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Autore Discussione: Paolo Valentino Oggi Obama schiera la squadra  (Letto 16388 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Novembre 07, 2008, 10:18:26 am »

In attesa dei primi impegni ufficiali e dell'incontro con Bush alla Casa Bianca il futuro presidente sta mettendo a punto la lista della squadra di governo

Clintoniani e colleghi di Harvard Obama al lavoro sul 'dream team'

Rahm Emanuel ha accettato l'offerta di diventare capo dello staff


 
CHICAGO - Archiviato il trionfo elettorale e in attesa dei primi impegni ufficiali in qualità di presidente designato, Barack Obama si sta concentrando in queste ore sulla formazione della squadra di governo, quella che in molti, anche in virtù della sua passione per il basket, hanno già ribattezzato dream team.

L'ormai ex senatore dell'Illinois venerdì, dopo una lunga consultazione con i suoi consiglieri economici, parlerà al Paese attraverso una conferenza stampa. Poi, lunedì, si recherà insieme alla moglie Michelle alla Casa Bianca dove sarà ricevuto da George W. e Laura Bush per un primo "passaggio delle consegne".

Tra un appuntamento e l'altro Obama continuerà a cercare di mettere insieme il miglior staff possibile. Il primo nome certo è quello di Rahm Emanuel, deputato dell'Illinois, amico di chiara matrice clintoniana, a cui è stato offerto l'incarico di capo di staff. Sarà lui a guidare la squadra nei due mesi e mezzo che separano dal giorno dell'entrata in carica del nuovo presidente, prevista per il 20 gennaio. Emanuel oggi ha accettato infatti ufficialmente l'offerta. "Sono felice - ha detto - che i miei genitori siano ancora vivi per vedere un figlio che diventa capo di gabinetto del presidente degli Stati Uniti".

Fondamentali per un presidente che ha incentrato sull'economia la sua campagna elettorale saranno le scelte del dipartimento al Tesoro: le ultime indiscrezioni danno in ascesa le quotazioni di Timothy Geithner, presidente della Fed di New York, ma molto gettonato resta anche l'ex ministro del Tesoro Lawrence Summers. Nella scia di un'amministrazione 'clintoniana' rientra anche possibile la scelta di John Podesta, ex capo di gabinetto dell'ex presidente democratico.

Tra i volti nuovi promessi da Obama in molti aspettano di trovare qualche amico di Harvard come Micheal Froman e Janet Napolitano (governatore dell'Arizona), mentre l'apertura promessa ai repubblicani potrebbe concretizzarsi attraverso la scelta di Robert Gates per il Pentagono. Come segretario di Stato infine Obama starebbe pensando all'ex candidato democratico alla presidenza John Kerry.

Gli uffici per la transizione di Washington apriranno i battenti già lunedì. Oggi Obama riceve il primo briefing dall'intelligence Usa, un antipasto dell'appuntamento quotidiano che lo attenderà per l'intera durata del suo mandato. Prenderà visione dei rapporti dei servizi segreti, gli stessi che riceverà contemporaneamente George W. Bush. Il rapporto sarà presentato da Michael McConnell, lo 'zar delle spie', direttore e coordinatore delle 16 agenzie di intelligence americane.

(6 novembre 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #16 inserito:: Novembre 07, 2008, 10:21:11 am »

7/11/2008
 
Caro Obama, ridacci il sorriso
 
 
ALICE WALKER
 

Caro fratello Obama,

non hai idea di quanto sia sentito questo momento da noi, il popolo nero del Sud degli Stati Uniti. Pensi di saperlo, perché sei un uomo profondo e hai studiato la nostra storia. Ma vederti impugnare quella torcia che così tanti, prima di te, hanno portata, anno dopo anno, secolo dopo secolo, solo per essere abbattuti prima d’aver acceso la fiamma della giustizia, è quasi più di quanto il cuore possa reggere. Questa osservazione non intende scaricare quel peso sulle tue spalle, perché tu sei di un’epoca diversa e perché, grazie a tutti i portatori di torcia che t’hanno preceduto, il Nord America è davvero un posto diverso. Sapevamo, attraverso le generazioni, che tu eri con noi, in noi, il meglio dello spirito dell’Africa e delle Americhe. Sapere che un giorno tu saresti davvero apparso, era parte della nostra forza. Vederti occupare il posto che ti spetta grazie alla saggezza, all’energia e alla forza di carattere, è un balsamo per gli stremati guerrieri della speranza, di cui si cantavano le gesta.

Vorrei ricordarti che non sei stato tu a creare il disastro in cui si dibatte il mondo e che non sei tu l’unico che ha la responsabilità di riportarlo in equilibrio. Una responsabilità fondamentale che hai è di coltivare la felicità nella tua vita. Scandisci gli impegni in modo che ti lascino abbastanza tempo per riposare e giocare con la tua magnifica moglie e le due deliziose bambine. Siamo abituati a vedere chi va ad abitare alla Casa Bianca perdere il brio e il nero dei capelli. Vediamo mogli e figlie con l’aria affaticata. Hanno sorrisi così privi di gioia che sembrano forbici. Non è un buon modo di governare. E la tua famiglia non si merita questo destino. In uno stato d’animo felice e disteso potrai creare un autentico successo, che è quello che tantissime persone al mondo vogliono davvero. Possono comprare automobili, case, pellicce, terreni ma questa bulimia deriva dal fatto che non hanno ancora chiaro che il successo è un lavoro interiore. Ed è alla portata di chiunque.

Vorrei anche consigliarti di non imbarcare i nemici altrui. La maggior parte del male che altri ci fanno, vien fatto per paura, umiliazione, dolore. Sentimenti che ci toccano tutti, non solo chi di noi professa una religione o una devozione razziale. Dovremmo imparare a non avere nemici, ma solo avversari disorientati, che sono poi dei «noi» travestiti. Sei il comandante in capo degli Stati Uniti e giurerai di proteggere il nostro amato Paese. Tuttavia, come amava ripetere mia madre citando una Bibbia con la quale sono spesso stata in disaccordo, «odia il peccato ma ama i peccatori». Non ci devono più essere scontri tra le comunità, non più torture, non più disumanizzazione come mezzi per governare lo spirito della gente. Questo è già successo alla gente di colore, ai poveri, alle donne, ai bambini. Abbiamo visto dove questo atteggiamento ha portato, dove porta.

Un buon modello di come «lavorare col nemico» in modo interiore è offerto dal Dalai Lama, nel suo ininterrotto prendersi cura della sua anima quando affronta il governo cinese che ha invaso il Tibet. Perché, alla fine, è l’anima che dev’essere preservata, se uno vuole restare un leader credibile. Tutto il resto può andare perduto, ma quando muore l’anima, muore anche la connessione con la terra, le persone, gli animali, i fiumi, le maestose catene montuose. E il tuo sorriso, con il quale ti vediamo fare gentili battaglie contro caratterizzazioni ingiuste, distorsioni e bugie, è quell’espressione di consapevolezza del proprio valore, di spirito e di anima che, mantenuta felice e libera e serena, può trovare un sorriso di risposta in tutti noi, illuminando il nostro cammino e facendo brillare il mondo.


