale sarà invece quella di Gianni Letta. Il premier è un fiume in piena. Non si ferma nemmeno quando un paio di deputati del suo partito cercano di salutarlo. Si infila nell'ascensore che lo porta verso il tunnel "segreto" tra Montecitorio a Palazzo Chigi. E fa di tutto per mostrarsi sereno e deciso a proseguire la legislatura. Lei dice che dobbiamo essere più equilibrati, eppure contro di lei sembra ormai schierarsi tutto il centrodestra. "Ma non è vero. Qualcuno cerca solo un po' di visibilità. Nient'altro". Scusi, e i nervosismi della Lega? "Guardate che l'intesa con Bossi è solidissima. E ho un buon rapporto anche con Maroni e Calderoli". Le ipotesi di governo tecnico per sostituirla, però, non le tira fuori Repubblica. "Non c'è alcuna possibilità che nasca un esecutivo del genere. Anche i leghisti, dove vuole che vadano? Tutti quelli che si staccano fanno una brutta fine. Pensate a Fini e Casini. Quelli del Fli ormai sono inesistenti. Il loro progetto politico - una volta fallito l'assalto del 14 dicembre - è il nulla. Ero solo io il loro obiettivo". A questo punto il Cavaliere accelera il passo. La scorta lo aspetta alla fine del tunnel. Continua a parlare. Tra le mani una cartellina azzurra e il libro di Scilipoti "Il re dei peones". Il suo patto con il Senatur sarà pure granitico, ma nel Carroccio non è per tutti così. Lì qualcosa si sta muovendo. "Sono le nuove generazioni. È giusto. Capiscono che io e Umberto prima o poi dobbiamo essere sostituiti. E si preparano. Con una piccola differenza rispetto al Pdl: ci sono tanti giovani di valore come Reguzzoni o Cota, ma non hanno ancora trovato il successore di Bossi". Vuol dire che invece il suo partito l'ha trovato e che lei verrà sostituito? "Certo". Non si candiderà alle prossime elezioni politiche? "Assolutamente no. Il candidato premier del centrodestra sarà Alfano. Io, se potessi, lascerei già ora...". A questo punto si ferma. Come se fosse indeciso: continuare a sfogarsi oppure no. Davanti, la porta del suo studio. Un sospiro ed entra. Si siede su un divano giallo pallido. Un analcolico e qualche tartina al peperone sul tavolo. Lo interrompe il suo portavoce, Paolo Bonaiuti: "Non devi dire che ti dimetti...". "Infatti non mi dimetto - ricomincia, ma con un tono più stanco -, però verrebbe voglia. In ogni caso alle prossime elezioni non sarò io il candidato premier". Crede che la coalizione lo accetterà? E la Lega? Tremonti lo accetterà? "Perché no? Ne ho già parlato. Credo che siano tutti d'accordo. Io farò la campagna elettorale e aiuterò Angelino. Farò il "padre nobile". Cercherò di costruire il Ppe in Italia. Ma a 77 anni non posso più fare il presidente del consiglio". Le servirà l'aiuto dei centristi di Casini. "Mah! Pier non ha ancora deciso. Ha due possibilità. O va da solo come Terzo polo o - come penso - farà un patto di apparentamento con noi quando saprà che il candidato premier non sono io. A sinistra non può andare perché altrimenti perde i due terzi dei suoi elettori. E la legge elettorale resta questa. Non se ne esce". Se Alfano sarà il candidato premier, lei cercherà di andare al Quirinale? Stringe gli occhi e scuote la testa. Si appoggia sullo schienale del divano e abbassa la voce: "Non è per me. Al Quirinale ci andrà Gianni Letta. È la persona più adatta. Anzi è una grande persona. È un buono e ha ottimi rapporti anche con il centrosinistra. Avrebbe anche i loro voti". E questa doppia candidatura trova d'accordo pure Tremonti? "Non lo so. Sa, lui pensa di essere un genio e crede che tutti gli altri siano dei cretini. Lo sopporto perché lo conosco da tempo e va accettato così. Ma è l'unico che non fa gioco di squadra". E perché, secondo lei, lo fa? "Non lo so. È carattere. Ma alla fine non può fare niente. Anche lui: dove va? Anche nella Lega hanno un po' preso le distanze". Certo pure Brunetta non sarà tanto contento di come è stato apostrofato dal collega. "Quel 'cretino' è emblematico. Brunetta, giustamente, parlava ai nostri elettori. Lui invece parla solo ai mercati". Non vi siete spiegati nemmeno sulla norma "Salva-Fininvest". "Era tutto chiaro". L'ha fatta mettere lei nella manovra? "Hanno fatto tutto Tremonti e Alfano. Io nemmeno la volevo. Ma resto dell'idea che sia un provvedimento sacrosanto". Ma sembra costruita per la sua azienda. "Niente affatto. La riproporremo in Parlamento. Anche perché, ne sono sicuro, i cinque magistrati della Cassazione ribalteranno il verdetto". Per un momento recupera il sorriso di un tempo. Si gira ancora verso Bonaiuti e dice: "Paolo, hai visto Milanese (collaboratore di Tremonti, ndr)? Richiesta di arresto". Spalanca le braccia e non aggiunge altro. Cerca di cambiare discorso. Lei dice che va tutto bene, ma ci sono tante inchieste che la riguardano e che vedono coinvolti diversi uomini del suo governo. "Sa qual è la verità? È che il partito dei giudici si sta preparando alle prossime elezioni. Tutti cercano dei meriti per farsi candidare. La loro è semplice invidia sociale". Nell'inchiesta P4, però, le prove ci sono. I documenti sono tanti e il quadro si presenta grave. "È tutta roba che finirà nel nulla. Io poi in quell'inchiesta non sono proprio entrato. Quel Bisignani non l'ho mai conosciuto". Non negherà il coinvolgimento di Letta? "Sul dottor Letta posso mettere la mano sul fuoco. Nessuno è più limpido di lui. Gli dobbiamo essere grati, è un lavoratore instancabile". Ma quell'inchiesta dice ben altro. Fa riferimento ad un uso illecito di notizie riservate. "È solo fango e finirà nel nulla". E anche la Struttura Delta sarebbe solo fango? "Ma quale Struttura Delta. Se fosse vero, sarebbe una struttura di coglioni. Non hanno condizionato un bel nulla. La Rai ci è sempre stata contro. Le sembra che siamo mai riusciti a farci fare un favore dalla Rai? Nel Cda poi... meglio che non parlo". È scontento anche della Lei, il nuovo direttore generale? "Non la conosco e non mi intrometto". Ammetterà che la manovra messa a punto da Tremonti non è affatto quella che voleva lei. "Dobbiamo tenere conto delle circostanze". Il Pdl è in rivolta, la Lega protesta. La riforma fiscale rischia di saltare e i soldi per finanziarla potrebbero essere utilizzati per saldare il debito. "Sulle tasse andiamo comunque avanti. È chiaro che la situazione è difficile. Abbiamo cercato soprattutto di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Negli altri paesi lo hanno fatto. Hanno tagliato i dipendenti pubblici e i loro stipendi. Detto questo, la modificheremo: correggeremo il superbollo sulle autovetture e qualcosa sulle tasse la faremo". E come convince Tremonti? "Lui è preoccupato dei mercati, lo capisco. Ma io gli ricordo sempre che in politica il fatturato è composto dal consenso e dai voti. A lui il consenso non interessa, a noi sì. Quindi, fermi restando i saldi, noi la manovra la cambieremo in Parlamento". (08 luglio 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/07/08/news/intervista_berlusconi-18824931/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Lo stallo di Berlusconi sulla crisi dei mercati Inserito da: Admin - Agosto 05, 2011, 05:06:29 pm di CLAUDIO TITO
Lo stallo di Berlusconi sulla crisi dei mercati Silvio Berlusconi continua sulla linea della "resistenza". Non vuole assumere nessuna iniziativa straordinaria per affrontare la crisi economica. Il buon andamento della Borsa, peraltro, ha rafforzato le convinzioni del premier. Anche se lo spread tra i nostri Btp e bund tedeschi ha raggiunto oggi il nuovo record. L'idea, dunque, di convocare la prossima settimana un consiglio dei ministri straordinario per accogliere le indicazioni dell'Unuone europea e della Bce, resta solo un'ipotesi. Una semplice eventualità nel caso in cui lunedì prossimo i mercati dovessero far cadere di nuovo la loro mannaia sull'Italia. Di questo infatti hanno discusso stamattina il presidente del consiglio e il ministro delle Sviluppo, Paolo Romani. La conferma, peraltro, che il rapporto tra il Cavaliere e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è ormai sotto il segno della incomunicabilità. Il Pd continua a reclamare un nuovo governo. Secondo il partito di Bersani, la svolta è possibile solo con le dimissioni di Berlusconi. E a quel punto anche i Democratici sarebbero pronti a sostenere un esecutivo di emergenza. Un percorso, però, che sta provocando più di una spaccatura tra le opposizioni. Pier Ferdinando Casini ha già manifestato la sua contrarietà ad una crisi in questa fase. E persino Romano Prodi ha avvertito che durante la tempesta non si può cambiare il comandante della nave. Eppure, la situazione di paralisi del governo sta scuotendo tutte le parti sociali che si aspettavano risposte più rapide da parte del governo. Ma anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non nasconde la sua preoccupazione per una situazione economica che non presenta al momento vie d'uscita. da - http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il governo in stato confusionale Inserito da: Admin - Settembre 02, 2011, 09:49:02 am di CLAUDIO TITO
Il governo in stato confusionale Il governo e la maggioranza sembrano in stato confusionale. Dopo il lungo vertice di lunedì scorso a Arcore, la manovra correttiva viene di fatto riscritta completamente. Oggi è defintivamente saltata la stretta sulle pensioni di anzianità. La misura che cancellava gli effetti del riscato di laurea e servizio militare. La protesta di tutte le categorie e dei sindacati hanno però costretto il centrodestra ad un repentino dietrofront. Anche perchè il rischio che il Qurinale facesse pesare un giudizio di incosttizuonalità stava crescendo. A rischio appare anche il contributo di solidarietà previsto per i dipendenti pubblici che guadagnano più di 90 mila euro l'anno. Sta di fatto che la cancellazione del provvedimento sulle pensioni impone al governo di trovare nuove coperture per mantenere i saldi. A questo punto, infatti, mancano all'appello almeno 6 miliardi. Sul tavolo ricompare l'ipotesi di alzare l'Iva di un punto, come proponeva Silvio Berlusconi. Al Tesoro si sta valutando pure l'idea di far crescere le accise su su tabacco e giochi. Del resto, Bruxelles terrà sotto osservazione il pacchetto italiano e già avverte che il governo dovrà concentrarsi anche sulle misure per la crescita e lo sviluppo. L'opposizione va all'attacco della maggioranza. Per il Pd, ormai, "siamo alla farsa". Anche l'Udc di Casini e l'Idv di Di Pietro sparano alzo zero contro la manovra. I democratici, però, devono fare i conti anche con il malessere interno. La vicenda Penati e il referendum elettorale scuotono il partito di Bersani. La macchina referendaria, però, è già in marcia e i democratici sembrano ormai obbligati a sostenerla. da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2 Titolo: CLAUDIO TITO. Il centrodestra cerca la tregua sulla manovra Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 10:52:02 pm di CLAUDIO TITO
Il centrodestra cerca la tregua sulla manovra Il centrodestra sigla la tregua sulla manovra. Anche se la definizione delle misure sembra non ancora completata. L'emendamento dell'esecutivo infatti non soddisfa quasi nessuno. Buona parte della maggioranza contesta i tagli ai ministeri, i sindaci e i presidenti di Regione attaccano i risparmi sugli enti locali e la Confidustria considera inadeguata la manovra. Per di più i saldi del provvedimenoi - sebbene ieri Giulio Tremonti li abbia garantiti - non risultano confermati. Le entrate dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale non sono certe. Non a caso iniziano già circolare le ipotesi di un condono che però il ministro dell'Economia per il momento smentisce. Per molti però resta l'unica soluzione per assicurare entrate certe. Del resto, i dubbi dell'Unione europea e della Bce tornano ad essere pressanti. Bruxelles pretende certezze che allo stato Palazzo Chigi non fornisce. E la possibilità di un dialogo con l'opposizione è definitivamente saltata: sia il Pd, sia l'Udc non voteranno il decreto. Per di più il presidente del consiglio si sente ora sotto assedio dopo l'apertura del nuovo capitolo dell'inchiesta sulle escort. I verbali dell'arresto di Tarantini hanno provocato una bufera su Silvio Berlusconi. Il cavaliere nega qualsiasi tipo di coinvolgimento e anche di essere stato ricattato. Il Pd invece è ancora alle prese con il confonto interno sulla legge elettorale e sul caso Penati. da - http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO. Continua lo scontro tra Napolitano e la Lega Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2011, 11:10:24 am di CLAUDIO TITO
Continua lo scontro tra Napolitano e la Lega Lo scontro tra il presidente della Repubblica e la Lega non si ferma. Napolitano ha confermato la sua difesa dell'Unità d'Italia. Spiegando che il Paese non può crescere se anche il Sud non avanza. Il capo dello Stato ha anche ricordato che il suo ruolo lo obbliga alla totale imparzialità nei confronti di tutti i partiti. Ma proprio il suo richiamo alla riforma elettorale, ha provocato uno scossone tra le forze politiche. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha spiazzato sia il Carroccio sia il Pdl con l'esortazione a svolgere il referendum. L'esponente leghista teme che una riforma elettorale possa penalizzare i lumbard e avverte gli alleati che se fosse questa l'intenzione, allora la Lega si schiererebbe per la consultazione popolare. Ma la sua posizione e l'apertura alle riflessioni di Diego Della Valle hanno accesso lo scontro interno al Carroccio. La base è in rivolta e la resa dei conti tra maroniani e "cerchio magico" bossiano sembra ormai inevitabile. Calderoli è irritato, Reguzzoni ha sparato contro il titolare del Viminale. E tra due settimane si terrà il congresso di Varese dove si misureranno le forze in campo. Ad agitare le acque ci si è messo, appunto, anche Della Valle. Il suo attacco ai politici ha ricevuto critiche bipartisan. I soli a difenderlo sono Casini e Maroni. Il patron della Tod's sembra pronto a scendere in campo. Anche se per il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è una mossa finalizzata solo a prendere il controllo di Confindustria. Sebbene a Palazzo Chigi vedano nel suo manifesto e in quello della Marcegaglia anche il tentativo di arrivare a un governo tecnico. Nel campo del centrosinistra, invece, Sel e Di Pietro riescono a riempire Piazza Navona. Entrambi criticano il Pd di Bersani e chiedono una svolta con le primarie. Soprattutto, avverte Vendola, per affrontare le elezioni non potrà bastare il "Nuovo Ulivo". Servirà una vera apertura alla società civile. da - http://www.repubblica.it/politica/ Titolo: CLAUDIO TITO Consultazioni informali del Colle si valuta la tenuta del Cavaliere Inserito da: Admin - Novembre 03, 2011, 04:51:09 pm RETROSCENA
Le consultazioni informali del Colle si valuta la tenuta del Cavaliere Il capo dello Stato ascolterà anche i pareri di parti sociali e Banca d'Italia sulla crisi economica. Il nodo-Tremonti pesa sulla capacità di Palazzo Chigi di dare risposte credibili ai mercati di CLAUDIO TITO L'EURO boccheggia. Ieri è stata una giornale terribile, segnata dai crolli delle Borse, dall'asfissia delle banche, dall'implosione dei titoli pubblici, dall'allargarsi del divario, in Europa, fra Paesi forti e deboli, da dubbi sempre più diffusi sulla sopravvivenza della moneta comune. Giorgio Napolitano scende in campo. La crisi economica stringe in una tenaglia il nostro Paese e la situazione politica non offre tutte le garanzie perché le misure reclamate dall'Ue vengano approvate rapidamente. Mentre le borse precipitano e il debito pubblico italiano lede la credibilità del sistema, al Quirinale suona l'allarme e il capo dello Stato avvia una sorta di consultazioni informali. Contatti con le autorità istituzionali e politiche, con quelle monetarie e comunitarie. Con i leader politici, dei sindacati e del mondo imprenditoriale. Per illustrare a tutti la delicatezza del momento e saggiarne gli orientamenti. Per esortare Palazzo Chigi a premere sull'acceleratore della concretezza e per capire quali possano essere le eventuali alternative se il centrodestra non si dimostrasse in grado di varare tutti provvedimenti necessari. Nessun pressing sul Cavaliere a fare un passo indietro, certo, ma solo la consapevolezza che in caso di crisi, il Colle sarebbe obbligato a verificare ogni possibilità per mettere in condizione l'Italia di rispondere all'emergenza economica nel modo migliore. Il colloquio con il presidente del consiglio è stato centrato proprio su questo aspetto. Il capo dello Stato chiede al governo un intervento celere. "Domani approveremo il primo pacchetto di interventi - ha assicurato Berlusconi -. Possiamo andare avanti senza incertezze. Già stasera vedrò i miei ministri per concordare concretamente ogni singolo provvedimento". Una dichiarazione di cui il presidente della Repubblica ha preso atto, ma di cui verificherà le conseguenze concrete. Il Colle si aspetta che il premier dia un seguito sostanziale alle sue parole. Ma non si nasconde le viscosità che rallentano l'azione del centrodestra: a cominciare dal conflitto tra il presidente del consiglio e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per finire alle incertezze sulla composizione dei provvedimenti. Sa che le fibrillazioni dei mercati sono in questa fase determinate in primo luogo dall'emergenza greca ma si riflettono nel modo più pesante proprio sull'Italia. La crescita costante dei tassi ai quali vengono collocati i nostri Btp, l'impennata dello spread con i bund tedeschi, la caduta verticale della Borsa di Milano, l'allarme lanciato dall'Abi e da un banchiere di altissimo livello come Giovanni Bazoli, sono tutti elementi che confermano la fragilità italiana e l'analisi che in questi giorni viene elaborata dal Quirinale. Per questo se il governo - e solo se - non riuscisse a fare fronte nella sua compagine ministeriale e in Parlamento allo scadenzario imposto la scorsa settimana dal Consiglio europeo, Napolitano sarebbe obbligato a "verificare" le alternative. Anche se, dicono gli uomini di Napolitano, nelle "consultazioni informali" non si può assolutamente prevedere un automatismo a favore di un esecutivo di larghe intese. Sta di fatto che ieri la più alta carica dello Stato ha parlato al telefono con il segretario Pd, Pierluigi Bersani, e con il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Entrambi gli hanno confermato la "piena disponibilità" ad appoggiare un esecutivo di "larghe intese". Ma senza Berlusconi. Una linea che stavolta non ha sorpreso il capo dello Stato. Sul Colle, infatti, sono consapevoli che non può più essere il momento di chiedere - come è accaduto la scorsa estate - un contributo nell'approvazione dei provvedimenti preparati dal Cavaliere. "Governo di transizione, una figura credibile in Italia e in Europa che lo guidi, misure d'emergenza per l'economia e riforma della legge elettorale. Ma Berlusconi deve andare a casa", sono le richieste e le condizioni poste da Bersani e Casini. Un modo per dire chiaramente che le "larghe intese" non possono essere confuse con la disponibilità a condividere l'operato del Cavaliere. Ma per varare un "nuovo orizzonte" al momento manca un passaggio preliminare: le dimissioni del premier. Non a caso oggi il segretario democratico ricontatterà tutti i capi dell'opposizione e anche i cosiddetti "ribelli" del Pdl. Allo studio c'è ora un documento che potrebbe essere scritto e firmato proprio dal gruppo degli "indisponibili" del centrodestra e sul quale convergerebbero i voti di tutta l'opposizione. Un testo da presentare la prossima settimana alla Camera in occasione delle comunicazioni del presidente del consiglio. Una formulazione in cui si eviterebbero toni eccessivamente critici verso questi tre anni di governo Berlusconi, ma si inviterebbe il presidente del consiglio a salire al Quirinale per facilitare le risposte da dare all'emergenza economica. Sarebbe quella, insomma, l'occasione per testare la tenuta della maggioranza dinanzi alla tempesta finanziaria. Napolitano quindi ora sa che tutta l'opposizione ha offerto la "disponibilità" per un percorso di questo tipo. Nello stesso tempo è intenzionato a "verificare" sia la tenuta della maggioranza sia i malumori che stanno emergendo nel campo del centrodestra. Ma soprattutto vuole seguire i segnali che possono provenire dall'Unione europea. Tutti infatti sono a conoscenza del pressing che anche ieri il Cancelliere tedesco Merkel ha esercitato perché l'Italia adotti gli accorgimenti per evitare il contagio greco. I provvedimenti che oggi verranno annunciati in consiglio dei ministri subiranno una prima valutazione al G20 di Cannes che prende il via domani. Ma il vero banco di prova sarà quello dei mercati finanziari. Sul Colle vogliono "verificare" quale sarà l'esito. E capire se le parole pronunciate la scorsa settimana da Giulio Tremonti fossero fondate: "Il problema non sono le misure, ma è Silvio Berlusconi. Finché c'è lui, ogni provvedimento viene bruciato". (02 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/02/news/quirinale_consultazioni-24262167/ Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi abbandonato anche da Letta e Bossi Inserito da: Admin - Novembre 08, 2011, 09:59:00 am Diario della crisi
Berlusconi abbandonato anche da Letta e Bossi di CLAUDIO TITO "STAI COMMETTENDO un errore. Se vai avanti così, nessuno ti può aiutare. Nemmeno noi. Nessuno può garantirti più i numeri alla Camera". Se a parlare così è un uomo prudente e soprattutto leale nei confronti di Berlusconi come Gianni Letta, allora è davvero inspiegabile l'ostinazione con cui il Cavaliere sta insistendo per la sua strada contro tutto e tutti. Il premier sembra ormai incosciente, quasi in trance. Incapace di capire cosa gli capita attorno e di cogliere i segnali che quotidianamente la Ue e i mercati finanziari gli spediscono con crescente allarme. Il Pdl - quella che doveva essere la sua creatura e il suo lascito alla politica - ha sostanzialmente alzato le braccia dinanzi alla sua cocciutaggine. Nel bunker di Via dell'Umiltà, persino gli uomini più fedeli non fanno più nulla per evitare la resa dei conti in Parlamento. Come se ognuno volesse scrollarsi di dosso la responsabilità di una sconfitta probabile e liberarsi dal peso di una scelta irresponsabile. Del resto, il capo del governo ormai agisce in solitudine. Prima ha concordato con lo stato maggiore del suo partito un'uscita di scena, poi ha improvvisamente cambiato idea. E lo ha fatto dopo aver incontrato i suoi figli e il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri. In un pranzo - presente anche l'avvocato-deputato Nicolò Ghedini - in cui si è discusso se fosse più conveniente per le aziende dimettersi o andare avanti. Una circostanza che ha fatto infuriare buona parte del Popolo delle libertà. I ministri più giovani, infatti, sanno che solo se il governo evita un formale voto di sfiducia, possono tenere in vita il centrodestra e giocarsi le proprie carte per il futuro. Ma anche la Lega di Bossi ormai ha deciso di rompere il patto con il Cavaliere. Ieri il premier aveva pensato persino di porre la fiducia oggi sul Rendiconto generale dello Stato. Una mossa stoppata proprio dal Senatur che non è più in grado di assecondare il capo del governo. I sondaggi in caduta libera impongono una svolta pure al carroccio. E con ogni probabilità se sul Bilancio dello Stato le astensioni saranno più dei voti favorevoli, la Lega potrebbe annunciare lo strappo finale. Il "no" del premier a passare il testimone ad Alfano e Maroni, del resto, è stata l'ultima offerta del Senatur. "Non voglio bruciare Angelino", ha detto Berlusconi a Calderoli. Una risposta che è stata interpretata come una semplice e inaccettabile scusa. Ma al di là del disorientamento che accompagna tutte le scelte del centrodestra, a Palazzo Chigi continuano a ignorare i messaggi dei mercati. Ieri lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi ha toccato un nuovo record. Per poi scendere dopo le voci sulle sue dimissioni. Un segnale inequivocabile. Che, se associato al commissariamento di fatto da parte dell'Ue e del Fondo Monetario internazionale, rappresenta un'indicazione chiara di quello che gli analisti finanziari, i grandi fondi di investimento e i soprattutto i Paesi stranieri che mantengono un'ampia esposizione con titoli di stato italiano, si aspettano nei prossimi giorni. Se la politica nostrana scommette sulle elezioni anticipate, gli interlocutori esterni sembrano spingere per un esecutivo "tecnico". Un governo guidato da un personaggio come Mario Monti o come Giuliano Amato (che sta conquistando posizioni anche ai piani alti delle nostri Istituzioni) nella consapevolezza che solo un assetto di questo tipo può garantire una riduzione del debito pubblico con misure anche impopolari. Per questo le forze più responsabili del centrodestra e del centrosinistra si affannano a indicare soluzioni "tecniche". O miste, come sta facendo l'Udc con il "ticket" Monti-Letta. Ma per ora, di fronte alla paralisi del centrodestra e alla cocciutaggine del Cavaliere, l'unica strada è quella dello scontro frontale. Se oggi, però, le astensioni sul Rendiconto saranno superiori ai voti favorevoli, tutto cambierà. Il Quirinale dovrà prendere atto che la maggioranza in Parlamento non c'è più e quindi decidere la strada da intraprendere. Sapendo che la spinta verso le elezioni viene in primo luogo dal Cavaliere e quella per un esecutivo di transizione è esercitata da chi considera un'emergenza il salvataggio economico del Paese. (08 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/08/news/berlusconi_solo-24625614/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. L'ultimo sogno del Cavaliere candidarsi ancora come premier Inserito da: Admin - Novembre 09, 2011, 05:49:41 pm Diario della crisi L'ultimo sogno del Cavaliere candidarsi ancora come premier di CLAUDIO TITO "ADESSO puoi fare come Zapatero. Gli spazi ci sono". L'ultimo consiglio prima di salire al Quirinale glielo ha dato Umberto Bossi. Silvio Berlusconi ha raccolto il suggerimento. Davanti alle due opzioni che il vertice del centrodestra gli aveva sottoposto ieri pomeriggio, sceglie quella studiata insieme a Gianni Letta, Fedele Confalonieri e i suoi figli. Non il passaggio di testimone a favore di Angelino Alfano o Renato Schifani, ma le dimissioni annunciate e non rassegnate per rinviare lo scontro finale almeno di un mese. Di fronte alla cruda verità dei numeri, il premier ha preso tempo. La maggioranza alla Camera non c'è più, ma come un giocatore di poker ha fatto slittare l'ultima puntata. Perché la vera paura del Cavaliere in queste ore non erano le dimissioni, ma la nascita di un "governo per l'Europa" guidato da Monti e con un programma economico costruito sulla lettera inviata da Palazzo Chigi a Bruxelles. E quindi difficilmente criticabile dal Pdl. La legge di Stabilità, allora, verrà approvata con ogni probabilità la prima settimana di dicembre. A Palazzo Chigi sperano addirittura di tirarla per le lunghe e arrivare a metà del prossimo mese. Il tutto per rendere più complicato il percorso per un esecutivo di larghe intese e agevolare lo scioglimento delle Camere. Con una campagna elettorale pilotata dal Cavaliere - ancora seduto sulla poltrona della presidenza del consiglio - e affrontata dal Pdl come il partito che ha varato la manovra "europeista" anti-crisi. Del resto, nel disegno di Berlusconi la traiettoria è chiara: andare a votare a febbraio facendo balenare la possibilità di candidare Angelino Alfano. Ma lo schema che ancora sogna è un altro: ripresentarsi come aspirante premier, spiegare al segretario Pdl che non c'è più il tempo per le primarie che tutto il partito invoca. Quindi "correre" di nuovo sperando nella ricorsa nei sondaggi e avendo in mente l'elezione del successore di Napolitano fissata per la primavera del 2013. Ma il progetto berlusconiano sembra al momento solo una tattica studiata a tavolino. Perché il capo dello Stato non ha fornito alcuna garanzia al presidente del consiglio sul voto anticipato. L'opposizione - che ha ben capito gli obiettivi del premier - sta cercando di giocare di anticipo. Stringendo, come ha chiesto il presidente della Repubblica, i tempi di approvazione della legge di Stabilità. Il Pd e l'Udc hanno bisogno di fare avviare le consultazioni del Colle a novembre e non a dicembre. E anche la mossa che ha portato ieri all'astensione sul Rendiconto dello Stato mirava proprio a compattare il momento della verifica. Ma soprattutto da qui alle prossime settimane, il Pdl rischia di dover fare i conti con una nuova slavina di fuoriusciti. Il Terzo polo, che i sondaggi quotano oltre il 15%, è una calamita. Il plotone di parlamentari del centrodestra contrari alle urne tocca quota cinquanta secondo i calcoli di un uomo esperto di numeri come Denis Verdini. Ma l'ostacolo maggiore per le elezioni anticipate è costituito dai mercati e dall'Unione europea. Prova ne sono le pressanti richieste che ancora provengono da Bruxelles per un ulteriore intervento italiano sul debito pubblico. Una nuova correzione dei conti che sembra comprendere anche il richiamo a un governo tecnico di larghe intese. Le oscillazioni dello spread tra i Btp e Bund tedeschi, insomma, appaiono in questa fase molto più decisivi della dialettica politica nostrana. Nel partito del Cavaliere, poi, molti - a cominciare da Formigoni e Scajola - vogliono evitare la tagliola elettorale. Preoccupati che Alfano gestisca le liste elettorali - con il Porcellum - costruendosi i gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza. Lo stesso allarme è scattato nella componente maroniana della Lega. Il ministro dell'Interno, infatti, teme che l'"epurazione" minacciata dal cosiddetto "cerchio magico" bossiano prenda corpo proprio nelle candidature alla Camera e al Senato. Non a caso Maroni da qualche giorno spinge per il ritorno al Mattarellum: un sistema elettorale che sottrae alle segreterie il dominio delle candidature. Sono quindi ancora tante le barriere che deve superare Berlusconi. A meno che nel centrosinistra qualcuno non abbia la tentazione di abbassarle sperando di lucrare sulle attuali posizioni di vantaggio per andare ad incassare nelle urne. (09 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/09/news/sogno_berlusconi_candidarsi-24693847/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il rischio che nasca il governo di nessuno Inserito da: Admin - Novembre 15, 2011, 05:28:33 pm IL COMMENTO
Il rischio che nasca il governo di nessuno di CLAUDIO TITO "La verità è che qualcuno ancora spera nelle elezioni in primavera". La riflessione che Pier Ferdinando Casini ha fatto ieri nell'incontro con Mario Monti e successivamente con gli esponenti del Terzo Polo, illustra bene l'impasse che blocca il governo del neosenatore a vita. L'incarico che domenica sera Napolitano ha affidato all'ex commissario europeo si sta rivelando infatti molto più complicato del previsto. Non solo i tempi per la formazione dell'esecutivo si stanno allungando, ma la qualità del sostegno che i due principali partiti del Paese - Pdl e Pd - intendono fornire, si presenta assai scadente. Il no alla presenza di ministri politici, al di là della robustezza della squadra "montiana", rischia di mettere in discussione la nascita della nuova compagine. Un pericolo di cui si è ben reso conto il Professore che chiede un "convinto sostegno" al suo sforzo. Nella consapevolezza che il suo potrebbe presto rivelarsi il "governo di nessuno". Senza "padrini" ma anche senza "difensori", in balia di un Parlamento che storicamente non ha mai apprezzato i "tecnici". Il presidente del consiglio incaricato sa che se Pdl e Pd continuano a prendere le distanze, il suo sforzo può presto incagliarsi tra i veti dei partiti. Il suo orizzonte temporale si ridurrebbe drasticamente e nel giro di poco tempo potrebbe essere costretto a fare i conti con le Camere "vietnamizzate". Molti infatti già pongono un interrogativo a Monti: come può un "tecnico" superare lo scoglio delle commissioni Bilancio composte da parlamentari abituati a tutto? Come può far digerire la prossima manovra economica? Interrogativi che sono ben noti al Quirinale che infatti sta tentando un'ultima mediazione per garantire un percorso sminato. Napolitano sa bene che senza una concreta copertura politica, lo spettro del voto ad aprile o maggio può improvvisamente materializzarsi. Sta di fatto che le ritrosie del Popolo delle libertà e il veto dei Democratici si sostengono vicendevolmente e sicuramente sono in grado di limitare il raggio di azione temporale di Monti. Del resto, sebbene Berlusconi sia ormai pronto ad avallare l'eventuale nomina di Gianni Letta, molti nel suo partito non fanno nulla per nascondere l'obiettivo del voto anticipato. Così come il "niet" di Bersani - sebbene non sia condiviso da tutti i democratici - sembra denunciare la volontà di usare il gabinetto Monti soprattutto per chiudere la stagione berlusconiana e quindi tornare davanti agli elettori. E il Colle sta seguendo con irritazione il gioco dei veti incrociati. Eppure, al di là delle consultazioni insolitamente lunghe con gruppi parlamentari dal peso politico decisamente esiguo, il premier incaricato si sta facendo carico di un'emergenza senza precedenti per il Paese. Ieri lo spread con i bund tedeschi è tornato a salire e lo stesso Monti ha lanciato un monito drammatico ai "consultati": "Abbiamo due mesi per salvarci". Il giudizio che oggi daranno i mercati alle indecisioni della politica saranno allora determinanti. Un'impennata dei tassi dei nostri titoli di Stato potrebbe assestare l'ultimo scossone alle timidezze di Pd e Pdl. Come le fibrillazioni sulle quotazioni dei Bot hanno di fatto determinato la caduta di Berlusconi, così potrebbero imporre una nuova svolta bocciando la credibilità di una squadra senza politici. In quel caso l'ipotesi di blindare l'esecutivo con una significativa rappresentanza proveniente dai partiti si ripresenterebbe prepotentemente. A quel punto la richiesta del senatore a vita di vedere al suo fianco Gianni Letta, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini o in alternativa di immaginare un tandem Amato-Letta tornerebbe sotto esame. Ma di certo, Monti e Napolitano hanno l'esigenza di chiudere la partita in tempi brevissimi. Nessuno può sfidare troppo a lungo i mercati. (15 novembre 2011) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/15/news/il_premier_di_nessuno-25017903/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il premier ha incontrato il leader Cgil prima del viaggio in Usa. Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2012, 07:34:33 pm LE RIFORME Articolo 18, vertice segreto Monti-Camusso norma sospesa per ex precari e nuove aziende Il premier ha incontrato il leader Cgil prima del viaggio in Usa. L'ipotesi prevede un congelamento fino a 4 anni. Coinvolti anche i titolari delle partite Iva di CLAUDIO TITO ROMA - Un incontro segreto. Un faccia a faccia per sbloccare la trattativa. E dare uno sbocco alla riforma del mercato del lavoro. Dopo quasi tre mesi dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Mario Monti ha deciso di parlare faccia faccia con il segretario della Cgil, Susanna Camusso. Ottenendo un primo compromesso sulle misure che l'esecutivo varerà entro marzo. Il premier sta studiando una soluzione che consenta al governo di presentare all'Unione europea e ai mercati una "moderna" riforma del lavoro. E ai sindacati tutti, compresa la Cgil, di non dover salire sulle barricate. Una mediazione che salvaguardi la sostanza dell'articolo 18 e al tempo stesso le esigenze del mondo occupazionale che rischia di diventare sempre più asfittico se non interviene proprio su quella stessa norma. FACCIA A FACCIA IN "CAMPO NEUTRO" Il presidente del Consiglio e il capo della Cgil non si erano mai parlati faccia a faccia. Lo hanno fatto per la prima volta nei giorni scorsi. Un lungo colloquio prima che il presidente del Consiglio partisse per gli Stati Uniti. Un confronto serrato, diretto. Che si è chiuso con qualcosa di più una stretta di mano. Non un testo definitivo o un documento, ma la disponibilità reciproca a chiudere nei tempi stabiliti un'intesa. All'interno di un perimetro composto da alcune direttrici principali: una normativa che "sospenda" e non cancelli l'articolo 18 per chi esce dal "precariato". E una "interpretazione" meno rigida del principio di "giusta causa" da parte dei tribunali del lavoro. L'incontro è stato richiesto dal capo del governo. E si è svolto in "territorio neutrale". MONOTONIA DEL POSTO FISSO Le polemiche su quella frase sulla "monotonia del posto fisso" avevano provocato uno strascico di polemiche considerato troppo pericoloso per il prosieguo della trattativa e anche per conservare integro il rapporto con il Pd. Il Professore voleva spiegarsi, chiarire che l'obiettivo dell'esecutivo non sarebbe mai stato quello di boicottare la stabilità contrattuale dei lavoratori. Come aveva fatto pubblicamente, ha riconosciuto che quella formula è stata "infelice", ma "involontaria". Le parole di Monti hanno in qualche modo rasserenato il segretario della la diffidenza iniziale si è rapidamente trasformata in "reciproca comprensione". Ma soprattutto hanno messo il confronto su binari che fino a quel momento apparivano impercorribili. I due - nella schiettezza reciproca - hanno iniziato a capirsi e a tenere conto delle rispettive necessità. Calando così la discussione su aspetti più concreti del negoziato. Che certo non può ritenersi concluso e che dovrà ora superare la prova della trattativa ufficiale. IL NODO DEI PRECARI "Noi siamo qui per fare le cose, altrimenti potevano rimanere ai nostri posti", ripete da giorni il presidente del consiglio. E quel "fare le cose" è riferito anche alla riforma del mercato del lavoro. Palazzo Chigi considera l'intervento sull'articolo 18 - non la sua cancellazione - un passo decisivo per adeguare l'Italia alle nuove esigenze della globalizzazione e renderla competitiva in una fase critica per la nostra economia. In questo scambio di opinioni allora uno dei punti valutati ha riguardato la "sospensione temporanea" dell'articolo 18 per alcune categorie di lavoratori. Una soluzione che anche la Camusso ha accettato di soppesare. L'idea è quella di prevedere per chi ha una lunga esperienza di precariato la possibilità di passare alla "stabilità" accettando una prima fase in cui per tre o quattro anni non è vietato interrompere il rapporto. Un modo per far uscire molti giovani dalla transitorietà lavorativa. Magari associando una convenienza fiscale e previdenziale al datore che "stabilizza" il dipendente. NUOVE IMPRESE E PARTITE IVA Stesso discorso per le nuove iniziative imprenditoriali. A Palazzo Chigi sanno bene che il 97 per cento delle aziende e il 67 per cento dei lavoratori sono già sottrattati alla disciplina dell'articolo 18 perché impiegati in strutture con meno di 15 dipendenti. Difficilmente nasceranno un numero consistente di medie e grandi imprese. Ma costituisce soprattutto un segnale agli investitori internazionali. Un messaggio ai mercati che si aspettano delle novità su questo terreno. Ragionamento analogo sulle partite iva. Molti lavoratori dipendenti sono "costretti" ad aprire quel regime fiscale per consentire al datore di mascherare il rapporto di dipendenza (non a caso il numero di lavoratori autonomi appare troppo elevato in Italia, circa 9 milioni). QUANDO SI ARRIVA IN TRIBUNALE "Per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani", aveva detto il premier il 3 febbraio. Un chiaro riferimento al processo del lavoro, a una giurisprudenza troppo rigida e a tempi di definizione delle cause troppo lunghi. Una questione affrontata dal Professore e dal leader Cgil. E che potrebbe portare ad una "interpretazione ufficiale" della norma meno drastica e con modalità temporali meno dilatate. Una questione sulla quale presto verrà coinvolta anche il ministro della Giustizia Severino. IL FATTORE UNITA' SINDACALE Uno degli aspetti che negli ultimi giorni ha facilitato il dialogo con la Cgil riguarda la posizione del governo sulla "unità sindacale". "Non seguiremo la linea Sacconi volta a spaccare le organizzazioni dei lavoratori", è il refrain che ripetono a Palazzo Chigi. Monti non intende insomma lavorare per dividere Cgil Cisl e Uil. Soprattutto non rientra nei suoi piani aprire un canale privilegiato con uno o alcuni dei tre leader confederali. L'abitudine del precedente governo di escludere sistematicamente la Camusso da ogni trattativa o decisione sarà respinta dal premier e dal ministro del lavoro Fornero. Una linea, peraltro, che all'inizio di questa esperienza governativa aveva provocato qualche incomprensione proprio con la Cisl di Bonanni. "Non lavoro per spaccare i sindacati", dice Monti. Ma nemmeno per una "concertazione" old style. Nell'esecutivo è maturata la convinzione che per persuadere l'Unione europea e i mercati non può essere avallata una politica di totale condivisione. Anche perché proprio da Bruxelles Palazzo Chigi si aspetta un richiamo esplicito sul mercato del lavoro italiano e sull'articolo 18. MERCOLEDI' INCONTRO UFFICIALE Il negoziato ufficiale intanto va avanti. E con ogni probabilità il governo riceverà nuovamente mercoledì prossimo tutte le delegazioni delle parti sociali. Anche il ministro Lavoro, dopo la riunione di mercoledì scorso con la Cgil, aveva manifestato un certo ottimismo: "Vedo un bel sentiero largo". E in seguito al chiarimento tra Monti e Camusso quel sentiero sembra essersi ampliato. Il progetto resta quello di chiudere l'intesa in ogni aspetto entro marzo. Escluso il ricorso al decreto, gli uomini del premier e di Fornero si stanno sempre più concentrando sulla legge delega. Un percorso comunque da completare e che nessuno nell'esecutivo può immaginare senza ostacoli e future incomprensioni. Anche il Professore sa bene che nonostante la "disponibilità" della Cgil, la riforma del lavoro difficilmente potrà essere approvata senza la protesta dei sindacati. (12 febbraio 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/12/news/accordo_articolo_18-29737118/ Titolo: CLAUDIO TITO. L'agguato della politica Inserito da: Admin - Marzo 14, 2012, 11:19:55 am IL COMMENTO
