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4621  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Migranti, MATTARELLA: "Fermezza in Ue su crisi. Italia vuole risposte non ... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:58:17 pm
Migranti, Mattarella: "Fermezza in Ue su crisi. Italia vuole risposte non battute"

Il Presidente della Repubblica alla Farnesina alla XII Conferenza degli ambasciatori: serve una "discussione collegiale, seria e responsabile", che sia "senza spazio per battute estemporanee al limite della facezia"

24 luglio 2017

ROMA - "Sono certo" che lo stesso "metodo di fermezza negoziale" usato per risolvere il problema delle banche "sarà quello che ci consentirà di superare i numerosi ostacoli che ancora si frappongono a un lungimirante ed efficace governo del tema forse più rilevante oggi di fronte all'Unione Europea, quello di una gestione del fenomeno migratorio di carattere autenticamente comunitario". Lo ha detto il Presidente Sergio Mattarella parlando alla Farnesina in occasione della XII Conferenza degli ambasciatori, a tema "Sicurezza e Crescita: le sfide per l'Italia e per l'Europa". Parole ferme, dirette.

La ripresa è più forte del previsto, diventa necessario dunque non sprecare l'occasione e avviare, al contrario, un'azione comune per renderla duratura. Quanto alla grande emergenza nazionale dei migranti, dall'Europa devono arrivare risposte concrete, in vero spirito di collegialità, e non certo le "battute e facezie" che qualcuno ha messo in campo negli ultimi giorni.

"Una discussione collegiale, seria e responsabile", che sia "senza spazio per battute estemporanee al limite della facezia, che non si addicono al dialogo e al confronto internazionali" dice Mattarella. "In un momento nel quale, da più parti - continua il Presidente - le spinte verso il protezionismo si fanno più assertive, mettendo a rischio la crescita mondiale, è l'Europa nel suo insieme a dover reagire, attraverso comportamenti coerenti che garantiscano ai nostri soggetti economici di poter operare in libertà e in sicurezza, agli investitori di poter agire protetti da norme eque e condivise, ai consumatori di essere tutelati e di vedere i propri diritti rispettati. Non possiamo omettere di ricordare la decisa spinta che il nostro Paese ha dato per lo sviluppo della dimensione europea di sicurezza e difesa".

"Vi sono varie strade per governare" l'emergenza, spiega il Presidente della Repubblica, "quella che certamente non esiste è l'illusione di poterla rimuovere".

• MIGRATION COMPACT
"Voi sapete che Europa e Africa sono divenute progressivamente sempre più vicine, che la frontiera meridionale dell'Unione si è, di fatto, spostata più a sud, travalica ormai il Mediterraneo, e si estende verso quello che è stato definito il "Continente del futuro. Verso quel Continente l'Italia ha deciso, da tempo e con strategie lungimiranti, di rivolgere attenzione e premura", aggiunge Mattarella. "Il metodo inaugurato con il Migration Compact, e successivamente declinato nei diversi programmi con i primi Paesi-pilota, deve estendersi, considerando apporti che potrebbero essere forniti da donatori non-europei, in uno sforzo finalmente sinergico, a beneficio del rafforzamento sociale e istituzionale dei Paesi africani - prosegue -. Un impegno di cui l'Italia, per la sua sensibilità, la sua storia e le sue obiettive capacità si è già fatta carico, e che va costantemente svolto e ampliato anche su fronti diversi, come la lotta al terrorismo e quella al traffico di esseri umani, nella consapevolezza della sua centralità per il benessere, la pace e la stabilità dell'Europa e dell'Africa, se non dell'intero pianeta".

• STOP SCONTRI
"Il mondo di oggi non può essere considerato un'arena nella quale siano in brutale competizione sovranità impugnate come clave in una logica di antagonismo o addirittura di scontro" dice ancora il Presidente della Repubblica. "I problemi - sottolinea - hanno una dimensione e una natura che travalica le capacità persino dei paesi economicamente o militarmente più forti. In tal senso l'antistorico richiamo alla autosufficienza rappresenta uno schermo che, alla prova dei fatti, si rivelerebbe tanto illusorio quanto fragile". L'obiettivo è dunque, "attraverso una tessitura attenta e capillare, sollecitare i nostri amici nell'unione europea al comune impegno di affermare le ragioni dei valori della nostra civiltà a livello internazionale".

• LIBIA
"La stabilizzazione delle aree di crisi, prima fra tutte la Libia, necessita di azioni che travalicano la portata di singoli Paesi o di singole alleanze internazionali di 'volenterosi'. Dobbiamo prendere tutti coscienza dell'interazione fra processi di dimensione planetaria - continua Mattarella -, che hanno un impatto diretto sulla stabilità globale. Le dinamiche demografiche, ad esempio, nella loro stridente contrapposizione fra diverse aree del mondo, impongono un approccio mirato alla ricerca di collaborazioni il più possibile ampie. Lo stesso approccio dobbiamo adottare per contrastare fenomeni quali il terrorismo, i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare e la lotta alle disuguaglianze".

• LA RIPRESA
"Dopo anni di crisi economica e di stagnazione, grazie ad uno sforzo congiunto che ha fatto leva, prima di tutto, sull'impegno e sui sacrifici degli italiani, il Paese ha registrato una graduale inversione di tendenza che si è rafforzata nel tempo e che ha assunto, negli ultimi mesi, un ritmo finalmente più consistente". Ora "è indispensabile e urgente conseguire l'obiettivo di mettere in sicurezza questo andamento, attraverso una decisa azione di sistema alla quale la diplomazia è chiamata a fornire un contributo di grande importanza". Anche perchè non c'è solo da sentirsi già alla fine della prova. Esistono altre emergenze da affrontare, e Mattarella ne cita una che gli sta particolarmente a cuore: "La condizione occupazionale del Paese, specialmente su quella giovanile". "Una positiva azione di impulso alla crescita dell'economia, in Italia e all'estero, costituisce il naturale volano per ridurre la disoccupazione", conclude. Un programma sufficientemente impegnativo.
 
© Riproduzione riservata 24 luglio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/07/24/news/mattarella_migranti_ue_fermezza-171531293/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
4622  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Armando MASSARENTI - Una rivista una volta commissionò ad Alberto Savinio un... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:56:41 pm
Una rivista una volta commissionò ad Alberto Savinio un articolo chiedendogli «di guardare in faccia questo nostro tempo e di dire quanto è guasto».

Lui non cadde nel tranello, e invece di rispondere a tono - descrivendo i giorni tristi nei quali tutto ormai sarebbe decaduto, «i princìpi, le forme, il costume», confrontati con non si sa quale età dell'oro in cui i valori, i gusti, il mondo, la società erano ben saldi - se ne usci con un articolo intitolato «Amare l'amaro nostro tempo». “Amaro” il suo (siamo nel 1951) come ogni altro tempo; compreso, ovviamente, il nostro, soprattutto se guardiamo alla scena letteraria degli ultimi decenni e, nel complesso, a un'industria culturale e libraria inclini più che mai all'effimero. Sarebbe del tutto naturale, e fin troppo facile, rimpiangere i bei tempi andati in cui a dominare la scena erano Calvino, Gadda, Pasolini, Moravia, Parise o la Morante.

L'inchiesta condotta per la Domenica da Gianluigi Simonetti, di cui oggi potete leggere in copertina la puntata introduttiva e che ci accompagnerà per tutta l'estate, non ha nulla di nostalgico. Ciò che di bello e di buono ci può essere nel nostro tempo dipende proprio dal fatto di essere “nostro”. Siamo noi a dover agire in esso nel migliore dei modi. Qui e ora. Senza fare alcuna concessione al malcostume di certa pseudocritica e di certi letterati - in cui prevalgono il pettegolezzo, la rivalsa personale, le letture idiosincratiche, umorali, a scapito dei contenuti e dell'analisi dei testi e degli stili - la Domenica vuole offrire ai suoi lettori l'opportunità di orientarsi e di guardare alla sostanza delle cose, analizzando stili, contenuti, generi, tendenze. In una parola, cercando di “capire”: parola che, a ben vedere, nel vocabolario evoluto di Savinio è, indipendentemente dai giudizi critici che possono scaturire dall'analisi, la più vicina ad “amare”.
      
Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica
 
  @massarenti24

Da ilsole24ore.com
4623  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Mafia Capitale, Bindi: "Sentenza non sconfessa Procura ma scoperchia sistema... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:53:37 pm
Mafia Capitale, Bindi: "Sentenza non sconfessa Procura ma scoperchia sistema criminale"

In esclusiva a Repubblica il commento della presidente della Commissione Antimafia

Di ROSY BINDI
21 luglio 2017

La sentenza che ieri ha concluso il primo grado del processo Mafia Capitale non sconfessa il lavoro meritorio della Procura di Roma, che ha scoperchiato un sistema criminale che ha tenuto in ostaggio per anni l'amministrazione capitolina. Anche noi leggeremo con attenzione le motivazioni di una sentenza che ha comunque comminato pene molto severe e, poiché è prevedibile che la Procura ricorra in appello, attenderemo anche le valutazioni dei giudici superiori.

