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Autore Discussione: RICCARDO BARENGHI Ma i fatti restano (e la macchia sulla PS pure).  (Letto 3079 volte)
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« inserito:: Novembre 14, 2008, 05:14:14 pm »

14/11/2008
 
Ma i fatti restano
 
RICCARDO BARENGHI

 
La storia la fanno i fatti, non le sentenze. Soprattutto quando i fatti sono sotto gli occhi di tutti, evidenti, acclarati, come nel caso della scuola Diaz di Genova. Poi, ovviamente, esistono sentenze che si possono definire storiche o esemplari ma che alla fine dei conti sono una conferma (o una smentita) dei fatti accaduti. Quella di ieri è appunto una sentenza storica, esemplare. Ma nel senso opposto.

Nel senso opposto a quello in cui normalmente si usano questi aggettivi. Perché scarica le responsabilità su coloro che hanno eseguito gli ordini, condannandoli, mentre assolve quelli che, se non hanno impartito quegli ordini, avrebbero dovuto quantomeno controllare che cosa stava accadendo e magari intervenire visto che erano presenti sul luogo del delitto.

Ma comunque non riesce a cancellare il fatto accaduto in quella notte genovese di sette anni fa, quei ragazzi innocenti pestati con una violenza inaudita mentre dormivano, trascinati via come fossero dei sacchi di spazzatura, quel lago di sangue sul pavimento, quegli imbrogli architettati dai poliziotti, le molotov portate lì dentro, i tubi Innocenti branditi come prova mentre erano materiale dei lavori in corso nella scuola, le false testimonianze, gli scaricabarile, le responsabilità negate oltre ogni ragionevole dubbio, dimostrano che quella è stata la notte più nera della Seconda Repubblica. In cui le nostre istituzioni, dal governo di Berlusconi e Fini (l’allora vicepremier si installò nella sala operativa della Questura genovese per tutta la durata del G8), al capo della polizia Gianni De Gennaro, fino a molti funzionari e all’ultimo degli agenti che hanno partecipato all’irruzione e ai pestaggi, hanno toccato il punto più basso della loro storia recente (bisogna ricordare però che un assaggio, e che assaggio, c’era stato l’anno prima a Napoli quando governava il centrosinistra guidato da Giuliano Amato). Calpestando in un colpo solo le leggi dello Stato, i diritti dei cittadini e le loro stesse divise.

Continuare a indignarsi per quei fatti, ricordandoli come fossero avvenuti ieri, ha senso non solo perché non è mai giusto dimenticare la storia, ma soprattutto perché quella storia può - potrebbe - aiutare chi governa (gli stessi di allora) a non replicare quell’orrendo copione. Finora non è successo nulla di simile, per fortuna, però ci sono condizioni analoghe nel Paese. Cortei e scioperi e manifestazioni si susseguono a un ritmo impressionante (oggi per esempio tocca all’Università e Roma sarà invasa da centinaia di migliaia di persone), come allora ci sono giovani che protestano e che non si riconoscono direttamente in un qualche partito politico. E come allora, c’è un presidente del Consiglio piuttosto allergico alle critiche e, tanto più, alle proteste di piazza, alle occupazioni delle scuole, insomma a tutto quello che esce dall’ordine costituito e che, magari, supera anche il confine della legalità.

Ed è proprio questo il problema a cui il governo deve stare più attento, ripensando a Genova, cioè il suo istinto primordiale. Quando Berlusconi evoca la polizia per sgomberare le scuole occupate o Maroni annuncia denunce contro gli studenti, quando uno come l’ex presidente Cossiga, che il gioco purtroppo lo conosce fin troppo bene, invita a seguire il suo esempio degli Anni Settanta, allora è meglio mettere le mani avanti. Un’altra Diaz, un altro Bolzaneto non dovrebbero essere più ammissibili, ma non è affatto detto che non possano capitare se il primo a innervosirsi è proprio il premier, rischiando così di innescare una reazione a catena che può contagiare facilmente quei poliziotti o carabinieri che fiutano l’aria meglio di altri e che, in un eccesso di zelo per compiacere chi comanda, si lasciano andare a violenze che in un attimo possono trasformarsi in una nuova ira di Dio. E la sentenza di ieri potrebbe spingere in questa direzione. Ma siamo convinti che non succederà, magari perché i governanti di oggi hanno imparato quella lezione, o magari solo perché la polizia è guidata da un uomo come Antonio Manganelli. Che ha già dimostrato di essere un funzionario dello Stato e non un bandierina esposta al vento della politica corrente.
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 14, 2008, 05:55:18 pm »