L'agguato della politica di CLAUDIO TITO Normalmente la "luna di miele" che accompagna i governi dopo la loro nascita riguarda il rapporto con il proprio elettorato e con l'opinione pubblica. La consonanza tra un esecutivo e i cittadini prosegue o si interrompe sulla base dei provvedimenti che vengono adottati. Solo quando viene meno questo rapporto, gli effetti ricadono sulla maggioranza che lo sostiene. Sui partiti che compongono la coalizione. Nel caso di Monti, invece, sta accadendo esattamente il contrario. A fronte di indici di popolarità ancora alti, sembra che siano le forze politiche a voler sospendere la "luna di miele". L'avvicinarsi delle elezioni amministrative sta giocando un ruolo determinante nelle scelte di Pdl, Pd e Udc. Anche il tentativo di prendere le distanze dai "tecnici" per configurare un futuro assetto "politico" rischia di abbattersi pesantemente sull'azione del governo. E i segnali che sono stati lanciati ieri - nelle aule del Parlamento e anche al di fuori - rappresentano un primo campanello d'allarme per Palazzo Chigi. Alla Camera sono stati approvati ben tre ordini del giorno (di cui uno di chiaro stampo anti-liberalizzazioni, quello sulle edicole) contro il parere dei ministri. Contemporaneamente Elsa Fornero, titolare della delicata partita sulla riforma del lavoro, ha messo il piede in fallo con una frase che ha fatto irritare i partiti e i sindacati. Un incidente che con ogni probabilità non comprometterà le chance di arrivare ad un'intesa con Cgil, Cisl e Uil, ma che di certo complicherà l'iter del negoziato. Eppure un primo effetto l'ha prodotto: ha marcato quella distanza che proprio le forze politiche vogliono far emergere in questa fase. E in qualche modo ha ancora di più vincolato la posizione del Pd a quella del sindacato. "Non tira una bella aria - diceva ieri il leader centrista, Pier Ferdinando Casini - è bene che si diano tutti una calmata, altrimenti...". Un messaggio lanciato agli alleati di Pd e Pdl, ma anche ad alcuni ministri. La conseguenza minacciata da Casini non contempla tanto l'ipotesi di una improvvisa crisi dell'esecutivo, ma quella di una paralisi permanente. L'impossibilità per Monti di vedersi approvati i suoi provvedimenti. Una palude da cui sarà sempre più arduo uscire e che non sarà giustificabile agli occhi dell'Europa e dei mercati. Si tratta di un pericolo ben presente a Palazzo Chigi che ora teme di mettere a repentaglio i risultati conquistati sullo spread con i bund tedeschi e ottenuti nel dialogo con Angela Merkel sul Fondo salva-Stati. Anche per questo il premier ha già convocato il vertice di maggioranza per domani e soprattutto ha spiegato che non intende rinunciare a interventi su terreni di "battaglia" come la giustizia e la Rai. Non vuole limitare la sua azione all'angusto spazio del risanamento economico. Senza, però, ignorare la maggioranza che lo sostiene. Insomma, senza l'appoggio di tutte le forze politiche non provocherà strappi. Un realismo che si coniuga con un dubbio: "Non si capisce - è il ragionamento del Professore - se in questa fase le forze politiche si stiano rivolgendo al loro elettorato o piuttosto a se stessi". È sicuro infatti che nessuno sia in grado di sfilarsi, ma sa anche che sta prendendo corpo una delle più lunghe stagioni elettorali. Iniziata adesso per finire tra un anno. E il "gioco" dei veti incrociati da sbandierare nei comizi o in tv può costituire il nemico più acerrimo del governo dei tecnici. Domani Monti incontrerà i leader dei partiti e la prossima settimana parteciperà all'incontro con le parti sociali sulla riforma del lavoro. Con i primi sarà chiamato a riordinare il rapporto concordato a novembre scorso evitando di farsi sottoporre a veti o condizioni nella scelta dei settori di intervento. Non può accettare di farsi chiudere nel perimetro di azione stabilito dalle forze politiche. Ma soprattutto dovrà imprimere un'accelerazione sulla trattativa con i sindacati. "La possibilità di chiudere un accordo - ha ripetuto ieri - restano intatte". Anzi, a suo giudizio proprio le reazioni di Cgil, Cisl e Uil dimostrano che l'intesa si avvicina e che Camusso, Bonanni e Angeletti hanno attivato gli ultimi meccanismi per alzare la posta. Nonostante l'ottimismo "montiano", dunque, il Professore deve fare i conti con un clima che rischia di peggiorare. Non solo tra meno di un mese si terranno le amministrative, ma quel voto è potenzialmente dirompente per il partito principale della sua coalizione: il Pdl. Se il risultato fosse pesantemente negativo per i "berlusconiani", difficilmente il Popolo delle libertà avrà la capacità di resistere alla forza centrifuga. Il suo segretario, Alfano, già fortemente indebolito dai giudizi del Cavaliere, si potrebbe ritrovare a guidare un vascello senza rotta, una squadra inclinata verso l'implosione. Senza contare, poi, che il quadro politico con cui questi partiti si presenteranno alle urne di maggio sarà completamente diverso rispetto a quello che caratterizzerà le elezioni politiche del 2013. Gli scossoni che porteranno al nuovo contesto potrebbero riflettersi prima sul governo e solo successivamente sulle alleanze per la prossima legislatura. E Monti dovrà misurarsi con tutti gli agguati della politica. (14 marzo 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/14/news/agguato_politica-31494972/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Per il Quirinale troppa enfasi sull'articolo 18. Inserito da: Admin - Marzo 23, 2012, 11:07:33 pm RETROSCENA
La moral suasion di Napolitano riapre la partita Il premier: "Possibili modifiche alla Camera" Scelto lo strumento della legge delega. Per il Quirinale troppa enfasi sull'articolo 18. Telefonata di Monti a Bersani: "Sapete che abbiamo sempre rispettato gli impegni" di CLAUDIO TITO "IL TESTO può essere migliorato in Parlamento". Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla. Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata. Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione "Porta a Porta". Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con la formula "salve intese". Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già approvata. Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le "opposte simbologie". Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell'articolo 18 in una sorta di totem. Preoccupazioni già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la "moral suasion" del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl. L'idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma sul ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c'è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione. Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l'adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di "manutenzione" dell'articolo 18. Eppure, nello stesso tempo, dal Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell'ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a Corso d'Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l'enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato, ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile. Nell'incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni. Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un valore da difendere - lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica - ma non a costo dell'immobilismo. Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio. Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall'episodio che ha coinvolto l'altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero. Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. "Voglio unire e non dividere", spiega in queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. È addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull'intera riforma. A Bersani - ma anche a Fini e a Schifani - ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature "nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo". Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo. Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa "non possono essere sottovalutate". E i primi segni di queste conseguenze sono già emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione. Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto. Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all'interno dei democratici: con D'Alema e con Fioroni. E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un'ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd. (23 marzo 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/23/news/monti_apre_pd-32054881/ Titolo: CLAUDIO TITO. La paura di perdere Inserito da: Admin - Marzo 28, 2012, 03:26:45 pm IL COMMENTO
La paura di perdere di CLAUDIO TITO LA PAURA di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l'architrave su cui poggia l'accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che sostiene il governo "tecnico". Sull'idea che nessuna forza politica - a cominciare da Pdl, Pd e Udc - sia in grado di scommettere sul risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la porta ad ogni soluzione per il dopo-voto. L'intesa preparata da Alfano, Bersani e Casini è soprattutto il frutto di una convergenza di interessi. E lo dimostra l'idea di tornare a un sistema sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e assegnando un premio che non determina la maggioranza. Di fronte ad una instabilità, tipica degli ordinamenti e dei sistemi politici transitori, i tre principali partiti si adattano alla "corsa solitaria" e mirano a rimettere tutti ai nastri di partenza nella previsione che nessuno potrà vincere da solo. Proprio come accadde nel 1946 con la legge elettorale per l'Assemblea Costituente e nel 1948 per la prima tornata parlamentare dopo la caduta del fascismo e l'entrata in vigore della Costituzione. Una convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile - almeno al momento - sconfitta senza precludere la possibilità di ricomporre l'alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza, peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e autorevole. Al Pd di mettere definitivamente in soffitta la cosiddetta "foto di Vasto" e l'alleanza con Vendola e Di Pietro. Bersani spera così di contare sulla chance di presentarsi per la presidenza del consiglio senza dover trattare con nessuno la sua premiership e predisponendo un patto successivo con il Centro di Casini. I centristi, invece, non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura (l'indicazione del premier non è prevista in Costituzione e quindi non sarà obbligatorio rispettare le designazioni dei partiti). Senza dimenticare che subito dopo il voto, le Camere dovranno eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica e nel gioco delle trattative chi - come il Terzo Polo - sarà determinante negli equilibri parlamentari potrà avere più carte da spendere nella corsa al Quirinale. Insomma, tutti potranno fare la campagna elettorale in solitaria senza compromettere nulla. Perché tutto si gioca solo a urne chiuse. Anche l'eventuale riproposizione di una Grande Coalizione. E chi sa se anche per questo ieri Monti ha fatto sapere ai tre leader di aver apprezzato il buon esito del vertice. Ma il patto tra Alfano Bersani e Casini, deve superare due scogli che possono compromettere il loro delicato equilibrio: la riforma del lavoro e la giustizia. Il premier sa che il disegno di legge della Fornero rischia un'interminabile Odissea in Parlamento senza una mediazione con il Pd. E anche dentro il suo esecutivo, alcuni autorevoli ministri gli hanno fatto sapere che è indispensabile sanare il rapporto con il Pd e con la Cgil. Rispolverando il modello tedesco e il principio del reintegro troppo rapidamente archiviato. Mentre sul capitolo giustizia resta vagante la mina attivata da Silvio Berlusconi. Che ad ogni occasione reclama una precisa garanzia per il suo futuro. Questioni che il Professore dovrà affrontare al ritorno dal suo viaggio in Estremo Oriente. (28 marzo 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/28/news/legge_elettorale_paura_di_perdere-32322882/ Titolo: CLAUDIO TITO. Mediazione di Bersani sull'articolo 18 ... Inserito da: Admin - Aprile 02, 2012, 04:55:54 pm IL COLLOQUIO
Mediazione di Bersani sull'articolo 18 "Cambiamolo insieme prima di maggio" Parla il segretario del Pd: "La riforma va salvata: sì al reintegro. Ma io non sono agli ordini della Cgil. Ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Nel Paese c'è ansia" di CLAUDIO TITO "IO VEDO la possibilità di un punto di caduta condiviso in Parlamento e lo scenario di un incaponimento del governo non lo prendo nemmeno in considerazione". Sa che il dossier lavoro sta diventando il segno distintivo di questa legislatura. Ma soprattutto, per Pierluigi Bersani, è l'occasione affinché il governo Monti e questa "strana maggioranza" "non mandino all'aria una riforma rilevante". "Una buona riforma - aggiunge Bersani - se si corregge qualche aspetto". Il segretario dei Democratici vuole aprire tutti possibili spiragli per evitare che il disegno di legge vada a impantanarsi nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. È sicuro che "un'intesa sia vicina", basta ricorrere a un "pò di senso di equilibrio". Ed è pronto a mettere sul tavolo della trattativa alcune delle richieste del Pdl sulla "flessibilità in entrata": "soprattutto se si tratta di alleggerire un certo carico burocratico". Seduto sul divano della sua casa a Piacenza, più che dettare le condizioni segnala la mediazione possibile per un accordo. "E per approvare il testo in tempi rapidi. Almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative. Non si può lasciare per aria questo tema per troppo tempo, nessuno ci guadagna a perdere giorni". Il testo studiato dal ministro Fornero, però, non è stato ancora definito. Il via libera del consiglio dei ministro è stato solo "salvo intese". Un modo istituzionale per dire che va ancora approfondito e soprattutto elaborato. E infatti verrà depositato in settimana al Senato e alla Camera dopo l'ultimo vaglio da parte del premier. Che domattina discuterà proprio le ultime limature con la titolare del welfare e con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Dopo il lungo tour in Asia, Mario Monti torna stasera in Italia. E sulla sua scrivania a Palazzo Chigi troverà un solo capitolo da affrontare con la massima urgenza: quello della riforma del lavoro. Un'impellenza che non si basa solo sulla necessità di mettere mano a un provvedimento atteso dalla comunità finanziaria internazionale, ma anche su quella di tenere unita la sua maggioranza. Il nodo che al momento sembra inestricabile si stringe sempre più intorno all'articolo 18. Le parole magiche che i democratici ripetono sono vieppiù le stesse: "reintegro" e "sistema tedesco". "Ma non per lasciare le cose come stanno - spiega il leader Pd - . Anche io lo voglio cambiare, ma ci sono delle strade che renderebbero tutto più facile e soprattutto più comprensibile per il Paese". Il capo dei democratici sembra in primo luogo preoccupato che la sua posizione non venga interpretata come una battaglia "partitica": "Non voglio piantare bandierine, cerco una soluzione equilibrata. Avete visto le cose che ha detto il Cardinal Bagnasco? Mica anche lui sarà al seguito della Cgil... ". Quindi, qualcosa che "si avvicina al modello vigente in Germania", e non esattamente la sua riproposizione, metterebbe in discesa la discussione. "Vedo - avverte Bersani - che alcuni meccanismi di instabilità finanziaria stanno tornando, l'Europa soffre perché i famosi mercati vedono l'avvitarsi della situazione nei meccanismi dell'austerità e non della crescita. Il nostro dovere, allora, è lanciare un segnale di solidità: dire che remiamo tutti dalla stessa parte". Nei mesi scorsi è stata compiuta già un'operazione - "quella sì epocale" - sulle pensioni. Adesso "abbiamo l'opportunità - se non vogliamo farci del male - di effettuare le stesse scelte sul lavoro con soluzioni che assomiglino ai modelli migliori, il tedesco e il danese". E a suo giudizio, "il messaggio al mondo sarebbe comunque positivo". In Europa, il paese in grado di investire il suo surplus nei nostri confini è la Germania. I tedeschi - è il ragionamento che si fa a Largo del Nazzareno - non potrebbero certo rifiutare il loro stesso metodo. Anzi, l'argomento più usato da Berlino è un altro: "Ci chiedono semmai di distruggere lo scoglio della corruzione". Per Bersani dunque, la traccia di un'intesa è disegnabile rapidamente. Un patto "spendibile" anche all'estero come ha fatto in questi giorni il presidente del consiglio in Corea, Giappone e Cina. "Perché non è nemmeno accettabile il discorso secondo cui se c'è conflitto e scioperi, allora la riforma va bene. Noi dobbiamo chiarire ai nostri interlocutori internazionali che stiamo cambiando davvero e che lo facciamo tutti insieme. Che questa è l'Italia che si rinnova". E se Palazzo Chigi si rifiutasse di modificare il testo in questa direzione? "È uno scenario che nemmeno considero". A suo giudizio, invece, Monti dovrebbe subito immaginare un percorso che reintroduca in modo diretto o indiretto il reintegro in caso di licenziamento non giustificato dalle motivazioni economiche. "Diamo al giudice - spiega - la possibilità di scegliere soltanto per quei casi tra due opzioni: il reintegro o l'indennizzo. Se ci fosse solo il reintegro, capirei, ma io immagino altro". Alfano, però, le fa notare che con i magistrati italiani l'opzione sarebbe unica: il reintegro. "Ma non è vero, perché spesso è il lavoratore a non volere tornare. Basta guardare le statistiche. E comunque ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Perché il problema esiste e non tocca solo le tute blu". Ad esempio, "si accorgono che la questione tocca anche il pubblico impiego". Non solo. Questa riforma rischia di creare uno "stato di ansia e di instabilità in tutti i cittadini. C'è qualcuno che può far finta di niente? Se una persona equilibrata e moderata come il presidente della Confagricoltura Mario Guidi ha detto sabato scorso che è doveroso tenere conto dell'ansia che c'è in giro, noi cosa facciamo? Ignoriamo?". Certo, il testo del governo non è ancora pronto. Il premier intende trasmetterlo ai segretari della maggioranza nella giornata di domani. Solo da allora il confronto potrà essere più concreto. Bersani punta dunque ad un percorso velocizzato da qualche modifica: sull'articolo 18, ma anche sui cosiddetti "esodati". Un'intesa va trovata in Parlamento o il premier deve modificare prima il disegno di legge? "Una rapida ricognizione delle forze sociali, poi il governo e il Parlamento possono trovare la strada di un emendamento". Come è accaduto con tutti i decreti dell'esecutivo, anche i più urgenti come il Salva-Italia o le liberalizzazioni. Qualche correzione è intervenuta. "Se anche in questo caso si arriverà a qualcosa che assomiglia al modello tedesco, noi lo voteremo". E se ci fosse il niet della Cgil? "Noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo lo voteremo". (02 aprile 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/02/news/bersani_lavoro-32601586/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Maroni: "Non guardiamo in faccia nessuno al congresso avremo ... Inserito da: Admin - Aprile 06, 2012, 03:36:50 pm Il colloquio
Maroni: "Non guardiamo in faccia nessuno al congresso avremo un candidato unico" Parla l'ex ministro dell'interno, oggi uno dei triumviri che guideranno la Lega nella tempesta giudiziaria che la sta travolgendo: "È il momento della pulizia. Umberto non si mette di lato, è l’anima dei lumbard" di CLAUDIO TITO ROMA - "Dal punto di vista giudiziario, sarà quel che sarà. Ora si deve pensare al partito e a fare pulizia senza guardare in faccia nessuno". Roberto Maroni sa che per la Lega questo è il momento più drammatico della sua storia trentennale. Tra i partiti presenti in Parlamento è quello più "antico", ma l'inchiesta che sta travolgendo Umberto Bossi, la sua famiglia e l'ex tesoriere Belsito, rappresenta un terremoto in grado di spazzare via l'intero movimento lumbard. La riunione del consiglio federale è stata drammatica. Le dimissioni del Senatur hanno squarciato per la prima volta e in maniera definitiva il velo protettivo che in questi anni ha avvolto il Carroccio. E l'ex ministro dell'Interno, ora uno dei tre 'triumviri' che guideranno i leghisti fino al prossimo congresso che dovrebbe tenersi a ottobre, sembra assumersi la responsabilità di dare una traiettoria a un 'vagone' impazzito che corre senza pilota e rischia di infrangersi contro un muro di cemento armato. Soprattutto non nega che la sua candidatura alla successione è di fatto sul campo: "È una cosa di cui adesso non mi preoccupo". E del resto le sue mosse sono tutte compiute per confezionare una 'corsa' senza incidenti e senza rompere il partito. Con i suoi fedelissimi traccia allora le tappe di un percorso di 'salvataggio': una società di revisione effettuerà una due diligence dei conti interni, a giugno si terranno i congressi nazionali (ossia regionali) a partire da quello lombardo e a ottobre le assise federali. "Dove si sceglierà il nuovo segretario e si stabiliranno le alleanze per le elezioni parlamentari. Perché un conto sono le amministrative, altro le politiche". LA SOPRAVVIVENZA DEL CARROCCIO "È evidente - si sfoga allora Bobo dopo aver lasciato la sede di Via Bellerio - che questo è un passaggio cruciale. Si apre una fase nuova. Da tutti i punti di vista ". E se gli chiedono se in gioco ci sia soprattutto la sopravvivenza della Lega, non fa nulla per nasconderlo: "Certo, non è una cosa piacevole". Ma la sua preoccupazione è quella di non provocare alcuna rottura con Bossi. "La sua è stata una decisione inaspettata per noi. Ci ha detto di averlo fatto per il bene della sua famiglia e di quello della Lega. Io lo considero un grande atto di dignità e di coraggio. Ancora una volta ci ha salvato. Lui ha proposto i nomi dei tre reggenti. Ed è stato lui a dire che il congresso va fatto a ottobre. Perché quando un segretario si dimette, si fa un congresso. La democrazia lo reclama". CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE E lei si candida? Del resto è già reggente, è stato più volte ministro, il suo nome sembra in pole position. Maroni non dice no e si limita a rispondere dirottando la risposta su altro: "Io dico solo che Umberto non può mettersi in disparte. Anzi, io gli ho detto: "Se ti ricandidi, avrai il mio voto". E subito dopo ci siamo abbracciati". E si ricandiderà? "Non lo so. Ma se lo farà avrà il mio voto, perché Bossi è il fondatore della Lega, è l'anima della Lega. Ma il problema ora è un altro". Secondo l'ex ministro, la sfida che attende i militanti e i dirigenti padani consiste nel "fare pulizia". Le tangenti, i soldi rubati allo Stato, la corruzione, tutti fattori che minano alla base la ragione sociale del Carroccio. Un contrappasso troppo stridente con lo slogan "Roma ladrona". "E poi ci sono le dimissioni di Umberto - spiega - che sono una cosa traumatica per un partito, figurarsi per noi. E a parte il mal di pancia che hanno provocato, bisogna capire che è stato lui a deciderle". HANNO RAGGIRATO UMBERTO Anche perché nella Lega in pochi si erano accorti di quanto fosse profondo il 'lato oscuro' del 'Cerchio magico'. "C'erano delle voci, ma niente di più. Nessun dettaglio - puntualizza -. Qualcuno parlava di quella storia delle lauree di Belsito, ma io non me ne sono mai occupato". E su questo segna una netta distinzione tra il gruppo 'bossiano' e il Senatur. "Lui non ne sapeva niente, sono sicuro. Qualcuno si è fatto scudo di Umberto e lui si è accorto di essere stato raggirato". Chi in particolare? "Lo vedremo. Abbiamo incaricato una società di revisione di controllare i conti e fare una due diligence". Eppure anche su Roberto Calderoli si sono accesi di riflettori della magistratura. Ma Maroni frena: "Quelli erano dei rimborsi spesa. Quando faceva dei viaggi per il partito, riceveva dei rimborsi. Nulla di più". LE ALLEANZE Ma come fate ad aspettare ottobre per il congresso? Non temete che esploda tutto nel frattempo? "A giugno ci sono già i nazionali. E l'autunno è il momento migliore per lanciare la campagna elettorale e decidere le alleanze". E già, perché anche da questo punto di vista la situazione si presenta più magmatica di quanto si immagini. I lumbard alle prossime amministrative correranno da soli, ma nel 2013 qualcosa potrebbe cambiare. "Le politiche sono tra un anno... Il congresso sarà il luogo per decretare le strategie. La scelta dipende da tante cose. Se il governo Monti cade prima, se cambia legge elettorale... Questo non è il momento di strologare. Adesso è il momento di ripristinare un metodo". E soprattutto di pensare al futuro di un movimento che si gioca la partita della vita. "Vediamo se riusciamo a raddrizzare le cose. Se saremo capaci di fare pulizia senza guardare in faccia nessuno, allora le nostre istanze resteranno". LE CORRENTI Nel frattempo i tre coordinatori non dovranno solo organizzare le assise, ma anche fare i conti con un partito che si presenta dilaniato dalla lotta tra le correnti. Almeno dalla battaglia tra "cerchio magico" e "maroniani". "Ma quelle sono state contrapposizioni personali dovute più a opzioni caratteriali che a linee politiche diverse. Quando saremo al congresso, si prenderà la direzione vera. E non ci saranno 'bossiani', 'maroniani' o altro". Anzi, in vista di quell'appuntamento probabilmente gli organismi dirigenti dovranno "ritoccare lo Statuto" per aggiornarlo rispetto agli eventi di questi giorni. Anche per cambiare la figura del presidente? "No, Bossi è stato nominato presidente non per metterlo di lato. Il presidente nella Lega firma le liste elettorali e convoca il congresso. Non è un ruolo laterale". E al congresso di ottobre ci si arriverà con una candidatura unica alla segreteria? "Certo, una candidatura unica. Dovete capire che questo è un problema che nella Lega non si è mai posto. Non è mai accaduta una cosa del genere. Ma la situazione impone che si scelga un solo candidato". Cioè Roberto Maroni? "Non mi preoccupo di questo". E delle contestazioni che ha subito a Via Bellerio si preoccupa? "Ma erano solo una ventina di persone, so chi sono. Sono persone che non hanno capito nulla di quel che è accaduto". (06 aprile 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/06/news/maroni_non_guardiamo_in_faccia_nessuno_al_congresso_avremo_un_candidato_unico-32838279/ Titolo: CLAUDIO TITO. La paura del Professore una palude di veti incrociati Inserito da: Admin - Aprile 14, 2012, 12:07:54 pm Il retroscena
La paura del Professore una palude di veti incrociati "Sono qui per salvare il Paese". Il premier irritato per l'emendamento per la rateizzazione dell'Imu non concordato. Le tensioni nel Pdl e l'asse tra berlusconiani e Marcegaglia sta disorientando Palazzo Chigi. E preoccupano anche le fibrillazioni dei mercati e lo spread in salita di CLAUDIO TITO ROMA - "Il mio compito è salvare il Paese. Sono stato chiamato per questo, per metterlo in sicurezza. Deve essere chiaro". I mercati tornano a fibrillare, la Borsa di Milano subisce un altro pesante scossone, lo spread con i bund tedeschi si impenna fino a sfiorare la soglia psicologica dei 400 punti, i tassi sui nostri titoli di Stato crescono. Una situazione che certo non lascia tranquillo Mario Monti. Alle prese con un sisma che seppure ha l'epicentro in Spagna, allarga il raggio delle sue scosse anche all'Italia. Tutti elementi di allarme che si affiancano, però, ad un fattore considerato a Palazzo Chigi ancora più preoccupante: il nervosismo che sta agitando la maggioranza. In particolare i distinguo con cui il Pdl sta affrontando la riforma del lavoro costituiscono un dato di inquietudine. Non tanto per la semplice richiesta di modificare il provvedimento, ma per il senso di instabilità che stanno trasmettendo dentro l'esecutivo e nella comunità internazionale. Il presidente del consiglio è convinto che nessuno - né il Pdl, nè il Pd - in questo momento coltivi la tentazione di far cadere tutto e far precipitare il Paese verso le elezioni anticipate. Le conseguenze sui nostri fondamentali dell'economia, a partire dal pil che nel 2012 è stimato sempre più in discesa, sarebbero devastanti. Il timore però è quello di ritrovarsi in una gabbia, in una "palude" di veti incrociati in cui è di fatto impossibile dare una direzione al governo e in cui la squadra "montiana" perde ogni forma di autonomia. A quel punto ogni passo di Palazzo Chigi o dei ministri verrebbe contraddetto o smentito di volta in volta da un pezzo della maggioranza. Uno degli esempi che circola alla presidenza del consiglio fa riferimento a quel che è accaduto proprio ieri sulla vicenda Imu. Con il relatore di maggioranza, il pidiellino Conte, che annuncia un emendamento per rateizzare l'imposta senza concordarlo o perlomeno annunciarlo agli uomini del Professore. E il segretario del Pd Bersani che per tutta risposta rispolvera l'idea della "patrimoniale" proprio per contestare la linea berlusconiana. Una miscela esplosiva, insomma, di cui il presidente del consiglio è consapevole. Un episodio che spiega le ansie che assillano il Professore in queste ore. Del resto, le mosse compiute di recente dal Popolo delle Libertà hanno provocato un certo disorientamento. L'accordo siglato dal segretario Alfano sulla riforma del lavoro è stato poco dopo messo in discussione. Il timore del premier è che una parte consistente del partito di maggioranza relativa stia remando anche contro l'ex ministro della Giustizia. In particolare il gruppo "anziano" dei berlusconiani e gli ex An che tentano di strappare un ruolo nella nuova fase. Così come nessuno nel governo ha trascurato l'asse che improvvisamente si è saldato con il presidente uscente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Quel giudizio - "very bad" - rilasciato sul Financial times ha fatto letteralmente infuriare Monti proprio per l'immagine che si dava all'estero del Paese. E la successiva "alleanza" con il Pdl ha fatto sorgere in molti il sospetto che ci sia un disegno per il coinvolgimento "politico" della imprenditrice. Lo stesso presidente del consiglio e il ministro del Lavoro Fornero stanno già predisponendo alcune soluzioni sulla "flessibilità in entrata" per accogliere in parte le richieste di Alfano. Ma gli interrogativi di Palazzo Chigi riguardano gli obiettivi "generali" e non quelli circoscritti alla "riforma Fornero". La paura che in prossimità del voto amministrativo del 6 maggio, la campagna elettorale prenda il sopravvento sulla solidarietà di coalizione. Perché la bussola che orienta il capo del governo - sempre in contatto con il Quirinale - si ferma sempre su un punto: "Sono stato chiamato per salvare il Paese, e i compromessi possono essere siglati solo per il bene del Paese. E non al ribasso". Del resto, proprio nell'ultimo vertice a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi è stato esplicito su questo confermando i timori del suo successore: "Non dobbiamo mettere a rischio il governo, ma nello stesso tempo dobbiamo cogliere l'occasione di quel che sta accadendo nella Lega per tuffarci sul loro elettorato. E per farlo non possiamo lasciare spazio alle parole d'ordine del Carroccio, a cominciare dal lavoro". E quindi prendere indirettamente le distanze. Un modo anche per instaurare il metodo dello scambio su alcune materie sensibili come la giustizia. Su cui il ministro Severino sta subendo costanti "pressioni" proprio dalla componente meno dialogante del Pdl. Non solo. Con la tornata di maggio, si apre di fatto la campagna elettorale per le politiche. E tra gli uomini del Professore c'è chi prende in considerazione la possibilità che qualcuno sia interessato a diluire il ruolo di Monti, a sfibrarlo e a scaricare su di lui le eventuali responsabilità di una crisi economica perdurante per poi tentare di presentarsi alle urne come unico soggetto affidabile. Un clima dunque che rischia di trasformare Palazzo Chigi in un fortino nel quale asserragliarsi per organizzare una difesa sia dal fuoco esterno, quello dei mercati finanziari, sia da quello "amico", alcuni dei partiti di maggioranza. Anche per questo il premier ha convocato per martedì prossimo un vertice con i tre segretari Alfano, Bersani e Casini. Per reclamare un chiarimento. E ha rinunciato al G8 dei ministri finanziari che si riunisce a Washington per affrontare la situazione e non stare lontano da Roma per troppo tempo. Un clima che in settori del Pdl sta facendo circolare la tentazione di far naufragare il vascello di Monti in estate e votare in autunno. Una soluzione contro cui, però, il Cavaliere e anche il segretario del Pd stanno attrezzando una sorta di trincea di "fine legislatura". Che tuttavia rischia di essere spazzata via se il patto sulle riforme - compresa quella elettorale - dovesse saltare nelle prossime settimane. Tanti indizi, quindi, che stanno facendo scattare il campanello d'allarme a Palazzo Chigi. Anche se nel corso del consiglio dei ministri di ieri, il Professore ha rassicurato suoi colleghi: "Andiamo avanti, nonostante i tentativi di rallentarci e di guadagnare qualche in voto in più alle prossime amministrative". (14 aprile 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/14/news/monti_paura_crisi-33281225/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Monti per il dopo voto "Serve un programma di otto anni" Inserito da: Admin - Aprile 19, 2012, 05:01:03 pm RETROSCENA