*Alice Walker è l’autrice di «The Color Purple» (Colore di porpora) con cui ha vinto il Pulitzer per la narrativa 1983

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« Risposta #17 inserito:: Novembre 08, 2008, 10:03:41 am »

Dopo la vittoria ecco gli "Election junkies", gli orfani della campagna elettorale

Appena eletto, il presidente ha già creato il nuovo sito per ricevere proposte

Obama, passata al festa democrat in astinenza


dal nostro inviato ANAIS GINORI


CHICAGO - Passata la sbornia elettorale, molti militanti democratici faticano a tornare alla normalità. "Election junkies", li ha soprannominati il Wall Street Journal, persone che hanno sviluppato una dipendenza da elezioni. Le migliaia di supporter che hanno sostenuto Barack Obama hanno vissuto la più eccitante avventura politica degli ultimi decenni: dall'improbabile nomination democratica fino alla Casa Bianca. Mesi passati sulla cresta dell'onda, trascinati in uno straordinario movimento fatto di email, telefonate continue, incontri, riunioni, viaggi. E ora che il traguardo è finalmente raggiunto sembrano smarriti. Qualcuno su internet ha fatto dei video per ironizzare su questa "crisi di astinenza". Una sorta di Obama-blues, come il baby-blues che hanno le donne subito dopo il parto.

Sono i giovani a sentire di più la mancanza di comizi, dibattiti, conferenze democratiche. E' la generazione Obama, ragazzi cresciuti negli anni Novanta, che hanno passato la loro adolescenza tra Bush, l'11 settembre e la guerra in Iraq. Sono cresciuti con un'informazione catastrofista come quella della Fox, e senza nessuna prospettiva economica. "Eppure questi giovani sono diventati più idealisti e attenti all'informazione di qualità delle generazioni nate fino agli anni Ottanta" spiega Peter Levine, esperto di voto giovanile. L'analisi di queste elezioni è chiara: il 66% degli elettori tra i 18 e i 29 anni ha votato per Obama. E la loro partecipazione è aumentata del 6%, fino al 55% dell'elettorato giovanile. Un record.

Obama ha messo questi giovani al centro della campagna elettorale. A loro ha dedicato il video mandato sul grande schermo di Grant Park poco prima del discorso della vittoria. Girato come uno spot pubblicitario è stato l'omaggio del leader democratico al popolo che gli ha regalato la vittoria. "Stiamo costruendo il prossimo grande capitolo" dice Obama nel video, che è già diventato uno dei tormentoni del web. Obama ha promesso di mantenere un legame diretto con i militanti anche quando sarà alla Casa Bianca. Appena eletto, ha già creato il nuovo sito (www.change.gov) per ricevere proposte e domande sulla transizione fino a gennaio.

Sarà un "governo aperto" promette sul sito. E' il suo modo per dire: ho ancora bisogno di voi.

(7 novembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #18 inserito:: Novembre 08, 2008, 05:44:35 pm »

8/11/2008 (7:9) - RETROSCENA

Casa Bianca, dolce casa

La famiglia presidenziale troverà 132 stanze, 28 caminetti, 35 bagni, 37 ripostigli...

JACOPO IACOBONI
WASHINGTON


Chi gli taglierà i capelli, chi gli laverà quegli abiti di Hart Schaffner Marx così metrosexual, cosa troverà nel frigo, e soprattutto, dove andrà a nascondersi per starsene un po’ in santa pace? Bisogna sapere tante cose, quando si varca il cancello della Casa Bianca. E gliele stanno dicendo, a Barack. Cosa fare, cosa non fare, chi ti farà da mangiare, come scappare, quante macchine puoi parcheggiare nel vialetto (tre), cosa puoi fare nel tempo libero (?) senza uscire di lì, chi puoi portarti dietro, chi no, chi di nascosto... Di sicuro Obama non ne avrà bisogno, innamorato com’è di Michelle, ma alla Casa Bianca esistono (almeno) due passaggi segreti, e uno di questi al pianterreno si chiama «ingresso di Marilyn». Jfk amava moltissimo quella strettoia, e i suoi biografi ci hanno costruito mitologie.

La Casa Bianca è un universo per molte ragioni misterioso, per un presidente eletto, una gigantesca suite palladiana (è del 1792) che a noi europei stucca un po’, ma anche un labirinto, 132 stanze, sei piani, otto scalinate, tre ascensori, 35 stanze da bagno, 11 camere da letto, 43 uffici, 28 caminetti, 147 finestre, 412 porte, 824 maniglie, 37 ripostigli, tre cucine, 16 frigoriferi, 40 lavandini... Potresti aver vinto con Hillary e John McCain e perderti lì dentro, nonostante benefit e trattamento sette stelle; e in effetti la storia recente è ricchissima di presidenti che al 1600 di Pennsylvania Avenue non è che ci volessero stare tantissimo (Bush ha passato 98 giorni lontano di lì, suo padre 135 giorni, Reagan 41). Così ci sono un po’ di cose che il team del neopresidente già gli sta comunicando. Per dire, il barbiere non c’è (a differenza di Montecitorio), come non ci sono manicure, estetista, massaggiatrice.

La lavanderia sì, ma le spese sono a carico della famiglia presidenziale. Il guardaroba della first lady, si spera non dotato di soli Narciso Rodriguez, è una stanzetta luminosa all’estremità sud ovest del secondo piano, anche luogo d’intimità, pare, uno dei rari in cui gli agenti del secret service non entrano. Il bancomat, l’ufficio postale e l’ambulatorio sono nel seminterrato. Per firmare Barack avrà penne Parker, se vuole nuotare una piscina, se vuole vedere un film li ha tutti in anteprima, cinema privato, poltrone di prima fila reclinabili marca La-Z-Boy (e c’è la macchinetta dei popcorn! superiorità della cultura americana). Michelle può cambiare l’arredamento, come fece Hillary; ma sarebbe imperdonabile modificare la scrivania dello studio ovale, donata dalla regina d’Inghilterra. È tradizione che la poltrona sia marca Gunlocke, modello progettato dal fisioterapista di Jfk nel ‘61 per placare i suoi mal di schiena.

In ogni caso chi cambia paga, o usa fondi privati, non soldi federali (sì sì, come l’Italia); e sceglie se possibile mobili di produzione nazionale. Nelle cucine si può al limite modificare stile culinario ma dovrebbero bastare le tre che ci sono, cinque chef, un pasticciere, venti part time. Possono servire fino a 140 ospiti seduti e mille apertivi. Nei 16 frigoriferi tra uffici e appartamenti ci sono tutte le bevande dei gruppi Coca e Pepsi, e gli M’M’s con stemma presidenziale. Alle cinque tutti i giorni vengono servite patatine fritte per gli uffici dell’ala ovest. Nonostante tutto questo, diventi poi un uomo braccato, seguito 24 ore non solo dagli agenti ma dall’ufficiale con la Nuclear Football, la valigetta coi comandi per l’attacco nucleare, e persino dal maggiordomo, che ha un indicatore di posizione se il presidente si trova in aree non private della Casa Bianca.