La nostra Commissione ha apprezzato fin dall'inizio i profili innovativi dell'impostazione del Procuratore Pignatone, che ha individuato nell'agire criminale di Buzzi e Carminati le caratteristiche di un'associazione a delinquere di stampo mafioso. Impostazione confermata, tra l'altro, sia dal Tribunale del Riesame che dalla Cassazione. Il coraggio dell'inchiesta Mondo di mezzo sta infatti nel aver superato anche a Roma una definizione di mafia ancorata ai confini geografici, e nell'aver evidenziato come quello mafioso sia soprattutto un metodo che si manifesta in modo palese, attraverso l'intimidazione e la violenza, o in modo ancor più pericoloso attraverso la corruzione, senza che venga meno la sua autentica natura criminale.

Sono anni che sentenze anche passate in giudicato riconoscono che per definire un mafioso non serve il certificato di nascita e tanto meno quello di residenza. E sappiamo quali danni ha provocato la sottovalutazione e la rimozione del fenomeno mafioso in regioni come la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, l'Emilia Romagna. Non vorremo si tornasse a pensare che oggi le mafie sono ancora solamente Cosa Nostra, la 'Ndrangheta e la Camorra, con l'aggiunta di qualche organizzazione nigeriana, albanese o cinese. Sarebbe un errore grave, che tra l'altro impedisce di vedere l'evoluzione dei sistemi criminali, la loro adattabilità e il mimetismo con cui sanno stare nel nostro tempo. Non mi pare che la sentenza assolva le responsabilità della politica che dovrebbe invece ribadire la propria gratitudine ai magistrati della Dda di Roma. E da essa comunque traspare l'affermazione circa l'esistenza di strutture criminali pericolose e capaci di una forte penetrazione nel sistema politico e istituzionale.

Nella Capitale il sistema corruttivo, che oggi le mafie prediligono senza incontrare grandi resistenze, coinvolgeva in modo trasversale la politica locale e la pubblica amministrazione.  La configurabilità giuridica dell'art. 416bis è questione che non può distogliere l'attenzione sulla gravità dei fatti oggi accertati.
La nostra Commissione tornerà presto ad approfondire questa vicenda, soprattutto in relazione alla fragilità degli enti locali i più esposti all'aggressione dei poteri mafiosi.
 
© Riproduzione riservata 21 luglio 2017
4624  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / La considerazione per la dignità del Cittadini Italiano, ... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:52:18 pm
La considerazione per la dignità del Cittadini Italiano, di qualsivoglia pensiero socio-politico (o non pensiero) deve essere rivalutata di non piccola misura.

Il deterioramento di qualità della classe politica attuale dipende anche dalla poca considerazione in cui ha tenuto il Cittadino.

Da Fb del 19 luglio 2017
4625  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Tommaso Cerno - Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia inserito:: Luglio 30, 2017, 05:49:23 pm
Tommaso Cerno

Editoriale

Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia
«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… »

Abbiamo risentito la frase italiana per eccellenza: la mafia non esiste. Quella dei tempi d’oro. Quando la politica mangiava con loro e i giornalisti venivano ammazzati. Lo dicono ridacchiando mentre uno ‘Stato cecato’ ha inflitto oltre 280 anni di carcere a un’organizzazione criminale guidata da er Cecato vero, Massimo Carminati. Con una sentenza che ripulisce Roma dal lordume. Fra le risatine di avvocati entusiasti per avere mandato in galera i loro assistiti. Ridono perché questa è una sentenza pesante, ma che mostra una visione vecchia della mafia. E fa sembrare loro dei giuristi. Mentre ripetono quello che i mafiosi dicono dal carcere: la mafia non c’è. Un limite culturale dello Stato. Pur con sostanziali passi avanti rispetto agli anni delle assoluzioni choc, degli indulti a comando.

Diciamo che qualcuno dovrebbe rileggersi Leonardo Sciascia. Se si ricorda chi sia. Denunciava già nel 1961 questa tendenza italica, quella di non sapere o volere adattare alla modernità la criminalità organizzata che cambia metodi e modi con maggiore velocità rispetto al codice penale: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… ». A distanza di mezzo secolo da questa profezia, il tribunale infligge pene severissime ai criminali che avevano messo le mani su Roma, ma non cancella la parola “Forse” dalla più celebre citazione de “Il Giorno della Civetta”.

E la mafia certamente ha ascoltato dalle sue lorde tane e dalle sue latitanze. Perché può stare certa che in un Paese come il nostro, invischiato in decine di scandali e omicidi, attovagliato spesso con loschi figuri, affermare in nome del popolo italiano che non solo non siamo riusciti a sconfiggere le mafie storiche, ma siamo stati capaci di farne crescere una nuova, nel cuore di Roma, già graziata ai tempi della Banda della Magliana, è roba troppo grossa per il nostro Stato. Lo sappiamo da anni.

I quattro re di Roma
Carminati, Fasciani, Senese e Casamonica. Ecco i boss che si sono spartiti il controllo della città. Mettendo a freno omicidi e fatti di sangue troppo eclatanti per garantire il silenzio sui propri traffici
Una cosa buona c’è. L’organizzazione criminale di er Cecato, di quel Massimo Carminati, ex terrorista nero, viene smantellata da una condanna pesantissima. È un passo avanti. Ma non basta. L’organizzazione messa sotto i riflettori dall’Espresso nel 2012, quando Roma faceva finta di non conoscere quel signore che se ne stava seduto in un distributore di benzina facendo piedino a un pezzo di politica di tutti i colori, con lo stesso sguardo immobile che tenne durante il processo Pecorelli al fianco di Andreotti, va dietro le sbarre.

Va detta una cosa: in Italia erano in molti a volersi levare di torno Carminati, come è stato, ma a non voler scoperchiare il marcio che nasconde quel suo mondo di mezzo. Sembra che la giustizia vada avanti, però a piccoli passi. Stavolta le pene ci sono, ma c’è pure l’ennesimo rinvio della grande questione che tiene impalata l’Italia.

Siamo in grado di capire che la mafia non porta più la coppola, non usa i pizzini né carica la lupara? Non è facile.

Per questo dico senza paura che questa condanna non è il migliore regalo di Stato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’anniversario delle stragi. E ci costringe a rileggere parole che risuonano come una oscura profezia, anche se stentano a prendere vita dentro un’aula di giustizia. La mafia non è un demone, è normalità. Non è sangue, è aria che respiriamo: «Una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza». Lo scrisse Sciascia, appunto, nel 1957. Quando quei giudici erano bambini o nemmeno erano nati. Lo scrisse in nome suo. Incurante di loro. Prima o poi lo riscriveranno anche i giudici in una sentenza. In nome del popolo italiano. Quello che può vincere contro gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraqua.


Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma».
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961

20 luglio 2017© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/editoriale-cerno/2017/07/20/news/cari-giudici-di-mafia-capitale-e-l-ora-di-rileggere-sciascia-1.306517?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-L
4626  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / CORRADO ZUNINO Relazione sullo stato dell'ambiente, i due volti dell'Italia inserito:: Luglio 30, 2017, 05:47:49 pm
Relazione sullo stato dell'ambiente, i due volti dell'Italia
Sono 893 pagine scritte sotto la direzione del segretario generale del ministero e il supporto scientifico di sei professori di università ed enti scientifici: disegnano un paese diviso tra il consumo del suolo (e le frane conseguenti), la desertificazione a sud, la produzione chimica, ma anche l'avanzata delle terre coltivate a biologico e l'ottimo indice di balneazione

Di CORRADO ZUNINO
20 luglio 2017

ROMA - Un ministero dell'Ambiente che produce molti e corposi dossier, dopo otto anni firma la nuova "Relazione sullo stato dell'ambiente" (2016) e la deposita in Parlamento (lo scorso 6 luglio). E' recente il primo rapporto sul capitale naturale e ora sono pronte alla consultazione - non si sa per quali scelte, seguendo l'introduzione neutra del ministro Gian Luca Galletti - le 893 pagine scritte sotto la direzione del segretario generale del ministero e il supporto scientifico di sei professori di università ed enti scientifici. Scrive il ministro Galletti: "Siamo gli unici tra i grandi in Europa a non avere il nucleare, abbiamo un'alta efficienza energetica e rappresentiamo un'avanguardia a livello mondiale sulle energie rinnovabili".
 
Un paese che frana. E' lo stesso ministro a ricordare che oltre il 60 per cento delle frane che si registrano nel continente europeo si producono in Italia: 600 mila delle 900 mila censite in Europa. E' un dato che basta a segnalare la fragilità, e la cattiva manutenzione, del nostro territorio. Le aree a pericolosità idraulica, in Italia, sono il 4 per cento del totale con l'Emilia Romagna in testa. Le aree a "pericolosità media" sono l'8,1 per cento. Il consumo di suolo è il più alto in Europa, nonostante le molte colline e le molte montagne presenti "che avrebbero dovuto evitare l'espansione urbana". In termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato, dato del 2014, 21.000 chilometri quadrati del territorio, il 7 per cento della superficie nazionale.
 
