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Autore Discussione: GIUSEPPE FAVA. Ripubblichiamo un suo articolo apparso sulla rivista I Siciliani.  (Letto 3110 volte)
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« inserito:: Gennaio 13, 2009, 05:13:37 pm »

Giuseppe Giulietti


Rivolta morale contro la paura, la vergogna e la stupidità

Venticinque anni fa veniva assassinato dalla mafia il giornalista Giuseppe Fava.

Ripubblichiamo un suo articolo apparso sulla rivista «I Siciliani» nel febbraio del 1983.

di Giuseppe Fava

Io voglio raccontarvi una storia vera. Un assessore dei passati governi regionali, sicuramente galantuomo e, però non temerario, e perciò quasi sempre tremebondo, talvolta persino inerte nella sua attività di governo, mi confessava la sua intenzione di ritirarsi dalla vita pubblica. Era disfatto dalla paura, anzi da diverse paure che si sovrapponevano l’una all’altra. Paura - da un giorno all’altro - di essere coinvolto in un clamoroso caso di corruzione per una firma distratta. Paura di prendere alcune pistolettate sulla fronte come il povero Mattarella. Paura di fare, di operare politicamente, di prendere iniziative, di effettuare le scelte. E così tremebondo, mi prendeva sottobraccio per spiegarmi meglio: «Sai perché hanno ammazzato Mattarella? Perché era onesto.

C'erano mille miliardi da spendere per il risanamento di Palermo. C’era un dilemma, assegnare i giganteschi appalti ai soliti gruppi di potere, che avrebbero divorato almeno metà di quei mille miliardi, oppure per la prima volta nella storia della Sicilia spendere quei soldi veramente per il popolo palermitano. Scelse questa seconda ipotesi. Ma gli altri dettero cinquanta milioni a un anonimo lazzarone, e gli fecero piantare tre proiettili in testa mentre andava alla messa. L’assessore mi trascinava sottobraccio in un angolo ancora più remoto abbassando la voce con un sorriso da moribondo. Tremava come se avesse la febbre. Sussurrava: hanno legalizzato la corruzione! Tu devi prendere un contributo, perché ti spetta, perché ne hai diritto? E chi te lo nega?

Però non te lo danno, una volta manca la carta, unavolta undocumento, un’altra volta bisogna rifare la domanda in carta bollata. Alla fine arriva un misterioso suggerimento, o meglio il malcapitato ha una illuminazione: una garbata percentuale sul contributo a chi ha la grazia di scoprire la pratica, toh, guarda dov’era! e portarla sul tavolo competente per le ultime firme. L’assessore cominciò a fare curiosi gesti nell’aria, come se indicasse tutte le direzioni, e contemporaneamente raccogliesse invisibili cose da tutte le parti, denaro, applausi, strizzated’occhio, sorrisi, revolverate, voti, carezze femminili: l’assessore è un uomo quasi maestoso nella corporatura e lento nel gesto e nella parola e tuttavia compiva quella pantomima con una straordinaria levità talché era chiaro che questa corruzione e violenza erano dunque in Sicilia, in ogni apparato, struttura, ufficio, meccanismo. Alla fine l’assessore si colpì dolcemente con l’indice alla tempia e disse: ho qui tante cose fantastiche da fare per la Sicilia e i siciliani, ma per farle debbo accettare che per lo meno il trenta per cento della spesa sia preda dei corrotti e debbo anche saper scegliere esattamente chi sono costoro, non commettere sbagli o sgarri, altrimenti una bella mattina me ne vado a messa con moglie e figli, col mio bell’abito doppiopetto, riverito dai passanti e un giovanotto mi si para dinnanzi: «Onorevole assessore» e io faccio un sorriso benevolo verso lo sconosciuto cittadino «bravo giovane che vuoi?» e quello mi spara tre proiettili in mezzo agli occhi.

Eravamo sempre più in mezzo ad una grande folla e l’assessore là, con sorrisi sempre più rabbiosi, finché la gente lo prese in mezzo e lo rapì, ed egli disse qualcosa di stentoreo col pugno levato in alto e ci fu un applauso. Nell’ultimo barlume di sguardo che riuscii a percepire vidi disperazione.

Quell’uomo impaurito e felice mi parve il trionfo del nostro fallimento. (Per sua fortuna lo trombarono: è ridiventato un cittadino amabile, sereno, sorridente e inutile). I limiti della tragedia siciliana sono precisi. Viviamo in una terra potenzialmente riccacome nessun’altra poiché haminiere, terra fertilissima, una posizione storica e geografica al centro di tutte le civiltà e di tutte le rotte commerciali, bellezze della natura incomparabili, e talento umano, cioè fantasia, pazienza, sopportazione al dolore, coraggio. Etuttavia da centinaia di anni siamo colpiti e feriti, siamo sempre più poveri, sempre più lontani dall’Europa, vittime di tutte le violenze.Datrent’anni abbiamol’autonomia regionale, una macchina costituzionale per risolvere la nostra tragedia di popolo, risolvere i nostri problemi sociali. Siamo invece immobili, quasi putrefatti dentro i nostri problemi; l’Europa, cioè il livello di civiltà europea si allontana sempre di più. Nella realtà non poteva essere altrimenti: i siciliani hanno espresso una classe politica di gran lunga inferiore alle loro capacità umane e alle necessità storiche.