Ti danno una Cadillac V8 , ma né tu né tua moglie potete guidarla. Le figlie (qui però troppo piccole) sì, ma sempre avvisando di ogni spostamento gli agenti: restò memorabile la povera Susan, figlia di Gerald Ford, che una sera si fiondò con l’auto fuori dai cancelli aperti per far entrare un’altra auto. Barack dovrà, come ogni presidente, saper fare almeno un giro di valzer. Potrà, come Reagan, fare i pisolini che vorrà, i ritmi di lavoro li decide lui, vedremo se sarà workaholic come Clinton, che lavorava dalle 7 fino a sera tardi, e poi restava al telefono fino alle tre di notte. Guadagnerà 400 mila dollari l’anno (più 50 mila di spese), i ricevimenti privati se li pagherà da sé, avrà una pensione di appena 160 mila euro. Se vorrà invitare qualcuno, ha un apposito «segretario per gli eventi»: alzi la mano chi al momento gli direbbe di no, come fece Thom Yorke, il cantante dei Radiohead, dinanzi a un invito di Tony Blair. Ma ora ha detto che con Barack «comincia una nuova èra». Nella Casa Bianca di sempre.

da lastampa.it
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« Risposta #19 inserito:: Novembre 09, 2008, 12:19:47 am »

2008-11-05 21:13

OBAMA: LA FORZA DELLA SPERANZA


di Cristiano Del Riccio


WASHINGTON - Ha vinto la speranza. La parola magica che per due anni è stata l'anima della campagna elettorale di Barack Obama ha trionfato martedì in America spingendo a votare milioni di persone che non l'avevamo mai fatto prima e portando per la prima volta un candidato nero alla Casa Bianca. Per Barack Obama la "audacia della speranza" non è stato solo il bel titolo di un suo libro o lo slogan che ha conquistato milioni di americani. E' stato anche un modo di vivere.

Non c'é stato discorso di Obama, in questa campagna elettorale infinita, che non abbia toccato questo tema. E non c'é stata una sola volta in cui le sue parole, pronunciate abbassando all'improvviso la sua potente voce baritonale, riducendola ad un mormorio, non abbiamo messo i brividi agli ascoltatori. "Speranza è quella cosa dentro ognuno di noi - aveva sussurato Obama nel suo discorso di vittoria in Iowa, ad una folla piombata nel silenzio assoluto, per non perdere una sola sillaba - che insiste nel credere, malgrado tutto sembri dimostrare il contrario, che qualcosa di migliore ci aspetta se abbiamo il coraggio di combattere per questo".

E' esattamente quello che è successo in questa campagna elettorale. Quella che alcuni ritenevano solo una frase retorica, "i bei discorsi" tanto sbeffeggiati dal suo rivale John McCain, si è rivelato un progetto operativo messo a punto con la precisione di un intervento neuro-chirurgico.

Lo "spacciatore di speranza", l'uomo convinto che "insieme persone ordinarie possono fare cose straordinarie", è riuscito a far diventare realtà le sue parole. Il suo invito a "scegliere la speranza sulla paura", in un'America governata da un presidente pronto a calpestare numerose libertà civili nel nome della guerra al terrorismo, si è trasformato da esortazione evangelica a programma elettorale.

Un programma senza barriere perché ognuno ha potuto leggere a suo modo la parola "speranza". Se per gli afro-americani era la liberazione da catene antiche, prima materiali e poi sociali, per i poveri, per gli ispanici, per i giovani, lo stesso messaggio faceva scattare chiavi di lettura e reazioni positive diverse tutte volte comunque a mobilitare e a dare una voce a parti della popolazione americana che finora si era sentita esclusa dalla partecipazione al processo elettorale.

 "Speranza non è ottimismo cieco, non è sedere in panchina evitando la lotta": il messaggio di Obama ha trasformato le minoranze passive in una grande maggioranza attiva che ha trascinato il senatore nero, come una grande ondata irresistibile, verso la vittoria, verso la Casa Bianca, verso la Storia.   


da ansa.it
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« Risposta #20 inserito:: Novembre 10, 2008, 09:55:12 am »

OBAMA, CAMBIERO' IL VOLTO DELL'AMERICA



(AGI) Washington, 10 nov.

- 'De-bushificare' l'America.

Questo la parola d'ordine dell'amministrazione 'in pectore' di Barack Obama, che questa sera sara' ricevuto alla Casa Bianca dal predecessore George W. Bush. Per Obama si tratta della sua seconda visita alla Casa Bianca dopo la riunione convocata d'urgenza il 25 settembre dal presidente Bush con l'equipe economica del governo per affrontare la crisi finanziaria. Obama arrivera' accompagnato dalla moglie Michelle che, insieme a Laura Bush, avra' l'occasione di vedere per la prima volta la parte privata della Casa Bianca, riservata alla residenza del Presidente. Il team di transizione del presidente eletto ha definito una lista di circa 200 provvedimenti dell'amministrazione Bush da eliminare non appena il presidente eletto si insediera' alla Casa Bianca il 20 gennaio del prossimo anno. E' quanto scrive il "Washington Post" citando fonti dello staff di Obama e dei democratici al Congresso, secondo cui saranno circa 8.000 i funzionari pubblici da sostituire Nel mirino le normative sul finanziamento pubblico per la ricerca sulle cellule staminali, il cambiamento climatico, l'aborto e le trivellazioni petrolifere e di gas.. Secondo il quotidiano, quella lista gia' messa a punto potrebbe ulteriormente allungarsi nei prossimi giorni, se il presidente uscente decidesse di approvare in 'zona cesarini' altri provvedimenti prima di lasciare la Casa Bianca. In particolare il capo del team di transizione, John Podesta ha confermato alla Abc che Obama ricorrera' alla prerogativa dei decreti presidenziali per rimuovere rapidamente, senza attendere il Congresso, i "guasti" dell'era Bush. Tra i provvedimenti targati Bush che Obama intende cambiare quello che di fatto ostacola la ricerca sulle cellule staminali embrionali limitando in termini estremamente restrittivi i finanziamenti pubblici ai laboratori. Il neo presidente intende eliminare il veto imposto da Bush alla legislazione che limita le emissione di anidride carbonica e gas serra da tutti i veicoli a motore adottata dalla California del governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger Sempre il Post scrive che in vista del "piu' importante trasferimento di poteri nella storia americana" e alla avvio dell' "Era Obama", a Washington si registra un insolito clima collaborativo tra l'amministrazione Bush e quella Obama: stanno collaborando in maniera "eccezionale" sui dossier piu' scottanti, dai conflitti in Iraq e in Afghanistan, alla lotta al terrorismo e la crisi finanziaria. A conferma del clima collaborativo la Casa Bianca intende organizzare una simulazione di attacco terroristico per vedere come i responsabili per la sicurezza nazionale di Obama risponderanno in caso di un attentato. "Se ci fosse una crisi il 21 gennaio (giorno successivo all'insediamento, ndr) sarebbero loro quelli chiamati ad affrontarla. Dobbiamo assicurarci che siano il piu' preparati possibile", ha spiegato Joshua B. Bolten, capo di gabinetto di Bush Oltre al pericolo terrorismo, sempre presente sullo sfondo, le due squadra si stanno concentrando per evitare eventuali "scossoni" durante il passaggio di consegne per contrastare la crisi economica globale. Un'emergenza autentica al momento. Agli uomini del presidente eletto, ad esempio, e' stato concesso "un livello di accesso insolito al dipartimento del Tesoro e alle altre agenzie coinvolte nel tentativo di stabilizzare l'economia", sottolinea il Post perche', come ha chiarito il portavoce della Casa Bianca Tony Fratto, l'obiettivo e' quello di "non sorprendere i mercati". Ma a parte i cambiamenti a otto anni di Bush a costo zero Obama dovra' fare scelte oculate sul resto. Come scrive il New York Times. La squadra del presidente eletto stanno valutando, alla luce della crisi economica e del deficit record del budget federale, quali delle ambiziose promesse fatte in campagna elettorale avranno la precedenza e quali saranno rinviate. Il primo obiettivo resta quello di favorire la ripresa economica ma senza accantonare, per quanto possibile, altre emergenze come la riforma del sistema sanitario, l'ambiente e l'indipendenza energetica Obama e' destinato ad avere inizialmente le mani legate dai vincoli del bilancio federale che il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari rischia di far toccare un nuovo record. Lui stesso poi ha annunciato che ritiene necessario un secondo pacchetto di stimoli economici da oltre 150 miliardi di dollari. Rham Emanuel, il capo di gabinetto di Obama, ha comunque confermato all'Abc che il piano di taglio delle tasse del 95% degli americani non sara' abbandonato. Allo stesso tempo il presidente, una volta insediato, introdurra' immediatamente il parallelo inasprimento del prelievo fiscale sui redditi superiori a 250.000 dollari annui. (AGI)

