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Autore Discussione: MONDO DONNA N° 1  (Letto 138432 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Settembre 22, 2008, 10:20:44 am »

22/9/2008
 
Il femminismo riparte dal rossetto
 
IRENE PIVETTI
 
Complimenti a Giovanna Zucconi per il suo divertente articolo sul rossetto (La Stampa di giovedì), che è tutt’altro che frivolo. Ha colto il punto: la politica, e più ancora il potere, si gioca sui simboli. Da sempre è così, ma oggi che abbiamo media veloci, che trasmettono l’informazione quasi allo stato grezzo, prima che sia razionalizzata, riordinata e resa digeribile dai «narratori» dei leader, il valore evocativo dirompente dei simboli appare con la massima evidenza. Il consigliere del principe, lo spin doctor, può infatti agire sull’impostazione di una campagna, sulla preparazione di un candidato, ma l’ufficio stampa spesso non riesce a filtrare in uscita la battuta, la frase, il concetto, che ci arriva così in tutta la sua sgangherata naturalezza, affascinante o repellente, senza mediazione. E le parole evocano, prima di esprimere.

Una strategia emotiva come quella di Obama sceglie consapevolmente il rischio del pre-razionale, del sogno e dello spettro, e pensa anzi di avvantaggiarsene suggerendo con Barak possibilità di riscatto non solo razziale, ma sociale, culturale, epocale, totale, abolendo ogni discriminazione eccetera. Ma se scendi a queste profondità viscerali l’impatto con le donne può essere molto pericoloso, e non basta essere esponente di una minoranza (i neri) per godere delle simpatie femminili, in quanto gruppo sociale svantaggiato. È sbagliato, perché le donne non si vedono così. Odiano fare la lagna. Non vogliono essere compatite. Non sono, e non si sentono, minoranza. E nella maggior parte dei casi non vogliono più nemmeno fare la guerra al mondo. Esistono, si apprezzano, si aspettano di essere apprezzate. E agiscono, senza particolari imbarazzi (dopo che hai pulito il sedere di qualcuno per i primi due anni e mezzo della sua vita, non ti fa più impressione niente).

Però il loro universo simbolico è molto ricco, a volte complesso, e trattarle «con naturalezza», specie pubblicamente, in fin dei conti non si può, o almeno finora non ci è riuscito nessuno. Perché come niente fai una gaffe, che è poi un’offesa con goffaggine, e allora tanto vale una bella comunicazione razionale, piatta e prevedibile, a base di sostegni familiari, diritto al lavoro, rispetto dell’ambiente e tempi della città. Roba vecchia che funziona sempre. Ma Obama no, e via col maiale, e oggi con le soap opera che, se non si ricorda, si chiamano così perché all’origine andavano in onda all’ora in cui le casalinghe usano i detersivi per le pulizie di casa - non proprio quindi un simbolo di empowerment.

Da qui l’importanza del rossetto: azzeccatissima sintesi (e per di più portatile) di femminilità, maternità, potere, libertà, interazione sociale. Lo mettono anche le donne che non si truccano. E poi è un bel colore, o gamma di colori, che evoca calore, vitalità, forza, vita primigenia, dal fuoco al sangue. L’universo simbolico della gamma del rosso è sterminato, e non c’è bisogno che chi alza il lipstick se ne renda conto: proprio perché è un simbolo, è soprattutto subconscio e implicito, e tuttavia agisce.

Insomma, c’è di che trarre molti spunti interessanti per la riflessione, oggi sempre più necessaria, su che cosa sia, o possa essere, un vero nuovo femminismo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #76 inserito:: Settembre 25, 2008, 10:20:27 pm »

Progetto di cesvi e just italia

Nel Mali le «donne del karité», storia di una battaglia (vincente) al femminile

Corsi di formazione e attrezzature per rendere più dignitoso il lavoro nella comunità del distretto di Kati


MILANO - Burro di karité. Si chiama così la speranza di un gruppo di donne del Mali, e precisamente del distretto di Kati, nel Koulikoro.
Il loro lavoro si scontra ogni giorno con l'arretratezza dei mezzi e delle tecnologie che non permette di valorizzare quella che è diventata una risorsa fondamentale per il Paese: il burro di karité appunto, un ingrediente di uso comune in cosmetologia, noto per le sue proprietà emollienti, protettive, idratanti e antiossidanti. Sono loro, le donne di Kati (soprannominate «donne di karitè») le destinatarie di un progetto di Cesvi, organizzazione umanitaria di Bergamo, e Just Italia, azienda veronese di cosmetici e prodotti naturali. Obiettivo: sostenere il lavoro e i diritti delle donne maliane attraverso percorsi di formazione, costruzione di opere, acquisto di attrezzature e materiali per un valore di 40mila euro.


«UN PICCOLO MIRACOLO» - Ad oggi nel Mali le donne raccolgono le noci a mano, ad una ad una; l’estrazione della farina e del burro avviene con sistemi rudimentali e faticosi. Il progetto punta a dar loro una formazione professionale, costruendo anche un magazzino centrale e 15 piattaforme di essiccazione, fornendo attrezzature per la lavorazione e conservazione del burro di karité: dai barili ai teli di plastica fino alla pesa e ai contenitori necessari per lo stoccaggio. Quella del karité è una storia di donne che fanno squadra, che lavorano con altre donne lottando per una migliore qualità della vita. «Il progetto è partito anche grazie alla determinazione delle donne che producono il karité - spiega Agata Romeo, responsabile Cesvi del progetto -. Le donne stesse mi hanno spiegato quale fosse la sfida: si tratta di migliorare la qualità del burro e di venderlo affinché anche le donne possano contribuire al sostentamento economico di tutta la famiglia. Donne che hanno un reddito: una specie di rivoluzione se si pensa al ruolo cui esse sono confinate nella cultura Bambara (l’etnia di maggioranza in questa parte del Mali). È una rivoluzione anche per gli uomini che consentono questa attività e che ultimamente la appoggiano esplicitamente. Quello che si sta producendo in questi villaggi è un piccolo miracolo».




25 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #77 inserito:: Settembre 26, 2008, 11:44:02 pm »

Le orfane del mare di Malta

Giovanni Maria Bellu


Di Destiny e Victoria - come le hanno battezzate i medici maltesi - non si conosce l’età. Secondo suor Stefania Caruana, la orsolina che si è presa cura di loro nell’orfanotrofio di Sliema, Destiny ha circa due anni e Victoria sei mesi. Ma è solo un’ipotesi, una stima. D’altra parte, non si sa nemmeno - benché alcuni indizi lo rendano probabile - se siano sorelle. Né in quale paese siano venute al mondo.

L’unica certezza è che, quando dovrà essere compilato un loro documento d’identità, si potrà certificare senza tema di smentita che entrambe sono nate il 9 settembre alle ore 15,25 in mezzo al mare, a settanta miglia dalla costa meridionale di Malta. Il loro liquido amniotico è stato il Mediterraneo. La donna che le ha generate - la madre naturale, probabilmente - è morta dopo un travaglio dolorosissimo tra le onde, alla fine di uno dei tanti naufragi dei boat people africani.

A raccontare tutto questo non è un referto medico ma un rapporto della polizia maltese. Erano appunto le ore 15,25 dello scorso 9 settembre quando l’equipaggio della motovedetta P-52, che da qualche minuto ne seguiva gli spostamenti, vide un barcone carico di migranti capovolgersi nel mare. Tutti indossavano il salvagente e, uno dopo l’altro, furono issati a bordo. Erano in discrete condizioni fisiche a eccezione di due bambine e di una donna. Fu chiesto l’intervento di uno degli elicotteri impegnati nel pattugliamento delle coste. Ma, quando arrivò, la donna era morta. Le bambine, invece, respiravano ancora e furono trasportate immediatamente al “Mater Day Hospital”.

La relazione della polizia, pur senza descriverlo, racconta in modo nitido il travaglio della sconosciuta: le mani strette attorno ai corpi delle due bambine, la forza sovrumana che le consente di fare in modo che le piccole bocche non vengano sommerse dall’acqua mentre lei viene colpita dalle onde che le spezzano il respiro. Se il suo dio le ha concesso la grazia di capire di aver compiuto la sua missione, forse la morte l’ha presa con la dolcezza del sonno. Nessuno dei ventotto superstiti è stato in grado di dire qualcosa sull’unica vittima del naufragio. Nessuno ne ha rivendicato la parentela. La donna che il 9 settembre ha generato Destiny e Victoria - e che con tutta probabilità le aveva partorite in un villaggio eritreo o tra le rovine di Mogadiscio - era partita sola. Accade spesso. Molto probabilmente in Libia c’è un uomo che ancora non ne conosce la sorte e che attende una sua telefonata.