Amico mio, chissà quante volte tu hai dato il tuo voto, ad un uomo politico così, cioè corrotto, ignorante e stupido, sol perché una volta insediato al posto di potere egli ti poteva garantire una raccomandazione, la promozione ad un concorso, l’assunzione di un tuo parente, una licenza edilizia di sgarro.
Così facendo tu e milioni di altri cittadini italiani avete riempito i parlamenti e le assemblee regionali e comunali degli uomini peggiori, spiritualmente più laidi, più disponibili alla truffa civile, più dannosi alla società. Di tutto quello che accade oggi in questa nazione, la prima emaggiore colpa è tua.
Non ti lamentare perciò se il generale comandante della guardia di finanza si fotte duemila miliardi di denaro pubblico, e i massimi finanzieri e ministri, editori, giornalisti, persino il comandante in capo delle forze armate, per avidità di carriera e di lucro, si fanno incastrare da un lazzarone comeGelli in una specie di congiura per impadronirsi delle strade d’Italia, e a Napoli la camorra ha sostituito lo Stato nella pubblica amministrazione. Non ti lagnare amico mio se tutto questo accade, non ne hai il diritto. Il primo lazzarone sei tu e la storia ti paga per quello chemerita la tuamaniera di concepire la politica e quindi la tua stessa dignità! Solo che ora non hai piùmolto tempo. Lo vedi tu stesso quello che ci circonda e assedia: amministratori che divorano, terroristi che avanzano menando strage, l’inflazione che ogni giorno ti rende sempre piùmiserabile, finanzieri che portano il denaro all’estero ed ogni giorno rendono questa tuamiseria più infame, logge segrete come immense piovre in tutti i vertici dello Stato, mafiosi praticamente padroni anche della tua sedia di lavoro, Fanfani che torna capo del governo e punta al Quirinale! La necessità di una rivoltamorale, cioè di trasformare la Sicilia e l’Italia, è diventata una necessità per sopravvivere. Io allora non ti dico per quale partito votare, perché penso che tu abbia avuto almeno la lucidità per fare una tua scelta ideale.

Ti dico solo, all’interno di questo partito al quale affidi la tua coscienza di cittadino, di scegliere uomini intelligenti, soprattutto uomini onesti.
E se hai coraggio e passione stai tu dentro quel partito a lottare. So quanto sia difficile, poiché manigoldi e ruffiani sono riusciti finora ad emarginare o eliminare gli intelligenti e gli onesti.

Ma bisogna tentare, disperatamente, quotidianamente lottare e sperare. Altrimenti ignoranti, ladri e imbecilli ti affonderanno definitivamente nella merda!

(5 gennaio 2009)
da temi.repubblica.it/micromega-online
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 13, 2009, 05:15:13 pm »

25 anni fa l'assassinio del giornalista

5.01.09 - Giuseppe Fava, il coraggio della verità


“….Bisogna tentare disperatamente, quotidianamente lottare e sperare altrimenti ignoranti, ladri e imbecilli ti affonderanno definitivamente nella merda!...”, queste parole, di drammatica attualità sono state scritte da Pippo Fava, giornalista, scrittore autore, ammazzato dalla mafia 25 anni fa.


Era diventato un bersaglio da colpire perché insieme a pochi altri, non si stancava di denunciare gli illeciti, le corruzioni diffuse, gli intrecci, le relazioni pericolose. Non lo faceva in modo generico ma indicando nomi e cognomi, senza farsi condizionare dalle logiche della vicinanza, della presunta appartenenza, delle convenienze.

Fu ammazzato perchè era diventato scomodo per tanti, persino all’interno della professione era sopportato, considerato un “malato di protagonismo”, la stessa accusa che oggi viene rivolta ai Roberto Saviano e a quanti osano ribellarsi al conformismo imperante. Questa mattina l’Unità ha dedicato due pagine a Pippo Fava ripubblicando un testo apparso nel febbraio del 1983 sulla rivista “I siciliani”. In quel testo con la consueta franchezza Fava si rivolgeva direttamente al cittadino indifferente: “…Non ti lamentare perciò se il generale comandante della finanza si fotte duemila miliardi di denaro pubblico e i massimi finanzieri, ministri, editori, giornalisti, persino il comandante in capo delle forze armate, per avidità di carriera e di lucro, si fanno incastrare da un lazzarone come Gelli in una specie di congiura per impadronirsi delle strade di Italia.”

Fava scriveva nel 1983, molti di quei lazzaroni sono ancora al loro posto, Gelli pontifica dalle tv, gli uomini della P2 sono onorati e riveriti, il presidente del consiglio in carica era un socio della loggia.