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« Risposta #21 inserito:: Novembre 11, 2008, 11:59:35 pm »

11/11/2008 (17:14)

"A Obama dico: ricucire con Mosca"
 
Berlusconi: «Più importante dell'Iraq, il neopresidente ha il nostro sostegno»


ROMA

«A Obama ho dato il consiglio che non continui l’escalation dei rapporti negativi con la Russia, credo che sia più importante della crisi irachena». Lo afferma Silvio Berlusconi durante la conferenza congiunta con il presidente brasiliano Lula Da Silva.

«Obama oggi - prosegue - si trova in una situazione molto difficile, tutti i problemi interni ed esterni gli cadranno addosso, dall’Iraq, all’Afghanistan al Medio Oriente. Ma credo che il consiglio più importante da dargli sia quello di porre fine alla contrapposizione tra il suo paese e la Federazione russa». Il premier ha poi assicurato che «presto» ci sarà un incontro tra il presidente eletto degli Stati Uniti e il leader del Cremlino, Dmitri Medvedev. «Me lo ha detto proprio Obama», ha spiegato Berlusconi.

«Il supporto dell’Italia alla nuova Amministrazione americana è il più totale e convinto possibile», ha poi sottolineato con insistenza il premier Berlusconi.


da lastampa.it
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« Risposta #22 inserito:: Novembre 12, 2008, 12:28:55 pm »

12/11/2008 - USA 2008. IL NUOVO CORSO
 
Obama apre all'Iran alleati contro Al Qaeda
 
La nuova strategia per la guerra afghana "Coinvolgere Teheran, parlare coi ribelli"
 
 
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
 
Barack Obama pensa a un'offensiva militare massiccia per catturare Bin Laden, vuole coinvolgere l'Iran nella composizione della crisi afghana, affronta i timori del Pentagono sul ritiro dall'Iraq e avrebbe autorizzato contatti con Hamas: le indiscrezioni che rimbalzano da Washington e Gaza lasciano intendere che più novità sono arrivo in politica estera.

Il Washington Post cita stretti collaboratori del presidente eletto anticipando che avrà in cima all'agenda di sicurezza l'Afghanistan con una «strategia regionale». Sul fronte militare verrà aumentato l'impiego contro Al Qaeda, schierando 2 o 3 brigate in più per operare su un campo di battaglia che «include anche le aree tribali del Pakistan» al fine di catturare o eliminare Osama bin Laden, il vice al Zawahiri e i loro colonnelli. Il messaggio è diretto a Islamabad: Obama chiederà libertà di movimento per le truppe Usa nelle aree oltre confine in modo più energico di Bush.

La pressione militare su Al Qaeda si accompagnerà a «forme di dialogo con i taleban» come suggerito dal generale David Petraeus, sul modello di quanto fatto in Iraq con le tribù sunnite. Sul fronte politico la maggiore novità in vista è l'intenzione di coinvolgere l'Iran. «Guardiamo al futuro e sarebbe utile avere un interlocutore per verificare l'esistenza di comuni obiettivi» dicono le fonti vicine a Obama, secondo cui Usa e Iran condividono l'opposizione agli «estremisti sunniti». Lo scenario di un'apertura a Teheran sull'Afghanistan si somma a quanto detto da Obama in campagna elettorale sul dialogo con l'Iran e secondo il direttore dell'Agenzia atomica dell'Onu, El Baradei, questo approccio «potrebbe giovare al negoziato sul nucleare».

Sull'Iraq Obama si trova invece di fronte alle resistenze del Pentagono a dare inizio al ritiro delle truppe in 16 mesi da lui promesso agli elettori. Secondo i generali infatti farlo «sarebbe pericoloso». Da qui l'ipotesi che Obama aspetti qualche mese prima di decidere cosa fare. La questione Iraq si lega al futuro di Robert Gates, il ministro della Difesa che molti democratici vorrebbero confermare ma che non condivide l'idea di un calendario per il ritiro. Non a caso i gruppi anti-guerra della galassia liberal, come CodePink, stanno mettendo sotto pressione Obama per chiedergli di «liberarsi degli uomini di Bush» affrettandosi a sostituire Gates con personaggi più favorevoli a ritirare le truppe come ad esempio Chuck Hagel, senatore repubblicano del Nebraska.

Un'ulteriore novità è rimbalzata da Gaza, dove Ahmed Yusef, consigliere del leader di Hamas Ismail Haniyeh, ha svelato al giornale Al Hayat l'esistenza di contatti con consiglieri di Obama «iniziati mesi fa ma tenuti segreti per timori di conseguenze elettorali». Da questi incontri, ai quali potrebbe aver partecipato il clintoniano Robert Malley, Yusef afferma di aver tratto l'impressione che Obama «avrà un approccio diverso al Medio Oriente».