Se quell’uomo, non ricevendo il messaggio convenuto, deciderà che non vale più la pena di partire per l’Europa (o se deciderà di partire e non avrà la fortuna di venire a conoscenza della storia delle due orfane del mare approdate a Malta), Destiny e Victoria saranno messe in stato di adozione. Un esame del Dna accerterà se tutt’e due le volte - la prima sulla terra, la seconda nel mare - sono state partorite dalla stessa donna. Poi, se saranno riconosciute come sorelle, cresceranno assieme e saranno cittadine europee. Anche la sconosciuta avrebbe potuto diventarlo. Se, come tutto fa pensare, veniva dalla Somalia o dall’Eritrea, cioè da paesi dove non è possibile esercitare i diritti democratici, e spesso non è possibile nemmeno esercitare quelli umani, avrebbe avuto diritto all’asilo politico. In astratto, dunque, avrebbe potuto presentarsi a un posto di frontiera e, semplicemente, chiedere di entrare. Ma questo, nella Fortezza Europa di oggi, è un sogno. Bello come quello che, speriamo, ha accompagnato la mamma di Destiny e Victoria negli ultimi minuti della sua vita.

Pubblicato il: 26.09.08
Modificato il: 26.09.08 alle ore 8.47   
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« Risposta #78 inserito:: Settembre 28, 2008, 12:01:16 pm »

ESTERI
   
Un gruppo di taliban ha fatto fuoco davanti a casa sua. Ferito gravemente un figlio

Dirigeva il Dipartimento per i reati sessuali nella terra del fondamentalismo religioso

Kandahar, uccisa la poliziotta delle donne "Era la più famosa di tutto l'Afghanistan"

Malalai Kakar, la poliziotta uccisa in Afghanistan



KANDAHAR - Era la prima donna divenuta poliziotto a Kandahar dopo la caduta dei taliban. L'hanno uccisa stamane, davanti alla porta di casa. Stava andando a lavorare. E' rimasto ferito gravemente anche uno dei suoi figli. Malalai Kakar era la poliziotta più famosa dell'Afghanistan, un simbolo del riscatto femminile nella terra che fu culla del movimento fondamentalista religioso. Aveva rinunciato a portare il burqa due anni fa e i taliban l'avevano minacciata più volte.

Ma lei non aveva mai chinato la testa: "Era una donna molto coraggiosa", dicono adesso i suoi colleghi. Dirigeva il dipartimento reati contro le donne nella roccaforte dei taliban e sapeva di essere nel mirino dei fondamentalisti. "Girava sempre con la pistola - racconta un agente del suo dipartimento - e sempre insieme a un uomo della sua famiglia".

Ma stamane non le è servito essere armata. Le hanno sparato alla testa ed è morta sul colpo. Aveva quarant'anni ed era madre di sei figli. Suo padre e suo fratello erano poliziotti come lei. Nelle forze dell'ordine era entrata già alla fine degli anni Ottanta, ma poi l'ascesa dei taliban l'aveva costretta a fuggire. Era rientrata alla caduta del loro regime nel 2001 e aveva assunto il comando del Dipartimento con il grado di capitano.

I taliban hanno lanciato una vera e propria guerriglia mortale da quando la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti li ha cacciati dal potere. Malgrado la presenza di 70mila soldati delle forze multinazionali, da due anni le violenze sono aumentate di intensità. Negli ultimi sei mesi i fondamentalisti hanno ucciso 720 agenti. Prima di Malalai Kakar, un'altra donna poliziotto è stata assassinata in Afghanistan nel giugno scorso. Anche allora, la polizia locale di Herat aveva accusato dell'omicidio i taliban.

da repubblica.it
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« Risposta #79 inserito:: Settembre 28, 2008, 12:11:21 pm »

SPETTACOLI & CULTURA   

Ovazione per la Streep, a Roma per presentare il musical "Mamma mia!" di cui è protagonista.

E in cui canta e balla meglio di tante colleghe giovani

Viva Meryl, 59 anni e ancora al top "Noi donne ormai siamo al potere"

La diva: "Prima mi lamentavo che per noi attrici c'erano pochi ruoli ora invece le cose sono cambiate".

Poi il suo ricordo del grande Paul Newman

di CLAUDIA MORGOGLIONE

 

ROMA - Se c'è una persona che incarna - con tutta la forza del suo talento inarrivabile, della sua personalità prorompente - l'idea stessa del potere femminile hollywoodiano, capace di rendere vero il luogo comune delle donne per cui la vita comincia a 50 anni, ebbene, questa persona è Meryl Streep. In Italia per presentare il musical Mamma mia! di cui è protagonista, e in cui canta e balla, dando una pista, per inciso, alle colleghe più giovani e più canonicamente belle di lei che vediamo di solito sul grande schermo. "Alcuni anni fa pensavo che i ruoli per le attrici fossero pochi e modesti - confessa - ma oggi le cose sono cambiate. Nell'industria cinematografica come nel resto del mondo, dove ci sono molti capi di Stato e primi ministri donne".

A Hollywood, in particolare, ci sono - aggiunge - molte più personalità femminili ai vertici, che hanno voce in capitolo nelle scelte produttive, che dirigono film o che scrivono sceneggiature di successo". E la dimostrazione trionfante che le cose stanno davvero così è proprio il film per cui è venuta a Roma: tratto da un musical di successo planetario costruito attorno alle canzoni degli Abba, è frutto della bravura e dell'intuito commerciale di una serie di signore dello showbiz. La produttrice Judy Cramer, la sceneggiatrice Catherine Johnson e la regista Phillyda Lloyd: a loro si devono sia la pellicola, sia la piéce teatrale che l'ha ispirata. La storia è ambientata su un'isola greca: una ragazza alla vigilia del matrimonio (Amanda Seyfried) invia tre lettere a tre possibili padri mai conosciuti (Pierce Brosnan, Stellan Skarsgard e Colin Firth) di nascosto della madre (Meryl Streep)...

E su grande schermo, a dare un incredibile valore aggiunto a questa storia semplice e leggera, è ovviamente lei, Meryl. Accolta dai cronisti italiani, che la attendono in un salone del lussuoso hotel St. Regis, con una ovazione, con applausi durati diversi minuti. Un omaggio sia alla sua carriera, ai due Oscar, alle tante interpretazioni memorabili; ma anche alle qualità canore e ballerine, al ritmo e alla verve che sfoggia in Mamma mia!. Anche se, come cantante, l'avevamo già potuta ammirare in Cartoline dall'inferno di Mike Nichols e in Radio America di Robert Altman.

E anche dal vivo, la Streep non delude: intelligente, disponibile, spiritosa, autoironica. Cinquantanove anni portati benissimo, e senza quelle facce deturpate dai troppi lifting a cui il mondo dello spettacolo ci ha abituati. La parola d'ordine, davanti a chi le fa notare il suo ruolo di monumento del cinema contemporaneo, è sdrammatizzare: "Una famiglia - racconta - rimette tutto nella giusta prospettiva. I miei quattro figli sono i primi a dirmi cosa non va, da una battuta detta male, ai miei vestiti, a una barzelletta che racconto e non fa ridere. A volte mi accorgo che le giovani attrici sono un po' intimidite da me sul set, ma appena vedono che anch'io, come tutti, a volte dimentico le battute, capiscono che sono umana".

E quanto alla sua forma, dimostrata anche sullo schermo nel film (dal 3 ottobre nelle nostre sale), spiega che a mantenerla giovane sono "le gioie che mi danno famiglia e carriera. A volte, sento gli anni passare e, a fine giornata, c'è magari qualche dolorino alle ginocchia, ma come molte donne della mia età, ho ancora molte energie e cose da dare". Insomma: alla soglia dei sessant'anni, l'attrice non ha alcuna intenzione di mollare, di fare la pensionata di lusso. Anche perché, come hanno dimostrato i suoi ultimi ruoli (questo in Mamma mia!, ma anche Il Diavolo veste Prada) possiede un talento brillante che in gioventù i registi hanno sfruttato poco.