La road map di Monti per il dopo voto "Serve un programma di otto anni" L'avvertimento del Professore ai partiti: "lo spread non dipende solo dall'economia, i mercati vi valutano". Il premier dice: "Il post elezioni non mi riguarda". I timori di Berlusconi di CLAUDIO TITO "IO HO solo fatto un discorso di verità". La ripresa non è vicina. I tempi per rimettere in carreggiata l'Italia sono lunghi, anzi "lunghissimi". E il lavoro è appena "cominciato". Dall'osservatorio di Palazzo Chigi, Monti disegna un quadro di interventi e di emergenza che va ben oltre la primavera del 2013. Il Def (il Documento di economia e finanza) e il Pnr (il Programma nazionale di Riforme) sono per loro natura elaborazioni che tratteggiano interventi a lunga scadenza. Ma per molti, soprattutto per i leader che sostengono l'attuale esecutivo, sembrano in primo luogo predisporre la base per una "permanenza" del Professore anche dopo le prossime elezioni. "Il dopo non mi riguarda", ripete ossessivamente il capo del governo. Vuole allontanare ogni sospetto che la sua azione sia mirata a costruire un "futuro politico". Sa bene che la reazione dei partiti non sarebbe un buon corroborante per l'azione dell'esecutivo. Eppure la tentazione di lasciare inalterato l'attuale quadro istituzionale - almeno nei suoi principali vertici - si sta sempre più affacciando in una parte della "strana coalizione". Basti pensare all'operazione che sta conducendo Pier Ferdinando Casini: un nuovo partito che metta insieme il Terzo polo, esponenti del mondo imprenditoriale e sindacale, e uomini dell'attuale "governo tecnico". Una formazione che appare fatta su misura per l'ex rettore. Di sicuro, però, Monti non ha alcuna intenzione di candidarsi alle prossime elezioni. Discendere in campo in una competizione tra parti opposte. Nella sua agenda non c'è posto per una "corsa" in rappresentanza di uno schieramento. Nello stesso tempo è consapevole che quanto accadrà il prossimo anno non può essere indifferente al programma del governo, anzi in parte dipenderà da come si muoverà in questi mesi l'inquilino di Palazzo Chigi. "Lo spread - ha spiegato il Professore in questi giorni a tutti i suoi interlocutori, anche ai segretari di partiti ricevuti martedì sera a Palazzo Chigi - non dipende solo dai dati della nostra economia. I mercati guardano anche a cosa accadrà dopo". Una frase che ha lasciato con il fiato sospeso alcuni dei partecipanti al vertice. E del resto, il Professore ha fatto notare che l'affidabilità italiana dipende anche dalla riforma dei partiti. Non solo. Al suo staff ha rimarcato che il Def agisce secondo una "logica pluriennale" e che "i partiti dovrebbero approvare una forte mozione per vincolarsi a questo schema". Con l'obiettivo di tranquillizzare gli investitori internazionali e dare continuità all'azione di risanamento avviata dallo scorso novembre. Una strada che ha fatto scattare il campanello d'allarme soprattutto nel Pdl. Silvio Berlusconi - spalleggiato dalla componente più agguerrita degli ex An - ha cominciato a organizzare un fuoco di sbarramento. Sparando alzo zero anche verso il ddl anticorruzione e la riforma Fornero. "Sta lavorando per il dopo. Lui insieme a Passera", si è sfogato il Cavaliere con i fedelissimi. Persino il blocco del Beauty contest è stato interpretato come una tappa di un percorso che va oltre il 2013. Anche perché l'ex presidente del Consiglio teme che un eventuale "Monti due" non sarebbe propriamente "tecnico" ma sostenuto da una maggioranza politica. Con due architravi: il Pd e il Terzo polo. E diversi esclusi: il Pdl, l'Idv di Di Pietro e la Lega targata Roberto Maroni. Non è un caso che il giorno dopo il vertice, il segretario del Popolo delle libertà Alfano abbia tirato fuori dal cappello un vecchio refrain berlusconiano: "Basta tasse". E non è nemmeno un caso che da qualche giorno il leader dell'Idv stia in privato esprimendo un sogno: ricomporre la foto di Vasto, candidando alla premiership "una come Rosy Bindi". Una mossa che punta a mettere in difficoltà il capo del Pd, Pierluigi Bersani. "Ma il dopo - insiste Monti - non mi riguarda". Anche se negli ultimi giorni lo stesso presidente del consiglio ha seguito con preoccupazione i tanti distinguo emersi nella sua maggioranza. A cominciare dalla fibrillazione che sempre più spesso accompagna i rapporti con il Pdl. Fattori - secondo i Colonnelli berlusconiani - che possono in qualche sospingere il governo non tanto verso la crisi ma nella "palude" della inazione. E quindi approdare alla fine della legislatura senza un potenziale concorrente "tecnico". Un pericolo che ha scosso non poco il Professore. "Convoco i vertici - ha spiegato ai suoi uomini - per dare indicazioni e per raccogliere suggerimenti: perché i voti in Parlamento non li porta la cicogna". "Ma - ha puntualizzato - siamo noi a fissare l'agenda, siamo noi i "driver"". Anche per questo intende velocizzare l'approvazione della riforma del lavoro e modificare le linee guida con cui quel provvedimento è stato comunicato. Puntando sull'idea che in Italia è stato trasferito lo "standard della Germania". Ma il punto resta sempre lo stesso: quali scelte compiranno gli elettori e il sistema politico nella primavera del 2013. E se ancora ieri il Fondo monetario internazionale ha confermato che il prossimo anno l'Italia sarà ancora in deficit, il Programma nazionale di Riforme del governo non è molto più ottimista. "Il Pnr - si legge nel documento messo a punto da Monti - è una tappa che deve ripetersi ogni anno fino al 2020" e "fissare obiettivi di lungo termine è una carta da giocare per stimolare l'opinione pubblica". E ancora: "L'esperienza di questo governo nasce sotto il segno dell'urgenza" e "non tutti i problemi sono stati risolti con lo sprint di quest'ultimo anno. Molto resta da fare". Accenti che per molti rappresentano ormai le prime stazioni di un percorso che non si conclude tra un anno. E chi sa se nell'incontro "privato" e senza intermediari con Benedetto XVI, si sia parlato anche del futuro dell'Italia? (19 aprile 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/19/news/monti_programma_anni-33550315/ Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi punta far saltare incandidabilità e processo Ruby. Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2012, 04:27:19 pm La trincea di Monti dopo l'attacco del Pdl: "Ci sfiducino, si assumano la responsabilità"
Berlusconi punta far saltare incandidabilità e processo Ruby. Il Pd non voterà altri provvedimenti "antipopolari" senza che il Pdl faccia altrettanto. Il Quirinale pensa al voto il 10 marzo di CLAUDIO TITO "Se vogliono la crisi, ci sfiducino. Si assumano la responsabilità di far cadere il governo e di far schizzare lo spread". Mario Monti edifica l'ultima linea Maginot del suo governo. Concorda ogni mossa con Giorgio Napolitano per rispondere all'attacco di Silvio Berlusconi. E stabilisce con il presidente della Repubblica la linea di condotta per impedire che le "truppe" del Pdl aggirino la "linea". Prendere tempo, sfidare il centrodestra sul piano istituzionale. E blindare il percorso che solo pochi giorni fa il capo dello Stato aveva tracciato per arrivare alle elezioni: scioglimento delle Camere il 10 gennaio e voto il 10 marzo, se possibile con l'election day. "Perché non basta una semplice astensione per provocare una crisi di governo. Ci sfiducino e soprattutto si prendano tutta la responsabilità di mandare al macero alcune delle leggi più importanti". La rottura tra il premier e il Cavaliere, del resto, è ormai definitiva. E va oltre il rapporto politico. Si tratta di una frattura anche personale: "Avete visto quanti insulti?". L'ultimo contatto tra i due, infatti, non è stato affatto sereno. Tutto concentrato sul decreto legislativo che prevede l'incandidabilità dei condannati. Ieri mattina improvvisamente il telefono è diventato rovente. La tensione ha subito improvvisamente un picco. Mancavano poche ore al Consiglio dei ministri e gli "ambasciatori" dell'ex premier avevano trasformato quel testo in un vero e proprio ricatto. Le parole del ministro Passera piuttosto critiche nei confronti di Berlusconi sono solo un pretesto per far salire la temperatura prima al Senato e poi alla Camera. Il Professore a quel punto parla con il ministro. Che poco dopo lascia contrito Palazzo Madama: "La cosa più importante è che il Senato abbia approvato il decreto Sviluppo". Ma l'allarme scatta anche sul Colle. I dati della Borsa di Milano e del differenziale tra Btp e Bund tedeschi ricominciano a trottare: verso il basso i primi e verso l'alto i secondi. Napolitano chiama quasi tutti i leader, a cominciare da Bersani e Casini. I contatti con il ministero del Tesoro diventano costanti. La preoccupazione, però, rapidamente diventa un'altra. Perché le trattative con gli esponenti del Pdl non si limitano alla definizione del decreto legislativo dell'esecutivo. Dietro quel testo, spicca dell'altro. Ben più decisivo per il capo del centrodestra. E tutti lo capiscono in un batter d'occhio. L'obiettivo di Berlusconi è quello di ottenere in un colpo solo almeno quattro risultati: affondare l'incandidabilità, archiviare la riforma elettorale, strappare l'election day. E in ultimo sperare che anticipando la campagna elettorale, possa contare sul ricorso sistematico al legittimo impedimento per il processo Ruby. Una tattica processuale, dunque, finalizzata a evitare la sentenza prima del voto. Il suo incubo, infatti, è quello di ritrovarsi già a fine dicembre o inizio gennaio una condanna che trasforma la campagna elettorale in una corsa ad handicap. Il tutto condito dalla possibilità di licenziare con un gesto della mano le polemiche intestine sulle primarie e di costruire la propaganda del partito sulla critica al governo Monti, sull'attacco all'Unione europea e soprattutto sul rifiuto dell'Imu. L'imposta sugli immobili che proprio in questi giorni gli italiani stanno pagando. "Dobbiamo prendere le distanze da Monti - ripeteva ieri il leader del Pdl - solo così possiamo recuperare il terreno perduto". E l'astensione a Montecitorio e Palazzo Madama mirava appunto ad avere la certezza di uno scioglimento in tempi brevi più che a una classica crisi di governo. "Alla Camera - si è sfogato Berlusconi - Monti non arriva a 316. Un anno fa mi aveva detto che non si può governare se non si hanno 316 deputati. Ecco, allora Monti non può governare". Una strategia che è risultata subito piuttosto chiara al Qurinale. Che oggi ascolterà le ragioni del segretario Alfano. Ma la posizione di Napolitano è piuttosto ferma. Al momento - dicono - non c'è stato alcun atto istituzionale che imponga l'apertura di una crisi. Il presidente del Consiglio non è stato sfiduciato. Quindi allo stato vale il calendario già previsto: scioglimento delle Camere intorno al 10 gennaio e voto il 10 marzo. Compatibilmente con le sentenze del tar, election day con le regionali. Se per il Lazio non sarà possibile, si terranno prima le elezioni per scegliere il dopo-Polverini e tutte le altre a marzo. "Sono gli altri - è il ragionamento che l'inquilino del Colle ha fatto a tutti i suoi interlocutori - a doversi pronunciare". Anche perché se questo è l'iter, non avrebbe senso provocare una crisi in questi giorni per anticipare di una settimana l'indizione delle urne. Senza contare che da tempo il capo dello Stato aveva chiesto a tutti i rappresentanti della "strana maggioranza" di arrivare in primavera con un governo non dimissionario: per affrontare due delicati vertici europei e un grappolo di aste di titolo di Stato. Non a caso il Pdl in serata inizia a frenare. Alfano assicura che il decreto Sviluppo e la Legge di Stabilità non correranno alcun pericolo. Ma nel piano del Cavaliere, la crisi è solo una eventualità, pronto a concretizzarla se le garanzie richieste non verranno fornite. Il cuore di tutto, però, non è la sfiducia ma tutto il resto: far votare la Lombardia insieme alle nazionali, far risorgere il Porcellum e far saltare di fatto l'incandidabilità che, essendo un decreto legislativo, dovrà ricevere obbligatoriamente il parere delle commissioni di Camera e Senato. Ma con lo scioglimento in tempi brevi, quel parere non verrà mai espresso. Nello stesso tempo il clima di "pre-crisi" apre un fronte anche negli altri due partiti della "strana maggioranza". Pd e Udc non vogliono essere solo l'estremo presidio della Linea Maginot in chiave montiana. "Noi siamo responsabili e vogliamo arrivare a fine legislatura - ha spiegato il segretario democratico Bersani sia a Napolitano, sia al premier - ma non possiamo accettare che mentre il Pdl prende le distanze e inizia la campagna elettorale, noi sopportiamo da soli il peso di sostenere l'esecutivo". Un modo per dire chiaramente che lo strappo berlusconiano non è più componibile. Soprattutto il Pd non accetterà di votare altri provvedimenti senza condividerne l'impopolarità anche con il Popolo delle libertà: "Non ci sono altre maggioranze". Ma i democratici coltivano anche un desiderio: aprire le urne il prima possibile. Per incassare il successo delle primarie. (07 dicembre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/07/news/monti_trincea-48238895/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Monti, quattro liste per federare il centro: "Non starò fermo... Inserito da: Admin - Dicembre 19, 2012, 11:40:17 pm Monti, quattro liste per federare il centro: "Non starò fermo, è problema morale"
Il premier oggi vede Montezemolo e chiude la porta a Berlusconi. Nella piattaforma programmatica ci saranno una serie di clausole "anti-Cavaliere". L'ipotesi di quattro liste: Udc, Fli, transfughi del Pdl e montiani doc, con dentro il presidente Ferrari e vari ministri. Bersani: "Noi siamo obbligati a parlarci. Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49%, io preferisco il 49%. Non voglio fare tutto da solo" di CLAUDIO TITO "MOLTI mi definiscono tentato. Tentato di fare una lista, tentato di candidarmi. Di certo non cadrò nella tentazione di stare fermo, di rimanere immobile nel mio scranno di senatore a vita nell'aspettativa o nella speranza di ricevere qualcosa". L'annuncio ufficiale probabilmente ci sarà alla fine della settimana. Dopo le dimissioni e lo scioglimento delle Camere. Ma ieri, Mario Monti ha di fatto già tratto il dado. Il professore ha parlato con diversi esponenti del costituendo "blocco di centro". Ne ha saggiato le intenzioni e le disponibilità. Ha visto Franco Frattini, ha parlato con Luca Cordero di Montezemolo che oggi incontrerà di persona e ha iniziato a stendere i primi passaggi della "piattaforma" programmatica con la quale dare il via all'operazione-candidatura. Una svolta che ora contempla la possibilità di dar vita ad una "Federazione" di partiti e forze politiche centriste. Quattro liste così suddivise: quella dell'Udc, quella di Fli, quella dei fuggitivi del Pdl (Frattini e Pisanu) e quella strettamente "montiana" con il presidente della Ferrari, alcuni ministri "tecnici" come Riccardi e Passera e solo esponenti della società civile. Il tutto racchiuso in una coalizione il cui "capo politico" - come prevede la legge elettorale - sarebbe dunque il presidente del consiglio. Certo i dettagli sono ancora da definire. Non è infatti ancora esclusa l'ipotesi della "Lista unica". Sta di fatto che il ragionamento ascoltato da tutti gli interlocutori del Professore, è stato ieri per la prima volta piuttosto netto. "Non cadrò nella tentazione di restare fermo perché mi pongo il problema morale di dare un contributo al Paese anche se dovrò pagare in termini personali". Il premier teme infatti di dover affrontare gli attacchi del Pdl. La propaganda televisiva di Berlusconi che è già scattata negli ultimi giorni. Ma anche il nervosismo di una parte del Pd. Che in queste settimane ha sempre suggerito di mantenere una linea di neutralità. Eppure la linea del confronto con il segretario democratico, Pierluigi Bersani, non si è affatto interrotta. Entro venerdì ci dovrebbe essere un altro lungo faccia a faccia tra i due per mettere sul tavolo tutte le opzioni e per tentare una strada "concordata". "Noi - gli aveva detto il leader pd l'altro ieri - siamo obbligati a parlarci. Per il presente e per il futuro". Nella stessa occasione ha fatto notare come i ruoli possano essere complementari. "Tu rassicuri i mercati e Bruxelles, io posso garantire sul piano sociale i sindacati". E in effetti "Mario e Pierluigi" sembrano comunque destinati a organizzare un percorso comune in una qualche forma. Sempre lunedì scorso, il capo dei democratici lo aveva invitato a "non dare il nome" alle liste che si formeranno al centro. Ma la questione è rimasta in sospeso. E del resto che ci sia la necessità di un nuovo colloquio, lo prova il fatto che la sintonia non è totale anche se il rapporto personale non si è incrinato. Non a caso il segretario continua a ritenere che l'alleanza con i moderati non sarà eludibile. Nei suoi progetti il dopo-voto vedrà come prima tappa il dialogo con i centristi. "Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49% - spiega Bersani - io preferisco il 49%. Non voglio avere la "tentazione" di fare tutto da solo". Ora, però, il disegno di Monti sta assumendo un profilo un po' diverso rispetto a quello immaginato dai democratici. Secondo i vertici di Largo del Nazareno rischia di connotarsi come una sfida diretta. Che può compromettere le future alleanze e assegnare un diverso equilibrio istituzionale. Un chiaro riferimento all'elezione del prossimo presidente della Repubblica prevista per il prossimo aprile. Sebbene, ai piani alti di Palazzo Chigi, molti fanno notare che nella "corsa" verso il Quirinale troppe volte "chi è entrato Papa è uscito cardinale". Tant'è che nei contatti che ieri ha avuto Monti, l'ipotesi di utilizzare la formula "Per Monti" - quella sconsigliata da Bersani - ha accompagnato tutte le riflessioni. Che si presenti una "Lista unica" o si allestisca una "Federazione" di quattro movimenti, in ogni caso nei simboli figurerà quella scritta: "Per Monti". Una soluzione, del resto, che venne adottata in circostanze analoghe nel 1996 dal Ppi che inserì nel suo simbolo due parole "Per Prodi". Nelle ultime ore sta prendendo quota l'opzione federativa. Casini non sarebbe favorevole, preferirebbe la soluzione "unitaria". Ma per gli altri, a cominciare dal capo di ItaliaFutura si tratterebbe di un modo per evitare imbarazzi ai diversi protagonisti e per "pesarsi" nelle urne. Basti pensare, ad esempio, che nei giorni scorsi è stato esplicito il veto montezemoliano nei confronti di Gianfranco Fini. Casini quindi presenterebbe la sua Udc, il presidente della Camera il Fli, i trasfughi del Pdl una lista "montiana" che veda solo quelli come Frattini, Pisanu e Mauro che da tempo hanno dichiarato il loro addio a Berlusconi, e infine i "montiani doc". Montezemolo (che dovrebbe essere capolista in tutte le circoscrizioni) e Riccardi, Passera e Olivero. Neanche un politico al loro interno al punto che non sanno come "recuperare" Nicola Rossi, senatore ex Pd. Di tutto questo proprio Montezemolo parlerà oggi a Roma con il Professore. Un incontro fissato per studiare le prossime mosse in vista dell'annuncio definitivo che potrebbe esserci domenica prossima: dopo le dimissioni (venerdì) e lo scioglimento delle Camere (sabato). Anche se potrebbero essere dei ritardi se dovesse slittare l'approvazione della Legge di Stabilità o se venisse richiesto a gran voce un "passaggio" in Parlamento del governo per verificare l'esistenza o meno di una maggioranza prima di interrompere la legislatura. Di sicuro l'intera operazione si costruisce su una vera propria "conditio sine qua non": Berlusconi e i berlusconiani che non si sono pentiti per tempo devono rimanere fuori. Basti pensare che la piattaforma programmatica in gestazione prevede almeno tre punti che connotano il documento in chiave "anti-Cavaliere". Non solo. È prevista anche una sorta di "clausola anti-Brunetta" in base alla quale gli esponenti del "Nuovo centro" dovranno impegnarsi a non attaccare i paesi europei (a cominciare dalla Germania), difendere l'euro e tutelare l'Ue. Che i tempi della discesa in campo siano comunque ormai stretti, lo conferma anche l'ultimo colloquio che ieri c'è stato con il presidente della Repubblica. Nei giorni scorsi le tensioni non sono mancate e il premier ha cercato di ricomporre tutti i dissidi. E forse diradare le ombre sul decreto "taglia-firme" per presentare le liste con l'assicurazione che nessuno formerà una "componente politica" nei gruppi misti di Camera e Senato per evitare di raccogliere le sottoscrizione al momento di depositare il simbolo "Per Monti". (19 dicembre 2012) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/19/news/monti_quattro_liste_per_federare_il_centro_non_star_fermo_problema_morale-49058425/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Da Bertone-Bagnasco stop a Silvio Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2013, 11:50:06 pm Pdl assente ai Patti Lateranensi: ultimo strappo con la Chiesa
Né Alfano né Berlusconi parteciperanno al ricevimento di domani. Da Bertone-Bagnasco stop a Silvio: l'asse tra Segreteria di Stato e Cei vede favorevole anche l'Appartamento papale. Ma Ruini e i conservatori: centrodestra male minore di CLAUDIO TITO L'ULTIMO strappo tra i vertici della Chiesa italiana e il Pdl si è consumato proprio in queste ore. Con uno sgarbo che Segreteria di Stato e presidenza della Cei considerano poco digeribile. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, infatti, dopo aver disertato il concerto con il Papa, non prenderà parte nemmeno al tradizionale ricevimento che celebra l'anniversario dei Patti Lateranensi. Ci sarà Mario Monti, in qualità di presidente del consiglio, e il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Pierluigi Bersani, invece, presente al concerto con Benedetto XVI ha fatto sapere per tempo di non poter partecipare all'appuntamento. A meno di un cambio di programma dell'ultima ora da parte di Alfano (che comunque verrebbe considerato tardivo dal punto di vista dei rapporti "politici"), domani pomeriggio nella sede dell'Ambasciata italiana presso la Santa Sede non ci sarà quindi nessuno dei "big" del Pdl. Non essendo previsto neanche Silvio Berlusconi. Non mancherà l'"ambasciatore" del Cavaliere, Gianni Letta, ma si tratta comunque di una lesione nei contatti tra Chiesa e centrodestra mai così evidente. Anzi, la "fotografia" nei saloni di Palazzo Borromeo dei cosiddetti "colloqui in piedi" senza una "presenza berlusconiana" non ha di fatto precedenti dal 1994. Del resto l'allontanamento delle attuali gerarchie ecclesiastiche dai rappresentanti pidiellini negli ultimi due anni è stato progressivo. Eppure la "foto" di domani è anche il frutto di un ultimo scontro che si sta consumando all'interno della Conferenza episcopale italiana e con la Segreteria di Stato. Una battaglia che in questo caso vede alleati Tarcisio Bertone, numero uno della Curia, il presidente della Cei Angelo Bagnasco e l'Appartamento papale. Sull'altro fronte la "destra curiale" che sul versante della Cei si basa sull'asse cosrtuito da Ruini con il Patriarca di Venezia Moraglia e all'interno del Vaticano sulla convergenza tra il prefetto della Congregazione per il Clero Mauro Piacenza e monsignor Balestrero. L'ultimo affondo della "corrente" ruiniana, infatti, c'è stato in occasione delle formazione delle liste elettorali. Secondo Don Camillo, il Cavaliere resta il "male minore" e lo strumento per conseguire un "risultato utile", al punto di benedire nel Lazio il patto tra Francesco Storace e Eugenia Roccella. "Berlusconi - va ripetendo da settimane - i voti ancora ce li ha". L'ipotesi di un'intesa tra il centrosinistra e la lista di Monti viene considerata "inappropriata". Non a caso, proprio i "bracci armati" di Ruini - a cominciare da Monsignor Fisichella - avevano chiesto a gennaio ai rappresentanti di Scelta Civica e al leader centrista Casini di mettersi alla guida di un nuovo centrodestra cercando di replicare una sorta di "Operazione Sturzo". Con l'obiettivo, appunto, di rendere impossibile la successiva alleanza con lo schieramento di Bersani in virtù dei "valori non negoziabili". Una linea contestata dall'asse Bertone-Bagnasco. Entrambi, infatti, considerano la presenza del Cavaliere nella corsa elettorale un ostacolo insormontabile sia a causa delle vicende Noemi e Ruby, sia per l'immagine internazionale dell'ex premier. Dopo le tensioni piuttosto vistose dei mesi scorsi, quindi, tra Segreteria di Stato e Cei è stata siglata una sorta di "tregua operosa". Resa plasticamente visibile alla presentazione alcune settimane fa del libro "La porta stretta" che raccoglie le prolusioni del presidente della Cei. Un patto che, secondo gli uomini più vicini ai vertici episcopali e della Curia, si basa anche sui nuovi orientamenti dei credenti praticanti. L'attivismo "ruiniano", infatti, non sembra aver preso piede tra i cattolici di base se si considera il recente sondaggio pubblicato dal mensile Jesus: Pd e Scelta Civica sono in cima alle loro preferenze e il centrodestra scivola sempre più dietro. Anzi, tra quelli che un tempo votavano per il Cavaliere emerge la tentazione-Grillo. Per di più i "valori non negoziabili" non vengono considerati un criterio fondamentale per le scelte politiche. La disposizione verso il superamento del "rapporto esclusivo" con il centrodestra sta diventando quindi il perno di quella ricucitura di rapporti tra Bertone, Bagnasco e l'Appartamento papale. Basti pensare all'appello lanciato pochi giorni fa proprio dal capo della Cei che tutti hanno interpretato come un ulteriore stop al Cavaliere: "Gli italiani hanno bisogno della verità delle cose, senza sconti, senza tragedie ma anche senza illusioni. La gente non si fa più abbindolare da niente e da nessuno". Ma questa scelta viene appunto criticata dalla componente "ruiniana" e dai conservatori. Al punto di tentare un accordo con l'ala più conservatrice della Chiesa. Non è un caso che di recente sia partita un'offensiva diplomatica con il Cardinale Piacenza (che aspirava alla successione di Bertone in Segreteria di Stato), con Moraglia (Patriarca di Venezia), e con l'arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (vicino a Cl) e monsignor Balestrero (Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati). A loro è offerta una sponda per creare un nuovo rapporto di forze. Si tratta di uno scontro che dentro la Curia richiama alla memoria il vecchio duello tra Papa Montini, Paolo VI, e l'arcivescovo Roberto Ronca, esponente della destra romana e della corrente più tradizionalista di Coetus Internationalis Patrum. Ma soprattutto ha aperto con un certo anticipo la scacchiera per il futuro Conclave. Sta di fatto che in questa fase Bertone e Bagnasco non intendono accettare l'idea di una nuova concessione a Berlusconi ne giustificare alcune sue gaffe con il pricipio della "contestualizzazione". I vertici della Cei, prima di optare per l'addio definitivo, avevano chiesto proprio ad Alfano - ottenendole - garanzie sulla necessità che Berlusconi non sarebbe ricandidato come guida. Assicurazioni che poi sono state smentite. Le differenze tra il Segretario di Stato e il presidente della Cei riguarderanno semmai la gestione delle scelte per il dopo voto. Ma al momento c'è un anello che li unisce: guardare al dopo-Berlusconi. (11 febbraio 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/02/11/news/pdl_assente_ai_patti_lateranensi_ultimo_strappo_con_la_chiesa-52371294/ Titolo: CLAUDIO TITO. Il sindaco di Firenze esce allo scoperto: ... Inserito da: Admin - Aprile 04, 2013, 05:25:37 pm Pd, parte l'offensiva di Renzi: "Subito al voto, io sono pronto"
Il sindaco di Firenze esce allo scoperto: "Troppo tempo perso, meglio votare. Pronto a correre per le primarie". Poi ammette: "So che sarebbe meglio tacere, ma ormai esiste un problema Paese" di CLAUDIO TITO "SI STA perdendo tempo. È chiaro a tutti. A questo punto io sono per votare. Dopo di che, Bersani decida cosa fare. Se vuole fare un accordo con Berlusconi o con qualcun altro, lo faccia". Matteo Renzi rompe gli indugi. Matteo Renzi rompe gli indugi. La tregua che era stata siglata dopo le primarie dello scorso autunno è ormai saltata. La battaglia è tornata in campo aperto. E il duello è ancora con Pierluigi Bersani. Che, a suo giudizio, ha deciso di "surgelarsi" dopo la "non-vittoria" alle ultime elezioni. La "nuova" corsa per la premiership sembra allora riaprirsi: "Io mi voglio candidare". Il patto di non belligeranza con il segretario pd dopo il voto dello scorso febbraio è dunque già archiviato. La crisi di governo che al momento si sta rivelando senza sbocco è per il sindaco di Firenze una "perdita di tempo" che sospinge il Paese "sull'orlo della fine". Soprattutto è stata gestita in modo sbagliato. "Pierluigi - insiste scandendo le sillabe - prenda una decisione. Non si può stare fermi in attesa che ottenga l'incarico". Prima il tentativo del leader democratico, poi l'istituzione dei "saggi", quindi l'attesa per l'elezione del nuovo capo dello Stato. Tutti elementi che l'ex rottamatore non riesce a digerire: "La clessidra è agli sgoccioli, serve credibilitàpolitico-istituzionale". Così, subito dopo aver partecipato alla cerimonia organizzata dalla Cgil della "avversaria" Susanna Camusso per i 120 anni della Camera del lavoro, si lascia andare ad un lungo sfogo. Anche con i militanti dello stesso sindacato. Pure con loro non nega nulla delle sue intenzioni. "Bersani decida. Vogliono fare un accordo, lo facciano. ma prendano una decisione". La situazione però sembra in stallo a causa dei risultati elettorali. Perché punta il dito contro il segretario? "Non possiamo dire un giorno "Berlusconi in galera" - scuote la testa - e il giorno dopo proporgli la guida della Convenzione per le riforme o come l'hanno chiamata. Che messaggi lanciamo? Incomprensibili. La sensazione è un'altra: che si continua a traccheggiare. Ma il Paese non se lo può permettere". Lei ha una ricetta diversa? "O facciamo un accordo o si vota. Ma evitiamo di perdere altro tempo. Se si decide di votare, si vada a votare. Ma non possiamo assistere al teatrino del più grande partito italiano che chiede a qualcuno di dargli i voti per far nascere il governo e poi precisa alla stessa persona "ma io con te non parlo"". Scusi, ma crede davvero che si possa votare a giugno? "Certo, si può votare a giugno. Se poi Bersani riesce a fare un governo, bene. Se riesce a fare le larghe intese, bene. Ma si faccia qualcosa". E se le urne si indicono a giugno c'è il tempo per organizzare le primarie? Il calendario non sembra darle ragione. "Ma se si vuole, si possono convocare anche in tempi brevi. Se si vuole, certo. E io sono pronto a candidarmi alle primarie. Il punto, però, è un altro". Quale? Il Sindaco di Firenze ricorre alle le stesse parole usate nella sua città con gli iscritti della Cgil e anche con la Camusso con la quale ha parlato riservatamente al termine della manifestazione di ieri mattina. "C'è un Paese che sta morendo. Mi chiedo: le vedono le aziende che chiudono? Li vedono i giovani disoccupati. Eppure anche il tanto odiato New labour inglese aveva quella parola, "Lavoro", al centro del suo programma. Oggi rischiamo con questa indecisione di far affondare la Repubblica democratica fondata sul lavoro sulle rendite o su chi pensa di potersi permettere altri ritardi". "Io so - ammette - che così facendo sto mettendo un paletto negli occhi del Pd. Lo so che sarebbe meglio stare in silenzio, me lo dicono tutti. Ma io non faccio politica per questo. Sono stato zitto e buono fino ad ora, ma non posso nascondere che esiste un problema-Paese. E non posso nascondere che il mio partito deve chiarire un percorso. Ma vi rendete conto che stiamo ancora con il governo Monti che deve rinviare il decreto per i debiti della Pubblica Amminstrazione? È possibile? Per me no". Ne ha parlato anche con il segretario della Cgil? "Certo, e mi ha detto che avevo ragione". "Anche se - aggiunge sorridendo - ho messo il maglioncino blu come Marchionne". La Camusso, in realtà, non è mai stata una sua sostenitrice. "Lo so, ma questo non cambia i termini dell'emergenza. Che deve impegnare tutti. Per questo io ho detto: Signori cari, basta anche con il finanziamento pubblico dei partiti. Poi ho tirato fuori l'elenco di chi mi ha finanziato, l'ho reso pubblico. Non l'ha fatto nessun altro. E su questo discorso molti bersaniani sono disponibili, ne sono sicuro. Il mio è un discorso molto semplice: bisogna recuperare un minimo di serietà. Non si può stare fermi in attesa che Bersani ottenga l'incarico. In attesa del nuovo presidente della Repubblica. È ridicolo rimanere con un incaricato surgelato. Facciamo qualcosa: il governo del presidente, le larghe intese, o si vada a votare". E se il sindaco fiorentino si rilancia nella corrida delle primarie, quale alleanza proporrà? "Quella di centrosinistra, non c'è dubbio". Ma perché ha deciso di chiedere le urne a giugno? "Berlusconi vuole il voto a giugno proprio per non dare spazio a me. Noi possiamo sfidarlo. Se corro io, lui è difficoltà. Basta vedere i sondaggi. Allora mettiamo la palla a terra e ragioniamo. Individuiamo un percorso serio per il Paese. Altrimenti ci fottono. Ma quando dico queste cose, mi sembra di sognare. Anzi di vivere un incubo. Mi sembra incredibile che non si capisca la crisi terribile che vivono gli italiani. Solo i sindaci se ne accorgono? E allora non me ne frega niente di stare zitto, io non sto zitto se l'Italia va a rotoli". Quando si parla di centrosinistra si intende anche Scelta Civica di Monti? "No. I voti non si trasferiscono, non te li regalo nessuno. O li pigli o non li pigli. La gente o vota Renzi o vota Berlusconi". O Beppe Grillo. "E infatti non ho proposto l'abolizione del finanziamento pubblico per caso. L'avevo già fatto e ora sembra che sia stato lui a chiederlo. Ma mica possiamo stare qui ad aspettare che Grillo ci prenda per il sedere. A me non va che sia lui a dirci cosa dobbiamo fare. Non mi faccio dettare l'agenda da lui". E quindi? "Quindi diciamo cosa abbiamo già fatto. Ho scritto un tweet con i risparmi del comune: meno 8 milioni per l'affitto delle sedi, giunta dimezzata, meno Irpef, Imu al minimo". Però lei fino allo scorso anno ha condotto la campagna elettorale sulla "rottamazione". Cambierà registro? "Questo Paese ha bisogno di cambiare, di crescere. Sto preparando un "Job act", un piano per l'occupazione. Il lavoro è al primo posto". (04 aprile 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/04/news/renzi_governo-55902948/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Berlusconi: "Non può decidere Adriano". Inserito da: Admin - Giugno 01, 2013, 04:56:04 pm Berlusconi: "Non può decidere Adriano". Ora Galliani rischia, Barbara pronta a scalzarlo La figlia dell'ex premier punta al posto di ad e a un ruolo per Maldini. Il Cavaliere irritato con il dirigente ma non vuole umiliarlo. Anche Gianni Letta e Malagò in campo per il trasferimento del tecnico a Roma: il n.1 Coni informò Pallotta del via libera del Cavaliere di CLAUDIO TITO ROMA- "Mi dispiace per Adriano, ma devo dare ragione a Barbara. Non può essere lui a scegliere chi allena il Milan". I rapporti tra Silvio Berlusconi e Galliani, l'amministratore delegato del Milan, non hanno mai toccato una fase tanto negativa. Il loro sodalizio è noto. La sintonia calcistica anche. Ora però qualcosa sta cambiando. Si sa, il Cavaliere considera la squadra rossonera non solo un brand o una semplice passione sportiva, ma qualcosa di più. Un vero e proprio marchio da spendere anche in politica. Una sorta di vestito della popolarità e dell'immagine vincente da indossare quando serve. Per questo ha sempre considerato il Milan un "suo" strumento. E per questo, stavolta, l'ex premier non riesce proprio a digerire quella che definisce una "impuntatura di Adriano". Ossia la conferma di Massimiliano Allegri. Negli ultimi giorni infatti, Berlusconi ha fatto sapere - anche a parlamentari e ministri del Pdl - che non può accettare che "il mio Galliani decida opponendosi a me. Le sue ragioni sono immotivate. È tempo di cambiare". A Milanello, insomma, lui vuole Clarence Seedorf. Eppure dietro il braccio di ferro su Allegri e il calciatore olandese c'è qualcosa di più. Non si tratta solo di scegliere chi dovrà guidare il team del Diavolo. Ma di stabilire un nuovo assetto dirigenziale nella società AC Milan. Perché lo scontro apparentemente "sportivo" nasconde una problema "familiare". Ossia Barbara Berlusconi. La figlia del Cavaliere, membro del cda, vuole crescere in azienda. Sa che quando si definirà la causa di divorzio tra il padre e la madre Veronica Lario, i giochi anche nell'impero berlusconiano saranno sostanzialmente fatti. E lei ha chiesto di entrare a tutti gli effetti ai vertici del gruppo, con un incarico apicale. E reclama un segno di discontinuità anche al Milan. Sostanzialmente l'obiettivo è prendere il posto di Galliani come amministratore delegato. Sul nome di Allegri, dunque, si sta giocando una partita ben più alta: chi la vince, prende anche il controllo societario. Basti pensare a quello che è accaduto circa tre settimane fa. In un incontro super riservato ad Arcore tra il Cavaliere e Gianni Letta - senza l'attuale Ad rossonero -, l'ex premier ha chiesto al suo plenipotenziario di intercedere con la Roma e soprattutto trasmettere un messaggio: "Potete trattare Allegri". Letta, allora, - per evitare di esporsi in prima persona - ha chiamato il presidente del Coni, Gianni Malagò, pregandolo di fargli questa cortesia: "Puoi far sapere tu ai vertici dei giallorossi che il presidente è favorevole al trasferimento di Allegri nella Capitale?". Detto, fatto. In un colloquio a Milano con James Pallotta, il presidente americano dei giallorossi, Malagò riferisce tutto. In realtà, i romanisti avevano avviato il negoziato con il tecnico livornese già da febbraio. E dopo il via libera di Berlusconi il rapporto si è intensificato. Ma nessuno aveva fatto ancora i conti con Galliani. Il quale è consapevole del fatto che perdere il game sull'allenatore equivale a rinunciare al controllo del Milan. Anche perché nel disegno di Barbara, la struttura dirigenziale andrebbe rivoluzionata. Lei si occuperebbe della società dal punto di vista finanziario e del marketing ("su questo siamo indietrissimo - è la sua accusa - , abbiamo una gestione rivolta al passato") e Paolo Maldini, lo storico terzino rossonero, avrebbe il compito di seguire la parte calcistica con la carica di vicepresidente. Galliani, quindi, perderebbe sia la poltrona di ad sia quella di vicepresidente vicario. Lo scontro, però, è appena iniziato. E nessuno ancora sa come andrà a finire. Il Cavaliere è intenzionato ad accontentare la figlia. Ma preferirebbe una "successione soft". Soprattutto non vuole rompere così con un "uno degli amici della vita". "Però - è il refrain pronunciato in questi giorni anche davanti ad alcuni parlamentari del centrodestra - deve capire che non può contrapporsi a me. Io resto convinto che Allegri sia un incapace. Ci ha fatto perdere almeno uno scudetto. Ha liquidato Pirlo che poi ha fatto vincere alla Juve due scudetti, ha litigato con tutta la vecchia guardia. Con Inzaghi, con Gattuso. Io voglio cambiare e Clarence è l'ideale". E quando il Cavaliere dice "ideale" non si riferisce solo alla dimensione sportiva. Seedorf può diventare una sorta di "Nuovo Marchio" del berlusconismo. Un modello rinnovato anche dal punto di vista "politico": giovane, colto, poliglotta, simbolo del multiculturalismo e di un'Italia multirazziale. Anche per questo la Roma aspetta e spera. Pallotta e Baldini sanno che il loro principale alleato è Berlusconi. L'accordo con Allegri è ormai raggiunto. Va però siglata anche la tregua tra Barbara e Adriano. O consumata la battaglia finale. (01 giugno 