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Autore Discussione: Borsellino, 16 anni fa via D'Amelio  (Letto 2610 volte)
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« inserito:: Luglio 18, 2008, 05:41:52 pm »

Ancora aperte alcune inchieste legate alla strage

Borsellino, 16 anni fa via D'Amelio

Il 19 luglio 1992 un attentato mafioso stroncò la vita del magistrato e di 5 uomini della sua scorta


MILANO - Il 19 luglio saranno passati 16 anni dalla strage di via D'Amelio a Palermo in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e 5 uomini della sua scorta. Tra le varie iniziative per ricordare il magistrato scomparso c'è da segnalare soprattutto quella della magistratura. Alle undici del 19 luglio si terrà un incontro nell'aula magna del palazzo di giustizia a cui parteciperanno il presidente della Corte d'Appello Armando D'Agato, il presidente dell'Anm, Guido Lo Forte, il presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, Enrico Sanseverino, il vicepresidente dell'Anm nazionale Gioacchino Natoli e il pm Antonino Di Matteo.

VERITA' PROCESSUALE - Sedici anni non sono stati ancora sufficienti tuttavia per avere una conclusione definitiva delle varie inchieste legate alla strage. Identificati gli autori materiali, restano ancora alcuni misteri. Giovedì scorso è stato assolto in appello il tenente Carmelo Canale, ex braccio destro del giudice Paolo Borsellino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici della corte d'appello di Palermo hanno confermato l'assoluzione di primo grado dell'ufficiale. La Procura generale, al termine della requisitoria, aveva chiesto la condanna a dieci anni per Canale, ma i giudici hanno accolto la richiesta di assoluzione della difesa di Canale, che era presente al momento della lettura in aula. Subito dopo l'assoluzione, il suo pensiero è andato a Paolo Borsellino. «È un omaggio a lui - ha detto tra le lacrime - il 19 luglio è il sedicesimo anniversario della sua morte».

RITA BORSELLINO - E l'assoluzione di Canale ha riportato l'attenzione dei media sul rapporto tra mafia e politica. «In sedici anni la lotta alla mafia ha ottenuto risultati importantissimi, ma Cosa Nostra si è rigenerata ed è mutata. È entrata nel mondo degli affari e della politica. E se è logico che la mafia cerchi questi appoggi, è meno logico che li trovi» ha dichiarato Rita Borsellino. Per la sorella del magistrato ucciso «ora bisogna guardare a queste collusioni. L'eredità di mio fratello è viva ma sempre minacciata. Le previste riforme della giustizia sono una grande contraddizione, vanno in una direzione opposta alla sua. Questo significa celebrarne la morte».


18 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 20, 2008, 09:43:26 am »

Il romanzo di un Paese

Maurizio Chierici


Il 19 luglio 1992 moriva Paolo Borsellino.

Tremo pensando a come lo ricorderanno le autorità: il presidente della regione Sicilia Salvatore Lombardo, il senatore Cuffaro, alcuni onorevoli affiliati al governo, qualche ministro. Speriamo limitino il cordoglio ad una presenza decorativa. Tremo, immaginando il loro distinguere tra magistrati impegnati a combattere la criminalità e magistrati che «fanno politica» perché scavano nelle italiche vergogne. Tremo perché alle nostre spalle crescono generazioni che sanno poco o niente. Disinformate, distratte. Ogni messaggio ambiguo le allontana dalla concretezza che potrebbe aiutare la speranza mentre il silenzio li condanna all’indifferenza programmata da chi non sopporta la memoria. Ecco perché Borsellino dovrebbe essere ricordato mandando in onda solo le sue parole: intervista con domande e risposte. Nessuna retorica. Ultima voce del giudice coraggioso assieme alla voce di chi vuol sapere. Ricominciamo a sciogliere la matassa affari-politica dalla pazienza che ci ha insegnato.

Il colloquio è del 19 maggio ’92 con i giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscati. Nove giorni dopo Giovanni Falcone viene ucciso a Capaci. Borsellino capisce che gli è rimasto un tempo ormai contato. Nel maxiprocesso aveva inchiodato il gotha della mafia assieme a Falcone lasciando intendere a Cosa Nostra che non avrebbero mai smesso di frugare negli interessi di una società in parte segreta e in parte quotata nelle borse dell’economia e della politica. «Devo fare in fretta. Adesso tocca a me». Appena due mesi e la sua vita brucia.