Dunque, donna è bello a tutte le età. Da qui la bacchettata, ma sempre col sorriso sulle labbra, ad Al Pacino e Robert De Niro: "Con Bob abbiamo lavorato varie volte e con Al solo più recentemente, in Angels of America. Sono per me due amici e due grandi attori, forse un po' machisti: diciamo della 'vecchia scuola'".

E poi, alla vigilia delle elezioni americane, l'inevitabile passaggio sulle sue preferenze politiche: "Voterò Obama, senza dubbio. Sarah Palin non la conosco, come la maggior parte degli americani, anche se penso di sapere perché è nel posto che occupa... ma non commento".

TROVACINEMA: Obama reinventa l'America di ARIANNA FINOS

Infine, inevitabile, il ricordo della leggenda Paul Newman, venuto a mancare proprio mentre lei era a Roma. "Ci mancherà tanto - dice la Streep, il tono commosso - ha avuto una vita straordinaria: con una famiglia come la sua, le sue instancabili campagne progressiste, le sue campagne benefiche".

Insomma: un grande, e non solo sullo schermo.

(28 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #80 inserito:: Ottobre 02, 2008, 01:52:18 pm »

RICORDA Ann Oakley, la mitica tiratrice del west che fece parte del circo di Buffalo Bill

Sarah Palin nuova "dea della caccia"

E le donne Usa ora la imitano

Da quando la governatrice è apparsa con il fucile e un alce abbattuto, molte americane si danno a questo sport



WASHINGTON – Diana dea della caccia: questo, secondo il Wall Street Journal, è il nuovo ruolo di Sarah Palin, la candidata repubblicana alla vicepresidenza. Da quando la governatrice dell'Alaska è apparsa in fotografia con accanto un alce abbattuto, un mucchio di donne americane si sono date a questo sport. Il loro numero sta aumentando, scrive il giornale, mentre quello numero dei cacciatori maschi sta diminuendo. La Palin è diventata il loro modello, la reincarnazione di Ann Oakley, la mitica tiratrice del west che a cavallo del Novecento fece parte del circo di Buffalo Bill e a cui Hollywood dedicò il film «Anna prendi il fucile». L'«effetto Palin» si era già fatto sentire nella moda – sempre più donne corrono a comprare i suoi occhiali, le sue scarpe ecc. –, ma sembra forte soprattutto nella caccia. Spettacoli televisivi come «La cacciatrice americana» non parlano che di lei, e siti internet come Women-hunters.com sollecitano la popolazione femminile a imitarla.

«PIÙ BRAVA DEGLI UOMINI» - Gli animalisti detestano la governatrice, che ha avallato la caccia ai lupi e agli orsi con gli elicotteri in Alaska. Ma per parecchie donne la Palin è il simbolo della parità dei sessi anche nello sport. «È più brava di molti uomini - dichiara Linda Burch, una cacciatrice di orsi del Minnesota - ed è sexy. È la prova che per cacciare non occorre essere vichinghe». Per l’industria della caccia la candidatura di Sarah Palin a vicepresidente è un colpo di fortuna: metaforicamente, è già la sua pin up, la sua ragazza copertina. L’industria si concentrò sulla popolazione femminile cinque anni fa, quando vide declinare il numero dei cacciatori maschi. Adesso produce armi apposite e «abiti da uccidere in più di una maniera», come dice la sua pubblicità, ossia da sedurre gli uomini. Attualmente, vi sono 1 milione e 200 mila cacciatrici. La più celebre è Brenda Valentine, a cui è dedicata una trasmissione radio, «La first lady della caccia»: la Valentine ha già detto che la Palin è la sua erede, «sta facendo più proseliti di quanti noi sognassimo».

«COLPIRÀ IL BERSAGLIO» - Stando al Wall Street Journal, la governatrice dell’Alaska è la cacciatrice tipo americana. Da un sondaggio nel Texas, riferisce il giornale, l’82% delle nostre Diane vive in città e il 79 per cento ha una laurea o un diploma, esattamente come lei. Inoltre, al pari di lei, sono in maggioranza madri di famiglia e conservatrici in politica. Ma a differenza degli uomini, non avvertono rivalità e sono romantiche, anche se uccidono la selvaggina a sangue freddo: amano cacciare in gruppo, cantare in coro, addirittura recitare poesie. E sono provette tiratrici. Sarah Palin, sostiene la Valentine, non farebbe lo sbaglio del vicepresidente Cheney, che sparando alle quaglie ferì gravemente un compagno. Alla vigilia del suo dibattito in tv con il candidato democratico alla vicepresidenza Joe Biden, le cacciatrici sono certe che la Palin «colpirà il bersaglio». L’America lo è un po’ di meno: se perdesse malamente il confronto a causa della sua ignoranza di politica estera ed economica, il suo compagno di corsa John McCain sarebbe nei guai.

Ennio Caretto
01 ottobre 2008

da corriere.it
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« Risposta #81 inserito:: Ottobre 02, 2008, 01:55:46 pm »

2008-10-01 20:15

CASSAZIONE RIBADISCE: LECITO RIFIUTARE CURE


ROMA - La Cassazione torna sul diritto alla libertà di cura del paziente ribadendo - come già avvenuto nel caso di Eluana Englaro e in quello più recente relativo a un testimone di Geova - che, tramite il consenso informato, il malato può scegliere "tra le diverse possibilità di trattamento medico", compresa quella di "rifiutare la terapia e decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale".

Occasione di questa ennesima sottolineatura è un caso abbastanza leggero di colpa medica, quello di una dottoressa condannata per avere raddoppiato, senza un preventivo check-up, la dose di un farmaco dimagrante prescritto a una ragazzina obesa provocandole delle emicranie. Affrontando questa vicenda gli 'ermellini' hanno trovato il modo, parlando del consenso informato, di ricordare che la relazione medico-malato deve essere improntata alla "libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario".

Gli ermellini aggiungono che, in questo modo, si rispetta il "diritto del singolo alla salute", tutelato dall'articolo 32 della Costituzione che vieta i trattamenti sanitari non obbligatori. Dopo questo 'preambolo' di carattere generale - con la sentenza 37077 della Quarta sezione penale - i supremi giudici hanno dichiarato prescritta la condanna per lesioni colpose inflitta alla dottoressa Donatella M. che, comunque, dovrà risarcire a Veronica R., nel frattempo divenuta maggiorenne, i danni patiti per il superdosaggio di 'Topamax', il medicinale anoressizzante con il quale contrastava il suo disturbo alimentare di origine psichica.

Sia l'adolescente - dodicenne all'epoca della terapia dimagrante - che i suoi familiari erano informati sulla cura (un po' meno sui dosaggi ma la circostanza non è stata ritenuta significativa ai fini del venir meno del consenso), intrapresa nel 1999 su suggerimento della dottoressa, e la responsabilità del camice bianco è stata individuata nell' omesso check-up delle condizioni della paziente che lamentava mal di testa. Per telefono la dottoressa raccomandò di raddoppiare la razione di topiramato provocando l'inasprimento delle emicranie che cessarono con la sospensione del farmaco. I precedenti verdetti di condanna sono stati emessi dal Tribunale di Pistoia e dalla Corte di Appello di Firenze.
 
da ansa.it
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« Risposta #82 inserito:: Ottobre 03, 2008, 09:08:43 am »

Indagine dell'Associazione italiana di sessuologia e psicologia applicata

I «sex toys» piacciono a una milanese su due

Sondaggio sui giocattoli erotici: il 50% delle intervistate li ha osservati o provati.

L'esperto: «Interessante valenza terapeutica» 

 
MILANO - Il 20% delle donne milanesi ha sperimentato, almeno una volta, i «sex toys», i giocattoli erotici finora relegati nelle bacheche dei negozi «a luci rosse». E un altro 30% riferisce di averli quantomeno osservati con attenzione. E' il risultato di un'indagine condotta dall'Aispa (Associazione italiana di sessuologia e psicologia applicata) nel capoluogo lombardo; la ricerca, condotta su 200 cittadine milanesi attraverso un questionario anonimo, sarà presentata venerdì all'ospedale San Carlo di Milano durante il convegno Aispa «L'intimità ritrovata: le cure del sesso tra psiche e soma». Secondo l'indagine, l'esperienza dei «sex toys» è condivisa quasi sempre con il partner, che li propone per primo in almeno il 60% dei casi. Il 70% delle intervistate si dichiara soddisfatta.