La rabbia in tribunale

Le stesse persone, gli stessi cori della notte del blitz

Quel senso di ingiustizia che torna dopo sette anni


DAL NOSTRO INVIATO GENOVA — «Vergogna, vergogna». Come sette anni fa, davanti ai cancelli di quella scuola. Con le stesse persone, gli stessi cori, in più soltanto la stanchezza e la frustrazione di una attesa lunghissima e vana. Mancano i lampeggianti e il cordone di carabinieri dagli occhi spaventati che tenevano lontano i no global. Il resto è uguale a quella notte del 21 luglio 2001. L'inizio e la fine, un cerchio che si chiude perfettamente con scene e sgomento identici. La rabbia, «assassini, assassini», qualcuno che cerca di lanciarsi in avanti, un caldo folle, sudore e lacrime sui volti delle vittime definitivamente convinte di aver sbagliato ad affidarsi alla giustizia. Oggi come allora. Due Italie, una sempre più forte dell'altra, come dimostra il sorrisino di superiorità del giudice Barone al partire dei cori, mentre si ritira dopo la lettura del dispositivo che commina tredici condanne, quelle che non contano nulla, 36 anni contro i 108 invocati dall'accusa, sedici assoluzioni. E alle vittime lo sfregio di risarcimenti irrisori (una media di 4.000 euro) rispetto alle richieste delle parti civili (20.000 euro a testa). La sentenza fa a pezzi le tesi dell'accusa. Avvalora in pieno la linea fin dall'inizio proposta dal Viminale, quella delle poche mele marce in un cesto florido e sano. Le condanne sono acqua fresca, sempre e comunque mitigate. Lasciano intravedere una certa riluttanza nel propinarle, e la riduzione ai minimi termini della gravità dei fatti. Ad esempio, il vicequestore Michelangelo Fournier, quello della «macelleria messicana», prende due anni comprensivi di non menzione, con le attenuanti prevalenti sulle aggravanti. Condannato, ma giusto un poco. I magistrati avevano strutturato la loro requisitoria in tre parti.

Il VII Reparto mobile di Vincenzo Canterini, i funzionari accusati di aver firmato falsi verbali di perquisizione, sequestro e arresto, compresi quelli riguardanti le celebri molotov false, e i vertici apicali. È sempre apparso chiaro che il processo si sarebbe giocato sulla parte centrale. Il «taglio» del collegio giudicante è stato draconiano. Colpita solo la base della piramide. Gli unici a pagare davvero per la vicenda delle molotov false, che dovevano essere la prova regina della pericolosità dei 93 no global arrestati alla Diaz, sono stati i meri esecutori della parte iniziale dell'inganno, i soli riconosciuti. L'autista Michele Burgio, alla guida del defender che porta le false prove alla Diaz, il vicequestore Pietro Troiani, ex collega di Canterini, che le prende in consegna. Assolta la pedina seguente, il vicequestore Massimo Di Bernardini, che nel domino dell'accusa costituiva l'anello di congiunzione con la catena di comando di quella notte. Ma le anomalie nella gestione delle molotov cominciano infatti dopo che Troiani se ne spossessa, in un susseguirsi di comportamenti che è lecito definire irragionevoli. Ogni eventuale legame superiore è stato invece reciso: le false molotov furono una libera iniziativa di due oscuri gregari. La prova della colpevolezza dei vertici apicali di quella notte, Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, non si è mai formata durante il processo. Ma le firme degli altri funzionari su verbali che attestano il falso sono sempre sembrate l'ostacolo più massiccio alla assoluzione di tutto il gruppo dirigente. In quattro anni e 170 udienze, la difesa non ha mai prodotto un teste che sostenesse la veridicità del contenuto di quei verbali. Nessun testimone. Ma anche qui la scelta dei giudici è stata minimale: l'élite dei funzionari italiani di Polizia si è fatta buggerare in massa dalle poche mele marce dei ragazzi di Canterini, ai quali va evidentemente riconosciuta una sagacia non comune. Fa male vedere un vecchio che urla e piange. Arnaldo Cestaro, 70 anni, una spalla rotta e tre operazioni per rimetterla a posto, inveisce contro lo Stato italiano, in piedi su una poltrona dell'aula bunker. Accanto a lui le altre vittime di quella notte, Lena Zulke, la ragazza tedesca che divenne l'immagine simbolo, una maschera di sangue portata via in barella. E poi tutti gli altri, un avvocato maturo e compassato come Vittorio Lerici che vorrebbe buttare la toga «per la delusione», e quel coro martellante, «vergogna, vergogna», i reduci no global attoniti, Vittorio Agnoletto spaesato come non mai. Il caldo che pulsa alle tempie, le urla, le ferite ancora aperte, il senso di ingiustizia. Come quella notte.

Marco Imarisio
14 novembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 15, 2008, 12:00:59 pm »

Una città ancora sotto choc dopo le assoluzioni dei responsabili della polizia e le condanne dei soli responsabili diretti per l'attacco alla scuola durante il G8

Canterini: "Io capro espiatorio della Diaz"

Il sindaco di Genova: "Commissione d'inchiesta"

Fournier (l'altro condannato): "Voglio andare fino in fondo"

L'Anm chiede "rispetto per il lavoro dei magistrati"

di WANDA VALLI


GENOVA - Genova è ancora stupita, amareggiata, è di nuovo una città sotto choc dopo la sentenza della prima sezione del Tribunale sui pestaggi alla scuola Diaz, durante il G8 del 2001. Sentenza che ha assolto i vertici della polizia e condannato agenti e due soli dirigenti, Michelangelo Fournier che aveva definito quella notte di botte e violenza, tra il 21 e il 22 luglio del 0001, una "macelleria messicana" e l'ex capo del reparto Mobile di Roma, Vincenzo Canterini.