2013) ©Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/sport/2013/06/01/news/berlusconi_non_pu_decidere_adriano_stavolta_galliani_rischia_barbara_pronta_a_scalzarlo-60106063/?ref=HRER2-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il PD" Inserito da: Admin - Luglio 09, 2013, 05:17:22 pm Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" "Voglio un partito moderno e leggero e non un castello di capicorrente" di CLAUDIO TITO Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" Renzi durante la campagna elettorale per le primarie "TANTI amministratori, tanti sindaci, tanti militanti ripongono nel Pd le loro speranze. E chiedono a me di mettermi in gioco. A loro dico: dobbiamo costruire un Pd moderno, aperto, pensante non pesante. Perché solo il Pd può fare uscire l'Italia da questa crisi". Matteo Renzi è pronto a scendere in campo. Vuole aspettare la convocazione ufficiale del congresso e la definizione delle regole, ma la road map è già disegnata. E si chiuderà con la convocazione il 27 ottobre di una "Quarta Leopolda", la convention "renziana" che nel 2011 battezzò i "rottamatori" e nel novembre 2012 fu la molla per lanciare l'ultimo sprint in vista delle primarie contro Pierluigi Bersani. Fino a quel momento, il sindaco di Firenze vuole costruire un network di alleanze che faccia perno sui sindaci e rappresentanti della base. E non certo sui capicorrente: "Simboli di un partito che non esiste ma resiste". E con una precisa assicurazione: "Teniamo fuori il governo da questo dibattito. Enrico sarà più forte se il Pd sarà più forte. L'importante è che non si preoccupi di durare, ma di fare. Abbia come punto di riferimento le idee di Andreatta e non il tirare a campare di Andreotti". Tutti si chiedono se si candida. "Ma le sembra normale che un partito serio passi il tempo a parlare di quello che farò io da grande? ". Non sarà serio, però per molti il futuro del Pd e anche quello del governo dipende da questa scelta. "C'è qualcuno nel partito che mi vuole invischiare in questo surreale dibattito sulle regole e sugli organigrammi. Anche no, grazie! Così si perde l'occasione di dare una risposta alla crisi italiana. Il Pd è l'unico partito in grado di fornire una risposta. Grillo ha bruciato la sua chance, Berlusconi pensa a ad altro che agli italiani. Noi siamo gli unici a poter fare uscire l'Italia dalle secche". Insomma le condizioni perché accetti la sfida ora ci sono. "Il traghettatore del Pd, ossia Guglielmo Epifani, ci faccia sapere la data del congresso e delle primarie. Per statuto devono avvenire entro il 7 novembre. Non ci si candida per sapere qual è il responsabile organizzativo del territorio in Umbria, ma se si cattura una speranza e se si sfrutta il talento degli italiani. Su questo abbiamo molte proposte". Cioè? "Intanto faremo un'altra Leopolda il prossimo 27 ottobre. Perché' è fondamentale che si torni alle idee". Se lei organizza un'altra Leopolda è per sostenere la sua candidatura. "Le candidature verranno presentate prima. Ma è vero che io sono a un bivio: tra la voglia di ricandidarmi a Firenze dove credo di essere riuscito a imprimere un cambiamento nella città, ma che ha bisogno di altri 5 anni per consolidarsi; e la consapevolezza di rappresentare una speranza per molti. So che tanti amministratori, sindaci dirigenti pongono su di me questa speranza. Mi spingono a candidarmi. Allora io dico: voglio un Pd in cui vinca la leggerezza, che sia libero da certe burocrazie simil-ministeriali. Che invece di essere pesante, sia pensante". Ce l'ha con D'Alema? "No, stavolta no. Ce l'ho con chi privilegia il dibattito sugli organismi rispetto alle idee". È vero che le ha proposto di candidarsi alle europee? "Sì. D'Alema parte dal presupposto che non devo fare il segretario. Ma non devo fare neanche il sindaco. Devo fare tra qualche anno il candidato premier designato dal partito. Per questo immagina Strasburgo come luogo dove acquisire esperienza internazionale. Mi piace pensare che sia un ragionamento serio e non lo considero un trappolone. Semplicemente non sono d'accordo: non faccio questa battaglia per sistemarmi da qualche parte. Ma per affermare una diversa idea d'Italia". Il segretario deve o non deve essere anche il candidato premier? "Mi atterrò alle regole. Quando saranno chiare e soprattutto quando si conoscerà la data del congresso, allora parleremo di cosa fare. Il punto per ora è un altro". E qual è? "Io voglio un partito che non sia terra di conquista per correnti, ma che sappia conquistare i voti di chi non ci ha votato prima. Nel 2008 il Pd ha raccolto circa 12 milioni di voti, nel 2013 10 milioni. Anche alle amministrative abbiamo vinto perché il Pdl ha perso più voti di noi. Vogliamo recuperare un elemento di entusiasmo oppure no? E lo possiamo fare con una discussione su chi prenderà il posto di Stumpo? Ecco, io non voglio più parlare di queste cose". Quindi si candiderà a prescindere dalle regole? "Aspetto la data e di sapere se c'è una comunità di persone che crede che questo sia un progetto serio e non una fisima del sindaco di Firenze. Guardi, la mia immagine è quella del David. Può essere scontata ma quell'opera non è solo l'emblema della bellezza e della libertà civile. Michelangelo, quando gli chiesero come era riuscito a fare quella statua, rispose: basta togliere il marmo in eccesso. Ecco dobbiamo togliere quel che è in eccesso". Tipo? "La burocrazia, l'eccesso di potere dello Stato, il fisco, gli ostacoli che non aiutano i volontari del terzo settore. Un esempio: l'alimentare italiano ha una quota di export di 31 miliardi, ma ne importiamo per circa 35. Non siamo capaci di vendere ciò che abbiamo. Altro esempio: in questi giorni in tutti i comuni italiani sono arrivate camionate di moduli come il 730 per le dichiarazioni dei redditi. È normale che si vada avanti così e che non si possa risolvere tutto in un click? Il Pd parli di futuro, non di un'idea novecentesca dell'appartenenza". Ecco un'altra botta ai capicorrente. "L'ho detto e lo ripeto: se mi candido, lo faccio indipendentemente da loro. A me interessa il voto dei volontari delle feste dell'Unità e quello dei delusi di Grillo o della Lega, non delle correnti organizzate. Non vado dietro a patti tra maggiorenti. Questo Pd non esiste, resiste. Ai caminetti romani rispondo sempre con un "no grazie". Non farò scambi di poltrone". Se il nuovo segretario sarà anche il candidato premier, ci sarà una spinta a votare subito? "Il governo va tenuto fuori. Dobbiamo dare una mano a Letta per fare cose significative. Voglio aiutarlo anche sulla legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti". In che senso? "C'è un tentativo di modificare la sua proposta, che può non essere il massimo ma almeno è un punto di partenza. Bisogna bloccare quel tentativo. So che in Europa il finanziamento delle forze politiche esiste quasi ovunque, ma solo da noi è stato - per così dire - male utilizzato. I nostri stanno facendo un ottimo lavoro in Commissione per vigilare su questo tema. Questo sarà il primo passo per un partito che non concentri l'appartenenza solo sul tesseramento. Forse si può unire il social network al porta a porta. Serve qualcosa di nuovo". Si spieghi meglio. "L'adesione può assumere forme diverse. Nel 2013 serve un partito aperto. Basta con l'idea novecentesca dell'appartenenza. Dobbiamo renderlo moderno sapendo che non si discute solo nelle sezioni, che si fa politica anche in rete o nei luoghi del volontariato. A questo proposito c'è un documento di Goffredo Bettini molto interessante. Ci dovremmo spiegare perché in alcune zone d'Italia sono stati più i votanti alle primarie che alle elezioni". Secondo lei qual è il motivo? "Che il partito si è chiuso in un castello. Quando lo apri, arriva più gente. Per questo bisogna partire dai sindaci. Possono dare una mano. Il Pd così può essere il luogo delle nostre speranze e non delle singole ambizioni". Scusi, torno alla domanda precedente. Molti credono che il nuovo segretario rischia di spingere il governo verso la crisi. "E allora che facciamo? Non eleggiamo il segretario così Franceschini è più tranquillo? Ci facciamo dare la linea da Brunetta e Schifani così non litighiamo? Al contrario io credo che Letta abbia bisogno di un Pd forte. Il governo ha tutto da guadagnare, se fa le cose. Letta ha chiarissimo che serve un Pd forte. Esiste un mondo ex democristiano preoccupato in primo luogo di rinviare. Senza polemica nei confronti della fu Balena Bianca, ma il governo deve decidere se il suo obiettivo è solo durare. Io tifo per questo governo. Ma un conto è se punta a durare "andreottianamente" e un altro se scommette sulle idee "andreattianamente". Non cambia solo una vocale, ma il modo di guardare al futuro. Ed Enrico sa bene la differenza tra Andreotti e Andreatta". Ma l'Imu, ad esempio, lei l'abolirebbe? "Questa discussione è la dimostrazione che in Italia si guarda il dito e non la luna. La presa di posizione di Berlusconi è legittima anche se troppi dimenticano che con i suoi governi la pressione fiscale è salita. Se il patto è toglierla, togliamola. Ma ci deve essere un disegno, altrimenti si trasforma in un assalto alla diligenza. Possiamo finalmente semplificare il fisco in Italia? Ridurre il peso dello Stato? Rendere più semplice il rapporto tra Agenzie delle Entrate e piccole imprese?". Alle ultime primarie l'allora segretario Bersani indicò Papa Giovanni XXIII nel suo pantheon ideale. Lei metterebbe Papa Francesco? "Bergoglio sta sorprendendo tutti e ne sono felice. Da cattolico sono anche contento che si torni a prestare attenzione al messaggio evangelico di Gesù. Spero che tra gli effetti di questo papato ci sia un aiuto alla Cei ad essere più coraggiosa nella formazione politica e più distante dagli scontri tra i partiti". da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/09/news/renzi_tutti_mi_chiedono_di_candidarmi_cos_cambier_il_pd-62648241/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-07-2013 Titolo: CLAUDIO TITO. Epifani: "Non ci siamo piegati a Berlusconi. Inserito da: Admin - Luglio 12, 2013, 07:38:32 pm Epifani: "Non ci siamo piegati a Berlusconi. Ora stop agli strappi o è meglio lasciare" di CLAUDIO TITO "Preoccupato? È chiaro che sono preoccupato". Il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, non nasconde le difficoltà che il governo e il suo partito stanno vivendo in questa fase. Gli strappi del Cavaliere, gli imbarazzi della base democratica e le divisioni emerse nel partito sono tessere di un mosaico mai definitivamente completato. Anzi con l'avvicinarsi della sentenza in Cassazione per il processo Mediaset che potrebbe sancire l'uscita dalla politica per Berlusconi, quelle stesse tessere sembrano rimescolarsi di nuovo. "Per questo serve un chiarimento - dice Epifani - se il centrodestra tira ancora la corda, per noi vengono meno tutti gli spazi di agibilità". Però, avverte, sul sostegno "responsabile" al governo Letta c'è "la stragrande maggioranza del Pd". E anche le polemiche sulla sospensione dei lavori in Parlamento sono "esagerate". "Lì abbiamo vinto noi e non loro. Brunetta aveva delle pretese eversive e noi lo abbiamo stoppato". Tutto infatti nasce dal voto di mercoledì sulla sospensione dei lavori. A molti non è andato giù che il Pd abbia accettato la richiesta del Pdl. "Ma quel che è accaduto l'altro ieri è stato descritto in modo esagerato". Perché esagerato? I Gruppi democratici hanno detto sì, con alcune eccezioni, alla sospensione dei lavori parlamentari. "È stato esagerato perché tutto nasce dalle parole di Brunetta, quelle sì al limite dell'eversione. Quando si chiede di bloccare le Camere per tre giorni, si minaccia l'Aventino, le dimissioni in blocco, allora certo la risposta non può che essere ferma. Al Senato, però, Schifani ha motivato tutto in modo diverso. Si è limitato a chiedere di far discutere il gruppo. E poi c'è un altro aspetto". Quale? "Non è vero che non si è lavorato, lo si è fatto fino alle 17 dando il tempo, dopo, per le loro riunioni". Ammetterà che la base del suo partito non l'ha presa così. "So bene che l'atteggiamento di Brunetta era grave e inaccettabile, ma è stato respinto. Anzi, abbiamo vinto noi. Lui voleva tre giorni di Aventino e ha avuto solo il tempo di una riunione". La protesta dei militanti non si concentra sulla semplice sospensione dei lavori ma sul motivo che ha indotto il Pdl ad avanzare quella richiesta. Ossia l'attacco alla Corte di Cassazione, hanno definito i magistrati dei banditi. "Lo so bene. Ma questo vale per loro, non per noi. Il punto è che loro vivono una fase di grande incertezza e difficoltà e qualcuno è tentato dalla logica del tanto peggio tanto meglio. Se un capogruppo, come ha fatto Schifani, ci dice "abbiamo bisogno di riflettere", è chiaro che l'oggetto diventa il loro bisogno di parlare più che la sentenza del processo Mediaset". Proprio lei però dice che così non si può andare avanti. Quindi qualche problema c'è? "Se si sgombra il campo dalle discussioni sterili, è chiaro che per noi stare in questo governo è possibile se ci sono margini di agibilità. Questa è una maggioranza con partiti di schieramenti diversi. Allora se ogni giorno qualcuno tira la corda, pone un ultimatum, tenta uno strappo, è chiaro che diventa più difficile anzi impossibile stare insieme. E poi c'è questa spada di Damocle del 30 luglio". Ma non è che quella sentenza peserà più sul Pd che sul Pdl? "Per noi la questione è semplice, sentenza o non sentenza: se ci fanno lavorare per affrontare la crisi di questo paese, bene. Altrimenti basta". Magari i militanti del centrosinistra vi potrebbero dire "non si può stare con un condannato". "Si certo, lo capisco. Ma questo era anche due mesi fa. Allora io dico: bisogna distinguere le condanne personali dal fatto che quel partito ha preso otto milioni di voti. E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, il processo che pone a noi i problemi maggiori è quello di Napoli. Se si accerta che ha comprato i nostri per far cadere Prodi... Comunque se davvero ci sarà la condanna Mediaset - e io su questo non sono in grado di avanzare giudizi - loro non staranno fermi". Per il momento Berlusconi ha confermato che non vuol far cadere il governo. "Sta seguendo i suggerimenti di Coppi. Per ora". Ma quando lei parla di chiarimento, cosa intende? "Ad esempio, oggi hanno lavorato tutti, hanno lavorato le commissioni e l'aula. È stata approvato il testo per le riforme e la nuova legge sul reato di voto di scambio politico-mafioso. La verifica deve essere nei fatti". Eppure in questi due giorni davanti a un Pdl frastornato, il Pd si è presentato a dir poco diviso. "Condivido il documento firmato da 70 senatori che difende il lavoro del Parlamento e del governo. È chiaro che in un partito come il nostro le posizioni legittime come quelle di Civati o della Bindi non verranno mai meno ed è anche giusto. Però vorrei far notare che nell'ufficio di presidenza del gruppo della Camera, tutti avevano convenuto sulla scelta e poi qualcuno non l'ha votata in aula". Sembra quasi che sia in corso un confronto tra "governisti" e "partitisti". Fabrizio Barca parla di dorotei nel Pd. "La vera discussione nel partito è un'altra. È tra chi ritiene che si debba sostenere questo governo perché al momento è l'unico possibile e chi pensa che si debba dare un taglio e tornare subito al voto. Ma la stragrande maggioranza è per appoggiare Letta. Se il documento del Senato venisse presentato alla Camera, otterrebbe un numero di firme ancora superiore". Nonostante la strana maggioranza? "Certo, perché quasi tutti capiscono che allo stato non c'è alternativa. Ogni altra soluzione è più difficile e viviamo una crisi economica terribile. Probabilmente ci aspetta il peggior autunno degli ultimi sei anni. E i sondaggi danno ragione al governo. Io vado in giro per il Paese e vedo che le persone sono per Letta. Su questo non mi sbaglio. Quando la crisi morde, la gente ha bisogno di attaccarsi ad una speranza". Quindi quanto dovrebbe durare questo esecutivo? "Non so quanto durerà, ma dipende dalle cose che fa. Vorrei sottolineare che il presidente del consiglio in poco tempo si è conquistato una grande credibilità internazionale". La durata dipenderà più dal Pdl o dal Pd? "Il nodo è il Pdl. Nei tantissimi comuni e regioni che governiamo, la maggioranza non è quella di Roma. Qui non ci sono i numeri. Quindi dipenderà da quel che farà Berlusconi". Se staccasse la spina, voi potreste tentare un'intesa con Grillo? "A me pare difficile, semmai con loro si può cambiare la legge elettorale. Ma sarebbe solo una extrema ratio". DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/12/news/epifani_non_ci_siamo_piegati_a_berlusconi_ora_stop_agli_strappi_o_meglio_lasciare-62831105/?ref=HRER3-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" Inserito da: Admin - Luglio 22, 2013, 06:16:43 pm Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" "Voglio un partito moderno e leggero e non un castello di capicorrente" di CLAUDIO TITO Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" Renzi durante la campagna elettorale per le primarie "TANTI amministratori, tanti sindaci, tanti militanti ripongono nel Pd le loro speranze. E chiedono a me di mettermi in gioco. A loro dico: dobbiamo costruire un Pd moderno, aperto, pensante non pesante. Perché solo il Pd può fare uscire l'Italia da questa crisi". Matteo Renzi è pronto a scendere in campo. Vuole aspettare la convocazione ufficiale del congresso e la definizione delle regole, ma la road map è già disegnata. E si chiuderà con la convocazione il 27 ottobre di una "Quarta Leopolda", la convention "renziana" che nel 2011 battezzò i "rottamatori" e nel novembre 2012 fu la molla per lanciare l'ultimo sprint in vista delle primarie contro Pierluigi Bersani. Fino a quel momento, il sindaco di Firenze vuole costruire un network di alleanze che faccia perno sui sindaci e rappresentanti della base. E non certo sui capicorrente: "Simboli di un partito che non esiste ma resiste". E con una precisa assicurazione: "Teniamo fuori il governo da questo dibattito. Enrico sarà più forte se il Pd sarà più forte. L'importante è che non si preoccupi di durare, ma di fare. Abbia come punto di riferimento le idee di Andreatta e non il tirare a campare di Andreotti". Tutti si chiedono se si candida. "Ma le sembra normale che un partito serio passi il tempo a parlare di quello che farò io da grande? ". Non sarà serio, però per molti il futuro del Pd e anche quello del governo dipende da questa scelta. "C'è qualcuno nel partito che mi vuole invischiare in questo surreale dibattito sulle regole e sugli organigrammi. Anche no, grazie! Così si perde l'occasione di dare una risposta alla crisi italiana. Il Pd è l'unico partito in grado di fornire una risposta. Grillo ha bruciato la sua chance, Berlusconi pensa a ad altro che agli italiani. Noi siamo gli unici a poter fare uscire l'Italia dalle secche". Insomma le condizioni perché accetti la sfida ora ci sono. "Il traghettatore del Pd, ossia Guglielmo Epifani, ci faccia sapere la data del congresso e delle primarie. Per statuto devono avvenire entro il 7 novembre. Non ci si candida per sapere qual è il responsabile organizzativo del territorio in Umbria, ma se si cattura una speranza e se si sfrutta il talento degli italiani. Su questo abbiamo molte proposte". Cioè? "Intanto faremo un'altra Leopolda il prossimo 27 ottobre. Perché' è fondamentale che si torni alle idee". Se lei organizza un'altra Leopolda è per sostenere la sua candidatura. "Le candidature verranno presentate prima. Ma è vero che io sono a un bivio: tra la voglia di ricandidarmi a Firenze dove credo di essere riuscito a imprimere un cambiamento nella città, ma che ha bisogno di altri 5 anni per consolidarsi; e la consapevolezza di rappresentare una speranza per molti. So che tanti amministratori, sindaci dirigenti pongono su di me questa speranza. Mi spingono a candidarmi. Allora io dico: voglio un Pd in cui vinca la leggerezza, che sia libero da certe burocrazie simil-ministeriali. Che invece di essere pesante, sia pensante". Ce l'ha con D'Alema? "No, stavolta no. Ce l'ho con chi privilegia il dibattito sugli organismi rispetto alle idee". È vero che le ha proposto di candidarsi alle europee? "Sì. D'Alema parte dal presupposto che non devo fare il segretario. Ma non devo fare neanche il sindaco. Devo fare tra qualche anno il candidato premier designato dal partito. Per questo immagina Strasburgo come luogo dove acquisire esperienza internazionale. Mi piace pensare che sia un ragionamento serio e non lo considero un trappolone. Semplicemente non sono d'accordo: non faccio questa battaglia per sistemarmi da qualche parte. Ma per affermare una diversa idea d'Italia". Il segretario deve o non deve essere anche il candidato premier? "Mi atterrò alle regole. Quando saranno chiare e soprattutto quando si conoscerà la data del congresso, allora parleremo di cosa fare. Il punto per ora è un altro". E qual è? "Io voglio un partito che non sia terra di conquista per correnti, ma che sappia conquistare i voti di chi non ci ha votato prima. Nel 2008 il Pd ha raccolto circa 12 milioni di voti, nel 2013 10 milioni. Anche alle amministrative abbiamo vinto perché il Pdl ha perso più voti di noi. Vogliamo recuperare un elemento di entusiasmo oppure no? E lo possiamo fare con una discussione su chi prenderà il posto di Stumpo? Ecco, io non voglio più parlare di queste cose". Quindi si candiderà a prescindere dalle regole? "Aspetto la data e di sapere se c'è una comunità di persone che crede che questo sia un progetto serio e non una fisima del sindaco di Firenze. Guardi, la mia immagine è quella del David. Può essere scontata ma quell'opera non è solo l'emblema della bellezza e della libertà civile. Michelangelo, quando gli chiesero come era riuscito a fare quella statua, rispose: basta togliere il marmo in eccesso. Ecco dobbiamo togliere quel che è in eccesso". Tipo? "La burocrazia, l'eccesso di potere dello Stato, il fisco, gli ostacoli che non aiutano i volontari del terzo settore. Un esempio: l'alimentare italiano ha una quota di export di 31 miliardi, ma ne importiamo per circa 35. Non siamo capaci di vendere ciò che abbiamo. Altro esempio: in questi giorni in tutti i comuni italiani sono arrivate camionate di moduli come il 730 per le dichiarazioni dei redditi. È normale che si vada avanti così e che non si possa risolvere tutto in un click? Il Pd parli di futuro, non di un'idea novecentesca dell'appartenenza". Ecco un'altra botta ai capicorrente. "L'ho detto e lo ripeto: se mi candido, lo faccio indipendentemente da loro. A me interessa il voto dei volontari delle feste dell'Unità e quello dei delusi di Grillo o della Lega, non delle correnti organizzate. Non vado dietro a patti tra maggiorenti. Questo Pd non esiste, resiste. Ai caminetti romani rispondo sempre con un "no grazie". Non farò scambi di poltrone". Se il nuovo segretario sarà anche il candidato premier, ci sarà una spinta a votare subito? "Il governo va tenuto fuori. Dobbiamo dare una mano a Letta per fare cose significative. Voglio aiutarlo anche sulla legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti". In che senso? "C'è un tentativo di modificare la sua proposta, che può non essere il massimo ma almeno è un punto di partenza. Bisogna bloccare quel tentativo. So che in Europa il finanziamento delle forze politiche esiste quasi ovunque, ma solo da noi è stato - per così dire - male utilizzato. I nostri stanno facendo un ottimo lavoro in Commissione per vigilare su questo tema. Questo sarà il primo passo per un partito che non concentri l'appartenenza solo sul tesseramento. Forse si può unire il social network al porta a porta. Serve qualcosa di nuovo". Si spieghi meglio. "L'adesione può assumere forme diverse. Nel 2013 serve un partito aperto. Basta con l'idea novecentesca dell'appartenenza. Dobbiamo renderlo moderno sapendo che non si discute solo nelle sezioni, che si fa politica anche in rete o nei luoghi del volontariato. A questo proposito c'è un documento di Goffredo Bettini molto interessante. Ci dovremmo spiegare perché in alcune zone d'Italia sono stati più i votanti alle primarie che alle elezioni". Secondo lei qual è il motivo? "Che il partito si è chiuso in un castello. Quando lo apri, arriva più gente. Per questo bisogna partire dai sindaci. Possono dare una mano. Il Pd così può essere il luogo delle nostre speranze e non delle singole ambizioni". Scusi, torno alla domanda precedente. Molti credono che il nuovo segretario rischia di spingere il governo verso la crisi. "E allora che facciamo? Non eleggiamo il segretario così Franceschini è più tranquillo? Ci facciamo dare la linea da Brunetta e Schifani così non litighiamo? Al contrario io credo che Letta abbia bisogno di un Pd forte. Il governo ha tutto da guadagnare, se fa le cose. Letta ha chiarissimo che serve un Pd forte. Esiste un mondo ex democristiano preoccupato in primo luogo di rinviare. Senza polemica nei confronti della fu Balena Bianca, ma il governo deve decidere se il suo obiettivo è solo durare. Io tifo per questo governo. Ma un conto è se punta a durare "andreottianamente" e un altro se scommette sulle idee "andreattianamente". Non cambia solo una vocale, ma il modo di guardare al futuro. Ed Enrico sa bene la differenza tra Andreotti e Andreatta". Ma l'Imu, ad esempio, lei l'abolirebbe? "Questa discussione è la dimostrazione che in Italia si guarda il dito e non la luna. La presa di posizione di Berlusconi è legittima anche se troppi dimenticano che con i suoi governi la pressione fiscale è salita. Se il patto è toglierla, togliamola. Ma ci deve essere un disegno, altrimenti si trasforma in un assalto alla diligenza. Possiamo finalmente semplificare il fisco in Italia? Ridurre il peso dello Stato? Rendere più semplice il rapporto tra Agenzie delle Entrate e piccole imprese?". Alle ultime primarie l'allora segretario Bersani indicò Papa Giovanni XXIII nel suo pantheon ideale. Lei metterebbe Papa Francesco? "Bergoglio sta sorprendendo tutti e ne sono felice. Da cattolico sono anche contento che si torni a prestare attenzione al messaggio evangelico di Gesù. Spero che tra gli effetti di questo papato ci sia un aiuto alla Cei ad essere più coraggiosa nella formazione politica e più distante dagli scontri tra i partiti". da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/09/news/renzi_tutti_mi_chiedono_di_candidarmi_cos_cambier_il_pd-62648241/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-07-2013 Titolo: CLAUDIO TITO. Il disegno delle "colombe" per deberlusconizzare il Pdl Inserito da: Admin - Agosto 09, 2013, 04:47:16 pm Il "Piano B" di Epifani e Letta "Se insistono sul salvacondotto si può anche votare a novembre"
Il disegno delle "colombe" per deberlusconizzare il Pdl di CLAUDIO TITO "Cosa significa non farsi logorare? Rassegnare le dimissioni e non farsi licenziare. Se Berlusconi insiste, non perdere la faccia davanti agli elettori". In questi giorni Enrico Letta ha condensato in queste parole la sua linea. Con il gruppo dirigente del Pd è stato piuttosto esplicito. Una sintesi che rende bene il senso della "tregua armata" tra democratici e Pdl. Ma che rischia di saltare già nelle prossimesettimane. A settembre. Quando lo scontro sul "salvacondotto" per Silvio Berlusconi si infiammerà di nuovo. E quando il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, metterà sul tavolo di Palazzo Chigi il patto che in queste ore ha solo preannunciato al presidente del consiglio: "Se il Pdl perde la testa, noi dobbiamo precederlo. Non possiamo commettere lo stesso errore di novembre scorso quando ci hanno lasciato da soli a sostenere Monti. Devi essere tu a staccare la spina". Ma quella dell'ex leader Cgil non è solo una constatazione, è anche un'offerta. Che prevede le elezioni in autunno. Perché la ricerca di una "via d'uscita" per l'inquilino di Palazzo Grazioli diventerà sempre più l'unica questione che conta e che determinerà l'"agibilità politica" dell'esecutivo. E proprio per questo si staaprendo dentro il Pdl un confronto del tutto nuovo. Che non riguarda esclusivamente le esigenze personali di Berlusconi, ma la natura e la vita stessa del partito. Con un interrogativo fondamentale: quelli che vengono definiti "colombe" riusciranno a separare il destino del partito da quello del Cavaliere? "Dobbiamo capire - spiega un ministro del Popolo delle libertà - se sarà possibile immaginare un centrodestra senza Berlusconi ". Una risposta positiva può salvare il governo, una negativa lo affonderà. La "guerra" intestina sul fronte berlusconiano, però, è tutt'altro che scontata. Per questo il presidente del consiglio ha concordato con il segretario del suo partito una sorta di "Piano B". Una via d'uscita da imboccare rapidamente se le richieste del Cavaliere e del Pdl dovessero, appunto, superare il limite dell'"onore democratico". Provocando lo sdegno del "popolo della sinistra". L'altro ieri sera, allora, il capo del governo ha riunito i suoi fedelissimi a Palazzo Chigi per preparare la direzione di oggi e per spiegare cosa potrà accadere alla fine dell'estate. "Se Berlusconi esagera, io non potrò che dimettermi", ha ripetuto. Ma il patto con Epifani va oltre questa considerazione. Se il centrodestra insisterà nel reclamare l'"agibilità politica" del suo leader, allora Letta non aspetterà di farsi travolgere dal ciclone delle prevedibili polemiche. Entro settembre cercherà di prendere tutti in contropiede staccando lui - senza caricare il Pd di questa responsabilità - la spina al governo. Rivendicando dunque la scelta dinanzi ai militanti ed evitando il ripetersi dell'"effetto Monti": consentire cioè al Cavaliere di prendere le distanze dall'esecutivo e assumersi il meritodi aver messo la parola fine alle larghe intese. A quel punto per il centrosinistra si aprirebbe un'ultima finestra elettorale: quella di metà novembre. Ma l'effetto, in questo caso, sarebbe doppio: sulla legislatura e sul congresso del Partito Democratico. L'asse Letta-Epifani-Franceschini chiederebbe infatti di accelerare solo sulle primarie per la premiership non potendo svolgere in tempi altrettanto brevi tutte le procedure congressuali: le assise slitterebbero insomma, e lo stesso presidente del consiglio potrebbe sfidare Matteo Renzi nella corsa alla candidatura per Palazzo Chigi. Nello stesso tempo verrebbe separato il destino della premiership da quello della segreteria. Esattamente la soluzione che non vorrebbe il sindaco di Firenze il quale da giorni ripete: "Chi vince prende tutto. Presidenza del consiglio e partito". Ma è esattamente l'ipotesi su cui da tempo il gruppo"bersanian-epifaniano" sta lavorando per mantenere il controllo della "ditta". Non solo. Il Pd sa che dovrà fare i conti con la riforma elettorale e la sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum prevista a dicembre. Nello showdown prima del voto, proverà a compiere un estremo tentativo con il M5S di cambiare la legge elettorale. Un tentativo, però, chemolti già danno per disperato visti i continui ondeggiamenti di Grillo e le reiterate posizioni dei grillini a favore del sistema proporzionale. La linea democratica invece sarà quelladi rilanciare il ritorno al sistema maggioritario del Mattarellum. Lo stato maggiore di Largo del Nazareno sta dunque già facendo i conti anche con la contrarietà del Quirinale alle elezioni anticipate. Il tentativo di accelerare sul riforma del Porcellum è una delle prime mosse. Per le prossime ore i capigruppo democratici si aspettano di essere convocati sul Colle per un incontro. Dai contatti informali, gli stessi vertici del Pd hanno ricevuto assicurazioni sulla linea di Napolitano rispetto al "salvacondotto" berlusconiano. Una linea che esclude la presidenza della Repubblica da qualsiasi intervento. Esattamente quello che il Partito Democratico si aspettava. E che conferma il rischio concreto di un nuovo scontro a settembre. Ma, appunto, questo è il "Piano B". Perché esiste un'ipotesi principale. Quella che vede il capo del centrodestra rassegnato alla pena detentiva e alla decadenza da senatore. Una prospettiva che sta provocando un vero e proprio sconquasso a Via dell'Umiltà. Il Pdl sta vivendo la sua più decisiva battaglia. I "falchi" come la Santanché e Verdini puntano a una nuova Forza Italia ancora "berlusconizzata". Sperano di rilanciare Silvio, o in alternativa - se sarà incandidabile - di sostituirlo con Marina. E per questo hanno bisogno di stringere i tempi, conservare lostatus quo e tornare alle urne entro la prossima primavera. Le "colombe", come Quagliariello o Lupi, al contrario scommettono sui tempi lunghi. Sul governo Letta che vada avanti almeno fino al 2015 per organizzare il nuovo campo dei moderati. Vogliono un centrodestra "deberlusconizzato" e che coinvolga altri soggetti "centristi" come la Scelta civica di Monti, l'Udc di Casini e persino l'ItaliaFutura di Montezemolo che solo sabato scorso ha detto: bisogna "lavorare alla rifondazione di un'area liberale e moderna di centro destra". Ma se le "colombe" avessero la meglio, il traguardo del 2015 diventerebbe probabilmente solo un primo step. Basti pensare a quel che è successo - prima che la Cassazione emettesse la sentenza su Berlusconi - nell'ultima riunione dei capigruppo della maggioranza con il premier. "Caro Enrico - ha detto Renato Brunetta - tu ci hai detto cosa vuoi fare fino al 2014. Ma sarebbe bene che ci dicessi cosa vuoi fare anche dal 2015 in poi". (08 agosto 2013) © Riproduzione riservata da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2013/08/08/news/il_piano_b_di_epifani_e_letta_se_insistono_sul_salvacondotto_si_pu_anche_votare_a_novembre-64459554/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Via il Senato e doppio turno alle elezioni come in Francia:... Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2013, 03:59:44 pm Via il Senato e doppio turno alle elezioni come in Francia: ecco il patto tra Letta e Renzi
Anche Alfano pronto all'intesa per svincolarsi da Berlusconi. Ieri una lunga telefonata tra il premier e il sindaco, sì ad un accordo di programma. Sarà abbandonata la Bicamerale dei 40. La giustizia esce dal pacchetto della nuova alleanza di CLAUDIO TITO UN PIANO in tre mosse per costruire l'architrave della nuova maggioranza che sostiene l'esecutivo Letta. Una svolta che contiene una potenziale rivoluzione per il nostro sistema politico e istituzionale. Si tratta di un accordo che non prevede solo un asse tra il futuro segretario del Pd, Matteo Renzi, e il presidente del Consiglio. Ma si tratta di una piattaforma che coinvolgerà sia il leader dell'Ncd, Angelino Alfano, sia il capo di Scelta Civica, Mario Monti. La trattativa si trova già in una fase piuttosto avanzata e consumerà una prima tappa mercoledì prossimo, in occasione del discorso che il premier terrà in Parlamento per riconquistare la fiducia e ridisegnare il campo programmatico della coalizione dopo l'uscita di Silvio Berlusconi. C'è un episodio che ha aperto la prima breccia ad un'intesa che molti definiscono "straordinaria". Ieri mattina, infatti, Letta e il sindaco di Firenze sono tornati a parlarsi dopo lo scontro degli ultimi giorni. Una telefonata lunghissima: per chiarirsi e per fissare i primi punti del "nuovo programma". Ma si è trattato anche di un colloquio in cui i due "ex duellanti" hanno convenuto sulla necessità di aprire uno squarcio nella paralisi che ha segnato il percorso delle riforme. "Dobbiamo fare un salto in avanti - è stato il ragionamento di Renzi - dobbiamo essere in grado di dare un senso concreto a questo anno di legislatura. Altrimenti a maggio, alle europee, siamo finiti". "Mercoledì in aula - ha spiegato il premier - io farò un primo passaggio sui punti che concordiamo io e te". Il resto, verrà definito entro un mese. Per fare una sorta di "accordo alla tedesca", ossia l'intesa programmatica siglata a Berlino tra la Merkel e i socialisti dell'Spd per la nascita della Grosse Koalition. Ma se sull'introduzione del monocameralismo - la sostanziale abolizione del Senato - le convergenze erano appurate da tempo, la svolta sul doppio turno di collegio alla francese è una assoluta novità. Non tanto per il Pd che ne ha fatto negli ultimi anni una bandiera, ma per il gruppo alfaniano. Già lunedì scorso proprio il vicepresidente del consiglio aveva lanciato un primo segnale: "Siamo per i collegi o per le preferenze. Il nostro obiettivo è superare il Porcellum. Non va bene qualsiasi sistema che non metta al sicuro il bipolarismo". Una pietra tombale dunque sul ritorno ad una legge proporzionale. Ma c'è di più. Gli esponenti del Nuovo centrodestra hanno cominciato a prendere in considerazione sempre più seriamente proprio il modello francese. Lo sta facendo in modo particolare il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello. A porre la questione negli ultimi giorni, però, è stato Dario Franceschini, titolare dei Rapporti con il Parlamento ed esperto di sistemi elettorali. "Non capite - ha chiesto con tono esortativo - che il doppio turno di collegio rappresenta il sistema che da a voi più centralità?". In sostanza, con i due turni ogni partito può presentarsi alle elezioni senza dover dichiarare preventivamente le alleanze. Per l'Ncd è l'occasione per liberarsi dall'abbraccio mortale di Forza Italia e di Silvio Berlusconi. "Il Mattarellum - ammette infatti Maurizio Sacconi, capogruppo alfaniano al Senato - ci farebbe tornare alle coalizioni imposte". E non è un caso che proprio il Cavaliere ieri sera ha annunciato: "Con il Mattarellum noi andiamo da soli". Un modo per dire che gli "scissionisti" o stanno con lui o niente. Ma anche Anna Finocchiaro, presidente pd della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, fa un una riflessione analoga: "Dobbiamo aiutare Alfano a rosicchiare voti a Berlusconi. Con il Mattarellum lo ributtiamo tra le sue braccia". Con il doppio turno francese, invece, accade esattamente il contrario. L'Ncd può far valere la sua autonomia e poi scegliere al ballottaggio. In modo particolare se si introduce una piccola correzione rispetto alla legge francese: accedono al ballottaggio solo i primi due. Esattamente come avviene in Italia per i sindaci. Tra i ministri del Nuovo centrodestra, allora, questa sta diventando qualcosa di più di una semplice opzione. Basti pensare a quel che ha detto Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture, a un noto esponente renziano: "Potete chiederci tutto, ma dateci un anno di tempo". E già, perché il 2014 per loro deve essere il periodo della decantazione e della strutturazione sul territorio. Per poi tornare al voto, anche con il doppio turno. Per il futuro segretario democratico, invece, si tratterebbe del modo migliore per connotare il prossimo anno come il vero cambio di passo. E per Letta si aprirebbe una strada più agevole per non fare precipitare tutto prima del semestre di presidenza Ue che prende il via il primo luglio 2014. In questo modo tirerebbe un sospiro di sollevo pure il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che da tempo si appella alle forze politiche per superare l'odioso Porcellum. E apprezzerebbe un'intesa anche in questi giorni, in cui la Corte costituzionale esamina il ricorso contro la legge ideata da Roberto Calderoli. Renzi dunque si sta già giocando le sue carte. Quasi per piantare subito un paletto, potrebbe presentare - attraverso un suo deputato - un disegno di legge ad hoc sulla riforma elettorale che contenga in nuce l'accordo che si sta profilando. Il mosaico, però, prevede anche un altro tassello: verrà di fatto abbandonata la Bicamerale dei 40. Il disegno di legge per l'istituzione della Commissione aveva già ottenuto il via libera in prima lettura. Ma quel testo sarà abbandonato su un binario morto per utilizzare solo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione nella sua versione originale. E con ogni probabilità sarà eliminata dal patto "trilaterale" anche la riforma della giustizia. Troppe cose in un solo anno. Soprattutto sarebbe troppo divisivo un intervento consistente sull'ordinamento giudiziario. "Temo - ha ammesso Alfano nei giorni scorsi - che per la separazione delle carriere dovremo aspettare di vincere le elezioni". Insomma il piano in tre mosse di Renzi e Letta sarà messo alla prova mercoledì prossimo e poi a gennaio. E se l'intesa reggerà all'urto della novità, allora nel 2014 partirà il treno delle riforme e probabilmente il governo assumerà anche la struttura e le sembianze della nuova maggioranza. http://www.repubblica.it/politica/2013/12/04/news/via_il_senato_e_doppio_turno_come_in_francia_ecco_il_patto_tra_il_premier_e_renzi-72639745/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_04-12-2013 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi, batteremo la nuova destra: "Non ho bisogno di Casini. Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2014, 04:27:02 pm Renzi, batteremo la nuova destra: "Non ho bisogno di Casini. Contro Berlusconi servono le idee. Io premier ora? Mi occupo di altro"