«VALENZA TERAPEUTICA» - «È un dato su cui riflettere, per le potenzialità che questi oggetti offrono una volta affrancati dall'alone di perversione che ancora li avvolge», commenta Roberto Bernorio, ginecologo e psicoterapeuta ideatore dell'inchiesta. Secondo l'esperto, i sex toys possono avere «una interessante valenza terapeutica, oltre che ricreativa e relazionale, perché danno corpo alle fantasie e possono migliorare il piacere individuale e di coppia».

Negli Stati Uniti alcuni di questi giocattloli erotici sono addirittura riconosciuti come presidi medici dall'agenzia regolatoria Food and Drug Administration (Fda), mentre da noi c'è ancora una certa resistenza: «forse con troppa superficialità sono giudicati giocattoli innaturali e onanistici, relegati alle bacheche dei sexy shop - commenta Bernorio - ma la richiesta aumenta».

02 ottobre 2008

da corriere.it
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« Risposta #83 inserito:: Ottobre 03, 2008, 05:58:54 pm »

Il convegno organizzato alla BOCCONi

Due donne Berlusconi all'università

Veronica e la figlia Barbara a lezione di etica

 
 
MILANO - La moglie del presidente del Consiglio, Veronica Lario, si è presentata a sorpresa all'università Bocconi di Milano, per il convegno sull'efficacia e la valenza dell'etica nei sistemi economici e nella conduzione d'impresa, organizzata dalla Onlus Milano Young, di cui è vice presidente la figlia Barbara. In tailleur-pantalone grigio, la signora Berlusconi, arrivata cinque minuti dopo l'inizio del convegno, si è seduta in seconda fila accanto alla figlia Barbara, anch'essa in completo manageriale, per poi ascoltare con attenzione le relazioni dei vari invitati, tra cui l'ad di Mondadori Maurizio Costa.

I TEMI DEL CONVEGNO - «Mi sembra un tema bello perché proposto da giovani - è stato il primo commento della first lady - Oggi sono emerse proposte interessanti che devono entrare nella morale di tutti noi, riflessioni che dovremmo compiere tutti i giorni». «Sono affascinanti questioni poste da un punto di vista filosofico», ha aggiunto subito dopo.

Un tema oltretutto quanto mai attuale ma che, ha assicurato Barbara, presente in qualità di vicepresidente di Milano Young (il presidente è Geronimo La Russa, figlio del ministro della Difesa, Ignazio) «non c’entra con gli ultimi avvenimenti, non sono stati questi eventi che hanno fatto sì che scegliessimo di trattare questo tema. La prima volta che ne abbiamo parlato è stato a febbraio scorso perché avevo assistito ad un corso di lezioni del professor Giudo Rossi che mia aveva interessato moltissimo». Per Barbara organizzare il simposio non deve essere stato troppo complicato. Uno dei partecipanti è il suo relatore di tesi, il professor Mordacci. Per quanto riguarda Costa ha giocato in casa. Il tema poi le sta particolarmente a cuore visti gli studi e il ruolo.

«MIO PADRE MI HA INSEGNATO IL RISPETTO PER GLI ALTRI» - Per Barbara l’etica è prima di tutto «l’insieme dei valori morali, quelli che un individuo si costruisce vivendo, sono soprattutto quelli che gli impartisce la famiglia, la scuola e la società in generale». Ovvia a questo punto la domanda: cosa ti ha insegnato tuo padre? «Il più importante insegnamento da parte di mio padre è il rispetto altrui e il non ledere quelle che sono le libertà altrui - ha detto - Da mia madre ne ho avuti talmente tanti che sarebbe difficile elencarli». La moglie del presidente del Consiglio ha invece ribadito l’importanza della famiglia e della donna in una formazione etica forte. «Penso che una formazione etica avvenga proprio nel quotidiano dove l’educazione richiede costanza tutti i giorni - ha spiegato la moglie del premier - Non credo però che manchi la morale nella vita sociale italiana». Forse in questo momento il problema per molti italiani sono le difficoltà economiche. «Queste difficoltà - ha riconosciuto la signora Lario - si sentono e si toccano con mano».


02 ottobre 2008

da corriere.it
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« Risposta #84 inserito:: Ottobre 03, 2008, 06:05:39 pm »

03/10/2008 (8:28) -

PROVINCIA - UNO STUDIO PROMOSSO DALLA CONSIGLIERA DI PARITA' RITRAE LE IMMIGRATE

Donne straniere: soprattutto colf ma sognano di migliorare

Faticano a veder riconosciute le loro qualifiche professionali e i titoli di studio, sono esposte alla precarietà e spesso costrette ad accettare qualsiasi tipo di occupazione


TORINO

Sono perlopiù impiegate in lavori di cura di famiglie e anziani, dunque come badanti, anche se vorrebbero accedere ad altre professioni, ma fanno fatica a veder riconosciute le loro qualifiche professionali e i titoli di studio.
Faticano a conciliare tempi di vita e di lavoro e sono particolarmente esposte alla precarietà lavorativa, fattore che le vede spesso costrette ad accettare qualsiasi tipo di occupazione. È la fotografia delle donne straniere che lavorano in provincia di Torino che emerge dalla ricerca «I Lavori delle donne» promossa dalla Consigliera di Parità provinciale, Laura Cima, in collaborazione con l’Assessorato al Lavoro della Provincia di Torino

«La ricerca - ha sottolineato Laura Cima - ci pone di fronte alla necessità di individuare nuove soluzioni che aiutino le lavoratrici migranti a risolvere i problemi di conciliazione, che sono alla base di molte discriminazioni Il supporto fondamentale che offrono alle lavoratrici italiane nelle cosiddette attività di cura, aumenta la loro ’fragilità»’.

«Le sfumature emerse sono moltissime - aggiunge Franca Balsamo, presidente del Cirsde che ha curato l’attività - dalla voglia di queste donne di formarsi per migliorare la posizione lavorativa, alle delusioni che spesso seguono i percorsi formativi rispetto alle possibilità d’impiego, al timore di perdere il lavoro, alla difficoltà nell’acquisire autonomia, aspetto che implica la dipendenza dal marito, anche in casi di violenza. Le donne migranti - conclude - vivono anche molte difficoltà nella gestione di famiglia e lavoro, e nello spostarsi da un luogo all’altro. Per le residenti al di fuori dell’area metropolitana, in particolare, la minor disponibilità di servizi di trasporto e la mancanza di mezzi propri (spesso non hanno la patente di guida) è vincolante».

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« Risposta #85 inserito:: Ottobre 05, 2008, 12:34:27 am »

2008-10-04 17:15

SESSO: ANCHE PER UNA SERA LEI LO VUOLE INTELLIGENTE


 ROMA - L'uomo ideale non esiste ma a lei la bellezza non basta. Per essere attratta da un uomo anche per la storia di una sera, la donna ha bisogno di trovarsi di fronte a una persona intelligente. Infatti uno studio dello psicologo evoluzionista Mark Prokosch della Elon University in Nord Carolina, svela qualcosa di inatteso: anche quando deve scegliere un uomo per una sera, lei si lascia attrarre dall'intelligenza oltre che dalla bellezza.

Finora invece l'ipotesi più accreditata era che la donna cercasse in un uomo il 'cervello' solo per relazioni di lunga durata e con la prospettiva di metter su famiglia, e che invece per flirt senza futuro si facesse guidare unicamente dall'attrazione fisica.

L'uomo dal canto suo è molto meno cerebrale e molto più ormonale: uno studio recente condotto da Leander van der Meij dell'Università olandese di Groningen e pubblicato sulla rivista Hormones and Behaviour ha evidenziato infatti che su di lui domina la "dittatura del testosterone", cioé la libido maschile sale comunque, insieme coi livelli dell'ormone, in presenza di una donna, bella o brutta che sia.

Nello studio di Prokosch pubblicato sulla rivista Evolution and Human Behavior, è stato l'uomo invece a fare da 'cavia': un gruppo di maschi si è cimentato in una serie di test di atleticità (come il lancio e la presa al volo di un frisbee) e cognitivi, e le loro performance, accompagnate da una presentazione di sé, sono state immortalate con una videocamera. Poi a un gruppo di donne gli psicologi hanno chiesto in prima battuta di guardare i video e giudicare quali uomini trovassero più attraenti e intelligenti e creativi.

