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Autore Discussione: Praga cancellata  (Letto 2244 volte)
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« inserito:: Novembre 08, 2007, 06:08:16 pm »

LUOGHI -Ritorno alla capitale simbolo della Mitteleuropa

Praga cancellata

La magia della città sopravvissuta al comunismo ora rischia di appassire a contatto con l'Occidente

 
La Moldava sfocia anche nella Senna; commentando ed evocando la singolare simbiosi culturale franco-céca del primo Novecento, Karel Capek — l'autore praghese dei Racconti dell'una e dell'altra tasca, lo scrittore grazie al quale la parola «robot» e l'uomo artificiale che essa indica sono entrati nella letteratura e nell'immaginario universale — scriveva, ricordando il suo soggiorno parigino del 1911: «Sulla Senna, sulla Moldava, si trova il più bel luogo del mondo». Non è certo strano che nei primi decenni del Novecento anche poeti, intellettuali e artisti praghesi si recassero, come tanti altri dei più vari Paesi del mondo, a Parigi, «metronomo del ritmo della creazione collettiva europea », come la definiva Karel Teige nel Manifesto del poetismo del 1928.

In questo fervore di creatività si incontravano, in un laboratorio dell'avanguardia internazionale, le esperienze e le personalità più originali: ad esempio nello studio di Alfons Mucha, il geniale pittore e cartellonista céco il cui ritratto di Sarah Bernhardt era affisso nei primi giorni del 1895 su tutti i muri di Parigi, August Strindberg faceva i suoi esperimenti di scienze occulte. Praghesi, americani, italiani a Parigi; un grande, celebrato e ormai quasi ovvio e stereotipo capitolo di storia culturale europea. Nel caso dei praghesi, il fenomeno acquista una rilevanza e una fisionomia particolare, che ora vengono ripescati dall'oblio di quegli anni e colti in una prospettiva originale soprattutto grazie a Gérard-Georges Lemaire, singolare e poliedrica figura di scrittore, saggista e critico d'arte che vive a Parigi — o meglio tra Parigi e l'Italia — e spazia, con finissime intuizioni, nei campi più disparati della cultura, dalla letteratura alle arti figurative.

Tra la fine dell'Ottocento e la conclusione della Prima guerra mondiale — ma anche sino all'invasione nazista — Praga è stata periferia e centro del mondo; una capitale dello spirito, avvolta nell'ombra e in un'insicurezza vitalmente esplosiva. Città magica, come l'ha chiamata Angelo Maria Ripellino; città bloccata dalle proprie contraddizioni, che peraltro erano la sua essenza, e che ha saputo fare di questo suo malinconico blocco un osservatorio delle contraddizioni del mondo, una stazione meteorologica dell'apocalissi che stava piombando sull'Europa e in generale sull'Occidente. Città céca dell'impero absburgico con una minoranza a lungo egemone di lingua tedesca costituita a sua volta in buona parte da ebrei, custodi di un patriottismo tedesco che si sarebbe ritorto contro di loro quando l'antisemitismo germanico li avrebbe ricacciati — sradicati come erano dal contesto maggioritario céco — in una terra di nessuno. Da questo stallo, condizione di morte, sarebbe nata una grande letteratura, in céco e in tedesco, che ha espresso come poche altre, con visionaria potenza fantastica e spettrale precisione geometrica, il vicolo cieco imboccato dalla storia occidentale. È ovvio pensare a Kafka, ma quest'ultimo è la punta di un ricchissimo, variegato iceberg austro-tedesco-céco- ebraico, che comprende non solo la letteratura ma pure le arti figurative e le poetiche dell'avanguardia in generale. L'incertezza esistenziale, a Praga, induceva a scrivere, a creare, a inventare un luogo di grottesca identità: «Come, lei è di Praga e non ha scritto alcun romanzo?», chiedeva stupito in treno, secondo una famosa battuta, un viaggiatore al suo occasionale vicino appena saputa la sua provenienza.

Da Praga, odiosamata madre e matrigna, si fuggiva, per recidere il soffocante e vitalmente necessario cordone ombelicale. Ma a Parigi questa fuga diviene radicamento, rinnovamento della stessa cultura francese, creazione concomitante di una nuova cultura. La grande tradizione praghese ha resistito, specie quale sotterranea dissidenza, sino alla Primavera di Praga stroncata nel '68 e sino alla liberazione dell'89. Oggi un adeguamento coatto al modello occidentale rischia di cancellare la plurinazionale civiltà mitteleuropea, di cui Praga è stata un, anzi il, cuore. Forse, per ritrovare quella creatività — surreale, grottesca, medusea, mortale e rigeneratrice — di Praga magica bisogna ripartire da quegli anni parigini, in cui Praga esisteva più sulla Senna che sulla Moldava e i cui fermenti creativi sarebbero anche oggi un anticorpo essenziale per la vitalità dell'Europa e della sua cultura.

 Negli anni recenti c'è stato un revival, che continua, di questa «Praga a Parigi», grazie a Gérard-Georges Lemaire, che non ha solo curato il volume Prague sur Seine («Praga sulla Senna»), ma ha svolto una preziosa opera di recupero di quegli anni così creativi; anni di osmosi artistica, di anarchica libertà intellettuale, di innesti fra avanguardia artistica e impegno politico che hanno portato a gloriose battaglie libertarie, a criminali falcidie da parte di nazisti, ad abiette repressioni staliniane e altrettanto abiette connivenze con esse. In questo salvataggio della più vera Mitteleuropa va ricordata almeno anche l'opera della geniale Patrizia Runfola, precocemente scomparsa, che ha realizzato con Lemaire il volume Praga d'oro e ha scritto testi fondamentali quali Praga al tempo di Kafka e Il palazzo della melanconia, dedicato soprattutto ad Alfons Mucha, oltre ad aver ricreato i valori di quella civiltà in un volume di racconti di notevolissima e originale intensità poetica, Lezioni di tenebra. Se Milan Kundera è divenuto oggi uno scrittore francese, a suo tempo tanta grande Praga si è trapiantata sulle rive della Senna e viene ora ritrovata e riassimilata. Non sarebbe male se quei semi così fecondi di un'antica cultura così aperta al futuro venissero raccolti anche in altri paesi di un'Europa così incerta su stessa.

Claudio Magris
08 novembre 2007

da corriere.it
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