Governo fino al 2018 se fa riforme. Italicum non si tocca di CLAUDIO TITO Renzi, batteremo la nuova destra: "Non ho bisogno di Casini. Contro Berlusconi servono le idee. Io premier ora? Mi occupo di altro" IL CENTROSINISTRA può vincere anche senza i centristi di Casini. La legge elettorale si può modificare solo con l’accordo di tutti. Il rimpasto lo deve decidere Letta e la legislatura può andare avanti se si fanno le riforme. Grillo si sta sgonfiando come un palloncino ma gli atti di questi giorni sono squallidi e squadristi. Il segretario del Pd Matteo Renzi rilancia. È sicuro che la strada imboccata può portare a disegnare un nuovo assetto istituzionale e politico. Confermando il bipolarismo e restituendo al fronte progressista la chance di guidare il paese "senza larghe intese". "Se vogliamo il bipolarismo - avverte -, non mi stupisce che Casini stia di là. Anzi io assegno all'Italicum la forza di aver salvato questo principio. E ha messo a tacere i cantori della Prima Repubblica". Ma non teme che Berlusconi si rafforzi? Mette insieme tutti i centristi, riunisce un bel po' di listine e batte di nuovo il centrosinistra. "Ma la nostra vittoria non dipende dal sistema di voto. Sarebbe il fallimento della politica se affidassimo il nostro successo alla legge elettorale e non alla qualità delle proposte e delle leadership. Vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura". Lei quando si tornerà alle urne si presenterà da solo o con un'alleanza? "È chiaro, con un'alleanza. Ma adesso siamo un passo indietro. C'è un accordo siglato da forze politiche diverse. Non accadeva dal 1993, ossia dalla fine della Prima Repubblica. Da quel momento le riforme le hanno fatte tutti a maggioranza. Riguarda anche il Senato e il Titolo V. Il dibattito non può essere allora come ci si presenterà alle elezioni. Anche se è evidente che faremo un'alleanza con forze di centro e di sinistra. Il punto però è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti". Va bene. Ma prendiamo Sinistra e Libertà di Vendola. Perché dovrebbe allearsi con lei se sa di non arrivare al 4%? "Dovranno fare uno sforzo per superare lo sbarramento. Sarebbe strano non muoversi in questa direzione. Di certo non è accettabile che chi prende una percentuale minimale poi faccia il bello e il cattivo tempo. Ricorda il 2006 e l'agonia del governo Prodi causato proprio dai partitini?". Nel 2008 invece Veltroni ottenne un buon risultato di partito ma perse le elezioni inseguendo la vocazione maggioritaria. "Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Casini, allora "Houston abbiamo un problema". Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società. Non basta più essere contro Berlusconi. Dobbiamo salvare l'Italia e cambiarla a 360 gradi. E allora discutiamo se si fanno investimenti per la scuola e per la pubblica amministrazione. Parliamo della società, dei meriti e dell'uguaglianza". Questo sembra uno slogan usato negli anni '80 da Claudio Martelli. "Ma a un giovane che non sa chi sia Martelli, gli devi dire se vanno avanti i figli di papà o chi ha merito. Se non lo fai, allora è conservazione". È un modo per rispondere anche a Grillo? "Per la prima volta rincorre, è in difficoltà. Se la politica fa le cose che promette, lui si sgonfia come un palloncino". Ora però c'è qualcosa di più, gli insulti, i libri bruciati, l'assalto alle istituzioni, la violenza. Non vede una strategia del caos, un disegno eversivo? "Sono tutti atti tecnicamente squadristi. Alcuni di loro sono dei bravi ragazzi, ma quando scendono Grillo e Casaleggio la linea è chiara. Sperare nel fallimento e aizzare il caos. Adesso i teorici dello streaming e della trasparenza si sono ridotti a chiedere il voto segreto come un partitino da prima Repubblica. Dovevano rendere il palazzo una casa di vetro, ma scommettono sui franchi tiratori". Nella prima Repubblica il presidente della Camera non avrebbe mai ricevuto quegli insulti. "Che sono squallidi. Del resto quando il pregiudicato Grillo ha l'insensibilità di dire cosa fareste in macchina con la Boldrini... Detto questo il questore Dambruoso dovrebbe dimettersi, perché non bastano le scuse dopo quello che abbiamo visto. La presidente della Camera avrebbe potuto gestire meglio l'ultima settimana anche nelle calendarizzazioni. Ma questo non può giustificare la volgarità e lo squallore dei grillini". Lei considera il bipolarismo un elemento fondamentale. Quindi la riforma elettorale non si tocca? "Nessun sistema elettorale è perfetto e le correzioni sono sempre possibili. È fondamentale però salvaguardare il bipolarismo, appunto, e il ballottaggio. Ma nessuno può pensare di imporre le proprie modifiche agli altri. Si cambia solo se si è tutti d'accordo". Eppure una parte del Pd vuole intervenire sul testo anche senza l'accordo di Forza Italia. "Condivido nel merito alcune preoccupazioni della minoranza. Ma non posso non riconoscere che Fi ha fatto un passo avanti grandissimo accettando il ballottaggio. Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Berlusconi per adesso ha mantenuto gli impegni e non sarà certo il Pd a venire meno alla parola data, visto che la nostra direzione si è espressa. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori". Magari i forzisti non ne sono così sicuri. "Non si preoccupino della nostra compattezza. Il 92% del gruppo democratico era in aula al momento del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Quelli di NCD il 68%, quelli di scelta civica il 57%. I deputati Forza Italia erano il 77%. Semmai mi preoccupa la loro compattezza". In che senso? "La Lega non ha partecipato al voto e Salvini continua a dire che non è interessato alla norma di salvaguardia regionale. Come pensano sia possibile che votiamo quell'emendamento se provoca tanto disgusto nel segretario leghista? Non sia mai che offendiamo la sua spiccata sensibilità". Lei dice che va salvata l'Italia. Ma ci dovrebbe pensare anche il governo. "Tocca al presidente del consiglio decidere cosa fare. Se pensa che questo governo vada bene, ok. Se pensa che non vada, dica cosa vuol cambiare e quali ministri vuole sostituire. Ma non si usi l'alibi del Pd per evocare un rimpasto o per mettere dei renziani. Questo schema mi inorridisce. Io sono il segretario del Pd e non dei renziani. Non voglio partecipare a vecchie liturgie da Prima Repubblica. Faccia lui. Non sarò mai un "vetero-cencelliano"". Nel senso del manuale Cencelli? "L'altro giorno nella mia stanza è venuto il capogruppo di Italia Popolare, una persona perbene come Dellai. Con lui si è presentato un deputato del suo schieramento e mi ha detto: "Se volete il nostro accordo, a noi cosa date?". Gli ho chiesto di uscire dalla stanza. Siamo al governo del Paese, non al mercato del bestiame. Io mi occupo di cose concrete, dei cantieri da aprire in mille scuole, della riforma di una pubblica amministrazione barocca, della necessità di non doversi rivolgere a un capo di gabinetto per sbloccare una pratica, degli investimenti stranieri su cui tutti devono riflettere". Perché? "In un anno il loro valore è dimezzato. Un Paese che non attrae è un Paese spacciato. Dobbiamo recuperare appeal. Farli venire e farli restare in Italia". Proprio oggi Letta parla di una ripresa già avviata. "Non ho letto le dichiarazioni del presidente del consiglio. Ci sono segnali di ripresa a livello internazionale, il Pil negli altri paesi cresce. È interessante per l'Italia non sprecare l'inizio di questa ripresa. Ma non c'è ripresa senza occupazione. C'è ancora molta strada da fare". E Letta fino a quando andrà avanti? "Basta con il quanto dura! E un governo, non un iphone. Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri". Si arriva al 2018 anche se si fa un nuovo esecutivo e lei va a palazzo Chigi. "Il problema non è il nome del premier, che per quel che mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro". © Riproduzione riservata 03 febbraio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/03/news/renzi_batteremo_la_nuova_destra_non_ho_bisogno_di_casini_contro_berlusconi_servono_le_idee_io_premier_ora_mi_occupo_di_a-77561690/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_03-02-2014 Titolo: CLAUDIO TITO. Il fronte trasversale a favore di Matteo: "Se Enrico non cambia... Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2014, 04:35:02 pm Il fronte trasversale a favore di Matteo: "Se Enrico non cambia passo tocca a te"
Il no del segretario: "Vada avanti lui". L'ipotesi del voto di CLAUDIO TITO Il fronte trasversale a favore di Matteo: "Se Enrico non cambia passo tocca a te"Il sindaco di Firenze Matteo Renzi Il bivio ormai è lì davanti. Prenderà una forma visibile a tutti tra una decina di giorni. Subito dopo che la Camera avrà approvato la legge elettorale. Una biforcazione che segnerà il destino di questa legislatura. E che determinerà una vera e propria svolta. Per il governo e per il Pd. Si capirà se Enrico Letta potrà andare avanti o meno. Soprattutto si saprà se l'alternativa all'attuale presidente del consiglio saranno le elezioni anticipate o la formazione di un nuovo esecutivo. Guidato da Matteo Renzi. "Non esiste, deve andare avanti Enrico", si schermisce il sindaco di Firenze. Eppure nella maggioranza e tra i leader della futura coalizione di centrosinistra il tam tam è già partito. Negli incontri riservati un po' tutti danno per scontata l'opzione del leader democratico. Anche se tutti sanno che l'operazione è contaminata da un livello di rischio molto alto. Il precedente del 1998, quello di Massimo D'Alema aleggia come un fantasma. Ne sono consapevoli Renzi e tutti gli interlocutori che negli ultimi giorni gli hanno ripetutamente chiesto di fare un passo avanti. Il loro ragionamento è questo: se Letta non fosse in grado di compiere l’auspicato cambio di passo, sarebbe indispensabile correre ai ripari. Il rischio è che la legislatura vada avanti senza un vero segno di cambiamento. E che si arrivi al 2015 con un centrosinistra consumato e con una leadership logorata. Sia dentro il Partito Democratico sia tra gli alleati, si mettono in evidenza i richiami dell’Unione europea ad accelerare sulle riforme, a porre l’attenzione sul riassetto della Pubblica amministrazione e sulla riduzione dei tempi della giustizia. Questioni che marcherebbero un’inversione di tendenza. Anche a Palazzo Chigi, poi, sono rimasti colpiti dagli attacchi sistematici mossi dalla Confindustria. L’associazione di Viale dell’Astronomia ormai quasi quotidianamente spara bordate contro il governo. Un clima che agita i sonni del presidente del consiglio. Senza contare che il prossimo 18 febbraio si terrà pure la manifestazione nazionale di ReteItalia (l’organizzazione che riunisce tutte le associazioni di imprenditori dalla Confindustria alla Confcommercio). L’allarme, però, coinvolge tutte le forze che sostengono l’esecutivo. «Dovete anche capire - sono ad esempio le parole del leader Ncd, Angelino Alfano, ai suoi alleati - che voi così mi rispingete tra le braccia del Cavaliere ». Il vicepresidente del consiglio chiede ancora tempo. L’idea di varare la legge elettorale e poi sostanzialmente andare alle urne non lo convince. Quindi - è la sua valutazione - per dare sostegno alla legislatura «serve un impegno del segretario del Pd». Eccola dunque la “staffetta”. I “montiani” di Scelta civica sono da tempo convinti che sia quella la carta da giocare. E nonostante le scaramucce di questi giorni anche il capo di Sel, Nichi Vendola, ha ammesso che «questa può essere una possibilità». Persino il “nemico” del Sindaco e capo della minoranza pd, Gianni Cuperlo, è ormai orientato in questa direzione. Per un motivo molto semplice: gli ex dalemiani pensano di riprendersi così il partito. La road map immaginata in queste ore è quindi questa: verificare domani nella riunione della direzione democratica se il premier è in grado di organizzare un «rilancio». Aspettare il voto sulla riforma elettorale e subito dopo stabilire, davanti al bivio, quale strada imboccare. È chiaro che tutti considerano fondamentale il via libera all’Italicum. Qualsiasi mossa ha infatti un solo paracadute: la possibilità di tornare in ogni momento al voto con la riforma già varata. Anzi, proprio l’Italicum sarebbe la giustificazione per un nuovo governo che si configurerebbe come “costituente”: uno strumento per accompagnare le riforme. Certo, tra due settimane mancherebbe ancora il sì del Senato alla legge elettorale ma a quel punto nessuno - nemmeno Silvio Berlusconi - sarebbe interessato a far saltare un sistema che garantisce il bipolarismo e quindi la centralità di Forza Italia. Non solo. A breve proprio il segretario pd dovrebbe schierarsi a favore di una modifica alla riforma che introduca, insieme alla norma “salva-Lega” anche una “salva-Sel”, che prevede il recupero del “miglior perdente” all’interno di una coalizione, ossia il primo partito che non supera lo sbarramento al 4,5% (e che probabilmente verrà abbassato al 4). Questo emendamento sarebbe una sorta di wild card a disposizione di Vendola per ricomporre il dissidio con i democratici e, nel caso, per rientrare nella maggioranza appoggiando un eventuale gabinetto Renzi. Si tratterebbe di una decina di voti in più al Senato in grado di irrobustire la maggioranza. Una pattuglia che per molti potrebbe ulteriormente infoltirsi con l’approdo di quei grillini dissidenti pronti a manifestarsi in occasione del voto sulla riforma elettorale. Eppure, in tutti i colloqui si valutano anche i tanti ”contro” che sconsigliano la “staffetta”. In primo luogo è proprio Renzi a non volerne sapere. «Per me non esiste. Deve andare avanti Letta - ripete ad ogni piè sospinto - Deve essere lui a cambiare passo. Io resisto. E rimango dove sto». Il secondo ostacolo riguarda il Quirinale. Un nuovo governo deve superare il check in del Colle. E fino ad ora Napolitano non ha mai nascosto la sua preferenza a favore della continuità lettiana. Le controindicazioni, però, non sono solo queste. L’”effetto-D’Alema” potrebbe avvolgere l’intero disegno. Arrivare a Palazzo Chigi dalla porta di servizio e dopo aver fatto traslocare un esponente del proprio partito, può trasformarsi in un colpo letale. Bruciando l’ennesima leadership del centrosinistra. Senza contare che nessuno è in grado di prevedere la reazione di Silvio Berlusconi. «È chiaro - ragionava proprio nel week end il Cavaliere - che se nasce il governo Renzi, noi chiederemo di entrare». Un’ipotesi che fa letteralmente inorridire il sindaco. Il capo di Forza Italia però se fosse respinto, avrebbe le mani libere per far saltare il patto per abolire il Senato e rivedere il Titolo V della costituzione. In quel caso lo show down non farebbe altro che portare al voto anticipato. Un azzardo se non si modifica il ruolo del Senato. Anche con l’Italicum, infatti, restano altissime le probabilità di dover fare i conti con aula di Palazzo Madama di nuovo ingestibile ed esposta alla rinascita delle larghe intese. Sta di fatto che il bivio resta. Domani il premier proverà a sfidare Renzi chiedendo in direzione subito l’impegno a formare un nuovo governo. Se Letta non convince il suo partito, dinanzi a Largo del Nazareno e a Piazza del Quirinale si ripresenterà la medesima biforcazione: voto o incarico a Renzi. E come dice il prodiano Sandro Gozi, ex funzionario della Commissione europea, «nulla impedisce di aprire le urne durante il semestre di presidenza dell’Ue. Da quando c’è il presidente permanente del Consiglio europeo, quello di turno è una sorta di assistente. E comunque è accaduto anche nel 1996». Quando nella corsa a Palazzo Chigi vinse Romano Prodi. © Riproduzione riservata 05 febbraio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/05/news/il_fronte_trasversale_a_favore_di_matteo_se_enrico_non_cambia_passo_tocca_a_te-77728559/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi: Ora aiuti alle famiglie e lotta alla burocrazia. Inserito da: Admin - Aprile 21, 2014, 11:25:23 pm Renzi: Ora aiuti alle famiglie e lotta alla burocrazia. "Via subito il segreto sulle stragi. Al voto nel 2018"
Intervista al presidenza del Consiglio. "Per fare tutto questo serve tempo, ma scommetto che questa legislatura durerà fino al 2018. E lo sa anche Berlusconi, anche se in pubblico dice altro" di CLAUDIO TITO 20 aprile 2014 IO VOGLIO RIDARE fiducia all’ Italia. Voglio che a Bruxelles e nelle altri capitali dell’Unione si dica: "Ecco, finalmente l’Italia è tornata in Europa". Matteo Renzi traccia un bilancio di questi primi 58 giorni di governo. E rilancia. Mette nero su bianco la road map del suo esecutivo nei prossimi sei mesi. Da un nuovo intervento sulle tasse con il "quoziente familiare" da inserire nella delega fiscale alla riforma della giustizia, civile e penale. Mai più leggi ad personam. Ma anche interventi sui Tar perché "il loro sistema non funziona". Dalle misure per la pubblica amministrazione con "l'identità digitale" che consentirà a tutti il disbrigo delle pratiche burocratiche da casa all'introduzione del principio della "total disclosure": la desecretazione dei documenti di alcune delle vicende più drammatiche della storia d'Italia come le stragi di Piazza Fontana, dell'Italicum e di Bologna. La base restano le modifiche alla Costituzione e la legge elettorale, per le quali il premier vuole rispettare i tempi fissati. Perché "vorrei un Paese moderno". Per questo "serve una rivoluzione" e soprattutto tempo: "Al voto ci torneremo nel 2018. Anche Berlusconi lo sa". Intanto in molti sospettano che ci siano problemi di copertura al decreto Irpef approvato venerdì scorso. "E' un falso problema. Siamo stati molto rigorosi. Merito di Padoan e Delrio aver seguito una linea prudenziale. Abbiamo abbassato la stima di crescita del Pil dall'1,1 del precedente governo allo 08, %. Se non lo avessimo fatto avremmo avuto 5 miliardi in più". Eppure il nodo delle voci una tantum resta. "Ci sono misure una tantum ma sono indicate anche quelle strutturali. Dopo accese discussioni sull'Iva e sull'evasione abbiamo sottostimato gli introiti ragionando in modo scrupoloso". Beppe Grillo ha messo nel suo mirino lei e proprio il provvedimento di venerdì. "E' divertente come un tempo. Fino a una settimana fa mi accusava di essere il governo della banche e oggi le sue dichiarazioni sono andate a braccetto con quelle dell'Abi. Fino a una settimana fa mi accusava di aver fatto inciuci con Berlusconi e oggi ripete le cose che dice Forza Italia. Lui urla, noi ragioniamo. Lui punta sulla rabbia, noi sulla speranza". Le banche in effetti non hanno preso bene il decreto. "Pagano le stesse tasse di tutti gli altri italiani, il 26%. Chiediamo solo di pagare le tasse come tutti. Nessuna crociata demagogica: io so che la banche sono importanti. Ma le regole valgono per tutti: non c'è qualcuno più uguale degli altri. Noi andiamo avanti ma per rendere tutto attuabile abbiamo bisogno di una condizione preliminare". Ossia? "Mantenere credibilità sui mercati. Sarà possibile se resta alta l'attenzione sulle riforme. Su tutte le riforme. Se ci riusciamo, allora, presto potremo allargare il taglio delle tasse agli incapienti, alle partita Iva e ai pensionati ad esempio. Ma per il momento faccio notare a chi mi accusava di fare solo televendite che abbiamo mantenuto le promesse. Come diceva Franco Califano, tutto il resto è noia". Abbassare le tasse ulteriormente? Come? Già con la prossima delega fiscale? "Piano piano sarà tutto più chiaro. Abbiamo messo la cornice del puzzle, per i tasselli abbiamo bisogno di qualche settimana. Ma la rivoluzione è appena iniziata, gli 80 euro (e l'Irap) sono l'antipasto. E mi fa ridere chi mi accusa di aver approvato quest'ultimo decreto per motivi elettorali. I soldi nelle buste paga degli italiani, arrivano dopo le elezioni, non prima. In ogni caso, la delega serve per cambiare il nostro Fisco ma - so che qualcuno si stupirà - la priorità non è il semplice abbassamento delle imposte. E lo dice uno che ha sempre tagliato le tasse, in Provincia con l'Ipt, in Comune con l'addizionale Irpef più bassa d'Italia e ora al governo con il bonus. No, la priorità è fare le cose semplici: dare certezze di tempi e procedure. La priorità fiscale è semplificare il sistema". Scusi, ma questi sono slogan. "Altro che slogan. Manderemo a casa di 32 milioni di italiani un modulo precompilato e con un clic faranno la dichiarazione dei redditi. Non è pensabile che per pagare le tasse ci voglia un esperto". Quindi non una revisione delle aliquote? "Non credo. Però, già nella delega, vorrei provare ad entrare in una nuova logica. Negli 80 euro che noi daremo da maggio, c'è un elemento di debolezza. Ottanta euro dati ad un single hanno un impatto diverso rispetto ad un padre di famiglia monoreddito con 4 figli. Dobbiamo porci questo problema". Parla del quoziente familiare? "Qualcosa del genere. Ne discuteremo con gli esperti e con la maggioranza. Ma l'Italia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli". Per qualcuno è una battaglia di destra. "È un ritornello cui ormai sono abituato. Ma non sono d'accordo. È di destra dare più soldi a chi ha meno? Nessun rinnovo contrattuale sindacale ha mai dato ai lavoratori quello che abbiamo dato noi con il decreto Irpef. È di destra lavorare per la parità di genere? È di destra innovare la Pubblica amministrazione? È di destra stanziare 3,5 miliardi per la scuola e approvare le risorse per gli alluvionati? E se ero di sinistra che dovevo fare? L'esproprio proletario? La verità è che l'impronta del Pd in questa manovra è evidente. Compreso l'elemento etico di porre un tetto agli stipendi. L'equità sociale non si fa con i convegni, ma con le scelte di governo". Anche la lotta all'evasione fiscale, però, presenta un carattere etico. "Si ma non la si combatte con nuove norme. Serve la volontà politica. Ci si riesce se c'è la voglia di incrociare i dati, perseguire i colpevoli. Altrimenti si cade come spesso accade in Italia nel "benaltrismo". Lo spazio per contrastare l'evasione è ampio. Serve un uso massiccio della tecnologia". Magari anche più controlli. "È una logica parziale. Rafforza l'idea che l'Agenza delle Entrate è il nemico. E invece deve essere un partner, un amico. Naturalmente chi imbroglia e froda deve essere punito. Anche pesantemente. Ma per il resto l'Agenzia deve aiutare. La lotta all'evasione non si fa con i controlli spettacolari sul Ponte Vecchio. Siamo nel 2014. Lo Stato, se vuole, sa tutto di tutti. Rispettando la privacy, vogliamo finalmente fare sul serio? C'è solo bisogno di invertire la logica in tutta la Pubblica amministrazione". In che senso? "Lo Stato deve essere al servizio del cittadino. Troppi enti fanno troppe cose e male. Vanno ridotti e questo non vuol dire licenziare i dipendenti. Abbiamo ridotto le auto blu come nessuno ha mai fatto prima e gli autisti tornano a fare i poliziotti. Lo stesso criterio vale per gli altri". Quando si parla di riforma della Pubblica amministrazione non si capisce mai cosa ci guadagna il cittadino. "Entro un anno daremo una "identità digitale" a tutti. Per capirci: daremo un pin a ogni italiano e userà quel codice per entrare in tutti gli uffici della pubblica amministrazione restando a casa. Tutti gli enti avranno un unico riferimento. Gli italiani non dovranno più fare file al comune o in circoscrizione o in un ministero per risolvere questioni banali. Cerco di spiegarmi con una metafora. È come se oggi funzionasse così: ciascuna amministrazione parla una lingua diversa e il cittadino deve pagare i costi di traduzione. Noi costringeremo tutti a parlare con una lingua sola". Si potrà pagare una multa o prenotare una visita alla Asl? "Tutto. Con quel pin potranno pagare le multe o le tasse, prenotare una vista all'Asl o disbrigare le pratiche della giustizia. Non si dovrà più perdere la testa dietro i burocrati. Ma c'è di più vorrei introdurre il principio della "total disclosure"". Cioè trasparenza. "Totale. Venerdì al Cisr - il Comitato per la sicurezza nazionale - accogliendo un suggerimento del sottosegretario Minniti e dell'ambasciatore Massolo, responsabile del Dis, abbiamo deciso di de secretare gli atti delle principale vicende che hanno colpito il nostro Paese e trasferirli all'Archivio di Stato. Per essere chiari: tutti i documenti delle stragi di Piazza Fontana, dell'Italicum o della bomba di Bologna. Lo faremo nelle prossime settimane. Vogliamo cambiare verso in senso profondo e radicale". Forse, però, è il momento di una riforma della giustizia. "A giugno, dopo le elezioni. Ascolteremo tutti e la faremo con la massima serietà. Lo spread che ci divide su questo versante con gli altri paesi è enorme. Iniziamo allora con il processo civile telematico". Va bene la riforma della giustizia civile, ma ammetterà che quella politicamente più sensibile riguarda il processo penale. "Anche quello, senza interventi ad personam che hanno segnato la sconfitta della politica in questi anni. C'è anche la giustizia amministrativa. Il sistema dei Tar non funziona come dovrebbe. Dobbiamo fare un riflessione anche su questo". Ha cominciato tagliando gli stipendi ai magistrati. "Stimo e rispetto la stragrande maggioranza dei magistrati. Sono dei servitori dello Stato, spesso straordinari. Ma continuo a non capire perché in fase di discussione di una legge, alcuni di loro debbano intervenire con un tono superficiale e minaccioso. Se vale il principio sacrosanto per cui le sentenze si rispettano e non si commentano, con quale logica loro intervengono sulla formazione delle leggi? Non è indispensabile che un giudice o un pm guadagni più di 240 mila euro l'anno. Non è un disastro sociale. Se l'Anm ci attacca per questo sono preoccupato per loro. Resta incredibile che chi guadagna 20 volte più dello stipendio medio degli italiani, si lamenti. È un attacco preventivo e ingiustificato. Mi hanno detto: guai ad attaccare i magistrati. Infatti non li attacco. Ma difendo il mio governo e la dignità dei dipendenti pubblici. Cosa dovrebbe dire un professore che guadagna 1300 euro al mese?". Per fare tutto questo serve tempo. "E infatti questa legislatura durerà fino al 2018. Ci scommetto". Berlusconi mica tanto. "Forse non in pubblico, ma secondo me lo sa anche lui. In ogni caso nel nostro Paese sta tornando la speranza. Adesso se riusciamo a sbloccare l'incantesimo, accadrà una cosa straordinaria: in Europa torna l'Italia autorevole e combattiva. A quel punto, le assicuro, ci divertiremo". © Riproduzione riservata 20 aprile 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/20/news/intervista_renzi-84052427/?ref=HREC1-4 Titolo: CLAUDIO TITO. Intervista al presidente del Consiglio Inserito da: Admin - Agosto 06, 2014, 04:40:04 pm Renzi: "Mai più una legge ad personam per Berlusconi. Non ci sarà nessuna manovra"
Intervista al presidente del Consiglio: "Nel patto del Nazareno non ci sono scambi. Non ci sarà un autunno caldo, resteremo sotto il 3%. Sono pronto al dialogo, ma basta discussionismo" di CLAUDIO TITO 04 agosto 2014 Nessun accordo oscuro con Berlusconi, nel patto del Nazareno non c'è nulla che non sia stato trasferito negli atti parlamentari. E soprattutto non prevede alcuna "legge ad personam" per l'ex Cavaliere. Per consentirgli di ricandidarsi alle prossime elezioni scavalcando le norme Severino. Matteo Renzi respinge al mittente le critiche sulle riforme. "Sono sempre pronto al dialogo" ma basta con il "discussionismo". E basta con i "gufi professori" o con i "gufi indovini". Il referendum confermativo si terrà entro il 2016 ma a questo punto il dibattito è stato fin troppo lungo: "Ora si decide". Anche perché le riforme sono la precondizione per far ripartire il Paese. "È vero - ammette - la ripresa è debole. Ma non siamo messi male e il prossimo non sarà un autunno caldo. La Troika non arriverà e se mai ci fosse bisogno di una manovra, non imporremo nuove tasse. E comunque rimarremo sotto il 3% nel rapporto deficit/pil". Ma lei è proprio sicuro che questo sia stato il modo di migliore per realizzare le riforme? Non serviva una discussione più ampia? "Intanto non le abbiamo ancora fatte. La nostra non è ancora una missione compiuta. C'è ancora una settimana di lavoro e quattro letture parlamentari. Di certo si è fatto un passo avanti anche grazie alla straordinaria dedizione dei senatori della maggioranza che hanno sopportato insulti ingiustificati. Si può fare sempre meglio, la controprova non esiste. Ma per me stiamo facendo bene. L'obiettivo di qualcuno non era fermare la riforma, ma fermare noi. Non ce l'hanno fatta. E con il referendum alla fine l'ultima parola sarà dei cittadini". Ma non è solo questo. Forse il confronto poteva essere arricchito da un dibattito culturale più profondo, capace di preparare il terreno in modo più fecondo. "Nessun tema è stato più discusso della riforma costituzionale: bipolarismo perfetto, poteri delle Regioni, iter delle leggi. Ci sono tomi e tomi, convegni e seminari. Sono trent'anni che facciamo dibattiti culturali, ora è venuto il momento di decidere: facciamo politica, noi, non accademia. E in politica alla fine si decide. L'Italia non si può più permettere di coltivare il culto del "discussionismo" fine a se stesso. Si può essere d'accordo o meno, ma non si può sostenere che non sia stata sufficiente la preparazione. Certo, c'è una parte dell'establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà essere finalmente parlare delle responsabilità anche delle elite culturali nella crisi italiana: i politici hanno le loro colpe. Ma professori, editorialisti, opinionisti non possono ritenersi senza responsabilità". Quindi il discorso è chiuso? "No, ci sono ancora quattro letture. Ma nessuno può pretendere di porre veti. Non è possibile che o si è tutti d'accordo o ci si blocca". Anche perché se le riforme si bloccano, si torna a votare. "Con l'approvazione della riforma costituzionale, questa legislatura sarà intera. Questa riforma non è la chiave di tutti i problemi. Ma è il simbolo più forte. Dopo la sua approvazione, a settembre partono i 1000 giorni". Scusi ma che c'entra la nuova costituzione con i 1000 giorni? "Questo governo ha davanti a sé molte sfide, riassumibili in due grandi temi. Primo. Il ritorno della politica: riforme costituzionali, legge elettorale, politica estera nel Mediterraneo e in Europa, la sfida educativa con scuola cultura e Rai, la spending che è operazione politica non tecnica. Secondo. Un Paese più efficiente: fisco, giustizia, pubblica amministrazione, lavoro e SbloccaItalia. Il lavoro e già partito e i mille giorni saranno presentati entro il mese di agosto. Ma l'impianto complessivo possiamo costruirlo solo se c'è il passaggio preliminare delle riforme costituzionali ". Quindi si vota nel 2018 oppure no? "La data delle elezioni in Italia è decisa dal presidente della Repubblica. Che fa le proprie valutazioni sulla base della Costituzione e del lavoro dei parlamentari. La mia scommessa è che questa legislatura abbia una dimensione quinquennale". Lei dice di essere aperto al dialogo. Allora cosa può cambiare del testo all'esame del Senato? "Tutto quello su cui c'è la maggioranza. Questa non è una riforma imposta, ma costruita da un paziente lavoro di ascolto e dialogo ". Così però è facile. "Lo dice lei. Le opposizioni hanno dato vita a un ostruzionismo ingiustificato. Quando sento che si lamentano di Grasso, io dico che il presidente del Senato è stato troppo accondiscendente con le richieste delle opposizioni. Alcune scelte di Grasso ci sono parse sinceramente sbagliate. Ma non lo abbiamo attaccato perché abbiamo rispetto della seconda carica dello stato e delle istituzioni. Il "canguro " è uno strumento di decoro a meno che non si voglia davvero prendere sul serio gli emendamenti di chi ha proposto - come il costituzionalista Minzolini - di cambiare in Gilda il nome della Camera". Ma è vero che siete pronti a trattare sulla base elettorale del capo dello Stato, sulle firme per indire i referendum e soprattutto sull'immunità? "Noi siamo pronti a discutere di questo e di altro. Per esempio Ncd ha proposto di poter commissariare le Regioni che non tengono i conti in ordine. Importante è che sia discussione civile. I nostri senatori sono stati pazienti nel sopportare gli insulti, ora basta. Dialogo sì, insulti no". Quando pensa che si possa tenere il referendum confermativo? "Ragionevolmente tra il 2015 e il 2016". Il dialogo vale anche per la legge elettorale? "Certo. Ci siamo sottoposti anche allo streaming dei grillini che pure adesso pare preferiscano il modello Pinochet, una pagina di storia decisamente democratica secondo loro. Noi ci siamo. Però ci devono stare tutti i contraenti. Perché le regole si scrivono insieme ". Quindi le modifiche riguarderanno le preferenze, le soglie di sbarramento e quella per accedere al premio di maggioranza? "Sono i punti di maggior discussione. C'è anche chi vuole i collegi sulla base del Mattarellum. Vediamo. L'importante è tenere al tavolo tutti che ci vogliono stare. Sapendo però che l'Italicum per il PD è il sistema meno conveniente. Ma per me il più equilibrato e giusto". Ma entro quanto tempo deve diventare legge? "Non c'è urgenza per elezioni imminenti. Ma è urgente per non perdere la faccia coi cittadini. È calendarizzato dal primo settembre al senato per la seconda lettura". E Berlusconi è fondamentale in questo percorso? "Tutti siamo fondamentali. I numeri ci sono anche senza di lui ma dopo anni di riforme l'uno contro l'altro, ora si è affermato il principio di farle insieme. Mi sembra un passo in avanti nella cultura politica italiana". Scusi, ma quello del Nazareno è davvero un patto scritto? "Certo". E cosa c'è dentro? "Quello che legge negli atti parlamentari sulle riforme". Troppo facile rispondere così. "Ma vi pare che io firmi una cosa con Berlusconi e la metta in un cassetto? Questa è la tipica cultura del sospetto di una parte della sinistra. Io ho declassificato il segreto di stato per le stragi di questo Paese, e vado a nascondere un patto di questo tipo? C'è scritto quello che abbiamo messo negli atti parlamentari". Cosa farebbe se Berlusconi le chiedesse di facilitare l'approvazione di una norma che gli permette di candidarsi alle prossime elezioni bypassando, ad esempio, la legge Severino? "Non lo ha fatto, non credo lo farà. Del resto la Severino è una legge votata dal PdL e sono certo che sia finito il tempo delle leggi ad personam. Anche perché i percorsi giudiziari sono andati, con tutto ciò che sappiamo. Basta proporre passaggi impropri tra le riforme e le utilità del leader di Forza Italia. Dopo le riforme, torneremo ad essere divisi. Anzi, facciamo le riforme proprio per evitare in futuro di essere costretti a governare insieme". Dopo le riforme, i 1000 giorni. Ma non sarà che a settembre le toccherà affrontare un autunno caldo? "Sono convinto di no. Questa è una retorica che fa sbadigliare, È trita e ritrita. Gli editoriali agostani sono prevedibili come le occupazioni studentesche nei primi giorni di scuola. So bene che la ripresa è fragile, come dice Draghi. L'eurozona cresce meno degli altri. L'Italia non ha invertito la marcia e non la invertirà con la bacchetta magica. Ma la narrazione degli autunni caldi è un noioso deja vu". Ma dovrete trovare 20 miliardi oppure no? "Definire le cifre del 2015 è prematuro. Iniziamo col dire che non ci sarà manovra correttiva quest'anno, con buona pace dei Brunetta & company. Abbiamo un impegno di ridurre le spese di 16 miliardi, che vuol dire di circa il 2% della spesa. Cercheremo di mantenerlo. In ogni caso non toccheremo le tasse: tutti i denari che servono verranno dalla riduzione della spesa. Ecco perché non mi interessa il nome del commissario alla spending, ma la sottolineatura che la spending è scelta politica - non tecnica - che dipende dalla politica". E l'Italia non supererà il 3% nel rapporto deficit/pil? "Assolutamente no. E non siamo nemmeno messi male. Ci sono le condizioni per uscire dalla crisi. Io definisco gufi non quelli che parlano male di me: chi parla male di me o mi critica mi aiuta, spronandomi a fare meglio. I gufi sono quelli che criticano l'Italia e sperano che non ce la faccia. Ci sono i gufi professore, i gufi brontoloni, i gufi indovini. Anche se questi ultimi dopo il 25 maggio parlano di meno. Ma basta con questo clima di rassegnazione. I cittadini hanno ancora voglia di crederci. E io non mollo di un millimetro". Va bene. Però lei deve rispondere anche ai numeri e a chi le fa notare che la crescita ormai s'avvia verso lo zero. Che gli 80 euro non hanno fatto ripartire i consumi, che probabilmente nel 2015 dovrà superare la soglia dell'1,8 nel rapporto deficit/pil fissato dal suo Def. "Come sarà l'Italia a fine anno lo vedremo. A chi dice che gli 80 euro non hanno rilanciato i consumi, rispondo di aspettare i risultati consolidati. Ma si tratta di un fatto di giustizia sociale, il più grande aumento salariale degli ultimi anni. La crescita è negativa da tempo. Avviandosi verso lo zero darebbe segnali di miglioramento. Comunque per me il metro chiave è il numero degli occupati. Anche questo mese più cinquantamila. Ma non basta". Ma il prossimo anno supereremo l'1,8% nel rapporto deficit pil? "Dipende da come va. Ma di certo staremo sotto il 3%". Non è che ci ritroviamo la Troika? "Non in Italia. La Troika è la negazione della politica" Molti dicono che con il rapporto con il ministro Padoan va malissimo. "Non me ne sono accorto. Credo neanche lui". Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/04/news/intervista_renzi_mai_legge_salva_berlusconi-93071415/?ref=HRER3-1 Titolo: CLAUDIO TITO. L'Ilva tornerà allo Stato, la salviamo e poi vendiamo" Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2014, 04:22:29 pm Renzi: "Berlusconi rispetti i patti, prima l'Italicum poi il Colle. L'Ilva tornerà allo Stato, la salviamo e poi vendiamo"