A dispetto delle molte indiscrezioni Obama ieri è rimasto in silenzio in coincidenza con il Veteran Day, nel quale l'America rende omaggio ai veterani, recandosi al Milite Ignoto di Chicago per portare una corona di fiori assieme a Tammy Duckworth, che in Iraq perse le gambe. A parlare è stato invece John Podesta, il responsabile del team di transizione, rendendo pubbliche le disposizioni con cui Obama impedisce ai lobbisti in attività di lavorare nel team della transizione: non potranno dare contributi finanziari né consulenze, mentre chiunque ha lavorato con Barack nei 12 mesi successivi alla conclusione del rapporto non potrà fare lobbing.

La moglie di Barack, Michelle, ha intanto telefonato a Hillary chiedendo suggerimenti sulla scuola dove mandare le figlie a Washington e l'inattesa chiamata ha causato qualche irritazione fra i clintoniani perché Obama continua a rifiutarsi di aiutare l'ex First Lady a ripianare 7,3 milioni di debiti elettorali.
 
da lastampa.it
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 17, 2008, 05:47:25 pm »

2008-11-17 08:15

OBAMA: RITIRO DA IRAQ, CHIUDERE GUANTANAMO, PRENDERE BIN LADEN


 NEW YORK - Crisi dell'auto e dei mercati finanziari, guerra in Iraq e lotta al terrorismo, ma aspetti privati del futuro imminente della prima famiglia afro-americana che conquista la Casa Bianca: per la prima volta da quando e' stato eletto presidente Barack Obama si e' seduto per un'intervista a tutto campo con una televisione Usa. Affiancato dalla moglie Michelle, nel faccia a faccia con la Cbs registrata venerdi' alla vigilia del vertice del G20 di Washington, Obama ha detto che una delle sue priorita' sara' ''restituire un senso di equilibrio'' al regolamento dei mercati finanziari ma si e' detto contario a un cosiddetto 'nuovo New Deal' per l'America. Obama ha ammesso che ci sono paralleli tra la crisi di oggi e i problemi della Grande Depressione, ma ha detto di essere a favore di soluzioni ''in linea con i nostri tempi'' perche' ''ricreare oggi quello che esisteva negli anni Trenta sarebbe come perdere l'autobus''. Il presidente eletto si e' detto convinto che ''il governo abbia un ruolo nel rimettere in moto un'economia che si e' fermata, anche che il principio del libero mercato che ha funzionato per noi, che crea innovazione, debba essere egualmente difeso''. Secondo Obama l'economia americana sta attraversando ''circostanze straordinarie'': il presidente eletto si e' pronunciato a favore di un piano di assistenza a favore del settore dell'auto, ''ma non di un assegno in bianco''. E ha ricordato che ''le banche non fanno piu' credito, neanche alle aziende che vanno bene, ancor meno a quelle che vanno male. In queste condizioni le opzioni abituali non sono forse piu' possibili'': per questo la bancarotta per Gm potrebbe essere fatale.

Si e' parlato di lotta al terrorismo: catturare Osama bin Laden e' una priorita': ''Un aspetto cruciale della eliminazione di al Qaida'', perche' bin Laden ''non e' soltanto un simbolo, e' il capo operativo di una organizzione che trama attacchi contro interessi americani''. Il presidente eletto ha anche confermato la volonta' di avviare il ritiro delle truppe Usa dall'Iraq dopo il suo arrivo alla Casa Bianca il 20 gennaio 2009 ''particolarmente alla luce di quel che succede in Afghanistan''. Si' anche alla chiusura di Guantanamo: ''Un gesto per permettere all'America di ritrovare il suo rango sul piano morale''.

 La transizione e' in corso e Obama, che si sta preprando agli onori e agli oneri dell'Oval Office leggendo gli scritti del ''saggio'' Abraham Lincoln, ha gia' annunciato le prime nomine del suo staff. Alla Cbs che lo ha intervistato venerdi' a Chicago, il presidente eletto ha confermato che portera' al governo almeno un repubblicano, ma di piu' non ha voluto dire. L'intervista ha permesso a lui e Michelle di parlare del futuro della loro famiglia alla Casa Bianca: ''La cosa che piu; mi preme e' che le nostre figlie possano continuare a sentirsi normali'', ha detto il presidente eletto annunciando che ''probabilmente'' sua suocera verra' a vivere con loro e che il cane promesso a Talia e Sasha non arrivera' che dopo l'insediamento. Molte cose cambieranno, anzi sono gia' cambiate, nella vita della famiglia Obama. Ora che e' stato eletto presidente ed e' seguito a stretto contatto di gomito dalla scorta del Secret Service, Obama si e' reso conto cosa significa aver perso la privacy: ''E' la cosa che mi manca di piu'. Non poter andare a fare una passeggiata indisturbato. Andare a farmi tagliare i capelli dal mio barbiere: ora e' lui che deve raggiungermi in un luogo top secret. Le piccole routine che ti tengono con i piedi per terra''.


IRAQ: OK GOVERNO A ACCORDO, TRUPPE USA VIA ENTRO IL 2011
BAGHDAD- Ieri il governo iracheno ha approvato l'accordo di sicurezza con gli Stati Uniti che prevede il ritiro totale delle truppe americane entro la fine del 2011. Lo ha riferito una fonte ufficiale. L'accordo è stato approvato con 28 voti favorevoli su 38. C'era bisogno di una maggioranza di due terzi perché si potesse procedere a presentare l'accordo al parlamento. In questa sede per l'approvazione basta la maggioranza semplice.

L'accordo è il risultato di un negoziato durato un anno e che spesso è stato condotto con toni aspri. Prevede la partenza dei circa 150mila soldati americani, che attualmente sono distribuiti su oltre 500 basi. Dalle città i soldati se ne andranno entro il 2009 e da tutto il territorio iracheno entro la fine del 2011, vale a dire otto anni dopo il crollo del regime di Saddam Hussein. La riunione del consiglio dei ministri è durata circa due ore. Il premier Nuri al Maliki, che ha fortemente voluto l'accordo, era già praticamente certo di ottenerne l'approvazione perché poteva contare sul sì della coalizione sciita e dei partiti curdi, che insieme hanno 19 ministri.

Aveva anche l'appoggio degli indipendenti e di una parte dei ministri sunniti. Il parlamento deve ora procedere a una doppia lettura con un voto definitivo a distanza di almeno sei giorni. Seguirà la ratifica da parte del consiglio presidenziale e solo a questo punto si potrà procedere alla firma ufficiale dell'accordo, presumibilmente a Washington, da parte di Maliki e del presidente americano George W. Bush. La Casa Bianca ha definito il testo un buon accordo, soddisfacente per entrambe le parti. Anche il grande ayatollah Sistani, maggiore autorità religiosa sciita del paese, ha dato un suo informale consenso. L'accordo dà un quadro giuridico certo alla presenza militare americana in Iraq alla scadenza del mandato Onu, alla fine di quest'anno. 

da ansa.it
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« Risposta #24 inserito:: Novembre 18, 2008, 05:42:40 pm »

Obama e McCain pronti a lavorare insieme: «Serve nuova era di riforme»
 


 WASHINGTON (17 novembre) - In America c'è bisogno «di una nuova era di riforme» per affrontare gli sprechi del governo e superare «la dura divisione che esiste Washington». Il presidente eletto Barack Obama e il suo ex avversario John McCain si sono incontrati oggi a Chicago e al termine del faccia a faccia hanno diffuso una dichiarazione comune in cui si dicono pronti a lavorare insieme «sulle sfide critiche, come risolvere la crisi finanziaria, creare una nuova economia energetica e proteggere la sicurezza nazionale».