La desertificazione del Sud. L'Italia presenta il tasso di perdita di suolo più alto d'Europa, con valori di 8,46 tonnellate per ettaro l'anno, spiegabili con la cementificazione, le elevate pendenze dei terreni, la forza erosiva delle piogge, soprattutto quando sono successive a lunghi periodi di siccità. Altre cause di degrado sono la salinizzazione, la compattazione, la contaminazione, soprattutto la desertificazione, fenomeno che sta diventando preoccupante. Da questo punto di vista, il 10 per cento del territorio nazionale è molto vulnerabile, il 49,2 per cento ha una vulnerabilità media e solo il 26 per cento bassa o nulla. In Sicilia è a rischio il 42,9 per cento della superficie regionale, in Molise il 24,4, in Puglia il 15,4 e in Basilicata il 24,2.
 
Le terre bio e lo sviluppo chimico. In un paese con 60,7 milioni di residenti, nel 2014 l'agricoltura biologica occupava 1.387.913 ettari di territorio (+5,8 per cento rispetto al 2013) e 55.433 produttori dedicati al bio. L'Italia è leader europeo del settore, sia per il numero di imprese sia per l'estensione delle aree, ed è tra i primi produttori al mondo di agrumi, olive e frutta privi di chimica. Questi dati convivono, segno di un Paese che in queste stagioni non ha scelto la sua chiave di sviluppo, con il fatto che, con 52 miliardi di euro di fatturato sempre nel 2014, siamo il terzo produttore chimico in Europa e il decimo a livello mondiale. Fabbrichiamo chimica di base (petroli, cloro, soda, acido solforico), chimica specialistica (vernici e inchiostri, fitosanitari, coloranti), chimica destinata al consumatore finale (detergenti, cosmetici, pitture).
 
Depurazione totale. Già nel 2012 tre regioni - Piemonte, Liguria e Sardegna - e la Provincia autonoma di Trento avevano raggiunto una depurazione pari al 100 per cento del "carico organico". Nel 2015, invece, la percentuale di raccolta differenziata si è attestata al 47,5 per cento della produzione nazionale facendo rilevare una crescita di 2,3 punti rispetto al 2014 (i target Ue, tuttavia, indicano il 65 per cento come valore da raggiungere). La crescita di raccolta differenziata si è riscontrata anche nel Mezzogiorno: più 211 mila tonnellate, +7,3 per cento.
 
Relazione sullo stato dell'ambiente, i due volti dell'Italia
Balneazione e petroliere. Delle 5.511 acque di balneazione - 644 interne, 4.867 marine - l'82 per cento è di classe "eccellente". Ma il Rapporto evidenzia l'alto rischio di inquinamento per il Mar Mediterraneo derivante dall'intenso e quotidiano traffico di petroliere. In questo mare transita una percentuale tra il 25 e il 30 per cento del movimento mondiale di idrocarburi, petrolio e derivati: sono 400 milioni di tonnellate l'anno con oltre 250 petroliere di passaggio ogni giorno. Ben 125 milioni di tonnellate di idrocarburi vengono movimentate, ogni stagione, nei porti italiani: oltre 80 milioni di tonnellate rappresentano la nostra importazione per esigenze energetiche nazionali. Il 70 per cento degli idrocarburi si concentra in quattro porti: Trieste (36 milioni di tonnellate), Augusta e Priolo (25 milioni), Cagliari (13 milioni) e Genova (13 milioni).
 
Chiude il ministro Galletti, commentando la Relazione sullo stato dell'ambiente: "L'Italia che emerge da questa disamina è un Paese saldamente incardinato nel sistema di tutele ambientali definito dall'Unione europea, probabilmente il più attento e completo del mondo. E le città, che producono il 70 per cento dei gas serra, sono il banco di ogni politica di sostenibilità".

© Riproduzione riservata 20 luglio 2017

Da - http://www.repubblica.it/ambiente/2017/07/20/news/relazione_sullo_stato_dell_ambiente-171224462/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P14-S1.6-T2
4627  Forum Pubblico / SCIENZE & TECNOLOGIA / Matteo Scirè Google ti fa la rassegna stampa. Quali rischi per la libertà di ... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:46:19 pm
Focus
Matteo Scirè  @matteoscire  · 26 luglio 2017

Google ti fa la rassegna stampa. Quali rischi per la libertà di informazione?
Il colosso di Mountain View vuole sfruttare ancora di più il proprio ruolo di bussola del cyberspace, anche nel settore delle digital news

Da un po’ di giorni a questa parte Google sulla propria app per Android e iOs propone una serie di notizie sulla base delle ricerche e delle navigazioni effettuate dagli utenti, proprio come accade per la pubblicità. In particolare si tratta di un’evoluzione di Google Now, un software introdotto già nel 2013 che funge da assistente personale e che anticipa i gusti e gli interessi degli internauti. Il colosso di Mountain View vuole sfruttare ancora di più il proprio ruolo di bussola del cyberspace, anche nel settore delle digital news. C’era da aspettarselo. D’altronde è grazie al tracciamento delle attività degli utenti che ha fondato il proprio incontrastato dominio economico, con la vendita di dati e di spazi pubblicitari capaci di raggiungere target specifici.

Non si tratta di una novità. Il meccanismo è già utilizzato da altri grandi player della rete. Facebook, ad esempio, lo adopera nel news feed per selezionare i post da mostrare ai membri della propria community e al fine di offrire ai clienti i servizi di sponsorizzazione dei contenuti a pagamento. Tuttavia l’iniziativa del principale motore di ricerca pone alcune importanti questioni sul ruolo che sempre di più i grandi di internet ricoprono nel sistema dell’informazione digitale, sulle ricadute che questo ha nei confronti dell’opinione pubblica e su quella dei cittadini.

Già da anni Google esercita un decisivo potere di selezione dei contenuti attraverso i suoi algoritmi. Modelli matematici calibrati su criteri decisi dal gigante del web e che determinano il tasso di visibilità di un articolo, di un’immagine o di un video. Formule per lo più sconosciute. Dei veri e propri rompicapo con cui gli esperti della Search Engine Optimization (Seo) si confrontano giornalmente, per capire in che modo realizzare prodotti editoriali che possano raggiungere la cima dei risultati. Arrivare ai primi posti è fondamentale. Una recente indagine commissionata dalla Commissione europea ha svelato che quelli della prima pagina guadagnano il 95% di tutti i click, mentre i link della seconda ne intercettano soltanto l’1%.

Adesso Google non si accontenta di orientare gli utenti, ma intende pure costruire la loro dieta informativa, svolgendo quella funzione che gli studiosi dei media da tempo hanno definito come “agenda setting”. Seppur sulla base dei loro interessi, sarà Big G a decidere quali notizie entreranno nella rassegna stampa personale di ogni lettore. Un potere di filtro fortissimo che se, di fatto, non limita la libertà dei cittadini ad informarsi di certo la disabilità, poichè li spinge a delegarla ad un soggetto terzo. Al lettore non viene neanche richiesta la fatica, si fa per dire, di digitare l’url di un giornale online o le parole chiave dell’argomento su cui intende cercare notizie. Basterà semplicemente aprire l’app e un elenco di articoli scelti da Google, come per magia, apparirà sullo smartphone.

Un servizio così apparentemente utile e innocuo da essere in realtà estremamente pericoloso. In gioco, infatti, c’è la libertà di informazione, intesa come libertà di informare, di informarsi e di essere informati, secondo una pluralità di fonti e punti di vista differenti. Un principio così fondamentale per la promozione del confronto e della partecipazione democratica da rappresentare uno dei capisaldi della nostra Costituzione e di quelle di tutti gli altri Paesi democratici, ma che nella società digitale rischia di essere sistematicamente piegato alle volontà di quei pochi soggetti che gestiscono la quasi totalità del traffico della rete.

Di fronte a questo scenario, al di là degli auspicati interventi regolativi contro la formazione di posizioni dominanti, l’unica risposta possibile è la promozione di una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni e dei cittadini attraverso un forte investimento sulla media education, ovvero sull’educazione ad un utilizzo responsabile dei nuovi media. Ne va del futuro della democrazia.

Da - http://www.unita.tv/focus/google-ti-fa-la-rassegna-stampa-quali-rischi-per-la-liberta-di-informazione/
4628  Forum Pubblico / LEGA VALORI e DISVALORI prima di marzo 2018 / ALBERTO MATTIOLI Bossi: “Maroni candidato premier. Salvini non tocchi la parola inserito:: Luglio 30, 2017, 05:44:00 pm
Bossi: “Maroni candidato premier. Salvini non tocchi la parola Nord”
Il Senatùr: “L’unica alleanza è con Berlusconi, i grillini non sono seri. Se Matteo cambia il simbolo tradisce un progetto politico”
Pubblicato il 30/07/2017 - Ultima modifica il 30/07/2017 alle ore 07:36

ALBERTO MATTIOLI
INVIATO A CERVIA (RAVENNA)

Per due giorni, la capitale estiva della Lega è «l’altra» Milano: Milano Marittima. Alla festa della Lega romagnola, in piazza, nel capoluogo Cervia, sono attesi tutti i papaveri del partito, compresi il leader attuale, Matteo Salvini, che ci ha comiziato ieri sera, e quello storico, Umberto Bossi, che parlerà stasera. Bossi anticipa quel che dirà in questa intervista, la prima dopo la condanna in primo grado per la vicenda del «cerchio magico». «Ma ci piacerebbe parlare di politica», fanno sapere dall’entourage del Senatur. 
 