Nel 2000, Rai News di Morrione manda in onda una sintesi di 30 minuti dopo aver tentato di convincere i Tg a presentarne almeno una parte. Niente. Santoro lo fa nel Rosso e il Nero e il Cavaliere e il senatore di casa, Paolo Guzzanti, scatenano la bagarre. Fumo senza arrosto. È passato tanto tempo ed è il momento di informare i ragazzi quale paese si nasconde dietro il paese delle promesse che suonano. Ascoltiamo Borsellino dando modo a chi ne è coinvolto di rispondere ma lasciando che la gente possa decidere da sola quale verità é credibile. Radio24- Sole 24 Ore lo sta facendo, microfoni non rivoluzionari della Confindustria. Chissà la Rai. La curiosità francese insisteva nell’avere notizie a proposito di Vittorio Mangano, stalliere nella Arcore di Berlusconi, assunto per la calda raccomandazione del senatore Dell’Utri. Racconta Borsellino: «Avevo conosciuto Mangano prima degli anni ’76-’80. Ho istruito nei suoi confronti un procedimento per estorsione ad alcune cliniche private nel palermitano». Buscetta e Contorno, padrini doc, lo indicavano «uomo d’onore di Cosa Nostra».

d- Uomo d’onore legato a Pippo Calò?
«Falcone ne aveva intercettato le telefonate. Mangano risiedeva a Milano, era un terminale dei traffici di droga che riconducevano alle famiglie palermitane. Annuncia al telefono ad un mafioso sotto controllo l’arrivo di una partita di magliette e cavalli, gergo dal significato ormai accertato: lo avevamo decifrato in altre istruttorie e ogni istruttoria venuta dopo ne ha confermato l’interpretazione. Parlavano di stupefacenti».

d- Dell’Utri c’entra?
«Credo sia aperta a Palermo un’indagine col vecchio rito processuale nelle mani di un giudice istruttore, ma non me ne sono interessato».

d- Si tratta di Marcello o del fratello Alberto Dell’Utri, entrambi Publitalia?
«Sì». d- Nell’inchiesta di San Valentino c’è un colloquio tra Vittorio Mangano e Dell’Utri in cui si parla di cavalli? «Nelle intercettazioni ascoltate nel maxiprocesso si parla di cavalli da consegnare in albergo. Non credo potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno deve recapitare un cavallo lo porta all’ippodromo o al maneggio. Non in albergo».

d- Le sembra strano che certi personaggi, protagonisti dell’economia come Berlusconi e Dell’Utri, siano collegati con uomini d’onore tipo Vittorio Mangano? «All’inizio anni ’70 Cosa Nostra comincia a diventare un impero nel senso che attraverso l’inserimento quasi monopolistico nel traffico di stupefacenti, gestisce una massa enorme di capitali per i quali cerca uno sbocco. Questi capitali in parte vengono esportati e depositati all’estero e allora si spiega la vicinanza tra Cosa Nostra e certi finanzieri».

d- Mangano era un pesce pilota?
«Apparteneva a quei personaggi teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia».

d- Si dice abbia lavorato per Berlusconi … (al momento dell’intervista la notizia non era ufficialmente confermata).
«Non lo saprei. Come magistrato ho una certa ritrosia a dire cose di cui non sono certo. So che esistono indagini in corso… », per scoprire se Mangano era stalliere nella villa di Arcore. «… ma è una vicenda che non mi appartiene».

d- Può confermare se l’inchiesta è aperta?
«C’è un’inchiesta ancora aperta».