E' emerso che le donne hanno fiuto sull'intelligenza maschile, riuscivano cioé a valutare l'intelligenza della persona vista in video in modo molto aderente alla realtà, e cioé all'esito dei test cognitivi cui gli uomini erano stati sottoposti. Poi alle donne è stato chiesto di dire quali tra gli uomini in video avrebbe scelto per una 'storiella' o per una relazione seria. Poste di fronte alla scelta di potenziali partner per storie serie e durature o per semplici flirt di una sera, le donne hanno sempre giudicato più attraenti e gli uomini che apparivano più intelligenti.

 "La bellezza conta certo parecchio per la scelta di un uomo per storia di una sera - ha spiegato all'Ansa Prokosch - ma contrariamente a quanto prevedevamo conta anche l'intelligenza. Infatti abbiamo scoperto che sia l'intelligenza oggettiva (secondo le misurazioni fatte coi test), sia quella percepita, fanno predire il grado di appeal che avrà un uomo su una donna anche se l'obiettivo di lei è solo una 'storiella'".

Anche la creatività, ha continuato Prokosch, ha il suo valore sulla scala dell'attrazione maschile, ma è una dota che interessa meno di bellezza e intelligenza. Evolutivamente ha senso che lei cerchi un uomo intelligente per una storia "seria", con prospettive di metter su famiglia, perché ciò le garantisce un uomo premuroso e capace a fianco e in più una "miniera genetica" per trasmettere tratti vantaggiosi ai figli; eppure, ha concluso Prokosch, a lei non basta la bellezza neppure per una storia lunga una notte. 

da ansa.it
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« Risposta #86 inserito:: Ottobre 05, 2008, 10:55:48 am »

5/10/2008 (7:16)


Il supermarket delle corna

Ashleymadison.com è un social network per persone sposate. Per registrarti devi inviare una foto

PIERANGELO SAPEGNO


Ha chiesto subito una foto. Questi americani non hanno mai tempo da perdere. Nella sua, ha una felpa indosso, labbra rosse e piene, un volto senza trucco. Bellezza di provincia, un piccolo uovo di Pasqua, con sopra un groviglio di capelli bruni e cotonati. Nella scheda c’è scritto: 42 anni, ispanica, segno dei pesci, pelle bianca, altezza 1,68, peso 61 chili. «Relazione a breve termine». A me andrebbe benissimo. Per iscrivermi ad ashleymadison.com, il sito dei coniugi infedeli, ho pagato 49 dollari. Le ho mandato la mia foto migliore, che sorridevo al vento: non mi sembrava di fare una brutta figura. Il giorno dopo mi ha risposto così: «Quando vieni a Pennington devi chiamarmi a questo numero:... Niente weekend. Ti puoi fermare? Sarebbe perfetto mercoledì». Pennington è nel New Jersey. Un viaggio da niente. E Destaelsix in realtà si chiama Carol, e non ho ancora capito se fa come me, un po’ per finta e un po’ per lavoro, o se proprio non vuole perdere tempo, come consiglia questo social network dedicato a persone sposate alla ricerca di rapporti extraconiugali: «La vita è breve, trovati un amante».

Carol ha un impiego in una clinica. Le ho mandato una lunga mail di vaneggiamenti, per chiederle poi se fa il medico o l’infermiera. Mi ha risposto con due righe: «Sì, il medico. In questi giorni ho un mucchio di lavoro». Non rompere. Cristo, mica tutti fanno i giornalisti. L’ultimo affiliato Mi sono iscritto al sito da dieci giorni. La pubblicità dice che garantisce «un adulterio sicuro». Massima riservatezza e la possibilità di incontrare solo partner già sposati, per non mettere a rischio il matrimonio. Il primo choc arriva subito: il mio numero di iscrizione è 2.567.619, quello dell’ultimo degli affiliati. In sette anni di vita, Ashley Madison ha già raccolto più di due milioni e mezzo di infedeli via Internet. Che siamo diventati un popolo di traditori, lo evidenziano anche tutti i sondaggi. Uno a Milano dice che sei donne su 10 ammettono di aver tradito il partner. Se pensate che secondo una ricerca francese dell’Inserm, l’istituto nazionale della Sanità, appena 30 anni fa una signora sposata confessava di aver avuto nemmeno due compagni di letto in tutta la sua vita (1,9 in media: mezze corna a testa), è facile rendersi conto di come sia quasi epocale questo cambiamento. Oggi le donne più giovani ammettono 5 relazioni profonde oltre a quelle del matrimonio. Negli Anni Cinquanta due donne su tre dichiaravano di sposarsi con il primo partner sessuale, oggi solo una su dieci, come gli uomini. Lo psichiatra Alberto Caputo sostiene che l’uomo è un «monogamo seriale, che ricerca altre femmine per aumentare la quantità della prole», e la femmina una «opportunistica poliandrica, in quanto mira alla qualità del partner per assicurare il miglior corredo genetico alla discendenza». Lui e lei tradirebbero insomma per motivi biologici, «per rimescolare le carte dell’evoluzione e garantire un futuro alla nostra specie».

La cosa strana è che Internet avrebbe giocato un ruolo molto importante in questa sorta di mutamento sociale. In Australia, due ricerche parallele dell’università di tecnologia Swinburne di Melbourne sostengono che il web sia diventato ormai «una minaccia sempre più grave per i matrimoni». Nello studio pubblicato dall’Australian Journal of Emerging Technologies and Society, le psicologhe Elizabeth Hardie e Simone Buzwell hanno appurato che il 13% dei tradimenti erano nati attraverso relazioni su Internet, tutte di persone sposate. E una tesi di dottorato di Heather Underwood della stessa università ha invece studiato 200 casi per dimostrare come questa tendenza sia in continua crescita, e come i rapporti sentimentali online diventino sempre meno virtuali e sempre più fisici. Parità ritrovata Internet a parte, alla fine, secondo l’Ined, l’Istituto nazionale di studi demografici di Parigi, il dato certo è che solo il 34 per cento delle donne dichiarano di rimanere fedeli a un solo uomo. La cosa incredibile è che è lo stesso, identico numero degli uomini, con una differenza sostanziale però, che nel 1970 le signore morigerate erano esattamente il doppio, il 68 per cento, nel 1950 più del 90, mentre noi maschi non ci siamo mai mossi da lì: uno su tre ha continuato a fare il bellimbusto e a confessarlo. E’ la donna che sta cambiando il mondo, prima di Internet? Anche su questa spinta dev’essere nato Ashley Madison, il sito dei tradimenti sicuri. Puoi scegliere che tipo di infedeltà vuoi: con una donna sposata, con una single, con un altro uomo... Dopo l’iscrizione, ti chiedono un profilo. «Vuoi qualcosa a breve termine? A lungo termine? Vuoi una relazione virtuale? Qualcosa che ti ecciti? Sei indeciso?». Un supermarket. Siamo entrati per chattare, davanti a una sfilza infinita di persone. Abbiamo cercato quelle con le foto. Una di Houston, Texas, che si chiama Sussy. Le ho mandato un messaggio, dopo aver spulciato la griglia di frasi preconfezionate. «Seleziona: cosa veramente mi ha interessato di te? La tua maturità? Che sei sofisticata? La tua foto?». Le domande La tua foto, ok. Vado oltre: «Ti piace il sesso orale come a me? Il tuo didietro? Il tuo appetito sessuale? Perché sei frustrata come lo sono io?». Riguardo la foto: dallo scollo della camicetta spuntavano, senza un certo timore, le mezzelune del seno, e il sorriso malizioso faceva anche capire quanto valesse la pena pagare un biglietto per andare a vederle. Ma non me la sono sentita di prometterle chissà quali volgarità. Le ho mandato una e-mail soft. Mi ha risposto raccontando la sua vita, che è sposata per modo di dire e che ha venduto il bar, completo di licenza, a una catena di lavanderia automatica, che secondo lei lava ben altro che le mutande sudicie di Houston. Allora ho scritto a Molly, che aveva lasciato in buca questo messaggio: «Dove sei mio bel Romeo?». Mi ha chiesto una foto. La solita. Poi l’età. «Al massimo voglio 35 anni», dice. Troppo tardi. I miei sono già andati. Ho cercato qualcosa di hard. Una signora inglese, Jenny, che vive a Seattle. Come no, dietro casa. Chiedeva pure le misure: «Ti piace farlo mentre gli altri ti guardano?». Se non scappa da ridere. Solo che Jenny è un po’ complicata, perché non era il marito quello che doveva guardare. Nella sua foto era fasciata in un paio di jeans, con una canottiera che sembrava dipinta addosso. Ah, meglio la Carol. Poche parole, ma buona. Le ho scritto uno sproloquio. Mi ha risposto con una cosa che non ho capito. Me l’ha tradotta un’amica. Diceva: «Sei scemo o ci fai?».