"Voglio una sinistra moderna. La Cgil non ci fermerà, pensa solo al suo sciopero. Nel partito nuove regole sulla disciplina interna: ci sta chi ne ha voglia. Il nostro popolo al prossimo voto dovrà scegliere tra noi e Salvini". Il Pd ha rottamato Grillo di CLAUDIO TITO La Camusso? "Alza i toni in vista dello sciopero generale". Grillo? "Il Pd lo ha rottamato". L'articolo 18? "Bisognerebbe rileggere ciò che scrivevano sindacalisti come Luciano Lama". Prima il Quirinale e poi le riforme? "Non esiste e comunque il mio nome ora per il Colle resta solo Napolitano". Prima di affrontare lo "show down" di dicembre che per il governo assomiglia a una corsa a tappe forzate tra l'Italicum, il Jobs act e la legge di Stabilità, Matteo Renzi traccia un bilancio di quel che il suo governo e il Pd hanno fatto nel 2014. Chiede al suo partito di abbandonare la vecchia abitudine degli "sgambetti" a Palazzo Chigi e di dar vita ad una "sinistra moderna" senza steccati ideologici. Al punto di annunciare il ritorno all'intervento pubblico per risolvere una delle più gravi crisi industriali del Paese: quella dell'Ilva. "Poco fa - è la sua premessa - io ho detto che sono eroi gli imprenditori, gli artigiani, tutti i lavoratori. Chi fa il proprio mestiere. Perché le questioni vere sono queste: avere la possibilità di fare impresa e creare posti di lavoro. Questa è la sinistra moderna. Il resto è polemica inesistente". Sarà pure inesistente ma il segretario della Cgil, Susanna Camusso, l'ha attaccata pesantemente. "Il segretario della Cgil ha la necessità di tenere alta la tensione e i toni in vista dello sciopero generale. È legittimo e comprensibile. Ma la mia priorità è un'altra: tenere la discussione sul merito delle cose. Capisco la Cgil ma nel frattempo noi dobbiamo cambiare l'Italia e quindi non cado nella polemica". Lei si pone l'obiettivo di cambiare l'Italia. Ma a volte sembra che voglia farlo contro il sindacato. "No. Io lo faccio contro chi frena. Se il sindacato ha voglia di cambiare e dare una mano, ci siamo. Ma se pensano di bloccarci, si sbagliano di grosso. Il tema vero oggi è creare lavoro, non farci i convegni. Affrontare crisi industriali come quelle di Taranto, di Terni, quella dell'Irisbus. Dare nuove tutele a chi lavora e non la polemica ideologica. Questo è il governo che ha dato 80 euro a chi ne guadagna meno di 1500 al mese, che punta sui contratti a tempo indeterminato. È semplicemente quel che deve fare una sinistra moderna". Anche l'abolizione dell'articolo 18 è un compito della sinistra moderna? "La nuova norma servirà a sbloccare la paura. Molte aziende non assumono perché preoccupate di un eccesso di rigidità. Mancava certezza nelle regole. Noi stiamo rimuovendo gli ostacoli. È anche un elemento simbolico perché si dimostra che l'Italia può attirare gli investimenti". Non tutti pensano che sia proprio una riforma di sinistra. "Per molti è una coperta di Linus. Bisognerebbe rileggersi un intervento di Luciano Lama del '78, allora cambierebbero idea. Essere di sinistra è anche garantire agli imprenditori di fare impresa e creare posti di lavoro. Senza steccati ideologici". In che senso? "A Taranto, ad esempio, stiamo valutando se intervenire sull'Ilva con un soggetto pubblico. Rimettere in sesto quell'azienda per due o tre anni, difendere l'occupazione, tutelare l'ambiente e poi rilanciarla sul mercato. Non vivo di dogmi ideologici, non sono fautore di una ideologia neoliberista. Il dibattito sull'articolo 18, invece, è quanto di più ideologico. Il sindacato che non ha scioperato contro Monti e la Fornero, lo fa adesso contro il governo che ha fissato i tetti degli stipendi ai manager, ha dato gli 80 euro e ha tagliato i costi della politica. Noi stiamo sul merito, non sull'ideologia: sono sicuro che molti di loro cambieranno idea quando vedranno i decreti del Jobs act". Facciamo un passo indietro. Che intende per intervento pubblico sull'Ilva? "Ci sono tre ipotesi. L'acquisizione da parte di gruppi esteri, da parte di italiani e poi l'intervento pubblico. Non tutto ciò che è pubblico va escluso. Io sono perché l'acciaio sia gestito da privati. Ma se devo far saltare Taranto, preferisco intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato ". È la teoria sostenuta da molti economisti, a partire da Krugman, negli ultimi anni. "La vera partita si gioca in Europa. Il Piano Juncker è un primo passo ma al di sotto delle mie aspettative. Glielo diremo al prossimo consiglio europeo. Il paradigma mondiale dovrebbe essere la crescita. Su questo sono d'accordo destra e sinistra: Obama e Cameron, Brasile e Cina. Al G20 in Australia molti di noi lo hanno sostenuto, ma non tutti". Ce l'ha con la Merkel? "Io non ce l'ho con nessuno. Ma il dibattito in Europa è molto più complicato rispetto a quanto accade a livello globale". La flessibilità non può diventare una scusa per aumentare il deficit? "Senza la flessibilità la politica è finita, morta, inutile. Se governare fosse solo un insieme di regole, potrebbero governare i robot. Se l'Europa non fosse stata flessibile, la prima a saltare sarebbe stata la Germania del post-muro di Berlino. Quanto al deficit, il nostro dato è uno dei migliori al mondo. Preoccupa casomai il debito. Ma in questo caso il problema è la crescita. Solo che la crescita non arriva senza un programma di investimenti pubblici e privati degni di questo nome. Fuori dalla tecnicalità: è un gatto che si morde la coda...". Ma in questa fase serve o no più mano pubblica nell'economia? "Dipende. Io ad esempio non sono per la presenza pubblica in così tante municipalizzate come accade da noi. Non vorrei passare da un eccesso all'altro. Bisogna valutare caso per caso". Una cosa su cui è d'accordo con D'Alema. "Può accadere persino questo. Ma se penso a come furono fatte certe privatizzazioni in passato non credo che l'accordo reggerebbe molto. Se penso al dossier Telecom, mi rendo conto che l'enorme debito della compagnia telefonica risale a come fu gestita la privatizzazione di quell'azienda. Diciamo che con D'Alema sono forse sono d'accordo sull'intervento pubblico, ma sono un po' meno d'accordo sull'intervento privato, diciamo". In ogni caso lo scontro con una parte del suo partito sulla politica economica del governo e sul Jobs act pone a lei, in qualità di segretario del Pd, un problema. Come comporre le differenze in un partito che aspira a conquistare la maggioranza e che per forza di cose contiene al suo interno più anime. "Dal punto di vista culturale la diversità aiuta e stimola il dibattito. Dal punto di vista organizzativo invece c'è un gruppo di lavoro guidato dal presidente Orfini. Quando poi ci sarà il premio alla lista servirà una gestione diversa dei processi decisionali. Come si vive la disciplina e la libertà di coscienza nel partito del ventunesimo secolo? Come tenere insieme l'idea veltroniana del partito a voca- zione maggioritaria con quello bersaniano che voleva un partito diverso dalla tradizione novecentesca ma più solido?". E come si fa? "Ne stiamo discutendo ma questa è la sfida interna del nuovo gruppo dirigente Pd". Intanto c'è chi le chiede di anticipare il congresso. "Chi usa strumentalmente questo tema dimentica che alle europee abbiamo preso il 40,8%, abbiamo recuperato 4 regioni su 4 e governiamo l'Italia cercando faticosamente di cambiare linea all'Europa. Il congresso è fissato per il 2017. Se Zoggia o D'Attorre pensano di fare meglio potranno dimostrarlo tra tre anni come prevede lo Statuto. Nel Pd c'è una gestione unitaria. Non è che possiamo fare il congresso perché loro si annoiano". Veramente c'è chi minaccia anche la scissione. "Nel Pd ci sta chi ne ha voglia. Chi minaccia la scissione un giorno sì e un giorno pure, deve chiarirsi solo le idee e capire se crede a un partito comunità. La regola dello sgambetto al governo non funziona più". Lei però deve decidere se il Pd può avere al suo interno tutta la sinistra. "Una parte di sinistra radicale ci sarà sempre. Ma quando si va a votare, proprio il popolo della sinistra che è già provato da quel che è accaduto in passato, ci penserà due volte a votare per la sinistra radicale rischiando di consegnare il paese a Matteo Salvini. Perché poi si sceglierà tra noi e la destra lepenista. Tra la nostra riforma del lavoro e quella della Troika". Ha detto Salvini e non Grillo. "Il Pd lo ha rottamato. Le europee hanno segnato la fine del grillismo. Loro usavano la rabbia, noi abbiamo risposto con un progetto. Ora si tratta di capire come si muoverà la diaspora Cinque stelle. Alcuni di loro sono molto seri, hanno voglia di fare". Li sta reclutando? "Non sono per fare campagne acquisti, ma sulla lotta alla burocrazia, la semplificazione fiscale, la scuola, secondo me ci sono i margini per fare qualcosa con una parte di loro. Dovranno decidere se buttare via i tre anni e mezzo che rimangono di legislatura o dare una mano al Paese". Le ultime regionali hanno rottamato il M5S ma sono state un segnale anche per lei. "Perché l'astensionismo alle regionali dovrebbe essere messo sul conto del governo? Anche l'idea che ci sarebbe stato lo spaesamento dei lavoratori cozza con la realtà. E allora perché non hanno votato per Sel? Avevano pure la scusa che stava nella coalizione con Bonaccini". Sarà altrettanto duro con Berlusconi? Al Corriere ha detto che prima si concorda e si elegge il presidente della Repubblica e poi si approva l'Italicum. "Non esiste. L'Italicum è in aula a dicembre. Lui si è impegnato con noi a dire sì al pacchetto con la riforma costituzionale entro gennaio. Io resto a quel patto". Berlusconi spesso cambia idea. "Io no". Nel frattempo le ha fatto sapere che per il Quirinale vorrebbe Giuliano Amato. "Io ho un unico nome: Giorgio Napolitano. Non apro una discussione finché il capo dello Stato è al suo posto. I nomi si fanno per sostenerli o per bruciarli. È sempre la stessa storia dal 1955. La corsa è più complicata del palio di Siena. E i cavalli non sono nemmeno entrati nel canapo". Va bene, ma poiché il problema si aprirà, lei pensa di indicare almeno un metodo? "È bene che il presidente della Repubblica si elegga con la maggioranza più ampia possibile. E dico "possibile". Ma non voglio discuterne adesso, sarebbe irriguardoso nei confronti di Napolitano e segno di scarsa serietà verso i cittadini". © Riproduzione riservata 30 novembre 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/11/30/news/renzi_berlusconi_rispetti_i_patti_prima_l_italicum_poi_il_colle_l_ilva_torner_allo_stato_la_salviamo_e_poi_vendiamo-101750194/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. I tre forni del premier per il Colle e la tentazione del colpo a.. Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2015, 06:54:34 pm I tre forni del premier per il Colle e la tentazione del colpo a sorpresa
Nell'incontro con Renzi Berlusconi ha proposto Amato o Casini. Le ipotesi di accordo: Bersani, Forza Italia o gli ex M5S Di CLAUDIO TITO 21 gennaio 2015 MA ALLORA, al Quirinale chi vorresti? Si potrebbe fare Amato o Casini...". L'incontro tra Renzi e Berlusconi stava per finire. I due si stavano dando la mano proprio sulla soglia dell'ufficio del presidente del consiglio. Il commesso aveva già aperto le porte dell'ascensore di servizio che porta gli ospiti davanti allo scalone d'onore di Palazzo Chigi. E, proprio in quel momento, il leader di Forza Italia si è fermato un momento. Ha lanciato uno sguardo verso Gianni Letta, poi si è rivolto sorridendo al premier: "Chi vorresti al Quirinale? Amato o Casini?". Renzi non ha risposto. Ha continuato a camminare verso l'ascensore e ha tagliato corto: "Ne parliamo martedì" . La "partita" è dunque ufficialmente aperta. Fino a ieri la corsa al Colle era solo uno spettro, anche se aleggiava su ogni incontro e discussione. Soprattutto incombeva su tutte le votazioni per l'Italicum e per la riforma costituzionale. Ma da ieri quel sottile diaframma dietro il quale il capo del governo si era difeso per rinviare il più possibile il negoziato sulla successione di Napolitano, si è improvvisamente infranto. Le candidature si sono moltiplicate la scorsa settimana e ora si riducono come in un imbuto che seleziona e screma. Se il Cavaliere avanza i nomi di Amato e Casini, nel centrosinistra si rincorrono quelli di Sergio Mattarella, Anna Finocchiaro e praticamente ti tutti gli ex segretari di partito da Veltroni a Bersani. Più qualche ministro come Padoan. E infine quello che i renziani definiscono il "colpo a sorpresa". Nei prossimi quindici giorni, il leader Pd si gioca buona parte del suo futuro. Di certo buona parte delle chance di concludere la legislatura. La legge elettorale, l'abolizione del Senato e l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Se uno solo di questi tasselli si rompe nel delicato mosaico di Palazzo Chigi, tutto salta. Renzi lo sa bene. E prepara la sua strategia: quella del "triplo forno". Con un obiettivo: "Portare alla presidenza una persona civile". La partita del Quirinale, però, è tutt'altro che semplice. I gruppi parlamentari sono sempre più "balcanizzati". Il Pd è strattonato dalle correnti e da una gran parte di eletti che rispondono alla vecchia segreteria, quella di Bersani, e non a quella attuale. L'aria che si respira tra i banchi democratici è quella del tutti contro tutti. Con in più la malattia contagiosa della sinistra: fare fuori il capo della corrente avversa. Renziani contro dalemiani, veltroniani contro ex popolari, bersaniani contro amatiani. Forza Italia poi è messa a soqquadro da un caos sistematico. E il M5S, paralizzato dalla diarchia Grillo-Casaleggio, deve fare i conti con un esodo continuo di dissidenti. Nel Transatlantico di Montecitorio e in quello di Palazzo Madama, il clima è sempre più teso. Le previsioni dettate dall'incertezza Il capo del governo sperava di arrivare a questo appuntamento avendo allentato la tensione con l'approvazione delle riforme. L'obiettivo è svanito nelle ultime ore. "Ma io non mollo ripete prima di partire per Davos - Io non sono uno che si tira indietro". Con i suoi fedelissimi allora sta mettendo a punto il suo piano. "Abbiamo tre forni cui rivolgerci - osserva -: il nostro partito con la minoranza in primo luogo. A Bersani l'ho detto: dobbiamo decidere insieme". Poi c'è il secondo fronte: quello dei "berlusconiani ". E infine i "dissidenti grillini". Il candidato, da ufficializzare al quarto scrutinio, sarà il risultato dell'accordo stretto con "uno o due" di questi forni. "Vedremo quale può essere la soluzione migliore in base a chi accetterà un'intesa ". L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 21 gennaio 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/21/news/colle_i_tre_forni_del_premier_e_la_tentazione_del_colpo_a_sorpresa-105404054/?ref=HRER2-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi, il diario del Colle: "Così ho giocato la partita più ... Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2015, 07:59:27 am Renzi, il diario del Colle: "Così ho giocato la partita più difficile"
Durante lo spoglio il leader rievoca la trattativa: "Ora il Pd è l'infrastruttura del sistema repubblicano" Di CLAUDIO TITO 01 febbraio 2015 "Ti ringrazio di averci creduto. Ora ti passo una persona... ". L'applauso in aula è appena scattato. Sergio Mattarella è il nuovo presidente della Repubblica. Lo spoglio delle ultime schede prosegue. Nella sala del presidente del consiglio, di fianco all'emiciclo, però, Matteo Renzi non vuole aspettare. Lo chiama subito. Un saluto. Una battuta ("ora puoi anche non essere prudente") e poi gli auguri si trasformano in una sorta di conference call istituzionale. Il cellulare infatti va nelle mani di Giorgio Napolitano. Che idealmente gli passa il testimone. Ecco, l'ultimo round della partita per il Quirinale è questo. Il match è stato lungo. Lo start risale a 16 giorni fa, alle dimissioni di Napolitano del 14 gennaio. E nella stanza al primo piano di Montecitorio il leader Pd ne rievoca i passaggi fondamentali. Quando la prima chiama ha inizio, con lui ci sono i vertici del partito: da Orfini, alla Boschi, da Speranza a Zanda, da Lotti a Guerini. ERAVAMO INCARTATI "Lunedì eravamo incartati. Quelli insistevano per Amato e Casini, noi non avevamo in campo solo Mattarella" LA SVOLTA "Martedì c’è stata la svolta ho detto a Pierluigi: su Sergio ritroviamo l’unità" CON AMATO "Incontro con Amato: Giuliano, non ci sono le condizioni. Per l’ex premier non è vero: ce la può fare secondo lui, ma gli amici non lo difendono" SCIOGLIERE IL NODO "Ho detto a Alfano che non poteva stare nel guado: devi sciogliere tu il nodo, decidere con chi stare, tanto non si vota" L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 01 febbraio 2015 Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/02/01/news/renzi_il_diario_del_colle_cos_ho_giocato_la_partita_pi_difficile-106262506/?ref=HRER3-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il peccato originale e i doveri del Pd Inserito da: Admin - Giugno 06, 2015, 05:05:11 pm Il peccato originale e i doveri del Pd
La politica non può trincerarsi dietro le aule di giustizia. Chi ha un ruolo non può tirarsi indietro Di CLAUDIO TITO 06 giugno 2015 QUESTA seconda inchiesta su Mafia Capitale non è un fulmine a ciel sereno. I presupposti per capire che parte della politica romana è una sorta di fogna a cielo aperto erano chiari da tempo. Meravigliarsi adesso, non è possibile né giustificabile. In questa vicenda ci sono però due piani ben distinti. Uno è quello giudiziario, l'altro è quello politico. È evidente che le eventuali colpe processuali dovranno essere accertate secondo i tempi della giustizia e la presunzione di innocenza è un principio che ogni società civile deve rispettare. Ma la politica non può trincerarsi dietro le aule di giustizia. Chi ha un ruolo e una responsabilità istituzionale o di partito non può tirarsi indietro come se quella fogna non lo toccasse. Quel sistema di infima corruzione che ha inquinato la Capitale in questi anni ha affondato i suoi denti e li ha fatti marcire durante la gestione del centrodestra, in quei cinque anni guidati da Alemanno. È bene precisare che molto nasce e si perpetua in quel quinquennio. Quello schieramento sembra però incapace di fare i conti con il suo passato e con il suo presente. Travolto da una crisi che ormai va al di là di quel che è accaduto a Roma. Le inchieste ora dimostrano che il malaffare ha sporcato anche un pezzo di centrosinistra. In un sistema di potere e corruzione che non faceva differenze. E che adesso tocca pure il governo nazionale. Per due aspetti. Il principale centro di corruttela faceva perno sulla gestione degli immigrati. La stazione appaltante era ed è il Viminale. Nell'inchiesta, poi, c'è finito anche un sottosegretario, Castiglione, dello stesso partito del ministro degli Interni Alfano. Anche per Castiglione vale la presunzione di innocenza, ovvio. Ma vale anche quello della intoccabilità politica? L'ex ministro Lupi pochi mesi fa è stato invitato a dimettersi pur non essendo indagato. Il presidente del Consiglio può usare una misura diversa per un sottosegretario che invece inquisito lo è? Davvero di fronte a determinate evidenze, ci si può limitare ad aspettare? Il compito di chi esercita la guida politica è anche quello di prevenire la magistratura. La separazione dei poteri è davvero possibile se ognuno si assume le proprie responsabilità senza delegarle. Nessuno, inoltre, può nascondere che qualcosa non va nel Pd di Roma. Chi ha avuto a che fare con il Campidoglio negli ultimi sette anni e chi ha letto gli atti giudiziari, sa ad esempio che nei primi anni della sindacatura Alemanno non tutta l'opposizione era decisa nel contrastare l'azione della maggioranza di centrodestra. Chi frequenta i palazzi della politica capitolina, sa da tempo che le correnti Dem si muovevano come delle bande e non come dei circoli culturali. Che il nucleo dello scambio affaristico è costituito dalle preferenze. E che con l'elezione di Marino molti dei democratici coinvolti nelle indagini agivano lungo i binari di un contropotere rispetto al sindaco. Ma l'ex chirurgo ha dovuto aspettare due anni e l'intervento dei pm per capire che la battaglia non era ideale ma "monetaria". Non se ne può accorgere con così tanto ritardo. E questo riguarda anche dipendenti corrotti che lavorano nell'amministrazione del Comune. La politica deve agire per tempo e non aspettare. Negli ultimi mesi dei passi sono stati compiuti, ma i fatti dimostrano che serve altro per riconquistare autorevolezza e credibilità. È vero: nel 2013 c'era un'altra gestione nel Partito democratico. Le liste elettorali sono state definite due anni fa da un gruppo dirigente che ora è stato sostituito. Il peccato originale ricade su quella stagione. Il nuovo Pd, però, se davvero vuole essere nuovo e guidare il Paese libero dai lacci del malaffare, deve essere implacabile su questo punto. Il segretario del Pd, oltre a fare il premier, deve fare pulizia senza alcuna incertezza e chiudere definitivamente con il passato. Non è più accettabile esporre la Capitale alla vergogna nazionale e al pubblico ludibrio internazionale. La cloaca massima deve tornare ad essere solo un reperto archeologico. © Riproduzione riservata 06 giugno 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/06/06/news/il_peccato_originale_e_i_doveri_del_pd-116171462/?ref=HRER2-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi: "Voglio un Pd unito. Nel 2017 possibile tagliare l'Ires" Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2015, 06:15:02 pm Renzi: "Voglio un Pd unito. Nel 2017 possibile tagliare l'Ires" Dalla Siria alla manovra il premier traccia la sua road map e boccia Prodi: "Non basta aiutare Assad per sconfiggere l'Is" di CLAUDIO TITO 03 ottobre 2015 ROMA - E' giusto che sulle riforme ci sia una maggioranza più ampia di quella di governo. E Denis Verdini "non è il mostro Lochness". "Io voglio il Pd unito" ma tra i dem "c'è ancora qualcuno che non ha elaborato il lutto della sconfitta al congresso". Matteo Renzi fa un primo bilancio di questo autunno. E annuncia nuove misure nella legge di Stabilità. Romano Prodi su Repubblica ha chiesto di aiutare l'esercito del leader siriano Assad per sconfiggere lo stato islamico. E' d'accordo? "Dubito delle ricette scodellate in modo semplicistico: non sarà semplicemente aiutando Assad che bloccheremo Is. Né considerandolo l'unico problema come fanno in modo altrettanto banale altri". Si sta votando al Senato la riforma costituzionale. L'iter si è velocizzato dopo l'accordo con la minoranza del suo partito. Perché ha perso così tanto tempo? "A dire il vero è il contrario. Abbiamo assistito a un prolungato confronto, ma quando siamo entrati nel merito della discussione non ci sono stati problemi: per noi era importante mantenere il principio che non si toccava la doppia conforme ricominciando daccapo". Il Pd unito però ha dimostrato il driver della politica italiana. "Io voglio il PD unito, sempre. E lavoro per questo". Veramente è sembrato soprattutto che ci fosse una gara a non legittimarsi reciprocamente. "Nel PD c'è ancora qualcuno che forse non ha ancora elaborato a pieno il lutto del congresso. Siamo quasi a metà della mia segreteria: tra breve chiunque potrà metterla in discussione e vincere il congresso". Ma ha mai temuto che volessero fare cadere il suo governo? "Mai. Non condivido alcune loro idee ma non dubito della loro lealtà". Proprio per questo non è un problema avere i voti di Verdini? "Verdini ormai è diventato il paravento per qualsiasi paura. Tutti lo evocano anche vedendolo dove non c'è: ormai è raffigurato come una sorta di mostro di Lochness nostrano". Il mostro di Lochness, però, lo è almeno chi nell'aula del Senato insulta gli avversari con gesti volgarissimi. "Ogni gesto volgare, in modo particolare verso le donne, va censurato senza se e senza ma". E' vero che esiste un'intesa per cambiare l'Italicum? "Mi sembra assurdo e fuori tempo aprire un dibattito quattro mesi dopo l'approvazione". Ripeterebbe i giudizi dati sui talk? "Altolà. Per me parlano i fatti. Non ho mai messo il naso, mai, nelle vicende interne della Rai". Non sarebbe meglio stare lontano dai giudizi sui prodotti giornalistici? "Ho detto e lo ripeto oggi domani e dopo domani che i talk show rischiano di diventare un pollaio senz'anima. È una critica che faccio innanzitutto alla politica, un'autocritica. Non è peraltro neanche un mio problema, forse di chi sul vostro giornale dice che io ho sguinzagliato i cani, insultando i parlamentari. Aggiungo: Siamo talmente ostili verso la Rai che martedì Andrea Guerra ha fatto un'intervista a Massimo Giannini, io sono stato intervistato da Bianca Berlinguer e domani andrò in diretta dalla Annunziata". Tra pochi giorni il governo presenterà la Legge di Stabilità. Lei pensa davvero che l'Italia sia uscita dalla recessione? I segnali sono contrastanti. "Questo lo dice lei. I segnali sono univoci. L'Italia è ripartita. Ma non lo dico io, lo dicono i numeri dell'Istat, del Fmi, dell'Inps. Tutto questo è frutto delle riforme". Nel suo partito c'è chi contesta l'abolizione della Tasi per tutti. "Toglierla sulla prima casa per tutti e per sempre è un fatto di giustizia sociale in un Paese in cui il 75% dei possessori di prima casa è un lavoratore dipendente". Taglierete anche l'Ires? "Nel 2017 senz'altro. Nel 2016 qualche altra sorpresa ci sarà e sarà positiva". Però taglierete la Sanità. "Falso. Sulla sanità l'aumento di fondi è costante". Riuscirete ad approvare entro il 2015 le Unioni civili? "Dipende da quando finiremo queste riforme. Ma non molliamo. E' un impegno di civiltà". L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E REPUBBLICA+ da - http://www.repubblica.it/politica/2015/10/03/news/matteo_renzi_dalla_siria_alla_manovra_il_premier_traccia_la_sua_road_map_e_boccia_prodi_si_pensa_solo_all_effetto_mediatic-124202215/?ref=HRER3-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il puzzle di Renzi per le amministrative. Inserito da: Arlecchino - Novembre 09, 2015, 05:18:19 pm Il puzzle di Renzi per le amministrative.
Zingaretti in pole a Roma, a Bologna idea Gualmini Il premier alle prese con la sfida dei candidati sindaci: "È una corsa in salita, ma io mi gioco l'osso del collo solo al referendum sulle riforme" Di CLAUDIO TITO 09 novembre 2015 ROMA - "Io mi gioco tutto al referendum. Se lo perdo, vado a casa. Questo discorso non vale invece per le amministrative. So che è una partita in salita, ma non possiamo uscire sconfitti in tutte le città". Matteo Renzi non vuole commettere l’errore che quindici anni fa costrinse Massimo D’Alema alle dimissioni. Dopo il frastuono che ha accompagnato le dimissioni di Ignazio Marino a Roma, il premier cerca allora di circoscrivere il valore della prossima tornata amministrativa. Nessun significato politico, nessun test diretto sul governo o sulla segreteria del partito. Eppure si tratta di un passaggio importante: in primavera è chiamata al voto la “spina dorsale” municipale d’Italia. Le cinque principali città, da Nord a Sud. E l’incubo dei ballottaggi con il Movimento 5Stelle. "Ma l’osso del collo – ripete il segretario democratico ai suoi fedelissimi – io me lo posso rompere solo al referendum". L’appuntamento con le comunali – probabilmente a giugno – resta un banco di prova. A Palazzo Chigi e a Largo del Nazareno lo sanno bene. Ovviamente l’attenzione è concentrata sulle sfide di Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. Situazioni differenti, certo. Ma accomunate da un velo di incertezza più o meno corposo. Solo due dei sindaci uscenti sono del Pd. Poi c’è Marino, ma si è già dimesso. Gli altri sono iscritti al campo del centrosinistra, ma non democratici. Un fattore che complica la “corsa”. Soprattutto nella scelta dei prossimi candidati. Basti pensare al rapporto ormai logorato con la sinistra radicale di Sel. "In effetti – ammette ad esempio il ministro dem dell’Agricoltura, Maurizio Martina – ad eccezione di Milano, dove Pisapia esercita ancora un ruolo di collante, ci saranno quasi ovunque candidati di Sinistra e Libertà". Un dato che indurrà il Pd ad affrontare “in solitaria” la circumnavigazione di questa prima tappa. Sapendo che i casi più spinosi spuntano almeno in quattro delle città: Roma, Milano, Bologna e Napoli. La Capitale rappresenta per il Partito democratico la questione più intricata. "Lì – ragionano ai piano alti di Largo del Nazareno – partiamo battuti. Dobbiamo recuperare". Molto, ovviamente, dipenderà da chi sarà il candidato del Movimento 5Stelle. Ma alcuni punti fermi sono stati già piantati. Il primo: "Marchini non sarà mai il candidato del PD". L’idea lanciata nei giorni scorsi dal ministro della Sanità Lorenzin, dell’Ncd, è stata immediatamente scartata da Palazzo Chigi. "Chi scenderà in campo – è il ragionamento – deve essere romano, preferibilmente un nostro uomo e deve essere un politico". Ossia, niente esterni. Né Cantone, né Sabella. Né Gabrielli, né alcuno dei “tecnici” di cui si è parlato. A Largo del Nazareno, allora, iniziano a sgranare il rosario dei possibili candidati. C’è il ministro Madia. Ma non è considerata adatta al tipo di battaglia campale nella quale si trasformerà il Campidoglio. C’è il vicepresidente della Camera Giachetti. "Può arrivare al ballottaggio. Ma poi?". Nella lista compare un nome che fino ad ora non era mai stato preso in considerazione. Si tratta del presidente della Camera, Laura Boldrini. Un identikit adeguato a fronteggiare i grillini e a ricompattare il fronte sinistro. Ma presenta delle controindicazioni: come spiegare agli elettori che la terza carica dello Stato si dimette per fare il sindaco? E poi: chi prenderebbe il suo posto a Montecitorio? L’attuale ministro delle riforme Maria Elena Boschi o quello dei Beni culturali Dario Franceschini? "Il migliore, in teoria sarebbe Delrio – spiegano ai vertici del Pd – ma non è romano. Il più convincente allora è Nicola Zingaretti". I riflettori stanno puntando proprio sul presidente della Regione Lazio. Il suo ruolo è una forza e nello stesso tempo una debolezza. Se si iscrivesse alla gara, infatti, si dovrebbe cercare un suo sostituto alla Pisana. Di certo, è la convinzione di Renzi, chi sarà candidato dovrà mettere a punto una sorta di "campagna elettorale all’americana: trasporti, nettezza urbana e periferie. Sulla periferia ci si deve impegnare più che sui quartieri centrali. È lì che si trovano i voti". La macchina dem si metterà in moto nei primi mesi del prossimo anno. Con un'idea, appunto "molto obamiana": volontari in tutte le zone della città a illustrare gli obiettivi dem. Poi c’è Milano. Nel capoluogo lombardo la selezione è ancora in alto mare. Ieri Sala, l’Ad di Expo, ha confermato la sua "disponibilità a candidarsi". A Largo del Nazareno lo considerano un’ottima scelta. Ma non quella perfetta e soprattutto "ancora non definitiva". Insomma, qualche dubbio resta. Anche perché porrebbe plasticamente il problema delle primarie. Renzi ha già annunciato che in partenza non vuole rinunciarci. In partenza, però. In arrivo tutto può cambiare. "La soluzione ideale – ammette ancora Martina – sarebbe quella di arrivare ad un solo nome ovunque. E così evitare le primarie o farle per lanciare la candidatura". Sta di fatto che a Milano la decisione è ancora lontana e alternative concrete ancora non si sono formate. Si arriva a Napoli. "Un buco nero", sintetizza il ministro dell’Agricoltura. Ma anche il segretario del Pd non è lontano da questa valutazione. "Cosa succede se si presenta Bassolino?". In Campania le primarie rischiano di confermarsi un caos per il Pd. Anche se le previsioni che vengono da Largo del Nazareno fanno quasi tutte riferimento ad un unico punto cardinale: Vincenzo De Luca. Tra i “big” democratici serpeggia infatti la convinzione che alla fine scenderà in campo lui con un suo “campione”. Un timore, ma anche una soluzione. I dubbi sono anche il segno di Bologna. La città rossa rischia di sbiadirsi. Tutti i parlamentari emiliani sono netti: "Con Virginio Merola stavolta andiamo a sbattere". L’attuale sindaco ha rotto a sinistra e dentro il suo partito, il Pd, non convince più. Viene considerato un "sopportato", "debole". Il sostituto di cui si è parlato in queste settimane è l’attuale rettore dell’università, Dionigi. Ma la vera carta segreta su cui Palazzo Chigi vuole scommettere è un’altra: Elisabetta Gualmini, politologa con una certa esperienza amministrativa, è vicepresidente della regione Emilia Romagna e assessore alle Politiche sociali. L’ultimo comune a piena guida dem è Torino. Piero Fassino verrà ricandidato. Ma i timori non mancano. Soprattutto se l’ex segretario Ds non dovesse spuntarla al primo turno. Al ballottaggio, con il M5S i rischi sono considerati altissimi. E la probabile candidata grillina, Chiara Appendino, è giudicata un avversario con tutte le carte in regola. "Io – spiega ancora Renzi – mi butterò comunque in questa campagna elettorale. Come si dice? Ci metterò la faccia, come ho fatto anche alle precedenti amministrative. Ma si deve sapere che il differenziale per il Pd tra le comunali e le politiche sono dieci punti. Se sulla lista c’è il mio nome o non c’è fa la differenza. Non andrà comunque male. E io resterò comunque al mio posto". © Riproduzione riservata 09 novembre 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/11/09/news/il_puzzle_di_renzi_per_le_amministrative_ma_il_governo_non_rischia_zingaretti_in_pole_a_roma_a_bologna_idea_gualmini-126937851/?ref=nrct-4 Titolo: CLAUDIO TITO. Banche e acciaio, è guerra tra l'Italia e l'Ue: bocciati gli aiuti Inserito da: Arlecchino - Dicembre 26, 2015, 11:30:54 pm Banche e acciaio, è guerra tra l'Italia e l'Ue: bocciati gli aiuti all'Ilva
Formale apertura della procedura di infrazione. Pronti tre ricorsi alla Corte Di CLAUDIO TITO 24 dicembre 2015 ROMA. Ormai lo scontro è totale. E non riguarda un solo settore. Lo spettro della conflittualità si è allargato a 360 gradi. Ma adesso ci sono tre fronti su cui ogni miccia è stata accesa. Si tratta delle banche, dell'Ilva e del deficit italiano. Sono le tre partite su cui si giocano i rapporti futuri tra il governo di Renzi e la commissione europea. Tra il premier e la Merkel. La linea rossa tra Bruxelles e Roma è dunque diventata improvvisamente incandescente. E negli ultimi giorni i rapporti sono addirittura peggiorati. Ieri è arrivata la comunicazione ufficiale che la Ue ha bocciato il salvataggio di Banca Tercas, la banca di Teramo. Ma soprattutto pochi giorni fa è stata recapitata al governo italiano la lettera formale con cui si preannuncia l'apertura della "procedura di infrazione" per i finanziamenti forniti all'Ilva. Il documento è stato firmato dal commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, e punta l'indice proprio sull'ultimo prestito da trecento milioni. Anche per il gruppo siderurgico italiano l'accusa non cambia: aiuti di Stato. In più, nell'ultimo mese, si è consumata anche la complicata e controversa dialettica tra il governo Renzi e la Commissione Juncker sul recente decreto salva-banche. Si tratta dunque di uno scontro tra l'Italia e l'Unione europea senza precedenti. E stavolta è Roma all'offensiva. Mai si erano concentrati tanti elementi di conflittualità in uno spazio di tempo così breve. La tensione registrata la scorsa settimana al Consiglio europeo tra il presidente del consiglio e la Cancelliera tedesca Merkel assume adesso tutta un'altra luce. Tutto ha ormai preso la forma e la sostanza di un braccio di ferro che mira a cambiare non tanto - o almeno non ora - gli equilibri all'interno dell'Unione ma a modificare il perimetro dei tre negoziati cui i due contendenti saranno chiamati a discutere nel 2016. Non è un caso che l'Italia, dinanzi alle lettere spedite in questi giorni da Bruxelles, abbia iniziato a valutare tutte le contromisure. Compresa quella più radicale: il ricorso alla Corte di Giustizia. Sul caso Ilva, infatti, il governo insiste nel richiamare l'attenzione sulla circostanza che non si tratta di un semplice "salvataggio" ma anche di un'operazione finalizzata al risanamento ambientale. E secondo l'esecutivo italiano, proprio la disciplina europea prevede l'intervento pubblico in questi casi e in modo particolare in riferimento all'intervento siderurgico. La procedura di infrazione, nella fattispecie, non è stata ancora completata. Ma se l'esito dovesse essere negativo, Palazzo Chigi è pronto ad attivare appunto il ricorso alla corte di Giustizia. L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E REPUBBLICA+ © Riproduzione riservata 24 dicembre 2015 Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/12/24/news/su_acciaio_e_banche_e_guerra_tra_l_italia_e_l_ue_bocciati_gli_aiuti_all_ilva_pronti_3_ricorsi_alla_corte-130083842/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Unioni civili, i dubbi del Quirinale. Inserito da: Arlecchino - Gennaio 20, 2016, 04:13:00 pm Unioni civili, i dubbi del Quirinale.