Va benissimo. Bossi, allora, in tutto questo tira e molla sulle alleanze in vista delle elezioni, con chi dovrebbe farla la Lega? 
«Io credo che la Lega debba ripartire dall’alleanza con Berlusconi. Per una ragione molto semplice: anche se ha avuto i suoi problemi, Berlusconi è comunque un uomo che mantiene la parola. E se vogliamo vincere le elezioni e governare, l’accordo lo dobbiamo fare con qualcuno di cui ci possiamo fidare. Non si può certo pensare di mettersi insieme con i Cinque Stelle, che non sono seri. Quindi l’unica coalizione che può davvero vincere passa dall’accordo fra la Lega e Berlusconi».
 
Cita sempre Berlusconi e mai Forza Italia. 
«Infatti. Io parlo di Berlusconi».
 
L’alleanza, però, ha bisogno di un candidato premier. Di nomi appunto Berlusconi ne ha fatti molti, e l’ultimo è quello di Maroni. Che ne pensa? 
«Penso che in questo momento Maroni abbia una responsabilità enorme, che è quella di portare a casa l’autonomia della Lombardia al referendum del 22 ottobre. Vinto quello, tutto diventa possibile».
 
Quindi Maroni candidato primo ministro le andrebbe bene? 
«Sì, potrebbe andare bene».
 
Altro nome di cui si parla molto in questi giorni è quello di Giovanni Toti, che del resto di tutti gli uomini di Forza Italia è il più vicino alla Lega... 
«È una brava persona ma al momento non penso che abbia le spalle abbastanza larghe per fare il candidato premier».
 
Altro problema: i confini della coalizione. Alfano lo riporterebbe dentro? 
«Secondo me, lo ripeto, l’asse della coalizione è l’accordo fra Lega e Berlusconi. Alfano non è un problema nostro, è un problema di Berlusconi. La scelta di riprenderlo con sé deve farla lui. Noi non c’entriamo».
 
C’è anche l’ex sindaco di Verona ed ex leghista Flavio Tosi, che Berlusconi, pare, sta cercando di arruolare. Crede che per la Lega sarebbe accettabile? 
«Sappiamo tutti com’è stato sbattuto fuori. Ma se è stato sbattuto fuori così lui, allora chissà quanta gente avremmo dovuto cacciare dalla Lega. Per me, non sarebbe un problema se entrasse nell’eventuale coalizione. Anche perché in ogni caso ci sono stati dei momenti in cui una figura come la sua è mancata».
 
Lei continua a parlare di coalizione. Alla fine con quale legge elettorale crede che si andrà a votare? 
«Credo che alla fine ci si metterà d’accordo, magari all’ultimo momento, su una legge elettorale maggioritaria. Con un premio alla coalizione, appunto».
 
In questi giorni girano dentro la Lega dei simboli dove sparisce la parola «Nord». Il partito smentisce che si voglia toglierla, però sembra assodato che la questione settentrionale non sia più la priorità. Immagino che non sia d’accordo. 
«Cancellare la parola Nord dal nome e dal simbolo della Lega significherebbe tradire un progetto politico. Sono convinto che la questione settentrionale esista sempre e sia tuttora attuale per la Lega e per la nostra gente. Così attuale che l’obiettivo immediato dev’essere la vittoria al referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto».
 
Dentro la Lega, lei è ormai all’opposizione. In sintesi, cosa rimprovera a Matteo Salvini? 
«Per il momento nulla, perché la Lega in questo momento ha bisogno di essere compatta per portare a casa il risultato del referendum. Una volta vinto il referendum, parleremo di quello che non va».
 
Ultima domanda. Dopo le ultime vicende giudiziarie, è pentito di essersi fidato di Belsito? 
«Sì».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/07/30/italia/cronache/bossi-maroni-candidato-premier-salvini-non-tocchi-la-parola-nord-LnYL4ZMQf3TT8cjMjIXsBI/pagina.html
4629  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Lo stop di Pisapia: “Serve una formazione riformista”, non un... inserito:: Luglio 30, 2017, 05:42:26 pm
Lo stop di Pisapia: “Serve una formazione riformista”, non un fronte del No
L’ex sindaco di Milano, irritato per la delegittimazione imbastita da Mdp per l’abbraccio alla Boschi alla festa dell’Unità, ha rinviato l’incontro con i bersaniani: «Meglio riflettere che litigare».
La preoccupazione di fare una formazione che «parli» alla sinistra ma anche a Prodi e Letta


Pubblicato il 25/07/2017 - Ultima modifica il 25/07/2017 alle ore 17:05

FABIO MARTINI
ROMA
A questo punto la decisione finale – fare o no un soggetto riformista alternativo al Pd – è rinviata a settembre, ma Giuliano Pisapia confessa di sentirsi sollevato dopo l’annullamento del previsto incontro con Mdp: «Se ci fossimo incontrati in queste ore avremmo rischiato di litigare, invece così possiamo riflettere sul da farsi…». Ma l’annullamento dell’incontro con Roberto Speranza, lo ha deciso proprio Pisapia e dunque non è affatto detto che nelle prossime settimane tutto si risolva in un abbraccio tra le due anime di quest’area, quella con una vocazione di governo che fa capo all’ex sindaco di Milano e quella da “Rifondazione-Ds” che fa capo a Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema ed Enrico Rossi.

Uomo mite, ma non buonista, Pisapia stavolta è molto irritato, più del solito con chi ha provato a delegittimarlo per l’ormai celeberrimo abbraccio con Maria Elena Boschi alla festa dell’Unità. Chi lo conosce, ricorda la fermezza con la quale reagì alle insinuazioni di Letizia Moratti durante la campagna elettorale di Milano, una reazione che contribuì alla sua inattesa vittoria nel duello con l’allora sindaco.
 
E anche stavolta Pisapia non transige: dal suo punto di vista confondere un gesto gentile con una cedevolezza politica è un’insinuazione che l’ex sindaco comprende in qualche militante sul web, ma non nel gruppo dirigente di una formazione diretta da leader maturi e che conoscono le sue intenzione: «Voglio dar vita ad un’area alternativa all’attuale Pd».
 
Nella valutazione di Pisapia l’incontro fissato per oggi con Speranza si sarebbe risolto in un nulla di fatto, mentre invece dal suo punto di vista meritano riflessione ulteriore almeno tre punti: il profilo della nuova area, che Pisapia vuole riformista e con vocazione governativa, capace di intercettare anche gli elettori che guardano a Prodi e a Letta; il rapporto con l’esecutivo Gentiloni, escludendo colpi di mano, che avrebbero l’effetto di qualificare la nuova formazione come “crisaiola” e “sfascista”; il profilo organizzativo, che è difficile immaginare come incardinato sulle sole tessere. 

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4630  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / FEDERICO MARCONI. Pugni, insulti e cinghiate: i fascisti sono tornati a far paur inserito:: Luglio 30, 2017, 05:40:49 pm
NAZITALIA

Pugni, insulti e cinghiate: i fascisti sono tornati a far paura
Negli ultimi mesi sono aumentate esponenzialmente violenze, blitz, pestaggi. I responsabili, il più delle volte, appartengono a gruppi di estrema destra.
I bersagli: migranti, Ong, militanti di sinistra. Sull'Espresso in edicola da domenica l'inchiesta sui 'neri' del 2017

DI FEDERICO MARCONI
28 luglio 2017

Pugni, insulti e cinghiate: i fascisti sono tornati a far paura
Pestaggi, blitz, aggressioni. La violenza è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi mesi. E la matrice è, spesso, la stessa: l’estrema destra, che sta tornando più prepotente che mai. In alcuni casi i responsabili sono ancora ignoti, ma i bersagli no: sono gli stessi contro cui si scagliano i neofascisti.

6 dicembre 2016. San Basilio, quartiere della periferia est della capitale, si rivolta contro una famiglia marocchina. «Un episodio di profondo degrado morale e civile» commentano dal Campidoglio. Una trentina di residenti ha aggredito la famiglia, legittima assegnataria della casa popolare, in difesa degli occupanti abusivi dell’alloggio: «Non vogliamo i negri, andate via con i barconi». A supportare i riottosi Forza Nuova: «Sosterremo con forza la rivolta popolare per la difesa di Roma contro chi vuole farci diventare minoranza a casa nostra».

