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Autore Discussione: Rinaldo Gianola. Fiat-Opel, grande progetto ma... (alla sinistra non piace).  (Letto 1886 volte)
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« inserito:: Maggio 08, 2009, 11:43:00 pm »

Fiat-Opel, grande progetto ma per ora pagano operai e contribuenti


di Rinaldo Gianola


Da qualche settimana Sergio Marchionne fa la spola tra le due sponde dell’Atlantico, entra in maglioncino nelle cancellerie, parla con i maggiori giornali cercando di salvare pezzi storici dell’industria dell’auto sull’orlo del fallimento. Questo dinamismo, che non trova emuli o competitori sullo scenario mondiale, è finalizzato a ridisegnare l’industria automobilistica in cui la Fiat, oggi uno dei più piccoli tra i produttori, dovrebbe conquistare un ruolo di primissimo piano. Se riuscirà a prendere la Opel dopo la Chrysler, a rilevare le attività Gm in America latina, Marchionne posizionerà il gruppo appena dietro la Toyota.

Il manager italo-canadese è il solo a scommettere sulla crisi come occasione per una catarsi epocale della Fiat, nel mezzo di un cambiamento (di protagonisti, di prodotti, di ricerca) che dovrebbe trasformare il simbolo del capitalismo industriale dell’ultimo secolo. Il disegno di Marchionne, tuttavia, non è del tutto chiaro. Non si conoscono gli effetti profondi e duraturi che potrebbe avere sulla struttura produttiva della Fiat in Italia e nel mondo, sull’occupazione e anche sulla dimensione della presenza degli Agnelli nella futura multinazionale dell’auto.

Per ora la missione di Marchionne, che ha giocato sull’emergenza e sulla debolezza delle sue “vittime” come fattore decisivo di trattativa, ha potuto procedere grazie alla disponibilità dei governi (i miliardi di Obama), alla partecipazione dei lavoratori (quelli della Chrysler hanno trasformato i loro crediti in azioni e si sono tagliati i salari), al fascino delle sue proposte. Il capo del Lingotto ha usato l’emergenza come chiavistello per conquistare le prede, è come un medico che porta la medicina miracolosa al capezzale di un malato terminale. Ora si vedrà se riuscirà a far breccia tra i duri sindacati tedeschi per prendere l’Opel, naturalmente con finanziamenti europei. E, soprattutto, i lavoratori italiani vogliono sapere cosa succederà nelle fabbriche, da Mirafiori a Termini Imerese: qualcuna chiuderà, oppure saranno solo “snellite” come dice educatamente Marchionne?

In tutto questo lavoro, finora, non si è capito quale sarà il ruolo del mercato e degli Agnelli, gli azionisti storici del Lingotto. I soldi sono stati messi dai governi. I lavoratori hanno fatto i sacrifici necessari. Marchionne ha fornito idee e parole. A un certo punto qualcuno dovrà creare una nuova impresa, dotarla di capitali e di un management adeguato. Si chiami Fiat-Chrysler o Marchionne-Car, dovrà pur comparire il nuovo protagonista. L’ipotesi di scorporare l’auto dalla holding torinese per conferirla a una futura società automobilistica con un fatturato teorico di 80 miliardi l’abbiamo già sentita.

Per la dinastia Agnelli sarà impossibile mantenere nella nuova società una presenza del 30%, quota che da molti anni le garantisce il controllo del gruppo e, nonostante l’amicizia dichiarata di Intesa, Unicredit e Mediobanca, un aiuto del sistema bancario sarà subordinato alla credibilità del progetto industriale. Ma, probabilmente, gli Agnelli non sono dispiaciuti dell’eventualità di non essere più padroni dell’auto e sono pronti, come ha detto John Elkann, a diventare soci più piccoli in una dimensione aziendale più grande.

D’altra parte quanti anni sono che in casa Agnelli si discute dello scorporo dell’auto, della diversificazione, della scelta di nuove strade di investimento verso settori più remunerativi e meno impegnativi della vecchia industria? In passato gli Agnelli hanno pensato che con la Rinascente, il turismo, l’alimentare, le assicurazioni, le banche, la Rizzoli si poteva cambiare la natura del gruppo. Ma alla fine l’Avvocato tornava sempre a Mirafiori, dove batteva il cuore. Gli ultimi tentativi di allontanarsi dall’auto sono stati un disastro. Dieci anni fa gli Agnelli entrarono nel “nocciolino duro” della Telecom privatizzata, ma non capirono di essere seduti sulla più bella azienda italiana. Poi nel 2001 la scalata ai vecchi nemici della Montedison, per diversificare nell’energia, segnò la più grave crisi finanziaria della Fiat. Oggi l’auto rappresenta ancora il 50% del valore degli investimenti della Exxor, la finanziaria degli Agnelli. A Torino non vedono l’ora di ricevere un sms da Marchionne per poter voltare pagina. Gli Agnelli possono anche restare senza auto, il mondo è cambiato.

08 maggio 2009
da unita.it
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