Pronte le modifiche del governo Il nodo non è la stepchild adoption. Emendamenti dell'esecutivo punteranno invece a evitare equiparazioni col matrimonio vietate dalla Consulta Di CLAUDIO TITO 18 gennaio 2016 ROMA - "I costituenti tennero presente la nozione di matrimonio che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso". Questa frase negli ultimi giorni sta rimbombando nelle sale di tutti i palazzi della politica. Da Palazzo Chigi al Quirinale, dalla Camera al Senato. E in una certa misura li sta scuotendo. Provocando allarmi e riflessioni. In molti si stanno chiedendo quanto potrà incidere nell'esame della nuova legge sulle unioni civili. Il cosiddetto testo Cirinnà. Che a fine mese sarà all'esame dell'aula di Palazzo Madama. Dopo un travagliatissimo iter e quasi in contemporanea con la riedizione del "Family day" del prossimo 30 gennaio. Perché a pronunciare quella frase non è stato un oscuro senatore. Ma la Corte costituzionale, nella sentenza emessa nell'aprile del 2010. Quella decisione presa dalla Consulta quasi sei anni fa, si sta trasformando in un vero e proprio paradigma di riferimento per il provvedimento che sta dividendo al loro interno sia la maggioranza, sia l'opposizione. Il cuore dei dubbi infatti non sono più le adozioni ma il rischio che queste unioni civili siano "troppo" equiparate al matrimonio. E infatti proprio in queste ore i contatti informali tra il governo e il Quirinale sono stati intensi. Diversi membri dell'esecutivo hanno voluto chiedere una valutazione alla Presidenza della Repubblica. Per capire se nell'impianto del testo possano davvero emergere delle incoerenze di carattere costituzionale. Dal Colle la risposta è stata piuttosto precisa: il riferimento da prendere in considerazione è la sentenza 138 della Consulta. Mattarella si è tenuto ben lontano da giudizi o consigli nel merito del provvedimento. Il capo dello Stato, infatti, non intende assolutamente intervenire nei contenuti di una legge ancora in discussione in Parlamento. E pur essendo stato favorevole alla legge sui Dico - quella proposta nel 2007 dal governo Prodi - il Quirinale esprimerà le sue valutazioni solo quando la norma sarà approvata e solo sulla base della sua costituzionalità. Ma proprio per questo il solo richiamo alla sentenza della Corte del 2010 (quando Mattarella peraltro non era ancora giudice costituzionale) ha fatto scattare l'allarme nel governo. Il problema, dunque, non sono le adozioni. Le difficoltà non si concentrano nella stepchild adoption. Ma semmai negli articoli 2 e 3 del testo Cirinnà, quelli che rinviano alla disciplina del matrimonio. Anzi a Palazzo Chigi stanno proprio studiando una serie di emendamenti per limitare quei rischi. E per rendere la nuova legge pienamente compatibile con i paletti posti dalla Consulta. Nel governo, del resto, sono stati sottolineati con la matita blu almeno altri due passaggi della sentenza. Tra i quali questo: "Si deve escludere che l'aspirazione al riconoscimento dei diritti e doveri della coppia omosessuale possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali". Nella sostanza le modifiche che verranno presentate a Palazzo Madama per conto dell'esecutivo mireranno - come dice ad esempio il capogruppo Pd Luigi Zanda - "a ridurre i rimandi agli articoli del codice civile sul matrimonio ". L'obiettivo è quello di dar vita ad un istituto giuridico autonomo con caratteristiche diverse e graduate rispetto al matrimonio stesso. Se l'istituto giuridico è diverso - sono i ragionamenti in corso - anche la qualità e la quantità dei diritti e dei doveri deve essere diversa. Uno degli emendamenti ad esempio riguarderà l'uso del cognome. Nel governo sono dunque convinti che anche specificando meglio le differenze tra matrimonio e unioni civili sarà mantenuta la sostanza della legge. I diritti per le coppie omosessuali non saranno comunque intaccati. Non è un caso che nel confronto di questi giorni non sia in discussione il tema delle adozioni. Il Quirinale non fatto alcun riferimento a quel nodo. I profili di costituzionalità non riguardano dunque la stepchild adoption. E la linea di Renzi su questo aspetto ormai è definita. Non sarà presentata alcuna correzione su questa materia dall'esecutivo. Il testo non sarà toccato. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha ricevuto un mandato preciso. La linea del Pd resta favorevole alla nuova disciplina sulle adozioni. Se poi la maggioranza del Senato si schiererà per il no , la responsabilità non potrà essere riversata sui democratici. La legge Cirinnà sarà sottoposta al voto dell'aula. Se verrà chiesto lo scrutinio segreto, ognuno dovrà assumersi la responsabilità di quella scelta. "Noi - dicono al Pd - voteremo per la stepchild adoption. E faremo di tutto per approvarla. Se non passerà, ne prenderemo atto. Ma il passo fondamentale è avere finalmente una legge sulle unioni civili". © Riproduzione riservata 18 gennaio 2016 Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/01/18/news/unioni_civili-131496309/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_18-01-2016 Titolo: CLAUDIO TITO. G20, sì alla crescita. Il Tesoro studia il piano taglia-tasse Inserito da: Arlecchino - Febbraio 28, 2016, 11:52:37 pm G20, sì alla crescita. Il Tesoro studia il piano taglia-tasse
L'esecutivo italiano sta elaborando un progetto per ridurre le imposte a livello continentale già nel 2016, da presentare ai leader Pse il 12 marzo Di CLAUDIO TITO 28 febbraio 2016 METTERE più soldi nelle tasche degli italiani e di tutti gli europei. Con una manovra concordata e non solitaria di taglio delle tasse. Il piano è ancora allo studio. È arrivato nei giorni scorsi sui tavoli tecnici. Nostrani e anche di Bruxelles. Un pacchetto di idee del governo italiano per provare a disegnare una via di fuga dalla crisi economica che ha avviluppato di nuovo il Vecchio Continente e quasi tutti i Paesi industrializzati. L’appuntamento è per il 12 marzo. A Parigi si riuniranno i leader del Pse. In quella sede, che precederà il Consiglio europeo del 17, Matteo Renzi metterà all’ordine del giorno la sua bozza di lavoro. L'obiettivo è costruire un fronte progressista dei socialisti per tentare di dare una "spinta" al concetto di flessibilità nei conti pubblici già nel corso del 2016. Una "spinta" che riguardi appunto la politica fiscale e una riduzione tangibile delle imposte. Il presupposto ormai accettato da tutte le cancellerie dell'Ue riguarda la politica monetaria. Gli effetti della riduzione dei tassi di interesse e della scelta della Bce di immettere nel sistema denaro fresco, si sono ormai esauriti. Le agevolazioni derivanti da quelle decisioni - che rappresentano comunque una base imprescindibile - non sono in grado di dare ulteriore carburante al motore della crescita. Anche perché - sono i ragionamenti di questi giorni - permane un effetto psicologico sui consumatori: tendono a non indebitarsi più e a mantenere una riserva di garanzia nei loro conti correnti. Si sentono ancora feriti da quello accaduto dal 2008 ad oggi. E non vogliono più correre rischi. Il secondo elemento, che costituisce la piattaforma "politica" su cui tutti i leader dell'Unione europea stano ragionando, è costituito dall'avanzare nei paesi occidentali dei fronti populisti e anti-austerity. E dal rischio "instabilità". L'ultimo esempio è stato offerto dall'Irlanda. Nelle elezioni di venerdì scorso - nonostante le recenti buone performance economiche di quel Paese il cui Pil cresce del 7% - la coalizione di governo non solo è uscita sconfitta, ma sono stati premiati proprio i partiti che più hanno attaccato i sacrifici imposti negli anni precedenti. Risultato: ingovernabilità. Una condizione temuta anche in Spagna dove il ritorno alle urne è ormai un'opzione concreta. In Francia, dove l'ultima tornata amministrativa ha messo in crisi lo storico sistema bipolare a favore della destra di Le Pen. In Gran Bretagna, dove il prossimo referendum sull'adesione all'Ue è un macigno pesantissimo. E nel nostro Paese dove le forze antisistema formano un blocco permanente che supera il 30 per cento degli elettori. Ma anche negli Usa dove il successo di Trump sta scuotendo il Partito Repubblicano. E forse non è un caso che la recente proposta "rigorista" del ministro tedesco della Finanze Schaeuble di imporre il tetto del 25 per cento ai bond detenuti dalle banche, sia stata rapidamente respinta. La soluzione, allora, che l'Italia è intenzionata a prospettare prima ai leader del socialismo europeo e poi a tutti quelli dell'Unione, è proprio quella di intervenire sulle tasse. "Non è una questione che riguarda solo l'Italia - è il discorso che il capo del governo sta svolgendo in tutti i suoi colloqui internazionali, compreso quello di venerdì scorso con il presidente della Commissione Ue Juncker - perché noi ci siamo rimessi in moto. Ma tocca tutti e a cui tutti devono dare una risposta se non si vuole peggiorare la situazione". Nella road map di Renzi, allora, l'intervento sulle aliquote Irpef era previsto per la fine del 2017. Ma l'esito dei contatti avviati in queste settimane potrebbe cambiare quell'agenda. Non è un caso che lo stesso ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, al G20 di Shangai abbia usato due parole che rappresentano il cuore della trattativa: "Spazio fiscale". Nelle bozze in esame, infatti, nessuno prende in considerazione l'ipotesi limite di scorporare dal calcolo del deficit i soldi stanziati per far scendere la pressione fiscale. L'idea, semmai, è quella di rendere ancora più cogente la regola della "flessibilità". Del resto, già nelle due ultime leggi di Stabilità l'Italia ha usato alcune clausole - come quella per le riforme - al fine sostanziale di provare a comprimere le imposte. Si tratta di un percorso, nel quale a Trattati invariati si incida su tutte le alternative che gli stessi Trattati già presentano. Secondo Palazzo Chigi, ad esempio, questo è stato il percorso seguito con la discussa misura sugli 80 euro. Ma altre strade sono percorribili nel pacchetto di normative europee. Con un solo obiettivo: tagliare le tasse e mantenere inalterati i simboli dei parametri europei. In tutte le ipotesi esaminate, comunque, viene scartata la possibilità di finanziare il taglio delle tasse con la sola sforbiciata alla spesa pubblica. La spending review non può essere sufficiente. Anche perché il governo registra un effetto boomerang sul Pil: almeno un terzo della riduzione della spesa si riflette sulla mancata crescita. I dati offerti dall'Economia indicano per il 2016 la possibilità di incidere in negativo sul Prodotto interno lordo per lo 0,5 per cento. Ma la partita fiscale è solo all'inizio. © Riproduzione riservata 28 febbraio 2016 Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/02/28/news/_anticipare_il_taglio_delle_tasse_con_una_manovra_europea_ecco_la_mossa_del_governo-134400411/?ref=HREC1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Renzi: "Basta con la politica subalterna ai magistrati. Inserito da: Arlecchino - Aprile 26, 2016, 09:14:29 am Renzi: "Basta con la politica subalterna ai magistrati.
Ora norme per accelerare i processi" L'intervista. "Davigo? Faccia i nomi. Non mi interessa la discussione sulle intercettazioni" Di CLAUDIO TITO 25 aprile 2016 "DAVIGO faccia nomi e cognomi " ma dire che "sono tutti colpevoli significa dire che nessuno è colpevole". Matteo Renzi non accetta l'equazione del neo presidente dell'Anm. Difende la "politica" e anzi avverte che è "ormai finito il tempo della subalternità". La stagione apertasi con Tangentopoli, insomma, si è chiusa. Quindi, ripete, non si sta riaprendo un nuovo scontro con la magistratura: "Noi facciamo le leggi, loro i processi". E nel giorno in cui l'Italia festeggia la Liberazione, ricorda quali siano i limiti fissati dalla nostra Costituzione. Il suo valore costitutivo è "l'antifascismo". Per il quale è ancora "giusto tenere alta la guardia". Pochi anni fa il centrodestra proponeva di abolire questa Festa. E' una data che rappresenta il nucleo dei valori della Repubblica. Vede in pericolo quei valori? "No. L'antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia". La destra populista che a Roma si presenta con il volto della Meloni e della grillina Raggi non sono il segno che il senso più profondo della Liberazione rischia di essere travolto? "No. Fossi romano voterei Giachetti, senza esitazioni. Candidato serio e competitivo. La destra e i cinque stelle sono alternativi al Pd nei progetti. Aggiungo che nei programmi concreti mi sembrano inconsistenti e superficiali. Ma tutti, nessuno escluso, ci riconosciamo nei valori della Costituzione. Sostenere il contrario significa dare spazio alla delegittimazione come arma della politica. Io invece rispetto i miei avversari. Voglio sconfiggerli nelle urne, ma ne rispetto la funzione democratica ". Soprattutto nel suo partito, qualcuno ritiene che la riforma costituzionale sia una mina piazzata proprio sotto gli ideali della Costituzione nata sui principi del 25 aprile. La accusano d'aver avallato una deriva autoritaria. "Ma per favore! Un po' di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato il fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del Governo. Si può essere d'accordo o meno con la riforma costituzionale, ma proprio il rispetto per la Guerra di Liberazione dovrebbe imporre di confrontarci nel merito". Anche sul terreno della giustizia. Il presidente dell'Anm Davigo sostiene che tutti o quasi i politici siano dei ladri. "I politici che rubano fanno schifo. E vanno trovati, giudicati e condannati. Questo è il compito dei magistrati, cui auguriamo rispettosamente di cuore buon lavoro. Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è colpevole. Esattamente l'opposto di ciò che serve all'Italia. Voglio nomi e cognomi dei colpevoli. E voglio vedere le sentenze". Quelle parole sono un'invasione di campo? "No. Una politica forte non ha paura di una magistratura forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano". Il pm Di Matteo ieri su Repubblica accusa la classe politica addirittura di andare a braccetto con la mafia. "Vale lo stesso principio. Nomi e cognomi, per favore. E sentenze". Scusi, ma nelle regioni del nostro mezzogiorno, la sensazione di uno Stato poco presente c'è. Ed è la premessa per il proliferare della criminalità organizzata. "Sono reduce da una giornata campana e dalla firma del primo patto per il Sud, dieci miliardi di euro per la Campania di Enzo De Luca, con impegni scritti e tempi certi. Una rivoluzione nel metodo e nel merito. Non ci tiriamo indietro e ci stiamo impegnando senza tregua". Forse c'è bisogno di riformare anche la giustizia. Di dare più risorse. Pensa di intervenire sulle intercettazioni? "Personalmente non sono interessato all'ennesima discussione sulle intercettazioni, che credo riguardi soprattutto la deontologia del giornalista e l'autoregolamentazione del magistrato. Sulle riforme abbiamo aumentato la pena per i corrotti, istituito l'Autorità Nazionale con Cantone, obbligato chi patteggia a restituire tutto il maltolto, inserito il reato ambientale. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della giustizia". E quindi che fine fa la legge che allunga i tempi della prescrizione? "Va bene allargare la prescrizione, ma dando tempi certi tra una fase processuale e l'altra. Non è umanamente giusto che si debbano attendere anni, talvolta decenni, per finire un processo". Sembra comunque che riemerga un nuovo scontro tra magistratura e politica. "Non mi pare. Invito tutti a fare il proprio lavoro nel rispetto della carta costituzionale. Noi facciamo le leggi, loro fanno i processi. Buon lavoro a tutti". In questi mesi si è spesso discusso di un taglio delle tasse. E' possibile una manovra fiscale prima delle amministrative? "No. Non abbiamo fatto in tempo ancora a festeggiare l'abolizione dell'Imu, studiare gli effetti del super-ammortamento per le aziende al 140%, valutare l'impatto dell'abolizione dell'Irap, ottenere riscontro dall'abolizione delle tasse sull'agricoltura, e dovremmo già fare un'altra manovra? Questo è il Governo che ha ridotto più tasse nella storia repubblicana, sfido chiunque a dire il contrario. La prossima riduzione fiscale sarà con la Stabilità 2017". In quell'occasione si possono abbassare le aliquote Irpef? "Vedremo in Stabilità. Calma e gesso. L'unica cosa di cui i cittadini possono essere tranquilli è che le tasse continueranno a scendere". Ogni obiettivo, però, va misurato con i dati reali. Lei ha previsto una crescita quest'anno dell'1,2%. Molti istituti come l'Fmi hanno stime inferiori. La Germania arriverà all'1,7. Da noi qualcosa non va. "Anche lo scorso anno il Fondo ha sottostimato la nostra crescita allo 0,5 ed è stata di 0,8. Quanto alla differenza con gli altri Paesi europei, non partiamo di rincorsa: avendo avuto tre anni di recessione è più difficile rimetterci in pari. Ma ci stiamo vicini, finalmente". Ed è sicuro che le sue ricette siano compatibili con i parametri europei? Siamo sempre sotto osservazione. "Tutti i Paesi sono sempre sotto osservazione. Ma adesso la musica mi sembra cambiata: non siamo più il problema, non siamo più nell'occhio del ciclone. Anzi, mi faccia fare i complimenti a Padoan per l'ottimo lavoro a livello europeo. E con lui a tutto il team, da Calenda a Gualtieri. Come ha riconosciuto sul suo giornale ieri il fondatore Scalfari siamo passati dalla fase delle sole critiche alle proposte. Ma noi continueremo a insistere per parlare più di crescita che di austerity". A proposito, Draghi ha fatto bene a rispondere alle pressioni tedesche sui tassi? "Assolutamente sì. La maggioranza dei Paesi lo sostiene con vigore, non solo noi". Con l'estate l'Italia torna sotto pressione dal punto di vista delle migrazioni. Che fine fa il Migration Compact che avete proposto a Bruxelles? "I numeri non sono così drammatici come qualcuno vorrebbe far credere: siamo in linea con gli ultimi due anni. Ma diciamo la verità: dopo mesi finalmente si riconosce che la cosa veramente necessaria è cambiare approccio a livello europeo, impostando una diversa relazione con l'Africa. Lo dicevamo solo noi, un anno fa. Adesso lo dicono tutti. La scommessa è passare dalle parole ai fatti: io ci credo". I numeri non saranno drammatici, ma i cittadini europei non la pensano così. Ha visto cosa è successo in Austria? "Certo, è un campanello d'allarme. Rispetto le scelte del popolo austriaco, ma sono convinto che loro rispetteranno le decisioni prese dall'Ue". Veramente stanno per chiudere il Brennero. "Sarebbe un problema per l'Europa. Un passo indietro per i valori del trattato di Schengen. Un danno enorme per gli ideali europei e per l'economia dei nostri due Paesi". La strada per affrontare l'emergenza immigrati passa per la Libia. Un governo adesso si è formato. Interverrete militarmente? "No. Interverremo solo se il Governo Serraj chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno. E solo insieme alla comunità internazionale. Pronti a un ruolo forte, ma niente avventure". Tornando alle vicende domestiche. A giugno si vota nelle cinque città più importanti. Teme un voto contro di lei? Qual è il risultato minimo accettabile per il Pd? "Il voto amministrativo è un voto sui sindaci. Sulle persone. Non è un voto di partito. Impossibile dunque fare previsioni o azzardare risultati minimi: si vota per il primo cittadino, non per il primo ministro". Il referendum costituzionale, però, un voto su di lei lo sarà. "Sono pronto a discutere nel merito con chiunque. Ma questa riforma è un fatto storico. Sarà il popolo a dire sì o no, con buona pace di chi parla di vulnus democratico. Io, da parte mia, farò campagna elettorale in tutte le regioni, nelle piazze e nei teatri, per spiegare le ragioni dell'Italia che dice sì. Dell'Italia che non vuole solo contestare". Un'ultima domanda in qualità di tifoso di calcio. Dai diritti tv alla gestione del sistema di quello sport nel suo insieme, si susseguono scandali. Sta pensando ad una riforma del settore? "Si, ci sta lavorando in modo costante il sottosegretario Lotti. Questione di qualche settimana e presenteremo il nostro progetto ". © Riproduzione riservata 25 aprile 2016 Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/25/news/matteo_renzi_basta_con_la_politica_subalterna_ai_magistrati_ora_norme_per_accelerare_i_processi_-138394583/?ref=HRER1-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Tagli alle tasse, cambia la manovra. Inserito da: Arlecchino - Agosto 23, 2016, 11:24:36 pm Tagli alle tasse, cambia la manovra. Proposta alla UE per i fondi alla cultura L'idea di Renzi per il vertice di Ventotene con Merkel e Hollande. Nelle linee guida della legge di Stabilità anche aiuti ai pensionati Di CLAUDIO TITO 21 agosto 2016 ROMA - Un taglio alla pressione fiscale e un progetto allo studio sulle pensioni minime. La legge di Stabilità 2017 si muoverà lungo questi due binari. Con un ammontare che si avvicinerà ai 25 miliardi. Ma il presidente del Consiglio Matteo Renzi spera di avere a disposizione per l'anno prossimo anche altre risorse: la proposta italiana al vertice di Ventotene di domani con Angela Merkel e François Hollande sarà infatti il varo di un piano Juncker straordinario per la cultura. Investimenti fuori dai vincoli del patto per restaurare e valorizzare luoghi simbolo dell'identità europea. La manovra che il governo dovrà presentare a settembre è nelle sue grandi linee sostanzialmente pronta. L'unico punto interrogativo riguarda il tasso di crescita per l'anno in corso che nell'esecutivo sono ancora convinti di poter fissare all'1 per cento (un ottimismo derivante dal buon andamento dei consumi nel periodo estivo sebbene si tratti comunque di un dato in discesa rispetto alle previsioni dell'ultimo Def). Una soglia che, secondo i calcoli governativi, consentirebbe di evitare una correzione dei conti. Sperando poi per il prossimo anno in un incremento dell'1,3%. Nel pacchetto in corso di definizione negli uffici di Palazzo Chigi e del Tesoro, allora, alcune misure sono considerate sostanzialmente sicure e puntano in primo luogo a limare il peso delle tasse. L'idea di fondo si basa sulla necessità di liberare il massimo delle risorse possibili per dare una spinta alla ripresa. Gli effetti della riduzione dei tassi seguita ormai da tempo dalla Bce non sono più sufficienti a stimolare una crescita costante e a incoraggiare investimenti e consumi. È quindi confermata la riduzione dell'Ires al 24 per cento. La misura era stata già disposta nella scorsa legge di Stabilità e viene considerata un tassello fondamentale per provare a rilanciare il Pil che nel 2016 non ha segnato l'incremento sperato. Soprattutto se lo si confronta con buona parte dei paesi europei. Il secondo elemento dato ormai per certo dai tecnici dell'esecutivo riguarda la proroga del cosiddetto superammortamento del 140 per cento per chi investe. Anzi, proprio nel tentativo di dare un nuovo impulso all'economia, i benefici fiscali potrebbero essere estesi: non solo quindi per i beni strumentali. Il terzo provvedimento concerne ancora una misura già in vigore quest'anno: la detassazione dei premi di produttività. L'idea del governo è però quella di estendere lo sgravio da 2500 euro a 4 mila alzando il tetto di reddito massimo per usufruirne: da 50 mila a 75 mila. La parte fiscale della manovra si dovrebbe chiudere con la previsione di alcuni vantaggi per le partite Iva (in particolare per chi gode del cosiddetto regime forfettario con aliquota fissa al 15%). Un quadro che porta dunque a escludere nella legge di Stabilità 2017 il taglio delle aliquote Irpef che sarà rinviato almeno al 2018. Per le pensioni, invece, a Palazzo Chigi considerano ancora prioritario dare un segnale alle "minime". Il totale di questi interventi deve essere ancora precisato: dipende dalla platea prescelta. Per ora le stime di spesa sfiorano i cinque miliardi. Un esborso su cui l'Economia sta ancora effettuando tutte le valutazioni. Anche perché alle "coperture" ne vanno aggiunti almeno altri 15 per disinnescare le clausole di salvaguardia che farebbero, in caso contrario, salire tutte le aliquote dell'Iva. E poi ci sono le spese che riguardano l'ordinaria amministrazione, i fondi di emergenza e probabilmente una quota di risorse per il rinnovo di alcuni contratti pubblici e una forma di prolungamento degli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato. Non è un caso che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, abbia già avviato la trattativa con la Ue e in particolare con alcuni leader europei per conquistare per il prossimo anno un'ulteriore quota di flessibilità. L'Italia si era infatti impegnata a tenere il rapporto deficit/Pil sotto l'1,8 per cento nel 2017. Ma già allo stato, con la crescita che non ha compiuto il balzo sperato, si sfiorerebbe il 2% senza considerare i nuovi incentivi. L'obiettivo quindi è di strappare un benefit che possa portare il deficit almeno alla stessa quota dell'anno in corso: 2,3%. Facendo ricorso alle clausole per le riforme, per gli investimenti e per il ciclo economico eccezionale determinato dalla Brexit. Un argomento che domani inevitabilmente sfiorerà il vertice del premier italiano con Merkel e Hollande, nel quale il premier formalizzerà la proposta sugli investimenti in cultura, considerati strategici non solo per allentare le politiche di rigore ma anche in un'ottica di battaglia identitaria: la difesa concreta di quel patrimonio ideale comune sotto attacco del terrorismo. Tesoro e Palazzo Chigi non sono intenzionati a superare quella soglia anche per mantenere l'obiettivo di stabilizzare il debito ancora in crescita. Ma per coprire tutte queste spese hanno già messo nel conto una nuova razione di spending review. Forse un po' più incisiva di quella degli anni scorsi. © Riproduzione riservata 21 agosto 2016 DA - http://www.repubblica.it/economia/2016/08/21/news/manovra_tasse-146352553/?ref=HREA-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Direzione Pd, nella gabbia dell'estinzione Inserito da: Arlecchino - Febbraio 17, 2017, 12:22:48 am Direzione Pd, nella gabbia dell'estinzione Di CLAUDIO TITO QUANDO la politica diventa solo ed esclusivamente rapporti di forza, si inaridisce. Fino all'estinzione. Ma il Pd sembra non accorgersene. I dirigenti di quel partito - tutti i dirigenti - si mostrano ormai imprigionati in uno schema ripetitivo. In una gabbia che ha come unica via d'uscita l'esplosione o la paralisi. La direzione democratica è stata infatti un'ennesima occasione mancata. È ormai evidente che la sinistra non riesce a imparare dai suoi errori. Renziani e minoranza non sanno correggere il loro canovaccio più tradizionale. Sono due fronti capaci di coltivare una istintiva incompatibilità rinunciando del tutto alla razionalità della convivenza. I toni della discussione sono stati forse più pacati rispetto al recente passato. Un confronto abbassato forse solo di qualche decibel. Ma non c'è stata sostanza. Non c'è stata politica. Un po' di tattica e zero strategia. Un partito fermo, nelle migliori delle ipotesi, al 5 dicembre. Ossia alla sconfitta referendaria. Un gruppo dirigente ripiegato su se stesso. Preoccupato di vincere la resa dei conti più che affrontare le nuove sfide. Come se dietro l'angolo non ci fosse anche per il nostro Paese il pericolo di una nuova destra che si affaccia davanti agli elettori con il volto di un populismo vincente. Che può vantare nel suo album le figurine di Trump, della Brexit inglese e della impressionante cavalcata di Le Pen in Francia. Una sinistra e un centrosinistra moderno dovrebbero sforzarsi di costruire una risposta politica a quel volto. E invece si rifugiano in una sorta di ring autogestito e autoreferenziale in cui il trofeo in palio è solo, appunto, la definizione dei rapporti di forza. La maggioranza e la minoranza del Pd si muovono lungo il crinale di un suicidio vivendo una specie di dissociazione che impedisce a tutti di capire le ragioni delle sconfitte subite. Questa potrebbe essere l'occasione per definire un nuovo progetto e per riconquistare una nuova credibilità. Ma tutto questo è possibile solo se la politica torna ad essere il vero nucleo del confronto. Un leader allora deve essere in grado di farsi carico delle differenze, deve essere il baricentro di un organismo complesso. E la minoranza interna non dovrebbe liberarsi del complesso renziano evitando di approcciare l'attuale segretario con rancore e solo con l'obiettivo di fargli perdere il controllo della "ditta". Non c'è dubbio allora che dopo la botta che Renzi ha preso a dicembre e dopo le dimissioni dalla presidenza del Consiglio, il successivo passo non possa che essere il congresso. Negarlo è pretestuoso. Va convocato per scegliere il segretario, certo. Ma anche per costruire le "armi" ideali da usare contro la nuova destra. Evitando la tentazione di legittimarla - come alcuni esponenti della minoranza dem hanno fatto con il M5S - o di sottovalutarla come ha fatto la sinistra agli albori del berlusconismo. Questo dovrebbe essere l'obiettivo di un moderno partito democratico. Senza l'incubo di scissioni o di improvvisi ritorni alle elezioni. Perché entrambi gli scenari, in questo momento, sono agitati dai due contendenti con una sola finalità: regolare i conti interni. Ne è la prova lo sterile dibattito sulla legge elettorale. I democratici a forza di non riconoscersi reciprocamente hanno completamente perso di vista la ragione sociale che li ha tenuti insieme: la vocazione maggioritaria. Il ritorno alla proporzionale rappresenta un infarto al cuore del Pd. E forse non è un caso che già nella direzione di ieri si siano materializzati i fantasmi di due ex partiti: i Ds e il Ppi. La direzione per un momento è sembrata un virtuale congresso diessino con Bersani, Speranza e Orlando. O un resuscitato Consiglio nazionale della Dc al tramonto con tutti i suoi silenzi e le lotte di potere. Ma quando la politica si trasforma solo in rapporti di forza, l'antipolitica diventa una forza. © Riproduzione riservata 14 febbraio 2017 Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/14/news/nella_gabbia_dell_estinzione-158258406/?ref=HRER3-1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il piano giudiziario e quello politico Inserito da: Arlecchino - Marzo 03, 2017, 04:21:39 pm Il piano giudiziario e quello politico
L’ex presidente del consiglio ha il dovere di spiegare o almeno di sottoporre ai suoi elettori e ai militanti del Pd un chiarimento sull'inchiesta Consip Di CLAUDIO TITO 03 marzo 2017 IN TUTTE le inchieste che riguardano o toccano esponenti politici, esistono sempre due piani di valutazione diversi: quello giudiziario e quello politico. Piani diversi ma non per forza distinti. Le indagini, gli interrogatori, le prove e le controprove. Le responsabilità di tutti gli indagati devono essere stabilite dai giudici. Si tratta di un percorso che si conclude con il processo. Dovranno essere solo e soltanto i magistrati a stabilire — con la massima rapidità possibile — se l’imprenditore Romeo o Tiziano Renzi, il padre di Matteo, sono colpevoli di qualche reato. La giustizia farà autonomamente il suo corso come è giusto che sia. Questa è la fisiologia di ogni Stato di diritto. Ma poi c’è il secondo livello. Che individua il suo nucleo su una osservazione: la rilevanza penale non sempre coincide con l’incidenza politica. Questo secondo piano di valutazione ha un carattere che non è determinato, bensì è definito dalle inchieste. Nessuno può far finta di niente quando un ministro della Repubblica e il genitore del principale leader politico del Paese vengono inseriti nei registri di una procura. In quel preciso istante prende corpo la necessità di rispondere al Paese proprio in virtù dei voti ricevuti e richiesti agli italiani, e di quelli ottenuti in Parlamento. L’ex segretario del Pd, allora, dinanzi a documenti ufficiali dei pm che descrivono un contesto opaco in cui si sarebbero mossi parenti e amici — al di là del fatto se quella opacità si configurerà o meno come reato — non può limitarsi a dire di avere fiducia nella magistratura. È scontato che chi ha avuto l’onore di guidare il governo del Paese abbia fiducia nel potere giudiziario. In gioco non c’è solo una sorte processuale. C’è qualcosa di più. L’ex presidente del consiglio ha il dovere di spiegare o almeno di sottoporre ai suoi elettori e ai militanti del Pd un chiarimento. Per un semplice motivo: in questi mesi il più grande partito della sinistra italiana e anche d’Europa si gioca larga parte del suo destino. Deve affrontare un congresso dopo un’ennesima scissione. Poi deve rendere conto agli elettori con le elezioni politiche. Arriva a questi due appuntamenti con una evidente fragilità. Gli effetti del referendum del 4 dicembre assomigliano ad una eco che si abbatte all’infinito sul Pd. Il governo Gentiloni non gode di una forma migliore. Del resto è l’esito di una sconfitta e viene ancora adesso percepito come una navicella di salvataggio che deve condurre l’Italia e una sinistra ferita verso la prossima tornata elettorale. L’insieme di questi fattori indebolisce ulteriormente il sistema-Paese. E infatti in questo contesto anche a livello internazionale la nostra immagine si appanna sempre più. Per di più, come in un quadro che sembra disegnato ad arte per spianare la strada ai nuovi populismi della destra nostrana, i Democratici si ritrovano sballottati dai venti di una specie di tempesta perfetta: le inchieste, lo scontro sui vitalizi dei parlamentari, le polemiche sul tesseramento “comprato” e la condanna dell’ex alleato Denis Verdini. Sono tutte tessere di un mosaico che imprigiona il centrosinistra in una sorta di paralisi che la inibisce trasferendo vigore ai demagoghi di turno. Ma proprio per questo l’inchiesta Consip non può essere affrontata solo come un caso giudiziario. Matteo Renzi è chiamato politicamente a darne conto. A spiegare che non ha nulla a che vedere con quel grumo di affari e tangenti al centro dei sospetti dei magistrati. Che se mai il suo nome è stato utilizzato, è avvenuto a sua insaputa e comunque senza alcuna conseguenza concreta sugli appalti assegnati dalla Consip. Che il padre di un presidente del consiglio non può permettersi il lusso di incontrare e frequentare chiunque. Perché, appunto, non è in discussione l’esito di un processo che non lo riguarda personalmente. Ma la posta è perfino superiore. Quella di non assestare un ulteriore colpo a un Paese sempre più esposto ai tifoni del populismo. Il dovere dell’ex segretario democratico, dunque, è di chiarire e non di restare in silenzio. © Riproduzione riservata 03 marzo 2017 Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/03/news/il_piano_giudiziario_e_quello_politico-159632410/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.2-T1 Titolo: CLAUDIO TITO. Il piano giudiziario e quello politico Inserito da: Arlecchino - Marzo 05, 2017, 11:21:51 pm Il piano giudiziario e quello politico
L’ex presidente del consiglio ha il dovere di spiegare o almeno di sottoporre ai suoi elettori e ai militanti del Pd un chiarimento sull'inchiesta Consip Di CLAUDIO TITO 03 marzo 2017 IN TUTTE le inchieste che riguardano o toccano esponenti politici, esistono sempre due piani di valutazione diversi: quello giudiziario e quello politico. Piani diversi ma non per forza distinti. Le indagini, gli interrogatori, le prove e le controprove. Le responsabilità di tutti gli indagati devono essere stabilite dai giudici. Si tratta di un percorso che si conclude con il processo. Dovranno essere solo e soltanto i magistrati a stabilire — con la massima rapidità possibile — se l’imprenditore Romeo o Tiziano Renzi, il padre di Matteo, sono colpevoli di qualche reato. La giustizia farà autonomamente il suo corso come è giusto che sia. Questa è la fisiologia di ogni Stato di diritto. Ma poi c’è il secondo livello. Che individua il suo nucleo su una osservazione: la rilevanza penale non sempre coincide con l’incidenza politica. Questo secondo piano di valutazione ha un carattere che non è determinato, bensì è definito dalle inchieste. Nessuno può far finta di niente quando un ministro della Repubblica e il genitore del principale leader politico del Paese vengono inseriti nei registri di una procura. In quel preciso istante prende corpo la necessità di rispondere al Paese proprio in virtù dei voti ricevuti e richiesti agli italiani, e di quelli ottenuti in Parlamento. L’ex segretario del Pd, allora, dinanzi a documenti ufficiali dei pm che descrivono un contesto opaco in cui si sarebbero mossi parenti e amici — al di là del fatto se quella opacità si configurerà o meno come reato — non può limitarsi a dire di avere fiducia nella magistratura. È scontato che chi ha avuto l’onore di guidare il governo del Paese abbia fiducia nel potere giudiziario. In gioco non c’è solo una sorte processuale. C’è qualcosa di più. L’ex presidente del consiglio ha il dovere di spiegare o almeno di sottoporre ai suoi elettori e ai militanti del Pd un chiarimento. Per un semplice motivo: in questi mesi il più grande partito della sinistra italiana e anche d’Europa si gioca larga parte del suo destino. Deve affrontare un congresso dopo un’ennesima scissione. Poi deve rendere conto agli elettori con le elezioni politiche. Arriva a questi due appuntamenti con una evidente fragilità. Gli effetti del referendum del 4 dicembre assomigliano ad una eco che si abbatte all’infinito sul Pd. Il governo Gentiloni non gode di una forma migliore. Del resto è l’esito di una sconfitta e viene ancora adesso percepito come una navicella di salvataggio che deve condurre l’Italia e una sinistra ferita verso la prossima tornata elettorale. L’insieme di questi fattori indebolisce ulteriormente il sistema-Paese. E infatti in questo contesto anche a livello internazionale la nostra immagine si appanna sempre più. Per di più, come in un quadro che sembra disegnato ad arte per spianare la strada ai nuovi populismi della destra nostrana, i Democratici si ritrovano sballottati dai venti di una specie di tempesta perfetta: le inchieste, lo scontro sui vitalizi dei parlamentari, le polemiche sul tesseramento “comprato” e la condanna dell’ex alleato Denis Verdini. Sono tutte tessere di un mosaico che imprigiona il centrosinistra in una sorta di paralisi che la inibisce trasferendo vigore ai demagoghi di turno. Ma proprio per questo l’inchiesta Consip non può essere affrontata solo come un caso giudiziario. Matteo Renzi è chiamato politicamente a darne conto. A spiegare che non ha nulla a che vedere con quel grumo di affari e tangenti al centro dei sospetti dei magistrati. Che se mai il suo nome è stato utilizzato, è avvenuto a sua insaputa e comunque senza alcuna conseguenza concreta sugli appalti assegnati dalla Consip. Che il padre di un presidente del consiglio non può permettersi il lusso di incontrare e frequentare chiunque. Perché, appunto, non è in discussione l’esito di un processo che non lo riguarda personalmente. Ma la posta è perfino superiore. Quella di non assestare un ulteriore colpo a un Paese sempre più esposto ai tifoni del populismo. Il dovere dell’ex segretario democratico, dunque, è di chiarire e non di restare in silenzio. © Riproduzione riservata 03 marzo 2017 Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/03/news/il_piano_giudiziario_e_quello_politico-159632410/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.2-T1 Titolo: CLAUDIO TITO. I partiti senza idee e il ritorno alla palude. Inserito da: Arlecchino - Maggio 30, 2017, 11:04:14 am I partiti senza idee e il ritorno alla palude.