da lastampa.it









5/10/2008 (7:16)


Il supermarket delle corna

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PIERANGELO SAPEGNO


Ha chiesto subito una foto. Questi americani non hanno mai tempo da perdere. Nella sua, ha una felpa indosso, labbra rosse e piene, un volto senza trucco. Bellezza di provincia, un piccolo uovo di Pasqua, con sopra un groviglio di capelli bruni e cotonati. Nella scheda c’è scritto: 42 anni, ispanica, segno dei pesci, pelle bianca, altezza 1,68, peso 61 chili. «Relazione a breve termine». A me andrebbe benissimo. Per iscrivermi ad ashleymadison.com, il sito dei coniugi infedeli, ho pagato 49 dollari. Le ho mandato la mia foto migliore, che sorridevo al vento: non mi sembrava di fare una brutta figura. Il giorno dopo mi ha risposto così: «Quando vieni a Pennington devi chiamarmi a questo numero:... Niente weekend. Ti puoi fermare? Sarebbe perfetto mercoledì». Pennington è nel New Jersey. Un viaggio da niente. E Destaelsix in realtà si chiama Carol, e non ho ancora capito se fa come me, un po’ per finta e un po’ per lavoro, o se proprio non vuole perdere tempo, come consiglia questo social network dedicato a persone sposate alla ricerca di rapporti extraconiugali: «La vita è breve, trovati un amante».

Carol ha un impiego in una clinica. Le ho mandato una lunga mail di vaneggiamenti, per chiederle poi se fa il medico o l’infermiera. Mi ha risposto con due righe: «Sì, il medico. In questi giorni ho un mucchio di lavoro». Non rompere. Cristo, mica tutti fanno i giornalisti. L’ultimo affiliato Mi sono iscritto al sito da dieci giorni. La pubblicità dice che garantisce «un adulterio sicuro». Massima riservatezza e la possibilità di incontrare solo partner già sposati, per non mettere a rischio il matrimonio. Il primo choc arriva subito: il mio numero di iscrizione è 2.567.619, quello dell’ultimo degli affiliati. In sette anni di vita, Ashley Madison ha già raccolto più di due milioni e mezzo di infedeli via Internet. Che siamo diventati un popolo di traditori, lo evidenziano anche tutti i sondaggi. Uno a Milano dice che sei donne su 10 ammettono di aver tradito il partner. Se pensate che secondo una ricerca francese dell’Inserm, l’istituto nazionale della Sanità, appena 30 anni fa una signora sposata confessava di aver avuto nemmeno due compagni di letto in tutta la sua vita (1,9 in media: mezze corna a testa), è facile rendersi conto di come sia quasi epocale questo cambiamento. Oggi le donne più giovani ammettono 5 relazioni profonde oltre a quelle del matrimonio. Negli Anni Cinquanta due donne su tre dichiaravano di sposarsi con il primo partner sessuale, oggi solo una su dieci, come gli uomini. Lo psichiatra Alberto Caputo sostiene che l’uomo è un «monogamo seriale, che ricerca altre femmine per aumentare la quantità della prole», e la femmina una «opportunistica poliandrica, in quanto mira alla qualità del partner per assicurare il miglior corredo genetico alla discendenza». Lui e lei tradirebbero insomma per motivi biologici, «per rimescolare le carte dell’evoluzione e garantire un futuro alla nostra specie».

La cosa strana è che Internet avrebbe giocato un ruolo molto importante in questa sorta di mutamento sociale. In Australia, due ricerche parallele dell’università di tecnologia Swinburne di Melbourne sostengono che il web sia diventato ormai «una minaccia sempre più grave per i matrimoni». Nello studio pubblicato dall’Australian Journal of Emerging Technologies and Society, le psicologhe Elizabeth Hardie e Simone Buzwell hanno appurato che il 13% dei tradimenti erano nati attraverso relazioni su Internet, tutte di persone sposate. E una tesi di dottorato di Heather Underwood della stessa università ha invece studiato 200 casi per dimostrare come questa tendenza sia in continua crescita, e come i rapporti sentimentali online diventino sempre meno virtuali e sempre più fisici. Parità ritrovata Internet a parte, alla fine, secondo l’Ined, l’Istituto nazionale di studi demografici di Parigi, il dato certo è che solo il 34 per cento delle donne dichiarano di rimanere fedeli a un solo uomo. La cosa incredibile è che è lo stesso, identico numero degli uomini, con una differenza sostanziale però, che nel 1970 le signore morigerate erano esattamente il doppio, il 68 per cento, nel 1950 più del 90, mentre noi maschi non ci siamo mai mossi da lì: uno su tre ha continuato a fare il bellimbusto e a confessarlo. E’ la donna che sta cambiando il mondo, prima di Internet? Anche su questa spinta dev’essere nato Ashley Madison, il sito dei tradimenti sicuri. Puoi scegliere che tipo di infedeltà vuoi: con una donna sposata, con una single, con un altro uomo... Dopo l’iscrizione, ti chiedono un profilo. «Vuoi qualcosa a breve termine? A lungo termine? Vuoi una relazione virtuale? Qualcosa che ti ecciti? Sei indeciso?». Un supermarket. Siamo entrati per chattare, davanti a una sfilza infinita di persone. Abbiamo cercato quelle con le foto. Una di Houston, Texas, che si chiama Sussy. Le ho mandato un messaggio, dopo aver spulciato la griglia di frasi preconfezionate. «Seleziona: cosa veramente mi ha interessato di te? La tua maturità? Che sei sofisticata? La tua foto?». Le domande La tua foto, ok. Vado oltre: «Ti piace il sesso orale come a me? Il tuo didietro? Il tuo appetito sessuale? Perché sei frustrata come lo sono io?». Riguardo la foto: dallo scollo della camicetta spuntavano, senza un certo timore, le mezzelune del seno, e il sorriso malizioso faceva anche capire quanto valesse la pena pagare un biglietto per andare a vederle. Ma non me la sono sentita di prometterle chissà quali volgarità. Le ho mandato una e-mail soft. Mi ha risposto raccontando la sua vita, che è sposata per modo di dire e che ha venduto il bar, completo di licenza, a una catena di lavanderia automatica, che secondo lei lava ben altro che le mutande sudicie di Houston. Allora ho scritto a Molly, che aveva lasciato in buca questo messaggio: «Dove sei mio bel Romeo?». Mi ha chiesto una foto. La solita. Poi l’età. «Al massimo voglio 35 anni», dice. Troppo tardi. I miei sono già andati. Ho cercato qualcosa di hard. Una signora inglese, Jenny, che vive a Seattle. Come no, dietro casa. Chiedeva pure le misure: «Ti piace farlo mentre gli altri ti guardano?». Se non scappa da ridere. Solo che Jenny è un po’ complicata, perché non era il marito quello che doveva guardare. Nella sua foto era fasciata in un paio di jeans, con una canottiera che sembrava dipinta addosso. Ah, meglio la Carol. Poche parole, ma buona. Le ho scritto uno sproloquio. Mi ha risposto con una cosa che non ho capito. Me l’ha tradotta un’amica. Diceva: «Sei scemo o ci fai?».

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« Risposta #87 inserito:: Ottobre 05, 2008, 04:56:32 pm »

Jamila e Jamila, due donne afghane contro la piovra talebana


Gabriel Bertinetto


In comune hanno il nome, Jamila, e una volontà di ferro. Non le piegano i pericoli, le minacce, la sorte toccata alle amiche più care, colpite a morte perché facevano esattamente le cose che loro due continueranno a fare. Jamila Barzai vive a Kandahar e fa la poliziotta. Jamila Mujahed a Kabul e dirige una radio ed un’associazione che portano lo stesso nome: «Voce delle donne afghane».