L'inchiesta di copertina sull'estrema destra che conquista nuovi consensi soffiando sul fuoco della crisi economica e dei flussi migratori: un viaggio nelle istituzioni in cui entrano partiti neofascisti e nel mondo criminale in cui i "neri" la fanno da padrone (e non vengono mai puniti). Poi l'analisi di Marco Damilano sui "Supplenti di stato", figure degli apparati e delle istituzioni che fanno da garanti del Paese mentre la politica va in pezzi e un reportage su Amatrice un anno dopo il sisma. Il direttore Tommaso Cerno e Alessandro Gilioli raccontano il nuovo numero del settimanale
   
Con l'anno nuovo, si ricomincia. 21 gennaio 2017, Noi con Salvini e Fratelli d’Italia manifestano contro l’ordinanza con cui la sindaca Raggi destina il Ferrhotel, albergo in disuso vicino la stazione Tiburtina, all’accoglienza dei migranti. Tra i partecipanti la deputata della Lega Nord Barbara Saltamartini.  Al termine della manifestazione Forza Nuova e Roma ai Romani occupano la struttura: «Contro i migranti siamo pronti alle barricate».

Passano tre giorni. 24 gennaio: Forza Nuova, CasaPound e Roma ai Romani impediscono a una famiglia di egiziani di prendere possesso di una casa popolare dopo lo sgombero degli occupanti, ancora una volta italiani e abusivi: «Non molleremo un centimetro» dichiara Giuliano Castellino, portavoce di Roma ai Romani.

Il primo pestaggio il 2 febbraio, a Ostia. «Mi hanno accerchiato, gettato in terra e preso a calci, i passanti non hanno fatto nulla per fermarli». Fuori dal palazzo municipale viene aggredito un attivista di una Onlus che si occupa di migranti. Poco distante un sit-in di CasaPound, Fratelli d’Italia e Noi con Salvini. I partecipanti alla manifestazione negano tutto, ma la Polizia cerca tra loro i responsabili dell’accaduto.

Neanche dieci giorni dopo una nuova vittima. Nel viterbese alcuni militanti di CasaPound effettuano una “spedizione punitiva” contro Paolo, ragazzo ventiquattrenne colpevole di aver condiviso su Facebook una vignetta satirica che recitava «Chi mette il parmigiano sulla pasta col tonno non merita rispetto». «Fatti i cazzi tuoi, non prendere in giro CasaPound» gli urlano tra un pugno e una cinghiata. Tra i responsabili c’è Jacopo Polidori, dirigente della sezione viterbese del movimento di estrema destra. Il 20 ottobre inizierà il processo a suo carico.

La destra (peggiore) può tornare a vincere
Sovranisti, populisti, anti-parlamentaristi, nazionalisti, no tax, no migranti, fascisti... Si era mimetizzata ma dopo il voto nelle città ha rialzato la testa. E rischia di dominare nelle prossime elezioni. Sotto il comando di Berlusconi

Non solo Roma, la violenza arriva anche a Milano. Nel pomeriggio del 1 aprile, militanti di Forza Nuova effettuano un blitz “con mazze e caschi” al centro sociale Gta. In serata venticinque militanti di CasaPound aggrediscono un componente della Rete degli studenti. Il ragazzo viene inseguito, spintonato e gettato nel Naviglio tra insulti e sputi.

Saluti romani e croci celtiche il 25 aprile al cimitero Maggiore di Milano: l’ultradestra commemora i caduti della Repubblica di Salò, beffando la Prefettura che aveva proibito la manifestazione. I mille fascisti presenti al cimitero raddoppiano nel pomeriggio, al raduno sotto la chiesa dei Santi Nereo e Achille. È presente tutto il gotha dell’estrema destra italiana: non solo Forza Nuova, CasaPound e Lealtà Azione, ma anche Zeta Zero Alfa e Hammerskin.

Momenti di tensione al Campo 10 del cimitero Maggiore di Milano: alcuni antifascisti, dopo la commemorazione ai partigiani caduti durante la Liberazione, sono stati verbalmente attaccati da militanti di estrema destra arrivati al Campo per rendere omaggio ai loro morti. Al termine del diverbio, uno di loro ha alzato il braccio per il saluto romano e ha urlato "fascisti sempre". Come prevedeva il divieto della Prefettura, non si è svolta una cerimonia ufficiale per i caduti dell'Rsi, ma ognuno di loro ha portato un saluto in forma privata (di Giulia Costetti)
   
A maggio continuano i blitz. Giovedì 4 Forza Nuova effettua una “irruzione pacifica” nella sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni a Roma. “La prossima volta potremmo non essere altrettanto teneri” afferma il portavoce Alessio Costantini. Il 6 maggio un nuovo blitz, questa volta a Prato. Al grido di “Ong scafiste” un gruppo di militanti di Movimento Nazionale e Gioventù Identitaria fa irruzione al Festival Mediterraneo Downtown organizzato dalla Ong Cospe.

L’estate scalda gli animi dell'estrema destra. Il 15 giugno Forza Nuova protesta sotto Palazzo Madama contro lo Ius Soli: «Ormai è guerra aperta. In questo momento un manipolo di guerrieri sono schierati qui in piazza. La legge non passerà, o sarà battaglia in tutta Italia» è scritto in un post su Facebook del movimento neofascista. La polizia utilizza gli idranti per respingere la manifestazione non autorizzata: a fine giornata sono 64 i forzanovisti identificati e denunciati.

Protesta contro lo Ius soli e saluto fascista: così l'estrema destra decide di manifestare il proprio dissenso alla legge in discussione al Senato. Dopo il sit in a Palazzo Madama con CasaPound, Forza Nuova sceglie di marciare per la città invocando il Duce. Tra i blindati della polizia, braccia tese intorno a piazza Cavour, sulle note di "Camicia nera la trionferà". Al termine del corteo 50 persone sono state denunciate per manifestazione non autorizzata, violenza e resistenza a Pubblico Ufficiale e apologia di fascismo. Di Giulia Torlone
   
Appena cinque giorni dopo, il 20 giugno, un diciottenne romano viene aggredito con un tubo di metallo perché “zecca comunista”: è colpevole di indossare una maglietta del Cinema America occupato. Il giorno dopo, fuori da un circolo Arci di Pescara, due ragazzi vengono aggrediti da una coppia di uomini, che alle forze dell’ordine dichiarano di essere “fascisti e razzisti”.

Il 28 giugno a Perignano, paesino in provincia di Pisa, Forza Nuova fa un blitz contro il prete che ha ospitato la festa di fine Ramadan nei locali della Chiesa. Il giorno dopo, a Milano, caos a Palazzo Marino, sede del Comune: prima CasaPound irrompe a braccia tese in aula consiliare per chiedere le dimissioni del sindaco Sala, poi sfiora la rissa con alcuni gruppi dei centri sociali fuori dal palazzo del Comune.

Irruzione di un gruppo di militanti di CasaPound in Consiglio comunale a Milano, con tanto di saluti romani e la richiesta gridata di dimissioni rivolta al sindaco, Beppe Sala, dopo il suo coinvolgimento nell'inchiesta sugli appalti Expo. "Ferma condanna rispetto ad azioni sqaudriste, che dimostrano come questi signori non conoscano altro che la violenza. Nelle istituzioni democratiche, nella città Medaglia d'oro della Resistenza, non c'è spazio per questi disgustosi rigurgiti fascisti" è il commento del segretario metropolitano del Pd, Pietro Bussolati. E l'assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino sul suo profilo Facebook ha scritto: "Già Beppe mi piaceva come sindaco. Da oggi che lo hanno contestato quattro pirla di CasaPound mi piace ancora di più"(video dalla pagina Facebook di Casa Pound)
      
Il 30 giugno, mentre il neosindaco di Genova Marco Bucci dichiarava «Casapound ha diritto ad aprire una sede», a Roma accadeva di tutto. A Tor Bella Monaca un 52enne bengalese veniva picchiato da quattro ragazzi italiani perché destinatario di una casa popolare. Nel frattempo CasaPound manifestava fuori dal centro di accoglienza della Croce Rossa di via del Frantoio.

Chissà se qualcuno di loro ha presenziato la sera alla Festa del Sole, organizzata dal gruppo di ultradestra Lealtà Azione. La formazione nata nel 2011, oggi egemone nel panorama dell’estrema destra lombarda, ha tra i fondatori l’assessore allo Sport di Monza Andrea Arbizzoni, eletto tra le fila di Fratelli d’Italia. Il “senatore” Arbizzoni, come viene chiamato a Monza, è già stato assessore nella precedente giunta leghista. Alla due giorni di incontri e conferenze quest’anno ha partecipato Alfredo Mantica, già senatore nelle fila di An e Pdl e sottosegretario agli Esteri nel II e III governo Berlusconi. La destra moderata ha sempre partecipato alla manifestazione, non perdendo l'occasione di dialogare con i neonazisti. Nel 2015, oltre al vicepresidente di CasaPound Simone Di Stefano, parteciparono Carlo Fidanza, allora membro dell’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia, Giulio Gallera, consigliere regionale lombardo di Forza Italia, fra i fondatori del partito nel 1994, e Igor Iezzi, segretario della Lega Nord nella provincia di Milano.

L’onda nera arriva anche in Calabria. Il 1 luglio a Riace, la città calabrese considerata nel mondo un’eccellenza nell’accoglienza ai migranti, ha luogo una manifestazione delle destre contro la politica d’accoglienza del sindaco Mimmo Lucano. Per contrastare l’accoglienza dalle parole si passa ai fatti: il 4 luglio a Vobarno, in provincia di Brescia, una molotov viene lanciata contro un hotel che si preparava ad ospitare dei migranti. In quella stessa notte Casapound affiggeva lo striscione “Profughi finti, soldi veri”.