Sembra che i partiti si sentano dispensati dall'obbligo di comunicare agli elettori i loro programmi e abbiano deciso di regredire in una sorta di immaturità permanente Di CLAUDIO TITO 30 maggio 2017 Nel confronto di queste settimane sulla riforma elettorale e sulla data del voto, manca sempre qualcosa. Il dibattito si presenta amputato. Privato di quel nucleo essenziale che dovrebbe dare anima e sostanza a tutte le forze politiche. Quali sono gli obiettivi? Cosa intendono fare dopo le urne? Semplicemente qual è il loro programma? Non c'è nulla di tutto questo. Sembra quasi che nel tempo della transizione i partiti si sentano dispensati dall'obbligo di comunicare agli elettori i loro propositi e abbiano deciso di regredire in una sorta di immaturità permanente. Non si spiega altrimenti quel che sta accadendo in Parlamento. I quattro principali partiti - Pd, M5s, Forza Italia e Lega - si stanno mettendo d'accordo per approvare una legge che ricalca il modello proporzionale tedesco. È doveroso che una democrazia abbia un sistema elettorale degno di questo nome. E l'Italia non ce l'ha. Ma non è solo questo in discussione. Il vero nodo si concentra nel motivo per cui queste quattro forze politiche lo scelgono: l'impotenza. Negli ultimi ventitré anni, uno schema sostanzialmente maggioritario ha costretto tutti a misurarsi con le richieste dei cittadini e a presentare loro le idee, le linee di un futuro governo. A esporre la loro natura. Adesso succede il contrario. In una sorta di ritorno al "pentapartito" della Prima Repubblica, tutto si rinvia a dopo. In un enorme bacino dell'indistinto. Il cui pericolo più concreto prende la forma di una nuova palude in cui ogni mossa sarà frenata dalla melma. Del resto ignorare che il sistema politico italiano non è quello di Berlino non può che portare a queste conclusioni. In Germania ci sono due grandi partiti, una leader riconosciuta, Angela Merkel, e il fronte populista non supera mai la soglia del 10%. In Italia la vera guida è la frammentazione e la protesta populista nei sondaggi arriva al 40%. Basta allora osservare la traiettoria assunta dal Pd di Renzi. Un partito nato sulla vocazione maggioritaria, appare preoccupato soprattutto di ritornare al voto per dimostrare a se stesso che la sconfitta del 4 dicembre (la principale causa delle attuali distorsioni) è stata solo un incidente di percorso. Ma il leader democratico non chiarisce quali siano le sue finalità. Come intende governare il Paese. Non riesce a delineare i confini ideali del suo partito. Non può farlo. Non può presentare il suo programma reale. Perché sa che nel migliore dei casi - dopo il voto - dovrà allearsi con il partito di Silvio Berlusconi. Con il partito che il Pd ha combattuto per 20 anni e con il quale non dovrebbe condividere nulla dal punto di vista dei contenuti. Il Partito democratico avrebbe l'obbligo di rilanciare almeno un istintivo riformismo, ma è paralizzato nell'impossibilità di aggiornare il suo profilo. Anzi il ritorno alla proporzionale lo sta inconsapevolmente modificando. E questa mutazione riguarda anche gli "scissionisti" del Pd, appagati dalla speranza della sconfitta renziana. Lo stesso riguarda Forza Italia. Berlusconi però si crogiola nella speranza di recuperare centralità senza avere più i consensi di un tempo. E senza nemmeno rinverdire gli onirici proclami mai realizzati. Il paradosso si raggiunge con i grillini e i leghisti. Il Movimento5Stelle si sta rintanando in una posizione meramente speculativa. La paura di governare - esplosa con i disastri della giunta Raggi a Roma - spinge l'ex comico ad accettare il bottino di parlamentari che conquisterà in autunno (se davvero si voterà in autunno). Si rintana nella sua identità primordiale: quella del vaffa. Sapendo - o sperando - che se nascerà il governissimo Renzi-Berlusconi potrà ricominciare a sparare contro tutto e tutti. Senza bisogno di spiegare agli italiani cosa vogliano davvero fare per il Paese. Come può cambiare. Come affrontare la crisi dell'Unione europea e il rapporto con Trump. Come rimettere in ordine i conti dello Stato o abbassare il tasso di disoccupazione. Solo slogan inattuabili. In perfetto spirito populista. Seguito a ruota dalla Lega di Salvini già pronta a denunciare gli "inciuci". Non si tratta quindi di un novello patto del Nazareno, ma di un'intesa per la sopravvivenza che coinvolge tutti e quattro. Assecondando così il sentimento provato da molti elettori e che Zygmunt Bauman spiegava in questi termini: "Per una grande maggioranza di cittadini l'idea di contribuire a indirizzare il corso degli eventi raramente è considerata credibile". Il ritorno alla Prima Repubblica e il tempo della immaturità portano dunque tutti questi "doni". Le classi dirigenti di questo Paese, a cominciare dai partiti che sostengono con distrazione il governo Gentiloni, dovrebbero allora riflettere prima di fare un passo indietro. Utilizzino il tempo rimanente per tentare ancora una legge elettorale che stabilisca maggioranze certe e omogenee. E soprattutto facciano ora quello che poi non si potrà più fare. Oggi su Repubblica Liana Milella e Lavinia Rivara spiegano bene quanti provvedimenti fondamentali e civili siano ancora all'esame del Parlamento. Impieghino le loro energie per approvarli. E si concentrino sulla prossima legge di Stabilità senza escogitare barocchi artifici. E soprattutto evitando di esporci al baratro dell'esercizio provvisorio e della speculazione finanziaria. © Riproduzione riservata 30 maggio 2017 Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/30/news/i_partiti_senza_idee_e_il_ritorno_alla_palude-166758727/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2 Titolo: CLAUDIO TITO. Napolitano: “Le bombe contro Gheddafi? Basta distorsioni ridicole: Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2017, 05:30:14 pm Napolitano: “Le bombe contro Gheddafi? Basta distorsioni ridicole: decise Berlusconi, non io”
L'ex presidente della Repubblica ricorda che “quella fu una vicenda con una forte dimensione internazionale, non un affare tra Italia e Francia”. “Sì al dialogo tra Roma e Parigi, a partire da Fincantieri” Di CLAUDIO TITO 03 agosto 2017 "Io ho un ricordo che altri forse hanno cancellato. Quella fu una vicenda con una forte dimensione internazionale. Non fu un affare tra francesi e italiani. Non fu una questione tra diverse personalità istituzionali del nostro Paese. Questa è una visione ridicolmente distorta della realtà". L'emergenza libica è tornata al centro della discussione tra le forze politiche. Le misure assunte in queste ore dal governo per arginare il flusso migratorio dalle coste africane verso l'Italia spesso alimentano lo scontro anche in riferimento alle scelte compiute nel 2011 che portarono alla defenestrazione e poi alla morte di Gheddafi. E soprattutto gli esponenti del centrodestra e del M5S riversano su Giorgio Napolitano la scelta di appoggiare la missione militare francese, decisa dall'allora presidente Sarkozy. Ma il capo dello Stato emerito non accetta quella versione dei fatti. In particolare vede ignorato il momento del vertice informale tenutosi accidentalmente al Teatro dell'Opera di Roma da cui emerse l'orientamento a partecipare in quanto Italia alle operazioni militari decretate dall'Onu. Presidente, molti rappresentanti di Forza Italia a cominciare da Berlusconi e ora anche i grillini continuano a considerare lei l'artefice di quella scelta. "Il protagonista dell'intervento in Libia fu fondamentalmente l'Onu. Non ci fu una decisione italiana a se stante. C'era stato dapprima un intervento unilaterale francese con l'appoggio inglese. Non interessa ora indagare sui motivi che spinsero Sarkozy a iniziare in tal modo l'attacco alla Libia di Gheddafi. Quella iniziativa intempestiva e anomala fu superata da altri sviluppi". Napolitano: “Le bombe contro Gheddafi? Basta distorsioni ridicole: decise Berlusconi, non io” L'ex presidente Giorgio Napolitano A che si riferisce? "Le Nazioni Unite affrontarono la situazione in Libia in un quadro ben più generale e collettivo approvando una prima e una seconda risoluzione; con la prima intimarono al colonnello Gheddafi di cessare le violenze in corso contro chi chiedeva libertà e contro manifestazioni che si ispiravano allora alla cosiddetta "primavera araba"". Ma cosa accadde in quell'incontro svoltosi al Teatro dell'Opera? "La consultazione informale di emergenza si tenne in coincidenza con la celebrazione al Teatro dell'Opera dei 150 anni dell'Unità d'Italia. A quella consultazione io fui correttamente associato. Il presidente della Repubblica è presidente del Consiglio supremo di Difesa, e in posizione di autorità costituzionale verso le forze armate, aveva titolo per esprimersi su una questione così importante. Ma quella sera la discussione fu aperta dall'allora consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Bruno Archi, che era in contatto diretto con New York mentre veniva varata la seconda risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzò e sollecitò un intervento armato ai sensi del capitolo settimo della Carta dell'Onu in considerazione del fatto che i precedenti appelli al governo libico non erano stati raccolti. Dal quadro complessivo rappresentato dal consigliere diplomatico di Palazzo Chigi emergeva l'impossibilità per l'Italia di non fare propria la scelta dell'Onu". Berlusconi sostiene che era contrario a recepire quella risoluzione e che fu lei invece a spingere in quella direzione. "Dire che il governo fosse contrario e che cedette alle pressioni del capo dello Stato in asse con Sarkozy, non corrisponde alla realtà. I miei rapporti con l'allora presidente francese erano di certo poco intensi e tutt'altro che basati su posizioni concordanti in un campo così controverso. E non soltanto io trovai fondate le considerazioni del Consigliere Archi, ma concordarono con esse anche autorevoli membri presenti del governo, come il Ministro della Difesa La Russa. L'Italia era interessata a che il da farsi sul piano internazionale in difesa dei diritti umani e del movimento della primavera in Libia non rimanesse oggetto di una sortita francese fuori di ogni regola comune, ma si collocasse nel quadro delle direttive dell'Onu e nell'ambito di una gestione Nato". In sostanza la decisione venne assunta dal governo. "In quella sede informale potemmo tutti renderci conto della riluttanza del Presidente Berlusconi a partecipare all'intervento Onu in Libia. Il Presidente Berlusconi ha di recente ricordato il suo travaglio che quasi lo spingeva a dare le dimissioni in dissenso da una decisione che peraltro spettava al governo, sia pure con il consenso della Presidenza della Repubblica. Che egli abbia evitato quel gesto per non innescare una crisi istituzionale al vertice del nostro paese, fu certamente un atto di responsabilità da riconoscergli ancora oggi. Però, ripeto, non poteva che decidere il governo in armonia con il Parlamento, che approvò con schiacciante maggioranza due risoluzioni gemelle alla Camera e al Senato, con l'adesione anche dell'allora opposizione di centrosinistra. La legittimazione di quella scelta da parte italiana fu dunque massima al livello internazionale e nazionale". Ma lei crede che fu un errore? "In quel 2011 era in gioco in Libia e altrove la garanzia del rispetto dei diritti umani e della legislazione internazionale ad essa ispirata. Ancor oggi è troppo facile giudicare sommariamente un errore l'intervento Onu in Libia. Quale fosse l'alternativa all'intervento sulla base della Carta delle Nazioni Unite, nessuno è in grado di indicarlo seriamente. A mio avviso, come qualche anno fa ho detto insieme con altri in Senato, l'errore veramente grave fu non dare, in quanto comunità internazionale, nessun contributo politico, di institution building, economico alla conclusione dell'operazione militare. Ci fu quasi un tirarsi fuori, e fu ciò che provocò il caos degli anni successivi". Anche in questi giorni la Francia del presidente Macron in alcuni momenti è sembrata volere assumere decisioni unilaterali proprio sulla Libia. "Macron si distingue nettamente da Sarkozy perché affronta in chiave europea tutte le questioni che possano interessare i nostri paesi. Nessun presidente francese di provenienza gollista ha in passato seguito questo approccio solidale. Mi sembra il punto sul quale anche il Presidente Tajani mette giustamente l'accento". In questi giorni molti hanno definito "napoleonica" la politica dell'Eliseo. Coglie questa tendenza anche nella vicenda Fincantieri/Stx? "Consiglierei la massima misura e serietà, anziché alimentare contrapposizioni tra Italia e Francia, anche se si stanno verificando divergenze su qualche problema di notevole rilevanza come quello del futuro di Fincantieri. Sono convinto che il Presidente Gentiloni si stia muovendo con chiarezza e fermezza nella convinzione che si possa e debba arrivare a posizioni concordi tra il suo governo e quello del Presidente Macron". © Riproduzione riservata 03 agosto 2017 Da - Titolo: CLAUDIO TITO. M5s, la tecno-democrazia impigliata nella Rete Inserito da: Arlecchino - Settembre 24, 2017, 11:20:22 am M5s, la tecno-democrazia impigliata nella Rete
Di CLAUDIO TITO 22 settembre 2017 SI COGLIE una fatale legge del contrappasso in queste primarie del Movimento 5Stelle. In un giorno i grillini sono riusciti a smontare i miti su cui hanno costruito il loro successo. L'idea che il "sol dell'avvenire" potesse sorgere solo sul web si è sciolta nelle inefficienze della famosa piattaforma Rousseau. Quel sistema vagheggiato come se potesse essere la nuova frontiera della politica si è inceppato alla prima prova concreta. Come un burocratico ministro dell'Interno incapace di organizzare anche i tradizionali seggi elettorali, il blog di Beppe Grillo ha dovuto annunciare che per motivi tecnici le operazioni di voto per scegliere il candidato premier - ossia Luigi Di Maio - si sarebbero protratte di altre diciassette ore: fino alle 12 di oggi. È evidente che i disguidi pratici non rappresentano il deficit più autentico del M5S. Il cuore delle incongruenze grilline trova origine nei proclami fideistici verso la democrazia di internet. E in un'interpretazione sbrigativa dei pilastri della rappresentanza politica. Meno di cinque mesi fa, proprio il leader del Movimento 5Stelle aveva solennemente annunciato: "Grazie alla tecnologia oggi è possibile votare online, un sistema molto più comodo rispetto a quello dei seggi fisici". E scagliandosi contro la "antistorica" scheda cartacea aveva puntato l'indice contro gli avversari: "Per questo non è stato fatto nessun passo in avanti per semplificare la burocrazia". Ma la rete non è un demiurgo che tutto risolve. La tecnologia, se applicata alle istituzioni, può funzionare solo se guidata da principi e ideali. Dinanzi a queste mancanze, l'incapacità di mettere a punto un normale sistema di consultazione degli iscritti è solo una parte del problema. Queste primarie farsesche ripropongono infatti il nucleo più profondo della questione grillina: la loro idea di democrazia. Un tema che i vertici del Movimento 5Stelle ignorano deliberatamente. Lo considerano un orpello, una scusa per frenare la loro ascesa. Per i pentastellati, tutto è semplice. O meglio tutto può essere banalizzato e non deve essere complicato da inutili sovrastrutture o procedure. La loro epica del web, del resto, si pone un obiettivo primario: semplificare anche ciò che è naturalmente complesso. E in questa semplificazione si perdono troppo spesso i caratteri genetici di ogni democrazia. La trasformano in una mistificazione. Le primarie di ieri hanno mostrato con evidenza i segni di questa degenerazione. Una manifestazione che si è sviluppata su due piani diversi. Quello tecnico, appunto, e quello politico. Due profili separati ma che inevitabilmente si intersecano. Il ritardo "tecnico" con cui si è votato, infatti, ha posto il problema di ogni elezione: con quali garanzie si vota. Se un sistema tecnologico si blocca, funziona male. Chi ha espresso la sua preferenza, dunque, non ha alcuna certezza che quell'indicazione sia stata rispettata. Il diritto alla trasparenza che ogni elettore dovrebbe avere è stato palesemente violato. Per un movimento che invocava ogni scelta in streaming è davvero il colmo far votare i suoi iscritti e poi tenere nascosti i risultati per 48 ore. In quale democrazia accade una cosa del genere? Perché la "comodità" del voto online non si traduce in una immediata comunicazione dei risultati? Quali assicurazioni - ad esempio di segretezza ed integrità del voto - può fornire un sistema che si inceppa perché in troppi vanno a votare e gli scrutatori si conservano le schede "virtuali" per due giorni? Tenendo presente che gli aventi diritto non erano una folla sterminata ma solo 140 mila tesserati. Il secondo profilo è ancora più preoccupante. Costituisce il nucleo delle contraddizioni pentastellate. Una competizione in cui figura un solo vero concorrente, non è mai regolare. In quel caso le elezioni assumono altre denominazioni: indicazione, imposizione, plebiscito. Di Maio, quando finalmente sarà proclamato il vincitore di questa "corsa", non potrà definirsi un "eletto". È stato scelto e imposto da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Queste non sono primarie ma una specie di congresso a candidatura unica. Senza contradditorio, senza concorrenza, senza politica. Più simili alle acclamazioni con cui venivano "selezionati" i capi dei partiti comunisti dell'est Europa prima della caduta del Muro di Berlino che alla votazione di un moderno e occidentale soggetto politico. Il risultato è appunto il simulacro di un modello democratico. Del resto solo pochi mesi fa, dinanzi allo scontro che si è consumato in Liguria all'interno del Movimento 5Stelle, Grillo ha compiuto la sua scelta e imposto il suo candidato con una giustificazione che non ha nulla che vedere con la democrazia: "Fidatevi di me". Anche stavolta l'ex comico ha detto ai suoi sostenitori: "Fidatevi di me" e votate Di Maio. L'unica fonte battesimale è la sua. Probabilmente l'M5S non può che funzionare così. Il capo ordina e gli attendenti seguono. La natura autoreferenziale e integralista del Movimento non permette aperture, non concede deviazioni. Tutto deve essere giocato dentro i confini segnati dall'ex comico e da Casaleggio. E in questo quadro la prima condizione da evitare è la contendibilità del vertice. Una leadership estranea al grillismo non è autorizzata. Il confronto, anche aspro, non è ammesso. Agli iscritti è consentita solo una democrazia formale, privata dei suoi nervi vitali. Per il gruppo pentastellato, evidentemente questa non è solo la prova del nove per vincere le prossime elezioni politiche. È qualcosa di più. Tutto viene vissuto come se fosse la sfida finale. La prima e ultima occasione per scalzare i partiti tradizionali e salire le scale di Palazzo Chigi. Convincere ora di poter essere il governo degli italiani perché in caso di sconfitta, il Movimento non sarebbe più in grado di reggere un'altra stagione all'opposizione. Una partita del genere si gioca chiudendo tutta la squadra nelle ferree regole del grillismo e certo non aprendola. "I partiti politici, essenziali per i sistemi democratici forti - scriveva tre giorni fa Moises Naim sul New York Times - , sono una specie in pericolo. Le democrazie hanno bisogno dei partiti politici. Abbiamo bisogno di organizzazioni in grado di rappresentare interessi e punti di vista diversi". E forse non è un caso che i grillini considerino un'offesa la definizione di "partito". Riproduzione riservata 22 settembre 2017 Da -http://www.repubblica.it/politica/2017/09/22/news/m5s_tecnodemocrazia-176206514/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2 Titolo: CLAUDIO TITO. Dialogo a sinistra in 5 mosse. Dallo Ius soli ai ticket, ... Inserito da: Arlecchino - Novembre 16, 2017, 08:55:35 pm Dialogo a sinistra in 5 mosse. Dallo Ius soli ai ticket, gli assi del governo
D’intesa con Gentiloni, Renzi apre a Mdp anche su lavoro, pensioni e biotestamento. Sull’articolo 18 l’ipotesi di un emendamento alla manovra che aumenti l’indennità dei licenziati Di CLAUDIO TITO 16 novembre 2017 Il dado è tratto. Lo Ius soli sarà legge prima che finisca l’anno. Pd e governo hanno deciso: il provvedimento sarà all’ordine del giorno del Senato subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio. Ossia nella prima settimana di dicembre. E Palazzo Chigi porrà la fiducia per superare l’enorme mole di emendamenti (quasi tutti della Lega). Confortati dalla disponibilità di Mdp, dalle dichiarazioni dei verdiniani e dalla non belligeranza degli uomini di Alfano alla ricerca di un porto sicuro in vista delle prossime elezioni, Renzi e Gentiloni hanno dato il via libera ai dem di Palazzo Madama. Lo Ius soli viene considerato il primo elemento di un pacchetto di iniziative che dovrebbe consentire al governo, come ripete spesso il premier, di chiudere «ordinatamente» la legislatura. E soprattutto permettere al leader Pd di avviare la trattativa con Mdp su un altro piano. Non più quello della leadership-premiership ma quello della piattaforma programmatica. Si tratta di un tavolo a cinque gambe che nelle intenzioni dei “mediatori” dei due partiti aprirebbe uno spazio di confronto su aspetti più concreti. Il primo di questi è, appunto, lo Ius soli. Gli altri quattro corrono sul filo sottile delle compatibilità economiche tracciate nel decreto fiscale e nella legge di Bilancio: Pensioni, Superticket sanitari, Jobs act e Biotestamento. «Il percorso è difficile, molto difficile - ripete Roberto Speranza -. Serve una svolta vera, sui contenuti. Non basta il passo indietro di Renzi». Il segretario dem lo ha capito. E ha deciso di provare a costruire questo tavolo programmatico a “cinque gambe” per compiere l’ultimo tentativo. Sapendo che anche dentro Mdp esiste un fronte meno contrario ad un’intesa. «Perchè - come dice Gianni Cuperlo, uno dei capi della minoranza Pd - Bersani è diverso da D’Alema. Ma serve uno sforzo. Dobbiamo tutti ricordarci quello che siamo. Noi e Mdp stavamo nello stesso partito fino a poco fa. Non è pensabile che non si trovi una convergenza sui contenuti». Certo, un ruolo lo sta svolgendo indirettamente anche la legge elettorale appena approvata. Un sistema che favorisce le coalizioni e scoraggia la corsa solitaria. Che sta mettendo in pole position il centrodestra e sta sbattendo contro il muro dell’insuccesso tutte le forze del centrosinistra. Proprio come è accaduto due settimane fa in Sicilia. Le simulazioni stanno terrorizzando i parlamentari dem e Mdp. Una in particolare: quella che mostra gli effetti di una mancata convergenza tra i partiti progressisti. Senza un patto, le urne rischiano di trasformarsi per loro in un incubo. Basti pensare che quella simulazione prevede le macerie anche nelle regioni rosse. La concorrenza a sinistra farebbe perdere buona parte dei collegi uninominali perfino nelle roccaforti considerate più sicure. Il tutto a favore della Lega e in parte minore del Movimento 5Stelle. Uno spauracchio che sta avendo un qualche effetto. Non è un caso che il tavolo del dialogo, sebbene molto precario, sia stato rimesso in piedi. E se la “gamba” più importante è quella dello Ius soli, ce n’è un’altra che rappresenta una sorta di precondizione per non fare morire in culla il neonato negoziato. Si tratta del Jobs Act. Martedì prossimo approda nell’aula della Camera, la proposta dei bersaniani di modificare la riforma del lavoro tanto voluta da Renzi. Una sconfitta formale di uno dei due fronti pregiudicherebbe definitivamente il dialogo. Tutti ne sono consapevoli. In commissione, infatti, è stato compiuto un primo passo per evitare il naufragio. La totalità degli emendamenti abrogativi della proposta - sebbene la maggioranza aveva i numeri per farlo - sono stati ritirati. Non solo. Martedì prossimo il relatore proporrà il ritorno in commissione per un approfondimento. Un modo, normalmente, per mettere le iniziative legislative nell’armadio del dimenticatoio. Nello stesso tempo, però, gli “ambasciatori” Pd hanno fatto sapere - con il via libera della presidenza del gruppo - ai loro interlocutori: «Torniamo a discutere e a dicembre presentiamo un emendamento alla Legge di Bilancio che tocca almeno un punto: l’indennità che viene assegnata al lavoratore licenziato». Ora varia da 4 a 24 mesi di stipendio, salirebbe a 8-36. «Ho difeso per 45 anni l’articolo 18 - dice il democratico Cesare Damiano, uno dei “pontieri” - ma quando è diventato una tutela solo per il 20 per cento dei lavoratori, ho capito che bisognava cambiare». La “terza gamba” è correlata alla seconda. Il tema è la previdenza. In particolare l’aumento dell’età pensionabile che scatta dal prossimo anno. La Cgil contesta la proposta dell’esecutivo ed è pronta a una mobilitazione nazionale. Che non potrebbe che avere il sostegno di Mdp. Renzi su questo ha già esposto la sua idea nell’ultima direzione di partito: più vicina ad accogliere le istanze dei pensionandi. E il mandato affidato ai suoi uomini a Montecitorio - nonostante la contrarietà di Palazzo Chigi - è abbastanza chiaro: si può presentare un emendamento - sempre alla legge di Stabilità - che rinvii lo scalino. «Ma solo se non si arriva ad un accordo, ma ad una rottura, tra Gentiloni e Camusso». La “quarta gamba” è quella della Sanità. Sia dentro il Partito democratico sia alcuni esponenti dell’esecutivo hanno iniziato a ragionare su un provvedimento che venga incontro ad una delle richieste storiche di Bersani: l’abolizione dei Superticket. Il Tesoro ricorda che in questa manovra esiste un margine per le iniziative “fuori sacco” che ammonta a circa 400 milioni di euro. Il governo, allora, «senza stravolgere i saldi», è pronto a valutare un intervento di questo tipo: rispettando la progressività e la gradualità di una eventuale misura. Nella sostanza senza cancellare i ticket per i redditi più alti. La “quinta gamba” è probabilmente la più agevole dal punto di vista dei contenuti ma la più complicata sotto il profilo procedurale. È la legge sul biotestamento. Il Pd è pronto ad uno sprint anche su questa materia. Ma gli spazi per inserirla nel calendario del Senato sono piuttosto stretti. L’unica possibilità sarebbe sciogliere le Camere a febbraio e quindi concedere anche il mese di gennaio per gli ultimi voti in Parlamento. Una soluzione che, al momento, appare improbabile. Sul calendario del Quirinale per ora la data cerchiata è quella del 18 marzo: la prima domenica utile perchè le elezioni si possano definire tecnicamente non anticipate e quindi permettano al governo Gentiloni di gestire l’ordinaria amministrazione senza le dimissioni e nella pienezza dei suoi poteri. Resta comunque la difficoltà di una trattativa segnata in primo luogo dai dissidi personali. Anche sul tavolo delle proposte concrete, il rischio che ogni mediazione sia bruciata dai reciproci pregiudizi costituisce l’ombra più pesante sul futuro del centrosinistra. © Riproduzione riservata 16 novembre 2017 Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/16/news/dialogo_a_sinistra_in_5_mosse_dallo_ius_soli_ai_ticket_gli_assi_del_governo-181213370/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T2 Titolo: CLAUDIO TITO. Lega e M5S, l’alleanza distruttiva Inserito da: Arlecchino - Maggio 10, 2018, 09:00:25 pm Editoriale Governo
Lega e M5S, l’alleanza distruttiva 07 MAGGIO 2018 Di Maio e Salvini, ostaggi della demagogia, rincorrono le urne di domani non sapendo come affrontare la realtà DI CLAUDIO TITO Tornare al voto in tempi brevi è ormai inevitabile. Questa legislatura è morta prima di nascere. Si tratta di un unicum nella storia repubblicana di questo Paese. Sebbene l'Italia sia sempre stata famosa per i suoi tanti governi, mai gli italiani sono stati richiamati alle urne dopo pochi mesi. Ma l'aspetto più grave non è tanto questo, lo sono le cause che obbligano a imboccare questa strada. Si tratta di una crisi senza precedenti delle Istituzioni prodotta da un vero e proprio ottundimento della classe dirigente e di una parte prevalente della classe politica. Il sistema Paese sta vivendo un vero e proprio disfacimento in molti dei suoi ruoli apicali. E l'emblema di questo disfacimento è rappresentato dall'asse composto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il capo politico del Movimento 5Stelle e il segretario della Lega si sono rivelati capaci solo di costruire un'alleanza distruttiva. Obnubilati dagli interessi di parte hanno mostrato tutti i loro limiti nell'assumere un qualsiasi tipo di atteggiamento costruttivo. Ovviamente nelle condizioni date. E le condizioni date sono semplici, quasi banali: nessuno ha vinto le elezioni del 4 marzo, nemmeno loro. Gli elettori hanno deciso che non possono governare da soli. È la democrazia, bellezza. La forza della loro propaganda, però, si è rivelata più potente dell'attitudine ad esercitare una basilare forma di leadership responsabile. Sono stati e continuano ad essere prigionieri della demagogia che ha permesso loro di affermarsi ma non di prevalere. Sull'onda delle pulsioni populiste confondono gli interessi degli italiani con quelli politici od elettorali dell'M5S e del Carroccio. Entrambi rincorrono nelle urne di domani una sorta di palingenesi non sapendo come affrontare la realtà di oggi. Le convenienze del Paese e dei suoi cittadini sono state proclamate a parole ma nei fatti sono state scaraventate nelle bisacce del proprio tornaconto. Adesso si è arrivati all'ultima spiaggia proposta dal capo dello Stato, ma in questi due mesi hanno avuto entrambi l'opportunità di accettare una via d'uscita. Non lo hanno fatto sbarrando in modo irresponsabile tutte le strade. Entrambi si nutrono di una leadership "destruens". Hanno bisogno di uno status quo in cui la loro "opposizione" sia permanente. "Immaginate - ammoniva Aldo Moro nel 1978 pochi giorni prima del suo rapimento - se fosse condotta fino in fondo la logica dell'opposizione. Se questo Paese, dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo". Ma quella lezione, tra i grillini e i leghisti, è evidentemente sconosciuta. Stanno mettendo sotto stress l'Italia per inettitudine: nella convinzione che radicalizzare le scelte sia l'unica opzione. Di Maio si è allora intestardito nella rivendicazione della premiership come se la poltrona di Palazzo Chigi potesse essere una sorta di unità di misura per valutare il bene e il male. Ha incastrato le consultazioni e il suo stesso partito in un unico schema. Per poi abbandonarlo quando il tempo era ormai passato. Vivendo nell'incubo di perdere l'autobus della sua carriera e temendo che alla fermata successiva il biglietto possa essere assegnato a Alessandro Di Battista. Salvini, invece, ha giocato tutte le sue carte nella convinzione che solo il prossimo turno possa essere il suo. Sicuro che alle nuove elezioni i suoi consensi cresceranno e che potrà archiviare i compromessi con Silvio Berlusconi fagocitando Forza Italia. Il tutto, poi, è acuito dalla senescenza politica del Cavaliere che agisce con il prevalente obiettivo di tutelare i suoi interessi aziendali. La crisi della classe dirigente tocca anche il centrosinistra. Il Pd è paralizzato dai veti del suo ex segretario che si dimentica di aver rassegnato le dimissioni e dalla totale assenza di coraggio dei suoi competitor interni. Il risultato è esattamente quello cui stiamo assistendo. La crisi della classe dirigente si sta così specchiando nella crisi delle Istituzioni. Di Maio e Salvini sperano di approfittarne, giocano con la "fragilità" del sistema. L'effetto finale, però, potrebbe non essere solo la loro potenziale vittoria ma una preterintenzionale destabilizzazione del Paese. Da - https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2018/05/07/news/lega_e_m5s_l_alleanza_distruttiva-195791820/?ref=fbpr |