LA-U dell'OLIVO
Maggio 07, 2024, 06:35:29 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: CURE PALLIATIVE «Ha sofferto?» quando la dignità è più importante della cura  (Letto 2462 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Febbraio 19, 2008, 03:13:34 pm »

CURE PALLIATIVE

«Ha sofferto?» quando la dignità è più importante della cura

L'associazione Agc onlus ha posto ai medici la domanda: «Riusciremo a morire in pace?»


MILANO - «Oltre 250.000 malati terminali in Italia reclamano il diritto che i medici facciano tutto quanto è possibile per difendere la qualità non soltanto di quel che resta loro da vivere, ma anche della loro morte» E' quanto ha sottolineato l'associazione Agc onlus durante una giornata di lavori a Milano sabato 15 febbraio dal titolo «Riusciremo a morire in pace?» all’università statale di Milano Bicocca.
«Negli ospedali, dove si spegne più del 50% degli Italiani, la sofferenza dei malati è grande, - ha affermato il dottor Massimo Costantini, del Coordinamento Regionale Cure Palliative presso l’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova - Il 48% non riceve alcun trattamento contro il dolore e gli specialisti di cure palliative vengono consultati soltanto nell’8% dei casi». E anche nelle residenze per anziani, dove finiscono i propri giorni più del 20% degli Italiani, le cose non vanno meglio. «Rumori molesti, luci violente, televisioni ad alto volume, - elenca il dottor Daniele Villani, direttore del Dipartimento Anziani della Fondazione Sospiro di Cremona - temperatura troppo elevata, arredi che rendono praticamente impossibile la vicinanza e l’abbraccio dei familiari. E poi la sofferenza causata da sintomi che la routine o la trascuratezza impediscono di alleviare: il 77% degli operatori confessa che nella maggior parte dei casi le persone muoiono soffrendo».


DISEGNI DI LEGGE - «Purtroppo, la discussione sui disegni di legge per il riconoscimento delle Direttive anticipate di trattamento si è arenata in Parlamento, prim’ancora che si aprisse la crisi di governo, su alcuni punti cruciali, - la professoressa Patrizia Borsellino, docente di bioetica e diritto all’Università Statale Bicocca di Milano. - Per esempio, se e in quali casi i trattamenti salvavita possano configurarsi come forme di accanimento terapeutico. Ma la sostanza del disaccordo tra le diverse forze politiche sta tutta nel riconoscere appieno la validità della volontà del malato. Ecco allora che, sebbene le norme e i principi di riferimento (come la Carta di Oviedo del 1997 e il codice di Deontologia medica del 2006) siano molto avanzati, i problemi sono ancora tutti da risolvere e dobbiamo affidarci ai tribunali. Certo, sentenze come quella della Cassazione del 16 ottobre scorso sul caso di Eluana Englaro, che ha sancito che il giudice può autorizzare la sospensione dei trattamenti salvavita, sono molto importanti. Ma non si possono esporre i malati e le loro famiglie al rischio di un’altalena tra sentenze coraggiose come questa e altre magari timide o peggio».

UN PROBLEMA DI CULTURA - I mutamenti anagrafici, sociali, epidemiologici richiedono ormai che non solo pochi specialisti, ma tutti coloro che lavorano nella sanità si assumano l'impegno di prestare cure adeguate alla fine della vita e imparino a considerare la morte come un esito talvolta inevitabile piuttosto che come un fallimento delle cure. «Non è una cosa facile, credetemi, affrontare questo buco nero della nostra cultura medica, - spiega il professor Carlo Alberto Defanti, primario emerito del Dipartimento di Neurologia di Niguarda e direttore scientifico di AGC Onlus. - Ma siamo consapevoli che la rimozione della morte, che gli stessi medici operano al capezzale dei loro malati, contribuisce spesso a privare questi ultimi dell'opportunità di una maggiore umanità, proprio nella fase della loro esistenza in cui più ne avrebbero bisogno. E a esporli al rischio di ulteriori, inutili sofferenze». «Per questo, - spiega il dottor Michele Gallucci, direttore della SIMPA, Scuola italiana di Medicina Palliativa – gli specialisti convenuti qui oggi si sono sforzati di guardare in faccia le proprie emozioni. La conclusione? Abbiamo constatato che uno spazio in cui il morente possa essere un individuo capace di prendere decisioni piuttosto che un soggetto debole affidato alle decisioni di altri (medici, famigliari o legislatori che siano) contribuirebbe effettivamente a un sereno compimento della vita».

CURE PALLIATIVE NEI REPARTI OSPEDALIERI - Che fare allora? La risposta più diretta e semplice viene da un gruppo di ricercatori che sta lavorando da anni con l’obiettivo di migliorare le cose. «Nel reparto di Medicina dell’ospedale ‘Villa Scassi’ di Genova abbiamo applicato, per la prima volta in Italia, linee guida per portare le cure palliative anche nei reparti ospedalieri, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei malati in fase terminale, - spiega Massimo Costantini. - Risultato? Prima dell’intervento, i sintomi fisici dei ricoverati, soprattutto il dolore, venivano trattati poco e male, il rapporto tra medici e infermieri nella gestione dei pazienti era tutt’altro che ottimale come pure quello tra gli operatori e i familiari dei malati. Abbiamo migliorato in modo radicale su tutti i fronti. Certo, la struttura anche architettonica dell’ospedale non aiuta: per esempio, in tutto il reparto non vi è un luogo dove tenere i colloqui con i familiari. Ma abbiamo capito che aiutare una malata morente a truccarsi, non è solo un gesto di umanità: è uno dei gesti di più alta professionalità che un infermiere possa mettere in atto».

PENSIERO LATERALE - Ma le risposte, per strano che possa sembrare, vengono non soltanto dalla riflessione scientifica, ma anche da quello che molti chiamano il «pensiero laterale». Al Convegno era abbinata una mostra di cinquanta vignette, che alcune delle matite più note d'Italia hanno offerto all'Associazione AGC Onlus, per contribuire alla riflessione con un punto di vista diverso. «A volte, una battuta o un'immagine umoristica è in grado di aprire la porta a intuizioni e pensieri nuovi che altrimenti, nella quotidianità, sfuggirebbero, perchè ritenuti addirittura pericolosi, - chiarisce la signora Emma Vitti, presidente di AGC Onlus. -. Ecco il senso della sfida che abbiamo lanciato ai vignettisti e che essi hanno raccolto al di là di ogni aspettativa: si può riuscire a sorridere, mentre si riflette sul tema del morire?».


18 febbraio 2008

da corriere.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!