Con il caldo le strade non bastano più. E Casapound, il 9 luglio, va in spiaggia a Ostia per "cacciare" i venditori ambulanti abusivi che «fanno concorrenza sleale ai concessionari degli stabilimenti». «Sono atti di forza che non possono essere tollerati» ha dichiarato il commissario di Ostia Domenico Vulpiani dopo il blitz in spiaggia di CasaPound.

Ronde in spiaggia a caccia di ambulanti abusivi stranieri. A organizzarle, due giorni fa, sono stati i militanti di CasaPound di Ostia che, vestiti con pettorine rosse, sono scesi sull’arenile di ponente contro "i venditori abusivi che – spiega nel video Luca Marsella, responsabile di Cpi sul lido di Roma – oltre a cianfrusaglie di dubbia provenienza, vendono anche bibite facendo concorrenza sleale ai legittimi concessionari delle strutture che invece sono sovente tartassati da controlli di vigili". Un classico argomento della propaganda dell’estrema destra, secondo cui gli stranieri sono favoriti rispetto agli italiani. Il blitz si inserisce anche nella campagna elettorale che "i fascisti del terzo millennio" hanno iniziato in vista del voto, a novembre, al Municipio di Ostia, commissariato per infiltrazioni mafiose da quasi due anni.
   
Nel giorno del 25° anniversario della strage di via D'Amelio, l'estrema destra protesta a Latina contro la decisione del sindaco di cambiare il nome del Parco "Arnaldo Mussolini", fratello del Duce, in "Falcone e Borsellino". Il 19 luglio, alla presenza della presidente della Camera Laura Boldrini, un folto numero di militanti di CasaPound, Forza Nuova e Fratelli d'Italia è sceso in piazza contro la nuova intitolazione. Tra fischi e braccia tese. È solo l'ultima manifestazione di un'estrema destra che sta tornando e promette «non sarà più tenera».

Si è tenuta a Latina la cerimonia di intitolazione del Parco Comunale a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati uccisi dalla mafia venticinque anni fa. Alla cerimonia nella città laziale voluta da Mussolini dopo la bonifica nell'agropontino hanno partecipato molte persone, ma anche decine di contestatori che hanno intonato slogan fascisti indirizzati alla Presidente della Camera. Boldrini è ritornata sulla polemiche che la accusavano di voler abbattere i monumenti dell'epoca fascista: ''Non ho mai detto quelle parole, chi dice il contrario dice menzogne'' servizio di Fabio Butera

© Riproduzione riservata 28 luglio 2017

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/07/25/news/violenze-fascisti-1.306698?ref=HEF_RULLO
4631  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI La strategia del Quirinale per rompere l’isolamento inserito:: Luglio 30, 2017, 05:39:13 pm
La strategia del Quirinale per rompere l’isolamento
Mattarella teme un’offensiva su più fronti e appoggia il governo. L’idea di un vertice con la Merkel per ridimensionare Macron

Pubblicato il 29/07/2017 - Ultima modifica il 29/07/2017 alle ore 07:17

UGO MAGRI

Il rischio che l’Italia diventi un vaso di coccio nei giochi di potenza europei, con la Francia di Emmanuel Macron protagonista, è ben presente ai piani alti della Repubblica. Dove Sergio Mattarella segue l’evolversi della tempesta diplomatica in una veste che non è di pura e semplice vigilanza, ma di attivo sostegno al governo Gentiloni.
 
È viva, tra i frequentatori del Colle, la sensazione di un attacco lanciato su piani diversi (contro la paziente tessitura italiana in Libia, secondo una logica protezionistica contro Fincantieri), però con l’obiettivo di rimodellare la mappa politica continentale sulla base di un asse sempre più esclusivo tra Berlino e Parigi. La Gran Bretagna con Brexit se ne è sfilata, e Paesi come la Spagna da tempo sollecitano una contro-iniziativa di quanti, a cominciare dalla Polonia, contestano la legittimità di questa diarchia. Di sicuro, nelle riflessioni in corso tra Quirinale e Palazzo Chigi, domina una doppia presa d’atto. Anzitutto, che in Europa va crescendo questa pericolosa tendenza a metterci di fronte al fatto compiuto. E poi, che la scelta politico-diplomatica di puntare sul «nuovo», rappresentato da Macron, a questo punto merita di essere meglio calibrata. Sicuramente all’Eliseo non c’è più un presidente che si muove, come il predecessore Hollande, in sintonia con la famiglia socialista europea e la sua idea solidaristica. 
 
Si va facendo strada l’idea che il governo, per rompere l’accerchiamento, avrebbe dei vantaggi nel riprendere l’iniziativa. Non in una logica di occhio per occhio rispetto agli interessi francesi in Italia, come piacerebbe a qualche ambiente politico sconsiderato (Telecom sarebbe un fin troppo facile bersaglio), ma secondo le corde che Gentiloni meglio di tutti sa toccare: quelle della condivisione. Facendo appello a coloro che in questa fase ritengono pericolose le fughe in avanti, sono dunque insospettiti dall’attivismo di Macron e puntano semmai a rafforzare il comune sentire europeo. Una prima mossa concreta potrebbe consistere ad esempio nella richiesta di un summit italiano con la Germania, che ribadisca le nostre buone ragioni e rimetta un filo d’ordine nella fiera dei protagonismi. A quanti dubitano che Angela Merkel possa o voglia darci retta, impegnata com’è nella sua campagna elettorale e nella costruzione di migliori rapporti con Parigi, fonti di una certa dimestichezza con questi temi fanno notare la vastità delle relazioni economiche italo-tedesche, lo stretto legame produttivo tra le manifatture dei due Paesi, il grado raggiunto dalla reciproca interdipendenza. A Berlino sono ben consapevoli dei danni che una lacerazione di questo tessuto potrebbe determinare nel caso in cui la libera circolazione di persone e merci dovesse tornare in discussione attraverso una riforma degli accordi di Schengen.
 
Il premier non ha ovviamente la stazza politica dei governanti consacrati dal voto. La sua coalizione è quanto di più fragile. Tuttavia può contare su una squadra che rema nella stessa direzione, incominciando da Padoan e Calenda. Di sicuro, se prenderà con decisione l’iniziativa in campo Ue, avrà un sostegno forte dal Capo dello Stato. L’atteggiamento combattivo e solidale di Mattarella si è colto lunedì scorso, nelle stesse ore in cui Macron si cimentava con le fazioni libiche in lotta. «La stabilizzazione delle aree di crisi, prima fra tutte la Libia, necessita di azioni che travalicano la portata dei singoli Paesi», ha scandito il presidente alla XII conferenza degli ambasciatori. Aggiungendo parole che il ministro degli Esteri Yves Le Drian (lì presente) non avrà avuto bisogno di interpretare: «L’interesse nazionale è sempre, naturalmente, per tutti, un obiettivo al quale tendere. Pensare tuttavia che esso coincida con una sorta di angusta chiusura in se stessi è un errore gravido di conseguenze pericolose».

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4632  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. Enzo Bettiza, esule in viaggio nella storia del Novecento inserito:: Luglio 30, 2017, 05:38:10 pm
Enzo Bettiza, esule in viaggio nella storia del Novecento
È morto a 90 anni. Tra i più grandi inviati italiani del dopoguerra, firma della Stampa, intuì per primo la crisi Cina-Urss.
Il sodalizio con Montanelli, la politica, i Balcani
Bettiza ha lavorato a Epoca, La Stampa, Corriere della Sera e ha fondato il Giornale con Montanelli Bettiza in un ritratto di Ettore Viola.
I due collaborarono a lungo per la serie “L’archivio del non detto” che usciva una volta a settimana sulle pagine di Cultura della Stampa

Pubblicato il 29/07/2017 - Ultima modifica il 29/07/2017 alle ore 07:17

MARCELLO SORGI

Parlava ancora con il suo caratteristico accento che lo faceva sembrare un aristocratico russo, Enzo Bettiza, uno dei più grandi giornalisti italiani, ma forse bisognerebbe dire, come lui stesso si definiva, «scrittore prestato al giornalismo», in un Paese, l’Italia, in cui la sola pubblicazione di libri non sarebbe mai bastata a finanziare il suo modo principesco di vivere. Fino all’ultimo, a parte gli ultimi mesi in cui la malattia non glielo ha più consentito, ha fatto l’editorialista per La Stampa , il giornale in cui aveva cominciato giovane una fortunata carriera all’estero e dove aveva fatto ritorno all’inizio degli Anni Novanta, dopo una lunga stagione al Corriere della Sera , la secessione e la fondazione del Giornale nuovo insieme a Montanelli nel 1974, l’esperienza parlamentare a Strasburgo e al Senato. 
 