«In questo momento decisivo nella storia - afferma la dichiarazione comune, diffusa dall'ufficio del presidente eletto - crediamo che gli americani di ogni parte politica vogliano e abbiano bisogno di leader che si uniscono e che cambino le cattive abitudini di Washington, così che possiamo risolvere le sfide comuni e urgenti della nostra epoca».

Obama e McCain hanno aggiunto che è stato «in questo spirito che abbiamo avuto oggi una conversazione produttiva sul bisogno di lanciare una nuova era di riforme nella quale affrontare gli sprechi del governo e la dura divisione che esiste a Washington, per ristabilire la fiducia nel governo e riportare prosperità e opportunità a ogni famiglia americana che lavora duramente».

I due ex rivali nella campagna elettorale, hanno concluso dicendo di sperare «di lavorare insieme nei giorni e nei mesi che ci aspettano su sfide critiche, come risolvere la crisi finanziaria, creare una nuova economia energetica e proteggere la sicurezza nazionale». 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #25 inserito:: Novembre 23, 2008, 10:57:19 pm »

23/11/2008
 
Obama farà quel che potrà
 
GUIDO CERONETTI

 
Quando fu eletto Franklin Delano Roosevelt (1932) un inviato speciale italiano (penso fosse Luigi Barzini, ma non ho certezza) nella sua prefazione a un libro sull’America concludeva così - altro non ricordo, l’avrò trovato in casa dopo il 1945: «Oggi col nuovo Presidente raggia la luce di una nuova aurora, ma la vita è triste, è meccanica come prima». Meno l’altra metà (la destruens) della frase, la prima contiene in sintesi la maggior parte dei commenti mondiali all’elezione 2008 di Obama. Ma una riflessione, che propizia questa interminabile Transizione, in cui il President elect ha tempo di far yoga, rilassarsi, inseguire una propria immagine di mondo, se voglia essere meno facilmente messianica e più comprensiva, non deve trascurare la seconda osservazione. È un dittico: un sinologo può vedere quella lontana, e nuovamente attualissima frase, come immagine bilanciata di Yang e di Yin, e in tal modo stringiamo più America.

Stringere l’inafferrabile. Yes we can... No, non possiamo. Un nostro filosofo (nostro, intendo, in quanto europeo), Jean Baudrillard, che sull’America, visitata classicamente da Est a Ovest, ha scritto libro bellissimo (lo trovi anche in italiano: America, SE, 2000), tutto meditabile, arrivato in California definisce gli Stati Uniti «carrellata infinita attraverso il minerale e le autostrade», e lo sguardo telescopico europeo che li osserva come proiezione di «una cultura critica allo stato agonico». La misura europea non può adeguarsi alla dismisura americana. Non basta ad avvicinarle il fatto che la meccanicità e il malessere esistenziale propri della Via Americana si siano estesi in crescenti cumuli alle contrade europee, unificate da accordi astratti (o senza criterio, come Schengen), non basta neppure il fatto che la terrificante violenza della realtà americana abbia un parallelismo impressionante in quella delle città europee, perché mi pare che le modalità di questa violenza non combacino. (E l’africana e l’asiatica sono ancora altre violenze). Il crimine di sangue all’europea resta principalmente legato all’ambiente familiare e alla perdita radicale di tutte le ragioni ideali del vivere; in America la causa e l’effetto sono caos senza confini, e la violenza è eruzione vulcanica permanente perché è provocata da tutto. Che cosa avrà potuto capire Obama nella sua tournée in Europa, candidato in cerca di consenso futuro? Che cosa, di Obama, può capire una Europa politica, tutta materialista e pratica, della misteriosa, fondamentale, persistente a tutto, spiritualità (non papistica) americana? Gli umori antiobamisti dei cattolici europei non sono accidentali: si accentueranno. Vaticano e Casa Bianca potranno risparmiarsi la spesa telefonica, salvo lo scambio di Buon Natali di indigesta rifrittura. C’è anche qui un ricorsino storico: un papa molto e chiaramente filotedesco all’epoca di Roosevelt, e ora un papa tedeschissimo, di grande Kultur agonica, di fronte al raggiare aurorale di Obama. E grazie a Dio che così sia: che non ci siano, a distanza di oceani, una grinta e una crocchetta, come in Italia, ma due grinte grintose, una rissa di dure superiorità contrapposte. Una definizione di Obama, nel cono d’ombra in fermento della Transizione, valevole per tutti gli anni di potere che gli avrà assegnato il Fato, è facile: il Presidente degli incurabili. Incurabile tutta è la realtà mondiale. Incurabile è l’ideologia dominante, tutta centrata (per inaudita deviazione mentale e linguistica) su una ipotesi di economia il cui fondamento è indefinibile ma è certamente né economico né politico. Correggibile, emendabile (con molti forse) lo stato delle guerre, perché la guerra - è la sua unica bontà - ha due corni risolutivi, alla fine si vince o si perde, salvo ad avere un destino ebraico - e l’America non può perdere. Se si riesce a vedere la Cosa detta Economia al di sopra dell’orbita consueta che è da Paese dei Ciechi, possiamo anche vederne trascendentalmente l’inevitabile incorreggibilità. E questo basterebbe a differenziare radicalmente la presidenza cui fu raddrizzamente un New Deal ripetuto da quella di un governatore d’incurabili come l’imminente, bisognosa di infinitamente più dilatazione della visione, e di una visione senza frontiere.