La seconda intervista risale a cento giorni fa. Vigilia delle elezioni. Berlusconi raccoglie e rafforza lo sdegno di Dell’Utri. Senza spiegare la ragione, il senatore esplode nella difesa di Mangano. Non si capisce come mai, quando il voto è vicino, Mangano sepolto da tempo, l’improvvisa frenesia dell’incensare il passato di un protagonista per le meno controverso. Analisti maligni lo hanno interpretato come messaggio tranquillizzante ad amici siciliani. Può essere un’ ipotesi al veleno, nervi elettorali elettrici. «Vittorio Mangano era il fattore di Arcore, non uno stalliere», precisa Berlusconi. «Pur essendo in carcere malato e sollecitato dai pubblici ministeri, eroicamente non inventò mai nulla contro di noi. Sarebbe uscito di prigione se ci avesse accusati». Uomo di vero onore, insomma. Il risultato elettorale siciliano gliene dà gloria.

Ma ricordare per un giorno, una settimana, magari un mese la lealtà di Borsellino non può bastare. Che i ragazzi non sappiano come si sono formati i gestori dell’ Italia 2000 lo hanno capito gli spettatori di una certa età nelle sale dove si proietta «Il divo», misteri cangianti di Giulio Andreotti raccontati da Paolo Sorrentino che è poi la storia politica dagli anni ’70 ad oggi. Sussurri nel buio di trentenni e quarantenni che perdono la bussola: «Sindona? L’ho già sentito nominare». «Perché Moro si è arrabbiato quando il ministro degli esteri Andreotti va a trovarlo di nascosto a New York». «Gelli, so chi è. È scappato da una prigione svizzera e si è fatto crescere i baffi. Ma lo hanno preso». «Cosa c’entra la P2 con Piazza Fontana?». Berlusconi piduista come i generali argentini? Cicchitto piduista come il capo del suo partito Berlusconi?». «Adesso ti dico un nome del giornalista P2 che non ti aspetti… ». Cinema-brusio. Ripassi frettolosi inseguendo le immagini, ma appena casa i ragazzi non più ragazzi accendono la Tv, ritrovano gli uomini incappucciati che fanno la morale. Sbaglia il film o l’indulgenza dei giornalisti tappeto accompagna la decadenza dei tempi?

Rispondo al professore di un liceo milanese, padre con due figli fra i banchi: bella l’idea rivisitare assieme agli studenti la storia d’ Italia attraverso i film. Aggiungo all’elenco che è arrivato: «Le mani sulla città», di Francesco Rosi. Spiega la Napoli di oggi e le fortune dei palazzinari. «Un eroe borghese», di Michele Placido ispirato dallo straordinario romanzo-verità di Corrado Staiano. È la storia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli nella Milano da bere, anni craxiani. Viene ucciso da un killer che Sindona manda da New York. L’avvocato stava scoprendo pagine che inquietavano non solo il fallimento della Banca Privata del finanziere siciliano, ma gli intrecci tra mafia e P2, Ior vaticano di Marcinkus, scalata al Corriere della Sera, insomma l’Italia i cui protagonisti galoppano ancora. Ambrosoli apparteneva alla borghesia della Milano di una volta: ogni impegno era un impegno, proibito l’imbroglio. Anche «Il giudice ragazzino» di Alessandro de Robillant, ricostruzione di Nando Dalla Chiesa della morte violenta di Rosario Livatino, procuratore ad Agrigento. E «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, e «I banchieri di Dio», P2, Vaticato e Roberto Calvi che si impicca nel ponte dei frati neri di Londra. E «La classe operaia non va in paradiso», tanto per far capire come dopo tanti anni a perdere sono sempre gli stessi, stretti tra gli egoismi del potere e l’infantilismo della sinistra visionaria. Sullo sfondo l’eterno Andreotti e chi ne ha preso il posto con le apposite Tv: identificazione completa della politica in quanto scienza del potere. I successori hanno solo aggiunto gli affari. Attraverso le ombre dello schermo la storia si trasforma nel romanzo di un paese, aiutando gli incolpevoli malinformati a capire cosa nascondono le parole che una pattuglia di politici ancora distribuisce per sfumare il loro passato. Le ultime parole di Borsellino possono diventare il primo film di un’educazione senza ipocrisia; immagini che aiutano a sfogliare libri e giornali. Aspettiamo che la Rai faccia la scelta giusta, naturalmente.
mchierici2@libero.it

Pubblicato il: 14.07.08
Modificato il: 14.07.08 alle ore 8.28   
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