E, oggi, entrambi parlano e si difendono. "Sono diventato il capro espiatorio di tutto questo casino - dice Canterini, oggi addetto all'ambasciata italiana in Romania -. Sono amareggiato, per me e per i miei uomini. Comunque, andrò fino in fondo, fino all'ultimo grado di giudizio, per dimostrare che non c'entro, non c'entriamo nulla".

Anche Michelangelo Fournier, condannato a due anni controi i 3 e sei mesi chiesti dall'accusa, annuncia che vuole rinunciare alla prescrizione. Dovrebbe scattare a marzo, ma, confermano i suoi legali, Silvio e Rinaldo Romanelli, l'ex capo del VII Nucleo speciale del Reparto Celere di Roma, non è di questa idea. E la stessa strada, rinunciare alla prescrizione, potrebbero scegliere i capi squadra Lucaroni, Tucci, Compagnone e l'ispettore Basili, tutti del primo reparto mobile.

Subito dopo la sentenza, Fournier ha detto ai suoi legali: "Sono sereno, ho fatto quello che ritenevo di dover fare, quando sono entrato, ho cercato di tutelare gli occupanti della scuola, ho interrotto le violenze, ho prestato soccorso a chi ne aveva bisogno". Per questo, ha aggiunto "adesso intendo affrontare con serenità il giudizio di secondo grado, come ho affrontato con lealtà, il processo che si è appena concluso".

Michelangelo Fournier, è stato sentito in aula il 13 giugno del 2007 e lì, di fronte al Tribunale ha ribadito quello che aveva dichiarato ai pm. E cioè che alla "Diaz era successa una macelleria messicana" , un blitz contro 93 ragazzi che dormivano e sono stati pestati e feriti. Pochi giorni prima il 6 e 7 giugno era stata la volta di Vincenzo Canterini. Sono stati gli unici, tra i dirigenti della polizia, a affrontare un interrogatorio in aula, mentre gli altri imputati hanno scelto la strada delle "dichiarazioni spontanee", vale a dire deposizioni
che non consentono il controinterrogatorio, né dell'accusa, né delle difese, e neppure del Trbunale.

Intanto il sindaco di allora, Giuseppe Pericu e quello di oggi Marta Vincenzi chiedono subito una commissione d'inchiesta. E il presidente della Regione, Claudio Burlando parla di "strano ragionamento, pensare che agenti e funzionari abbiano agito da soli, con un blitz contro vittime inermi, senza che i vertici sapessero nulla".

E' tornato nel suo ufficio in Procura, Enrico Zucca uno dei due pm, l'altro è Francesco Cardona Albini, che hanno rappresentato l'accusa.
Era in aula, l'altra sera, ha sentito le urla di "vergogna" partite dal pubblico, dai parenti di quei 93 manifestanti. Ora commenta: "Le vittime hanno tutto il diritto di chiedere giustizia, la pubblica accusa ha esercitato il suo diritto di azione penale, nessuno ha diritto ad avere un risultato piuttosto che un altro". Aggiunge il pm, intervistato da Repubblica Tv, "noi abbiamo lavorato e portato una serie di prove, i giudici le hanno valutate". Poi non esclude il ricorso, soprattutto, spiega "permotivi tecnici", ma rinvia la decisione alla lettura del dispositivo della sentenza. Così si torna al verdetto che ha di nuovo infiammato gli animi. L'Anm avverte: "serve rispetto per il lavoro dei magistrati, rispetto e non insulti inaccettabili", ma se l'altra sera qualcuno dal pubblico urlava, "vergogna, ci avete ingannato per sette anni, ve la faremo pagare", ieri i commenti e i giudizi del mondo politico e non solo si sono intrecciati.

E' una "sentenza equilibrata" per Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl; "Adesso sappiamo che in Italia organizzare brutali pestaggi e seminare false prove è considerato un fatto lecito non punibile", ribatte Franco Giordano, ex segretario nazionale di Rifondazione. Maurizio Gasparri, presidente Pdl al Senato: "Si leggono commenti scomposti, qualcuno forse voleva un processo stalinista ai vertici della polizia? Siamo in un pease libero, ci sono state condanne, ma è caduto un complotto e la polizia esce a testa alta da questa vicenda giudiziaria".

Giuliano Giuliani, padre di Carlo ucciso il giorno prima del blitz alla Diaz, il 20 luglio, parlando a Roma a studenti che manifestavano contro il decreto Gelmini, li ha esortati così: "andate avanti, fate crescere l'onda, ma tenete gli occhi aperti, la notte è ancora lunga da passare".


(14 novembre 2008)
da repubblica.it


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Modeste considerazione:

1) Quando la magistratura merita il rispetto non ha bisogno di chiederlo.

2) Gli "alcuni" colpevoli non hanno agito di testa loro hanno ricevuto ordini in caso contrario avrebbero già subito provvedimenti dalla loro gerarchia.

3) una frazione del PD ha già parlato e l'altra parte che dice sulla sentenza e sui fatti celati.
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