Molti hanno ricordato e ricorderanno Pippo Fava. Noi siamo rimasti colpiti dalle parole scritte, sempre sull’Unità, dal figlio Claudio: “Insomma lo sapete o no che nella città che ammazzò mio padre non riuscimmo neppure a pubblicare il necrologio perché spendere in quell’epitaffio la parola mafia non si poteva o non si doveva? Lo sapete o no che l’editore di quel giornale che impedì il necrologio, Mario Ciancio, è ancora al suo posto…? Lo sapete che non uno dei poliziotti, dei magistrati, dei giornalisti e dei ministri che protessero Nitto Santapaola, l’assassino di mio padre, ha mai pagato il prezzo di quell’infamia? Lo sapete o no che le lettere della famiglia Santapaola, padre e figli reclusi al 41 bis, vengono impunemente pubblicate sul quotidiano della loro città? Vi siete accorti che in questo paese della lotta alla mafia non fotte più quasi nulla?....”
Queste parole non hanno certo bisogno di generiche solidarietà, ma di un impegno continuo e faticoso per impedire che il silenzio e l’omertà cancellino persino il ricordo di Pippo Fava e degli altri che sono caduti mentre tentavano di ribellarsi alla mafia e ai suoi protettori. Ci fa piacere che gli attuali dirigenti del sindacato nazionale dei giornalisti stiano senza remore dalla parte dei cronisti che tentano di fare il loro mestiere, a Catania, a Trapani, a Catanzaro, a Caserta, ovunque. Per troppo tempo, in tutte le sedi, a cominciare da quelle politiche e istituzionali, sono stati onorati e riveriti i giornalisti da loggia, quelli che non fanno la seconda domanda, quelli che fanno i maggiordomi, quelli che fingono di indignarsi di fronte ai delitti delle mafie, ma non osano mai pronunciare il nome dei mandanti, dei protettori, dei collusi, quelli che non si indignano neppure se in parlamento possono sedere condannati in via definitiva per associazione mafiosa. Questi giornalisti non fanno scandalo, fanno scandalo solo e soltanto quelli che tentano di far luce sui misteri di Italia, che non rinunciano all’indagine e all’inchiesta.

Tra i tanti modi per ricordare Pippo Fava, e tanti altri colleghi e colleghe, ci convince molto una proposta avanzata da Peter Gomez (giornalista rigoroso e sensibile a questi temi), di promuovere una sorta di riconoscimento pubblico da assegnare ogni anno al cronista “che fa i nomi e i cognomi”.

Pippo Fava, Peppino Impastatao, Beppe Alfano, Giovanni Spampanato, Giancarlo Siani, per fare solo qualche nome, furono ammazzati non perché inseguivano lo scoop della vita, ma perché collegavano i fatti, nominavano le persone, indicavano le connessioni, facevano i cronisti. Sono stati ammazzati perché esercitavano nel modo più vero il mestiere del cronista. Questi sono i modelli professionali che dovrebbero essere considerati “normali ed ordinari”, gli altri dovrebbero invece essere considerati una infelice anomalia, una degenerazione della professione giornalistica. Esattamente come un amministratore corrotto dovrebbe essere considerato una metastasi grave della politica. L’osservatorio sul rapporto tra media e mafie (e che ci auguriamo possa diventare immediatamente operativo), fortemente voluto dalla FNSI, dal suo presidente Roberto Natale, dal segretario Franco Siddi, dal consigliere Alberto Spampinato, può rappresentare l’occasione per promuovere questa iniziativa, alla quale ha già dato il suo consenso, non solo Peter Gomez, ma anche Roberto Morrrione portavoce dell’associazione Libera.

Per fortuna, in giro per l’ Italia, non mancano tra gli esempi i cronisti che hanno raccolto l’eredità di Pippo Fava. Pensiamo a Lirio Abbate, alle ragazze e a i ragazzi di Libera Informazione, a Rino Giacalone, a Riccardo Orioles, a Rosaria Capacchione, a Raffaele Sardo, a Saverio Lodato, a Pippo Maniaci, a tanti altri. Tra questi vorremmo ricordare Enzo Palmesano e il piccolo gruppo di cronisti che lavora nel casertano, circondato da mille ostilità, eppure capace di continue, quotidiane denunce. Forse il primo riconoscimento ai cronisti che fanno nomi e cognomi si potrebbe dare proprio a Enzo Palmesano e ai suoi colleghi che operano in quella realtà.

Ci auguriamo che quest’idea possa essere condivisa non solo dalle associazioni dei giornalisti, ma anche dalla fondazione Fava (animata con grande passione civile da Elena Fava) ,da Liberainformazione, dalla fondazione Impastato, dalle fondazioni e dalle associazioni che si richiamano a Falcone, a Borsellino, a Caponetto, a Pio La Torre, per fare solo qualche esempio,da tutte quelle persone che non vogliono rassegnarsi a subire passivamente il tristissimo spirito dei tempi.

Giuseppe Giulietti
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