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Era un giornalista metodico, attento, scientifico e letterario al tempo stesso, con una particolare, maniacale attenzione all’aspetto fisico dei suoi interlocutori, vivi o morti, e ogni eventuale connessione tra un tic, un bitorzolo sulla testa, un mento sporgente, una macchia sulla pelle, e il carattere e la personalità dei soggetti che incontrava. Come grande inviato, aveva viaggiato molto, in Europa, America, Brasile, India, Cina, Giappone, ma il suo cuore l’aveva lasciato a Mosca, dove tra i corrispondenti di tutto il mondo era stato il solo a intuire la rottura tra cinesi e sovietici e ad azzardare che questo avrebbe consentito agli Usa alla fine di vincere la Guerra Fredda.
 
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Si era alla fine dei Sessanta: la vita e il lavoro nella capitale dell’impero sovietico erano gravati da mille difficoltà, la censura, il divieto di libero uso del telefono, i controlli del regime, l’impossibile accesso alle fonti. Eppure Bettiza, da una semplice occhiata, da una virgola fuori posto di un articolo della Pravda, dalla frequentazione, più facile per lui grazie alla conoscenza della lingua, dei paludati giornalisti e intellettuali russi, sapeva cogliere l’indizio di ogni minimo cambiamento. Tal che gli dispiacque molto quando Giulio Debenedetti, il temuto direttore della Stampa nei primi vent’anni del dopoguerra, che lo perseguitava con telegrammi minacciosi per i ritardi nella trasmissione dei pezzi («Lei non sa scrivere e non sa neppure telefonare!»), per indisciplina lo licenziò e gli tolse la casa, lasciandolo senza un tetto sotto la neve e costringendolo a cercare ospitalità da un collega. Bettiza cercò inutilmente un chiarimento, presentandosi in redazione senza aver chiesto appuntamento, dopo aver guidato ininterrottamente per tre giorni e tre notti da Mosca a Torino. Ma non lo ebbe e dovette rientrare in Italia. Di quel periodo, e poi degli anni successivi, resteranno memorabili le descrizioni di uno Stalin mummificato, paffuto, ben conservato ed esposto nei sotterranei della Piazza Rossa, a confronto del Lenin incartapecorito che gli stava accanto.
 
Andò a Praga per l’invasione dei carrarmati Urss, finì nella stessa stanza d’albergo con Lino Jannuzzi, l’inviato dell’Espresso che in Italia aveva fatto lo scoop del tentato colpo di stato del Sifar, e annotò spiritosamente un piccolo spasmo nervoso dell’amico con cui divideva un letto matrimoniale mezzo sfondato, che lo costringeva, prima d’addormentarsi, a roteare a lungo il piede sinistro fuori dalle coperte, nella penombra della stanza popolata da scarafaggi. Conosceva tutte le razze e sottorazze dei paesi dell’Est, dai morlacchi ai circassi, parlava contemporaneamente in molte lingue, in serbo croato con la tata Mare, in francese con Simone Veil a cui fu molto vicino quando presiedeva il Parlamento europeo, in tedesco con Helmut Schmidt, in dialetto veneziano, da ragazzo, con il padre, che continuava a sognare anche da vecchio. E si muoveva benissimo in ambiti religiosi a lui estranei, con una sotterranea ammirazione per i dittatori più sanguinari di cui non faceva mistero. Dopo aver scritto decine di articoli contro Milosevic, il genocidio dei kosovari lo lasciò stupefatto per la geometrica e minuziosa organizzazione con cui si svolgeva. Come uomo mediterraneo dell’altra sponda adriatica, dove aveva vissuto felice l’infanzia in una delle più ricche famiglie di costruttori di Spalato, e da dove era fuggito, dopo l’esproprio socialista di tutti i suoi beni, per approdare in un campo profughi pugliese gestito con inutile crudeltà dagli inglesi occupanti, arrivò a proporre un protettorato per l’Albania, riscoprì la Turchia, prima del baratro islamico, e si schierò in varie occasioni in difesa degli slavi: ad esempio, quando furono ingiustamente accusati dell’orribile delitto di Novi Ligure, in cui una ragazza e il suo fidanzato, italiani e nativi del luogo, avevano sterminato mezza famiglia. Bettiza portò a esempio di civiltà slava i polacchi papa Wojtyla e Jas Gawronski, uno dei suoi più cari amici. Da questo avventuroso pezzo di vita nacque Esilio, il suo libro più bello, con il racconto dei giorni in cui fu costretto a trasformarsi in contrabbandiere per sbarcare il lunario nell’Italia del dopoguerra.
 
Il lungo sodalizio con Montanelli fu tempestoso come il matrimonio tra due star. Come direttore e condirettore condividevano una stanza con due scrivanie. Indro non tollerava che Enzo s’intrattenesse con Frane Barbieri (anche lui poi approdato alla Stampa) a parlare in ostrogoto, né che si fosse fatto attrarre dalla politica ed eleggere in Parlamento. In realtà si era ingelosito perché Bettiza, come Alberto Ronchey - altro grande esempio di quella generazione, l’inventore del «fattore K» per definire il muro invisibile che impediva al Pci di andare al governo - aveva forgiato uno dei più durevoli neologismi di quel tempo, il «lib-lab», per contrassegnare la fase nuova di collaborazione tra socialisti e liberali. Maliziosamente sosteneva che Montanelli, sotto sotto, fosse rimasto democristiano, tanto da suggerire ai suoi lettori di «votare Dc turandosi il naso». Mentre a lui piaceva Craxi, con cui per qualche tempo aveva abitato al famoso hotel Raphaël di Roma: descrivendone, furtivo, la fisicità cinghialesca, e i maldestri, quotidiani corpo a corpo con la doccia del suo bagno, una sorta di lotta libera con le pareti di una cabina che faticava a contenere il gigantesco leader socialista.
 
A tavola era parco, ma esigente. Gran parlatore, amava di tanto in tanto riunire gli amici nella casa romana dove viveva con la moglie Laura Laurenzi e con i figli, per serate di gulasch e altre piccanti delizie slave. Quando veniva a Torino da Milano, sempre accompagnato, all’andata e al ritorno, da un autista della Stampa, anche quando questo genere di privilegi non erano più riservati a nessun collaboratore, il «Barone» - questo il suo soprannome - amava sempre tornare nel suo ristorante preferito, il Vintage di piazza Solferino. L’oste Umberto, conoscendolo, apparecchiava la tavola allineando cinque o sei fettine di salame ungherese e prosciutto spagnolo davanti al suo piatto, e lo corteggiava sciorinando una serie di proposte di delizie sapide e molto speziate, secondo i suoi gusti. Enzo accettava di buon grado le attenzioni, ma delle porzioni che gli venivano servite assaggiava solo un quarto, più o meno, separando chirurgicamente gli altri tre dalla razione che si era assegnata, e rifiutando i contorni. Tra le sue fissazioni c’era infatti anche quella che verdure e insalate fossero «una perdita di tempo».
 
La previsione di Enzo Bettiza: “I muri da abbattere non finiranno mai”
 
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4633  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / La telefonata con l’Eliseo per ricucire. In agosto summit anche con la Merkel inserito:: Luglio 30, 2017, 05:36:39 pm
La telefonata con l’Eliseo per ricucire. In agosto summit anche con la Merkel
La nave La Marina militare è pronta a schierare il ’’Bersagliere’’

Pubblicato il 28/07/2017

FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

L’appuntamento per un faccia a faccia europeo è per il 28 agosto. In Francia, per discutere di crisi libica, si incontreranno il presidente Emmanuel Macron, il nostro premier Paolo Gentiloni, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il capo del governo spagnolo Mariano Rajoy. Forse l’invito verrà esteso anche ai rappresentanti di Ciad e Niger, i due Paesi africani in cui, ha spiegato ieri Macron, potrebbero in futuro sorgere centri di orientamento e pre-verifica delle richieste d’asilo. Lo hanno concordato ieri pomeriggio Gentiloni e Macron, nel corso di una telefonata chiarificatrice dopo le tensioni della giornata, in parte stemperate quando l’Eliseo ha smentito la notizia di voler creare quest’estate hotspot in Libia per esaminare le candidature dei rifugiati.

Ma può darsi che un incontro Italia-Francia si tenga anche prima: l’Eliseo ha chiarito che «la Francia non vuole emarginare l’Italia», e il presidente Macron, al telefono con Gentiloni, ha espresso la volontà di venire a Roma nelle prossime settimane, anche se da Palazzo Chigi una risposta ancora non è arrivata. Di certo, la Libia è stata al centro della giornata di ieri: un summit tra premier, ministri interessati (Alfano per gli Esteri, Minniti per l’Interno e Pinotti per la Difesa), e vertici di sicurezza e servizi ha affrontato la richiesta avanzata dal capo di governo al-Sarraj di navi italiane nelle acque del Paese africano per lottare contro i trafficanti di uomini. Sul tavolo, la necessità di discutere quale tipo di missione proporre a deputati e senatori (oggi un provvedimento arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri, da portare la settimana prossima in Parlamento), quali regole di ingaggio stabilire con la controparte libica, quale consistenza dare alla missione.
 