La Jamila di Kandahar lavorava nella squadra capitana da Malalai Kakar, l’intrepida protettrice delle casalinghe afghane vessate dai mariti-padroni, assassinata una settimana fa da sicari talebani. Le vittime delle violenze domestiche maschili avevano trovato nella capitana di polizia Malalai una paladina dei loro diritti. A lei potevano rivolgersi senza timore che il caso venisse insabbiato, come spesso accade ancora nell’Afghanistan politicamente liberato dall’oppressione integralista, ma culturalmente e socialmente sempre schiavo.

Jamila Barzai proseguirà l’opera dell’amata dirigente scomparsa. Non ripeterà ciò che fece sotto il regime teocratico. Anche allora lavorava nella polizia femminile. Ma un giorno nello stadio di Kabul, sotto gli occhi di migliaia di persone accorse a vedere l’infame spettacolo, una povera donna colpevole di adulterio venne lapidata in esecuzione della sentenza di un tribunale religioso. «Conoscevo quella persona, non dimenticherò mai il modo in cui morì. Quella volta mi sentii del tutto impotente. Non avrei mai potuto cambiare le cose. Mi licenziai». Rovesciato Omar insieme ai suoi mullah, Barzai ha indossato di nuovo la divisa. E non se la toglierà più. «È importante -dice- che le donne cerchino di arrivare in posizioni di potere, per impedire che certe cose avvengano ancora. Lo so, è pericoloso, ma non possiamo permettere di tornare a quell’epoca».

Un’uguale determinazione trapela dalla voce della Jamila di Kabul, raggiunta al telefono nella capitale afghana: «Certo, la tentazione di lasciare perdere tutto è sempre in agguato. Ma sento troppo le mie responsabilità. Se non abbiamo la forza di sacrificarci ora, la realtà non cambierà mai in meglio. E quindi penso proprio che combatterò fino alla fine». Nonostante le intimidazioni che costantemente riceve per posta e le telefonate minatorie. Non è mancato il vigliacco più vigliacco di altri. Quello che le ha prospettato il rischio di una vendetta trasversale sui figli. Ma sono stati proprio loro a sostenerla in quei momenti terribili, a convincerla di non mollare.

I nostalgici dell’oscurantismo civile e morale che per cinque anni con i talebani era diventato legge dello Stato, non sopportano che la radio di Jamila parli alle famiglie afghane, spiegando quali siano i diritti dei cittadini e delle donne in particolare. L’emittente ha un bacino potenziale di cinque milioni di utenti a Kabul e in cinque province contigue. «Facciamo fatica a coprire le spese, perché gli introiti pubblicitari sono scarsi. In parte pesa l’incertezza economica generale, in parte le ditte non si rivolgono a noi per paura di attirarsi le attenzioni ostili dei gruppi estremisti, anche se non lo ammettono apertamente. Ci sono ad esempio aziende che importanto cosmetici da India, Cina, Iran. Ma non li reclamizzano attraverso di noi sostenendo che la radio viene ascoltata anche in provincia, dove la mentalità generale è refrattaria all’idea che le donne usino prodotti di bellezza». È stata proprio la mancanza di inserzioni a pagamento a costringere Jamila Mujahed quest’anno a chiudere «Malalai», l’unica rivista specificamente rivolta ad un pubblico femminile.

Nel 2008 sono aumentate le aggressioni alle donne, e peggiorate le condizioni di sicurezza in tutto il Paese. Cresce il numero delle famiglie che lasciano il Paese o progettano di farlo. «Basta vedere le code per i visti alle ambasciate dei Paesi europei, degli Usa, ma anche dell’Iran o dell’India. Non sono solo le persone istruite o benestanti ad emigrare per timore che Karzai non regga. Molti vogliono partire perché manca lavoro, aumenta la povertà». La situazione è così deteriorata che lei, Jamila Mujahed, la giornalista che il 13 novembre 2001 annunciò con gioia dai microfoni dell’emittente di Stato la cacciata dei tiranni, ora guarda con favore al piano di Karzai per un negoziato con i talebani. «È un passo positivo, anche se per ora non s’è avviato nulla di concreto. Portare i loro dirigenti meno retrivi all’interno dell’amministrazione servirebbe a garantire quella sicurezza che ora manca. Loro stessi potrebbero fermare gli elementi più turbolenti. Certo dovrebbero impegnarsi a rispettare i diritti costituzionali, compresi quelli che riguardano le donne. Altrimenti l’operazione fallirebbe, e significherebbe solo un salto indietro ai tempi bui».

Pubblicato il: 05.10.08
Modificato il: 05.10.08 alle ore 8.36   
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« Risposta #88 inserito:: Ottobre 06, 2008, 06:34:48 pm »

"Cliente" racconta la storia di una borghese di mezza età alla ricerca continua di gigolò

Dal film alla realtà: donne mature alla ricerca di sesso a pagamento

Anche in Italia si sta diffondendo l'offerta di giovani accompagnatori, soprattutto su Internet

 
 
PARIGI - Sono passati quasi 30 anni dall'uscita di "American Gigolo", pellicola che lanciò Richard Gere nello star-system hollywoodiano e che per primo raccontò apertamente la storia di signore alla ricerca di sesso a pagamento. A distanza di tre decenni "l'accompagnatore di donne" è ormai un mestiere consolidato in tutto l'Occidente e sta vivendo un vero e proprio boom in Francia. Proprio in questi giorni sta riscuotendo un grande successo nelle sale cinematografiche francesi "Cliente", storia di una borghese di mezza età che combatte la solitudine e la noia del quotidiano frequentando abitualmente giovani e prestanti gigolò d'Oltrealpe

INTERNET E SESSO - La pellicola, adattamento dell'omonimo successo letterario di Josiane Balasko (ha venduto solo in Francia circa 200.000 copie), è stata apprezzata dai francesi perché narra le emozioni e le sensazioni vissute da tante donne mature transalpine: Judith la protagonista del film, interpretata da Nathalie Baye, una delle attrici francesi più famose, è infatti una signora di 51 anni che ha un ottimo lavoro in televisione, ma ha alle spalle il fallimento del suo matrimonio e una vita ormai priva di affetti. Il suo unico passatempo è fare sesso a pagamento con uomini molto più giovani di lei. Judith scoprirà il mondo dei gigolò grazie a internet e si legherà morbosamente a Marco di cui diventerà una cliente fissa: quest'ultimo è sposato con una parrucchiera e vende il suo corpo per pagarsi il mutuo e offrire una dignitosa vita alla sua famiglia allargata

LE DIFFICOLTA’ DELLE DONNE MATURE - La scrittrice Balasko, che ha anche diretto il film, ha spiegato alla stampa francese di aver voluto raccontare una storia diversa da quelle stile "Pretty Woman", la celebre favola cinematografica in cui un ricco uomo d'affari, anche in questo caso interpretato da Richard Gere, s'innamora della dolce e sensuale prostituta Julia Roberts: «La prostituzione è di solito considerata qualcosa che interessa solo agli uomini» sostiene la scrittrice. «Io invece voglio mostrare quanto sia comune oggi in Francia il fenomeno delle donne-clienti alla ricerca di giovani accompagnatori». Secondo la Balasko la maggior parte delle donne che cerca sesso a pagamento ha un’eta’ tra i 40 e i 60 anni. Quasi tutte con un divorzio alle spalle, hanno grandi difficoltà a costruire nuovi rapporti sentimentali: «A differenza degli uomini, tante donne non possono ricostrure facilmente la loro vita e sicuramente non possono avere altri figli. Hanno un’unica alternativa: darsi allo shopping sfrenato o iniziare un'anomala relazione sentimentale».

I GIGOLO’ IN ITALIA - Il recente boom di donne alla ricerca di prestanti gigolò non è solo un fenomeno transalpino. Basta collegarsi a Internet e si scopriranno numerosi siti italiani che propongono accompagnatori per signore di tutte le età. UIno di questi presenta le foto di decine di accompagnatori e i loro numeri di cellulare. Tra questi vi è Andrea, un muscoloso trentottenne, che dichiara di essere un "ex attore e modello nazionale" e si definisce "un riservato e raffinato avventuriero". Nel suo annuncio afferma che vive in un paese dell’Italia settentrionale, ma è disposto a raggiungere ovunque le sue clienti. Inoltre è «disponibile anche come spogliarellista integrale per feste private». Secondo un recente studio condotto dall'associazione Donne e qualità della vita, coordinato dalla sessuloga Serenella Salomoni su un campione di 1500 donne, una su quattro ha pensato almeno una volta di pagare un uomo per avere un rapporto fisico e due su dieci (quasi il 20% delle intervistate) ha realmente pagato un accompagnatore per ottenere una prestazione sessuale. Infine nei sogni delle italiane i veri gigolò non sono nè gli attori di Hollywood nè i più famosi calciatori nostrani: la ricerca conferma che i più desiderati sono i vip della tv per i quali una su tre delle donne intervistate sarebbe pronta a sborsare fino a 5000 euro per una calda notte d'amore.