Linguaggio, that is the question. Non è per spregio o per ignoranza dei suoi nodi (pur essendo questa, in me, ignoranza provata) che scrivo la parola economia deglutendo saliva, ma per la sua inadeguatezza espressiva che non si sa come surrogare per avvicinare la cosa. Se ne parla torrenzialmente, morbosamente, teocraticamente, in un chiacchiericcio piramidale, di vertice in vertice, di mondialità in mondialità, perfino con la ridicola aggiunta, per darle un vago colorito vitale, di reale. Dov’è la realtà in relazioni umane in cui la totalità del flusso della vita è violentemente sottomessa a monete galleggianti nel vuoto della pura moltiplicazione simbolica? Anche se la casa è l’America o l’Europa, l’ètimo, vagina delle parole, dà per economia: legge della casa. E il rapporto degli Stati, casa di tutti, governati da esperti senza illuminazione, impregnati di virtuale, attaccati a una slot-machine sghignazzante, con la realtà-reale, somiglia alla casetta della Febbre dell’Oro di Chaplin oscillante sull’orlo di un precipizio. Per costringere tutta questa assenza di parole vere, questa immane bocca da statistiche di Borsa, a vomitare un’idea di realtà, la chiamerei economia tragica. Se Obama, messa da parte la formula elettorale vittoriosa ma falsa yes we can, pervenisse a porsi davanti agli occhi il Tragico fondamentale di questa economia capitalista mondiale da tempo e oggi crucialmente nel vicolo cieco del dilemma tra sviluppo produttivo e tecnoscientifico senza tregue né limiti e distruzione-abbrutimento di esseri umani in spazi sempre più ristretti e micidiali per la vita, sarebbe, proprio in quanto cosciente di essere il presidente degli incurabili del suo e di ogni paese, il più illuminato, il più rischiarato dal lume della ragione, dalla percezione autentica di ciò-che-è, dei presidenti americani oggi possibile, pur governando il timone di una nave impazzita, con le stive strapiene di anonima poltiglia umana in permanente zuffa. Un dilemma tragico è tale perché privo di soluzione, e nello stesso tempo incalzato dall’obbligo di una scelta responsabile. Lo sforzo mentale che questo implica schiaccerebbe chiunque. «I cannot: ciò che potrò farò»: questa è la giusta promessa. Al President elect, impazienti di vederlo all’opera e sollevati dal non essere al suo posto, un voto guerriero di Buona Fortuna.
 
da lastampa.it
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« Risposta #26 inserito:: Novembre 25, 2008, 12:22:58 pm »

25/11/2008
 
Barack e le sirene del New Deal
 
ALBERTO BISIN

 
La politica economica dell’amministrazione Obama comprenderà certamente un importante stimolo fiscale. I tagli fiscali di Bush saranno resi permanenti per coloro i cui redditi non superino i 200-250 mila dollari, come promesso in campagna elettorale. Inoltre, un grosso piano di spesa in infrastrutture sarà finanziato per limitare gli effetti della crisi sull’occupazione.

Nel discorso di sabato alla radio Obama ha usato una retorica da New Deal: «Il fatto che il Sogno Americano sia sopravvissuto per oltre due secoli è testimonianza non solo del potere del sogno stesso, ma anche del grande sforzo, sacrificio e coraggio del popolo americano», «questa è la chance che il nostro nuovo inizio ci offre», e così via.

Ma Obama, allo stesso tempo, non ha affatto ceduto alle sirene che nelle scorse settimane gli hanno suggerito politiche fiscali irresponsabili, proponendo forse implicitamente se stesse per attuarle. L’esortazione di Paul Krugman sul New York Times del 31 ottobre, «Obama decida di quanta spesa il Paese ha bisogno, e poi spenda il 50 per cento in più», non pare fortunatamente aver avuto alcun effetto. Né quelle simili di Jeff Sachs su Slate.com o di Joe Stiglitz su The Economist's Voice.

Al contrario, Obama ha lanciato espliciti segnali di pace ai mercati per mezzo della scelta della squadra che lo accompagnerà nelle decisioni di politica economica. Si è innanzitutto circondato di esperti di prim’ordine: da Larry Summers, economista di Harvard che agirà da consulente personale del Presidente, a Timothy Geithner, che guiderà il ministero del Tesoro dopo aver gestito la crisi finanziaria con competenza dalla sua posizione di governatore della Fed di New York. Ma, soprattutto, Obama ha scelto personaggi noti per le loro posizioni di difesa della responsabilità fiscale, del libero mercato e del commercio estero, e per la fiducia dei mercati che essi hanno ripetutamente coltivato e guadagnato nelle loro precedenti posizioni pubbliche.

Per quanto Obama si sia ben guardato dal produrre una stima del costo del piano di stimolo fiscale che sta preparando, i numeri che circolano sulla stampa e per i blog sembrano prefigurare un piano enorme, forse addirittura di più di 500 miliardi in due anni. Troppi. Troppi perché le tasse future su famiglie e imprese, necessarie per finanzare una spesa di tale entità, finirebbero per limitare la crescita del Paese e quindi per ritardarne l’uscita dalla recessione. Non solo, le aspettative di alte tasse in futuro potrebbero avere l’effetto di rallentare l’attività economica prima ancora che la spesa abbia modo di avere gli effetti espansivi desiderati. È vero che il piano di stimolo prevede non solo spesa anti-congiunturale, ad esempio generosi sussidi alla disoccupazione, ma anche investimenti.

Gli investimenti, si dice, si pagano da soli. Ma questo può avvenire solo per investimenti produttivi. Obama aveva visto giusto in campagna elettorale proponendo un piano di investimento sul sistema scolastico elementare. Ma ora si parla insistentemente solo di investimenti pubblici in infrastrutture. Questi investimenti sono purtroppo spesso sinonimo di spreco e bassa produttività: l’immagine tipica negli Stati Uniti è quella del «ponte verso il nulla». Non che non esistano investimenti produttivi, anche necessari. Ma il processo politico finisce per favorire di per sé quelli poco produttivi. Questo in condizioni economiche normali. E quindi a fortiori quando l’obiettivo principale della spesa non è l’investimento stesso ma i posti di lavoro creati dall’investimento.

L’idea keynesiana che in una recessione sia utile assumere operai anche per fare buchi e poi ricoprirli è un’enorme stupidaggine. A meno che non si possano finanziare i buchi senza nuove tasse future e senza stampare moneta, risultato che nemmeno i poteri magici di Obama possono raggiungere. Allo stesso modo, è necessario evitare di gettare denaro pubblico ad imprese in fallimento, sventando una necessaria ristrutturazione. È il caso dell’industria dell’auto a Detroit. Per quanto faccia uso della retorica del New Deal, Obama questo lo sa. E fortunatamente lo sanno anche Summers e Geithner.
 
da lastampa.it
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« Risposta #27 inserito:: Novembre 25, 2008, 05:31:14 pm »

25/11/2008 (15:27) - LA MACABRA TROVATA DI UN COMMERCIANTE IN MAINE

"Quando verrà ucciso Obama?", in Usa si aprono le scommesse
 
Un dollaro per puntare. Il promotore: «Speriamo che qualcuno vinca»


NEW YORK

Un pò per scherzo e un pò no continuano negli Stati Uniti episodi di minacce di morte contro il presidente eletto Barack Obama.

L’ultima macabra trovata arriva da Standish, cittadina del Maine di poco più di 9.000 anime, in cui il proprietario di un negozio ha lanciato l’iniziativa «Osama Obama Shotgun Pool», che invita a scommettere un dollaro sulla data in cui Obama verrà assassinato.

Come riportato dal sito dell’emittente Abc, il cartello pubblicitario, accompagnato dalla scritta «Speriamo che qualcuno vinca», ha attirato un gran numero di scommettitori che hanno voluto fare la propria puntata.