A Palazzo Chigi si sono confrontate due linee: una più favorevole a un intervento light, di dimensioni contenute, e una, prevalente, più propensa a una missione di dimensioni consistenti. Alla fine, si tratterà di una missione di appoggio e supporto alla Marina e alla Guardia costiera libica che utilizzerà mezzi dell’operazione Mare sicuro, composta da circa 700 militari: si parla di quattro o cinque navi e altrettanti aerei, forse droni e un sottomarino, e centinaia di militari, comandati da un ammiraglio a bordo di una fregata Fremm. È previsto che forniremo anche una piattaforma per riparare i mezzi libici. Chiarezza dovrà esserci sul trattamento dei nostri soldati («evitiamo un nuovo caso marò», raccomanda una fonte di governo) e su quello riservato ai migranti riportati sulle coste libiche.
 
Intanto, esponenti di maggioranza in Parlamento stanno già lavorando per cercare un consenso più ampio possibile al provvedimento. Da Forza Italia, Silvio Berlusconi dice che «l’accordo con le autorità libiche è l’unica soluzione»: se la proposta del governo sarà efficace, loro voteranno a favore. Mentre la sinistra di Mdp definisce «non scontato» il suo via libera. Martedì l’approdo in Parlamento.

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4634  Forum Pubblico / SCRIPTORIUM 2017 - (SUI IURIS). / “IL CREPUSCOLO DEI MEDIA” E L’ALBA DIFFICILE CHE ANCORA ASPETTIAMO inserito:: Luglio 30, 2017, 05:35:28 pm
“IL CREPUSCOLO DEI MEDIA” E L’ALBA DIFFICILE CHE ANCORA ASPETTIAMO
   
LETTURE E LIBRI
3 giugno 2017

“Il mondo della comunicazione e dell’informazione così come lo conosciamo si sta dissolvendo sotto i nostri occhi”. Comincia con questa riflessione, ora convinzione, il libro di Vittorio Meloni, direttore delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo, intitolato Il Crepuscolo dei media e uscito nelle scorse settimane nelle librerie e in e book per Laterza.
Una lettura, quella di questo saggio, che di ottimistico ha davvero ben poco, soprattutto perché, oltre a fotografare il mercato dei media e con dati la crisi della diffusione e dei ricavi pubblicitari del mondo dell’editoria, ci mette di fronte ad una gestione del problema – che ormai viene guardato con fatalismo, come scrive Meloni – da parte degli attori del sistema piuttosto sconfortante. E al destino – se ci si crede – bisognerebbe andarvi incontro almeno con una certa organizzazione.
La rivoluzione digitale è ad oggi un regime, solo che non è così facile da governare. In questo complessissimo mondo della comunicazione e dell’informazione, i ruoli cambiano continuamente e spesso si confondono. Le aziende fanno informazione, non solo mera comunicazione pubblicitaria. I lettori diventano dei potenziali blogger, comunicatori, giornalisti. I social network sono la fonte di informazione della maggior parte dei cittadini, Facebook su tutti. I quotidiani da anni non vendono più. Repubblica e Corriere resistono vendendo circa 200mila copia al giorno (nei primi 2000 ne vendevano 2,5 milioni in una giornata). Viviamo nell’era degli smartphone.
Negli Stati Uniti – paese guida nella trasformazione tecnologica dell’economia e della società di oggi – più del 50% delle persone dichiara di cercare news sui social media. In occasione delle presidenziali dell’anno scorso, la maggioranza degli elettori dichiara di essersi informata sui candidati proprio attraverso i social. Facebook, il più potente tra i social, è usato dal 68% della popolazione americana adulta, racconta l’autore.
Nel 2016 su una popolazione mondiale di circa 7,3 miliardi di persone, 3,4 sono utenti Internet e 2,3 miliardi sono attive sui social, 2 miliardi per mezzo di devices mobili.
E in Italia? Considerato il gap culturale e di efficienza digitale ancora da colmare (duramente criticato dall’autore), sono 28 milioni i navigatori attivi sui social, 24 attraverso smartphone e tablet.
Il presente e il futuro sono quindi, (come ripetono inesorabilmente addetti ai lavori da tempo), digitali, connessi e interconnessi. Questa è la direzione. Se prima della rivoluzione in questione, concezione, distribuzione e selezione del materiale editoriale erano controllate interamente dalla struttura industriale alla quale la catena faceva capo: l’editore, con la spinta della pubblicità che ha fatto da carburante a questo tipo di business, oggi è tutto cambiato per via di Facebook, Twitter e Google (che ha monopolizzato il mercato della pubblicità digitale) divenuti editori integranti.
Il “dio Facebook” – soprattutto – domina il mercato editoriale e il sistema dell’informazione. Assume star del giornalismo per lavorare a quella che si chiama News Partnership, che servirà ad aiutare i media che pubblicano news sul social, organizza corsi formativi per giornalisti, cerca di combattere le fake news, spinge su gli Instant Articles che permettono la condivisione con i giornali dei ricavi pubblicitari generati dalle news, salvo poi modificare l’algoritmo dimenticandosi di premiare i post/link news. E di un algoritmo, in particolar modo di quello di Facebook, non possiamo avere controllo.
Quindi, esiste una soluzione? Trovare modelli di business sostenibili che producano informazione di qualità non è affatto facile. Qualcuno punta su una parte di contenuti a pagamento, altri dialogano con Google e Facebook e provano la strada degli Instant Articles. Di sicuro il business va sempre più indirizzato verso quello che Meloni definisce il suo naturale sbocco rappresentato dalla proiezione sulle piattaforme digitali e soprattutto sui social media, con la speranza che si trovi un equilibrio tra i due mondi e che cambi il contesto legale per difendere il copyright dei contenuti e quindi l’atteggiamento dei players della Silicon Valley, citando Mathias Dopfner, ad di Axel Spronger.
Scrive l’autore nelle sue conclusioni: “Senza la scelta strategica di svilupparsi nell’universo della rete, non c’è futuro per l’editoria tradizionale. La missione dei media non sarà più quella di raccogliere lettori intorno ad un prodotto ma di cercarli ovunque possono essere raggiunti da notizie. L’informazione circolerà nelle reti digitali come un prodotto immateriale e i ricavi nasceranno da qui e non più degli spazi pubblicitari”.

Da - http://www.glistatigenerali.com/editoria/il-crepuscolo-dei-media-e-lalba-difficile-che-ancora-aspettiamo/
4635  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Enzo Bettiza era nato a Spalato il 7 giugno 1927, aveva appena compiuto 90 anni inserito:: Luglio 30, 2017, 05:34:16 pm
Addio all'editorialista de La Stampa
Enzo Bettiza, raccontò il mondo e la fine del comunismo
Enzo Bettiza era nato a Spalato il 7 giugno 1927, aveva appena compiuto 90 anni

Pubblicato il 28/07/2017 - Ultima modifica il 28/07/2017 alle ore 16:45
Ugo Magri

Enzo Bettiza è stato la prova vivente che, per diventare un grande del giornalismo, non serve far leva sulla simpatia: contano di più altre doti, professionali e umane. La coerenza con la propria storia, anzitutto. Quella di Bettiza è passata attraverso grandi drammi che ne hanno reso aspra, ironica e in qualche caso feroce la descrizione di come va il mondo. Si ritrovò profugo dalla Dalmazia (era nato a Spalato da una famiglia italiana altoborghese) quando non aveva ancora vent’anni. Sopravvisse per miracolo a una grave malattia. Campò di espedienti, contrabbandiere e venditore di libri a rate (come raccontò poi) per sbarcare il lunario, sognando di diventare uno scrittore di successo. 

Iniziò dal settimanale Epoca, nel 1957 arrivò a La Stampa dove fu corrispondente da Vienna e poi da Mosca. Nessuno meglio di lui sapeva descrivere vicende e personaggi di una Mitteleuropa caduta sotto il tallone sovietico. Ma desiderava cambiare, e questa voglia di fare altro lo mise in urto con l’allora direttore Giulio De Benedetti, temperamento poco incline al compromesso, che alla fine lo licenziò (dopo averlo fatto attendere in anticamera, si racconta, fino alle quattro e mezza di notte). Correva il 1964. Bettiza ritornò a casa trent’anni dopo, da editorialista e commentatore politico, senza più lasciare La Stampa.

Nel mezzo, un decennio al Corriere della sera da cui se ne andò in polemica con la svolta a sinistra impressa da Piero Ottone, e un altro decennio al Giornale, di cui fu il fondatore nel 1974 insieme con Indro Montanelli. Li divise il giudizio su Bettino Craxi, dal quale Enzo fu politicamente attratto e invece Indro detestava. Bettiza sperimentò la vita parlamentare nel partito liberale prima e in quello socialista poi, sempre con un tono alto e aristocratico, teorizzando il «lib-lab», cioè l’incontro della cultura liberal con quella laburista. 

Fu tra le rare stelle, nel firmamento del giornalismo, che diede credito a Umberto Bossi e alla Lega di una sostanza «asburgica», quasi da vecchio impero austro-ungarico. Conservatore Bettiza è stato sempre, ma di un’intelligenza rara. La sua critica spietata al comunismo dell’Est, negli anni in cui il mito sovietico esercitava ancora un’attrattiva, lo rese bersaglio di molte critiche. Salvo che poi la Storia, con la maiuscola, gli diede ragione.

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