Francesco Tortora
05 ottobre 2008(ultima modifica: 06 ottobre 2008)

da corriere.it
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« Risposta #89 inserito:: Ottobre 07, 2008, 04:33:50 pm »

«Sedotte e ascoltate dal gigolò che paghiamo»: boom su internet di donne in cerca di avventure

 
di Elena Castagni


ROMA (7 ottobre) - Antonella aveva 55 anni, un ottimo lavoro come pr e una famiglia di quelle che fanno invidia ai più: marito affettuoso, due figli grandi - 26 e 23 anni - e un giro di amicizie che non lasciavano scoperto neanche un buco di solitudine. Poi è successo che Antonella è andata a Cuba, ha incontrato un ragazzo dell’età di suo figlio, un ballerino assai aitante, e con lui ha intrecciato una relazione. Credeva fosse facile da gestire, lui, un uomo in vendita. Lei poteva andare e tornare, prendere il sole dei Caraibi e la nebbia di Milano, la passione e gli affetti. Ma non è andata così. Il ballerino cubano costava sempre di più, Antonella si è indebitata per farlo venire in Italia, si è separata dal marito, non vede più gli amici. Oggi l’uomo in vendita è ancora più caro: ha una compagna giovane e attraente e per passare una sera con la donna d’età chiede un prezzo assai salato.

E’ andata meglio a Cristina, cinquantenne di Torino, lei almeno il gigolò lo ha trovato in Italia, a quattro ore di treno da casa. Da diciotto anni, una volta al mese attraversa la Pianura Padana per cedere a una notte in laguna. Marito e figli non sanno niente, non ha di che vergognarsi ai loro occhi, le lettere d’amore al gigolò le scrive di nascosto, e non teme che la corrispondenza venga intercettata: lei sta attenta, lui non risponde mai. Uomini in vendita, donne che comprano una serata di chiacchiere, a volte di tenerezza, altre di amore.
 
Un fenomeno che cresce anche nel nostro paese, di pari passo con l’emancipazione femminile, ma che dell’emancipazione proprio non fa parte. Un’idea sul successo degli uomini in vendita la fornisce uno studio dell’associazione Donne e qualità della vita: su 1500 donne, una su quattro ha pensato almeno una volta di pagare un uomo per avere un rapporto fisico e due su dieci sono passate ai fatti. Più dettagliato il racconto dell’organizzatore del sito “gigolò.it”, un portale nato lo scorso giugno e che al momento raccoglie 120 iscritti, tutti tra i 30 e i 45 anni, bellocci, molto curati e “visitati” da 500 persone al giorno, con punte di 700 il lunedì e il martedì, quando le signore tornano al lavoro, e dall’ufficio non corrono il rischio di essere intercettate da marito e figli. All’interno del sito, una foto che mostra l’avvenenza, un autoritratto - qualche frase che descrive personalità sempre molto sensibili e disposte ad ascoltare - poi un numero di telefono. Secondo l’organizzatore le telefonate sono molte, ma all’appuntamento arriva solo una risicata percentuale. Comunque anche il gigolò meno gettonato riesce a farsi una serata abbastanza spesso. E per serata non si intende per forza un rapporto sessuale, ma quanto la signora in questione chiede, che può andare da un semplice aperitivo, a una notte intera con tanto di sfoghi sulle amarezze della vita perché il pagare consente anche questo.

Il prezzo va da un minimo di 250 euro a un massimo che varia a seconda delle situazioni, ma una cinquantenne che richiede uno spostamento da parte del gigolò non se la cava con meno di 800 euro. E le clienti non mancano. Spiega Emmanuele Jannini, sessuologo, che i gigolò hanno successo perché riproducono la nascita di una relazione: parlano, ascoltano, seducono. «Le donne non hanno bisogno di pagare un uomo per una notte di sesso: se vogliono riescono ad averla a qualunque età, purché scelgano una persona che abbia le loro stesse caratteristiche sociali e culturali. No, le donne pagano un gigolò perché vogliono sentirsi sedotte. Non a caso questi ragazzi sono colti, sanno ascoltare, hanno una spiccata sensibilità, altrimenti come farebbero a sopportare situazioni drammatiche, donne che si rivolgono a loro per rispondere a un affronto subito, a un fallimento matrimoniale, a un tradimento che le ha ferite in profondità». Eppure parlando con i diretti interessati, le donne che pagano sono signore sicure di sè, con parecchi soldi e voglia di compagnia.
 
Un esempio per tutte: Nadia, una cinquantenne di Torino, un’imprenditrice single che il mese scorso si è voluta regalare una crociera in Grecia in compagnia di un ragazzo di 38 anni. Il tutto le è costato il viaggio per due più cinquemila euro per il gigolò. E probabilmente pagare così tanto non le ha procurato fastidio, anzi, se ha ragione Jannini, dovrebbe averle dato piacere perché, dice il sessuologo, «c’è il fascino del pagare, che è un simulacro, una rappresentazione del potere di per sé eccitante». Il gigolò del viaggio è uno dei più gettonati del sito. Si chiama Andrea, vive a Venezia. Un passato da modello e da spogliarellista, un livello culturale non indifferente, nozioni universitarie di psicologia, la passione per la lirica, un corpo muscoloso meticolosamente curato - manicure e parrucchiere per signora ogni due settimane.

Dice di vestirsi in modo originale: jeans, camicie «assolutamente senza cravatta», giacche belle, scarpe che non costano mai meno di 250 euro e «rigorosamente poco usate». Questo uomo dal linguaggio appropriato, leggermente strafottente, si vende da dieci anni, ha un suo “tabellino prezzi” che facilmente sale sopra gli 800 euro «se una donna è negli anta, noiosa o arrogante». Dice di «premiare le giovani, quelle al primo stipendio che vogliono il gigolò solo per un’esperienza di sesso senza complicazioni». Andrea racconta la sua vita ostentando grande compiacimento, la carica di accenti estetici quasi fosse un remake di “American gigolò”, tutta vita tra gli alberghi di lusso di Venezia, da cui si allontana a notte fonda «perché io con una donna ci esco, ci parlo, ci faccio l’amore, ma non ci dormo, a meno che non paghi anche per quello». Ma se si scava si scopre che dietro l’uomo in vendita c’è un movente fatto di solitudine e paura. «Il gigolò è convinto di fare un mestiere sociale - spiega la psicologa clinica Maria Malucelli - e lo sceglie assecondando, anche se non consapevolmente, un vizio patologico per cui depriva il comportamento sessuale dell’aspetto emotivo e sentimentale.

E’ un circolo vizioso: si priva del lato affettivo e nella sua mente trasforma l’amore fisico in un servizio a vantaggio degli altri, non crede mai di fare del male alle donne che incontra per lavoro. Non a caso cura particolarmente tutte le fasi del corteggiamento, è un adulatore, è molto gratificante per la donna che lo paga, o almeno crede di esserlo. In realtà sta solo creando un adattamento al fatto di non saper vivere una straziante debolezza affettiva». Ma sul servizio sociale di un gigolò ci sarebbe molto da ridire. Ne sa qualcosa Ambra, una ragazza intelligente, non brutta ma piena di complessi tanto da essere arrivata a 28 anni senza avere rapporti completi. Voleva, a ragione, trovare un ragazzo con cui valesse la pena stare. Solo che quelli che incontrava, spaventati dalla sua castità, scappavano a gambe levate. E’ allora che Ambra ha deciso di contattare un gigolò. All’inizio è stata una gran festa, si è sentita una donna libera, ma l’illusione è durata poco: oggi Ambra ha 35 anni, non ha ancora trovato un ragazzo disposto a stare con lei e si sente triste e confusa. La cura dell’uomo in vendita forse funziona solo nei film.

da ilmessaggero.it
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