Il proprietario del negozio - inutile sottolinearlo - non è un elettore democratico. Il consiglio comunale di Standish, pur condannando all’unanimità la scommessa e deprecando ogni incitazione alla violenza, non ha però ritenuto opportuno adottare alcuna misura per vietare l’iniziativa, difendendo il diritto alla libertà di pensiero dell’esercente.

da lastampa.it
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« Risposta #28 inserito:: Novembre 29, 2008, 09:49:30 am »

LE CRITICHE ALLA SQUADRA

Obama, le prime delusioni


di Massimo Gaggi


Gente seria, onesta, preparata. Ma sono davvero loro le persone più adatte per realizzare quel cambiamento che è stato il motivo dominante di tutta la campagna di Obama? Dopo gli apprezzamenti della prima ora per la scelta di Tim Geithner e Larry Summers come ministro del Tesoro e superconsigliere economico, ora sono in molti a chiedersi, in casa democratica, dov'è che il nuovo presidente intende portare il partito e il Paese.
Obama spiega che ha bisogno di gente esperta e che sarà lui in prima persona il fattore di novità, ma nel «ring» televisivo di This Week le «firme» conservatrici George Will e David Brooks inneggiano alle sue scelte, mentre i progressisti Robert Kuttner e Arianna Huffington sono perplessi, ostentano freddezza. Durissimo William Greider su The Nation, la rivista della sinistra radicale: «Per il Tesoro sono state scelte una persona e idee sbagliate. Lunedì, proprio mentre veniva designato, Geithner ha salvato, coi soldi dei contribuenti, Citigroup: il colosso che lui stesso ha contribuito a creare, con Summers, Rubin e Greenspan, durante la presidenza Clinton. Obama deve spiegare dove sta andando» alla base progressista che si è mobilitata per lui.

Kuttner, il direttore di American Prospect, organo della sinistra «bostoniana », è più possibilista: «Obama si è circondato di tecnocrati centristi. Perfino Hillary Clinton avrebbe scelto facce più fresche. Ma forse vuole governare da sinistra dopo aver rassicurato l'establishment: un presidente progressista in abiti pragmatici».
Che la concretezza di Obama avrebbe finito, prima o poi, per deludere i radicali, se lo aspettavano in molti. E' accaduto prima del previsto, anche per l'incalzare di una crisi che non lascia spazio per i collaudi. E i conservatori ne approfittano: il Wall Street Journal sottolinea le credenziali liberiste di Summers, grande sostenitore della deregulation degli anni '90, mentre alla Cnbc l'economista-conduttore Larry Kudlow esulta: «McCain non avrebbe potuto fare scelte migliori, la "blogosfera" radicale è furiosa ».

Qualche dubbio ce l'hanno anche i democratici moderati. Nessuno contesta l'autorevolezza dei prescelti, ma, in una tempesta che ha ormai le caratteristiche di una crisi di sistema, tutti quelli che hanno partecipato, anno dopo anno, alla costruzione del modello Usa di capitalismo finanziario, si portano dietro qualche responsabilità. A parte Bush, biasimato sia da destra che da sinistra, l'imputato principale è Alan Greenspan. L'ex capo della Fed, osannato ancora due anni fa come il «maestro» dell'orchestra economica mondiale, viene ora dipinto come uno stregone malefico e pasticcione. Ma sui magazine
che lo mettevano in copertina come il Salvatore del mondo, non era solo: alle sue spalle c'erano Summers e Rubin (anche lui, ora, con Obama).

Quanto a Geithner le critiche non riguardano solo lo scarso successo dei salvataggi che ha fin qui attuato (sotto la guida di Paulson e Bernanke), ma anche il fatto che negli anni del «denaro facile» di Greenspan, lui sedeva nel suo board (dal 2003) e non si è mai opposto.
Certo, non era facile per un giovane banchiere tagliare la strada al «Maestro ». Oggi, però, il New York Times promuove con riserva il team di Obama: «Sono bravi ma hanno fatto i loro errori. Devono ammetterli e mostrare che sono cambiati».


27 novembre 2008

da lastampa.it
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« Risposta #29 inserito:: Novembre 29, 2008, 09:50:23 am »

IL TERRORE E OBAMA

Avvertimento al presidente


di Franco Venturini


Una vera azione di guerra a Mumbai, un'autobomba nei pressi dell'ambasciata Usa a Kabul, le credibili minacce di attentato contro la metropolitana di New York. Il risveglio è brusco, e un terrorismo per nulla «indebolito» piomba sulla scrivania dello Studio Ovale prim'ancora che Barack Obama ne abbia preso possesso.

Gli episodi, certo, sono diversi. Nella capitale economica dell'India non è ancora chiaro quale delle tante formazioni islamiste si sia macchiata della strage negli alberghi «occidentali ». Ma è chiarissimo che l'accurata preparazione degli attacchi e la presa di un gran numero di ostaggi alzano il livello della sfida in un Paese che pure con il terrore è abituato a convivere.

L'autobomba nella zona più protetta di Kabul rientra invece in una triste banalità. Quattro morti non sono molti nell'Afghanistan di oggi, e non sorprende più che talebani o qaedisti siano in grado di colpire dove e come vogliono gli «invasori» stranieri.

L'allarme decretato a New York per le feste in arrivo, poi, può essere tutto: l'individuazione di un effettivo piano di attacco oppure una mossa dei terroristi per seminare paura e memoria, indipendentemente dalla reale volontà di colpire.

Episodi diversi. Ma un filo comune esiste, e si chiama Barack Obama. La campagna elettorale per la Casa Bianca era ancora in corso quando cominciarono a circolare interessanti teorie. Se Obama fosse stato eletto, si disse, la minaccia terroristica avrebbe ritrovato tutto il suo vigore. Perché Obama si sarebbe rivelato debole. Perché la sua politica estera diversa da quella di Bush avrebbe dato nuovo impulso allo «scontro di civiltà». Perché, in definitiva, Obama era incline ad abbassare la guardia.

Argomentazioni simili si infilarono persino nell'ubriacatura generale per la vittoria (anche in Italia, con le improvvide dichiarazioni dell'on. Gasparri). Ma è davvero ragionevole pensare che Obama presidente piaccia a Al Qaeda? Semmai, è ragionevole pensare il contrario.
Il nuovo capo della Casa Bianca avrà da gestire la pesante eredità di George Bush, della quale difficilmente potrebbe essere considerato responsabile. Ma non basta. Obama ha promesso con grande enfasi, e ripetutamente, di catturare o uccidere quel Bin Laden cui ormai pochi pensano. E soprattutto, Obama rappresenta per qaedisti e affini un serio pericolo di perdita d'influenza in quel mondo arabo-islamico le cui lotte interne tanta parte hanno nel terrorismo islamista.

Se ne rende ben conto Ayman al Zawahiri, quando definisce Obama un house negro traditore dell'islam. Infatti, il presidente eletto non è islamico ma ha un padre islamico. È nero ed è stato votato in massa dai neri più diseredati. Anche per questo è popolare nel mondo arabo mille volte più di Bush. Insomma, in attesa delle opportune verifiche è un antidoto temibile alla propaganda di Al Qaeda contro gli arroganti infedeli d'Occidente. E dunque va combattuto raddoppiando gli sforzi, nelle stragi come nel discredito.


28 novembre 2008

da lastampa.it
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